Produttività e capitale tecnologico nel settore manifatturiero italiano••
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Produttività e capitale tecnologico nel settore manifatturiero italiano••
Produttività e capitale tecnologico nel settore manifatturiero italiano• R&D Capital and Productivity in Italian Manufacturing Firms Francesco Aiello, Paola Cardamone e Valeria Pupo Università della Calabria, Dipartimento di Economia e Statistica 87030 Arcavacata di Rende (CS) ______________________________________________________________________ Sintesi L’obiettivo di questo articolo è di stimare l’impatto del capitale tecnologico sulla produttività delle imprese manifatturiere italiane e di verificarne la stabilità rispetto al settore di appartenenza, alla dimensione ed alla localizzazione geografica dell’impresa. Tale analisi considera, altresì, il ruolo degli spillovers settoriali e intersettoriali. Il lavoro si basa sulla stima di una funzione di produzione CobbDouglas ed utilizza i dati del Mediocredito Centrale relativi al periodo 1992-1997. I risultati ottenuti confermano il ruolo della tecnologia come fattore di crescita e indicano che l’elasticità del capitale tecnologico è pari a 0.14. Summary. This paper estimates the impact of R&D expenditure on productivity at firm level. We use a balanced panel of 385 Italian manufacturing firms for providing evidences of the elasticity of capital R&D over the period 1992-1997. We consider an extended production function that includes the firm’s own R&D capital stock and the spillover effect as inputs, as well as labour, physical and human capital. Final outcomes confirm the relevance of R&D as source of growth, being the R&D capital elasticity 0.14. ______________________________________________________________________ Parole chiave: produttività, elasticità del capitale tecnologico, spillovers Codici JEL: O30; L60; D24. 1. Introduzione L’analisi empirica degli effetti economici della tecnologia è uno dei filoni di ricerca più studiati nel corso degli ultimi due decenni. Ad accrescere questo interesse hanno contribuito le predizioni teoriche dei modelli di crescita endogena, secondo cui le variabili tecnologiche sono tra le più importanti fonti di crescita. Tale tesi è stata ampiamente analizzata da un punto di vista empirico per spiegare i divari di crescita tra paesi: oggi, gli economisti concordano sul fatto che i paesi con il più alto tasso di innovazione registrano, in stato stazionario, tassi di crescita comparativamente più elevati. L’analisi macroeconomica dell’impatto della tecnologia è stata affiancata da molte verifiche condotte su dati di impresa, in cui si ripropongono alcuni degli aspetti più controversi di questo dibattito e, in particolare, quelli che riguardano la misurazione dell'attività innovativa (Griliches e Mairesse, 1983; Griliches, 1990; Archibugi et al, 1996; Santarelli e Sterlacchini, 1996). La questione chiave degli studi microeconometrici riguarda la possibilità di individuare un buon indicatore del progresso tecnologico che tenga conto, a livello di impresa, dell’eterogeneità e multiformità della conoscenza tecnologica. In questo articolo si è utilizzato come misura dell’attività innovativa gli investimenti in Ricerca e Sviluppo1 , con l’obiettivo di valutarne l’impatto sulla • Sebbene l’articolo sia frutto del lavoro comune degli autori, la stesura dei paragrafi 4.2, 4.3, 5 è da attribuire a Francesco Aiello; quella dei paragrafi 2, 3.2, 4.1 a Paola Cardamone, mentre quella dei paragrafi 1, 3.1, 3.3 a Valeria Pupo. produttività delle imprese manifatturiere italiane. Lo studio rientra in una letteratura consolidata, ben rappresentata dalla rassegna di Mairesse e Sassenou (1991), recentemente ripresa da Hall e Mairesse (1995) per valutare la relazione tra R&S e produttività delle imprese manifatturiere francesi e replicato da Harhoff (1998) per la Germania. In Italia, sebbene diversi lavori si siano occupati dell’impatto della R&S sulla performance delle imprese, nessuno di essi ha focalizzato l’attenzione sulla stima dell’elasticità del capitale tecnologico. L’analisi copre il periodo 1992-1997 e si basa su un campione di imprese manifatturiere estratto dalla Sesta e dalla Settima indagine del Mediocredito Centrale (Mediocredito Centrale, 1997 e 1999). In linea con la letteratura sull'argomento, l’analisi della produttività delle imprese è stata effettuata stimando una funzione di produzione Cobb-Douglas, aumentata della tecnologia generata all’interno dell’impresa. Il lavoro è strutturato come segue. Il paragrafo 2 esamina la relazione tra capitale tecnologico e produttività utilizzando una funzione di produzione a livello di impresa. Nel paragrafo 3 si presentano alcune caratteristiche del sistema innovativo italiano e si quantifica l’attività innovativa delle imprese incluse nel campione utilizzato. Nel paragrafo 4 si presenta la specificazione econometrica del modello che permette di stimare l’elasticità del capitale tecnologico. Seguono, nel paragrafo 5, alcune considerazioni conclusive. 2. Il capitale tecnologico in una funzione di produzione In questo paragrafo si descrive la relazione tra progresso tecnologico e produttività utilizzando una funzione di produzione Cobb-Douglas. Sia Yijt la produzione dell’i-esima impresa nell’anno t ottenuta impiegando Lijt unità di lavoro, Kijt , Hijt e CTijt unità di capitale, rispettivamente, fisico, umano e tecnologico. La funzione di produzione dell’i-esima impresa del j-esimo settore può essere espressa nel seguente modo: α ε Yijt = Aijt e λT K ijt Lβijt H ijtδ CTijtγ e ijt dove Yijt è il livello di produzione nell’anno t (t=1992….1997) dell’impresa i (i=1.…..N) del settore j (j=1…..K); α , β , δ e γ indicano le elasticità della produzione rispetto al corrispondente fattore produttivo e Aijt è un parametro di scala. Il (1) temine εijt è un errore casuale, mentre il parametro λ è un indicatore del progresso tecnico disincorporato. Dividendo ambo i termini dell’equazione (1) per Lijt , la funzione di produzione può essere espressa in termini di prodotto per addetto: α δ γ K H CT (2) = Aijt e ijt ijt ijt Lηijt e ε ijt Lijt Lijt Lijt Lijt dove η = α + β + δ + γ − 1 indica la distanza dai rendimenti costanti di scala rispetto a tutti i fattori produttivi. La forma log-lineare della (2) è le seguente: (2’) yijt = aijt + λT + αk ijt + δhijt + γct ijt + ηl ijt + εijt in cui le lettere minuscole indicano il logaritmo di ciascuna variabile [es. y=log(Y/L)] La specificazione (2’) permette di verificare direttamente l’esistenza di rendimenti di scala costanti. Se il parametro η non è statisticamente significativo, allora è possibile accettare l’ipotesi di rendimenti di scala costanti, mentre se è statisticamente minore (maggiore) di zero si hanno rendimenti di scala decrescenti (crescenti). Inoltre, Yijt λt per ciò che interessa specificamente questo lavoro, essa fornisce una stima delle elasticità della produzione rispetto al progresso tecnico determinato dalle attività innovative dell’impresa. Tra gli approcci proposti in letteratura per costruire un indicatore del livello tecnologico interno alle imprese, in questo lavoro si farà riferimento a quello che considera la tecnologia come una variabile stock, determinata dal processo di accumulazione degli investimenti in Ricerca e Sviluppo di ciascuna impresa2 . La descrizione di come possa essere determinato il capitale tecnologico utilizzando dati di impresa sarà esposta nelle sezioni che seguono, mentre il paragrafo successivo presenta, in sintesi, le caratteristiche del sistema innovativo italiano. 3. Analisi descrittiva 3.1 Il sistema innovativo italiano Negli ultimi anni il sistema innovativo italiano è stato oggetto di numerose analisi empiriche. Un elemento importante, messo in evidenza dalla letteratura (Pavitt, 1984; Levin et al, 1987; Archibugi et al, 1991; Evangelisti, 1994; Mattioli e Sterlacchini, 1998), ha riguardato la presenza di molteplici e differenziate fonti innovative e la loro variabilità rispetto alla dimensione e al settore industriale delle imprese. Uno degli studi più recenti sul ruolo delle attività innovative, quello di Mattioli e Sterlacchini (1998), propone un’analisi settoriale del processo innovativo che caratterizza l’industria manifatturiera italiana e si interessa delle modalità con cui tale processo si esplica nei diversi settori produttivi. Utilizzando i dati di fonte ISTAT (1995), gli autori individuano la presenza di differenziati percorsi settoriali del processo innovativo, assimilabili a quelli individuati da Pavitt (1984): imprese appartenenti a settori diversi tendono ad attivare le varie fonti dell’innovazione con differente intensità; inoltre, è diversa l’efficacia delle fonti dell’innovazione in termini di aumento delle performance innovative3 . In modo analogo, Archibugi et al (1996), utilizzando la stessa banca dati (ISTAT, 1995), analizzano la diversa natura delle attività tecnologiche nell’industria manifatturiera italiana e ne sottolineano la capacità imitativa. La maggior parte delle spese in attività innovative riguarda, infatti, l’adozione e la diffusione di tecnologie, ovvero l’acquisto di tecnologie “incorporate” (macchine e impianti innovativi), solo un terzo delle spese innovative è rivolto ad attività di R&S, mentre un ruolo nettamente secondario ricopre la spesa in brevetti e per altre attività innovative (progettazione e produzioni di prova). Inoltre, la distribuzione delle spese innovative indica una forte differenziazione sia tra imprese di diversa dimensione (per esempio, le piccole imprese innovano tramite l’acquisizione di macchine e impianti, mentre le grandi hanno una maggiore propensione per investire in R&S), sia tra i diversi settori industriali (per esempio, l’acquisizione di nuove macchine e impianti rappresenta la principale fonte tecnologica per la maggior parte dei settori produttivi di beni di consumo tradizionale). In sintesi, la distribuzione delle attività innovative per settore industriale e per dimensione di impresa sembra mostrare che la realtà produttiva italiana è caratterizzata dal ruolo rilevante dei settori tradizionali e delle piccole imprese e che i processi di innovazione tecnologica sono concentrati in pochi settori industriali e in un gruppo ristretto di grandi imprese. Malerba e Gavetti (1996) confermano in parte tali risultati, in quanto identificano due subsistemi innovativi: il primo è quello delle piccole e medie imprese con limitata attività di R&S operanti nella meccanica strumentale, nei distretti industriali e nei settori tradizionali, caratterizzato dall’adozione e dall’adattamento delle tecnologie prodotte da altri. Tale subsistema ha avuto buone performance a livello internazionale, grazie all’individuazione di specifiche nicchie di mercato su cui ha poi sviluppato prodotti dedicati. Il secondo subsistema gravita intorno all’alta tecnologia ed è, invece, caratterizzato da una scarsa performance tecnologica e innovativa a livello internazionale causata dalla riduzione delle spese in R&S, dal basso grado di internazionalizzazione delle imprese, dalla ridotta innovatività della domanda nazionale, nonché dalle scarse relazioni tra industria, università e centri di ricerca. Bussolati e Dosi (1995) introducono ulteriori elementi di riflessione e identificano nell’assenza di un cuore oligopolista di grandi imprese uno dei problemi fondamentali dell’industria italiana. Tale assenza, secondo gli autori, tende a ridurre la capacità innovativa delle piccole-medie imprese in quanto riduce la domanda di inputs tecnologicamente sofisticati, limita la possibilità di spin-off e, infine, non contribuisce sufficientemente alla formazione di una classe manageriale professionista. Bussolanti et al (1995), invece, attribuiscono alla modesta dimensione nel mercato nazionale e all’assenza di istituzioni specializzate nel finanziamento delle attività innovative la riduzione di iniziative innovative, caratterizzate tra l’altro da elevata incertezza e da costi di R&S molto alti. Inoltre, le barriere protezionistiche di cui hanno goduto alcuni settori ad alta tecnologia (come il settore del nucleare) hanno ridotto gli incentivi alla crescita internazionale delle imprese italiane e alla ricerca di autonomia tecnologica dai maggiori fornitori stranieri di tecnologia. Questa breve rassegna sottolinea alcune peculiarità del sistema innovativo italiano e contestualmente suggerisce che molti aspetti che lo caratterizzano necessitano di ulteriori interpretazioni. Per contribuire ad alimentare il dibattito sul ruolo della tecnologia, il presente lavoro si propone di analizzare le attività innovative delle imprese manifatturiere italiane utilizzando come indicatore di spesa gli investimenti in R&S. Prima di presentare il campione di imprese analizzato in questo lavoro, è utile fornire un quadro di riferimento generale della dimensione in Italia degli investimenti in R&S. Una prima evidenza è che la quota della spesa in R&S rispetto al PIL è strutturalmente inferiore a quella di numerosi paesi membri dell’OCSE4 . Inoltre, le attività di R&S risultano essere fortemente concentrate a livello settoriale, interessano prevalentemente il segmento delle grandi imprese e l’area centro settentrionale del paese5 (ISTAT, 1999 e 2001). I dati utilizzati di questo articolo sono tratti dalle indagini di Mediocredito Centrale sulle imprese manifatturiere italiane6 . Utilizzando la Sesta e Settima indagine, è stato costruito, per il periodo 1992-1997, un panel bilanciato di 667 imprese7 , con l’obiettivo di indagare sull’entità delle attività innovative, nonché sul ruolo che esse hanno nel determinare la performance delle imprese. 3.2 Investimenti in R&S e capitale tecnologico Questo paragrafo presenta i dati degli investimenti in R&S e del capitale tecnologico di un campione di imprese innovatrici, e descrive alcune regolarità empiriche osservate per settore economico, area di localizzazione e classe dimensionale delle imprese. Tabella 1 Al fine di verificare la presenza di comportamenti specifici delle imprese che svolgono al proprio interno attività innovative, le 667 imprese del campione sono state suddivise in imprese innovatrici (399) e imprese non innovatrici (268). Tale ripartizione è stata effettuata considerando innovatrici le imprese che hanno effettuato investimenti in Ricerca e Sviluppo per almeno tre dei sei anni considerati8 . Le caratteristiche generali del campione sono riportate nella tabella 1 che, oltre a mostrare una misura della presenza relativa delle imprese innovatrici (I), analizza la loro consistenza assoluta per settore di attività economica, area geografica e classe di addetti9 . Relativamente all’oggetto specifico di questo paragrafo, l’entità delle attività innovative è misurata sia in termini di flusso, utilizzando i dati degli investimenti in Ricerca e Sviluppo, sia in termini di stock, attraverso la determinazione del capitale tecnologico ottenuta con il metodo dell’inventario permanente10 . Data al serie storica degli investimenti in Ricerca e Sviluppo, lo stock di capitale tecnologico (CT) è dato dall'equazione dinamica: (3) CTit = CTit −1 (1 − δ ) + I itR &D in cui δ rappresenta il tasso di deprezzamento del capitale tecnologico - che è pari, per ipotesi11 , a 0.15 – e I itR & D indica gli investimenti in Ricerca e Sviluppo dell’i-esima impresa nell’anno t. Il valore del capitale tecnologico nell’anno iniziale della serie storica (t=0) è dato dalla seguente espressione: I itR=&0 D (1 + g ) (4) CTit = 0 = g +δ dove g indica il tasso di crescita medio degli investimenti in R&S osservato nel settore di appartenenza 12 . I risultati ottenuti sono presentati nella tabella 2. Un primo elemento da considerare è che dal 1992 al 1997 la spesa in R&S è strettamente legata alle decisioni di investimento di poche imprese. Infatti, 20 imprese, pari al 5% dell’intera popolazione di imprese innovatrici, assorbono circa il 67% delle spese in R&S e detengono circa il 69% del capitale tecnologico; mentre 199 imprese, pari al 50% delle imprese innovatrici, assorbono circa il 97% della somma complessiva di spese in R&S e del valore aggregato del capitale tecnologico13 . Tale concentrazione è confermata dagli indici di posizione che, per entrambe le variabili, presentano una distribuzione nettamente spostata a destra. Relativamente ai dati riguardanti l’intensità14 e lo stock degli sforzi innovativi disaggregati per settore economico, dimensione e localizzazione delle imprese, ciò che emerge è che le spese in R&S e il capitale tecnologico sono mediamente pari, rispettivamente, al 7% ed al 29,2% del valore aggiunto. I settori che presentano maggiori intensità sono le industrie di fabbricazione dei mezzi di trasporto (pari a 21,1% per le Spese in R&S ed a 83,3% per il capitale tecnologico) e dei prodotti chimici (pari a 12,6% ed a 68,5%); i settori meccanico ed elettrico presentano, invece, un valore dell’intensità degli investimenti in R&S in linea con il dato medio, così come il settore della raffinazione del petrolio che, però, rispetto alla dimensione relativa del capitale tecnologico, fa registrare un valore (40,9%) molto più alto della media 15 . Per quanto riguarda l’analisi per aree geografiche, l’intensità delle spese in R&S è simile nelle diverse circoscrizioni, ad eccezione delle imprese localizzate nelle regioni dell’Italia Centrale. Anche per il capitale tecnologico sul valore aggiunto si registra il valore più basso in corrispondenza dell’Italia Centrale (pari a 19,8%), mentre maggiore è l’intensità osservata per le imprese localizzate nel Settentrione (pari a 30,3% per le imprese del Nord Ovest ed a 28,7% per le imprese del Nord Est) e nel Mezzogiorno (pari a 34,1%). Infine, se si disaggrega il campione per classe di addetti, si nota che l’intensità delle spese in R&S e del capitale tecnologico è minore per le piccole imprese (4% e 16,6%, rispettivamente) ed assume un valore più elevato nel caso delle imprese più grandi (7,2% e 30,5%, rispettivamente), confermando in tal modo l’ipotesi Schumpeteriana (Schumpeter, 1942) sul ruolo delle grandi imprese nello sviluppo di attività innovative16 . Tabella 2 3.3 Analisi descrittiva dell’impatto delle attività innovative L’obiettivo di questo paragrafo è di analizzare il ruolo svolto dalle attività innovative nella determinazione della performance delle imprese attraverso l’analisi delle differenze, in termini di dimensione e produttività, tra il gruppo di imprese innovatrici e quello delle non innovatrici. Dalla tabella 3 si può osservare che il valore aggiunto medio delle imprese innovatrici supera quello delle imprese non innovatrici di circa il 60 per cento17 . L’analisi settoriale indica che questo risultato dipende, prevalentemente, dalla performance delle imprese presenti nel settore della carta, del metallo, nell’industria meccanica e nel settore della fabbricazione di minerali non metalliferi. Anche nel settore tessile e chimico le innovatrici hanno una dimensione media maggiore delle non innovatrici (il rapporto tra le dimensioni medie è, rispettivamente, pari a 1,54 e 1,14), ma il loro rapporto è inferiore a quello medio totale (1,60). Se si considera la disaggregazione per settore economico e localizzazione geografica, si nota che nel campione di imprese innovatrici si ha una dimensione media maggiore nel caso delle imprese localizzate nel Nord Ovest e, tra queste, per quelle appartenenti al settore della carta; nel Sud in molti settori non sono presenti imprese innovatrici. Nel campione di imprese non innovatrici, invece, la dimensione media risulta essere più alta nel Mezzogiorno e, in particolare, nei settori della gomma e dei mezzi di trasporto. Dalla classificazione delle imprese per settore e classi dimensionali, emerge che le imprese innovatrici appartenenti alla classe 11-50 addetti hanno una dimensione media maggiore delle non innovatrici in tutti i settori, tranne in quello del legno e degli apparecchi elettrici. Al contrario, non vi è alcuna regolarità nelle altre classi dimensionali. L’analisi di questi dati non sembra indicare alcuna linearità nella relazione tra innovazione e dimensione dell’impresa. Infatti, da una parte, le imprese che innovano hanno una dimensione media maggiore delle imprese che non innovano non solo se si considera il dato a livello aggregato, ma anche se si tiene conto della localizzazione delle imprese e della classe di addetti di appartenenza. Dall’altra parte, però, questo risultato trova conferma, a livello settoriale, solo per le imprese appartenenti alla classe dimensionale 11-50. In tutti gli altri casi, l’analisi settoriale non conferma il risultato. In realtà, la relazione tra innovazione e dimensione è molto complessa e anche la letteratura che si è occupata dell’argomento non è giunta ad una sua chiara interpretazione. L’evidenza empirica mostra che la performance delle piccole imprese è diversa a seconda degli indicatori tecnologici considerati (Sterlacchini, 2001) e dai metodi di valutazione utilizzati (Archibugi et al, 1996). La ricerca economica orientata su questi temi dovrebbe tener conto del ruolo informale che hanno le spese di R&S nelle piccole imprese che non vengono documentate dalle indagini ufficiali (Santarelli e Sterlacchini, 1990). Inoltre, bisogna tener conto che le piccole imprese più che innovare assorbono innovazione: il ruolo svolto dalle piccole imprese non è tanto quello di introdurre innovazione quanto quello di sviluppare innovazioni incrementali. Tabella 3 Un confronto di un certo interesse tra le imprese innovatrici e quelle non innovatrici riguarda le differenze di produttività. Dall’indagine Mediocredito risulta che le imprese innovatrici hanno una produttività del lavoro (107 mln di lire) maggiore di quella osservata per le imprese non innovatrici (103 mln di lire)18 . La maggiore produttività delle imprese innovatrici si ha nei settori del cuoio, carta e minerali non metalliferi, mentre nel settore alimentare e raffinerie di petrolio sono le imprese non innovatrici a registrare una maggiore produttività media. Il rapporto tra i valori medi delle produttività relativamente agli altri settori non mostra altre differenze rilevanti (Tabella 4). Così come per la dimensione, anche per la produttività il dato aggregato può essere letto in termini di area geografica e classe dimensionale. La distribuzione della produttività del lavoro delle imprese classificate per settore di attività economica e area geografica mostra che, tra le imprese innovatrici, quelle con una maggiore produttività sono localizzate nel Nord d’Italia, mentre nel gruppo delle non innovatrici le migliori performance si hanno in Italia Centrale. Infine, il Mezzogiorno è l’area in cui si registra la più bassa produttività, a prescindere dal gruppo di appartenenza (innovatori e non) 19 . A livello di settori, tra le imprese innovatrici la produttività è più elevata nel caso delle imprese settentrionali appartenenti al settore della chimica (152 mln di lire nel Nord Ovest e 215 mln di lire nel Nord Est) e delle imprese del Nord Ovest dell’industria della carta (187 mln di lire), mentre i valori più bassi della produttività si hanno in alcuni settori (minerali non metalliferi, macchine e tessile) dell’area meridionale del paese. Da un punto di vista dei confronti tra imprese innovatrici e non, appare interessante notare che i divari di produttività sono rilevanti nel caso delle imprese di piccole dimensioni (102 milioni di lire per le innovatrici e 86 per le non innovatrici), diminuiscono quando si considera la classe intermedia (94; 89) e diventano marginali nel caso delle imprese di grande dimensione (110;109)20 . Tabella 4 Infine, la tabella 5 riassume le statistiche descrittive di alcune variabili economiche delle imprese innovatrici, delle imprese non innovatrici e del campione totale. In estrema sintesi, si osservi che le imprese innovatrici presentano in media indicatori di dimensione (valore aggiunto, addetti) e di produttività, maggiori di quelli osservabili per le imprese non innovatrici. Al contrario, i tassi di crescita della produttività del lavoro nel periodo in esame sono maggiori nel caso dei non innovatori. Dai dati sulla produttività (valori medi e tassi di crescita) si ricava, pertanto, che ad inizio periodo, nel 1992, i divari tra i due gruppi di imprese erano ancora più marcati e a favore delle imprese innovatrici. In conclusione, dall’analisi dei dati non sembra emergere un forte nesso causale tra innovazione e prestazioni economiche delle imprese. Probabilmente ciò dipende dal fatto che imprese appartenenti a settori diversi o a diverse classi dimensionali tendono ad attivare diverse fonti innovative con diversa intensità. Per cui avere basato l’analisi esclusivamente su dati in R&S, anche se essa è la principale fonte innovativa, può avere contribuito a questo risultato. Tuttavia, pur considerando i limiti dell’analisi proposta, è possibile concludere che: se si considera la dimensione settoriale, per alcuni settori (cuoio, carta e minerali) vale il binomio innovazione-produttività; per altri (alimentare e raffinerie) vale il contrario; mentre per tutti gli altri la relazione non è chiara. Dall’analisi territoriale è possibile affermare che il Sud è meno produttivo del Nord sia se si è innovatori sia se non lo si è. Tuttavia, considerata la letterata sull’argomento (cfr. nota 19), è plausibile affermare che il divario di produttività osservato a livello di impresa non dipenda solo dal grado di innovatività del sistema. L’analisi dimensionale, infine, mostra che è rilevante la differenza in termini di produttività tra innovatori e non innovatori solo per le piccole imprese. Tabella 5 4. L’analisi econometrica 4.1 Il modello e le variabili utilizzate In questo paragrafo si specifica il modello utilizzato per verificare la relazione tra la produttività e il capitale tecnologico delle imprese manifatturiere italiane innovatrici21 e si presentano le variabili utilizzate nell’analisi econometrica. L’impatto delle attività innovative sulla produttività delle imprese (cfr. par. 2), può essere affrontato inserendo in una funzione di produzione una misura dello stock di conoscenza tecnologica, che per sua natura, può essere considerato alla stregua di un bene pubblico. Ciò implica che la produttività di un’impresa non dipende soltanto dal proprio livello tecnologico, ma anche dal risultato degli investimenti in attività innovative delle altre imprese. Pertanto, se l’analisi delle determinanti del prodotto per addetto dell’i-esima impresa che opera nel j- esimo settore deve includere l’impatto degli spillovers tecnologici settoriali ( SPILLSET ) e degli spillovers tecnologici intersettoriali j ( SPILLINTER ), l’equazione sottoposta a verifica econometrica diventa: j INTER (5) yitj = aijt + λT + αk ijt + δhijt + γct ijt + µSPILLSET + ηl ijt + εijt jt + ξSPILLjt in cui aijt è un parametro che include i fattori specifici dell’i-esima impresa e T è la variabile trend. Le altre variabili sono espresse in forma logaritmica e sono cosi definite: (a) y ijt rappresenta per l’anno t il valore aggiunto per addetto dell’impresa i che opera nel settore j; (b) k ijt indica il capitale fisico per addetto. Lo stock di capitale fisico (Kijt ) è ottenuto utilizzando il metodo dell’inventario permanente (cfr. equazioni 3 e 4) ed ipotizzando un tasso di deprezzamento degli investimenti pari al 5%; (c) Lijt sono gli addetti dell’impresa i al tempo t; (d) hijt è lo stock di capitale umano (Hijt ) per addetto. Hijt è approssimato dalla funzione H it = eφS it , dove S it esprime la scolarizzazione degli addetti dell’impresa i al tempo t, mentre il parametro φ indica il tasso di rendimento della scolarizzazione22,23, posto pari al 7,5%, così come stimato per l’Italia da Trostel et al (2002)24 ; (e) ct ijt indica il capitale tecnologico per addetto (cfr. K par. 3). Infine, INTER ij SPILL = ∑ ωr j CTr e SPILLSETT = ωjj CT j ij rappresentano, r =1 r≠ j rispettivamente, gli spillovers tecnologici intersettoriali e settoriali delle imprese appartenenti al j-esimo settore, con j=1,2,………..K25 . Il coefficienteωrj indica il generico elemento di una matrice di pesi KxK dei flussi di innovazione tecnologica al tempo t dal settore r al settore j; ωjj rappresenta la quota di innovazione prodotta e utilizzata nel settore j; CT j è lo stock capitalizzato degli investimenti in Ricerca e Sviluppo in ogni settore26 . Tutte le variabili in valore sono espresse a prezzi costanti (1995=100). 4.2 Metodo di stima e primi risultati empirici Come abbiamo ricordato, nell’equazione (5) il termine aijt cattura l’effetto sulla produttività determinato da fattori non osservabili. Sotto l’assunzione che il termine aijt sia costante nel tempo ed uguale per tutte le imprese (aijt = a ), le stime OLS della (5) sono BLUE, a condizione che il termine di errore εijt sia un white noise. Tuttavia, questa assunzione su aijt sembra poco verosimile, in quanto alcune variabili omesse (per esempio, qualità dei fattori produttivi, management) sono caratteristiche dell’impresa (firm specific) e variano da un’impresa all’altra. In presenza di questa eterogeneità non osservata, la covarianza tra εijt e i regressori non è nulla e il modello è mal specificato. Si può ragionevolmente assumere, quindi, che questi fattori non osservabili catturino caratteristiche diverse tra le imprese che rimangono costanti da un anno all’altro. Sotto tale assunzione, vale l’uguaglianza a ijt = aij . Da un punto di vista empirico, i risultati dipendono dalla natura della costante a ij , che può essere rappresentata come un effetto fisso oppure come un effetto random. Un’ulteriore assunzione teorica ed econometrica che giustifica l’utilizzo dell’equazione (5) è che i regressori siano predeterminati. Per tener conto di questo problema, in tutti i modelli stimati le variabili esplicative sono ritardate di un periodo. Tale scelta non risolve integralmente il problema dell’impatto sulle stime dell’endogeneità dei fattori produttivi. Tuttavia, essa rappresenta un tentativo per minimizzare le distorsioni dovute all’eventuale simultaneità che si osserva a livello di impresa tra le scelte del livello di output e quelle dell’impiego degli inputs. I risultati ottenuti stimando l’equazione (5) sotto le tre diverse assunzioni su aijt sono sintetizzati nella tabella 6. La prima colonna di dati si riferisce al modello pooled cross section con intercetta comune ( aijt = a ). Nella seconda e nella terza colonna di dati si riportano le stime del modello, rispettivamente, ad effetti fissi ed ad effetti random. Le stime sono ottenute applicando i GLS ponderati, assumendo eteroschedasticità tra le 385 cross-section27 . Per quanto concerne la scelta del modello, si osservi che le statistiche di Hausman e di Breusch-Pagan (LM test) suggeriscono che nel periodo 1992-1997 la migliore specificazione dell’equazione della produttività delle imprese manifatturiere italiane è rappresentata dal modello ad effetti fissi. Dal punto di vista dei risultati ottenuti, la prima osservazione riguarda il contributo del capitale fisico nella determinazione della produttività del lavoro. Coerentemente con le aspettative, i dati indicano che l’elasticità del capitale fisico è sempre statisticamente significativa ed assume, nel caso del modello ad effetti fissi, un valore pari a 0.31, che è in linea con la quota del capitale nella ripartizione del valore aggiunto. Per quanto riguarda il capitale umano, il segno del relativo coefficiente è quello atteso e statisticamente positivo. Le evidenze sulla nostra proxy del capitale umano sono coerenti con quelle emerse in altri lavori [cfr. per es. Bugamelli e Pagano (2001), Colussi (1997), Trostel et al (2002), Psacharopulos (1994)]. Passando ai risultati relativi all’obiettivo specifico di questa verifica econometrica, si può notare che mediamente la produttività del lavoro delle imprese innovatrici italiane è positivamente dipendente dallo stock di capitale tecnologico. Questo risultato è osservabile in tutte le regressioni stimate e, nel caso specifico del modello ad effetti fissi, l’elasticità risulta pari a 0.14. Dai dati della tabella 6 si ottiene, inoltre, una valutazione del legame tra la produttività del lavoro e gli spillovers tecnologici. Anche in questo caso, il modello che meglio si adatta ai dati è quello ad effetti fissi (la statistica di Hausman è pari a 52,95). L’inserimento degli indicatori dell’adozione dell’innovazione altrui non altera i parametri stimati nella regressione di base. In particolare, l’elasticità stimata della tecnologia interna rimane pari a 0.14. Inoltre, si osservi che la stima dell’elasticità della produttività delle imprese rispetto allo stock di capitale tecnologico del settore di appartenenza è significativa e pari a circa 0.08. Al contrario, la non significatività del parametro relativo agli spillovers intersettoriali rende non interpretabile il segno negativo della stima. Dunque, assumendo che la proxy utilizzata per catturare gli effetti della conoscenza tecnologica sia valida, le nostre stime indicano che gli effetti positivi associati alla diffusione della tecnologia prevalgono sulla distruzione creativa di Schumpeter solo nel caso degli spillovers settoriali, mentre risulta essere neutro l’impatto netto associato ai flussi intersettoriali di innovazione. 4.3 Stabilità dell’elasticità del capitale tecnologico Finora le stime sono state effettuate con l’intento di ottenere una valutazione media dell’elasticità del capitale tecnologico delle imprese manifatturiere italiane. Appare utile, quindi, approfondire l’analisi tentando di verificare se il modello considerato è strutturalmente stabile. In particolare, si intende verificare se il parametro di nostro interesse, l’elasticità del capitale tecnologico, varia quando si considerano gli eventuali effetti sulle stime determinate dal settore, dalla dimensione e dalla localizzazione delle imprese. A tal fine, il modello ad effetti fissi28 è stato stimato includendo l’interazione tra lo stock di capitale tecnologico dell’impresa e delle variabili dicotomiche introdotte per catturare gli effetti localizzativi, settoriali e dimensionali dell’impresa. I risultati di questa verifica sono riportati nella tabella 7, da cui risulta che l’introduzione dei nuovi regressori altera solo marginalmente le stime presentate nel precedente paragrafo. Inoltre, i coefficienti delle variabili prodotto tra capitale tecnologico e variabili dummies sono interpretabili come la variazione dell’elasticità rispetto al parametro stimato per il gruppo di imprese di controllo 29 . Per quanto riguarda gli effetti esercitati dalla dimensione aziendale sull’elasticità del capitale tecnologico, si ottiene che l’elasticità stimata per il gruppo delle imprese di grandi dimensioni (>250 addetti) è pari a 0.16. Rispetto a questo valore, le imprese più piccole (numero di addetti compreso tra 11 e 50 unità) e quelle di media dimensione (51-250 addetti) registrano un’elasticità minore, pari, rispettivamente, a 0.08 e 0.09. Dal punto di vista della verifica dell’ipotesi in base alla quale l’elasticità del capitale tecnologico possa dipendere dalla localizzazione delle imprese, emerge che l’elasticità del gruppo di controllo, le imprese del Mezzogiorno d’Italia, è statisticamente significativa, ma assume un valore pressoché nullo (0.0002); mentre per le imprese localizzate nelle altre aree del Paese l’elasticità stimata è significativamente maggiore ed è pari a 0.09 per le imprese del Centro, a 0.16 per quelle del Nord Ovest e a 0.168 per le imprese del Nord Est. L’ultimo aspetto analizzato riguarda la relazione tra l’elasticità del capitale tecnologico e il settore di appartenenza delle imprese. In questo caso, la stima del coefficiente del gruppo di controllo (Pavitt 1) è pari a 0.13 e nessuno degli altri tre settori (Pavitt 2, Pavitt 3 e Pavitt 4) registra variazioni statisticamente diverse da esso. Ciò implica che, con riferimento al periodo esaminato in questo lavoro (1992-1997), l’elasticità del capitale tecnologico delle imprese del nostro campione non varia al variare del settore economico in cui l’impresa opera. Tabelle 6 e 7 5. Conclusioni Questo lavoro propone una verifica empirica dell’impatto del capitale tecnologico sulla produttività delle imprese manifatturiere italiane. I dati utilizzati sono tratti dalla Sesta e Settima indagine del Mediocredito Centrale e si riferiscono ad un panel bilanciato di 385 imprese innovatrici. Si è stimata una funzione di produzione per addetto di tipo Cobb-Douglas aumentata dei fattori produttivi diversi da quelli tradizionali. Infatti, nell’analisi, accanto allo stock di capitale fisico, sono stati inclusi una proxy del capitale umano e lo stock accumulato degli investimenti in Ricerca e Sviluppo. Dalle stime econometriche si ottengono conferme delle indicazioni teoriche sul ruolo della tecnologia come fattore di crescita. In particolare, si è mostrato che in media l’elasticità del prodotto per addetto rispetto allo stock capitalizzato degli investimenti in Ricerca e Sviluppo è pari a 0.14. Tale risultato è in linea con quello ottenuto in Germania, Francia e negli USA (Harhoff, 1998; Hall e Mairesse, 1995; Mairesse e Hall, 1996). Inoltre, l’evidenza empirica permette di rilevare diversi valori dell’elasticità a seconda dell’appartenenza dell’impresa ad un settore economico, ad un’area geografica o ad una determinata classe dimensionale. Da un punto di vista della presenza di eventuali effetti di scala, si è osservato che le imprese di media (51-250 addetti) e grande (> 250 addetti) dimensione fanno registrare un’elasticità del capitale tecnologico maggiore di quella stimata per le imprese di piccola dimensione (11-50 addetti). L’impatto della localizzazione si riflette in un’elasticità pressoché nulla per imprese del Mezzogiorno d’Italia, mentre i valori più elevati sono quelli delle imprese localizzate nelle regioni settentrionali. Infine, l’elasticità del capitale tecnologico è uguale in tutti i settori economici in cui operano le imprese. Un ultimo risultato che emerge da questo lavoro è che le imprese manifatturiere italiane traggono benefici dalla diffusione tecnologica che si verifica nel settore di appartenenza, mentre risulta essere indeterminato il ruolo delle innovazioni che ciascuna impresa assorbe dagli altri settori. Quest’ultimo risultato merita ulteriori approfondimenti, data la specificità del sistema industriale italiano, in cui le imprese più che innovare assorbono innovazione altrui. Tabella 1 Consistenza assoluta delle imprese manifatturiere italiane innovatrici e non innovatrici classificate per settore di attività economica, area geografica e classe di addetti (1992-1997). Imprese Innovatrici Imprese non Innovatrici Indice di presenza relativa di imprese Settore economico innovatrici (I) Alimentare 11 23 0,54 Tessile e abbigliamento 57 48 0,91 Cuoio 4 4 0,84 Legno 5 7 0,70 Carta, stampa e editoria 20 31 0,66 Raffinerie di petrolio 1 4 0,33 Chimica 25 10 1,19 Gomma e plastica 24 16 1,00 Minerali non metalliferi 24 21 0,89 Metallo e prodotti in met. 46 45 0,85 Macchine e app. mecc. 108 36 1,25 App. elettrici e precis. 39 13 1,25 Mezzi di trasporto 25 5 1,39 Altre ind. manifatturiere 10 5 1,11 399 268 1,00 Totale Imprese Innovatrici Classi Nord dimensionali Ovest Nord Centro Sud Imprese non Innovatrici Totale Est Nord Nord Ovest Est Centro Sud Totale (n. addetti) Piccole 31 15 12 3 61 40 12 18 7 77 119 40 15 5 179 69 37 15 10 131 104 39 9 7 159 32 13 9 6 60 254 94 36 15 399 141 62 42 23 268 (11-50) Medie (51-250) Grandi (>250) Totale Nota: Ii=q i /QINN, dove qi è la quota delle imprese innovatrici sul totale delle imprese dell'i-esimo settore e QINN rappresenta il peso delle imprese innovatrici rispetto al totale del campione. Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito Tabella 2 Distribuzione e Intensità degli Investimenti in R&S e del capitale tecnologico. Classificazione per settore economico, area geografica e classe di addetti. Valori medi 1992-1997. Dati in valore espressi in milioni di lire (1995=100) R&S Distribuzione (N. Imprese) 5% (20) 20% (80) 50% (199) 75% (299) Media CV Asimmetria Mediana Conteggio Settori economici Alimentare Tessile e abbigliamento Cuoio Legno Carta, stampa e editoria Raffinerie di petrolio Chimica e fibre sintetiche Gomma e plastica Minerali non metalliferi Metallo e prodotti in metallo Macchine e app. meccanici App. elettrici e di precisione Mezzi di trasporto Altre ind. manifatturiere Area Geografica Nord Ovest Nord Est Centro Sud Classe di Addetti Piccole (11-50) Medie (51-250) Grandi (>250) Intensità Totale Valore medio 35448 11593 5137 3496 2636 4,25 10,04 367 Capitale tecnologico Quota 67,4% 88,2% 97,2% 99,4% 399 Valore medio Quota 151869 49297 21605 14665 11052 4,51 10,15 1343 68,9% 89,4% 97,5% 99,4% 399 R&S/Valore Aggiunto Capitale Tecnologico/Valore Aggiunto 1,5% 2,8% 3,3% 3,8% 1,3% 6,7% 12,6% 2,2% 1,1% 3,0% 7,2% 6,3% 21,1% 2,0% 6,6% 8,0% 8,4% 9,8% 5,3% 40,9% 68,5% 9,7% 4,6% 12,5% 27,2% 24,3% 86,3% 8,1% 7,0% 7,4% 5,3% 7,8% 30,3% 28,7% 19,8% 34,1% 4,0% 6,0% 7,2% 7,0% 16,6% 23,0% 30,5% 29,2% Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito Tabella 3 Dimensione media (VA/Numero Imprese) delle imprese manifatturiere italiane. Classificazione per settore di attività economica, area geografica e classi dimensionali di addetti (1992-1997). Dati in valore espressi in milioni di lire (1995=100) Area geografica Innovatori Settori Innovatori Non inn. Rapporto Nord Nord Centro Numero di addetti Non Innovatori Sud Nord Nord Ovest Est Innovatori Centro Sud Piccole Medie Non Innovatori Grandi Piccole Medie Grandi economici (a) (b) (a/b) Ovest Est Alimentare 23369 30273 0,77 19056 19331 50123 11436 45150 6931 7837 16031 4043 15390 70621 2743 11801 251405 Tessile 21638 14056 1,54 23733 23508 4605 20210 15650 18238 7932 5545 4096 10300 36588 2875 7041 45711 Cuoio 9826 24131 0,41 - 9829 9823 - 6863 - - 75937 - 9826 - - 6863 75937 Legno 6196 7635 0,81 7707 7370 1162 - 7665 7594 - - 1226 9508 - 1955 11894 - Carta 66704 25934 2,57 94119 20227 39680 - 36331 10356 20694 - 2530 15094 150400 2387 11416 109000 Raffinerie 4892 65489 0,07 - - 4892 - 40206 - 217484 2133 4892 - - 2133 40206 217484 Chimica 59539 52006 1,14 65302 7752 42272 1810 61892 3797 64714 7015 5694 11300 107085 3380 23522 96603 Gomma 10007 13440 0,74 10122 10180 8605 - 7014 6785 4748 121839 4005 10287 25777 2480 7570 121839 Minerali 47753 14905 3,20 65118 47356 10572 6111 5521 22693 22292 10911 3688 12355 113490 2817 6220 59474 Metallo 45130 17693 2,55 49246 35019 6843 46771 19413 17382 6922 12293 5852 14618 83958 3236 10400 38952 Macchine 32248 16193 1,99 26321 48177 6412 22844 18168 17100 7810 12189 2868 11133 73535 2353 9192 44033 App. elettrici. 45871 65375 0,70 44060 24350 207860 17530 45972 85266 135404 1458 2783 13635 73740 3463 14878 133800 Trasporto 67481 82772 0,82 66304 66649 71282 72331 - 18110 - 341421 - 11611 111378 8760 10595 192874 Altro 28013 11636 2,41 5657 38154 28700 20649 12192 9004 18977 - 3293 13438 57485 - 11636 - Totale 37817 23642 1,60 39204 37659 31492 30508 23351 18179 28101 32005 3821 11879 80061 2872 9722 80688 Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito. (11-50) (51-250) (>250) (11-50) (51-250) (>250) Tabella 4 Produttività del lavoro (VA/Addetti) delle imprese manifatturiere italiane. Classificazione per settore di attività economica, area geografica e classi dimensionali di addetti (1992-1997). Dati in valore espressi in milioni di lire (1995=100) Area geografica Innovatori Settori Innovatori Non inn. Rapporto Nord Nord economici (a) (b) (a/b) Ovest Est Alimentare 103 228 0,45 83 114 134 Tessile 76 68 1,12 77 75 Cuoio 73 35 2,07 - Legno 71 80 0,89 Carta 167 128 Raffinerie 110 Chimica Non Innovatori Nord Centro Sud Piccole Ovest Est 85 271 79 107 150 128 75 53 72 65 54 46 58 96 - 55 - - 67 73 58 - 90 69 1,30 187 128 121 - 137 379 0,29 - - 110 - 151 151 1,00 152 215 111 Gomma 94 104 0,90 97 82 Minerali 119 92 1,30 126 Metallo 115 99 1,16 Macchine 101 87 App. elettr. 111 Trasporto Medie Non Innovatori Grandi Piccole (>250) (11-50) 92 111 101 111 386 106 86 73 79 67 67 32 - 73 - - 55 32 - - 65 71 - 59 83 - 99 120 - 86 103 179 86 100 139 274 - 428 120 110 - - 120 274 428 85 181 158 138 154 174 136 151 113 169 152 108 - 86 88 74 130 93 102 74 72 85 130 119 78 41 70 108 132 55 86 82 126 72 71 101 115 127 71 100 100 109 68 67 116 107 116 85 98 101 1,16 95 109 124 54 91 85 88 69 86 92 103 71 81 91 96 1,16 116 129 101 66 102 100 87 80 77 108 112 89 115 95 84 88 0,96 92 87 46 93 - 102 - 86 - 86 84 216 75 86 Altro 112 90 1,25 68 122 94 122 56 84 168 - 83 88 119 - 90 - Totale 107 103 1,03 110 91 83 113 93 118 74 102 94 110 86 89 109 Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito. Sud Innovatori Nord 109 Centro Numero di addetti (11-50) (51-250) Medie Grandi (51-250) (>250) Tabella 5 Imprese manifatturiere italiane. Statistiche descrittive delle variabili utilizzate nell’analisi econometrica (1992-1997). Dati in valore espressi in milioni di lire (1995=100) Media CV Mediana Distanza Valore Valore Interquartile Minimo Massimo Valore Aggiunto Totale 32122 2,01 10770 24044 333 812601 Innovatrici 37817 1,85 13963 31254 430 812601 Non Innovatrici 23642 2,33 7013 15622 333 675290 Totale 58744 2,78 15483 39642 0 2839930 Innovatrici 69947 2,79 18983 51292 0 2839930 Non Innovatrici 42064 2,30 12027 29928 0 893695 Totale 303 1,75 125 261 0 5400 Innovatrici 353 1,59 153 324 0 5400 Non Innovatrici 229 2,08 85 159 0 4278 2636 4,43 300 985 0 190114 13 3,77 3 9 0 1000 11052 4,55 1231 3956 0 767100 Produttività del lavoro1 Totale 3,9% 4,74 1,5% 8,3% Innovatrici 3,7% 5,47 1,3% 8,9% Non Innovatrici 4,3% 3,73 2,0% 8,0% Totale 12,2% 4,30 3,4% 9,3% Innovatrici 14,8% 4,44 3,8% 10,2% 8,4% 2,47 3,2% 7,5% 174,1% 12,55 10,5% 31,4% 31,4% 4,53 11,4% 20,4% Stock Capitale Fisico Addetti Totali Spese in R&S Addetti in R&S Stock Capitale Tecnologico Stock Capitale Fisico1 Non Innovatrici Intensità delle Spese in R&S 1 1 Stock Capitale Tecnologico Nota: 1 Variabile espressa in termini di tasso di crescita medio. Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito. Tabella 6 Elasticità del capitale tecnologico delle imprese innovatrici italiane, 1992-1997. Variabile dipendente: produttività del lavoro. Stime GLS Modello base Variabili Pooled Cross Section Costante 3.15 2.71 3.1 2.68 (34.52) (33.07) (22.6) (24.8) -0.041 Trend (t) Effetti Fissi Modello con spillovers Effetti Random Pooled Cross Section Effetti Fissi Effetti Random -0.34 -0.045 -0.04 -0.34 -0.045 (-6.95) (-14.5) (-13.4) (-6.9) (-14.4) (-13.4) Capitale 0.19 0.31 0.26 0.19 0.31 0.26 fisico (k) (20.5) (15.7) (18.8) (20.5) (15.7) (18.8) Capitale 0.04 0.052 0.059 0.05 0.055 0.06 umano (h) (1.45) (2.26) (2.56) (1.49) (2.36) (2.66) Capitale 0.08 0.14 0.11 0.08 0.14 0.11 tecnologico (ct) (13.12) (10.51) (12.33) (13.08) (10.4) (12.3) Spillovers Settoriali 0.01 0.078 0.08 (SPILL Set) (2.29) (2.72) (2.9) Spillovers intersettoriali -0.006 -0.006 -0.0058 (SPILL Int) (-0.78) (-1.16) (-1.13) Lavoro (l) -0.12 -0.015 -0.054 -0.1 -0.013 -0.06 (-3.76) (-1.92) (-3.96) (-2.45) (-2.02) (-4.65) R^2 0.306 0.76 0.34 0.31 0.79 0.36 R^2 corretto 0.29 0.74 0.308 0.76 F-di Fisher 205.57 19.53 147.91 19.52 Hausman test LM test Osservazioni 53.28 52.95 2290 385x6 385x6 2295 385x6 385x6 385x6 385x6 Nota: t-student di White in parentesi Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito.1992-1997).Tabella 17 Tabella 7 Stabilità dell’elasticità del capitale tecnologico delle imprese innovatrici italiane, 1992-1997. Variabile dipendente: produttività del lavoro. Stime GLS Modello ad effetti fissi Variabili Effetto Settore Effetto Dimensione Effetto Localizzativo Trend (t) Capitale fisico (k) Capitale umano (h) Lavoro (l) Spillovers Settoriali_(SPILLSet) Spillovers intersettoriali_(SPILL Int) Capitale tecnologico (ct) CT*D_Pavitt2 CT*D_Pavitt3 CT*D_Pavitt4 -0.34 (-7.73) 0.33 (14.5) 0.04 (1.95) -0.014 (-2.6) 0.067 (2.35) -0.03 (-0.6) 0.13 (6.4) 0.00003 (0.555) -0.00008 (-0.76) 0.00002 (0.29) CT*D_Medie CT*D_Piccole -0.23 (-7.4) 0.32 (14.01) 0.062 (1.89) -0.012 (-2.49) 0.071 (2.62) -0.033 (-0.9) 0.16 (6.87) -0.083 (-2.7) -0.078 (-1,78) CT*D_Centro CT*D_Nord_Est CT*D_Nord Ovest R^2 0.80 R^2 corretto 0.77 F-di Fisher 76.12 Hausman test 64.44 LM test 1335 Osservazioni 385x6 Nota: t-student di White in parentesi Fonte: elaborazioni su dati Mediocredito -0.34 (-7.74) 0.31 (14.06) 0.043 (1.86) -0.009 (-2.5) 0.067 (2.32) -0.037 (-0.668) 0.0002 (2.33) 0.78 0.72 13.86 60.07 1141 385x6 0.09 (2.9) 0.168 (4.41) 0.16 (4.37) 0.809 0.76 19.53 54.54 1212.2 385x6 18 Note 1 Sebbene vi siano diverse misure dell’attività innovativa quale, ad esempio, le indagini dirette sulle attività innovative, le statistiche sul commercio di prodotti ad alta tecnologia, la bilancia dei pagamenti per tecnologia (Archibugi et al, 1996), l’attenzione della letteratura si è concentrata, soprattutto, sull’input e sull’output del processo innovativo, ovvero sugli investimenti in R&S e sui brevetti. Numerosi dubbi sono stati espressi sull’affidabilità di quest’ultimo indicatore (Santarelli e Sterlacchini, 1996; Archibugi et al, 1996; Griliches, 1990), mentre maggiore uso è stato fatto degli investimenti in R&S, in quanto è sembrato più opportuno utilizzare come indicatore del progresso tecnico la variabile che ne è causa piuttosto quella che ne rappresenta l'effetto (Griliches e Mairesse, 1983; Griliches, 1990). Inoltre, uno dei vantaggi degli investimenti in R&S è che in presenza di lunghe serie storiche si può ottenere una proxy dello stock di capitale e, quindi, una misura dell’elasticità della tecnologia. 2 Un modo alternativo è di considerare la tecnologia come una variabile di flusso, approssimabile dall’intensità degli investimenti in R&S rispetto al valore aggiunto. La verifica econometrica della funzione di produzione aumentata dall’intensità delle attività innovative fornisce una stima del tasso di rendimento degli investimenti in R&S (Hall e Mairesse, 1995; Terleckyj, 1974; Wakelin, 2001). Per una valutazione del tasso di rendimento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo nel caso delle imprese manifatturiere italiane si rimanda ad Aiello e Pupo (2003). 3 I settori tradizionali (supplier dominated), che hanno un peso molto rilevante nell’industria italiana, mostrano una prevalenza di spese per addetto rivolte all’acquisto di beni di investimento innovativo; invece, nei settori specialized suppliers e science based vengono attivate fonti di innovazione più complesse, quali attività di progettazione e produzione di prova, nonché attività di R&S. Inoltre, il raggiungimento di risultati apprezzabili dal punto di vista del grado di innovatività dei prodotti è legato alla capacità di attivare tutte le fonti dell’attività innovativa, mentre una migliore performance in termini di innovazioni di processo è associata alla spesa per i beni di investimento innovativi e per le attività di progettazione e produzione di prova. 4 L’Italia ha una spesa per R&S in percentuale del PIL superiore solo a Spagna, Portogallo, Polonia, Ungheria e Messico. In Italia, nel 1998 la spesa per R&S intra-muros delle amministrazioni pubbliche (escluse le università) e delle imprese è stata pari a 15.197 miliardi di lire, di cui 10.713 miliardi di lire (pari al 70,6%) sono stati spesi all’interno delle imprese e la parte restante nel settore pubblico (ISTAT, 2001). 5 Per quanto riguarda la ripartizione settoriale, si osserva che il 70% della spesa in ricerca è concentrata nei settori della fabbricazione di apparecchiature per telecomunicazioni, dei prodotti chimico-farmaceutici, della fabbricazione di autoveicoli, della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici e dei mezzi di trasporto (Istat, 1999). Inoltre, circa il 75% della spesa per R&S intra-muros è sostenuta da imprese con almeno 500 addetti, mentre le imprese con meno di 50 addetti contribuiscono alla spesa per ricerca solo per il 3,2% del totale. Infine, la ripartizione geografica della spesa in R&S indica che il 92% degli investimenti è realizzato dalle imprese delle regioni dell’Italia settentrionale e centrale, di cui il 34% in Lombardia e il 23,2% in Piemo nte (ISTAT, 2001). 6 L’indagine del Mediocredito Centrale è campionaria per le imprese da 11 a 500 addetti e censuaria per le imprese con più di 500 addetti. Essa contiene i dati di bilancio e molte informazioni quali-quantitative di circa 4500 imprese. 7 Per verificare l’impatto degli sforzi innovativi delle imprese si è ritenuto necessario considerare un sottoinsieme omogeneo di imprese in modo da rendere confrontabili i risultati da un anno all’altro. Perciò, dalla base di dati originaria sono state eliminate quelle imprese per le quali si ritenevano inadeguate le informazioni, o perché 19 mancanti o perché contraddittorie. Inoltre, si è proceduto ad imputare i dati mancanti utilizzando il criterio della median imputation (Piccolo, 2000; Di Franco, 2001). In particolare, i dati mancanti degli addetti sono stati imputati attribuendo la mediana della variabile “addetti”, calcolata considerando le imprese dello stesso settore, appartenenti alla stessa classe di fatturato e operanti nella medesima area geografica; i dati mancanti del valore aggiunto sono stati imputati attribuendo la mediana della variabile “valore aggiunto”osservata per le imprese dello stesso settore, appartenenti alla stessa classe di addetti e operanti nella medesima area geografica. I dati sono stati deflazionati utilizzando l’indice dei prezzi alla produzione (anno base 1995), disaggregati per settore economico secondo la classificazione ISTAT Ateco 91. 8 Per tali imprese i dati mancanti relativi agli investimenti in R&S sono stati imputati utilizzando il tasso di crescita medio degli investimenti in R&S osservato nel settore di appartenenza di ciascuna impresa nel periodo 1982-1992. 9 Come si può osservare dalla tabella 1, i settori che presentano un maggior numero di imprese sono il tessile, il settore della produzione di metallo e della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici e, se si fa riferimento solo alle imprese innovatrici, il settore della fabbricazione di apparecchi elettrici e di precisione. Al contrario, un numero esiguo di imprese innovatrici si ha nel settore delle raffinerie di petrolio, della produzione del cuoio e del legno. Inoltre, il settore chimico e le industrie meccaniche, elettriche e della fabbricazione dei mezzi di trasporto presentano una consistenza relativa di imprese innovatrici maggiore della consistenza relativa dell’intero campione. A livello geografico si rileva che il campione Mediocredito ripropone la suddivisione delle imprese osservata per tutto il sistema manifatturiero italiano. Infatti, è molto limitata la presenza di imprese localizzate nel Mezzogiorno, mentre è elevata quella delle regioni del Nord-Ovest d’Italia, dove si rileva una maggiore presenza di imprese di dimensione medio – grande. 10 Il capitale tecnologico delle imprese nel periodo in esame è il risultato di un processo di accumulazione basato sugli investimenti in Ricerca e Sviluppo e, in quanto tale, la sua determinazione necessita della serie storica delle spese in R&S. Pertanto, si è proceduto ad allungare la serie dei dati originariamente disponibili (1992-1997) ipotizzando che questa forma di accumulazione sia iniziata per tutte le imprese nel 1980 ed imponendo alle imprese lo stesso tasso di crescita medio degli investimenti in R&S osservato nel periodo 1982-1992 in ciascun settore economico di appartenenza. Un procedimento analogo per la costruzione del capitale tecnologico è stato seguito da Parisi et al (2002). Una diversa metodologia è stata utilizzata nel lavoro di Del Monte e Papagni (2003) in cui si ipotizza che ciascuna impresa abbia investito, a partire dall’anno di nascita, un ammontare di risorse uguale a quello osservato nel 1992. 11 Fissare δ =0.15 è un’ipotesi consolidata nelle verifiche empiriche che utilizzano stime del capitale tecnologico (Parisi et al, 2002; Hall e Mairesse, 1995; Harhoff , 1998; Del Monte e Papagni, 2003). In alcuni di questi studi (Hall e Mairesse, 1995; Harhoff, 1998) si è utilizzato anche un tasso di deprezzamento più alto, pari al 25%, ma le stime non risultano essere differenti da quelle che si ottengono considerando un tasso del 15%. 12 Partendo dall’equazione (3), il capitale tecnologico al tempo t può essere riscritto considerando gli investimenti in R&S effettuati nel tempo secondo la seguente equazione dinamica: CTit = I itR & D + I itR−&1 D (1 − δ ) + I itR−&2D (1 − δ )2 + ... = ∑ ∞ I R& D s = 0 it − s (1 − δ) s . 20 Indicando con g il tasso di variazione degli investimenti in R&S nel settore di appartenenza, ossia (1 + g ) = I itR & D I itR−&1 D , e assumendo per semplicità che esso sia costante, si s 1 −δ 1+ g = I itR & D . Ponendo t=0 si ricava la (4). s =0 1 + g g+δ 13 Questi risultati sono confermati dall’ISTAT (2001), Archibugi et al (1996), Santarelli e Sterlacchini (1996). 14 L’intensità delle spese in R&S è calcolata come quota del valore aggiunto ed è determinata attraverso la seguente formula: R & S it / VAit , in cui R & S it ottiene: CTit = I itR & D ∑ ∞ ∑∑ i t ∑∑ i t indica le spese in Ricerca e Sviluppo e VAit rappresenta il valore aggiunto dell’i-esima (i=1,2, …, 667) impresa nell’anno t (t=1992,…,1997). Questa espressione è utilizzata per calcolare l’intensità anche delle altre variabili. 15 Queste considerazioni sono conformi con i risultati ottenuti in Francia (Hall e Mairesse, 1995), negli Stati Uniti (Mairesse e Hall, 1996) e nel Regno Unito (Wakelin, 2001) nei quali, però, a differenza del nostro campione, si registra un’intensità delle Spese in R&S molto più elevata dell’intensità media dell’intero campione in corrispondenza del settore elettrico e, nel caso della Francia e Stati Uniti, nel settore farmaceutico. 16 Questi risultati devono essere interpretati con estrema cautela, poiché la relazione tra innovazione e dimensione dell’impresa è complessa. Infatti, alcuni autori ritengono che l’utilizzo dell’indicatore investimenti in R&S sottostimi l’attività innovativa delle piccole imprese in quanto esse tendono ad innovare attraverso l’acquisto di macchinari e impianti innovativi, piuttosto che tramite la generazione interna di nuove tecnologie (Archibugi et al, 1996). Inoltre, alcune analisi empiriche mostrano l’esistenza di una relazione non positiva tra dimensione dell’impresa e intensità della R&S (Bound et al (1984), Cohen, et al (1987), Cohen e Klepper (1996), Sterlacchini (1994)). Per un’analisi sul contributo delle grandi e piccole imprese al progresso tecnologico si rimanda a Sterlacchini (2001). 17 Questa evidenza empirica sembra essere indipendente dalla definizione di imprese innovatrici, in quanto è riscontrata anche in Del Monte e Papagni (2003), i quali, utilizzando la stessa banca dati, definiscono innovatrici le imprese che hanno effettuato spese e hanno occupati in R&S nel triennio 95-97. In questo caso il rapporto tra la dimensione media delle due popolazioni (imprese innovatrici e non innovatrici) nel periodo 92-97 è pari a 2,014 se la dimensione è misurata in termini di addetti per impresa e a 1,722 se la dimensione è indicata dal fatturato medio per impresa. Tuttavia, bisogna considerare che questo risultato può dipendere dal fatto che gran parte delle imprese innovatrici di piccole dimensioni utilizza canali di introduzione dell’innovazione alternativi alla R&S di tipo formale (Santarelli e Sterlacchini, 1996). 18 Questo risultato è in linea con quello ottenuto da Del Monte e Papagni (2003), secondo i quali la produttività del lavoro registrata per le imp rese manifatturiere italiane è pari nel 1997 a 97.72 mln di lire per le imprese innovatrici e a 91.61 mln di lire per imprese non innovatrici. Hall e Mairesse (1995), nel caso della Francia, hanno riscontrato un valore aggiunto per addetto sostanzialmente più alto nel campione delle imprese che investono in R&S (con un valore pari a 170.000 franchi) rispetto al campione che include anche le imprese non innovative (che presenta un valore pari a 150.000 franchi). 19 Una vasta letteratura si è occupata dei divari di produttività tra Nord e Sud. Tra gli altri si considerino i lavori di Siracusano e Tresoldi (1990), Papagni (1995), Sarno (1999), Prosperetti e Varetto (1991), De Stefanis (2000); Bodo e Sestito (1991), Del Monte e Giannola (1997), Ofria (1997). 21 20 Disaggregando l’analisi a livello di settori si rileva che, per le imprese non innovatrici, la più alta produttività registrata nell’industria delle raffinerie di petrolio dipende dalle imprese di media e grande dimensione (in questi casi la produttività è pari a 274 e 428 mln di lire, rispettivamente). E’ da segnalare, inoltre, l’elevata produttività delle imprese di piccola dimensione appartenenti al settore dei mezzi di trasporto (216 mln di lire). Invece, per il campione di imprese innovatrici, la maggiore produttività si rileva per le imprese di grande dimensione dell’industria della produzione della carta (pari a 179 mln di lire) e per le imprese di piccola e media dimensione del comparto chimico (pari a 174 e 151 mln di lire, rispettivamente). 21 La scelta di stimare l’elasticità del capitale tecnologico considerando solo il campione delle imprese innovatrici dipende dalle differenze comportamentali tra i due gruppi di imprese. Un modo per verificare l’esistenza di tali differenze consiste nel sottoporre a verifica econometrica il seguente modello: logYit = a0 + a1DI + λ0T + λ1DI T + α0 log K it + α1DI log K it + β0 log Lit + β1DI log Lit + εit in cui DI è una variabile dicotomica pari a uno se l’impresa è innovatrice e uguale a zero in caso contrario, T esprime il trend (T=1,2,3,4,5,6), K il capitale fisico ed L gli addetti. Si tratta di un metodo che permette di testare la stabilità strutturale dei parametri. Infatti, se il criterio seguito per dividere il campione (essere innovatori o non) non è determinante, allora i parametri a 1 , λ1 , α1 e β1 risulteranno essere statisticamente non significativi e, quindi, si avrà un unico modello ( log Y it = a 0 + λ0 T + α0 log K it + β0 log Lit + ε it ) per tutte le imprese, indipendentemente dai processi di accumulazione in capitale tecnologico. Al contrario, se gli innovatori si comportano in modo diverso dal resto del campione allora si ottiene la stima di due distinte equazioni. I risultati di tale stima sono disponibili su richiesta. Essi confermano che non è possibile tentare di spiegare le determinanti della produzione delle imprese innovatrici utilizzando un modello uguale a quello delle non innovatrici. 22 La scolarizzazione media (Si ) degli addetti dell’i-esima impresa è data dalla seguente relazione: Si =[8*Oi +13*Mi +18*LA i ]/Li dove Oi indica il numero di addetti che hanno frequentato la scuola dell’obbligo, Mi è il numero di addetti che hanno conseguito il diploma di maturità, LA i è il numero di laureati, mentre Li è il numero totale di addetti dell’impresa. La scolarizzazione, pertanto, è una media degli anni di istruzione (8, 13 e 18) dei lavoratori, le cui frequenze sono rappresentate dal numero di addetti per grado di istruzione 23 E’ necessario ricordare che la banca dati del Mediocredito contiene i dati sul totale degli addetti, sul numero delle assunzioni di nuovo personale, sul numero di laureati assunti di anno in anno e solo per l’ultimo anno di ciascuna indagine (1994 e 1997) sulla distribuzione degli occupati per titolo di studio. Pertanto, per ottenere il numero di addetti in possesso del diploma di scuola superiore e della scuola dell’obbligo, per esempio per l’indagine 1995-97, si è proceduto nel seguente modo: sottraendo dallo stock di laureati del 1997 i laureati assunti nel 1997, si è ottenuto lo stock di laureati nel 1996; inoltre, sottraendo dal totale degli occupati i laureati del 1996, si è ottenuto il numero dei non laureati del 1996. La suddivisione dei non laureati tra chi è in possesso del diploma superiore e della scuola dell’obbligo, si è ottenuta imponendo che la percentuale di addetti appartenenti a queste due categorie rimanesse invariata rispetto all'anno di cui si conosceva 22 la distribuzione degli occupati per titolo di studio, cioè rispetto al 1997. La stessa procedura si è applicata per il triennio 1992-1994. 24 Le analisi dell’impatto del capitale umano pervengono a risultati diversi tra loro. Per esempio, nel lavoro di Bugamelli e Pagano (2001) il tasso di rendimento della scolarizzazione degli addetti delle imprese manifatturiere italiane nel periodo 1995-1997 è pari al 3,3%, in Cannari e D’Alessio (1995) è pari al 7%, in Psacharopulos (1994) è il 6,8%, in Colussi (1997) è uguale al 6,6%, mentre in Brunello e Miniaci (1999) è il 5,6%. Tale diversità è da attribuire, probabilmente, sia agli errori di approssimazione commessi nella fase di misurazione del capitale umano sia alle diverse metodologie di analisi utilizzate nei vari studi. 25 Gli indicatori degli spillovers sono determinati al netto del capitale tecnologico dell’impresa quando si considerano gli spillovers settoriali, oppure al netto del capitale tecnologico del settore quando si determinano i flussi intersettoriali. 26 Il sistema dei pesi ωrj è stato costruito utilizzando la matrice dei flussi di innovazioni intersettoriali R, in cui ciascun elemento Rrj indica l’ammontare delle Spese in R&S sostenute dal settore r che il settore j utilizza come bene intermedio per soddisfare una unità della propria domanda finale. Seguendo il procedimento proposto da Momigliano e Siniscalco (1982) e da Leoncini e Montresor (2001), la matrice R può essere definita come R=rB in cui r è la matrice diagonale degli investimenti in R&S settoriali e B = (x )− 1 Ld è un operatore che indica i flussi incorporati nella domanda finale di tipo diretto e indiretto; x e d sono, rispettivamente, le matrici diagonali della produzione settoriale e della domanda finale settoriale, mentre L = (I − A )−1 è la matrice inversa di Leontief. Poiché la matrice R risente di effetti di scala, il sistema dei pesi dei flussi intersettoriali di capitale tecnologico è stato ottenuto dividendo ciascun elemento Rrj per il totale di colonna. In tal modo, si è creata una matrice di pesi (Ω ) in cui il generico elemento ωrj indica la quota delle Spese in R&S sostenute dal settore r e utilizzate dal settore j. La matrice input-output del 1992 elaborata dall’ISTAT è stata utilizzata per calcolare i flussi intersettoriali di innovazione per tutti gli anni del periodo in esame (1992-1997). 27 Le stime del modello Pooled e del modello ad effetti fissi sono state effettuate anche con gli stimatori GLS corretti per l’eventuale contemporanea presenza di eteroschedasticità ed autocorrelazione dei residu i (stimatori di Parks o SUR). Gli errori standard degli stimatori non risultano essere diversi da quelli presentati nella tabella 6. 28 La scelta di presentare solo i risultati ottenuti stimando il modello ad effetti fissi è giustificata dai valori dei test LM e di Hausman riportati nella tabella 7. 29 Ad esempio, se si considera l’effetto settore, il coefficiente associato alla variabile CT*D_Pavitt2 (cfr. tab. 7) indica la variazione dell’elasticità del capitale tecnologico delle imprese appartenenti ai settori di scala rispetto all’elasticità delle imprese appartenenti ai settori tradizionali, che rappresentano il gruppo di controllo. 23 Bibliografia Aiello F., Pupo V. (2003), Il tasso di rendimento degli investimenti in ricerca e sviluppo delle imprese innovatrici italiane, mimeo, Dipartimento di Economia e Statistica, Unical, (sottoposto per pubblicazione) (www.ecostat.unical.it\aiello\aree\inno.htm). Archibugi D., Cesaratto S., Sirilli G. 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