disturbi psicosomatici

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disturbi psicosomatici
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Disturbi psicosomatici
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Introduzione
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Definizione
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Parlare di psicosomatica riguardo alla patologia infantile ci pone fra due scogli: da un lato, dobbiamo descrivere in modo preciso e non esagerando l’estensione diagnostica, la definizione di
psicosomatico e includervi i disturbi più diversi fin dal momento in cui, nel corso di una malattia,
un fattore psicologico, causale o reattivo, può essere scoperto (questa posizione rischia per la
sua estensione di svuotare di qualunque contenuto la nozione stessa di disturbo psicosomatico);
dall’altro lato, esiste il rischio di effettuare delle generalizzazioni a partire dagli studi psicosomatici dell’adulto, dimenticando il carattere specifico delle manifestazioni somatiche del bambino,
in particolare i loro legami costanti con i processi di maturazione e i processi di sviluppo.
Pertanto, conviene delimitare innanzitutto quello che intendiamo con “psicosomatico”, seguendo Kreisler et al. (1974), escludendo da questo campo:
OO le reazioni psicologiche secondarie a malattie somatiche (Cap. 23);
OO gli aggravamenti di malattie somatiche dovuti a difficoltà psicologiche (Cap. 23);
OO le manifestazioni somatiche legate a un meccanismo mentale di conversione (Cap. 15), seb-
bene la differenziazione tra una cefalea da conversione o da simulazione e una cefalea quale
sintomo psicosomatico sia lungi dall’essere facile;
OO infine, le multiple citazioni somatiche di bambini che si esprimono tanto più facilmente con
una lagnanza somatica quanto più il loro ambiente è troppo disposto ad ascoltarli: la fatica, i vari
dolori ne sono esempi frequenti.
Del resto, la polisemia dei termini “psicosomatico” e “somatizzazione” è riscontrabile anche
nelle classificazioni internazionali DSM-IV o ICD-10, dove non viene precisato se il concetto
fa riferimento all’espressione clinica e/o a una partecipazione psicologica concomitante (Fig.
17.1). Nella sezione di tali classificazioni dedicata ai disturbi somatoformi ritroviamo affiancati:
conversione, disturbo fittizio, somatizzazione, ipocondria, dolore cronico, ecc. Sul piano epidemiologico, i tassi di prevalenza dei disturbi a espressione somatica, compresi tra il 2% e il 10%,
sono, anch’essi, molto variabili in funzione delle definizioni applicate (Garralda, 1996).
Punto di vista evolutivo
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Il secondo punto concerne la seguente domanda: la sintomatologia psicosomatica del bambino
presenta una particolarità in rapporto a quella dell’adulto? Bisogna innanzitutto riconoscere che
alla nascita non c’è niente di più “psicosomatico” di un neonato: il corpo occupa un posto pri-
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III. Grandi raggruppamenti nosografici
Fisiologica
Somatica
Eziopatogenesi
Disturbo
psicosomatico
Psicologica
Disturbo fittizio
Conversione
Somatizzazione
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Espressione
clinica
Disturbo adattativo
a un problema
medico
Ipocondria
Psicologica
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Figura 17.1 Dimensioni psicologiche e fisiologiche associate alla clinica e alla comprensione eziopatogenica
dei disturbi a espressione somatica in età pediatrica. (Modificata da Carr, 2006.)
vilegiato nel vasto campo delle interazioni con l’ambiente, le diverse funzioni fisiologiche (alimentazione, eliminazione sfinterica, tono statico e dinamico, ecc.) sono basilarmente usate per la
comunicazione con l’ambiente, il cui ruolo è, d’altra parte, quello di “mentalizzare” questo comportamento, in particolare grazie alle capacità della madre di indurre illusione anticipatoria nel
bambino. Certi analisti hanno potuto considerare che i sintomi psicosomatici dell’adulto sono la
traduzione di una perturbazione dell’organizzazione fantasmatica, in cui il pensiero funziona su
un modello operatorio, senza che si instauri un dialogo con le immagini fantasmatiche interiorizzate (Marty et al., 1963). Nel bambino, e ciò quanto più egli è piccolo, il dialogo si stabilisce
all’inizio non con delle immagini, ma con le persone reali del suo ambiente: il sintomo psicosomatico prende un posto privilegiato nel sistema di interazione madre-bambino ed è in questa
prospettiva che bisogna inquadrarlo. Si pone allora il problema di sapere se la sintomatologia
psicosomatica che presenta un neonato o un bambino proseguirà sino all’età adulta. Gli studi catamnestici sono ancora troppo poco numerosi e si estendono su tempi troppo corti per rispondere
con rigore a questa domanda. Tuttavia, sembra che l’esistenza di turbe psicosomatiche gravi nella prima infanzia faccia piuttosto da base per organizzazioni ulteriori diverse (Garralda, 1996).
Esiste quindi un’importante differenza con l’adulto poiché il fattore dell’evolutività ci conduce a
un’altra caratteristica propria dei sintomi psicosomatici del bambino: i loro rapporti stretti con gli
stadi maturativi successivi che egli percorre. Numerose manifestazioni psicosomatiche tendono a
presentarsi a età specifiche, mostrando così come i disturbi debbano essere messi in stretta relazione
con la maturazione del funzionamento degli organi e con le caratteristiche dello sviluppo psicologico.
Si potrebbe così schematicamente fare una specie di “calendario” delle manifestazioni psicosomatiche in funzione dell’età (Fig. 17.2).
Fattori eziopatogenici
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A questa relativa specificità in funzione dell’età, certi autori hanno voluto associare una specificità della relazione madre-bambino. Da una valutazione caratteriologica globale della madre
(invadente e iperprotettrice oppure rifiutante e aggressiva o ansiosa) si è in seguito passati a un
modello di interazione caratteristico di una patologia precisa. Spitz (1950) raggruppa così i disturbi psicosomatici secondo due principali tipi di attitudini materne: i disturbi psicotossici, che
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1 anno
0
3 mesi
Colica
idiopatica
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Dolori
addominali
Anoressia
Vomito
6 mesi
2 anni
3 anni
4 anni
Cefalea
5 anni
6 anni
9 mesi
Eczema infantile
Asma
Figura 17.2 Principali espressioni psicosomatiche del bambino in funzione dell’età.
rispondono a relazioni inappropriate madre-bambino, e i disturbi per deficit, che rispondono a
relazioni madre-bambino quantitativamente insufficienti e si associano a depressione anaclitica
e marasma.
Andando più avanti nella spirale di interazioni madre-bambino, è importante valutare non solamente l’influenza dell’attitudine materna sul bambino, ma anche la modificazione di tale attitudine
di fronte ai sintomi del bambino. La madre, in effetti, è particolarmente sensibile alle manifestazioni psicosomatiche del figlio che inducono in lei delle nuove attitudini. L’aggressività, in tal modo,
quella che sottende la relazione madre-bambino, è spesso totalmente annullata nel momento in cui
compaiono i sintomi psicosomatici (aggressività spostata allora sulla relazione madre-medico),
momenti durante i quali la madre prende un ruolo di madre-terapeuta, nel senso in cui lo intende
Winnicott, e il bambino ha come beneficio di “farsi curare” da lei. Il rapporto di cura che la patologia psicosomatica instaura frequentemente fra madre e bambino ci pare fondamentale.
La Tabella 17.1 riassume le principali proposte teoriche relative ai disturbi psicosomatici e i
principi terapeutici implicati (Carr, 2003; Garralda, 1996).
Sul piano pratico, di fronte a un bambino che presenta una sintomatologia fortemente evocatrice
di un problema psicosomatico bisogna condurre un’indagine duplice:
OO da un lato, tentare di mettere in evidenza il “legame psicosomatico” non solamente con lo
studio di una correlazione tra un sintomo e un avvenimento esterno (i vomiti alla partenza della
madre, la cefalea prima del compito di francese), ma anche alla luce delle tappe privilegiate dello
sviluppo che abbiamo citato;
OO dall’altro lato, tentare di cogliere il senso che veicola il sintomo psicosomatico nella spirale
di interazione madre-bambino e il ruolo economico che esso vi occupa.
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Malattie della sfera digestiva
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colica del neonato
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7 anni
La colica del neonato è caratterizzata dal manifestarsi, dopo un intervallo libero della durata di
8-10 giorni, di crisi di pianto irrefrenabili durante le quali il bambino è difficilmente consolabile
e che, il più delle volte, si osservano dopo il pasto serale, al momento in cui il bambino sta per
prendere sonno. L’esame somatico è nella norma: si rilevano soltanto segni funzionali rappresentati da abbondante meteorismo e da frequente emissione di gas intestinale. Le crisi di pianto
terminano quando la madre dà di nuovo il latte al bambino, per poi ricomparire subito dopo. Il
bambino si rilassa e si addormenta in braccio all’adulto dopo che è stato a lungo cullato e calmato anche con il succhiotto.
Questi neonati sono spesso primogeniti, frequentemente di basso peso, dotati di un buon tono
motorio e soprattutto hanno la tendenza a bere o a succhiare con voracità (Stagnara et al., 1997).
Si riscontra anche che a questi bambini sono stati somministrati dei farmaci più spesso rispetto
ad altri.
La frequenza è stimata tra il 10% e il 40% secondo i ricercatori (22% nello studio epidemiologico di Stagnara et al., 1997).
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III. Grandi raggruppamenti nosografici
Tabella 17.1 Teorie e approcci terapeutici nei disturbi psicosomatici del bambino.
Campo teorico
Principi teorici
Principi terapeutici
Vulnerabilità biologica
Vulnerabilità di un organo o di un
sistema legata al patrimonio
genetico o alla storia evolutiva
del bambino, che rivela uno
stress esterno (ad esempio:
evento) o interno (ad esempio:
infezione). Alcuni autori fanno
riferimento a una risposta
generalizzata allo stress che
viene autonomizzata generando
un’improvvisa carenza parziale
delle difese immunitarie
Limitare le esposizioni a stress
o stimoli ai quali il bambino
appare vulnerabile
Psicoanalisi/Psicosomatico
Lo spostamento del conflitto
inconscio generatore di ansia
avviene su un organo. I bambini,
non esprimendo le loro emozioni,
utilizzano la via somatica
per comunicarle
Psicoterapia individuale durante
la quale vengono interpretati
i conflitti proiettati sul terapeuta
Ipnosi durante la quale vengono
suggerite le modificazioni
sintomatiche
Cognitivo-comportamentale
I disturbi psicosomatici si basano
su fattori di rischio complessi
e intricati (ad esempio: stress
psicosociale), di resistenza
interpersonale (ad esempio:
temperamento difficile),
ecologica (ad esempio: ambiente
familiare), di gestione dello stress
(ad esempio: strategia di coping)
Rilassamento per diminuire
il livello di risposta allo stress
Addestramento cognitivo
e psicoeducazione allo stress
e alla gestione dei sintomi
Miglioramento del supporto
sociale se necessario
Sistemico
Alcune difficoltà di adattamento
familiari contribuiscono
allo sviluppo e al mantenimento
dei sintomi somatici (ostilità,
discordia tra i genitori,
iper-rigidità, limiti del gruppo
familiare troppo labili,
riorganizzazione attorno
ai sintomi)
Guida genitoriale
che si dimostra quasi costante
Terapia familiare con l’obiettivo
di modificare le difficoltà
di adattamento e di apprezzare
il valore comunicativo
dei sintomi
Le madri sono state descritte, fin dalle prime ricerche, come particolarmente ansiose e questo tratto è confermato anche negli studi recenti. D’altra parte, si osserva sistematicamente che le coliche
si attenuano o scompaiono quando il bambino è accudito da un altro familiare, come il padre o la
nonna, o dalla baby-sitter. Queste madri ansiose e molto tese dimostrano un’eccessiva sollecitudine verso il loro bambino e un’esagerata impazienza a volerlo calmare. Il pianto del bambino,
infatti, è da loro vissuto sia come un segno di inadeguatezza, sia come un rifiuto da parte del
bambino nei loro confronti, sia come una conferma dell’incapacità di acquietarlo. Questa interazione contrassegnata dall’ansia comporta anche il mancato rispetto dei ritmi propri del bambino.
Spitz individua il fattore scatenante nello scontro fra questa «sollecitudine primaria eccessiva e
ansiosa» della madre e l’ipertonia del bambino: questi manifesta più facilmente di un altro un
certo fastidio e la risposta ansiosa della madre (più spesso per mezzo di un biberon supplementare) non fa che accrescere questo fastidio (sovraccarico gastrico). Il succhiotto (possibilità di
un investimento autoerotico della suzione; succhiotto pacificatore degli autori anglosassoni) o
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il dondolamento (regressione allo stadio narcisistico primario attraverso l’effetto autocalmante)
rappresentano due mezzi fisici per placare tensioni che permettono lo sbocco dell’eccitazione
diffusa scatenata dalla presa del biberon (Szwec, 2004).
La colica cessa sia per via di un miglior atteggiamento messo in atto dalla madre e da lei progressivamente più adeguato al suo bambino, sia anche perché quest’ultimo scopre, con l’età, nuove
vie di scarico delle tensioni: gestualità intenzionale, succhiamento del pollice, ecc.
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Vomito
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Vomito del neonato e del bambino piccolo
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Sintomo particolarmente frequente soprattutto nel neonato. Esiste tutto un continuum tra il semplice rigurgito banale e fisiologico, il grosso “rinvio” e il vero vomito. Teoricamente, il vomito
riguarda un latte che ha già subito il processo della digestione (acrezza dell’odore), all’opposto
di quello che si ha nel rigurgito. La distinzione non è tuttavia sempre facile, tanto più che la fisiologia stessa del cardias (giunzione esofago-stomaco) del neonato rende più facile questi vomiti.
Al di fuori di qualunque anomalia fisiologica (malposizione cardiotuberosa) o di episodi patologici (infezione, disidratazione, ecc.), certi neonati vomitano con una facilità sconcertante.
Spesso si tratta di neonati anoressici (Cap. 7, Anoressia del secondo trimestre) sui quali l’interazione alimentare tra madre e bambino si manifesta in modo conflittuale. I vomiti si alternano
a episodi anoressici. Essi possono associarsi a comportamenti alimentari particolari: rifiuto di
qualunque pezzetto di cibo che scatena subito il vomito, gusto elettivo o al contrario attitudine
bulimica. Questi atti del bambino compaiono a volte senza alcuno sforzo apparente, altre volte
sembrano secondari a sforzi di contrazione dei muscoli addominali. Più eccezionali sono le
condotte quasi perverse nelle quali il neonato tenta di indursi il vomito introducendo le dita nella
bocca (palato molle), per scatenare il riflesso di nausea.
La distinzione fra questi neonati che vomitano, nei quali la dimensione psicopatologica sembra
essere in primo piano, e quelli per i quali si tratta di un semplice disturbo funzionale (discreta
beanza del cardias) non è facile.
Vomito del bambino grande
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Con l’età, con la diversificazione dell’alimentazione e con l’acquisizione dell’autonomia alimentare, i vomiti sfumano progressivamente nel corso del secondo anno. Tuttavia, in certi bambini la
facilità a vomitare persiste e può ripresentarsi in vari contesti, in particolare quando compare una
costrizione o una contrarietà oppure un sentimento di ansia e di angoscia: i vomiti del mattino
prima di andare a scuola ne sono l’esempio tipico. A questo riguardo, segnaliamo che si ritrovano abbastanza spesso negli antecedenti di questi bambini dei vomiti precoci, come se attraverso
questo sintomo venisse segnata l’esistenza di una via privilegiata di scarica tensionale (meiopragia di richiamo). Fra di essi, alcuni potranno sviluppare successivamente una fobia scolare.
Mericismo
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Il mericismo compare nel corso del secondo trimestre. Si caratterizza per un rigurgito provocato a
volte da sforzi manifesti, a volte da un’esagerata facilità a riportare il cibo nella bocca. Tale vomito
autoprovocato conduce a una ruminazione: il bambino trattiene totalmente o in parte gli alimenti
nella bocca. Li biascica prima di inghiottirli. A volte gran parte del cibo viene rigettato e viene
conservata solo una boccata. In questi casi possono comparire denutrizione o disidratazione.
Questo disturbo compare quando il bambino è solo. Nel corso di questa ruminazione tutta la sua
attività sembra sospesa: immobile, atono, lo sguardo vuoto, estraneo al mondo esterno. A volte
altre manifestazioni si alternano con il mericismo: dondolamento della testa, suzione delle dita,
tricotillomania. Questi comportamenti cessano quando il bambino sente la presenza di un adulto.
L’appetito è conservato o addirittura esagerato.
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III. Grandi raggruppamenti nosografici
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Tutti gli autori ammettono che tale attività è secondaria a una sindrome da carenza materna: le
madri sono distanti, fredde, poco carezzevoli. Esse allevano spesso il loro bambino in un quadro
ritualizzato e ossessivo.
Alcuni autori hanno interpretato le loro frequenti paure di malattie o di morte del bambino come
prove della loro aggressività inconscia diretta contro di lui. Lo stabilirsi di una relazione calda
e ricca di affetto, d’altra parte, interrompe il comportamento mericista del neonato: questi si
dimostra spesso avido di un contatto affettivo senza alcuna reticenza.
La comprensione psicopatologica del mericismo deve tener conto dell’età elettiva di comparsa,
fra i 6 e i 10 mesi: un’analogia con il gioco del rocchetto descritto da Freud è stata avanzata:
ignorato, egli tenta di controllare la carenza materna con una soddisfazione autoerotica, manifestando con essa il suo rifiuto di qualunque dipendenza.
Tale autosufficienza va di pari passo con una erotizzazione secondaria della disfunzione muscolare: inversione del funzionamento della muscolatura liscia esofagea che permette al neonato di
evitare la posizione passiva.
L’aspetto molto elaborato del mericismo pone il problema di una precocità e di una maturità eccessive al servizio di un comportamento autotranquillizzante, con tutte le ulteriori perturbazioni
possibili nello stabilirsi di relazioni di oggetto soddisfacenti (Szwec, 2004).
L’evoluzione rapida è favorevole, essendo la scomparsa del sintomo spiegata infatti, come nel
caso della colica idiopatica, dall’investimento di nuove zone di scarico grazie alla maturazione
neurofisiologica.
La prognosi a lungo termine, dunque, resta non precisata.
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Asma del bambino
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La componente psichica dell’asma nel bambino è stata riconosciuta già da lungo tempo ed è stata
persino per un certo periodo considerata il fattore essenziale. I lavori moderni hanno dimostrato
l’importanza dei meccanismi allergici (in particolare il ruolo degli allergeni IgE), infettivi e
tossici (inquinamento) all’origine del meccanismo di contrazione muscolare bronchiolare, senza
tuttavia farne il solo fattore scatenante delle crisi.
Se si è ben stabilito, in effetti, che il contatto respiratorio dell’allergene è suscettibile di provocare la scarica di istamina responsabile della broncocostrizione e quindi della bradipnea con il tirage inspiratorio tipico della crisi d’asma, si è altrettanto ben stabilito che in uno stesso soggetto
una crisi può comparire in assenza di allergeni. Al contrario, malgrado la presenza dell’allergene, la crisi può non scatenarsi nei pazienti che hanno seguito una psicoterapia. Questa mancanza
di crisi d’asma in presenza dell’allergene si accompagna paradossalmente a una persistenza
dell’ipersensibilità specifica ai test cutanei.
Non si può quindi considerare come univoco il processo di scatenamento della crisi d’asma: numerosi fattori sembrano suscettibili di agire; d’altra parte, una volta iniziato il processo, si assiste
a una specie di “via finale comune”, essendo la reazione identica qualunque sia la sua eziologia
(ereditaria, allergica, infettiva, psicogena).
Sembrerebbe vano, in queste condizioni, determinare una gerarchia di processi come si vede fare
a volte per sapere che cosa di somatico e che cosa di psicologico sarebbe fondamentale.
Come in tutti i disturbi psicosomatici, diventa spesso impossibile, una volta che si sia stabilita
la reazione patogena, determinare nell’interazione familiare che cosa è costitutivo e che cosa è
semplicemente reattivo.
Ciononostante, l’ambiente gioca un ruolo fondamentale perché le crisi asmatiche compaiono
spesso dopo un trauma affettivo e perché, in seguito, il bambino ha le crisi in condizioni ben
definite: in presenza o in assenza di una persona, identità di luogo o di circostanza, senza che ciò
sia direttamente legato all’allergene, ecc.
Sul piano clinico, l’asma del bambino compare abitualmente nel corso del terzo anno e persiste
per tutta l’infanzia. Riguarda circa il 3% dei bambini. La pubertà è un traguardo importante
poiché un gran numero di asme migliorano, mentre altre persistono o si aggravano durante l’età
adulta (Mrazec, 1994).
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Personalità del bambino asmatico e interazioni familiari
Di solito il bambino asmatico viene descritto come buono, calmo, piuttosto dipendente, sottomesso all’ambiente, facilmente ansioso. La scolarità è spesso molto investita, mentre la malattia
viene vissuta come un ostacolo per una riuscita migliore. Assenze troppo numerose possono essere all’origine di difficoltà scolastiche. Tuttavia, altri bambini si mostrano volentieri aggressivi,
esigenti o provocatori.
Le relazioni familiari sembrano abbastanza specifiche, soprattutto per quel che riguarda la madre. Il funzionamento materno appare spesso come abbastanza rifiutante o per lo meno freddo,
conformista, “ipernormale”. Non è raro che i soli scambi affettivi girino intorno alla malattia: la
madre cura il bambino e cura insieme i propri sensi di colpa, il bambino si sottomette alla madre
suscitando al contempo l’angoscia in lei. L’ambivalenza degli affetti sia della madre (rifiuto/colpevolezza) sia del bambino (sottomissione/indipendenza) troverebbe così il suo sbocco nella relazione di cura stabilita intorno alle crisi d’asma. In altri casi sembra che si stabilisca un legame
stretto di identificazione narcisistica tra il bambino e i suoi genitori, le cui perturbazioni psicopatologiche si equilibrano grazie alle proiezioni narcisistiche sul figlio. Quest’ultimo finisce con il
“soffocare” sotto la massività di questo investimento (Minuchin et al., 1978). Il miglioramento
delle crisi in occasione di separazioni dal contesto familiare confermerebbe la validità di questo
punto di vista. Frequentemente, d’altra parte, le crisi ricompaiono al ritorno in famiglia.
L’interpretazione psicologica delle crisi d’asma viene fatta di solito in riferimento all’arcaicità
della funzione respiratoria: il pianto-paura, primo segno di disagio del bebè, precursore della
comunicazione, non può essere superato. L’ambiente familiare darebbe valore di comunicazione
alla crisi d’asma allo stesso modo in cui lo si dà ai pianti abituali del bambino normale. Numerosi autori segnalano in effetti che il bambino asmatico piange poco.
Per quel che riguarda la psicopatologia del bambino stesso, sembra che sotto il suo aspetto frequentemente iperadattato l’organizzazione della sua vita fantasmatica resti largamente infiltrata
da tratti pregenitali. Il “pensiero operatorio” descritto tipicamente nei soggetti allergici adulti
(Marty et al., 1963) sembra presentarsi solo nei bambini.
Attitudine terapeutica
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Non c’è alcun parallelismo tra la gravità e la frequenza delle crisi d’asma e la gravità delle
perturbazioni psicologiche. La prima tappa terapeutica consiste quindi nel valutare il posto che
occupano i processi mentali, in particolare il ruolo dell’angoscia, nel contesto dei vari fattori
scatenanti. Quando il meccanismo psichico appare prevalente, bisogna tenerne conto poiché
un trattamento puramente fisico (disinfezione, desensibilizzazione, corticoterapia) rischierebbe
di essere un fallimento. La separazione dalla famiglia dà certamente dei risultati spesso spettacolari, che però scompaiono al momento del ritorno a casa se non è intervenuta nessuna modificazione in profondità della dinamica familiare. La psicoterapia del bambino e, nei bambini
piccoli, la psicoterapia accoppiata madre-bambino, per quanto difficile, può ridurre l’“angoscia
del respiro” e creare le condizioni per un miglioramento sintomatico secondario.
Asma del neonato
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L’asma del neonato, che altri preferiscono chiamare bronchite asmatiforme per via del contesto
febbrile abituale, presenta alcune particolarità che meritano di essere sottolineate.
Sul piano clinico, segnaliamo innanzitutto la sua comparsa nel secondo semestre e la sua frequente scomparsa verso i 2-3 anni. Notiamo anche l’assenza di angoscia manifesta nel bambino
dispnoico che non sembrerebbe in nessun modo indisposto da questa dispnea: resta attivo, giocoso, anche allegro. Sul piano psicologico è stata notata in questi neonati un’eccessiva familiarità,
senza la comparsa dell’angoscia normale all’estraneo. La si può attribuire sia a condizioni di
“maternage” difettose, in cui il sostituto materno cambia troppo spesso (balia a tempo parziale,
ad esempio), sia a un ambiente iperprotettivo e invadente. Sul piano psicopatologico, la compar-
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III. Grandi raggruppamenti nosografici
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sa dell’asma sarebbe il segno del fallimento dell’elaborazione mentale del meccanismo di angoscia all’estraneo (Fain) poiché l’esito più frequente di questo fallimento, cioè l’autoerotismo che,
ad esempio, si può osservare in corso di mericismo, sarebbe impedito dalla condotta “ipernormativa” della madre. Lo sviluppo del secondo organizzatore di Spitz sarebbe così ostacolato sia da
una triangolazione troppo rapida tra personaggi equivalenti (balia parziale), sia dalla massività
dell’investimento materno.
Tali ipotesi patogenetiche, tuttavia, non sono confermate da altri autori. Così, Gautier et al.
(1976) non osservano nel neonato asmatico e nell’interazione con la madre nessuna caratteristica
specifica al di fuori di un’inquietudine un po’ eccessiva per l’allontanamento materno. Gli autori considerano che le descrizioni di relazioni madre-bambino patogene, valide per il bambino
asmatico più grande, non si osservano ancora in questo stadio precoce, non essendo la reattività
asmatica che un fattore di vulnerabilità suscettibile di trascinare la relazione madre-bambino in
un’ambivalenza secondariamente patogena e patologica.
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Spasmo affettivo
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Generalità
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Lo spasmo affettivo è caratterizzato da una perdita di coscienza breve dovuta a un’anossia cerebrale in un bambino la cui età va di solito dai 6 ai 18 mesi che compare in determinate situazioni.
Si distinguono due forme:
OO forma blu, la più frequente (80%), caratterizzata da una perdita di coscienza che compare in
un contesto di pianti dovuti a un rimprovero, a una frustrazione o a un dolore: il bambino singhiozza, il suo respiro accelera fino a un blocco in inspirazione forzata, compare una cianosi e il
bambino perde conoscenza per alcuni secondi;
OO forma pallida, caratterizzata dalla comparsa di una sincope in occasione di avvenimenti di
solito sgradevoli: improvviso dolore, paura, emozioni intense. Il bambino lancia un breve grido,
impallidisce e cade.
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In entrambe le forme, queste perdite di conoscenza possono essere accompagnate da una contrazione in opistotono, alcuni movimenti clonici degli arti, revulsione dei globi oculari. Li si
osserva più spesso nella forma pallida.
In entrambi i casi la crisi è breve, di alcuni secondi, un minuto al massimo, e il bambino ne esce
affaticato. Abitualmente, lo stesso bambino ha sempre lo stesso tipo di crisi; può succedere,
tuttavia, che la forma blu e la forma pallida si alternino. La frequenza dello spasmo affettivo
sarebbe del 4-5% nella popolazione generale.
Sul piano somatico, l’evoluzione è benigna e non c’è alcun segno neurologico associato né esiti
da temere. Abitualmente, le crisi scompaiono verso l’età di 3 anni, ma possono a volte persistere
più a lungo. Le circostanze di comparsa dello spasmo meritano di essere notate poiché non è raro
che lo si osservi solo in presenza di certi membri della famiglia (madre o nonna), sempre gli stessi.
Sul piano neurofisiologico, gli studi elettroencefalografici hanno mostrato l’assenza di qualunque anomalia di tipo epilettico e l’esistenza di segni tipici di anossia cerebrale (asfissia dovuta al
blocco respiratorio nella forma blu, ischemia dovuta all’arresto cardiaco nella forma pallida) nel
momento della perdita di coscienza (Lombroso e Lerman, 1967).
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Approccio psicologico e psicopatologico
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Piano psicologico
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Tutti gli autori notano la differenza tra la forma blu e la forma pallida. Nella prima, i bambini
sono spesso energici, attivi, facilmente oppositivi e collerici, dominatori. Spesso si osserva un’anoressia di opposizione.
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Nella seconda, la forma pallida, i bambini appaiono piuttosto paurosi, timidi, dipendenti, in una
parola passivi. Si è facilmente tentati così di opporre una forma blu, attiva, virile, a una forma
pallida, passiva, femminile (Kreisler et al., 1974).
Piano psicopatologico
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La comprensione di questo disturbo funzionale va fatta a diversi livelli. L’importanza della relazione tra il bambino e il personaggio sensibile, che abitualmente è la madre, deve essere sottolineata; l’angoscia che costei prova la conduce a un comportamento di previdenza, vale a dire di
sottomissione, per evitare lo spasmo evocatore di morte del figlio. Quest’ultimo trarrà presto da
questa paura dei benefici secondari che andranno ad alimentare una megalomania riconfermata
continuamente dalle nuove crisi.
Deve essere notata anche l’importanza del ruolo della respirazione. Questa è probabilmente la
prima funzione il cui carattere immediatamente vitale viene percepito molto presto dal bambino;
la possibilità di un controllo cosciente, le modificazioni indotte dall’ipo- o ipercapnia sono forse
percepite molto più precocemente di quanto si pensi. A questo riguardo, Soulé parla di un vero
“puntellamento” della funzione respiratoria nel senso che, come per la fame e l’oralità, la soddisfazione della funzione fisiologica funziona come puntello alla fissazione di un investimento libidico.
Attitudine terapeutica
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È tanto più semplice quanto più il bambino è piccolo. Si basa soprattutto sull’ambiente che è necessario rassicurare: bisogna spiegare la benignità dell’evoluzione somatica e la distinzione netta con
l’epilessia. La madre o la nonna devono poter esprimere le loro angosce e può essere loro necessario un supporto psicoterapico. È importante ottenere che la paura dello spasmo affettivo non sia più
il pretesto per abbandonare ogni attitudine educativa e che la madre si disinteressi relativamente
a tale manifestazione. Rapidamente, gli spasmi si fanno più rari nel tempo prima di scomparire.
L’avvenire psicopatologico resta più incerto essendo gli studi catamnestici in pratica inesistenti.
Patologie della sfera cutanea
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Luogo di contatto privilegiato con il mondo circostante, barriera contro le aggressioni esterne,
involucro che limita e contiene il dentro, zona di scambio tra l’interno e l’esterno, la pelle è un
organo le cui funzioni fisiologiche e psicologiche sono ricche e svariate. Specchio fedele delle influenze psichiche, le manifestazioni cutanee (rossore, pallore, sudorazione, orripilazione)
hanno origini tanto fisiologiche quanto psicologiche. Non stupisce che in queste condizioni le
manifestazioni psicosomatiche siano spesso presenti.
Eczema del neonato
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Nella sua forma tipica, l’eczema atopico del neonato inizia nel secondo trimestre. Esordisce
sulle guance, sul collo e può estendersi progressivamente a tutto il corpo. È frequente vedere
questo eczema regredire nel corso del secondo anno e, in alcuni casi, essere seguito da un asma
infantile. Viene descritto anche l’eczema delle pieghe, forma in cui l’irritazione locale pare giocare un ruolo più importante.
Spitz ha dimostrato l’elevata frequenza di eczemi in neonati che vivono in istituti (istituti per
ragazze madri). Secondo l’autore, l’ostilità, mascherata da ansia manifesta nella madre, sarebbe
all’origine della risposta cutanea patologica di un neonato che presenta tuttavia una “predisposizione congenita”.
La guarigione nel corso del secondo anno di vita si spiegherebbe, come nei casi di altre malattie
psicosomatiche, con i nuovi investimenti resi possibili dallo sviluppo del bambino (nel caso
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dell’eczema, l’acquisizione del cammino rende il neonato meno dipendente dal contatto materno), ma anche grazie alla maturazione delle sue difese immunitarie.
Viene descritta, nei bambini più grandi che presentano un eczema, una personalità in cui si notano
sottomissione, sensibilità e un’ansia notevole. Le madri sembrano oscillare tra il rifiuto e l’iperprotezione, che si manifesta, d’altra parte, con una preoccupazione terapeutica invadente: i soli
contatti teneri tra madre e bambino consistono per costei nello spalmare la pomata sul suo corpo.
Alopecie
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III. Grandi raggruppamenti nosografici
Il determinismo patogenetico delle alopecie, tanto dell’adulto quanto del bambino, è ben conosciuto, ma gli studi psicopatologici sono rari. Gli autori sono concordi nel riconoscere che
lo shock affettivo all’origine dell’alopecia rappresenti spesso una perdita reale o simbolica.
Si ritrova spesso la nozione di un abbandono (Dugas et al., 1983). Segnaliamo il caso particolare delle alopecie decalvanti che, clinicamente, si caratterizzano per la perdita di tutti i peli
(capelli, ciglia, sopracciglia, peli ascellari, pubici, ecc.), la causa delle quali appare identica.
Abbiamo avuto l’occasione così di osservare il rapido svilupparsi di un’alopecia decalvante
in un bambino in una situazione di abbandono acuto e, in un altro, nel corso di un episodio
psicotico acuto.
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Affezioni diverse
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Emicranie e cefalee
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Le emicranie si caratterizzano per la comparsa brutale di un pallore con una cefalea intensa e
pulsante, di solito senza alcun fenomeno visivo. Il bambino accusa nausea, poi vomita, e ciò calma l’accesso. Queste emicranie compaiono generalmente in bambini in età scolare e sono spesso
legate a una scolarità molto investita. Viene spesso rilevato il carattere familiare dell’emicrania.
Le cefalee sono mal di testa semplici. Sono anch’esse legate alla scolarità e non è sempre facile
distinguerle dall’emicrania, se non per la loro comparsa e la loro scomparsa meno improvvisa.
La ricerca del beneficio secondario (restare a casa, evitare il compito in classe, la materia temuta,
l’ora in piscina) è spesso chiara, essendo la cefalea il risultato diretto della tensione tra una paura
e un’angoscia e un desiderio di autonomia o di affermazione di sé.
In altri casi, le cefalee rispondono a un meccanismo abbastanza diretto di conversione (Cap. 10),
in particolare quando il bambino si trova posto in seno a un conflitto sul quale non può agire (ad
esempio, discordia fra i genitori o loro divorzio). La rinuncia al pensiero, all’elaborazione mentale, rischia, in un bambino, di essere più carica di conseguenze che in un adulto in cui i processi
cognitivi sono già giunti a maturazione. Da notare che uno dei genitori è spesso cefalalgico.
Ritardo di crescita di origine psicosociale
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Descritto inizialmente da pediatri endocrinologi (Rappaport e Royer, 1975; Money, 1977), il
“nanismo psicosociale” si caratterizza per l’esistenza di un grave ritardo di crescita (superiore a
3 deviazioni standard) associato a un rallentamento della velocità di crescita in un bambino di
più di 3 anni. Sul piano clinico, questa piccola statura può essere isolata in un bambino peraltro
in buono stato generale oppure essere associata ad altri elementi: tracce di colpi (ematomi, fratture) in bambini maltrattati, magrezza in caso di anoressia, sintomi psicosomatici vari (anoressia, insonnia, diarrea, enuresi, encopresi) o disturbi del comportamento.
Non appare traccia di dismorfia. L’esame radiologico rivela un grave ritardo della maturazione
ossea che si avvicina in generale all’età corrispondente alla statura.
Sul piano sociale questi bambini provengono da famiglie molto sfavorite, con spesso fratrie
numerose, senza che ciò sia tuttavia costante.
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La diagnosi differenziale si pone sulla base patologica ipotalamo-ipofisaria, in particolare con le
insufficienze globali ed elettive. È una diagnosi molto difficile poiché questo ritardo di crescita
si accompagna spesso a una diminuzione del tasso di STH (ormone somatotropo chiamato anche
ormone della crescita o GH). Il clima familiare può essere un indice. Il solo criterio diagnostico
valevole è la rapida normalizzazione del tasso di STH e la ripresa della crescita staturale dopo la
separazione dall’ambiente familiare.
L’interpretazione fisiopatologica di questo ritardo di crescita non è univoca. Gli autori sono
tutti concordi nel riconoscere la dimensione profondamente carenziale dell’ambiente familiare,
ma il legame tra questa carenza affettiva spesso manifesta e l’alterazione neuroendocrina resta
misterioso. L’estrema rapidità della reversibilità dal momento della separazione familiare e la
normalizzazione dei tassi ormonali sorprendono e sconcertano gli autori. È stata invocata anche
una scarsa nutrizione, in particolare di fronte a un aumento di peso spesso rapido e notevole. Il
ritardo di crescita osservato in certe anoressie gravi è stato di aiuto come modello.
Lo studio psicopatologico di questi bambini permette di distinguere un gruppo di bambini inibiti, tesi, che vivono in modo difensivo, in una posizione sia di passività sia di opposizione. Un
secondo gruppo si caratterizza, al contrario, per intense capacità proiettive, invadenti e spesso
confuse, simili a quelle che si osservano nelle disarmonie o stati limite dell’infanzia.
L’attitudine terapeutica suggerita è la separazione prolungata del bambino dall’ambiente familiare. Le ragioni addotte sono l’efficacia (ripresa di crescita che in certi casi si arresta di nuovo al
ritorno in famiglia) e l’urgenza relativa che impone un sintomo la cui traccia evidente rischia di
persistere per tutta la vita. Se i benefici della separazione sono evidenti per la crescita, restano, tuttavia, ancora da condurre studi sulle conseguenze per l’equilibrio psicoaffettivo (Barranger, 1981).
Psicosomatica del bambino più grande:
la relazione terapeutica
Per concludere, pensiamo sia utile ritornare su un modello di interazione già menzionato nell’introduzione: la relazione di cura tra la madre e il bambino.
Se in un neonato si sono potuti descrivere tipi di organizzazione abbastanza precisi e particolari
(mericismo o spasmo affettivo, ad esempio), ciò non è possibile man mano che il bambino cresce.
Più il bambino è grande, in effetti, e meno sembra esistere un legame stretto tra un tipo di sintomo
somatico e un’organizzazione psicologica specifica. La ragione di questa evoluzione sembra consistere nel fatto che, contrariamente all’adulto, in cui la relazione psicosomatica si interpone nel
dialogo interno del paziente con le sue immagini interiorizzate, il sintomo psicosomatico del bambino occupa il campo molto concreto delle interazioni fra lui e l’ambiente, in particolare i genitori.
A tal proposito, l’impossibilità tanto del bambino quanto del(i) genitore(i) di esprimere il versante aggressivo della necessaria ambivalenza relazionale sembra essere all’origine di molte
manifestazioni somatiche. Queste permettono la deflessione sul corpo del bambino dell’aggressività abitualmente socializzata e la sua trasformazione in sollecitudine eccessiva o in relazione
puramente terapeutica di cura. Alcuni sintomi, quali i dolori addominali, così frequenti nel bambino e fonte di grandi inquietudini per le madri, ne costituiscono, a nostro parere, un esempio
caricaturale. Altre manifestazioni hanno forse attirato l’attenzione in modo meno diretto, ma ci
sembrano rispondere a una dinamica identica. È, ad esempio, il caso di certe angine od otiti a
ripetizione. Grazie a tali osservazioni, abbiamo avuto più volte l’occasione di vedere attenuarsi
un conflitto acuto tra una madre e un bambino centrato in particolare sull’alimentazione nello
stesso momento nel quale l’angina oppure l’otite autorizza il bambino a non mangiare e sua madre a non forzarlo: il conflitto si attenua, il bambino trova nella regressione e nelle cure materne
le gratificazioni necessarie, la madre sposta allora sul medico generico, il pediatra o l’otorinolaringoiatra, la dipendenza aggressiva che prova nei confronti del figlio. Il carattere ripetitivo
di questi episodi che si presentano ogni mese, ogni 15 giorni od ogni settimana, episodi la cui
realtà somatica non è dubbia, come testimoniano l’infiammazione della gola o del timpano, dovrebbe indurre il medico somatico a coglierne la dimensione realmente psicosomatica. Ciò vuol
dire che, oltre al necessario trattamento somatico dell’episodio attuale, conviene integrarne il
significato individuale e transazionale al fine di portare cambiamento per prevenire le ricadute.
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III. Grandi raggruppamenti nosografici
Bibliografia
Consigliata
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Per approfondimenti
Barranger MH. À propos du nanisme psychosocial: étude d’une population exposée. VI. Paris: Thèse;
1981.
Carr A. The handbook of child and adolescent psychology – a continual approach. London: BrunnerRoutledge; 2006.
Dugas M, Morel P, Le Heuzey MF, Pringuey D. La pelade: une maladie psychosomatique? Neurospychiatrie de l’Enfant 1983; 31, 4: 179-91.
Gauthier Y et al. L’asthme chez le très jeune enfant (14-30 mois): caractéristiques allergiques et psychologiques. Psychiatr Enfant 1976; 19 (1): 3-146.
Kreisler L. L’enfant du désordre psychosomatique. 1 vol. Toulouse: Privat; 1981, 400 p.
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