Poveva sembrare una tranquilla giornata di inizio
Transcript
Poveva sembrare una tranquilla giornata di inizio
Terrorismo Terrorismo rosso Brigate Rosse Il caso Cirillo L’omicidio Ammaturo UNA TRANQUILLA GIORNATA DI INIZIO ESTATE di Maria Tiziana Lemme Poteva sembrare una tranquilla giornata di inizio estate, il 15 luglio dell'82. Senza sussulti, senza sirene, senza estenuanti cacce all'uomo. Antonio Ammaturo tornò a pranzare a casa verso le due del pomeriggio. Scese dalla macchina, salutò l'agente che gli faceva da autista, e per un attimo osservò la città stordita. C'era caldo. Non un alito di vento in piazza Nicola Amore. Tutto filava normalmente: la figlia più piccola al mare, Cristina e Gilda nella loro camera, un bacio alla moglie e un saluto al cane. Già, una tranquilla giornata d'inizio estate. Dalla strada saliva un'aria torrida, di attesa. Il commissario Ammaturo, dirigente della squadra mobile di Napoli, si lasciò andare al torpore della controra: guardò l'orologio e andò a sdraiarsi sul letto, lentamente. Chiuse gli occhi, non si addormentò. Cominciò a pensare. Non era tranquillo. Fremeva. Pensava al rapporto che aveva spedito al ministero dell’Interno. Roba che scotta, si dice nei suoi ambienti. E scottava, la ricostruzione che il commissario aveva fatto della trattativa per liberare Cirillo. Un anno di indagini, un anno a cercare le tracce delle visite eccellenti al carcere di Ascoli Piceno dov'era alloggiato Raffaele Cutolo. Aveva scritto tutto. Aveva informato Roma. Una copia della relazione l'aveva spedita al fratello Grazio: massimo riserbo su quanto leggerai, gli aveva detto. Si sentiva meglio, ora; solo un po' stanco. Immaginava quel che avrebbe detto il suo superiore, il questore Walter Scott Locchi, con quei baffetti alla David Niven. Sono cose che non ti riguardano, gli avrebbe detto, c'è la Digos che indaga. Su tutt'altra pista, naturalmente. Non poteva capire, il questore. O non voleva. Ciro Cirillo, "il boia" lo chiamavano le Br nei comunicati del sequestro, il commissario Ammaturo l'aveva incontrato negli anni Settanta, quando dirigeva la mobile di Giugliano. Arrestò un capozona della camorra, Alfredo Maisto; uno della famiglia che si vantava di portare diecimila voti a un certo personaggio politico. Lo arrestò per omicidio. Alla vigilia delle elezioni nel comune napoletano Ammaturo fu trasferito. Destinazione Gioia Tauro. Il questore Zamparelli, suo amico, glielo confidò: sono intervenuti Cirillo e il segretario personale del presidente Leone; sai, la tua presenza a Giugliano non garantisce la vittoria della Democrazia Cristiana. Perché era considerato uno "di sinistra", lasciò intendere. Ma Ammaturo sapeva che il motivo era un altro, erano gli appoggi che Cirillo aveva con l'amministrazione locale, e quei santissimi diecimila voti. Sei anni durò la punizione. Ma era tornato. Nelle interviste che rilasciava non usava mezzi termini. Cutolo? E' un buffone. Rapporti tra camorra e potere politico? Soprattutto nei periodi pre-elettorali, rispondeva Ammaturo, quando l'uomo politico ha bisogno di questa gente per procurarsi i voti. Nessuno, a Napoli, aveva osato dire tanto. Rischiò di perdere il posto, anche questa volta. Il 27 aprile 1981 le Br rapirono Cirillo. Indagare sul sequestro dell'assessore che lo aveva spedito in quel dannato posto in Calabria, fu una decisione rapida, involontaria. Quando il presidente della Dc Flaminio Piccoli gridava che mai avrebbe ceduto al ricatto delle Brigate Rosse, e "L'Unità" non aveva ancora pubblicato il "falso" documento che svelava i retroscena, Ammaturo sapeva che le trattative erano iniziate. Conosceva i nomi: Corrado lacolare, della Nco, e Giuliano Granata, sindaco di Giugliano, con Gava e altri esponenti della Dc. Dopo un anno aveva chiuso il cerchio. In famiglia, diceva, salteranno belle teste, a Napoli succederà un'eclisse. Ma tutto sembrava normale. Normale e asfissiante. In un paio di occasioni, il suo nome fu ritrovato in covi brigatisti, anche se di terrorismo, Ammaturo, si occupò poco. Poi si scoprì una scheda dettagliata su di lui; i suoi spostamenti, le sue abitudini. Di scorte non ne voleva sentir parlare; mica voglio mandare a morire un pugno di ragazzi, diceva alla moglie. E il questore Locchi non lo obbligò. Il vice di Ammaturo, Salvatore Pera, gli chiedeva di stare attento. E di parlare di meno. Era un bersaglio facile, Ammaturo. Un colpo sicuro. Sdraiato sul letto, il commissario aprì gli occhi. Fu preso da una fretta improvvisa, neanche il caffè volle. Una riunione in questura, disse, non ho tempo. Uscì di casa. Lo ammazzarono in quattro, alle 16,49 di quella tranquilla giornata di inizio estate, lui e il suo autista, l'agente Pasquale Paola. La piazza gremita di gente e di automobili. Gli spararono da vicino con una Beretta e una mitragliatrice Sterling: quest'ultima arma era la stessa che fu usata per il sequestro dell'assessore, un anno e tre mesi prima. «La campagna Cirillo continua», mandarono a dire le Br. Chissà perché scelsero proprio quel momento, sotto gli occhi di tutti, in una piazza affollata. Del commissario Ammaturo non è rimasta traccia. Nessun rapporto è arrivato al ministero, nessuna carta è stata ritrovata nei suoi cassetti in questura; nemmeno un appunto, una nota. Spariti i biglietti di ringraziamento scritti dagli onorevoli a Cutolo per la trattativa Cirillo; erano stati ritrovati nel castello di Ottaviano durante l'ultimo blitz del commissario. L'ultima volta, li aveva in mano il questore Locchi. Al processo, Cirillo dirà di non ricordare, facendo a gara con la memoria di Ciro Del Duca, altro funzionario smemorato, attualmente promosso presidente Usl. Ma non c'è da meravigliarsi. Il questore Locchi, chiamato nell'86 a testimoniare nel processo per l'omicidio del suo «amico» e collega, mise a carico della parte civile, la famiglia Ammaturo, le spese sostenute per la sua trasferta. Fonte: I Siciliani