Il tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo delle
Transcript
Il tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo delle
Il tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo delle imprese innovatrici italiane • Francesco Aiello e Valeria Pupo Università della Calabria Dipartimento di Economia e Statistica 87036, Arcavacata di Rende, (CS) [[email protected] – [email protected]] _______________________________________________________________________________ Sintesi Questo articolo utilizza i dati del Mediocredito Centrale per stimare l’impatto degli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S) sulla produttività delle imprese manifatturiere italiane nel periodo 1989-1997. L’analisi è realizzata considerando una funzione di produzione CobbDouglas aumentata dall’intensità degli sforzi innovativi. Le stime finali indicano che il tasso di rendimento lordo degli investimenti in R&S delle imprese innovatrici è pari al 20% nei periodi 1989-1991 e 1992-1994 e al 22% nel triennio 1995-1997. Keywords: Crescita della produttività; Investimenti in R&S. Codici JEL: O30; L60; C23 ______________________________________________________________________________ 1. Introduzione Sin dallo studio di Solow (1957), molti lavori hanno dimostrato il ruolo centrale del cambiamento tecnologico nella crescita economica. Come risultato di questi studi, è fiorita una vasta letteratura sul rapporto tra tecnologia e crescita della produttività, sull'economia della crescita e sui microfondamenti dei cambiamenti tecnologici, che è stata ripresa negli anni '70 in seguito al presunto productivity slowdown osservato in molti paesi industrializzati. Da un punto di vista empirico, uno degli aspetti più controversi di questo dibattito riguarda la misurazione dell'attività innovativa, in quanto, essendo una variabile non direttamente osservabile, richiede l’utilizzo di indicatori che tengano conto della sua eterogeneità e multiformità. Riguardo agli studi condotti su dati di impresa, la ricerca di questi indicatori ha principalmente interessato l'input del processo di generazione dell'innovazione, cioè l'investimento in ricerca, oppure l'output del processo innovativo, cioè i brevetti1 . Numerosi dubbi sono stati espressi sull'affidabilità di quest'ultimo indicatore tecnologico2 , • Sebbene l’articolo sia frutto del lavoro comune dei due autori, la stesura dei paragrafi 2, 4.1 e 4.3 e delle Appendici B e C è da attribuire a Francesco Aiello, mentre quella dei paragrafi 1, 3, 4.2 e 5 e dell’Appendice A a Valeria Pupo. Versioni precedenti dell’articolo sono state presentati presso il Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università della Calabria e il Dipartimento di Economia dell’Università di Parma. Gli autori desiderano ringraziare Antonio Aquino, Alessandro Sembenelli, Marco Vivarelli e due anonimi referees della rivista per le osservazioni e i suggerimenti che hanno contribuito a migliorare una precedente versione del lavoro. Gli autori rimangono, comunque, gli unici responsabili di eventuali errori ed omissioni. Lavoro realizzato nell’ambito del progetto MURST n. 672 (art. 10 L.46/84). 1 Anche se i brevetti e la spesa in R&S sono gli indicatori tecnologici più utilizzati, vi sono altre misure dell'attività innovativa, quali, per esempio, le indagini dirette sulle attività innovative, le statistiche sul commercio di prodotti ad alta tecnologia, la bilancia dei pagamenti per tecnologia (Archibugi et al, 1996). 2 Il brevetto rappresenta una proxy inadeguata della performance tecnologica dell'impresa in quanto (a) non tutte le innovazioni sono brevettate o brevettabili, (b) non tutti i brevetti diventano innovazione, (c) il livello tecnologico e il valore economico del brevetto divergono, (d) vi è una differenza nella propensione a brevettare tra settori e imprese, (e) vi sono notevoli differenze tra paesi nella legislazione brevettuale, (f) non esistono standard qualitativi e/o quantitativi su cui basarsi per misurare il contenuto di nuova conoscenza dei brevetti (Santarelli e mentre maggiore uso è stato fatto degli investimenti in R&S, poiché è sembrato più opportuno utilizzare come indicatore del progresso tecnico la variabile che ne è causa piuttosto quella che ne rappresenta l'effetto (Griliches e Mairesse, 1983; Griliches 1990). D'altra parte, in presenza di lunghe serie storiche delle spese in R&S si può ottenere una proxy del capitale tecnologico e, quindi, una misura della sua elasticità. In mancanza di dati di lungo periodo, l'uso delle spese in R&S consente, comunque, di valutarne il tasso di rendimento. Per queste ragioni, sebbene la spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) sia solo uno dei fattori del cambiamento tecnologico, essa è stata la variabile più ampiamente utilizzata in letteratura come misura dell’attività innovativa. La ricca ed articolata letteratura econometrica che ha valutato l’impatto degli investimenti in R&S fornisce verifiche sia a livello aggregato (per paesi o settori) sia a livello di impresa. Una rassegna dei principali risultati empirici e dei metodi impiegati nelle stime degli effetti della R&S sulla produttività a livello di impresa è stata presentata da Mairesse e Sassenou (1991). Il presente lavoro si inserisce in questo filone di ricerca, recentemente ripreso da Hall e Mairesse (1995) per valutare la relazione tra R&S e produttività delle imprese manifatturiere francesi e replicato da Harhoff (1998) per la Germania e da Wakelin (2001) per il Regno Unito. Più specificamente, l’obiettivo è di fornire un’evidenza empirica riguardo all’esistenza di una relazione tra la crescita della produttività e gli investimenti in R&S delle imprese manifatturiere italiane, stimando per il periodo 1989-1997 il tasso di rendimento degli investimenti in R&S delle imprese innovatrici. L’analisi si basa su un campione di imprese manifatturiere estratto dalle ultime tre indagini del Mediocredito Centrale e, in linea con la letteratura sull'argomento, la crescita della produttività è stata stimata utilizzando una funzione Cobb-Douglas aumentata dell'intensità di R&S. L'utilizzo di tale approccio rappresenta il primo contributo in Italia nel quadro delle evidenze empiriche relative alle imprese manifatturiere, in quanto, sebbene diversi lavori si siano occupati dell'impatto della R&S sulla performance delle imprese, non si è giunti alla stima del rendimento degli investimenti in R&S. Il lavoro è organizzato nel seguente modo. Nel secondo paragrafo viene esaminata la relazione tra capitale tecnologico e produttività nel quadro di una funzione di produzione a livello di impresa. Il paragrafo 3 descrive il campione di imprese utilizzato per le stime del modello con particolare riferimento al ruolo e alla dimensione dell'intensità di R&S. Nel paragrafo 4 viene specificato il metodo di stima e vengono discussi i risultati econometrici. Seguono, nel paragrafo 5, alcune considerazioni conclusive. 2. La funzione di produzione e il capitale tecnologico. In questo paragrafo si descrive la relazione tra progresso tecnologico e produttività utilizzando una funzione di produzione Cobb-Douglas. Sia Yit la produzione dell’i-esima impresa nell’anno t realizzata impiegando Lit unità di lavoro, e Kit Hit e Tit unità di capitale, rispettivamente, fisico, umano e tecnologico. La corrispondente funzione di produzione dell’impresa può essere cosi rappresentata: Yit = Ai e λ t K it α Lβit H itδ Titγ e ε it [1] dove Yit è il livello di produzione dell’impresa i (i=1.…..N) nell’anno t (t=1….T); α, β, δ e γ indicano le elasticità della produzione rispetto al corrispondente fattore produttivo e Ai è un Sterlacchini 1996, Archibugi et al., 1996). Si rimanda a Griliches (1990) per una rassegna dei problemi determinati dall'utilizzo dei dati sui brevetti. 2 parametro di scala. Si assume la presenza di una struttura moltiplicativa dell’errore (ε1 t ) che cattura sia effetti specifici dell’impresa non osservabili sia eventi non previsti, quali variazioni dei fattori produttivi o improvvisi cambiamenti delle norme istituzionali. Infine, λ è un indicatore del progresso tecnico disincorporato. Derivando rispetto al tempo il logaritmo dell’equazione [1], la forma log-lineare che si ricava è la seguente: Y&it = λ + βL& it + αK& it + δH& it + γT&it + µit [2] dove Y&it , L&it , K& it , H& it e T&it rappresentano, rispettivamente, il tasso di crescita del prodotto, del lavoro, del capitale fisico, del capitale umano e del capitale tecnologico dell’i-esima impresa. Le specificazioni econometriche della [2] forniscono la stima dell’elasticità del capitale tecnologico, che è determinabile qualora sia disponibile una lunga serie storica degli investimenti in R&S3 . In caso di non disponibilità di questi dati, l’approccio della stima delle funzioni di produzione rimane comunque valido per valutare l’impatto delle attività innovative, in quanto permette di ottenere una misura del tasso di rendimento degli ∂Y Y investimenti in R&S. Infatti, ponendo γ = e considerando la relazione tra ρ e γ , ∂T T Y ossia ρ = it γ (Terleckyj, 1974), l’equazione [2] può essere riscritta come segue: Tit R & Dit + µit Y&it = λ + βL&it + αK& it + δH& it + ρ Y it [3] L’equazione [3] esprime, quindi, una relazione diretta tra le variazioni della produzione e l’intensità delle spese in R&S. Essa si basa sull’ipotesi che gli investimenti in R&S siano un buon indicatore del tasso di crescita annuale dello stock di capitale tecnologico e fornisce una stima di ρ , che è da intendere come una misura del tasso di rendimento degli investimenti al lordo del deprezzamento4 . Una variante dell'equazione [3] può essere ottenuta esprimendo la funzione di produzione in termini di prodotto per addetto. Infatti, dividendo ambo i termini dell’equazione [1] per Lit si ottiene: K Yit = Ai e λt hitδ i T γ it Lit Lit α η ε it Lit e [4] dove η = α + β − 1 indica la distanza dai rendimenti costanti di scala del lavoro e del capitale fisico. Mantenendo le assunzioni sul capitale tecnologico ed esprimendo l'equazione [4] in termini di tassi di crescita, si ottiene: 3 La determinazione dello stock di capitale tecnologico associato alle attività di R&S può essere realizzata attraverso il metodo dell’inventario permanente. In generale, gli ostacoli che si incontrano nelle applicazioni empiriche di questo metodo dipendono dalla disponibilità di una lunga serie storica degli investimenti in R&S e dalla conoscenza dei tassi di deprezzamento degli investimenti (cfr. nota 4). 4 Una misura del tasso di rendimento netto sarebbe ottenibile se fosse noto il tasso di obsolescenza del capitale tecnologico. Poiché quest'ultima informazione non è disponibile, in molti lavori si ipotizza un tasso di obsolescenza del 15% (Goto e Suzuki 1989; Griliches e Mairesse 1983; Hall e Mairesse 1995; Harhoff 1998; Parisi, Schiantarelli e Sembenelli, 2002). Per quanto riguarda i problemi relativi all'utilizzo del tasso di rendimento in R&S si rimanda a Hall e Mairesse (1995). 3 R & Dit + ηL& it + µit y& it = λ + αk&it + δH& it + ρ Yit [5] in cui, rispetto all’equazione [3], y& e k& rappresentano i tassi di crescita della produttività del lavoro e del capitale per unità lavorativa. Questa espressione fornisce ancora una stima dell’impatto delle attività di R&S, ma attraverso il parametro η permette di verificare direttamente l’ipotesi di rendimenti di scala costanti dei fattori produttivi tradizionali (capitale e lavoro). Questo approccio è comunemente utilizzato nelle analisi econometriche per valutare a livello di impresa l'impatto della R&S sulla produttività. Le più recenti5 argomentazioni su questo tema sono in Hall e Mairesse (1995), i quali utilizzano diverse specificazioni della funzione di produzione su dati panel di imprese manifatturiere francesi e mostrano che il tasso di rendimento degli investimenti in R&S è pari al 9,3%. Seguendo l'approccio di Griliches (1986), ripreso da molti altri ricercatori e consolidato negli anni '90 da Hall e Mairesse (1995), Harhoff (1998) stima al produttività della R&S per le imprese innovatrici tedesche nel periodo 1979-1989. Egli conferma il ruolo della R&S calcolando un tasso di rendimento dell'8%. Uno studio analogo è stato realizzato nel Regno Unito da Wakelin (2001) su un campione di 170 imprese manifatturiere inglesi dal 1988 al 1996 stimando un tasso di rendimento del 10%. Per quanto riguarda l’Italia, sono stati analizzati molti aspetti teorici ed empirici legati agli investimenti in R&S nelle imprese manifatturiere, ma nessun lavoro è stato condotto nello spirito dell’approccio di stima di funzioni di produzioni cosi come è stato presentato nelle equazioni [1]-[5]. Per questa ragione non è possibile effettuare alcuna comparazione tra la letteratura internazionale e quella nazionale, perché quest’ultima, ponendosi altri obiettivi, lascia irrisolto il problema di determinazione del tasso di rendimento degli investimenti in R&S delle imprese innovatrici italiane6 . In linea, quindi, con la metodologia seguita da Hall e Mairesse (1995), Harhoff (1998), Wakelin (2001), questo articolo si propone di colmare questa lacuna, stimando una funzione di produzione che utilizza i dati presentati nel prossimo paragrafo. 5 Facciamo riferimento alle pubblicazioni più recenti, in quanto molti altri lavori sono stati discussi nell’esaustiva rassegna di Mairesse e Sassenou (1991). 6 Per esempio, Parisi, Schiantarelli e Sembenelli (2002) hanno mostrato come nel periodo 1992-1997 le imprese che effettuano investimenti in R&S abbiano registrato maggiori tassi di crescita della produttività del lavoro rispetto alle imprese non innovative e come questo effetto sia stato più elevato per le imprese che hanno realizzato innovazioni di prodotto. Del Monte e Papagni (2003) affrontano il tema della relazione tra attività di R&S e performance delle imprese mostrando l'esistenza di una relazione positiva tra lo stock di capitale tecnologico e il tasso di crescita delle vendite (utilizzato come proxy della dimensione dell'impresa), mentre non ottengono una robusta evidenza quando la R&S è utilizzata per spiegare altri profili di performance, come la profittabilità. Atzeni e Carboni (2001) e Bugamelli e Pagano (2001) analizzano l'influenza che gli investimenti nelle Tecnologie dell'Informazione e delle Telecomunicazioni (TIC) hanno sulla produttività delle imprese manifatturiere misurata dal tasso di crescita della Produttività Totale dei Fattori (TFP). I primi osservano che gli investimenti in TIC contribuiscono ad aumentare la crescita della TFP dell'intero campione di imprese e mostrano che tale impatto è maggiore per le imprese localizzate nel Mezzogiorno ris petto a quelle del Nord d'Italia. Bugamelli e Pagano (2001) aggiungono che l'impatto dell'intensità delle TIC sulla TFP è positivo solo per le imprese che registrano alti livelli di capitale umano e che abbiano effettuato processi di riorganizzazione aziendale. 4 3. Un’analisi descrittiva delle attività innovative delle imprese manifatturiere italiane Il presente lavoro utilizza i dati della Quinta, Sesta e Settima Indagine di Mediocredito Centrale (1994, 1997, 1999) sulle imprese manifatturiere italiane, le cui rilevazioni avvengono attraverso la compilazione di un questionario e la raccolta di documenti contabili delle imprese. L’indagine, che è campionaria per le imprese da 11 a 500 addetti e censuaria per le imprese con più di 500 addetti, è finalizzata a raccogliere un insieme di notizie tra cui quelle relative all'attività di investimento in R&S7 . Da ciascuna indagine è stato estratto un campione suddiviso in due popolazioni di imprese: imprese innovatrici e imprese non innovatrici. Appartengono al primo gruppo le imprese che hanno effettuato spese in R&S in ciascuno dei tre anni presi in esame dalle singole Indagini Mediocredito, mentre per imprese non innovatrici si intendono quelle che in sede di compilazione del questionario hanno dichiarato di non aver effettuato spese in R&S8 . Dalla base di dati originaria sono state eliminate quelle imprese per le quali si ritenevano inadeguate le informazioni, o perché mancanti o perché contraddittorie (cfr. Appendice A). L'analisi si è così focalizzata su 2701 imprese per il triennio 1994-97, 2656 per il triennio 1992-94 e 3239 per il triennio 1989-91, di cui innovatrici, rispettivamente, 868, 1127 e 190. Il campione delle imprese innovatrici, quindi, è composto da 2604 (868x3) imprese nel periodo 1995-97, 3381 (1127x3) nel 1992-94 e 570 (190x3) nel triennio 1989-91 e mostra una distribuzione simile a quella dell'originario campione Mediocredito per localizzazione geografica, classi di addetti e settore economico di appartenenza delle imprese9 . 3.1 Le caratteristiche generali del campione Questo paragrafo descrive il campione di imprese utilizzato nell'analisi mostrando la sua distribuzione per settore economico ed effettuando alcune considerazioni sulla dimensione e sui livelli assunti dalla produttività del lavoro. 7 Le informazioni sulle attività di R&S riguardano il tipo di innovazione realizzata dall'impresa, l'entità della spesa per attività di R&S e la struttura, interna o esterna all'impresa, in cui tali attività sono state svolte, la distribuzione di tale spesa all'interno delle varie tipologie di innovazione, nonché le modalità di finanziamento delle attività innovative. Per una dettagliata descrizione delle informazioni contenute nell'indagine e della metodologia utilizzata nel campionamento si rimanda al Quinto, Sesto e Settimo rapporto di Mediocredito Centrale (1994, 1997, 1999) che copre rispettivamente i periodi 1989-1991, 1992-94 e 1995-97. 8 La variabile Investimenti in R&S utilizzata come misura dell'attività innovativa semplifica l'attività innovativa all'interno dell'impresa sottostimandola in alcuni casi e sovrastimandola in altri. Per esempio, utilizzando tale proxy non si considerano le funzioni di R&S svolte all'esterno dell'impresa e, peraltro, non è di facile verifica l'ipotesi in base alla quale maggiori spese in R&S si traducono in maggiore capacità tecnologica. Ciò nonostante, tale scelta sembra essere plausibile dato l'obiettivo specifico del lavoro, la disponibilità dei dati e, non di meno, i limiti degli altri indicatori dell'attività innovativa (cfr. nota 2). Riguardo alle diverse metodologie di misurazione dello sforzo innovativo delle imprese, si rimanda a Archibugi et al (1996) e Santarelli a Sterlacchini (1996). 9 Per esempio, riguardo alla distribuzione settoriale, il campione Mediocredito e il campione utilizzato nell'analisi sono simili sia quando si considerano tutte le imprese, sia se si fa riferimento alle sole imprese innovatrici. In particolare, per l'indagine 95-97 le imprese innovatrici rappresentano il 32,1% del camp ione utilizzato in questo lavoro e il 29,4% dell'intero campione di Mediocredito e sono concentrate, in entrambi i casi, in alcuni specifici settori (Fabbricazione di macchine elettriche e di precisione, Fabbricazione di mezzi di trasporto, Fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici e nel settore della Fabbricazione di prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali). Per quanto riguarda l'indagine 92-94, le imprese innovatrici rappresentano il 39% del campione (e il 39,8 del campione Mediocredito) e i valori al di sopra della media si riscontrano, così come nell'indagine 95-97, nei settori della Fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici, di apparecchi elettrici e di precisione, di prodotti chimici e fibre sintetiche e nel settore della Fabbricazione di mezzi di trasporto. Anche nell'indagine 8991 la distribuzione settoriale dei due campioni è simile: le imprese innovatrici rappresentano soltanto il 5,5% del nostro campione e il 9,4% dell'intero campione Mediocredito, ma non emergono sostanziali differenze riguardo alla distribuzione settoriale dei campioni. 5 Nella tabella 1 è riportata la consistenza assoluta delle imprese innovatrici per tutti i settori ATECO91 e alcuni indicatori di frequenza (Ii), dimensione (Di) e produttività (Pi) relativa. La composizione del campione di imprese fa sì che nel periodo 1992-1997, la presenza di imprese innovatrici (Ii) 10 è maggiore nel settore della Chimica e del comparto meccanico-elettrico (Macchine e apparecchi meccanici, Apparecchi elettrici e di precisione e Mezzi di trasporto); mentre, nel periodo 1989-1991, sono il settore Alimentare, della Carta, delle Raffinerie di petrolio, della Chimica e degli Apparecchi elettrici e di precisione ad avere una maggiore presenza di imprese innovatrici. I dati relativi alla dimensione media delle imprese mostrano che le imprese che investono in R&S sono mediamente più grandi delle imprese non innovatrici. Infatti, se si fa riferimento alle ultime 2 righe della tabella 1, relative al valore assoluto della dimensione media degli innovatori e del totale del campione, si può osservare come la dimensione media delle imprese innovatrici sia sistematicamente maggiore delle imprese non innovatrici11 . Quest’ultimo risultato è utile per considerare un indicatore di dimensione relativa che evidenzi specificità settoriali all’interno delle imprese innovatrici (Di)12 . Si osservi che nell'indagine 95-97, ad eccezione dei settori della Carta, dei Minerali non metalliferi e della Produzione di metallo, le imprese innovatrici hanno una dimensione media più piccola rispetto alla dimensione media del settore. Relativamente alle altre due indagini, emerge che nel periodo 1992-94 esiste una maggiore omogeneità tra settori, mentre il contrario si verifica per l'indagine 1989-91, in cui i dati sulla dimensione sono caratterizzati da una maggiore variabilità. In generale, si evidenzia che a livello di settore le imprese innovatrici hanno una dimensione media maggiore di quella osservata per le imprese non innovative. Inoltre, non emergono evidenze per sostenere l’idea secondo cui le imprese innovatrici di maggior dimensione appartengono ai settori ad elevata intensità tecnologica13 . L’ultimo indicatore considerato in questa sezione del paragrafo è la produttività del lavoro. Se si considera il dato aggregato si può osservare che il rapporto Valore Aggiunto/Addetti è sempre più elevato nel caso delle imprese innovatrici, mentre i dati settoriali non indicano un’analoga tendenza. Infatti, l’indice di produttività relativa Pi (cfr. nota 12) assume valori elevati nel triennio 1989-1991 in alcuni settori (legno 1,54; gomma e plastica 1,31; chimica 1,25; mezzi di trasporto 1,23), mentre negli altri due trienni è maggiore dell’unità solo nel caso del settore dei mezzi di trasporto (1,15 nel 1992-1994) e del cuoio (1,15 nel 1995-1997). Da questi dati è possibile trarre due prime conclusioni. Da un lato, essere innovativi in un settore non implica il raggiungimento di una maggiore produttività, in quanto l’indice di produttività relativa non è mai per tutti i trienni maggiore di uno. Dall’altro lato, appartenere ad un settore innovativo non assicura di per sé un maggiore produttività, poiché l’indice relativo di produttività in ciascun triennio in molti casi è di poco minore o di poco maggiore di uno. 10 La presenza di imprese innovatrici è rilevata dal seguente indicatore: I i = qi QINN , dove qi è la quota delle imprese innovatrici sul totale delle imprese dell’i-esimo settore e QINN rappresenta il peso delle imprese innovatrici rispetto al totale del campione. 11 Questo risultato si riscontra anche a livello di settore, ad eccezione del settore della Raffinazione del petrolio (dati non riportati, ma disponibili su richiesta). 12 L'indicatore di dimensione relativa (Di ) utilizza lo stesso criterio di calcolo dell’indice di presenza relativa delle imprese innovatrici (cfr. nota 10). 13 Questa affermazione si basa sull’osservazione che molte imprese innovatrici appartenenti, secondo la tassonomia di Pavitt, a settori di scala e tradizionali hanno una dimensione media maggiore della dimensione media del settore (il valore di Di è maggiore di uno). E’ il caso per esempio, per l’indagine 95-97, del settore della Carta, stampa ed editoria e del settore Minerali non metalliferi, per l’indagine 92-94 del settore Alimentare, del Legno, della Carta, stampa ed editoria oppure, per l’indagine 89-91 per il settore della Gomma. 6 3.2 La dimensione e il ruolo delle attività di Ricerca e Sviluppo La presentazione dei dati che segue introduce all'oggetto specifico di questo lavoro, in quanto riguarda gli investimenti in R&S. In tutte le indagini la spesa in R&S mostra un'elevata concentrazione. La tabella 2, che riporta la distribuzione percentuale del numero delle imprese e la relativa distribuzione delle spese, indica che il 5% delle imprese assorbe circa il 70% delle spese di R&S e raggiunge circa il 90% quando si considerano il 20% delle imprese. L'elevato grado di concentrazione di tali investimenti emerge con maggiore evidenza se si considera che il 50% del campione assorbe meno del 3% delle spese complessive 14 . La distribuzione delle spese in R&S è, peraltro, comparabile da indagine ad indagine, in quanto i relativi indici di posizione e variabilità assumono valori simili con una distribuzione nettamente spostata a destra. In linea con la letteratura prevalente sull'argomento e considerato il modello di crescita della produttività utilizzato (equazione 5), nella tabella 3 si riporta, come indicatore degli sforzi innovativi, l’intensità di R&S rispetto al valore aggiunto ed è calcolato per classe dimensionale di addetti, area geografica e settore di attività economica di appartenenza delle imprese. Un primo risultato che emerge è che la quota degli Investimenti in R&S rispetto al Valore Aggiunto è pari a circa il 7%15 . Con riferimento alla localizzazione geografica, nel triennio 1995-97 le imprese che registrano i valori più elevati dell’intensità di R&S sono quelle del Nord Est (9,79%), seguite da quelle del Centro che registrano un'intensità di R&S pari all'8,57% e dalle imprese del Nord Ovest, il cui sforzo innovativo pesa mediamente per il 6,37% del Valore Aggiunto. Infine, i valori più bassi (5,59%) si hanno per le imprese del Mezzogiorno d’Italia. La distribuzione degli sforzi innovativi cambia quando si analizzano i dati delle altre due indagini. Infatti, nel periodo 1992-94 la maggiore percentuale di spesa in R&S si osserva per le imprese del Centro (10,29%), mentre, tra il 1989 e il 1991, i maggiori investimenti innovativi si hanno per le imprese localizzate nelle regioni del Nord Ovest (9,77%).16 14 15 16 Questa evidenza non sembra dipendere dalla composizione del campione utilizzato, in quanto è analoga sia ad altri paesi (Harhoff 1998), sia ad altri campioni rappresentativi del sistema di imprese italiane. Infatti, i dati ISTAT (Indagine sulla Ricerca Scientifica e lo Sviluppo Sperimentale relativa al 1997), indicano che, su un campione di 4.602 imprese, le prime 30 per dimensione assorbono il 53% della spesa in R&S, le prime 50 imprese il 63% e, infine, le prime 100 imprese detengono il 75% del totale degli investimenti innovativi. In molti lavori, l'intensità di R&S è misurata come rapporto tra Investimenti in R&S e fatturato e i risultati ottenuti indicano, per esempio, un valore pari a 3,1 per le imprese manifatturiere innovatrici tedesche (Harhoff 1998) e 2,3 per le inglesi (Wakelin 2001). In Hall e Mairesse (1995) si relativizza rispetto al valore aggiunto e l’intensità delle imprese francesi è pari a 4,2. Per l’Italia, Sterlacchini (1994) utilizza i dati dell'indagine di Confindustria relativa al biennio 89-90 ed ottiene che gli investimenti in R&S sono uguali a 4,75% del fatturato delle imprese. In questo lavoro - seguendo in ciò Odagiri e Iwata (1986), Goto e Suzuki (1989) e Hall e Mairesse (1995) - l’intensità di R&S si esprime come quota del valore aggiunto. Tale scelta dipende dal fatto che la banca dati Mediocredito permette di avere un numero elevato di osservazioni anche quando si considera il valore aggiunto che, come proxy della capacità dell’impresa di creare ricchezza, è per definizione preferibile al dato del fatturato. Inoltre, l’intensità delle attività di R&S può essere espressa anche come rapporto tra Investimenti in R&S e numero di addetti (Griliches e Mairesse, 1983). In questo caso la spesa media in R&S per addetto è compresa tra i 6 e i 7 milioni di lire. Il dato disaggregato per classe di addetti, area geografica e settore economico di appartenenza non è riportato, ma è disponibile su richiesta. I risultati relativi al confronto tra le intensità di R&D nelle diverse aree può fornire un’immagine parziale delle capacità tecnologiche del paese, in quanto il risultato può essere influenzato dall’esclusione dal campione delle imprese che hanno dichiarato di non avere effettuato investimenti in R&D nel periodo considerato e dal fatto che molta innovazione tecnologica non è rappresentata dagli investimenti in R&S e non è documentata (cfr. nota 8). Queste osservazioni, tuttavia, riguardano aspetti dei processi tecnologici di cui non si è tenuto conto, in quanto l’obiettivo del di questo articolo è di valutare il tasso di rendimento degli investimenti in R&S rilevabili dai dati di bilancio delle imprese innovatrici italiane. 7 Un comportamento irregolare si osserva anche quando l’attività innovativa è analizzata per classi dimensionali17 . I dati del triennio 1995-97, da un lato, indicano che le imprese appartenenti alla classe 21-50 addetti sono quelle che presentano i maggiori valori dell’intensità di R&S (pari al 21,75%) e, dall’altro lato, permettono di sottolineare come questi risultati siano sostanzialmente più alti di quelli delle altre imprese, i cui valori sono compresi tra il 4,87% e il 9,07%. Più omogenea è la distribuzione delle attività innovative per classi dimensionali risultante dall’indagine che copre il periodo 1992-94; in questo caso, le imprese della classe 51-100 addetti sono quelle con la maggiore intensità di R&S, mentre non emergono differenze significative tra le altre classi dimensionali (i valori sono compresi tra il 4,26% della classe 101-250 e il 9,41% della classe 51-100). Infine, per il periodo 1989-1991, le imprese più innovative sono quelle ricadenti nella classe con oltre 500 addetti (la quota è del 9,81%). La tabella 3 riporta, altresì, i valori medi e il coefficiente di variazione dell’intensità di R&S disaggregati per settore di attività economica. Sebbene le medie triennali dell’intensità delle attività innovative fluttuino sempre intorno al 7% del Valore Aggiunto, si osserva come la variabilità attorno al valore medio sia contenuta negli anni 1989-91 e 1992-1994, mentre sia più elevata (in questo caso il coefficiente di variazione è pari a 12,68) nel triennio 19951997, dove in alcuni settori (Mezzi di trasporto e Altre industrie manifatturiere) gli investimenti in R&S pesano poco meno del 20% rispetto al Valore Aggiunto, mentre in altri comparti (Legno e prodotti del legno; Lavorazione di materiali non metalliferi) questa quota è inferiore al 2%. Un elemento comune a tutti i periodi considerati è che i settori della fabbricazione di mezzi di trasporto e dei prodotti chimici e fibre sintetiche sono sempre quelli che investono di più in R&S. 17 Esula dagli obiettivi di questo lavoro analizzare l’influenza della dimensione sull’attività innovativa. Per una discussione su questi aspetti nel caso del sistema manifatturiero italiano, si rimanda, tra gli altri, ai lavori di Sterlacchini (1994) e Antonelli (1989), i quali, attraverso la stima di regressioni sezionali a livello di impresa, mostrano che il rapporto “Spese in R&S/Fatturato” non è spiegato dalla dimensione dell'impresa. Per una rassegna sul contributo delle grandi e piccole imprese al processo tecnologico si rimanda a Sterlacchini (2001). 8 Tabella 1 Consistenza, dimensione e produttività delle imprese innovatrici italiane. Classificazione per settore di attività economica (1989-1997). 1989-1991 SETTORE DA Alimentare DB Tessile e abbigliam. DC Cuoio DD Legno DE Carta, stampa e edit. DF Raffinerie di petrolio DG Chimica e fibre sintet. DH Gomma e plastica DI Minerali non metalliferi DJ Metallo e prod. in met. DK Macchine e app. meccanici DL App. elettrici e di prec. DM Mezzi di trasporto DN Altre ind. Manifattur. Totale imprese innovatrici Totale campione Consistenza assoluta 17 23 Ii 0,78 - 1 16 2 24 10 11 31 22 23 6 4 0,73 1,07 1,73 2,16 1,00 1,02 0,84 0,99 1,24 0,99 0,49 190 3239 1992-1994 Di 1,53 Dati in valore espressi in milioni di lire (1995=100 ) Pi Consistenza assoluta Ii 0,96 0,94 47 0,72 46482 128,67 0,58 0,78 12956 101,11 - - 0,93 1,54 10534 902,91 0,90 0,41 76251 134,60 0,04 0,23 1120 10,91 1,21 1,25 65566 146,02 1,11 1,31 31714 252,43 0,54 0,81 12677 110,70 0,79 0,75 13974 44,27 1,06 0,85 28752 58,99 1,18 1,22 60205 130,32 0,63 1,23 12650 27,58 0,54 0,41 7772 51,50 36361 59891 104,44 171,70 116 25 8 41 5 100 66 53 185 250 136 52 43 1127 2656 0,70 0,90 0,73 0,48 0,80 1,34 1,01 0,78 0,90 1,55 1,35 1,22 0,90 1995-1997 Di Pi Consistenza assoluta Ii Di 1,09 0,99 56 0,62 0,75 0,88 44530 136,88 8388 95,66 1,02 1,02 14855 70,35 0,93 0,93 7662 48,77 1,33 1,09 16817 91,31 1,19 0,89 32677 83,15 0,90 1,00 78788 189,97 0,81 0,96 34619 110,71 0,67 0,65 12106 77,52 1,00 0,87 25135 84,05 0,91 0,99 12798 79,01 1,20 1,00 29125 90,91 0,71 0,95 24654 78,55 0,75 1,15 74305 74,85 1,08 0,96 8843 66,81 25479 46518 86,79 169,14 127 27 14 22 3 63 47 47 70 209 94 52 37 868 2701 1 0,88 0,55 0,39 0,72 1,42 0,89 0,83 0,64 1,44 1,65 1,56 1 Pi 0,94 1,03 15722 82,78 0,81 1,15 7886 81,91 0,70 0,92 5855 77,70 1,09 0,99 54417 128,10 0,07 0,57 3648 115,62 0,96 1,02 41279 153,49 0,98 1,00 15622 104,85 1,11 1,01 36084 109,88 1,14 1,05 38882 119,66 0,96 0,98 25830 96,38 0,85 1,07 38094 96,50 0,95 0,99 49045 94,94 0,95 1,09 18885 106,61 27592 37731 103,78 200,85 Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito Note: (1) Ii=q i/Q INN dove q i è la quota delle imprese innovatrici sul totale delle imprese dell’i-esimo settore e Q INN rappresenta il peso delle innovatrici rispetto al totale del campione. Di= d i/D INN dove d i è la dimensione media (VA/Numero imprese) delle imprese innovatrici sul totale delle imprese dell’i-esimo settore e DINN rappresenta la dimensione media delle innovatrici rispetto al totale del campione. Pi= p i/P INN dove p i è la produttività media (VA/Addetti) delle imprese innovatrici sul totale delle imprese dell’i-esimo settore e P INN rappresenta la p roduttività media delle innovatrici rispetto al totale del campione. (2) I dati in corsivo si riferiscono alla dimensione media e alla produttività in valore assoluto. Tabella 2 Spesa in R&S nelle imprese manifatturiere italiane. Distribuzione, indici di posizione e di variabilità (1989-1997) Dati in valore espressi in milioni di lire (1995=100 ) Valore % delle spese R&S Distribuzione % delle imprese 50% 1989-1991 69,2 84,5 89,2 92,3 94,3 97,5 98,7 1992-1994 68,5 79,0 84,5 88,0 90,5 95,2 96,9 1995-1997 71,4 82,3 87,1 90,0 92,4 96,1 97,6 N. osservazioni 190 1127 868 Valore minimo 1o quartile mediana 3o quartile Valore massimo media cv 2 60 245 912 283732 3077 7 3 111 289 885 234372 2036 5 3 98 230 760 176683 1995 5 5% 10% 15% 20% 25% 40% Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito Tabella 3 Intensità di R&S (Spese in R&S/VA) delle imprese manifatturiere classificate per area geografica, classe di addetti e settore di attività economica (1989-97). Valori percentuali. Area geografica Nord Ovest Nord Est Centro Sud Classe addetti 11-20 21 - 50 51 - 100 101 - 250 251 - 500 Oltre 500 Settori DA Alimentari, bevande e tab. DB Tessile e abbigliamento DC Cuoio e articoli derivati DD Legno e prodotti in legno DE Carta, stampa e editoria DF Raffinerie di petrolio DG Chimica e fibre sintetiche DH Gomma e materie plastiche DI Minerali non metalliferi DJ Metallo e prodotti in metallo DK Macchine e app. meccanici DL App. elettrici e di precisione DM Mezzi di trasporto DN Altre ind. manifatturiere 1989-1991 1992-1994 9,77 3,46 6,77 4,42 7,41 5,48 10,29 6,62 6,37 9,79 8,57 5,59 4,42 2,30 8,14 5,43 4,65 9,81 8,99 6,36 9,41 4,26 6,36 7,97 9,07 21,75 4,87 7,02 6,18 7,34 1,74 3,18 1,85 0,86 1,89 0,91 1,37 2,62 3,20 3,12 1,81 2,02 6,36 9,74 1,60 1,80 0,84 1,03 3,14 1,62 1,43 4,31 1,24 8,42 1,01 3,58 1,53 2,14 1,39 2,37 1,89 4,25 1,04 4,64 2,65 4,67 1,08 3,43 3,60 2,44 1,33 5,99 1,28 7,44 2,46 3,70 1,66 18,16 1,69 6,84 0,95 8,83 1,12 11,54 2,13 5,90 2,15 6,99 18,97 18,57 1,56 3,25 5,87 6,99 2,41 Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito Nota: Coefficiente di variazione in corsivo. 7,10 1,81 Totale campione 2,10 5,73 0,00 0,21 1,41 4,54 19,31 1,49 1,16 0,00 0,00 1,64 0,47 2,28 1995-1997 1,21 3,89 6,04 3,54 2,80 0,43 15,12 10 7,39 12,68 4. Un’analisi econometrica dell’impatto delle attività innovative delle imprese manifatturiere italiane (1989-1997). 4.1 Specificazione del modello e metodo di stima L’obiettivo di questa sezione è di specificare il modello utilizzato nell’analisi dell’impatto degli investimenti in R&S sulla produttività delle imprese. Come è stato discusso in precedenza (cfr. § 2), partendo da una funzione di produzione la relazione tra l’attività di R&S e la performance dell’impresa può essere analizzata direttamente considerando l’intensità degli sforzi innovativi come una variabile esplicativa della produttività del lavoro. In questo modo, è possibile ottenere una stima del tasso di rendimento degli investimenti in R&S (Equazione [5]). Le variabili utilizzate nella verifica empirica sono espresse in termini di variazione annuale e si riferiscono ai dati del Mediocredito Centrale relative al periodo 1989-1997. Ciò ha permesso di ottenere, per ciascuna indagine, un panel bilanciato di dati, la cui dimensione temporale è sempre pari a due, mentre la dimensione sezionale è uguale al numero di imprese innovatrici presenti in ciascun triennio. In tutte le regressioni, la variabile dipendente è il tasso di crescita annuale della produttività per addetto, definita come rapporto tra il valore aggiunto a prezzi costanti 1995 e il numero di unità lavorative impiegate in attività diverse da quelle innovative. L’indicatore utilizzato per catturare l’effetto del capitale fisico per unità lavorativa è il rapporto tra il valore delle immobilizzazioni fisse e il numero di addetti al netto degli occupati in R&S. Il valore delle immobilizzazioni, che è espresso in termini reali (cfr. Appendice A), è stato corretto per il tasso di utilizzo della capacità produttiva, in modo da tener conto del loro effettivo impiego nel processo produttivo18 . Inoltre, seguendo Bils e Klenow (2000), si utilizza come indicatore del capitale umano la scolarizzazione media (Si) degli addetti dell’i-esima impresa, che è data dalla seguente relazione: Si=[8*Oi+13*Mi+18*Li]/N i, dove Oi indica il numero di addetti che hanno frequentato la scuola dell’obbligo, Mi è il numero di addetti che hanno conseguito il diploma superiore, Li è il numero di laureati, mentre Ni è il numero totale di addetti dell’impresa. Essendo la scolarizzazione una media degli anni di istruzione dei lavoratori19 , la stima del parametro δ può essere interpretata come il tasso di rendimento dell’educazione. 18 Per verificare l’effettivo rendimento degli investimenti in R&S occorrerebbe sottrarre dal valore delle immobilizzazioni la quota utilizzata in attività innovative. Questa correzione mitigherebbe gli effetti sulle stime derivanti dal problema della doppio conteggio (double-counting). Tuttavia, l’assenza di adeguate informazioni statistiche non ha permesso di tenerne conto determinando, probabilmente, una sottovalutazione della stima del tasso di rendimento degli investimenti in R&S. Per una valutazione degli effetti del doppio conteggio si rimanda a Schankermann (1981) ed a Hall e Mairesse (1995). 19 E’ necessario ricordare che la banca dati del Mediocredito non contiene tutte le informazioni sulla ripartizione degli addetti per titolo di studio necessarie per calcolare l’indicatore di scolarizzazione. In particolare, questo è vero per l’indagine 1989-91, mentre per il periodo 1992-94 e 1995-97 si hanno i dati sul totale degli addetti, sul numero delle assunzioni di nuovo personale, sul numero di laureati assunti di anno in anno e solo per l’ultimo anno (1994 e 1997) sulla distribuzione degli occupati per titolo di studio. Pertanto, per ottenere il numero di addetti in possesso del diploma di scuola superiore e della scuola dell’obbligo, per esempio per l’indagine 199597, si è proceduto nel seguente modo: sottraendo dallo stock di laureati del 1997 i laureati assunti nel 1997, si è ottenuto lo stock di laureati nel 1996; inoltre, sottraendo dal totale degli occupati i laureati del 1996, si è ottenuto il numero dei non laureati del 1996. La suddivisione dei non laureati tra chi è in possesso del diploma superiore e della scuola dell’obbligo, si è ottenuta imponendo che la percentuale di addetti appartenenti a queste due categorie rimanesse invariato rispetto all'anno di cui si conosceva la distribuzione degli occupati per titolo di studio, cioè rispetto al 1997. La stessa procedura si è applicata nel periodo 1992-1994. 11 Infine, l'input di lavoro è misurato dal numero di occupati e il capitale tecnologico è rappresentato dall'intensità della ricerca, ottenuta come rapporto tra gli investimenti in R&S e il valore aggiunto. La scelta del metodo di stima deve tener conto dell’eventuale presenza di endogeneità dei regressori, poiché in presenza di correlazione tra gli errori e le variabili esplicative del modello le stime sarebbero distorte anche per grandi campioni. Nel nostro caso ciò implicherebbe, per esempio, che il parametro associato alla variabile intensità in R&S non potrebbe essere considerato la misura dell’effetto che la ricerca causa sulla produttività, perché gli stessi investimenti in R&S potrebbero essere il risultato della crescita dell’impresa. Pertanto, l’equazione [5] è stata stimata con il metodo dei minimi quadrati a due stadi 20,21 (2SLS) . Da un punto di vista econometrico gli stimatori 2SLS sono consistenti in presenza di buoni strumenti dei regressori endogeni, ovvero di variabili ortogonali con i residui del modello e correlate con le variabili esplicative. Tuttavia, non è facile individuare buoni strumenti. Inoltre, nei casi in cui sono rispettate le condizioni di ortogonalità la spiegazione teorica dei legami tra strumenti, regressori e variabile dipendente può non essere immediata. Tenendo conto di questi limiti, dalla banca dati del Mediocredito Centrale risulta che, per la verifica econometrico presentata in questo lavoro, la variazione dei debiti commerciali, la variazione della quota del fatturato in subfornitura, l’anno di costituzione dell’impresa e l’intensità in R&S ritardata di un anno sono le variabili che possono essere utilizzate come strumenti dei regressori endogeni (variazione del capitale per addetto, del lavoro, della scolarizzazione e dell’ intensità in R&S). I valori del test di Sargan, riportati nelle tabelle 4 e 5, indicano che gli strumenti utilizzati rispettano le condizioni di ortogonalità. La significatività statistica del test è elevata. 4.2 I risultati delle regressioni La tabella 4 riporta, per ciascuna indagine, le stime 2SLS dell’equazione [5]. La prima colonna fa riferimento al modello cross-sections per l’intero campione di imprese innovatrici del periodo 1989-1991, mentre i dati delle successive colonne indicano i risultati per i periodi 1992-1994 e 1995-1997. Dal punto di vista dei risultati ottenuti, la prima osservazione riguarda il contributo del capitale nella determinazione della produttività del lavoro. Coerentemente con le aspettative, i dati indicano che l’elasticità del capitale fisico è sempre statisticamente significativa: nel triennio 20 Al fine di convalidare la scelta del metodo di stima 2SLS, nell’Appendice B si riportano le stime dell’equazione [5] ottenute con il metodo GLS. Le differenze che si osservano tra i risultati GLS e quelli ottenuti applicando il metodo 2SLS rappresentano una verifica indiretta della presenza, nell’equazione [5], di regressori endogeni (Wooldridge 2002). 21 Il problema dell’endogeneità è stato affrontato anche seguendo la procedura suggerita da Brynjolfsson e Hit t (1995) ed applicata in Italia da Bugamelli e Pagano (2001). L’idea è di stimare l’equazione [5] con il metodo GLS sul sottoinsieme di imprese innovatrici che hanno registrato riduzioni annuali dei ricavi di vendita. L’ipotesi è che in presenza di un mercato dei capitali imperfetto, le imprese con vincoli di liquidità seguono qualche principio di sostituibilità tra i fattori quando decidono di acquistarne uno piuttosto che un altro. In questo modo, si limita l’effetto della simultaneità, perché la produttività delle imprese e le variabili esplicative delle regressioni variano in direzioni che non sono determinate da un fattore comune (Brynjolfsson e Hitt 1995). Applicando questa metodologia ai dati del nostro campione, si ottiene che i parametri stimati hanno tutti il segno atteso e il tasso di rendimento degli investimenti in R&S è maggiore di quello ottenuto con il metodo 2SLS. Questi risultati sono disponibili su richiesta. 12 1989-91 è pari a 0,21, nel periodo 1992-1994 è dello 0,24, mentre dai dati dell’ultima indagine Mediocredito si ha una stima di α̂ pari a 0.21. Un elemento comune in tutte le regressioni e per tutti i periodi presi in esame riguarda il fatto che, relativamente al lavoro e al capitale fisico, l’ipotesi di rendimenti di scala costanti è rigettata, essendo sempre negativo e statisticamente significativo il coefficiente stimato η̂. La deviazione dai rendimenti di scala varia da 0,10, che è quella ottenuta nel modello cross sections per le 868 imprese dell’indagine del 1995-1997, a 0,13 che è quella relativa al periodo 19921994. La regolarità empirica dell’esistenza d i rendimenti di scala decrescenti é in contrasto con i recenti risultati ottenuti per l’Italia da Bugamelli e Pagano (2001), i quali per il triennio 19951997 stimano una funzione di produzione espressa in livelli e ricavano un valore dell’elasticità del lavoro pari a 0,7 e del capitale aggregato (capitale fisico più lo stock di capitale in ICT) uguale a 0,3. Il nostro risultato è, invece, comparabile con quello ottenuto nei lavori che stimano per altri paesi (Regno Unito, USA, Germania, Francia, Giappone) modelli uguali a quello utilizzato in questo articolo (Wakelin 2001; Griliches e Mairesse 1983; Harhoff 1998) Al contrario, divergono da periodo a periodo le stime del parametro associato alla scolarizzazione degli addetti. Si osservi che in media esiste un legame positivo tra le variazioni annuali della produttività del lavoro e della scolarizzazione, poiché anche in questo caso il segno del parametro è quello atteso. Tuttavia, nel triennio 1995-1997 il tasso di rendimento della scolarizzazione è pari a circa l’8%, mentre con riferimento al periodo 1992-1994, il parametroδ̂ è pari al 12%. Tali risultati sono maggiori di quelli ottenuti in altri lavori per l’Italia22 . Per quanto riguarda i risultati relativi all’obiettivo specifico di questa verifica econometrica, la tabella 4 riporta le stime del coefficiente associato all’intensità delle attività di R&S delle imprese (INT_R&S). Come si può osservare, in tutte le regressioni il parametro δ̂ è positivo ed altamente significativo: il tasso di rendimento degli investimenti realizzati dalle imprese è pari al 22% nel 1989-91, al 21% nel 1992-1994 e al 23% nel 1995-1997. Queste stime rappresentano, pertanto, una prima indicazione empirica del forte legame esistente tra la produttività delle imprese manifatturiere italiane e l’intensità delle loro attività innovative. 22 Gli studi finalizzati a determinare il ruolo del capitale umano forniscono risultati molto diversi tra loro. Ciò, probabilmente, è da attribuire sia agli errori di approssimazione commessi nella fase di misurazione sia alle diverse metodologie di stima utilizzate nei vari studi. Per esempio, in Italia, nel lavoro di Bugamelli e Pagano (2001) il tasso di rendimento della scolarizzazione degli addetti delle imprese manifatturiere nel periodo 19951997 è pari al 3,3%, in Cannari e D’Alessio (1995) è pari al 7%, in Psacharopulos (1994) è il 6,8%, in Colussi (1997) è uguale al 6,6%, mentre in Brunello e Miniaci (1999) è il 5,6%. Solo in Trostel, Walker e Woolley (2002) si hanno risultati simili ai nostri, in quanto essi osservano per l’Italia un tasso di rendimento del 7,5% per gli addetti di sesso maschile e dell’11,3% per le donne (periodo 1985-1995). 13 Tabella 4 Tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo delle imprese innovatrici italiane. Stime 2SLS (1989-1997). 19891992-1994 1995-1999 1991 Costante K&/L L& INT_R&S -0,4 (-4,2) 0,21 -3,4 (-6,1) 0,241 -2,9 (-2,9) 0,24 -1,37 (-2,1) 0,21 0,89 (-15,1) 0,207 (4,1) -0,12 (4,1) -0,13 (3,15) -0,129 (12,21) -0,101 (11,04) -0,107 (-3,71) 0,22 (6,9) (-5,8 ) 0,21 (8,1) (-4,1) 0,208 (7,91) 0,12 (-8,98) 0,23 (5,21) (-9,21) 0,228 (4,56) 0,08 S& (2,98) n. osservazioni Sargan test [p-value] 380 32,37 [0.37] 2254 16,98 [0.47] (2,65) 2254 10,89 [0.4 9] 1736 24,03 [0.39] 1. In parentesi tonda i valori della statistica t -student di White. 2. Le variabili strumentali sono la variazione dei debiti commerciali, la variazione della quota del fatturato in subfornitura, l’anno di costituzione dell’impresa e l’intensità in R&S ritardata di un anno 14 1736 19,17 [0.4 ] 4.3 Il ruolo degli spillovers tecnologici e la stabilità del tasso di rendimento degli investimenti in R&S L’equazione [5] considera il legame della produttività con gli sforzi tecnologici interni all’impresa, laddove sarebbe più opportuno tener conto anche del ruolo delle attività innovative realizzate dalle altre imprese. Infatti, la conoscenza tecnologica prodotta dalle altre imprese, è assimilabile ad un bene pubblico ed, in tanto tale, può permettere ad un’impresa, attraverso la sua adozione, di aumentare la propria produttività. In altre parole, le caratteristiche di non rivalità e non escludibilità della tecnologia fanno sì che la produttività di un’impresa non dipenda soltanto dagli sforzi innovativi interni, ma anche dagli spillovers tecnologici generati dagli investimenti in Ricerca e Sviluppo effettuati all’esterno dell’impresa (Griliches 1979; 1992). L’impatto degli spillovers è stato empiricamente studiato sia a livello macro (paese, industria), sia su dati di impresa. In quest’ultimo caso, gli studi più recenti, analoghi al nostro, sono quelli di Raut (1995) per l’India, Los e Verspagen (2000) per gli USA e di Wakelin (2001) per il Regno Unito. Questi lavori seguono l’approccio proposto da Griliches (1979) che, applicato al problema presentato in questo articolo, permette di esprimere la funzione di produzione Cobb-Douglas nel seguente modo: Yit = Ai e λ t K it α Lβit H itδ Titγ TEtφ eε it [6] Rispetto all’equazione [1], l’equazione [6] mostra che la produzione dell’i-esima impresa dipende non solo dalla tecnologia interna ( T it ), ma anche dallo stock di capitale tecnologico esterno all’impresa ( T Et ). Seguendo la stessa procedura utilizzata per esprimere in una funzione di produzione l’attività innovativa di un’impresa in termini di intensità ( cfr equ. 3), la tecnologia esterna può essere approssimata dal rapporto tra gli investimenti in R&S R & DEt ( R & S Et ) e la produzione ( YEt ) delle altre n-1 imprese ( SPILL = ). Pertanto, la YEt specificazione econometrica, equivalente all’equazione [5], della funzione del prodotto per addetto aumentata dagli spillovers assume la seguente forma: R & Dit y& it = λ + αk&it + δH& it + ρ Yit + ψSPILL + ηL& it + µit [7] La stima dell’equazione [7] permette, quindi, di ottenere una valutazione del tasso di rendimento degli investimenti interni alle imprese depurata dall’effetto esercitato dagli spillovers tecnologici. Da un punto di vista empirico, la proxy delle esternalità tecnologiche può essere determinata in modo da poter distinguere gli spillovers settoriali ( SPILLSET ) dagli spillovers intersettoriali ( SPILLINTER ). Per l’i-esima impresa del j-esimo settore, l’indicatore degli spillovers settoriali è rappresentato dalla somma ponderata dell’intensità settoriale delle attività di Ricerca e Sviluppo delle imprese appartenenti allo stesso settore, ossia NJ SPILLSET = ωjj R & S j con R & S J = ∑ R & Si / VAi , dove Nj rappresenta il numero di i =1 imprese del j-esimo settore e ωjj indica la quota di tecnologia prodotta nel settore j ed utilizzata nello stesso settore. Gli spillovers tecnologici intersettoriali K −1 SPILLINTER = ∑ ωrj R & S r sono approssimati dalla somma ponderata dell’intensità degli r =1 investimenti in R&S effettuati nei K-1 settori diversi da quello di appartenenza dell’impresa, 15 Nr con R & S r = ∑ R & S i VAi , r=1,2,……….K-1. Nr indica il numero di imprese appartenenti i =1 all’r-esimo settore23 . Il coefficiente ωrj rappresenta il generico elemento di una matrice dei pesi KxK dei flussi di innovazione tecnologica dal settore r al settore j, con r=j=1,2,…..K. Tale matrice è stata calcolata seguendo il procedimento proposto da Momigliano e Siniscalco (1982) e, di recente, utilizzato da Leoncini e Montresor (2001) (cfr. Appendice C). Un ulteriore aspetto da considerare è legato al fatto che i risultati finora ottenuti (tab. 4) si riferiscono al tasso di rendimento degli investimenti in R&S mediamente osservato per l’intero campione di imprese. E’ utile, pertanto, verificare se il modello considerato è strutturalmente stabile, ovvero se il parametro di nostro interesse, il tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo, varia quando si considerano gli eventuali effetti sulle stime determinati dal settore, dalla dimensione e dalla localizzazione delle imprese. A tal fine, l’equazione [7] è stata stimata includendo la variabile interazione tra l’intensità degli investimenti in R&S dell’impresa ed alcune variabili dicotomiche introdotte per catturare gli effetti localizzativi, settoriali e dimensionali dell’impresa.24,25 I risultati ottenuti dalla stima dell’equazione [7], aumentata dalle variabili interazione, sono presentati nella tabella 5. Le principali indicazioni che emergono sono due. Da un lato, il confronto delle stime con quelle riportate nella tabella 4 evidenzia che l’introduzione degli spillovers e delle variabili interazione altera solo marginalmente le precedenti stime. In particolare, il tasso di rendimento degli investimenti R&S delle imprese subisce una riduzione di circa l’1%, ma esso rimane comunque elevato, fluttuando dal 19% (1992-1994) al 22% (1995-997)26 . Inoltre, questi valori possono essere considerati stabili per intero campione di imprese manifatturiere preso in esame, in quanto i parametri associati alle variabili interazione sono statisticamente non significativi, oppure, quando sono significativi, assumono valori pressoché nulli27 . Tali risultati indicano che nel periodo in esame (1989- 23 Gli indicatori degli spillovers sono determinati al netto dell’intensità di R&S dell’impresa quando si considerano gli spillovers settoriali e al netto dell’intensità settoriale quando si determinano i flussi intersettoriali di innovazione. 24 Le dummies settoriali considerano la classificazione proposta da Pavitt e sono state costruite in base all’appartenenza delle imprese ai settori di scala (dummy D_Pavitt2), ai settori specializzati (dummy D_Pavitt3) o ai settori ad alta tecnologia (dummy D_Pavitt4). In questo caso, il gruppo di controllo sono le imprese appartenenti al settore tradizionale (Pavitt1). Per quanto riguarda l’aspetto geografico, il gruppo di controllo sono le imprese localizzate nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia e, quindi, le dummies considerate sono D_Nord Ovest, D_Nord Est e D_Centro. Infine, le dummies dimensionali sono D_Piccole (pari a 1 se l’impresa ricade nella classe 11-50 addetti) e D_Medie (51-250 addetti). In quest’ultimo caso il gruppo di controllo sono le imprese di grande dimensione (con più di 250 unità lavorative). 25 La stima dei coefficienti delle variabili interazione rappresenta la variazione del tasso di rendimento rispetto a quello ottenuto per il gruppo di imprese di controllo. Ad esempio, se si considera l’effetto settore nelle stime del triennio 1989-1991, il coefficiente associato alla variabile D_Pav2*IN_R&S (cfr. tab. 5, prima colonna di dati) indica la variazione del tasso di rendimento degli investimenti in R&S delle imprese appartenenti ai settori di scala rispetto all’elasticità delle imprese appartenenti ai settori tradizionali, che rappresentano il gruppo di controllo. 26 A parziale conferma dell’assenza di multicollinearità tra i regressori, si osservi che il segno, la significatività statistica e i valori stimati degli altri coefficienti riportati nella tabella 5 non sono diversi da quelli presentati nella tabella 4. 27 I coefficienti associati alle variabili interazione statisticamente diversi da zero sono quelli relativi, nell’ultimo triennio, al settore ad alta tecnologia (Pavitt 4) ed all’imprese localizzate nelle regioni del Nord Ovest; inoltre, nel periodo 1981-91 il tasso di rendimento interno delle imprese di piccola dimensione è significativamente minore di quello osservato per le imprese di grande dimensione. Tutti gli altri coefficienti non sono economicamente interpretabili a causa del loro basso livello di significatività (Tab. 5). 16 1997), il tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo non dipende dalla localizzazione, dalla dimensione e dal settore Pavitt di appartenenza dell’impresa (Tab. 5)28 . Dall’altro lato, se si considerano gli spillovers tecnologici si ottengono risultati diversi a seconda del tipo di esternalità preso in esame. Infatti, il coefficiente della variabile SPILLSET indica la presenza di un impatto positivo e significativo degli spillovers settoriali sulla produttività delle imprese; al contrario, non è di immediata interpretazione il risultato ottenuto con riferimento all’influenza degli spillovers intersettoriali. Infatti, il segno del parametro associato alla variabile SPILLINTER è negativo, ma la significatività dello stesso coefficiente è bassa e ciò limita la possibilità di fornire plausibili interpretazioni delle stime ottenute. Tuttavia, se si pensa alla bassa propensione ad innovare da parte delle imprese manifatturiere italiane (cfr par. 3), questo risultato in qualche modo sembra essere in linea con l’ipotesi proposta, tra gli altri, da Cohen e Levinthal (1989), secondo i quali la tecnologia esterna esercita un impatto positivo sulla produttività della singola impresa a condizione che quest’ultima effettui investimenti in Ricerca e Sviluppo tali da facilitare l’adozione della tecnologia prodotta dalle altre imprese. Seguendo l’interpretazione di Cohen e Levinthal (1989), i nostri risultati sembrerebbero suggerire che il livello di sforzi innovativi interni alle imprese italiane permette di sfruttare i vantaggi derivanti dalla disponibilità di tecnologia esterna solo nel caso dei flussi settoriali di conoscenza tecnologica, mentre, e probabilmente a causa delle differenze tecnologiche tra settori, ciò non avviene quando l’impresa deve adottare tecnologia prodotta nei settori diversi da quelli di appartenenza29 . 28 Per rafforzare questi risultati, le ultime tre righe della tabella 5 riportano i valori della statistica di Wald utilizzata per verificare l’ipotesi nulla di uguaglianza del tasso di rendimento tra i gruppi di imprese di volta in volta considerati nella stima dell’equazione [5]. I valori del test di Wald non permettono di rigettare in nessun caso questa ipotesi. 29 Questa evidenza empirica è il risultato di una valutazione del ruolo della tecnologia esterna, in cui, partendo da dati di impresa, si tenta di distinguere tra spillovers settoriali ed intersettoriali. Per quanto riguarda il sistema manifatturiero italiano, ciò rappresenta un primo tentativo di stima di una funzione di produzione in cui si valuta l’importanza, per un’impresa, della tecnologia disponibile nel settore di appartenenza rispetto a quella degli altri settori. Nel caso della letteratura internazionale, i lavori di Raut (1995) e Los e Verspagen (2000) non distinguono i flussi tecnologici settoriali da quelli intersettoriali e, quindi, i loro giudizi positivi sul ruolo degli spillovers sono solo parzialmente confrontabili con quelli riportati nella tabella 5. Al contrario, Wakelin (2001) perviene a risultati simili ai nostri sia riguardo all’impatto positivo degli spillovers settoriali, che alla bassa significatività e al segno negativo del parametro relativo agli spillovers in tersettoriali. D’altra parte, se si fa riferimento all’elevato assorbimento di tecnologia altrui da parte delle imprese italiane e se contestualmente si tiene conto della complessità con cui si diffonde la conoscenza tecnologica, i temi legati agli spillov ers meritano ulteriori approfondimenti che, però, esulano dall’obiettivo specifico di questo articolo. 17 Tabella 5 Tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo e spillovers tecnologici delle imprese innovatrici italiane. Stime 2SLS (1989-1997). 1989-1991 Costante K&/ L L& INT_R&S 1992-1994 -0,32 (-3,91) -0,22 (-2,91) -0,3 (-3,2) -1,21 (-2,43) -1,09 (-2,31) -1,5 (-2,03) (- 2 ,11 ) -0,81 (-3,91) -0,71 (-4,3) -0,98 (-4,21) -0,86 (-3,91) 0,207 (3,8) 0,201 (3,01) 0,202 (3,2) 0,24 (3,79) 0,235 (3,14) 0,23 (3,12) 0,23 (3,04) 0,197 (7,01) 0,193 (6,41) 0,196 (6,76) 0,195 (5,96) -0,1 (-4,71) 0,209 (5,61) -0,1 (-4,75) 0,203 (5,13) -0,1 (-4,63) 0,206 (4,32) -0,106 (-3,11) 0,202 (7,71) -0,1 (-3,09) 0,198 (6,22) -0,1 (-2,87) 0,196 (5,32) -0,1 (-3,11) 0,197 (6,42) -0,097 (-5,41) 0,22 (4,26) -0,091 -0,093 (-5,01) (-4,91) 0,224 0,219 (3,21) (3,32) -0,095 (-4,03) 0,215 (3,21) 0,096 (2,18) 0,091 (2,21) 0,092 (2,12) S& SPILLSET SPILLINTER D_PAV2*INT_R& S D_PAV3*INT_R& S D_PAV4*INT_R& S -1,32 0,08 (3,21) 0,079 (2,65) 0,082 (3,09) 0,11 (7,6) 0,101 (7,5) 0,105 (6,8) 0,102 (7,2) 0,091 (7,6) -0,009 (-1,56) -0,007 (-1,51) -0,006 (-1,62) -0,001 (-1,88) -0,001 (-1,78) -0,001 (-1,68) -0,001 (-1,73) -0,005 (-1,67) 0,003 (1,54) 0,001 (1,01) 0,004 (1,35) 0,001 (1,32) D_NE*INT_R& S D_CENTRO*INT_R& S (-0,92) 0,005 (1,47) D_MEDIE*INT_R& S 380 24,2 [0,43] 380 28,1 [0,41] 0,087 (2,1) 0,083 (2,1) 0,091 (5,1) 0,094 (5,6) 0,092 (5,6) -0,005 -0,005 (-1,52) (-1,49) (1,95) 0,007 (1,13) 0,007 (1,29) 0,004 (1,12) (-1,87) 0,007 (0,42) 380 23,9 [0,39] 2254 17,4 [0,4 ] 2254 12,71 [0,4] 0,77 [0,41] 0,87 [0,37] 0,75 [0,44] 1,24 [0,34] 1,07 [0,38] -0,005 (-1,52) 0,0008 -0,0004 D_ PICCOLE*INT_R& S 0,08 (2,1) 0,0022 (1,08) 0,003 (1,21) -0,0009 0,02 (1,04) 0,009 (1,18) 0,003 (1,46) D_NO*INT_R& S N. osservazioni Sargan Test [p-value] 1995-1997 2254 14,02 [0,45] 0,0004 (1,94) 0,003 (1,38) 0,007 (0,53) -0,006 (-1,37) -0,006 (-0,87) 2254 16,89 [0,48] 1736 21,29 [0,31] 1736 22,1 [0,35] 1,4 [0,31] 1,13 [0,34] 1,41 [0,29] 1,17 [0,32] 0,94 [0,27] 1736 18,09 [0,3 ] -0,002 (-1,39) 0,005 (1,31) 1736 25,22 [0,37] Test di Wald [p-value] Settori Pavitt Localizzazione geografica Dimensione 0,89 [0,38] 1,21 [0,28] 1,27 [0,47] 1,19 [0,27] Note: 1. In parentesi tonda i valori della statistica t -student di White. 2. Le variabili strumentali sono la variazione dei debiti commerciali, la variazione della quota del fatturato in subfornitura, l’anno di costituzione dell’impresa e l’intensità in R&S ritardata di un anno. Gli indicatori di spillovers tecnolog ici sono considerati esogeni. 18 0,91 [0,47] 5 Conclusioni Nel corso degli ultimi due decenni una ricca ed articolata letteratura ha studiato l’impatto economico delle attività innovative. Uno degli aspetti analizzati ha riguardato la stima, a livello di impresa, del tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo. In particolare, questo problema è stato analizzato per molti paesi industrializzati e i recenti lavori di Hall e Mairesse (1995) per la Francia, di Harhoff (1998) per la Germania e di Wakelin (2001) per il Regno Unito ne costituiscono un esempio. In Italia, l’analisi dell’influenza degli investimenti in R&S (Parisi-SchiantarelliSembenelli 2002 e Del Monte-Papagni 2003) e delle Tecnologie dell'Informazione e delle Telecomunicazioni (Azteni-Carboni 2001; Bugamelli-Pagano 2001) sulla produttività delle imprese manifatturiere ha fornito nuove evidenze empiriche a sostegno dell’ipotesi secondo la quale le attività innovative sono positivamente correlate con le performances aziendali. Tuttavia, questi studi hanno lasciato irrisolta la questione relativa alla determinazione del tasso di rendimento degli sforzi in Ricerca e Sviluppo che è, invece, l’obiettivo di questo contributo, che propone un’analisi descrittiva e una verifica econometrica delle determinanti della produttività delle imprese innovatrici italiane. Conformemente ad altri campioni rappresentativi del sistema di imprese italiane, l’analisi descrittiva mostra un'elevata concentrazione delle spese in attività innovative (il 20% delle imprese assorbe più del 90% delle spese in R&S) e un'intensità degli investimenti in R&S che è mediamente pari al 7% del Valore Aggiunto. Non emergono, al contrario, regolarità empiriche sulla distribuzione di tale intensità quando le imprese vengono disaggregate per localizzazione geografica, classe dimensionale e settore economico di appartenenza. Ciò sembra suggerire che il comportamento innovativo non è specifico di particolari gruppi di imprese (per esempio, di quelle localizzate nelle regione del Nord d’Italia, di quelle di grandi dimensioni, oppure di quelle appartenenti ai settori ad elevato utilizzo di tecnologie), ma è il comportamento di specifiche imprese ad influenzare i risultati aggregati. Attraverso l’analisi econometrica è stato stimato il tasso di rendimento degli investimenti in R&S delle imprese innovatrici. I risultati delle stime evidenziano che un euro aggiuntivo di spese in R&S di un’impresa determina in media un aumento del Valore Aggiunto che varia da 0,20 a 0,22 euro, a seconda del periodo considerato. Se si tiene conto di un tasso di deprezzamento del 15% annuo, il tasso di rendimento netto che ne risulta varia tra il 5% (1992-1997) e il 7% (1989-1991), che è confrontabile con quello stimato in altri paesi (USA, Francia, Germania e Giappone). L’analisi econometrica fornisce altri due importanti risultati. Il primo si riferisce all’indipendenza della stima del tasso di rendimento degli investimenti in R&S dalla localizzazione geografica, dalla dimensione e dal settore di appartenenza delle imprese. Il secondo deriva dal tentativo di introdurre nell’analisi gli effetti della tecnologia prodotta all’esterno della singola impresa. La verifica empirica permette di distinguere tra spillovers settoriali ed intersettoriali, evidenziando come la produttività delle imprese sia positivamente influenzata dalle attività innovative realizzate all’interno del settore di appartenenza dell’impresa, mentre non si ha alcuna significativa indicazione quando si considerano i flussi intersettoriali di conoscenza tecnologica. Quest’ultimo risultato merita ulteriori approfondimenti, considerata la specificità del sistema industriale italiano, in cui le imprese più che innovare assorbono innovazione altrui. 19 Appendice A La costruzione del campione è stata realizzata utilizzando la Quinta, la Sesta e la Settima Indagine Mediocredito Centrale sulle imprese manifatturiere che coprono il periodo 19891997. Per verificare l’impatto degli sforzi innovativi delle imprese si è ritenuto necessario considerare, per ciascuna ni dagine, un sottoinsieme omogeneo di imprese in modo da rendere confrontabili i risultati da un anno all’altro. Perciò dalla base di dati originaria sono state eliminate le imprese per le quali le informazioni risultavano mancanti o contraddittorie. L'utilizzo di cleaning procedures ha riguardato la verifica della disponibilità delle informazioni sugli investimenti in R&S e l'imposizione del Valore Aggiunto positivo. I dati del valore aggiunto sono stati deflazionati utilizzando l’indice dei prezzi alla produzione (1995=100) disaggregati per settore economico secondo la classificazione ISTAT Ateco 91. Questo indice dei prezzi è stato utilizzato per deflazionare tutte le altre variabili utilizzate nel lavoro, in quanto la disaggregazione settoriale migliora la confrontabilità dei dati espressi in termini reali rispetto all'utilizzo degli indici dei prezzi alla produzione secondo la destinazione economica dei prodotti. Inoltre, la costruzione del campione si è basata sulle seguenti ulteriori scelte: (a) se l’impresa non ha fornito alcuna risposta alla domanda "Sono state effettuate spese in R&S nel triennio in esame?" si è dedotto che non siano state effettuate spese in R&S; (b) non sono state considerate le imprese che abbiano effettuato spese in R&S in uno solo o due degli anni considerati; (c) non sono state considerate le imprese in assenza di dati relativi alle spese in R&S, nonostante avessero risposto affermativamente alla domanda "Sono state effettuate spese in R&S nel triennio in esame?". (d) in presenza di imprese con un numero di addetti negativo o in assenza di valori, il dato attribuito è la mediana della distribuzione delle imprese dello stesso settore, appartenenti alla stessa classe dimensionale e operanti nella medesima area geografica (median imputation). (e) Lo stesso criterio del punto (d) è stato seguito nel caso delle immobilizzazioni materiali. 20 Appendice B Tasso di Rendimento degli Investimenti in Ricerca e Sviluppo delle imprese innovatrici italiane. Stime GLS a (1989-1997). 1989-1991 Costante 1992-1994 1995-1997 2,32 -12,3 -10,01 -8,02 -6,71 (10.1) (-4,76) (-4,21) (-3,1) (-8,54) K &/ L 0,172 0,186 0,182 0,131 0,134 (9,3) (6,2) (7,48) (75,09) (82,17) L& -0,18 -0,22 -0,22 -0,23 -0,23 (-10,1) (-10,87) (-11,02) (-5,2) (-6,2) 0,28 0,25 0,247 0,26 0,26 (17,7) (5,65) (9,54) (19,98) (21,32) INT_R&S S& R2 corretto F-Fisher Reset test n. osservazioni 0,86 838,7 6,78* 380 0,59 1125,3 3,81* 2254 0,24 0,1 (12,81) (10,06) 0,62 957,6 5,43* 2254 0,7 1413,41 7,43* 1736 0,72 1112,7 8,6* 1736 Note: 1. In parentesi tonda i valori della statistica t -student di White. 2. *significativo al 5% a. L’equazione è stimata con il metodo dei Minimi Quadrati Generalizzati (GLS) assumendo eteroschedasticità tra le crosssections e correggendola attraverso la ponderazione delle stime GLS con la varianza dei residui ottenuti nel primo stadio dal metodo OLS. Appendice C Il sistema dei pesi ωij è stato costruito utilizzando la matrice dei flussi di innovazioni intersettoriali R, in cui ciascun elemento Rij indica l’ammontare delle Spese in R&S sostenute dal settore i che il settore j utilizza come bene intermedio per soddisfare una unità della propria domanda finale. Gli elementi della matrice R al di fuori della diagonale principale misurano, pertanto, i flussi di innovazione tra i diversi settori. Seguendo Momigliano e Siniscalco (1982) e Leoncini e Montresor (2001), la matrice R può essere definita come R=rB in cui r è la matrice diagonale degli investimenti in R&S settoriali e B = (x )−1 Ld è un operatore che indica i flussi incorporati nella domanda finale di tipo diretto e indiretto; x e d sono, rispettivamente, le matrici diagonali della produzione settoriale e della domanda finale settoriale, mentre L = (I − A )−1 è la matrice inversa di Leontief o matrice dei fabbisogni diretti e indiretti. Ciascun elemento αij della matrice L misura la quantità di output che il settore i deve produrre affinché il settore j sia in grado di destinare un’unità di output alla domanda finale. Poiché la matrice R risente di effetti di scala, il sistema dei pesi dei flussi intersettoriali di capitale tecnologico è stato ottenuto dividendo ciascun elemento Rij per il totale di colonna. In tal modo, si è creata una matrice di pesi ( Ω ) in cui il generico elemento ωij indica la quota delle Spese in R&S sostenute dal settore i e utilizzate dal settore j, rispetto all’ammontare complessivo di Spesa in R&S che il settore j utilizza nel processo produttivo30 . 21 Poiché la matrice input-output è disponibile solo per il 1992, si è ipotizzato che gli elementi della matrice L, ossia gli αij , rimanessero costanti nel periodo 1989-1997. La matrice B, quindi, è stata ottenuta mantenendo L costante e variando, per ciascun anno, la matrici diagonali della produzione e della domanda finale. Inoltre, poiché la serie dei dati relativi alla domanda finale, definita come la somma di consumo finale interno, investimenti fissi lordi, variazione delle scorte ed esportazioni, è disponibile solo in forma aggregata, per ricavare i valori disaggregati per settore si è operato nel seguente modo: i dati sui consumi finali interni e sulle variazioni delle scorte sono stati imputati considerando che la quota di ciascuna voce sul totale della domanda finale rimanesse costante, in ciascuno dei nove anni e per ogni settore, al valore osservato nel 1992 nella tavola input-output; i valori ottenuti sono stati sommati agli investimenti fissi lordi ed alle esportazioni. Bibliografia Archibugi, D., Evangelista, R., Perani, G. e Rapiti F., 1996, L'innovazione nelle imprese italiane: un'analisi dai risultati dell'indagine ISTAT, Economia e Politica Industriale, 89, 147185. Antonelli, C., 1989, A Failure-inducement Model of Research and Development Expenditure, Journal of Economic Behavior and Organization, 12, 159-180. Atzeni, G.E. e Carboni, O.A., 2001, The economic effects of information tecnology: firm level evidence from the Italian case, CCRENOS, Working Paper 1/14. Bils, M. e Klenov P.J., 2000, Does schooling cause growth, American Economic Review, 90, 1160-1183. Brynjolfsson, E. e Hitt, L., 1995, Information technology as a factor of production: the role of differences among firms, Economics of Innovations and New Technology, 3, 183-199. Brunello. G. e Miniaci, R., 1999, The economic returns to schooling for Italian men. An evaluation based on instrumental variables, Labour Economics, 6, 509-519. Bugamelli, M. Pagano, P., 2001, ICT and factor complementarities in the Italian manufacturing, mimeo, Banca d’Italia. Cannari, L. e D’Alessio G., 1995, Il rendimento dell’istruzione: alcuni problemi di stima, Temi di Discussione, 253, Banca d’Italia, Roma. Cohen, W.M. e Levinthal D.A, 1989, Innovation and learning: the two faces of R&D, Economic Journal, 99, 569-596. Colussi. A., 1997, Un’analisi cross-section del tasso di rendimento dell’istruzione in Italia , Politica Economica, 13, 2, 273-294. 30 Per costruire la matrice dei flussi intersettoriali di innovazione si è utilizzata la matrice input-output elaborata per il 1992 dall’ISTAT. I dati disaggregati per i settori merceologici della classificazione ATECO 91 dei conti economici nazionali, degli investimenti fissi lordi e delle esportazioni sono di fonte ISTAT, mentre le spese in R&S aggregate per settore di attività economica sono di fonte O ECD. 22 Del Monte A., Papagni E., 2003, R&D and the growth of firms: empirical analysis of a panel of Italian firms, Research Policy, 32, 6, 1003-1014. Goto, A. e Suzuki, K., 1989. R&S capital, R&S of return investment and spillover of R&S in Japanese manufacturing industries, The Review of Economics and Statistics, 4, 555564. Griliches, Z. 1979, Issues in assessing the contribution of research and development to productivity growth, The Bell Journal of Economics, 10, 1, 92-116. Griliches, Z., 1986, Productivity, R&S and basic research at the firm level in the 1970s, American Economic Review, 76, 141-154. Griliches, Z., 1990, Patent Statistics as Economic Indicators: A survey, Journal of Economic Literature, 28, 1661-1707. Griliches, Z. 1992, The Search for R&D Spillovers, Scandinavian Journal of Economics, 94, 29-47. Griliches, Z. e Mairesse J., 1983, Comparing productivity growth. An explorations of French and US Industrial and Firm Data, European Economic Review, 21, 89-119. Hall, B.H. e Mairesse, J., 1995, Exploring the relationship between R&S and productivity in French manufacturing firms, Journal of Econometrics, 65, 265-293. Harhoff, D., 1998, R&S and productivity in German manufacturing firms, Economics of Innovations and New Technology, 6, 29-49. ISTAT, 1999, La ricerca e sviluppo in Italia nel periodo 1997-1999. Roma. Leoncini, R. e Montresor S., 2001, Struttura produttiva e Processo Innovativo: un’analisi intersettoriale del sistema tecnologico italiano, Rivista Italiana degli Economisti, VI, 2, pp. 169-206. Los, B. e Verspagen B., 2000, R&D spillovers and productivity: evidence from U.S. manufacturing microdata, Empirical Economics, 25, 127-148. Mairesse, J. e Sassenou, M., 1991, R&S and productivity: a survey of econometric studies at the firm level, NBER, WP n. 3666. Mediocredito Centrale, 1994, Indagine sulle imprese manifatturiere. Quinto rapporto sulle industrie italiane e sulla politica industriale, Ministero dell'Industria e Mediocredito Centrale. Roma. Mediocredito Centrale, 1997, Indagine sulle imprese manifatturiere. Sesto rapporto sulle industrie italiane e sulla politica industriale, Ministero dell'Industria e Mediocredito Centrale. Roma. Mediocredito Centrale, 1999, Indagine sulle imprese manifatturiere. Settimo rapporto sulle industrie italiane e sulla politica industriale, Ministero dell'Industria e Mediocredito Centrale. Roma. Momigliano, F. e Siniscalco, D., 1982, The Growth of Service employment: a reappraisal, BNL Quarterly Review, 142, pp. 296-306. Odagiri, H. e Iwata, H., 1986, The impact of R&S on productivity increase in Japanese manufacturing companies, Research Policy, 15, 13-19. Parisi, M.L., Schiantarelli, F. e Sembenelli, A., 2002, Productivity, innovation Creation and Absorption, and R&S: Micro Evidence for Italy, Boston College, Working Papers in Economics, No. 526. Psacharopulos, G., 1994, Returns to investment in education: a global update, World Development, 22, 1325-1343. 23 Raut, L.K., 1995, R&D spillover and productivity growth: Evidence from Indian private firms, Journal of Development Economics, 48, 1-23. Santarelli E. e Sterlacchini A., 1996, Statistiche e banche dati sull'innovazione tecnologica a livello di impresa: la situazione italiana, Rivista Italiana degli Economisti, 2, 285316. Schankerman, M., 1981, The effects of double -counting and expensing on the measured returns to R&S, The Review of Economics and Statistics, 63, 454-457. Solow, R. M., 1957, Technical Change and the Aggregate Production Function, Review of Economics and Statistics, 39, 312-320. Sterlacchini A., 1994, Technological opportunities, intra-industry spillovers and firm R&S intensity. Some Evidence for Italian Manufacturing Industries, Economics of Innovations and New Technology, 3, 123-137. Strerlacchini A., 2001, Il contributo delle grandi e piccole imprese al progresso tecnologico, Rivista Italiana degli Economisti, 1, 95-120. Terleckyj, N., 1974, Effects of R&S on the Productivity Growth of Industries: An Exploratory Study, Nation Planning Association, New York. Trostel, P., Walker, I. e Woolley P., 2002, estimates of the economic returns to schooling for 28 countries, Labour Economics, 9, 1-16. Wakelin, K., 2001, Productivity growth and R&S expenditure in UK manufacturing firms, Research Policy, 20, 1079-1090. Wooldridge J.M., 2002, Econometric Analysis of Cross Section and Panel Data, MIT Press, Londra. 24