La pedopornografia virtuale - Centro per gli Studi Criminologici
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La pedopornografia virtuale - Centro per gli Studi Criminologici
La pedopornografia virtuale: alla ricerca di un bene giuridico. Avv. Vincenzo Rombo Avvocato penalista Diploma di Master di II livello in Scienze Forensi (Criminologia –Investigazione - Security-Intelligence), Università “La Sapienza” Roma Sommario: 1. Considerazioni introduttive: il diritto penale nel cyberspazio; 1.2 Il reato di pornografia minorile; 2. la pornografia virtuale e la ratio legis, 2.1 Struttura normativa del reato di pedopornografia virtuale, esempio di legislazione penale dell’emergenza, 2.2 Le immagini virtuali, 2.3 Il bene giuridico tutelato e riflessioni conclusive 1. Considerazioni introduttive: il diritto penale nel cyberspazio Con l’utilizzo delle sofisticate tecnologie di comunicazione, il concetto di condotta, teorizzato per una realtà fisica nella quale le conseguenze sono percepibili ed empiricamente verificabili nel luogo dove si trova l’agente, sfuma nella dimensione virtuale. Ciò non solo rappresenta una drammatica conseguenza dell’uso distorto del computer ma alimenta, in una spirale criminogena allarmante, fenomeni, quale quello presso in esame nella disamina de quo, di difficile inquadramento dogmatico e interpretativo. Sotto il profilo ontologico, il comando rappresenta l’elemento costitutivo dei reati informatici, che si connota per l’estrinsecazione di un atto di volontà dall’operatore attraverso un impulso elettronico diretto al computer. Il concetto di azione penalmente rilevante, inteso come condotta di un soggetto, esteriormente percepibile e dagli effetti tangibili nel contesto sociale, subisce pertanto nella realtà virtuale un'accentuata rarefazione fino a modellarsi secondo evanescenti forme di trasmissione, immissione e gestione di dati, che svaniscono in impulsi elettronici. L’azione telematica, infatti, viene realizzata innanzitutto attraverso una connessione tra sistemi informatici distanti tra loro, per cui gli effetti della condotta possono esplicarsi in un luogo diverso da quello in cui l’agente si trova ad operare. Il soggetto attivo è in grado altresì di agire contemporaneamente sia sul computer di partenza, che su quello di destinazione: in tal modo l’azione si moltiplica nello spazio e produce simultaneamente le conseguenze volute dall’operatore in entrambi i luoghi dove si trovano i sistemi di elaborazione. La condotta comunicativa quindi, oltre a creare un risultato all’interno del sistema informatico dell’agente, può produrre uno o più eventi nella postazione remota dei dati, i cui esiti dipendono dal tipo di istruzioni inviate e dai programmi in concreto utilizzati. Queste brevi considerazioni preliminari informano senza dubbio l’intera struttura e le dinamiche della pedopornografia virtuale, fenomeno questo connotato da un elevato dinamismo nell’uso degli strumenti tecnologici, proprio per la facilità estrema di accedere a file disponibili in rete, per scambiare informazioni o contatti e per navigare tra i siti contenenti materiale vietato. L’avvento di internet ha nel giro di pochi decenni reso lo sfruttamento d’immagine a contenuto pornografico dei minori ancora più capillare. L’impatto delle nuove modalità elettroniche di interazione sugli schemi cognitivi, sugli oggetti e lo spazio ostacola l’identificazione del limite che separa la realtà dal virtuale, sfumando la percezione, la distinzione e la valutazione, da parte dell’autore di un crimine, degli effetti negativi provocati con il proprio comportamento. Tutto ciò ha inevitabilmente alimentato nuovi metodi di veicolazione e circolazione del materiale pedopornografico che, in pochi anni, hanno subito una crescita esponenziale. Per coglierne la portata, dunque, si ritiene opportuno aprire l’articolo menzionando qualche dato statistico che, lungi dall’essere vuota sequenza di numeri, fotografa la gravità e la diffusione di tale fenomenologia criminale al punto invero da vestire di carattere emergenziale l’intera disciplina legislativa in esame. Per questo, in via esemplificativa, pare opportuno ricordare come, secondo Interpol, ogni anno vengono offerte on line almeno 500.000 nuove immagini pedopornografiche originali e si contano 550.000 immagini di abusi su 20.000 bambini, di cui solo 500 sono stati identificati e salvati dal 2001. Attualmente ci sono circa 200.000 siti che offrono immagini di bambini1; solo in Italia sono stati rilevati ed oscurati 177 siti pedopornografici, e altri 11.000, i cui server erano di altra nazionalità sono stati segnalati ai rispettivi organi di polizia all’estero2 . In limine con l’analisi della fattispecie di reato ex art 600 quater, queste, seppur brevi, apprezzamenti anticipano la gravità della problematica questione inerente l’utilizzo della Rete e le inevitabili conseguenze della stessa sulle condotte criminali compiute. Il diritto penale, i principi dello stesso costituzionalmente garantiti, il rigore giuridico che dovrebbe informare il legislatore sembrano cozzare per vero con l’aleatorietà, la sfuggevolezza, il continuo divenire della realtà telematica; in un gioco difficile, al limite del rocambolesco, tra il reale e il virtuale. Orbene, uno degli aspetti più discutibili della grande novità rappresentata dalla legge n.38 del 2006 concerne proprio l’introduzione, nel nostro codice penale, del nuovo delitto di pornografia virtuale. L’incriminazione della pedopornografia virtuale, come vedremo nel prosieguo dell’analisi, solleva dubbi di compatibilità con la tecnica di redazione delle fattispecie penali improntata sul principio di determinatezza e tassatività, nonché con il rispetto dei principi di offensività e colpevolezza ed, infine, con una impostazione laica del diritto penale, conforme al principio di extrema ratio, secondo cui lo ius criminale deve intervenire solo quando le altre forme di controllo risultino inadeguate. Nel corso della trattazione si cercherà di puntare il periscopio sul principale elemento che distingue il nuovo delitto dai reati di cui agli artt. 600 ter c. p. e 600 quater c. p., ossia sull’oggetto materiale del reato, nella consapevolezza che solo attraverso la sua analisi e quindi la comprensione della pedopornografia virtuale stessa, sia possibile indagare sulla idoneità offensiva del delitto, stabilendo, quindi, se il bene giuridico tutelato dalla norma sia effettivamente quello protetto dalle fattispecie introdotte dalla legge 269/1998, oppure si caratterizzi per diversa natura. 1.2. Il reato di pornografia minorile L’incremento esponenziale degli episodi criminali di pedofilia ha indotto il legislatore nazionale ad adeguare il diritto penale positivo alla Convenzione di New York, sui diritti dei fanciulli, firmata in seno all’O.N.U. il 20 novembre 1989, in cui viene riconosciuto per la prima volta il diritto del bambino ad essere protetto da ogni forma di comportamento atto a colpire la sua personalità ovvero la sua dignità. Successivamente sul delicato tema è intervenuta la Conferenza mondiale di Stoccolma del 31 agosto 1996 contro lo sfruttamento sessuale dell’infanzia a fini commerciali, il cui Piano d’azione invitava gli Stati contraenti a punire penalmente chiunque fosse coinvolto in attività sessuali illegali. La legge italiana ha risposto, a questi primi fondamentali atti internazionali con la L. 3 agosto 1998 n. 269, novellata successivamente con la legge 38 del 2006, la quale inserisce nel codice penale il concetto normativo ed extragiuridico di pornografia : “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”. Nell’ottica legislativa lo sfruttamento sessuale del minore anche pedopornografico, offende lo sviluppo psico-fisico dello stesso come strumentalizzazione a scopo di lucro ovvero reificazione a merce sessuale lucrativa. La normativa colloca infatti tale fattispecie nel libro II, titolo XII del codice penale, relativo ai delitti contro la persona; più in particolare3 la norma è stata inserita nel capo III, che contiene i delitti contro la libertà individuale e nella sezione I tra i reati contro la personalità individuale. La collocazione nel codice penale non è causale ma permette di cogliere, almeno in prima battuta, l’interesse giuridico oggetto di tutela : lo status libertatis strettamente congiunto alla sfera sessuale ancora in fieri della giovane vittima. La legge n. 269/1998 si colloca proprio in questo contesto, di tipo istituzionale – interventista, con una disciplina volta innanzitutto a prevenire ogni forma di sfruttamento sessuale, grazie alla previsione, nel titolo XII del codice penale (Dei 1 Eurobarometer EB 60.2-CC-EB2004.1 Dati forniti dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni nel quadro del convegno “Bimbi nella rete- il turismo contro la pedofilia on line”,2008. 3 Flick G.M., voce Libertà individuale (delitti contro la), in Enc. dir., vol. XXIV, Milano, 1974, pp. 535 ss. Questa impostazione di tipo individualistico prescinde dal significato politico-sociale della libertà nel rapporto tra la persona e lo Stato o tra la persona e la società, intesa in senso negativo come assenza di interferenze di terzi nell’esplicazione della propria personalità (libertà da…)e al tempo stesso in senso positivo, come espressione delle facoltà che assomma in sé la persona (centralità della persona umana). La legge penale in sintesi tutelerebbe non già la libertà, bensì la persona, con un significato più prettamente individualistico, collocandosi nella linea del progressivo rafforzamento costituzionale della sua tutela penale. In questo senso il concetto di “libertà individuale” non si pone certamente in rapporto di genere a specie rispetto a quello di “ personalità individuale”, in quanto, al contrario, l’intangibilità della persona sembra un valore del tutto prioritario rispetto a quello della libertà individuale strictu sensu. La persona umana è qui intesa nel più astratto significato di “qualità umane che caratterizzano il valore dell’essere umano e come tali suscettibili di essere offese, negate”. 2 delitti contro la persona), di figure di reato quali la prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), la pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), la detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater c.p.), le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.). Ai fini pratici – investigativi, la legge attribuisce altresì speciali poteri alla polizia giudiziaria in fase d’indagine e la possibilità di perseguire anche all’estero il cittadino italiano che commetta fuori dal territorio dello Stato tali aberranti condotte, in deroga al principio di territorialità della legge penale, ex art. 6 c.p.. Sfiorando solo marginalmente gli aspetti procedurali quindi, gli ufficiali di polizia giudiziaria per la repressione dei delitti sessuali, o per la tutela dei minori, possono ora procedere ex art. 14 della legge, all’acquisizione simulata del materiale pornografico, aprire siti Internet di copertura, i c. d. “siti-civetta” o “cavalli di Troia” al fine di indagare e punire condotte legate allo sfruttamento di immagini pedopornografiche per via telematica, eseguire con ritardo provvedimenti di arresto e sequestro, infiltrarsi in viaggi organizzati per finalità di turismo teso allo sfruttamento della prostituzione4. Infine per rendere più efficace la normativa c.d. antipedofilia, in materia di responsabilità degli enti, tra i delitti previsti per chi agisca nell’interesse o a vantaggio dell’ente di cui abbia la rappresentanza, la legge di riforma n. 38 del 2006, ha incluso anche il nuovo reato di pornografia virtuale. In questo caso, oltre alle sanzioni amministrative pecuniarie, è prevista l’applicazione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività (ex art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 231/2001) in relazione alle ipotesi in cui l’ente, o una sua unità organizzativa, siano stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o comunque anche soltanto agevolare la commissione dei delitti in questione5. La legge 3 agosto 1998 n. 269 ha inserito pertanto nel codice penale l’art. 600-ter (pornografia minorile)6, il quale contempla nel primo comma una disposizione di carattere generale volta a colpire “chiunque utilizzando minori degli anni diciotto realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico”. Gli altri tre commi prevedono il commercio, la distribuzione, diffusione… di tale materiale e la sua cessione, anche a titolo gratuito. Sta a se l’ipotesi descritta nel terzo comma della distribuzione o divulgazione di “notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale”dei minori in questione. Il problema centrale, e di difficile risoluzione, è rappresentato proprio dalla stessa nozione di pornografia7. La disciplina dettata dalla legge del 98, cosi come quella del 2006, in tema di pornografia minorile sembra segnata, nondimeno, da almeno una lapalissiana tara: il ricorso ad una nozione inconsueta, e non meno equivoca, qual è il richiamo alla pornografia, per connotare la finalizzazione soggettiva del fatto. La scelta analoga di mantenere il riferimento alla pornografia come elemento elastico e suscettibile di essere riempito di contenuto nel caso concreto, poggia le sue radici nella ferma convinzione che fosse estremamente difficoltosa una definizione prescindendo dai contesti in cui comportamenti fossero concretamente tenuti. Tuttavia, la mancanza di una descrizione puntuale, secondo una lettura trasversalmente condivisa, finisce per rendere assai poco lineare la ricostruzione della dimensione offensiva dell’incriminazione e con essa l’interpretazione stessa della fattispecie.. La scelta del legislatore di omettere tale definizione, in considerazione della complessità della stessa, sembra voler riecheggiare l’antico brocardo di Giavoleno: “omnis definitio in iure pericolosa est”, espressivo di un diritto penale 4 5 Manna A.- Lorusso S., L’abuso sessuale sui minori: prassi giudiziarie e novità normative introdotte dalla legge 38/2006 sulla pedopornografia, Giuffrè, 2007, pp. 1 ss. Guernelli M., La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto penale amministrativo interno dopo il D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in Studium Iuris, 2002. 6 Art. 600-ter c.p., nuova versione : “Chiunque utilizzando minori degli anni diciotto realizza, esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga, diffonde, notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo,offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164. Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità”. 7 Marinucci G.- Dolcini E., Corso di diritto penale, I vol.,Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, III ed., Milano, 2001, p. 149. Vd. anche in AA.VV. , Il problema delle definizioni legali nel diritto penale. Omnis definitio in iure pericolosa est?, (a cura di Cadoppi A.), Padova, 1996, cit. p. 130. quasi incurante del principio di legalità. Non a caso, l’ espressione de qua viene in dottrina descritta come tipico esempio di elemento normativo della fattispecie a carattere extragiuridico8. Tralasciando in questa sede la definizione di "osceno", e solo al fine di contrapporre la stessa a quella di "pornografico", è d’uopo ricordare come la giurisprudenza sembra ormai pacificamente orientata verso l'interpretazione secondo la quale il termine "pornografia" indica una species del genus "osceno". Infatti, sia il materiale pornografico, sia quello osceno, riguardano la sfera della sessualità: tuttavia, mentre la pornografia è finalizzata direttamente e principalmente ad indurre eccitazione sessuale tramite immagini o scritti espliciti, osceno è tutto ciò che offende il comune senso del pudore. Al fine di determinare il concetto di "pornografia minorile", una parte della dottrina si è concentrata sulla distinzione tra immagini semplicemente oscene e immagini pedopornografiche, punibili ex artt. 600-ter ss. c.p.: si è, invero, affermato che non ogni atto sessuale compiuto dal minore possa essere ritenuto pornografico, tale essendo solo quello che, rappresentando l'apparato riproduttore di almeno uno dei protagonisti dell'immagine, sia destinato allo sfruttamento commerciale; oppure che siano pornografiche solo le immagini che ledono la sfera dell'inviolabilità sessuale del minore, occorrendo quindi la realizzazione di atti sessuali da parte del minore o sullo stesso. Altra parte della dottrina ha cercato di definire la pornografia minorile sulla base del bene giuridico tutelato: si è, quindi, tentato di circoscriverla ai soli casi di reale sfruttamento del minore, ovvero alle condotte realmente pericolose per il bene di riferimento, cioè per la "personalità individuale" del soggetto stesso. La giurisprudenza relativa agli artt. 600-ter e 600-quater c.p. ha adottato un'interpretazione assai più ampia rispetto a quelle prospettate in dottrina, giungendo a proibire anche rappresentazioni di minori con la zona pubica solo parzialmente scoperta: secondo la Corte di cassazione, la natura pornografica di un'opera deve essere accertata in base alla finalizzazione della stessa ad eccitare la sessualità ed alla sua idoneità a tale scopo, apprezzata anche in base alla natura erotica delle pose assunte dai minori. La valutazione di ciò che è pornografico appare così fortemente soggettivizzata: secondo la giurisprudenza di legittimità essa non dipende necessariamente dalla natura oggettiva e dal contenuto dell'immagine, che può infatti anche non includere scene di nudità. La prospettiva di valutazione sembra caratterizzare quindi la lesività stessa delle condotte dove, secondo tale orientamento interpretativo, è la potenziale capacità eccitativa delle immagini (legata alla struttura ed al grado di maturità psichico del soggetto fruitore) a caratterizzarle o meno di carattere pornografico. L'introduzione del delitto di pornografia virtuale ha, però, ulteriormente complicato la questione, rendendo ancor più fragili le interpretazioni orientate alla tutela del bene giuridico. Infatti, se si potesse affermare che è pornografico solo ciò che è realizzato con condotte che rischiano di danneggiare i minori coinvolti, si dovrebbe sempre escludere che la pornografia virtuale costituisca pornografia, posto che essa, quando sia realizzata senza l'utilizzazione di minori reali, implica la repressione di condotte che non rappresentano concreto pericolo alla personalità e lo sviluppo del minore. 2. La pornografia virtuale e la ratio legis È con l’ art. 4, L. 38/2006 che viene introdotto nel codice penale l’art. 600-quater 1 c.p. (pornografia virtuale), con una numerazione inedita. La nuova disposizione incriminatrice estende l’ambito di operatività degli articoli 600-ter c.p. (pornografia minorile) e 600-quater c.p. (detenzione di materiale pornografico) alla c.d. pornografia virtuale e ne fornisce una definizione : “Le disposizioni di cui agli articoli 600ter e 600quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo. … Sono tali le immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”. La disposizione penale “de qua” costituisce il portato di uno degli aspetti più discutibili della decisione quadro 2004/68/GAI, del Consiglio d’Europa del 2003, in mancanza di una definizione di pornografia minorile e potendo ora 8 Cerquetti G., Gli elementi descrittivi della fattispecie penale,I,Premesse metodologiche e profili generali, Margiacchi Galeno ed., 2001-2002, pp. 1 ss., Ruggiero R., Gli elementi normativi della fattispecie penale. Lineamenti generali, Napoli, 1965, pp. 46-74, a proposito della loro autonomia rispetto agli altri elementi della fattispecie penale , negata in questo caso dall’A., al contrario la configurabilità di un’autonoma categoria di elementi normativi rispetto a quelli descrittivi è sostenuta da Bricola F., in “La discrezionalità nel diritto penale”, vol. I, Nozioni e aspetti costituzionali, Milano, 1965, pp. 38 ss. ricomprendere anche immagini realizzate mediante l’utilizzo di moderni programmi software - quali collage grafici in cui si assemblano pezzi di corpi reali con teste disegnate tipo cartoon o rappresentazioni in cui al volto di un minore viene associato il corpo di un adulto o di un soggetto artificialmente costruito e impegnato in attività sessuale (c.d. pornografia parzialmente virtuale) - o ancora alla controversa rilevanza penale di immagini assolutamente artificiali, che, sebbene realistiche, sono il puro frutto della tecnologia grafica e della fantasia seppure perversa dell’autore ( c.d. pornografia totalmente virtuale)9. Le questioni sollevate da tali fattispecie penali, è bene anticiparlo, riguardano la loro dubbia legittimità costituzionale dovuta alla violazione di quei principi fondamentali che determinano la struttura stessa del reato: offensività, determinatezza, frammentarietà ed extrema ratio della pena10. Dall’interpretazione letterale della norma, di cui all’art. 600-quater 1 c.p. in commento, secondo attenta dottrina non sembra possibile ravvisare né un bene giuridico da tutelare né un’offesa, neppure nella forma della mera messa in pericolo, ma il vero punto dolens è la mancanza nella pedopornografia totalmente virtuale di una vittima in carne ed ossa. Quest’ultima fattispecie, sebbene eticamente ripugnabile, risulta di fatto del tutto neutra e inoffensiva per l’integrità psico - sessuale del minore, in quanto inaspettatamente è il minore stesso a non esistere, essendovi al suo posto un soggetto meramente virtuale, addirittura un cartoon. Lo stesso discorso vale anche per la c.d. pornografia apparente in quanto tale reato si perfeziona con l’impiego di una persona fisica non minorenne. Nel corso dell’iter parlamentare quest’ulteriore tipologia di reato è stata per vero soppressa e nel testo definitivo è stata inserita soltanto la fattispecie di pornografia virtuale che secondo il vigente art. 600 quater 1 c.p., comprende immagini realistiche rappresentanti minori inesistenti11; è necessario quindi che immagini reali di persone minorenni o parti di esse vengano elaborate graficamente, in modo da creare materiale che rappresenti espliciti atti sessuali ovvero ritragga organi genitali o nudità, con chiaro significato erotico, in cui appaia coinvolto il minore. La natura pretesamene criminogena della pedopornografia virtuale ha, per di più, finito per far rientrare nella norma non solo la composizione informatica di fotomontaggi di elevata qualità, ma anche tutte quelle riproduzioni grafiche di qualità grossolana ottenuti con tecniche tutt’altro che sofisticate, come fumetti o cartoni animati, a meno che l’interprete non ritenga operante, almeno rispetto a quest’ultime ipotesi meno gravi, la clausola finale, di cui all’art. 600-quater 1 c.p., che con effetto preclusivo sembra voler delimitare la rilevanza penale alle sole immagini “la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”. Ma è evidente che l’esatto confine tra ciò che è penalmente rilevante e ciò che invece non lo è, non è tracciato dalla legge, bensì scaturisce dalla valutazione che del fatto fornisce il giudice, cui peraltro la legge non consegna un valido parametro di giudizio. Orbene, l’impostazione della legge n. 38 del 2006, non diversamente da quanto già accaduto nel 1998, sembra tendere ancora una volta all’ utilizzazione in chiave meramente simbolico – espressiva del precetto penale, di talché ne deriva un sistema di tutela ipertrofico, nonché ineffettivo sul piano pratico- processuale, determinando serie deviazioni rispetto al paradigma del diritto penale classico costituzionalmente orientato e individualgarantistico12. 2.1. Struttura normativa del reato di pedopornografia virtuale, esempio di legislazione penale dell’emergenza Posto in essere il tentativo di dare una definizione quanto più organica di materiale pedopornografico reale. e di atti sessuali, si impone quindi una analisi più approfondita della fattispecie criminosa ex art 600 quater 1 comma, proprio al fine di delinearne i contorni e le eventuali linee d’ombra. 9 Manna A.- Resta F., I delitti in tema di pedopornografia, alla luce della legge 38/2006. Una tutela virtuale?, in Dir. Internet, 2006, n.3, pp. 221 ss. Musacchio V., La nuova normativa penale in materia di sfrutamento sessuale dei bambini e pedopornografia a mezzo di Internet, in Riv.pen.,2006, pp. 399 ss. 10 Bricola F., Teoria generale del reato, in Nov. mo. D.I., vol. XIX, Torino, Utet, 1973, pp. 7 ss. Donini M., Il volto attuale del diritto penale, Giuffré, 2004, cit. pp. 1-84. Bianchi M., Commento art. 600-quater 1 c.p., in AA.VV., Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia,( a cura di Cadoppi A.), CEDAM, 2006, cit. pp. 263-272. Patalano V., Il ddl antipedofilia cerca il consenso ma “chide troppo” al diritto penale, in Guida dir., 1998, n. 33, cit. pp. 9 ss. Manna A., Profili problematici della nuova legge in tema di pedofilia, in Ind.pen., 1999,cit. p. 47 ss.u 11 V. Atti parlamentari, Camera dei deputati, Disegno di Legge n. 4599, presentato il 13 gennaio 2004, cit. p. 1 ss. 12 Mantovani F., Novità e irrazionalità della riforma in tema di pedopornografia, in Insolera G., La legislazione compulsiva, Padova, 2006, pp. 147 ss. Manna A.- Lorusso S., L’abuso sessuale sui minori: prassi giudiziarie e novità normative introdotte dalla legge 38/2006 sulla pedopornografia, Giuffré, 2007, cit. pp. 44-46. Manna A., La delinquenza sessuale: profili relativi alla imputabilità ed al trattamento sanzionatorio, in Ind. pen., n. 3, 2004, cit. p. 881. La fattispecie di reato relativa alla pedopornografia virtuale amplia, come anticipavamo dianzi, la portata applicativa delle fattispecie incriminatici contenute nelle precedenti norme anti- pornografia infantile (artt. 600- ter e 600- quater c.p.), considerando reati di produzione, cessione e detenzione di materiale pornografico anche quelli che abbiano ad oggetto immagini di minori “apparenti” o “virtuali”. Per la prima volta si affianca così esplicitamente il virtuale al reale; alla pornografia tradizionale, prodotta attraverso l’impiego sessuale di persone in carne ed ossa si equipara l’astrattezza di un’immagine realizzata con artifici grafici. Tale avvicinamento è apparso necessario per una più efficace tutela dei minori e più precisamente del loro sviluppo psico-fisico, posto in pericolo dall’esistenza della pedofilia telematica. Lo spazio infinito e astratto della cyber-criminalità ha messo, a ogni buon conto, l’interprete in difficoltà. Ed invero, a lungo autorevole dottrina si è interrogata al fine di comprendere se l’articolo 600 quater c.p. contenesse autonoma figura delittuosa o se viceversa fosse qualificabile come mera circostanza attenuante dei reati previsti dai due articoli precedenti, estendendone l’ambito di applicazione con l’introduzione di un elemento normativo per definire in maniera più ampia il relativo oggetto materiale13. La confusione è aumentata dalla previsione di un trattamento sanzionatorio determinato in relazione alle pene indicate negli artt. 600-ter c.p. (pornografia minorile) e 600-quater c.p.(detenzione di materiale pornografico) nonché dalla formula, “la pena è diminuita di un terzo” che potrebbe evocare la voluntas legis di richiamare il rapporto intercorrente tra fattispecie principale e circostanza attenuante. La dottrina maggioritaria tende tuttavia a qualificare la disposizione penale come fonte di una nuova incriminazione autonoma sulla base di alcuni significativi indizi; in primis la sua collocazione in un articolo distinto, contrassegnato da un diverso nomen iuris e con oggetto materiale (sebbene sfuggente) diverso, vale a dire la pornografia virtuale non più reale, il cui contenuto viene tra l’altro specificato dalla norma stessa al secondo comma14. La diversità oggettiva nondimeno ha forti ripercussioni sulla valutazione del bene giuridico tutelato, perché se negli articoli precedenti vi è sempre il coinvolgimento di un minore in carne ed ossa, nell’ipotesi dell’art. 600-quater 1c.p. (pornografia virtuale) questo può essere totalmente inesistente o non coinvolto sessualmente nella realizzazione dell’opera. Non c’è un vero e proprio mutamento del bene giuridico con il nuovo articolo, in quanto l’interesse che il legislatore vuole tutelare è sempre lo sviluppo psico-fisico della giovane vittima tuttavia, se quest’ultimo, negli articoli precedenti, viene messo in pericolo o ne viene incentivata la lesione, nella pornografia virtuale tale bene potrebbe anche mancare e si punirebbe a prescindere dalla sua sussistenza, per il mero sospetto che il materiale utilizzato sia stato ottenuto mediante sfruttamento sessuale e che pertanto sussista il pericolo del nocumento al corretto sviluppo della personalità della vittima. Ulteriore indizio a favore della natura costitutiva della norma sta nella sua mancata collocazione aggiuntiva tra le circostanze aggravanti e attenuanti da applicare ai reati contro la personalità individuale per le quali la legge del 1998 ha disposto appositamente l’art. 600-sexies c.p.. L’esclusione della natura circostanziata della norma è inoltre deducibile dalla sua inclusione tra quei reati contro la libertà individuale, sottratti ex art. 11, legge 38/2006 dal patteggiamento allargato. Anche utilizzando il criterio esegetico-teleologico, l’art. 600-quater 1 c.p. (pornografia virtuale) non è qualificabile come semplice species dei delitti di pornografia reale, non sembra caratterizzarli con un ulteriore elemento specifico, ma per quanto congiunto agli stessi per appartenenza alla medesima categoria criminosa e per identità di ratio legis, esso appare possedere un contenuto, per natura e disvalore, differente ed autonomo. 2.2. Le immagini virtuali Rispetto al linguaggio tecnico-giuridico già in uso nella materia, l’intervento legislativo del 2006 introduce una sola nuova definizione: quella di « immagini virtuali ». 13 Pistorelli L., Attenzione spostata sulla perversione del reo, in Guida dir.,n. 9/2006, cit. p. 51. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità fa apparire come vere situazioni non reali. 14 Giova sottolineare come sia stata rilevata, anche nel corso dei lavori preparatori, l’indeterminatezza dell’oggetto materiale del reato con particolare riferimento per l’appunto alla difficoltà di comprendere se le immagini virtuali debbano essere realizzate attingendo ad immagini di minori reali, ovvero se risultino sufficienti, per integrare il delitto, immagini del tutto artificiali15. Dalla definizione fornita al secondo comma della norma sembrerebbe che in questa forma di pedopornografia si possa ricondurre sia la pornografia parzialmente virtuale (immagini non associate in parte a situazioni reali) sia quella totalmente virtuale ( immagini non associate in tutto a situazioni reali). Il primo comma appare, peraltro, restringere la portata in quanto limita l’applicazione degli articoli 600 ter e 600 quater c. p. alle immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori di anni diciotto o parti di esse, ossia solo alle ipotesi in cui il materiale virtuale sia stato prodotto partendo comunque da un’immagine ritraente un minore reale. Attraverso una lettura combinata del primo e secondo comma dell’articolo, si può tentare di individuare quattro tipologie di immagini virtuali incriminate. 1) Immagini non associate in tutto a situazioni reali, realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto. Si tratterebbe di fotomontaggi in cui all’immagine del minore realmente esistente si associa un contesto costruito artificialmente. È il caso dell’opera realizzata assemblando l’immagine pubblicitaria di un bambino nudo con un ‘immagine artificiale, creata a computer, di un adulto o di un altro minore posizionata in modo tale da sembrare che i due soggetti stiano consumando un atto sessuale. 2)immagini non associate in tutto a situazioni reali, realizzate utilizzando parti di immagini di minori degli anni diciotto. Questa categoria comprenderebbe quelle rappresentazioni pornografiche realizzate giustapponendo al volto di un minore il corpo di un soggetto inesistente realizzato con artifici grafici. 3)Immagini associate in parte a situazioni reali, realizzate naturalmente utilizzando immagini di minori degli anni diciotto. Qui, a differenze delle due ipotesi precedenti, l’immagine è associata in parte ad una situazione reale: essa può essere pertanto costruita inserendo l’immagine di un bambino reale nell’ambito di una situazione che ritrae un contesto reale. 4) immagini associate in parte a situazioni reali. Anche qui la situazione di base è in parte reale e ad essa si associa l’immagine parziale di un minore: è il caso della rappresentazione pornografica risultante dal fotomontaggio fra il volto di un minore ed il corpo di un adulto realmente esistente. Orbene, la nuova incriminazione non sembrerebbe comprendere le immagini totalmente virtuali, ossia quelle che non contemplano l’utilizzo, neanche in parte, dell’immagine del minore16 posto che, nella formulazione definitiva il Legislatore abbia cercato di restringere la portata incriminatrice solo ad alcune categorie di opere virtuali, quelle cioè in cui vi sia l’utilizzo, ab origine, dell’immagine del minore. Vero è che l’immagine pornografica virtuale viene a rappresentare tuttavia uno dei nodi problematici nell’interpretazione dell’art. 600 quater 1, c. p. nel solco della quale si innestano due visioni antitetiche, a seconda che per immagini di minori o parti di esse si intendano immagini di minori realmente esistenti oppure anche immagini create artificialmente. Secondo una prima opzione interpretativa17, l'immagine virtuale dovrebbe sempre essere realizzata utilizzando immagini di minori reali, o parti di esse: il primo comma infatti non svolgerebbe alcuna funzione se si ammettesse l'uso di materiale interamente artificiale. Peraltro, la possibilità di includere nel concetto di "pornografia minorile" anche specifiche tipologie di immagini parzialmente virtuali era già stata sostenuta prima dell'introduzione dell'art. 600quater.1 c.p. Si era infatti ritenuto che rientrasse nell'ambito applicativo degli artt. 600-ter e 600-quater c.p. anche l'immagine realizzata tramite fotomontaggio, quando alla fotografia di un minore reale coinvolto nel compimento di atti 15 Si rimanda a M. Bianchi, Art 600 quater, 1 c. p. (pornografia virtuale) 261 ss. Nello stesso senso M. Monteleone, lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia nella legge 6 febbraio 2006, n. 38, in Giur. Di merito, 9, 2007, 2205 e 2208. 17 Cfr. COCCO, Può costituire reato la detenzione di pornografia minorile?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2006, p. 863 s. 16 sessuali fosse stato sovrapposto il volto di un adulto; anche in questo caso, infatti, vi è sfruttamento del minore, con potenziale pericolo per il suo sano sviluppo psico-fisico18. Inoltre, secondo una parte della dottrina, le due norme sarebbero state applicabili anche all'immagine pornografica realistica realizzata tramite la giustapposizione del volto di un minore, o di altra parte riconoscibile del suo corpo, ad una rappresentazione pornografica: in questo caso, l'uso dell'immagine del minore sarebbe lesivo della sua onorabilità sessuale, e quindi potenzialmente del suo sviluppo19. L'introduzione del reato di pornografia virtuale, incentrato sull'uso di immagini di un minore reale, andrebbe quindi a colpire proprio questo tipo di condotte, la cui inclusione nel concetto di pornografia minorile era dubbia. Questa interpretazione, che ha il vantaggio di conservare una qualche offensività alla fattispecie in esame e di non alterare il bene giuridico tutelato dalle norme in tema di pornografia, impone però di restringere l'ambito applicativo della disposizione alle sole ipotesi di utilizzo di immagini di minori reali o di parti riconoscibili degli stessi: una limitazione che non trova alcun fondamento nella lettera della legge, e appare quindi del tutto surrettizia20. Neppure un'interpretazione strettamente letterale della norma chiarisce però il senso della scelta di politica criminale operata dal legislatore: se si ritiene che si sia voluto punire l'uso di immagini di minori autentiche, senza poter restringere il campo applicativo alle ipotesi di riconoscibilità del minore ritratto, si giunge all'assurdo di punire chi, nel creare un'immagine pornografica virtuale, si basi su un piccolissimo particolare di una fotografia di un minore, e non chi invece realizzi un'immagine identica, creandola dal nulla. Sfugge la razionalità di una simile scelta repressiva: non si comprende infatti quale sia il disvalore insito nella prima condotta e perché esso sia invece assente nella seconda. Esclusa dunque l'ammissibilità di un'interpretazione strettamente letterale, le strade aperte sono due: in alternativa all'impostazione (arbitrariamente) restrittiva suesposta, si prospetta un'interpretazione più ampia. Il legislatore, nel far riferimento all'uso di immagini di minori (comma 1), non ha specificato che queste debbano essere reali: la nozione di immagine del minore comprende però non solo la riproduzione di una situazione reale, ma anche disegni, pitture, e tutto ciò che sia idoneo a restituire allo spettatore l'idea che l'oggetto della rappresentazione sia un minore21. In questa prospettiva, il comma 1 sarebbe idoneo a includere ogni tipo di immagine di un minore, anche del tutto irrealistica; soltanto grazie al comma 2 della norma si potrebbe restringere l'ambito applicativo alle sole immagini realistiche. Questa interpretazione è confermata dal riferimento, nel comma 2, alle immagini «non associate in tutto o in parte a situazioni reali»: l'espressione può includere sia immagini di minori reali, inserite in un contesto mai realmente verificatosi, sia immagini del tutto artificiali. La dottrina prevalente sembra in effetti essersi collocata su questa linea interpretativa22: la necessità di interpretare la norma alla luce degli obblighi internazionali che essa è chiamata ad attuare porta ad un risultato che soddisfa anche a esigenze di razionalità nell'applicazione. Neppure questo approdo interpretativo è però scevro da ulteriori problemi ermeneutici: in particolare, ci si chiede come si debba accertare l'età del soggetto rappresentato, quando questi non sia una persona reale23. In dottrina, si fa riferimento alla necessità di utilizzare un criterio di valutazione oggettivo (ciò che penserebbe l'uomo medio); si tratta però di un parametro di difficile individuazione e applicazione, mai del tutto indipendente da valutazioni di tipo soggettivo. In effetti, il senso del problema si coglie allorquando, come accade spesso nell’agere concreto, il produttore del materiale, per mettersi al riparo dal rischio di incorrere nella responsabilità penale, abbia dichiarato che il protagonista ha almeno diciotto anni; chi detiene il materiale non potrà fare affidamento sull'età attribuita al protagonista, ma dovrà valutare criticamente l'età apparente del soggetto rappresentato: con il rischio poi che la sua valutazione non coincida con quella del giudice. 18 Si veda ad es. DELSIGNORE, Pornografia minorile, in AA.VV., I reati contro la persona, a cura di Cadoppi-Canestrari-Papa, Utet, 2006, p. 407 s. Cfr. per tutti PICOTTI, Pornografia minorile: evoluzione della disciplina penale e beni giuridici tutelati, in AA.VV., La tutela penale della persona: nuove frontiere, difficili equilibri, a cura di Fioravanti, Giuffrè, 2001, p. 295 s. 20 Sull'impossibilità di includere il requisito della riconoscibilità del minore, cfr. DI GIOVINE, sub art. 600-quater.1, cit., p. 3635. Sui lavori preparatori della l. n. 38 del 2006, che non forniscono però alcun chiarimento sul punto, cfr. BIANCHI, sub art. 600-quater.1, cit., p. 270 s. 21 Si è ritenuto anche che un'interpretazione estensiva possa far rientrare nel campo di applicazione della norma persino la pornografia minorile apparente. L'interpretazione proposta pare però, più propriamente, un'analogia in malam partem: la norma in esame fa riferimento all'uso di immagini di minori, mentre la pornografia apparente consiste nell'immagine di una persona maggiorenne dalle sembianze infantili. Si veda PICOTTI, La legge, cit., p. 1073. 22 Cfr. per tutti FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, Zanichelli, 2007, p. 159 s. 23 Cfr. DI LUCIANO, Lineamenti critici del reato di pedopornografia "virtuale", in questarivista, 2006, p. 2627 s. 19 2.3. Il bene giuridico tutelato e riflessioni conclusive Il bene giuridico tutelato rappresenta il vero punctum pruriens della fattispecie di reato in esame, proprio per la difficoltà di valutare fino a che punto, l’introduzione nel codice penale dell’art 600 quater 1, abbia modificato la ricostruzione del bene giuridico protetto dalle norme sulla pornografia minorile. I delitti contro lo sfruttamento sessuale del minore, di cui agli artt. da 600-bis a 600-septies c. p., sono stati collocati tra i delitti contro la personalità individuale, esplicitamente qualificati dallo stesso titolo della legge 269 / 1998 come “nuove forme di riduzione in schiavitù”, in quanto suscettibili di comportare, attraverso la mercificazione del corpo, una incisiva alterazione dello sviluppo fisico, psichico, morale, spirituale e sociale della giovane vittima ed una reificazione analoga a quella dello status servitutis. Tuttavia, la notevole diversità del trattamento sanzionatorio tra la categoria dei delitti di schiavitù, la profonda differenza strutturale ed ontologica delle fattispecie di pornografia rispetto a quelle di schiavitù (costruite queste ultime in chiave di danno, rispetto alla sensibile anticipazione dell’intervento penale che connota, in chiave di pericolosità i reati introdotti dalla legge 269 / 1998), induce ad attribuire una finalità prevalentemente simbolico – espressiva alla equiparazione così operata dal titolo della legge menzionata, nel senso della sua valenza promozionale nei confronti del bene dell’intangibilità della sfera psico – sessuale del minore, che va pertanto protetto da “ condizionamenti che – deviando l’uso della sessualità verso pratiche socialmente emarginanti - ne compromettano la naturale maturazione della personalità” 24. Nell’ottica della legislazione penale dell’emergenza, l’attenzione del legislatore sembra essersi quindi spostata “dal minore alla perversione sessuale del pedofilo”, anche quando questa si manifesta in modo inoffensivo per lo status libertatis della vittima. La fattispecie in esame appare invero oscillare tra l’offensività reale delle condotte poste in essere virtualmente e la rappresentazione di un nuovo fenomeno criminoso in termini derogatori ai valori costituzionali retaggio dell’Illuminismo giuridico della legge chiara, semplice ed esaustiva. Il rapporto tra libertà sessuale e diritto penale è in verità sempre stato problematico: la regolamentazione penale dell’attività sessuale, in un periodo storico che dovrebbe essere connotato da un ormai consolidato assetto laico dello Stato e del diritto penale, è sempre a rischio di forti critiche . La scelta di incriminare l’immagine di una persona inesistente implica infatti pregnanti riflessioni sul piano della responsabilità penale personale, ex art. 27, comma III, Cost.. Se è vero che il concetto e le forme di dolo variano al variare del sostrato di fatto della tipicità oggettiva, nell’ipotesi in questione, mancando una vittima reale ed essendo l’evento dannoso eventuale e comunque fuori del fatto, il dolo risulta avere un oggetto diverso da quello dei tradizionali reati, alimentando il rischio di presunzioni di colpevolezza e di tirannia della responsabilità oggettiva. In realtà, anche a fronte di condotte particolarmente gravi come quelle che implicano il coinvolgimento dell’integrità del minore, bene di indubbio valore e preminenza, risulta comunque discutibile anticipare la soglia di punibilità fino ad un mera condotta o modo di essere del reo, in forza di una necessaria prevenzione anziché repressione penale, punendo addirittura ipotesi prive di un’effettiva capacità offensiva ma considerate socialmente disfunzionali perché contrarie a giudizi morali o per il topos criminologico evocato. L’emersione di nuovi interessi ha maturato ciò nonostante l’urgenza della necessità di reagire a nuove forme di aggressione, perniciose come quella indagata, facendo ricorso alle potenzialità del modello normativo del reato di pericolo, il quale finisce per anticipare la tutela penale rispetto alle possibilità effettive di offesa all’interesse stesso. Questo processo empirico - criminologico ha prodotto nondimeno un ampliamento del c.d. diritto penale del rischio, creando inesorabilmente tensioni che si riflettono in modo critico sia sul principio di legalità - si pensi alla genericità e indeterminatezza della fattispecie criminosa- sia sui requisiti del fatto tipico, in primis, la causalità nella sua duplice funzione di tipizzazione e imputazione del fatto commesso, ponendo in crisi l’effettività e l’omogeneità del legame tra autore e reato. 24 Monaco L., Sub art. 600-bis c.p.,in Commentario breve al codice penale,(a cura di Crespi-Stella-Zuccalà) IV ed., 2003, cit. pp. 1954 ss. Picotti L., Libertà sessuale e le nuove schiavitù,in (a cura di Fioravanti L.), La tutela penale della persona. Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano, Giuffré, 2001, p. 305. Palazzo F., voce Persona (delitti contro), Enc. dir., XXXIII, Milano, pp. 261 ss. Postulare l’esistenza della capacità offensiva di un’ immagine virtuale o cartoon è infatti espressione di una prospettiva di tutela sui generis, distinta dalle tradizionali categorie di reato contro un’offesa individuale e concreta, la quale provoca inesorabilmente un’affievolimento delle garanzie sostanziali, processuali e costituzionali del diritto penale classico in direzione della prevenzione di lesioni eventuali e superindividuali . Di contro, come sostenuto da minoritaria dottrina, trattasi si di una disciplina di rigore ma si resta sempre ben ancorati all’effettiva lesività della condotta poiché le immagini in esame devono pur sempre essere create sfruttando altre immagini concernenti situazioni reali. La persona offesa, quindi, secondo questa semplicistica interpretazione, sarà quella ritratta nell’immagine reale, poi modificata. Gli eventuali problemi di identificazione saranno pertanto principalmente quelli di carattere pratico. Orbene, volgendo verso conclusive considerazioni, nel tentativo di fare un po’ di chiarezza, se si aderisse alla tesi secondo la quale sono tipiche le condotte aventi ad oggetto immagini pornografiche virtuali che rappresentano minori riconoscibili, si potrebbe forse affermare che il bene giuridico tutelato sia ancora, effettivamente, la personalità individuale del minore. Il minorenne la cui immagine pornografica sia diffusa rischia infatti di non riuscire a sviluppare liberamente la propria personalità: non solo se ne lede l'onorabilità sessuale, ma, se vi è la possibilità che persone a lui note entrino in contatto con tale immagine, sorge il rischio che egli non riesca più a costruire relazioni interpersonali sane. L'interpretazione appena esposta non è certo la più aderente alla lettera della norma; tuttavia, adottando l'altra opzione interpretativa, sfuma il significato di tutela della disposizione, in cui si includono anche condotte non lesive di alcun minore reale. Già in sede di lavori preparatori, in effetti, si era proposto di collocare la norma nel Titolo del codice dedicato ai delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, ampliandone la sfera di applicazione anche alle immagini virtuali non realistiche25. Una simile collocazione della norma, che pure non avrebbe risolto il problema del conflitto con il diritto alla libertà di espressione, avrebbe avuto il merito di inquadrare meglio il bene giuridico tutelato, prevedendo, allo stesso tempo, pene più miti e proporzionate all'offesa. Escluso che l'art. 600-quater.1, nella formulazione attuale, tuteli la moralità pubblica, rimane estremamente problematica l'individuazione del bene giuridico protetto dalla norma. In primo luogo, la disposizione in esame potrebbe mirare ad impedire la diffusione di materiale potenzialmente pericoloso: la pedopornografia, reale come virtuale, potrebbe stimolare infatti gli istinti sessuali dei fruitori, i quali avvertirebbero poi il desiderio di commettere nella realtà ciò su cui sino a quel momento avevano soltanto fantasticato. La tesi è estremamente dibattuta: da un lato, si citano dati a supporto dell'esistenza di una relazione statistica tra possesso di materiale pornografico e commissione di reati sessuali26; dall'altro, si sostiene invece che non vi sia alcuna dimostrazione circa il nesso causale tra pornografia e abusi, e che la fruizione di pornografia minorile virtuale possa, al contrario, determinare un effetto catartico rispetto al manifestarsi degli istinti sessuali27. Dati i contraddittori risultati degli studi scientifici condotti su questa materia, l'affermazione che la pedopornografia incentivi la commissione di abusi sessuali sui bambini sembra non essere tuttavia né verificabile né falsificabile; e, come asserito dalla dottrina più attenta al tema della libertà d'espressione e dalla Corte suprema USA28, un mero sospetto di pericolosità, non suffragato scientificamente, non dovrebbe autorizzare la limitazione di libertà fondamentali, quale quella di espressione. La norma, nell'interpretazione appena esposta, si configurerebbe peraltro come reato di pericolo presunto. Anche tralasciando l'esame del problema concernente l'ammissibilità costituzionale di questa classe di reati, dagli studi appena citati emerge chiaramente che in questa ipotesi il pericolo presunto dal legislatore è meramente ipotetico: se normalmente i reati di pericolo presunto possono essere giustificati perché incriminano condotte che, nella generalità dei casi, danno vita ad un pericolo per il bene giuridico protetto, in questa figura di reato manca proprio la dimostrazione della regolarità del nesso tra fatto e pericolo. Non si può quindi realmente parlare di un pericolo, inteso 25 Si veda Senato della Repubblica, seduta del 16 novembre 2005, emendamento n. 4500 (cit. in BIANCHI, sub art. 600-quater.1, cit., p. 259); la norma avrebbe punito produzione e diffusione, ma non il possesso, con la reclusione da uno a tre anni. 26 Cfr. WASSERMAN, Virtual.child.porn.com, in 35 Harv. J. on Legis., 1998, p. 245 s.; ARMAGH, The fate of the 1996 CPPA, in 23 Cardozo l. rev., 2002, p. 1993 s.; cfr. anche BARRY, Female sexual slavery, NYU Press, 1984 27 . BURKE, The criminalization, cit., p. 464, e il rapporto sulla Danimarca di Kutchinsky del 1972, cit. in FIANDACA, Problematica, cit., p. 125. 28 US SC, Ashcroft vs Free Speech Coalition, cit.; FIANDACA, Problematica, cit., p. 135 s. In Italia, il problema è particolarmente spinoso, dato che la disciplina dell'art. 529, comma 2, in virtù del quale «non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza (...)» non è applicabile alla pedopornografia, neppure se totalmente virtuale. come probabilità di un danno, sia pure presunto: il legislatore presume infatti un pericolo che potrebbe in realtà non sussistere mai. Altrettanto problematica risulta un'altra possibile spiegazione dell'art. 600-quater.1: quella secondo cui il legislatore avrebbe inteso arginare il mercato del materiale pedopornografico, nel quale sono commerciate indistintamente immagini reali o virtuali, queste ultime essendo indistinguibili dalle prime; il divieto si giustificherebbe quindi come reato di mero scopo. Una simile ricostruzione, anch'essa assai fragile rispetto al principio di offensività, appare ingiustificabile in base alla lettera della norma italiana: questa infatti non esclude la punibilità di chi produca o detenga materiale virtuale per uso personale. La tesi si rivela poi definitivamente infondata a seguito dell'analisi delle pene previste per ciascuna condotta punibile ex art. 600-quater.1 c.p.; un confronto tra i limiti edittali stabiliti per ognuna di esse porta a escludere che lo scopo del legislatore fosse quello di punire chi rifornisca il mercato della pedopornografia. Il produttore di materiale virtuale, infatti, potrebbe non avere alcuna intenzione di diffondere le immagini da lui create; a che scopo allora è punito con altrettanta severità quanto chi commercia il materiale in esame, alimentando il mercato? Secondo una diversa ricostruzione, la norma in esame comporterebbe un'inversione dell'onere probatorio, rendendo possibile la condanna dell'imputato anche quando non sia provata la natura reale delle immagini pedopornografiche: si tratta di una tesi assai diffusa nella dottrina statunitense, ma presente anche in quella italiana29. Una simile giustificazione è però inaccettabile: la creazione di un reato al fine esclusivo di semplificare il processo sembra costituire l'ultimo stadio di una progressiva strumentalizzazione del diritto sostanziale a fini processuali30 e ad obiettivi di pura repressione, in contrasto con i fondamenti costituzionali e politico-criminali ormai da tempo attribuiti all'opzione incriminatrice. D'altra parte, la disposizione de qua sembra piuttosto destinata a complicare ulteriormente il compito spettante all'organo dell'accusa: se arduo è l’onere per il pubblico ministero di riuscire a provare la colpevolezza dell'imputato rispetto alla condotta attinente al materiale reale, ora deve scegliere tra reato "reale" e "virtuale" al momento della formulazione dell'imputazione, con tutti i problemi connessi all'eventualità che, nel corso del processo, emerga la divergenza tra il fatto oggetto dell'imputazione e quello realmente commesso. La dottrina ha ipotizzato anche altre possibili funzioni del nuovo reato, facendo riferimento alla tutela dell'immagine dei minori astrattamente intesa, della dignità dei minori e del loro diritto a non essere rappresentati come oggetti sessuali. In realtà, questi referenti di valore sembrerebbero non avere alcuna consistenza reale; apparendo un altro il vero obiettivo della norma. Punendo chiunque ponga in essere una condotta collegata alla pornografia minorile, reale o virtuale, si introduce una sorta di reato di mero sospetto, in cui il sospetto non è relativo all'effettiva commissione di reati, passata o futura, ma alla pericolosità soggettiva del reo, incriminato in quanto pedofilo. Ciò che con il delitto in esame si punisce altro non sembra che una tendenza soggettiva dell'imputato, presunta juris et de jure in base al possesso o alla produzione di materiale pedopornografico virtuale: con un ritorno ai moduli tipici del diritto penale d'autore e della punizione per la condotta di vita. Peraltro, ragionando secondo la logica della legge (punire il "pedofilo" individuato ed "etichettato", prima che possa mettere in pericolo un minore reale), la punibilità dovrebbe essere estesa anche alle immagini virtuali non realistiche, a quelle erotiche ma non pornografiche (i c.d. child erotica) o alle opere pornografiche diverse dalle immagini; il fatto di leggere romanzi (pur di indubbio valore letterario) che descrivono rapporti sessuali con minorenni, secondo tale lettura, potrebbe costituire il segnale di una morbosa attrazione verso la sessualità dei bambini. La capacità espansiva del divieto sembra però segnalare la scarsa compatibilità della sua ratio con i principi tipici di uno stato democratico. La tendenziale trasfigurazione del bene giuridico verso approdi «ideali» se non «pubblicistici», lasciano prevedere un assestamento della tutela sulla protezione immediata della «astratta» dignità dei minori. Un bene, quello oggetto d’esame, indubbiamente carico di idealità che però non può essere utilizzato per dare copertura ad astratte letture ideologiche dei suoi contenuti, quale preludio ad un’ irrazionale costruzione e applicazione delle 29 ERAMO, Lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet. Ombre e luci, in Fam. e dir., 2007, p. 9 s. Sulla progressiva strumentalizzazione del diritto da parte del processo penale, cfr. PADOVANI, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, p. 419 s.; PADOVANI, Il crepuscolo della legalità nel processo penale, in Ind. pen., 1999, p. 527 s. 30 fattispecie incriminatici, nella ferma convinzione tuttavia che interpretazioni azzardate e innesti normativi articolati debbano cedere il passo ad una tutela chiara ed effettiva dei minori, troppo spesso oggetto di desideri e finalità bieche e turpi. La pedopornografia virtuale, così come rimodellata dalla legge di ultimo conio, prospetta quindi profili di illegittimità costituzionali per violazioni di principi di offensività, frammentarietà, laicità e materialità del diritto penale (la norma a detta di autorevoli Autori31 punirebbe condotte inoffensive per il bene di riferimento, perché solo sintomatiche di un mero vicious behaviour, in violazione del canone cogitationis poenam nemo patitur), nonché per la violazione del principio di determinatezza e precisione del precetto, finendo per prestare il fianco a critiche serratissime e a dare luogo ad una sorta di diritto penale del nemico. A fronte delle molte incertezze che permeano il presente ed il futuro dell’intervento penale contro la pornografia minorile, e soprattutto di quella virtuale, di una cosa si può però essere ragionevolmente convinti: lo sfruttamento sessuale dei minori realizzato nelle forme della pornografia infantile rappresenta uno dei crimini più ignobili, i cui numeri sono la spia di un complessivo disorientamento di valori che nessuno può seriamente sperare di contrastare solo agitando in modo trionfale (o peggio populista) l’intervento della sanzione penale, per la semplice ragione che tale strumento non possiede potenzialità taumaturgiche e di paligenesi sociale di cui è «ufficialmente» accreditato. Giova piuttosto sgombrare il campo da interpretazioni distorte quali l’equazione (per troppo tempo pacificamente condivisa) tra pedofilia, devianza sessuale, malattia mentale e pericolosità sociale, ancora più inopportuna se estesa agli autori di delitti di pedopornografia virtuale, dal momento che possedere, cedere, produrre materiale pedopornografico (a fortiori se artificiale), non significa necessariamente essere affetti da quella particolare parafilia che psicologi e psichiatrici definiscono ‘pedofilia’. Ma è soprattutto con l’ introduzione di una ampia gamma di innovativi strumenti extrapenali di prevenzione e controllo del rischio e, soprattutto, di una robusta iniezione di potenti anticorpi eticosociali, che si può sperare di contenere il moltiplicarsi incontrollato di questa dolorosissima fenomenologia criminale e, non meno rilevante, l’involuzione irrazionale del controllo penale. Ora, non v’ è dubbio alcuno che di fronte a vicende di cronaca che vedono come vittime minori, è importante la risposta che il legislatore sia in grado di offrire all’opinione pubblica, adottando misure di particolare rigore al fine non tanto e non solo di reprimere quanto piuttosto di prevenire certi fenomeni di abuso e violenza, facendo leva in particolare sulla funzione deterrente della norma penale. Ma tuttavia, una politica lungimirante e non miope, attenta cioè agli effetti di lungo periodo delle riforme, dovrebbe poter coniugare norme penali e misure extrapenali, politiche sociali e disposizione a sostegno delle vittime, per sradicare le cause, prima ancora degli effetti, di tali fenomeni. E soprattutto, dovrebbe emanciparsi da logiche meramente simbolico-espressive o di emergenza, per affrontare questioni così complesse con una strategia di lungo periodo, evitando il ricorso al paradigma del diritto penale del nemico che rischia di risultare non solo inefficace ma addirittura controproducente, legittimando deroghe alle garanzie e strappi ai principi, destinati ad estendersi a tutto il sistema penale Una democrazia matura dovrebbe quindi preferire il rispetto delle garanzie, delle libertà e dei principi su cui essa stessa si fonda, a un’evanescente quanto illusoria sicurezza pagata al caro prezzo della negazione dei diritti fondamentali della persona. Già Carrara osservava come “la pazza idea che il giure punitivo debba estirpare i delitti dalla terra conduce nella scienza penale alla idolatria del terrore”. Vincenzo Rombo Avvocato penalista Diploma di Master di II livello in Scienze Forensi (Criminologia –Investigazione - Security-Intelligence), Università “La Sapienza” Roma 31 A. Manna, F. Resta, I delitti in tema di pedopornografia alla luce della l. 38/2006. Una tutela virtuale?, in Diritto dell’Internet, 2006, 221 ss