Allegato3 - LISCIVIAZIONE CARBONE SULCIS

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Allegato3 - LISCIVIAZIONE CARBONE SULCIS
Cagliari, 15 luglio 2011
T Hotel, Via dei Giudicati, Cagliari
Convegno Regionale della CGIL e della FILCTEM sul tema
Energia: una necessità e un’opportunità
di sviluppo per la Sardegna
Allegato 3 – PROCESSO DI LISCIVIAZIONE DEL CARBONE SULCIS
Tiziana Pisu
Lo stoccaggio della CO2
Lo scopo principale degli impianti di stoccaggio della CO2 è di evitare il rilascio in
atmosfera di nuove quantità di gas serra. La CO2 viene catturata dai fumi degli
impianti industriali, tramite l'ausilio di speciali filtri, e liquefatta per essere immessa in
serbatoi sotterranei. Per stoccare la CO2 sono attualmente presi in considerazione le
cavità dei giacimenti esauriti di petrolio e di gas e carbone. In tal modo il carbonio
fossile tornerebbe, almeno in parte, nel sottosuolo da dove è stato estratto. Questo
approccio, noto come CCS (Carbon
Capture and Storage), potrebbe mitigare
il riscaldamento globale catturando la
CO2 negli impianti di generazione di
energia elettrica a combustibili fossili ed
immagazzinandola invece di rilasciarla in
atmosfera.
L’anidride
carbonica
immagazzinata
potrebbe
essere
trasportata per stoccaggio in altri luoghi
o usata nei processi industriali.
Sono in studio anche depositi di
stoccaggio della CO2 nei giacimenti
esauriti sotto le profondità marine,
sfruttando le stazioni off-shore.
La Commissione europea ritiene che la
CCS possa avere un ruolo fondamentale
nella riduzione delle emissioni di gas serra e nella mitigazione dei cambiamenti
climatici. Gli europarlamentari suggeriscono di investire 300 milioni di euro per
sviluppare il Carbon Capture and Storage (CCS).
La possibilità di catturare l’anidride carbonica negli impianti energetici e negli altri
processi industriali è diventata una attraente alternativa in anni recenti, in un report
del 2005 l’ IPCC ha stimato che il CCS, applicato ad un moderno impianto di energia
potrebbe ridurre le emissioni in atmosfera di circa l’80-90% rispetto ad un impianto
non dotato di un simile dispositivo.
Cattura
Il primo passo nel processo CCS è ovviamente la cattura dell’anidride carbonica.
Esistono attualmente tre sistemi per la cattura della CO2:
1. la post-combustione,
2. la pre-combustione
3. la combustione oxy-fuel.
Post-combustione
Nella post-combustione la CO2 è rimossa dopo la combustione del combustibile
fossile. Questo schema può essere applicato agli impianti di generazione elettrica
convenzionali, catturando la CO2 dai gas esausti emessi. Per adattare gli attuali
impianti a questa tecnologia, i camini dovrebbero essere sostituiti con torri di
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assorbimento, nelle quali la CO2 possa essere assorbita da composti chimici quali le
ammine. Una seconda torre, (torre di stripping), riscalderebbe il liquido a base di
ammine carico di CO2, rilasciando CO2 concentrata e rigenerando le ammine, che
rientrerebbero nel processo.Le principali problematiche di ricerca e sviluppo in
quest’ambito riguardano la fase di rigenerazione del solvente di assorbimento. Questa
ultima fase del processo in realtà è causa di consumi energetici consistenti (sono
necessari 3-4 MJ per tonnellata di CO2 separata,principalmente per la produzione di
vapore acqueo impiegato per la riutilizzazione delle ammine).
Pre-combustione
Il processo di rimozione della CO2 per pre-combustione è largamente impiegato nella
produzione di fertilizzanti, sostanze chimiche, e combustibili gassosi (idrogeno e
metano). Una particolare versione di cattura a pre-combustione è la tecnologia IGCC
(Gasification Combined Cycle). In questo caso il processo di cattura della CO2 prevede
la conversione del combustibile in un gas sintetico costituito da monossido di carbonio
(CO) e idrogeno (syngas) all’interno di una sezione dell’impianto (reattore di shift)
dove il CO reagisce con vapore acqueo per trasformarsi in CO2 e idrogeno. Pertanto la
reazione alla base del processo è: CO + H2O
CO2 + H2 che implica l’ossidazione
del
combustibile
in
un
gassificatore
prima
della
combustione.
Successivamente la CO2 viene assorbita mediante sistemi fisici che sfruttano le
elevate pressioni in gioco. Questa tecnologia, molto promettente per quanto riguarda i
costi associati e l’efficienza di rimozione (circa 90 %), può essere integrata ad impianti
IGCC o in cicli combinati a gas.
Le principali problematiche tecniche relative a questa opzione sono: il notevole
consumo di energia per il funzionamento dell’unità di separazione dell’aria
nell’impianto di gassificazione (circa il 10% della potenza prodotta da un IGCC) ed il
funzionamento della turbina con syngas.
Combustione Oxy-fuel
In questo processo il combustibile viene bruciato in Ossigeno, anziché in aria, perciò i
gas esausti sono costituiti principalmente da CO2 e vapore acqueo, che viene
condensato per raffreddamento. Il risultato è un flusso quasi puro di CO2 che può
venire trasportato ed immagazzinato. I processi basati sulla combustione oxy-fuel
sono spesso chiamati cicli ad “emissione zero” perché la CO2 immagazzinata non è
solo una frazione del flusso di gas, ma il flusso di gas stesso.
La combustione di carbone negli impianti tradizionali avviene in caldaia utilizzando
l’aria come comburente. La ossi-combustione avviene invece in un ambiente quasi
completamente costituito da ossigeno, con conseguente produzione di gas combusti
costituiti fondamentalmente da CO2 e vapore. Separata l’acqua per condensazione nel
raffreddamento dei fumi, si ha a disposizione una corrente di CO2 di buona purezza
senza ulteriori processi di separazione gas. In questo caso la ricerca è orientata verso
la minimizzazione dei consumi dell’impianto di separazione dell’aria per la produzione
di ossigeno (ASU – Air Separation Unit che può arrivare ad assorbire il 10% della
potenza prodotta dall’impianto) e l’ottimizzazione del funzionamento della camera di
combustione (la combustione in ossigeno infatti migliora il rendimento termico del
processo riducendo il volume dei fumi, ma questo comporta un tipo di progettazione
differente rispetto ad una camera di combustione convenzionale). I componenti
meccanici che costituiscono questo sistema sono già utilizzati su scala industriale,
tuttavia la loro integrazione in un processo di combustione è stata dimostrata solo su
impianti pilota.
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Trasporto
Un’applicazione diffusa della CCS richiederà la realizzazione di un’ampia rete di
condotte per il trasporto della CO2. I serbatoi di stoccaggio possono trovarsi a
centinaia di chilometri di distanza dal sito di “cattura”, dunque le condotte possono
essere utilizzate per trasportarne grandi quantità.
La CO2 compressa a oltre 70 bar passa in uno stato chiamato ‘fase densa’, in cui il
volume viene ridotto a circa lo 0,2% del volume a temperatura e pressione normali. In
questo modo, condotte ad alta pressione possono trasportare enormi quantità di CO2
utilizzando una tecnologia conosciuta e consolidata. La dimensione di queste condotte
è di norma compresa tra 300 e 750 mm di diametro. Se il CCS divenisse un sistema
largamente utilizzato, probabilmente verrebbero costruite delle reti di condotte in
modo da connettere molteplici sorgenti di CO2 ai siti di stoccaggio. Queste reti
migliorerebbero la flessibilità operativa e ridurrebbero i costi attraverso le economie di
scala.
Stoccaggio
Una volta che l’anidirde carbonica è stata catturata, deve essere immagazzinata. Un
tipico impianto di 1000 MW alimentato a carbone produce approssimativamente 6
milioni di tonnellate di CO2 l’anno.
I metodi per lo stoccaggio permanente di CO2 sono:
1. immagazzinamento nel sottosuolo a varie profondità
2. stoccaggio liquido negli oceani
Esistono diverse possibilità di immagazzinamento della CO2: in giacimenti petroliferi e
di gas, ancora produttivi o esausti, in miniere di carbone e in acquiferi salini.La prima
opzione utilizza i giacimenti di petrolio (EOR = Enhanced Oil Recovery) o di gas
naturale (EGR = Enhanced Gas Recovery). In entrambi i casi la CO2 viene utilizzata
per ripressurizzare il giacimento, aumentandone la produttività. Il recupero di petrolio
tramite CO2 è una pratica ben consolidata, in quanto correntemente usata sin dagli
anni ’70, soprattutto negli Stati Uniti. Questa opportunità è attraente perché il costo di
stoccaggio può venire abbattuto dai ricavi derivanti dalla vendita della quantità di
petrolio
addizionale
che
viene
recuperato.
Riguardo alle miniere di carbone l’iniezione di CO2 è in grado di sostituire il metano
naturalmente contenuto nelle vene carbonifere più profonde di quelle utilizzate nella
pratica mineraria; questo genera un duplice risultato: da un lato permette di
recuperare il metano, dall’altro di adsorbire la CO2 nel carbone permettendone lo
stoccaggio permanente. Questa tecnologia è nota con la sigla ECBM (Enhanced Coal
Bed Methane).
Le formazioni saline contengono acqua salata altamente mineralizzata e sono state
considerate finora di nessun beneficio per gli esseri umani. Il vantaggio principale è la
loro grande capacità di stoccaggio e la loro diffusione. Il maggior svantaggio delle
acque saline è che si conosce ben poco rispetto ai giacimenti petroliferi, inoltre
potrebbero esserci delle perdite di CO2 verso la superficie e la diminuzione del Ph, che
l'immissione di CO2 provocherebbe avrebbe sicuramente degli effetti sul'ecosistema
marino e oceanico difficilmente valutabili.
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La
Lisciviaz
ione del
carbone
Sulcis
La
Lisciviazi
one è un
processo che, mediante l’uso di opportuni solventi, consente di separare uno o più
elementi solubili da una sostanza solida. In campo industriale è utilizzata sopratutto in
metallurgia per l’estrazione di metalli quali l’argento e l’oro.
Per quanto riguarda il carbone, la lisciviazione è utilizzata per la rimozione di sostanze
indesiderate, come lo zolfo, e per la riduzione del contenuto di ceneri. Esistono due
tipi fondamentali di lisciviazione:
1. Chimica , che sfrutta l’azione di particolari acidi;
2. Biologica , che sfrutta l’azione di alcuni ceppi batterici come il Thiobacillus
ferroxidans.
I primi studi riguardanti la lisciviazione chimica sono antecedenti la Seconda Guerra
mondiale, e sono stati ripresi durante la crisi petrolifera degli anni settanta periodo in
cui lo sfruttamento del carbone come combustibile fossile per le centrali ritornò in
auge. Esiste un'applicazione brevettata della lisciviazione, nota con il nome di
Processo Cenfuel, che prevede il trattamento del carbone con una soluzione acquosa
di acido fluoridrico (HF) e acido fluosilicico (H2SiF6), e una sezione di rigenerazione
dell’acido con recupero del silicio estratto. Il processo è stato studiato per carboni con
ganga prevalentemente silicica.
Per il carbone Sulcis è stata proposta una lisciviazione di tipo chimico che si compone
delle seguenti fasi:
1. alimentazione dell'impianto di lisciviazione con torbida carbone-liscivia avente
una granulometria del carbone pari a 0-5,60mm (fattore innovativo in quanto in
tutti i tipi di lisciviazione, il solido dev'essere preventivamente macinato, con
macinazione spinta; operazione che fa lievitare fortemente i costi. In questo
caso è possibile utilizzare il carbone quasi com'è appena esce dall'impianto di
Trattamento della miniera)
2. un 1° stadio di lisciviazione, che utilizza una soluzione acquosa a base di KOH;
3. 2° stadio, che utilizza H2O2 (acqua ossigenata), opportunamente stabilizzata.
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Nel contesto delle tecnologie del carbone pulito il progetto in questione si propone il
duplice obiettivo di ridurre del 30% il contenuto in zolfo (e quindi le emissioni di SO x
in atmosfera) del carbone e di rendere più competitiva la miniera mediante la
produzione di sottoprodotti commerciabili.
Tali sottoprodotti sono gli acidi umici, ampiamente utilizzati in agricoltura come
fertilizzanti e “attivatori” dei suoli. Esistono già Società che utilizzano processi atti alla
produzione di estratti umici da “carbone di basso – medio rango”. Tra queste
ricordiamo: la Humintech (Germania), la Fertium International (Spagna), la Arctech
(U.S.A.).
Infine, è stato stimato che il 14% del rilascio netto di carbonio generato dalla
combustione di fonti fossili sia riconducibile alle attività agricole (Smith et al., 2001).
Il sequestro di carbonio tramite l’apporto della sostanza organica (SOM; Soil Organic
Matter) rientra tra i possibili interventi per mitigare gli effetti del cambiamento
climatico attraverso una riduzione delle emissioni di gas serra immesse nell’atmosfera,
secondo quanto previsto dall’IPCC 2007 (Intergovernative Panel on Climate Change).
Questo fa capire l’importanza dell’utilizzo di prodotti a base di acidi umici (e quindi di
sostanza organica) per i suoli.
Nell'utilizzo di questa innovativa tecnologia, non va dimenticato il ruolo
importantissimo del fattore economico: un litro di prodotto contenente acidi umici,
viene quotato intorno ai 9-10 euro, quando estrarre una tonnellata di carbone, ne
costa qualche decina. Da ogni tonnellata di carbone si possono estrarre fino 1.000 litri
di acido umico, perciò il progetto sarebbe non solo sostenibile, ma anche
economicamente vantaggioso.
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