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si fa presto a dire chemio 27
19 luglio 2007
Oggi non mi sono svegliata in gran forma. Ieri sera, della
cena, di pessima qualità, non ho mandato giù quasi niente e
stanotte la debolezza generale mi ha fatto dormire poco. Recuperato un tantino stamattina presto, straaffogandomi con
tre pacchettini di biscotti, dopo il prelievo del sangue. Ma
che schifo tutto questo dolce!
Ormai a casa nei tempi della mia malattia avevo adottato tutt’altro regime alimentare: molto “integrale”, con
cereali, legumi, frutta, verdura, un po’ di carne e pesce,
e quasi niente zuccheri. Stavo abbastanza bene così, sentivo che il fisico ci stava e non si affaticavano gli organi.
Comunque in questa situazione bisogna reagire e tentare
di buttar giù tutto quello che si può e che ci sta. Così,
protetta sempre dall’“antiemetico”, mi sono fatta anche la
seconda colazione, quella ufficiale, con tè e fette biscottate; meno male, sempre carboidrati sono, ma non direttamente zuccheri.
Adesso mi sono imposta riposo e relax, per compensare
la frenetica, scambievole attività telefonica di ieri. Via tv, via
giornale, via libro; telefonino via, no, non si sa mai, ma speriamo che non mi chiami nessuno per il momento. Quasi
cullata dal discreto rumore della pompa che inietta la flebo,
di cui cerco di individuare le note “tum tum tum tumtà”,
ripetitive e monotone, ma con un certo ritmo, mi sto “sciroppando” il terzo flacone della mattinata che, con sollievo,
ho visto essere un “glucosato”. E un altro mi aspetta pronto
sul tavolino. Sono belli, grandi, proprio quel che ci voleva e
mi daranno forza.
Dopo, a casa, penseremo ai capelli.
I capelli. A quattordici giorni esatti dalla prima giornata
di chemio mi stanno dicendo: «Ciao, ce ne andiamo».
Buffo. All’inizio sembravano ciocche spaventate, mi facevano pensare a quando il cane ha il pelo tutto bagnato che
gli sta attaccato, quasi incollato al corpo. Così le ciocche del
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mio caschetto biondo: non ribelli, non difficili da tenere, ma
appoggiate bene bene, attaccate alla testa. Secondo me quasi
spaventate dall’effetto che stavano sentendo. Non che il risultato capigliatura fosse apprezzabile, perché mancava volume
e iniziavano a essere un po’ spenti, ma non c’era quasi bisogno di pettinarli: ti alzavi la mattina e li trovavi già belli accostati alla testa. Sì, sì, paura anche loro. Poi, a poco a poco,
mi sono trovata qualche ciocca sollevata spontaneamente da
una parte e dall’altra della testa, sparata in alto e rigida come
fosse imbalsamata. L’impressione era che volesse scappare dal
bombardamento che stavano subendo i bulbi. Difficile metterli giù, perché i capelli sembravano pieni di elettricità: li
sfioravi e quelli si sollevavano a cresta.
Ma ora no, ora dicono che sono stanchi anche loro: se li
passi col pettine, ne rimane pieno, se ripassi una ciocca con la
mano, te la porti via in buona parte. Il pavimento è cosparso
di “cadaveri”; a letto a volte ti sembra di avere ragnatele in
faccia: sono loro che, staccandosi, si scompigliano per ogni
dove.
Il rito prevedo debba essere questo: prima un taglio corto
con le forbici giuste che uso quando taglio i capelli alla mia
anziana mamma, poi via a rader tutto con la macchinetta.
Rapata a zero, vedrò la forma della mia testa! Mia mamma diceva sempre che da piccolina, nata pelata, dicevano di
me: «È perfetta, le manca solo un ricciolino».
Mentalmente mi sono preparata per tempo. Credo che
non subirò un trauma, ma per non farlo subire ai miei e non
espormi alla curiosità della gente, a ogni buon conto ho già
disposto per la preparazione della parrucca.
I familiari: perché sbattergli ogni giorno davanti, per così
dire, “i segni del mio dolore”? Meglio mantenere, se possibile, un aspetto decoroso e gradevole: ne guadagnano il tono
e l’umore.
La gente, quella che non ti conosce… Io so cosa ho pensato, solo alcuni anni fa, quando non avevo ancora sentito
nominare la chemio. Ho giudicato eccessivamente stravagan-
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te una giovane donna con un bizzarro turbante in testa, tutto
avvolgente fino alle orecchie, alla nuca, senza lasciare uscire
neanche una ciocca di capelli!
Neppure alle suore è più imposta la rasatura completa,
inutile mortificazione della loro femminilità.
La mia cara amica ha sofferto moltissimo questa perdita
e, dovendo subire altri e altri cicli di chemio, ha fatto di tutto
per sottoporsi a protocolli di chemio che non comportassero
la perdita dei capelli.
Del resto, non sono i capelli uno dei simboli più sensuali
della femminilità?
«Erano i capei d’oro a l’aura-Laura sparsi…».
Tuttavia sempre meno del seno e, siccome noi un seno
l’abbiamo già perduto, è comprensibile che ci si attacchi a
quel che ci rimane.
Comunque, ora come ora, mi sento pronta, non volendo
neppure prendere in considerazione di rientrare in quei rari
casi in cui non ricresceranno più o rispunteranno solo parzialmente.
A qualcuno è successo, ma è raro, per fortuna.
Alt. Non posso appoggiare una mano sulla testa che ne ho
le dita piene. Ho riempito adesso di capelli la tazza del water,
poi mi sono fermata perché la cute è indolenzita, dolorante.
Il rito è incominciato. Il foulard della gola l’ho passato
in testa, così, quando mi portano il pranzo, non rischio di
mangiare dell’altro.
Ma vogliamo cercare di vedere tutto questo anche dal lato
positivo?
Per un bel po’ di tempo non ci sarà più da farsi cerette,
alle gambe, ad esempio. Sei tutta bella depilata, anche dove,
di regola, non ti depileresti mai!
E che dire dei radicali liberi? La chemio ammazza tutto,
pure quelli. Se sopravvivi, sarai anche più bella. Forse. Mi
sbaglio o tempo fa ho visto un film comico intitolato La morte ti fa bella? Sì, era proprio un film comico.
Ma i capelli! I capelli, quando tornano (e tu confidi che
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tornino) non pensare di poterli avere come prima, perché
rinascono naturali, cioè tutti belli bianchi, almeno i miei, o
al massimo grigini.
Sarai di colpo un’altra persona: un’altra rispetto alla “calva” e un’altra rispetto al casco biondo di prima.
Bazzecole, comunque bazzecole, rispetto al clou del problema, anche se penso che, per un essere umano, così sbattuto fisicamente e psichicamente, anche una bazzecola a volte
possa far male al cuore.
Fisicamente… te lo vedono tutti, ma psichicamente?
Come spiegare che devastazione può provocare la consapevolezza che un invisibile male si sta impossessando del tuo
corpo; subdolo, perché non conosci in anticipo i suoi percorsi, non puoi anticipare le sue strategie, non puoi sbarrargli
la strada. Va dove vuole, come vuole. Le sue principali preferenze (leggi: metastasi), magari le conosci, ma non le sue
priorità.
Le nostre sentinelle di vedetta (leggi: esami clinici, diagnostici, ecc.) stanno in allerta, sì, ma di necessità devono
avere dei turni di riposo: non si possono sparare su un
corpo radiazioni a ripetizione col risultato di farsi un autogol.
Quindi sai che il nemico comunque c’è; se non lo vedi
può essere tramortito o in letargo, in preparazione di un altro assalto con più mezzi. E noi allora gli opponiamo un altro protocollo chemio, sperando che funzioni meglio, come
Annibale, che sbaragliò i Romani, perché gli elefanti non li
avevano mai visti.
E come spiegare che il tuo male alle ossa non è come quello di un malato di artrosi? Che le sue ossa malandate, infiammate, deformate, sono comunque le sue ossa, mentre quelle
di un malato oncologico non lo sono più, perché sono fatte
di cellule diverse, di cellule trasformate, di cellule neoplastiche? Il dolore magari è lo stesso, ma il percorso e il possibile
sbocco molto diversi!
Forse ho paura.