J. A. QUIRÓS CASTILLO, Archeologia delle strade nel

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J. A. QUIRÓS CASTILLO, Archeologia delle strade nel
I. ARCHEOLOGIA DELLE STRADE NEL MEDIOEVO
1. Archeologia delle strade
1.1 INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni, e soprattutto negli ultimi anni, le strade sono state al
centro di nuove e frequenti riflessioni da parte degli studiosi del periodo
preindustriale, con obiettivi e approcci molto diversi. Solitamente questi studi tendono
ad orientarsi verso la ricostruzione del tracciato dei singoli percorsi, cercando di
analizzare e cartografare la disposizione degli insediamenti o dei manufatti presenti.
L'attenzione, tuttavia, si è rivolta in modo particolare verso l'interpretazione di certi
fenomeni quali la diffusione di culture artistiche o del pellegrinaggio, tralasciando
altre forme di lettura dei trasporti e la viabilità medievale.
Non sono mancati, tuttavia, i contributi di altri studiosi, come gli storici
dell'economia e gli storici sociali, che hanno affrontato altre linee di ricerca più
consona alla comprensione dei commerci e agli orientamenti del potere nella
definizione dello spazio medievale.
Anche l'archeologia si è occupata dallo studio delle strade, in modo particolare
attraverso l'analisi della circolazione della cultura materiale o la ricostruzione dei
percorsi stradali all'interno degli studi insediativi. Negli ultimi anni, si è sentita, in
ogni modo, la necessità di impostare lo studio della storia delle strade partendo
direttamente dello studio sistematico dei manufatti stradali, con lo scopo di spiegare la
storia dei trasporti in età medievale e moderna, l'articolazione dei commerci e i
rapporti sociali che intercorrono tra le strutture di potere e le strade.
In questa linea interpretativa si pongono gli studi condotti dall'Istituto di Storia
della Cultura Materiale (Iscum) su un numero già significativo di manufatti stradali,
che hanno permesso di mettere in luce le forme d'organizzazione medievale del
commercio, e impostare modelli d'analisi sociale delle strade in ambiti territoriali ben
definiti (MANNONI 1992, 1993; CAGNANA 1996). [15]
1.2 STRADE E POTERE
Lo studio sociale delle strade deve partire dall'analisi dei rapporti che si
stabiliscono tra le strutture di potere territoriale e la rete viaria. Nel caso delle valli
occidentali dell'Appennino toscano, quella del Magra, del Serchio o dell'Ombrone, lo
studio di questo rapporto costituisce un elemento qualificante per la comprensione
dell'evoluzione di questi territori, in quanto la presenza di alcune delle più importanti
strade della penisola ha avuto modo di condizionare la formazione dello spazio
medievale (fig. 1).
Gli importanti studi condotti da T. Szabò (SZABÒ 1991) hanno rilevato come le
strategie stradali del potere sono notevolmente cambiate nel corso del medioevo in
Toscana e nell'Italia settentrionale, mettendo in luce i complessi rapporti che sono
intercorsi tra le diverse strutture di potere e la storia delle strade e dei trasporti.
Anche se il sistema stradale romano subì un notevole degrado nell'altomedioevo
e scomparve la maggior parte dei servizi stradali, soltanto dai secoli IX-X le strutture
statali abbandonarono definitivamente qualsiasi pretesa di controllo e ordinamento
nella costruzione, manutenzione e gestione delle strade. Questo ruolo fu ripreso,
invece, dai comuni nel corso del XII secolo. Nel periodo intermedio, grosso modo nei
secoli X-XII, furono i poteri locali di diversa entità e le stesse città organizzate in
modo più o meno informale, a gestire quella che fu la ricostruzione di una rete
sistematica di infrastrutture stradali, giacché proprio in questi secoli si misero le basi
dell'assetto stradale medievale. Sappiamo quale fu il risultato: in buona parte della
Toscana i comuni urbani riuscirono nel corso dei secoli XII-XIV a imporre la loro
giurisdizione, definendo una vera e propria politica stradale. Ciononostante, nei secoli
precedenti, il "controllo" delle strade nelle cosiddette "aree di strada", è stato una delle
forme d'organizzazione dei poteri locali, fino al punto che è stato coniato il termine di
"signorie stradali". Tuttavia, non è stato ben chiarito in cosa consistesse questo
"controllo" delle strade, perché fosse necessario "controllarle", e perché i castelli o le
sedi di potere locale dovevano nascere in posizione "strategica" rispetto alla rete di
comunicazione.
Dal nostro punto di vista, è un compito essenziale dell'archeologia stradale
medievale riuscire a capire in cosa consistesse questo "controllo stradale",
determinare quali effetti abbia avuto sull'organizzazione del territorio e della
circolazione delle merci, e determinare quali strategie abbiano impiegato i comuni per
riuscire ad imporre la propria egemonia sulle strade, e quindi sul territorio rurale.
Per riuscire a sviluppare questo complesso programma di ricerca, è necessario
innanzi tutto partire da una comprensione del funzionamento del sistema di trasporto
medievale, analizzando direttamente gli elementi che configurano un organismo
stradale. Sarà, quindi, necessario conoscere quali [16] strategie signorili sono state
attuate per riuscire a comprendere le forme di controllo della produzione contadina e
di riscossione delle rendite.
G. Sergi, autore di diversi studi sociali sulla viabilità medievale nelle Alpi
(SERGI 1981), ha coniato il termine di "area di strada" una via era composta
frequentemente da una maglia di strade, che non sono riconducibili ad un unico
percorso. Tenendo presente i condizionamenti imposti dalla morfologia del territorio
(in modo particolare i passi di montagna o i guadi dei fiumi), il potenziamento di un
determinato tracciato è stato spesso determinato dalla volontà di diversi gruppi di
potere, che sono stati in grado di estendere su quel territorio una strategia di
sfruttamento delle risorse umane e naturali (fig. 2).
Gli strumenti impiegati da questi gruppi per condurre le proprie strategie con lo
scopo di riunire in una unica entità la complessità che racchiudono i rapporti tra un
territorio, una rete viaria mutevole e, soprattutto, l'intervento umano. Nel medioevo e
nel postmedioevo stradali, comunque, sono stati spiegati prevalentemente in termini
di pedaggi o di collocazione di castelli e fortificazioni. In particolare, diversi autori si
sono soffermati sulla complessità delle condizioni che regolano la posizione dei
castelli, giacché soltanto in casi molto concreti è possibile parlare di castelli "di
strada" (SETTIA 1979).
La mancanza di studi sulle strategie messe in atto dai signori nel controllo e
organizzazione delle attività produttive contadine, e quindi, nelle forme di esazione
delle rendite, è alla base della difficoltà nella definizione dei criteri che portarono alla
collocazione e costruzione dei castelli. Soltanto in pochi casi, come quello dei castelli
minerari della Maremma, gli studi archeologici hanno messo in luce quali criteri
reggevano l'ordinamento territoriale (posizione delle sedi abitative, sfruttamento delle
aree produttive, forme di controllo signorile della produzione), spiegando il
funzionamento concreto della signoria (FRANCOVICH, WICKHAM 1994). In altri
casi, la mera constatazione dell'ubicazione dei castelli e delle sedi abitative contadine,
in assenza di studi sugli spazi produttivi contadini, non permettono di evidenziare la
logica signorile che si trova a monte dell'ubicazione e della disposizione dei castelli.
(BARCELÓ 1995).
Quando il "controllo" delle strade diventava un elemento significativo nella
configurazione delle signorie, risulta ancora più complesso definire le strategie messe
in opera dai signori. Anche perché raramente possiamo parlare di "signorie stradali"
in senso puro. È molto difficile trovare castelli a controllo dei passi di montagna, e
raramente sorgevano in aree inospitali tali da escludere qualsiasi forma di
sfruttamento delle risorse agricole o silvopastorali. I pochi castelli attestati presso i
passi sono inoltre piccole postazioni militari. Sono quindi diversi i criteri che
concorrono ad spiegare i criteri di ubicazione dei castelli e delle sedi di potere in un
"area di strada".
A questo proposito, è sembrato utile richiamare in questa sede un esempio
significativo. La Lunigiana è stata una delle "aree di strada" di maggior [18] rilevanza
nel medioevo toscano, e costituisce un osservatorio privilegiato d'analisi dei rapporti
di potere incentrati intorno al "controllo" della strada.
Gli studiosi che si sono occupati del territorio medievale della Lunigiana hanno
più volte chiamato in causa la necessità di proteggere la via Francigena come uno dei
criteri definitori della politica d'incastellamento condotta dal vescovo di Luni
(VOLPE 1964, pp. 357-358). Questa posizione storica, ancora presente in una parte
significativa della produzione recente, si basa su pregiudizi ed esasperazioni di fatti
reali, in ogni caso non molto frequenti, che sottolineano la figura del signore predone
che abita nei castelli lungo le strade (SETTIA 1979, p. 258). L'esistenza di "castelli
stradali", in altre parole, con funzioni principalmente militari di controllo, è
innegabile, ma sicuramente la sua importanza numerica è in sostanza insignificante
all'interno del complesso processo d'incastellamento dei secoli X-XIII (SZABÒ
1999).
Ridimensionato il mito della funzione di "controllo stradale" dei castelli,
numerosi storici hanno comunque richiamato la questione dei pedaggi, richiesti dai
poteri territoriali incentrati proprio sui castelli. Così, secondo G. Sergi (SERGI 1981,
p. 164), nei passi delle Alpi occidentali erano le strade, i castelli strategici e i pedaggi
«le vere "basi materiali" del potere sabaudo». Anche nella Valdinievole è testimoniata
l'importanza dei pedaggi nella definizione delle signorie locali (QUIRÓS CASTILLO
1999b). Quando nell'anno 1167 Federico I volle beneficiare e rafforzare le famiglie
signorili della valle di fronte ai comuni urbani, concesse loro il diritto alla riscossione
di un pedaggio di 26 denari per ogni bestia da soma che attraversasse il territorio di
Buggiano, dove correva un'importante strada di collegamento tra le città di Lucca e
Pistoia (MGH, Diplomata, X/1, n. 537).
Nel caso della Lunigiana, la rilevanza dei pedaggi come base delle signorie
locali è stata evidenziata più volte da diversi autori. Dall'analisi della documentazione
medievale emerge infatti l'esistenza di numerosi punti di pedaggio disposti in tutto il
territorio della diocesi, e in mano al vescovo di Luni-Sarzana, dei gruppi signorili
minori, ma anche dei comuni rurali (come quello di Pontremoli) o dei marchesi
Malaspina. Questi ultimi riscuotevano nel XII secolo pedaggi in almeno tre punti
della Lunigiana, mentre il vescovo di Luni disponeva di questi privilegi nei secoli
XII-XIII a Luni, Ameglia, Caprigiola (fig. 3), o Avenza (ad esempio, CP 134, 369,
407).
Gli elenchi potrebbero ancora continuare, ma sono sufficienti per rilevare
l'esistenza di queste forme di esazione signorile sul territorio di Lunigiana.
Ciononostante, richiama l'attenzione il fatto che proprio la posizione di queste sedi dei
pedaggi non sempre corrisponde con i castelli. Non soltanto, ma compare in modo
rilevante l'associazione tra i pedaggi e le infrastrutture stradali.
A Vezzano il pedaggio era riscosso nell'anno 1279 accanto all'ospedale di
Scognavarano (CP 407). Ma le principali sedi di riscossione dei pedaggi vescovili
sono testimoniate 1ì dove c'erano dei mercati (Caprigliola) o delle strutture portuali
(Avenza, San Maurizio di Ameglia). Gli impressionanti elenchi [19] di merci
sottoposte al pagamento di "ripe e pedaggi" per l'utilizzo del porto di San Maurizio di
Ameglia redatti sotto il vescovato di Enrico da Fucecchio costituiscono, insieme agli
altri pedaggi, lo spaccato più preciso della struttura commerciale della Lunigiana del
XIII secolo (CP 6*, 7*, 8*).
A questo punto è necessario chiamare in causa anche le strategie signorili
impostate già nel XII secolo dai marchesi Malaspina, l'altro potere forte territoriale
della Valle del Magra.
In un celebre passo, citato da più autori e ripreso dagli Annales Piacentini
Ghibellini, si racconta come Opizzo Malaspina alle osservazioni di Federico I sulla
desolata natura della Lunigiana, risponde che l'economia del suo feudo si basava
proprio sul possesso di "volte mercantili" (FORMENTINI 1941)1. Grazie alle indagini
archeologiche condotte sui luoghi di sosta, si sono potute individuare le caratteristiche
materiali di questi magazzini mercantili, che erano strutture molto specializzate ed
indirizzate all'alloggio e al ricovero dei mercanti e mulattieri con carico a seguito.
Erano necessari ampi spazi per il ricovero dei muli e dei magazzini per lo stoccaggio
delle merci in transito. Non sappiamo se le volte erano gestite direttamente dai signori
e come erano tassate; resta comunque il fatto che il loro peso nella configurazione
della signoria dei Malaspina è stato centrale.
Da tutti questi dati si deduce, quindi, che i principali proventi signorili in
Lunigiana venissero dal possesso o dal controllo dei servizi stradali, e non
dall'esistenza di pedaggi arbitrari o di "castelli stradali" che sbarrassero le strade. Un
sistema stradale non si può improvvisare, ma richiede infrastrutture complesse e
costose da costruire e da mantenere, raggiungibili soltanto dai principali poteri
territoriali. In questo caso, una strada di lunga percorrenza, come quella che
attraversava la Lunigiana, richiedeva impegni di una certa entità, che furono affrontati
dai poteri signorili.
L'esistenza di ospedali fondati da gruppi signorili è frequente, in modo
particolare negli spazi di montagna, poiché in qualche modo queste strutture
rappresentano "una condensazione del potere in luoghi significativi", per utilizzare
un'espressione dello storico G. Sergi. Tuttavia, dall'indagine nella Lunigiana emerge
con forza il carattere imprenditoriale che potevano avere queste iniziative. Una delle
prime attività svolte dai comuni quando cominciarono ad estendere la loro egemonia
sulle strade del territorio rurale, fu infatti quella del controllo dei luoghi di sosta.
L'immagine, quindi, dei signori rapaci e rinchiusi nei loro castelli, dominanti le
strade, deve essere nel nostro caso sostituita da una visione molto più dinamica, in
quanto signori erano in grado di mettere in atto delle [20] strategie veramente
complesse e coerenti, tese all'esazione di rendite dai flussi mercantili esterni.
Tuttavia, come si è già detto sopra, raramente esistono "signorie stradali" pure, e
anche nel caso della Lunigiana è possibile individuare delle strategie signorili ben
definite, rivolte sia al controllo sia allo sfruttamento delle attività produttive contadine
presenti sul territorio.
Recenti studi condotti su altri territori di montagna, hanno messo in luce come
una delle forme più incisive di controllo signorile della produzione contadina in questi
1
Di recente questa interpretazione è stata contestata da E. Salvatori, che sostiene che il termine “voltis”
sia da interpretare come un pedaggio e non come un magazzino mercantile (SALVATORI c.s.).
territori è l'accesso ai pascoli d'altura (BARCELÓ 1995). L'equilibrio produttivo delle
valli montuose si basa su di un'equilibrata integrazione tra le forme d'agricoltura, le
risorse boschive e l'allevamento, che occupano spazi produttivi ben determinati e
integrati tra loro. Le stesse condizioni geomorfologiche impongono dei precisi limiti
alle modificazioni di questo equilibrio. In questa situazione, L'inserimento dei signori
è avvenuto principalmente attraverso il potenziamento di un allevamento
commerciale, estraneo alle forme di sfruttamento delle risorse da parte delle comunità
contadine. La chiave di volta di tutto questo sistema risiede nel controllo delle aree di
pascolo, che sono sottratte alle comunità contadine dai signori (QUIRÓS CASTILLO
2000).
In questo modo, si sviluppò in Lunigiana, almeno dal XII secolo, un
allevamento specializzato basato sulla transumanza stagionale tra le aree di montagna
e di pianura. Il vescovo di Luni, ad esempio, riscuoteva l'erbatico (tassa dovuta per
l'uso dei pascoli signorili) in numerose località, dove i contadini erano stati esclusi o
limitati all'accesso ai pascoli (ad esempio CP 21, 22, 241). La privatizzazione dei
pascoli interessò, non soltanto quelli estivi (in montagna), ma anche quelli invernali,
(in pianura). In questo modo, il vescovo era in grado di gestire completamente tutto il
ciclo produttivo. [21]
Anche la circolazione delle mandrie era inoltre sottoposta a pedaggio da parte
dello stesso vescovo. Il controllo delle strade nell'Appennino da parte dei signori non
si può quindi spiegare soltanto in rapporto alle grandi vie di comunicazione, in quanto
avevano più rilevanza proprio le strade locali e di servizio, di accesso alle aree
produttive.
In conclusione, dall'esempio qui riportato, che presenta confronti con altri casi
dell'Appennino toscano, emerge con forza l'esistenza di complesse e organiche
strategie signorili basate sullo sfruttamento delle strade come forma di dominazione
sociale nei confronti dei mercanti e dei contadini.
Non possiamo pensare alle "signorie stradali" sviluppatesi nelle comunità rurali
dell'Appennino – in terre povere per riportare i concetti impiegati da Federico I –
come l'unica signoria possibile o come una versione scarna delle dominazioni
signorili della pianura. Al contrario, la compattezza e la forza di queste forme di
controllo signorile spiegano come si siano sviluppate in Lunigiana alcune delle forme
signorili più robuste e durevoli di tutta la Toscana e della Liguria in età medievale. È
necessario, quindi, indirizzare la ricerca archeologica nell'Appennino verso lo studio
delle strade, delle aree abitative e delle sedi produttive per capire le fasi e la
formazione dei rapporti feudali di produzione nei territori di montagna.
1.3 DEFINIZIONE DI UN SISTEMA STRADALE
Prima di capire quali siano le possibilità di studio archeologico delle strade nel
medioevo, è necessario partire da una visione organica e coerente degli elementi che
configurano una strada o, meglio, un sistema stradale (MANNONI 1994).
Una via di comunicazione terrestre presenta tutta una serie di infrastrutture e
servizi che compaiono funzionalmente rapportati tra loro, e che sono in grado di
garantire la sua percorribilità senza discontinuità ( fig. 4).
È comunque necessario partire dall'idea che non tutte le strade svolgono le
stesse funzioni e che, quindi, esiste una gerarchia funzionale che spiega il tipo di
opere e di servizi dei quali è dotata la strada. Per Mannoni (MANNONI 1983) la rete
stradale d'età medievale prevedeva l'esistenza di almeno tre gruppi di strade:
– vie di lunga percorrenza che uniscono centri maggiori, non compresi nello
stesso territorio,
– vie di collegamento tra centri abitati all'interno di uno stesso territorio,
– vie di servizio funzionali all'attività del singolo centro abitato.
Ognuna di questi gruppi di strade è attrezzata in modo diverso, svolge quindi
funzioni diverse e la sua manutenzione e costruzione è affidata a strutture politiche
diverse.
L'insieme di tutti i manufatti e servizi che garantiscono la continuità del
percorso e la sua percorribilità, è ciò che compone e definisce il sistema [22] stradale.
Un sistema stradale è rappresentato quindi da tutte le strutture che permettono che una
via sia un mezzo di comunicazione veloce e sicuro. Le opere costruite presenti su un
sistema stradale possono raggrupparsi in quattro categorie principali:
– pavimentazioni e massicciate stradali;
– strutture od opere d'arte che garantiscono la continuità del percorso (ponti,
muri di sostegno e d'argine);
– strutture di servizio, principalmente luoghi di sosta, ma anche fucine per
ferrare i cavalli, magazzini, etc.;
– infine, le strutture di potere impongono altre forme di controllo diretto o
indiretto della viabilità, come sono le dogane, le porte, o i punti di riscossione dei
pedaggi.
Lo studio archeologico di questi elementi, in rapporto con la storia sociale,
permette di capire l'evoluzione della rete stradale di un territorio e la sua interazione
con le forme di potere locale.
Le strade in età preindustriale seguivano i criteri della massima efficienza in
funzione dei mezzi di comunicazione e delle opere stradali da realizzare (MANNONI
1983). Tuttavia, questi criteri erano frequentemente stravolti da numerosi fattori
politici ed economici, in modo tale che la rete stradale era molto instabile e soggetta a
variazioni nel suo tracciato e nelle sue caratteristiche. Questo fatto è registrabile
principalmente nelle strade a lunga percorrenza che coinvolgevano la circolazione
d'uomini e di merci, e diventa di particolare rilevanza se si prendono in
considerazione i passaggi critici nei quali gli impedimenti naturali imponevano
l'esistenza di infrastrutture stradali di una certa portata, come l'attraversamento di un
grosso fiume o il passaggio di una catena montuosa. E proprio in questo caso quando
si fa più evidente il rapporto tra le strutture di potere e la viabilità, e quindi costituisce
un buon osservatorio archeologico di queste realtà.
1.4 METODI DI STUDIO ARCHEOLOGICO DELLE STRADE
Tenendo presente la composizione dei sistemi stradali, è necessario considerare
quali strumenti d'analisi archeologica possono essere applicati allo studio delle strade
medievali (CAGNANA 1996).
Per quanto riguarda lo studio delle massicciate e delle pavimentazioni stradali,
l'archeologia non dispone finora di strumenti utili per determinarne la cronologia e,
quindi, la loro evoluzione nel tempo. Gli studi condotti finora sulle pavimentazioni
stradali, mostrano come le tecniche costruttive non hanno subito grandi modificazioni
dalla caduta dell'impero romano all'industrializzazione. In questo modo,
l'interpretazione archeologica in assenza di seriazioni stratigrafiche e la presenza di
reperti mobili diventa molto difficile. È necessario, quindi, ricorrere alle fonti scritte
esterne al manufatto per [23] riuscire ad ottenere delle cronologie precise (ad
esempio, VANNI DESIDERI 1994). Ci sono, comunque, dei casi particolari nei quali
è possibile riuscire ad impiegare gli strumenti archeologici per determinare la
cronologia e le caratteristiche delle strade. Questo avviene, ad esempio, nel caso di
strade urbane pavimentate a mattoni, che compaiono con molta frequenza in Toscana
e nella pianura padana dal XIII secolo. In questo caso lo studio delle caratteristiche e
le dimensioni dei mattoni permettono di ottenere delle cronologie abbastanza precise.
Le analisi morfologiche e metrologiche dei tracciati stradali consentono,
comunque, di determinare il tipo di mezzi di trasporto impiegato, giacché i carri, ad
esempio, richiedono certi accorgimenti (larghezza stradale, angoli di curvatura e
pendii) che non possono essere ignorati. [24]
Le strutture e le opere d'arte che, disposte lungo le strade, garantiscono la
continuità dei percorsi, possono essere invece sottoposte ad analisi archeologiche. Sia
i ponti ( 5) che le murature d'argine o di sostegno possono essere datati e studiati in
base alle tecniche costruttive e all'analisi stratigrafica. Tuttavia, anche in questo caso
la continuità d'uso e dei modi di costruire in ambiente rurale può compromettere lo
studio di opere quali i muri di sostegno. La costruzione dei ponti richiedeva sempre la
presenza di mano d'opera specializzata, in particolare se le luci degli archi erano
molto ampie. In età medievale si sono impiegati quasi esclusivamente i ponti a
schiena d'asino, in quanto erano meno complessi da realizzare, e con meno piloni si
coprivano anche notevoli distanze. Questi ponti escludevano, però, il transito dei
carri, ed erano adatti soltanto al trasporto sui muli.
Sicuramente, sono le strutture di servizio e quelle associate al controllo delle
strade da parte dei poteri locali che richiedono un approccio archeologico più serrato.
I luoghi di sosta, magazzini, dogane, ripari, stazioni di posta sono stati finora studiati
con dati documentari e topografici, ma sono poco conosciuti archeologicamente. In
modo particolare, soltanto negli ultimi anni è stata messa in luce la diversità esistente
tra gli alberghi nati in funzione della circolazione di merci ("volte mercantili") rispetto
ad altre forme d'ospitalità, in quanto le prime hanno bisogno di precise strutture e
servizi utili al ricovero delle merci e dei muli, il principale mezzo di trasporto
medievale. La ricomparsa delle strade carrabili negli ultimi due secoli ha provocato
dei cambiamenti radicali nella struttura viaria preindustriale, rendendo inutili e [25]
non operativi i servizi stradali precedenti. In questo modo, numerosi ospedali,
magazzini e "volte mercantili" sono stati profondamente trasformati o abbandonati. In
particolare, sono molto rari gli ospizi o luoghi di sosta medievali ancora in elevato, e
soltanto il ricorso allo scavo archeologico permette di ricuperare i resti di queste
strutture. Altri manufatti di età moderna sono ancora leggibili nel tessuto urbanistico
dei borghi stradali o lungo le principali direttrici viarie. In questo caso, la lettura
archeologica del costruito si pone come la principale forma d'analisi di questi
manufatti.
In questa breve rassegna emergono, quindi, le difficoltà che presenta lo studio
archeologico delle strade, a causa delle stesse caratteristiche materiali dei componenti
che definiscono il sistema stradale.
Per questa ragione si spiega come, con maggior frequenza, gli archeologici
hanno fatto ricorso allo studio delle strade in modo indiretto, vale a dire, analizzando
la circolazione delle merci attraverso lo studio della cultura materiale, o studiando la
disposizione dell'insediamento e delle istituzioni collegate ai tracciati stradali (pievi,
ospedali, ponti, fortificazioni...). Tuttavia, con questo approccio non è possibile
riuscire a capire la struttura dei sistemi stradali, e l'interazione con i rapporti di potere
locale. Occorre, quindi, rapportarsi direttamente con i manufatti stradali come chiave
di lettura delle forme di circolazione delle merci e della conformazione signorile del
territorio.
In questo volume, si presenta lo studio di uno spazio di montagna attraversato
nel medioevo da numerose strade di diversa entità, tale da richiedere la costruzione di
un luogo di sosta su un passo tra le Apuane e gli Appennini. Attraverso lo scavo di un
ospedale si può capire come si sia evoluta funzionalmente questa strada, e come si
siano sviluppate le forme di controllo signorile del territorio.
2. I luoghi di sosta lungo le strade
2.1 LE STRUTTURE DI SOSTA NEL MEDIOEVO
Un ospedale nel medioevo era una fondazione religiosa dotata di un patrimonio
più o meno ampio, le cui rendite erano impiegate per diversi servizi. Questi erano
essenzialmente di tre tipi: l'assistenza ai poveri, orfani e gruppi marginali; l'assistenza
al viaggiatore o pellegrino; l'assistenza al malato. Nei primi secoli del medioevo erano
frequenti gli ospedali che svolgevano indifferentemente tutte queste funzioni, ma già
dai secoli centrali si osserva la tendenza ad una differenziazione funzionale. In questo
periodo, infatti, i singoli ospedali raramente svolgevano tutti questi servizi, ma erano
finalizzati ad alcune funzioni specifiche, in rapporto con la loro ubicazione e le loro
caratteristiche (MORETTI 1998, CHERUBINI 1997) [26].
Nell'altomedioevo queste strutture erano note prevalentemente con il nome di
xenodochio (ricovero per forestieri), e costituivano la prima forma d'assistenza
organizzata lungo le strade o nei centri urbani, indirizzata specificamente ai forestieri.
Tuttavia, nel corso dei secoli gli xenodochia diventarono centri di assistenza più
diversificati.
È importante notare che nei secoli VIII-X queste istituzioni erano sempre
annesse o parte integrante di abbazie e chiese, anche se architettonicamente
costituivano delle strutture distinte. Inoltre, c'erano anche chiese o monasteri senza
xenodochia che svolgevano funzioni assistenziali a pellegrini o bisognosi. I primi
ospedali nati nell'altomedioevo erano quindi strutture non specializzate, che
soddisfacevano le diverse esigenze che caratterizzavano la società del periodo. Nel
territorio rurale le abbazie situate nel tracciato delle principali vie si disponevano a
distanza regolare in base ai percorsi giornalieri.
In città questi xenodochia erano collocati nei pressi delle chiese e dei monasteri.
Nel territorio rurale, invece, erano le pievi e gli stessi monasteri, disposti lungo i
principali tracciati viari, che svolgevano il ruolo di luoghi di sosta. Ad esempio, nel
celebre itinerario descritto dal vescovo di Canterbury, Sigerico, alla fine del X secolo
di ritorno da Roma, i luoghi di sosta impiegati nel suo viaggio sono città, pievi e
monasteri.
Dall'XI secolo il termine ospedale sostituì quello di xenodochio in modo
definitivo, anche se non ci furono dei cambiamenti sostanziali nelle funzioni e
nell'organizzazione dell'assistenza. Un fatto rilevante nel caso toscano è stato la
diffusione proprio in questo secolo delle canoniche, dotate anch'esse di strutture
ricettive, a seguito della riforma della chiesa. Nelle chiese canonicali erano presenti
dei collegi di sacerdoti secolari che conducevano una vita comune, come i monaci.
Molte di queste chiese erano ubicate lungo il tracciato delle principali vie di
comunicazione, e in Toscana hanno avuto una certa rilevanza per quanto riguarda
l'assistenza ai viaggiatori.
Contrariamente all'opinione comune, a partire dal XII secolo i documenti
toscani mostrano come esista una tendenza alla differenziazione tra gli ospedali con
funzione assistenziali, e quelli con funzione ricettiva come luoghi di sosta per i
viaggiatori. Questa differenziazione non fu in realtà frutto di una specializzazione in
categorie esclusive, ma rappresentò in qualche modo la risposta alla comparsa di
nuove forme di ospitalità, alle esigenze di una società in continua trasformazione e a
una nuova organizzazione del sistema dei trasporti medievali (SZABÒ 1991).
Negli ospedali urbani la funzione assistenziale finì per prevalere presto, in
quanto la maggior parte di queste strutture assunse il ruolo di centro di cura per malati
e per bisognosi, mentre il suo carattere d'appoggio ai pellegrini diventò una funzione
secondaria (BALESTRACCI 1989).
Anche nel territorio rurale è documentato questo cambiamento, sebbene soltanto
in modo parziale. Una parte rilevante degli ospedali continuò a [27] svolgere la
funzione d'albergo, ma numerosi centri divennero semplici strutture ricettive per
poveri e malati. Gli ospedali ubicati nei punti di stretta necessità per i viandanti, come
passi di montagna, quelli situati presso i guadi dei fiumi, i ponti o all'inizio delle
salite, consolidarono la loro funzione ricettiva, ma perfino un ospedale come quello di
Sant'Jacopo d'Altopascio divenne principalmente un centro assistenziale (SZABÒ
1991, p. 301).
Dal XIII secolo si moltiplica in Toscana il numero di fondazioni di ospizi laici
di piccole dimensioni e vincolati principalmente ai centri abitati. Sono soprattutto
piccoli ospizi, talvolta fondati nella casa degli stessi conversi che donavano se stessi e
il loro patrimonio alla chiesa, con mezzi limitati e con funzione prevalentemente
assistenziale (CARLI 1993). Il numero di fondazioni e di ospedali rimase notevole
negli ultimi secoli del medioevo, ma si osserva una crescente tendenza alla
diversificazione funzionale, anche se questa non sfociò mai in una vera
specializzazione. Resta il fatto che, dai secoli XII e XIII, la comparsa di ospedali nel
territorio rurale toscano non si può spiegare soltanto in funzione esclusivamente della
viabilità, giacché la presenza di altre forme di ospitalità dava risposta ai nuovi
fabbisogni nati in questo periodo.
In modo parallelo agli ospedali si sviluppò infatti una rete d'ospitalità a
pagamento, in funzione dello sviluppo e crescita delle attività commerciali. Sebbene
le prime notizie relative a taverne e locande siano da far risalire, nel caso toscano, alla
fine del X secolo, sicuramente i luoghi di sosta a pagamento esistevano già in
precedenza. Soltanto dopo il XII secolo si dispone di notizie più precise su queste
strutture. Nel medioevo c'erano diversi tipi di esercizi commerciali dedicati
all'accoglienza di viaggiatori (SZABÒ 1991, p. 306 ss.): quelli che fornivano soltanto
vitto (osterie o taverne); quelli che fornivano anche alloggio ed erano dotate di
strutture di servizio come stalle o magazzini (hospitium o alberghi).
Altri tipi di strutture utilizzati dai mercanti e situati in città erano grandi
magazzini ricavati nei piani inferiori degli edifici concessi in affitto, detti stationes, e i
fondachi. Questi luoghi di sosta erano presenti nei principali porti e centri mercantili
urbani dalla fine del XII secolo. Radunavano i commercianti provenienti da un unica
città o territorio, ed erano organizzati in funzione dell'attività mercantile svolta.
Disponevano, quindi, di ampi magazzini, stalle, luoghi di vendita delle merci e punti
di sosta per gli stessi commercianti. A Pisa, ad esempio, i fondachi erano molto
numerosi essendo la base d'appoggio alle attività mercantili di acquisto di materie
Prime e prodotti lavorati, e dello smercio di prodotti realizzati nelle città d'origine
attraverso l'importante porto toscano. In questo modo, i fondachi pisani dovevano
essere dotati di strutture di servizio adatte per lo sviluppo dei collegamenti stabili tra il
porto e l'entroterra. Ad esempio, nell'anno 1238 tutte le arti di San Gimignano
acquistarono un fondaco, noto come "Fondaco dei Sangimignanesi", che disponeva di
un albergo e di una stalla con posto per 50 bestie [28] da carico. Si conoscono altri
fondachi nella città di Pisa, nei quali sono presenti i mercanti dei principali centri
urbani toscani, Lucca esclusa (SZABÒ 1991).
Il sistema di fondachi, inoltre, fu utilizzato anche dalle stesse "repubbliche
marinare" che costituirono delle sedi mercantili stabili in altre parti del Mediterraneo,
con istituzioni e autonomia propria.
Per quanto riguarda il territorio rurale, le notizie sui luoghi di sosta a pagamento
sono meno esplicite, in particolare per quelli legati alla circolazione di merci. Come si
è detto in precedenza, una delle forme più antiche documentate è rappresentata dagli
alberghi detti "volte", esistenti in Lunigiana già nella seconda metà del XII secolo e
appartenenti o controllati dai Marchesi Malaspina. Purtroppo, la completa ignoranza
che si ha di queste strutture non ci permette di conoscere né la loro ubicazione, né il
loro funzionamento.
Soltanto dal XIII secolo si hanno delle notizie documentali più frequenti. A San
Gimignano c'erano nell'anno 1262 nove ospizi privati, diverse taverne e alberghi, e
nell'anno 1258 esisteva una corporazione dei tavernieri. A Firenze è documentata
nell'anno 1267 una corporazione degli albergatori, e alla fine del XIV secolo erano
più dei seicento quelli registrati nella città e nel territorio rurale. Nello stesso secolo a
Siena erano cento gli iscritti all'arte degli albergatori.
Purtroppo ancora non si ha una visione complessiva di queste forme d'ospitalità
utilizzate nel corso del medioevo, in particolare in rapporto con la circolazione delle
merci e dei mercanti. Resta il fatto che in Toscana, già dal XII secolo, si cominciò a
verificare un fenomeno di affermazione di queste strutture d'ospitalità (locande,
alberghi, volte, fondachi) a danno degli ospedali e di altre forme di ricettività. Anche
se erano diversi i fruitori delle due strutture, l'espansione progressiva delle prime
determinò la fine, entro il XIV-XV secolo, di gran parte degli ospedali associati alla
rete viaria. Ci furono anche delle eccezioni, in modo particolare nel caso degli
ospedali di passo, ma il cambiamento fu comunque notevole.
2.2 LE STUTTURE MATERIALI: ARCHEOLOGIA E ARCHITETTURA DEI
LUOGHI DI SOSTA
Anche se lo studio delle strade medievali e dei loro percorsi hanno avuto negli
ultimi anni un forte sviluppo in rapporto con la diffusione di una certa storiografia
idealistica, gli studi sulle infrastrutture viarie e sui sistemi di trasporto medievale non
hanno avuto un identico successo. Attualmente non esiste ancora un quadro d'insieme
sull'architettura degli ospedali o dei luoghi di sosta in Italia.
Le ragioni che sono alla base di questa mancanza sono di tipo teorico, ma
dipendono anche dalle stesse caratteristiche di queste strutture. Come si è visto, molti
ospedali sono sorti come annessi a chiese, monasteri o pievi, oppure come case o
strutture riadattate alle funzioni assistenziali. Vengono, [29] quindi, a mancare le
discriminanti architettoniche o gli elementi riconoscibili che permettano di
identificare l'articolazione degli ospedali. In questo modo, le strutture dedicate
all'accoglienza dei viaggiatori e la loro distribuzione funzionale restano per lo più
sconosciute.
Un altro problema molto frequente è la conservazione delle cappelle o delle
chiese annesse agli ospedali, a seguito della distruzione e dell'abbandono di questi
ultimi. È vero che in determinati casi degli ospedali assomigliavano a chiese, o che
pure le stesse chiese hanno svolto la funzione di ricovero. Tuttavia, ancora oggi si
tende ad identificare l'ospedale con la sua cappella, quando invece siamo informati
dalla documentazione scritta e dalla lettura stratigrafica degli elevati dell'esigenza che
avevano gli ospedali, adibiti alla funzione ricettiva verso i viaggiatori, di disporre di
strutture di servizio relativamente articolate.
Infine, un altro problema che complica l'interpretazione dei luoghi di sosta è
legato al fatto che molte strutture sono state abbandonate e distrutte nel corso dei
secoli, in modo particolare dai secoli XIV-XVI, a seguito dei cambiamenti operati
nelle strutture ricettive e nella rete dei trasporti.
Si conservano, in ogni modo, ancora in elevato numerose strutture e luoghi di
sosta, anche se la difficoltà nella loro identificazione, mancando elementi di
riconoscimento, e la mancanza di progetti di ricerca specifici sono alla base delle
nostre carenze attuali.
Ma se gli storici dell'architettura trovano difficoltà nello studio di queste
strutture a causa del loro massiccio abbandono alla fine del medioevo – quando si
diffusero le strutture assistenziali a pagamento –, è compito dell'archeologia studiare
le sequenze stratigrafiche ancora in elevato e scavare gli edifici abbandonati da secoli.
Finora le ricerche archeologiche condotte sui luoghi di sosta in Italia non sono
molte. Mancano riflessioni teoriche e concettuali che permettano di integrare, in un
quadro coerente, quelli che sono stati fin ora interventi piuttosto casuali e slegati
relativi a progetti di ricerca specifici.
Hanno avuto una certa rilevanza lo scavo di alcuni ospedali urbani, come quello
di Santa Andrea di Vercelli (PANTÒ 1984), o quello di Santa Maria alla Scala di
Siena, attualmente ripreso (BOLDRINI, PARENTI 1991), ma anche in questo caso
manca un quadro di insieme sugli spedali cittadini.
Come si è detto gli ospedali sono le prime strutture d'assistenza organizzata che
troviamo nell'altomedioevo dopo la caduta dell'Impero romano. Funzionalmente
sostituiscono le stationes e le mansiones romane, che costituivano i luoghi di sosta
disposti a distanza regolare lungo le principali strade romane. Tuttavia, è stato
possibile individuare in diversi casi la morfologia di queste strutture, in particolare nei
valichi di montagna. In Valle d'Aosta in [30] età romana, erano presenti due
mansiones sui passi del Piccolo e del Gran San Bernardo. In quest'ultimo sito si
trovava un tempio dedicato a Giove insieme a due strutture organizzate intorno a una
corte centrale, con delle torri agli ingressi.
Da questi dati emerge come le caratteristiche strutturali e l'attività svolta dai
luoghi di sosta romani siano completamente diverse da quelle degli ospedali
altomedievali, fatto che riflette la notevole frattura esistente tra i sistemi di trasporto e
l'organizzazione del sistema stradale romano e medievale.
I primi xenodochia situati fuori della città erano legati a pievi e monasteri. La
funzione di ricovero era svolta in edifici tipologicamente non distinguibili, e perciò è
difficile individuare nei complessi monastici le strutture adibite a questa funzione.
Per quanto riguarda gli scavi di ospedali altomedievali, uno dei pochi esempi sui
quali possiamo contare è lo xenodochio di Santa Giulia di Brescia, ubicato nell'angolo
via Piamarta-via Musei (figg. 6-7) all'incrocio tra il decumano [31] massimo e la
strada che partiva dalla porta NE della cinta romana. L'edificio altomedievale,
costruito sulla distruzione per incendio di una struttura tardoantica, è stato indagato
parzialmente mediante la realizzazione di diversi saggi archeologici e la lettura delle
murature in elevato. Si tratta di una struttura rettangolare di otto per oltre nove metri,
distribuita su due piani. L'edificio è stato realizzato con una muratura irregolare con
bozze e frammenti di laterizi legati con abbondante malta. Sulla muratura sono
presenti delle nicchie realizzate con mattoni romani reimpiegati disposti a capanna.
Nella facciata che guarda la via Piamarta (fig. 6) ancora si conservano in elevato i
resti dell'edificio altomedievale realizzato con doppi filari di mattoni romani alternati
con una muratura irregolare. In questa facciata sono ancora riconoscibili due porte a
tutto sesto e una feritoia al piano terra, mentre nel piano superiore si osservano le
tracce di due finestre ad arco (BREDA 1990; BROGIOLO 1993).
Per quanto riguarda la cronologia, questa costruzione si data nei secoli centrali
dell'altomedioevo, forse nel VII secolo, anche se soltanto nel IX abbiamo notizie della
fondazione di uno xenodochio nel monastero di Santa Giulia.
Un problema ancora non affrontato archeologicamente è quello dell'ospitalità
monastica altomedievale nel territorio rurale, che ha costituito la spina dorsale dei
principali tratti viari prima dell'XI secolo. Secondo diversi autori, numerose
fondazioni reali longobarde e carolingie mossero i loro passi proprio in rapporto con
una politica stradale. Questa attività di fondazioni fu particolarmente attiva nei pressi
dei passi montani, come avvenne nelle Alpi con le fondazioni di strutture quali SS.
Pietro e Andrea di Novalesa, nella vicinanza del passo di Moncenisio (Torino), o
negli Appennini con la fondazione del monastero di Berceto, nel passo della Cisa
(Monte Bardone).
Per quanto riguarda le strutture ospedaliere dei secoli successivi, anche in
questo caso le strutture note sono molto poche, mancando studi sistematici. Dalle
osservazioni realizzate finora, si è compreso che gran parte degli ospedali situati
lungo le strade di transito principale era di piccole dimensioni, talvolta piccolissime, e
non era attrezzato in modo particolare per il ricovero degli animali da trasporto e delle
merci. Spesso molti di questi ospedali avevano una ricettività limitata a due e tre letti
soltanto.
I pochi scavi archeologici di ospedali rurali realizzati finora in Italia hanno
confermato questa situazione ed evidenziato la diversità tipologica e strutturale di
queste istituzioni.
Un gruppo di questi ospedali è stato scavato nell'area dell'Appennino ligure
negli anni 50-70. Sono ospedali disposti nei pressi di passi di montagna, che
compaiono isolati. In tutti i casi (Pietra Colice, Possuolo, Cian de Reste), si è potuto
accertare come queste istituzioni fossero carenti di strutture utili al ricovero di un
numero importante di viaggiatori.
Negli anni 50 è stato scavato l'ospedale di San Nicolao di Pietra Colice, nei
pressi del passo del Bracco, nel retroterra di Moneglia, situato lungo la [33] strada che
comunicava Genova e Sarzana. L'ospedale è documentato dal XIII secolo, anche se è
possibile che sia stato fondato nel secolo precedente, ed è abbandonato poco oltre la
metà del XVI secolo. Lo scavo ha evidenziato l'esistenza di una chiesa triabsidata con
navata unica. Affianca l'abside sinistra una piccola stanza rettangolare di 2x1,5 m, di
funzione non nota all'interno della quale era un ossario. Nell'indagine, che non ha
coperto completamente il sito, non sono emerse in nessun modo strutture dedicate in
modo specifico al ricovero dei viaggiatori (CIMASCHI 1957).
Situazione analoga si documenta nel caso degli scavi condotti nell'ospedale di
San Giacomo di Possuolo, nella Valfontanabuona. L'ospedale è noto dagli inizi del
XIII secolo, e si trovava lungo la strada che collegava la valle con Genova. In questo
caso furono messi in luce i resti della chiesta, sui quali sorge ancora oggi il rudere di
un rustico abbandonato, mentre le tracce di un edificio nettamente separato dal
precedente, interpretati come la possibile area dell'ospedale, furono messe in luce
soltanto parzialmente (CAGNANA et alii 1992).
Disponiamo, inoltre, di altre ricerche sulla morfologia degli ospedali condotti
dagli storici dell'architettura, anche se in realtà la loro attenzione è principalmente
indirizzata all'analisi stilistica delle cappelle e delle chiese annesse ai luoghi di sosta.
Questi studiosi hanno confermato come una parte molto importante dei
numerosi ospedali sorti lungo le principali strade medievali, fosse di dimensioni molto
modeste. Inoltre, segnalano come in molte occasioni la funzione di ricovero non era
svolta in un edificio caratteristico e tipologicamente distinguibile dell'architettura
coeva (MORETTI 1989).
Tipologicamente gli storici dell'architettura individuano la struttura "a sala"
come quella più rappresentativa degli ospedali medievali. Da numerosi esempi,
principalmente centroeuropei, si conosce l'esistenza di strutture allungate a un solo
piano, con una o tre navate e finestre nei lati lunghi, che richiamano da vicino la
morfologia delle chiese (LEISTICOW 1967). Anche se sembra verosimile che gli
ospedali "a sala" siano stati la tipologia dominante anche in Toscana e, in generale, in
Italia, la casistica nota è piuttosto ridotta. Alcuni degli ospedali presentati in questo
lavoro, come quello di Groppofosco (fig. 8), o diversi esempi lucchesi (vedi sotto),
presentano strutture rettangolari, allungate che in qualche modo richiamano questo
modello architettonico. Tuttavia, ai fini dell'analisi della sua organizzazione
funzionale, ancora si sa troppo poco.
Non si dispone, inoltre, di seriazioni tipologiche datate che permettano di capire
come fossero articolate e come si sono sviluppate queste strutture. I principali studi
hanno riguardato principalmente gli ospedali urbani, e si ha solo notizie molto
frammentarie per quelli rurali.
Sappiamo che fuori delle mura urbane, le caratteristiche degli ospedali erano
molto eterogenee per poter parlare di una tipologia ben definita. [34]
In Valdelsa (FRATI 1998) e in molte zone della Toscana sappiamo che c'erano,
oltre ai piccoli ospedali, strutture di una certa entità, talvolta per la donazione di una
casa già esistente, che erano articolate intorno a un cortile e dominate da un edificio
turriforme. Una struttura di questo tipo è l'ospedale gerosolimitano della Magione di
Poggibonsi, che rappresenta uno dei complessi ospedalieri rurali più articolati e
meglio conservati in Toscana. Tra gli edifici situati intorno al cortile centrale non si è
identificato nessun ambiente riconducibile all'alloggio dei viaggiatori, fino al punto
che si è suggerito che fosse la stessa cappella a svolgere tale funzione. In altre
occasioni, soltanto si conserva la cappella appartenente a strutture ospedaliere di
maggiori dimensioni (figg. 9-10).
Sono attestati poi altri ospedali lungo le strade nei quali esisteva una divisione
tra l'alloggio e l'edificio ecclesiastico. Spesso le strutture adibite all'alloggio
disponevano di un loggiato o porticato esterno, funzionale anche al ricovero delle
bestie.
Tenendo conto del limitato campione conosciuto finora in Toscana, e in
generale nell'Italia centrale, resta ancora da capire fino a che punto la tipologia "a
sala" abbia costituito il modello di riferimento per l'architettura ospedaliera
medievale, sia in città che nel territorio rurale.
Resta soprattutto da capire, come aspetto essenziale, quali erano le dotazioni di
servizi di questi ospedali, con lo scopo di poterne definire il tipo d'utenti e la loro
predisposizione ad accogliere viaggiatori con merci a seguito. [35]
Dal bassomedioevo, gli edifici ospedalieri assumeranno una conformazione
simile a quella dei palazzi (MORETTI 1989, p. 220), sia in città che nel territorio
rurale, anche se in questo periodo si registrano molti abbandoni d'ospedali medievali.
Molto meno note sono le strutture adibite all'ospitalità a pagamento, in buona
parte legate nel medioevo alla circolazione di merci. Anche se le dimensioni
documentali più antiche di queste strutture sono del X secolo e sappiamo che hanno
raggiunto un importanza notevole nel sistema di trasporti [36] medievale già dal XII
secolo, s'ignorano completamente le loro conformazioni architettoniche.
La ricerca archeologica ha messo in luce l'esistenza di luoghi di sosta adatti allo
sviluppo dei commerci, noti come "volte mercantili", per l'esistenza di cortili e stanze
voltate utili al ricovero dei muli e all'immagazzinamento delle merci trasportate.
Strutture di questo tipo sono state individuate finora nelle principali "aree di strade"
situate nel nord Italia. Significativamente queste volte erano situate nel retroterra dei
principali porti, o nei borghi stradali disposti lungo le maggiori vie di traffico terrestre
all'ingresso e all'uscita dei passi di montagna. Un esempio rilevante è quello del borgo
di Pontremoli (figg. 11-12), dove sono state rintracciate diverse decine di queste
strutture.
Le "volte" conosciute finora, sono generalmente articolate intorno ad un cortile
sul quale si aprono dei porticati atti al ricovero dei muli, l'unico mezzo di trasporto
impiegato massicciamente per il passaggio dei valichi di montagna. Erano quindi
dotate nel piano inferiore di stalle e di magazzini di diverse dimensioni per il carico e
gli animali. Nel piano superiore erano presenti invece gli alloggi dei viaggiatori e dei
proprietari o gestori di questi magazzini. Al cortile principale si accedeva tramite un
unico accesso, talvolta protetto da torri [37].
Al momento le "volte mercantili" riconosciute si possono datare soltanto
dall'ultimo secolo del medioevo, e non si hanno notizie sulle caratteristiche
morfologiche e funzionali dei luoghi di sosta dei secoli precedenti.
Resta inoltre il problema della morfologia degli alberghi, osterie e fondachi, noti
soltanto dalle fonti scritte. Dai pochi dati noti, ci sono degli evidenti punti di contatto
tra i fondachi presso i principali porti e le "volte stradali", in quanto presentano ampie
stalle e magazzini. Tuttavia, sarà compito della ricerca archeologica riuscire ad
individuare queste strutture e a capire le forme di gestione e del loro rapporto con le
forme di potere [38].
2.3 GLI OSPEDALI DI PASSO
Guardando una carta dell'Appennino toscoemiliano sorprende la quantità di
toponimi che si trovano su entrambi i versanti in prossimità dello spartiacque, che
derivano dell'esistenza di un ospedale (Spedaletto, Ospitale, Ospitaletto, Ospedaletto,
fig. 13).
Gli ospedali situati in prossimità dei passi e dei valichi di montagna
costituiscono una categoria ben definita di strutture ricettive, nelle quali il [39]
carattere dell'ospizio come albergo per i viandanti è decisamente più marcato
(LEISNICOW 1967, pp. 47-49). L'attraversamento delle catene montuose poneva uno
dei maggiori problemi per i viaggiatori nel medioevo, in particolare quando si
dovevano trasportare delle merci. Le strade che risalivano le valli verso le montagne
si adattavano alla orografia naturale del territorio, seguendo diversi tracciati, che poi
confluivano verso i pochi valichi adatti e ben attrezzati per permettere di superare
questo importante ostacolo. L'esistenza, quindi, di ospedali e di altri luoghi di sosta
nei valichi o in prossimità dei passi è una caratteristica frequente nella viabilità
medievale.
Anche se molti ospedali si trovavano proprio sui passi o molto vicini ad essi,
non tutti i valichi avevano degli ospedali. In diverse occasioni le strutture ricettive si
trovavano più a valle, talvolta all'imbocco e all'uscita. Ad esempio, nei passi alpini
sono diversi quelli carenti d'ospedali. Un caso significativo è quello del Brennero, che
è stato il passo più frequentemente impiegato nel medioevo dagli imperatori franchi e
germani nelle loro discese in Italia. Ma anche altri passi alpini, come quelli di San
Bernardino, Resia, Forno o Imbrail, restarono senza ospedali.
Negli Appennini toscani, era molto frequente che gli ospedali non fossero
proprio sul valico, che ovviamente è la parte più esposta, ma a qualche chilometro dal
passo, su uno o su entrambi i versanti. Nel passo di Pradarena (1579 m), ad esempio,
non era presente nessun ospedale, ma sul versante meridionale si trovava l'ospedale di
San Sisto (odierno Ospedaletto), e in quello settentrionale c'era un altra località,
ancora oggi nota come Ospitaletto. Altrettanto succede nel caso del passo delle Radici
(1529 m) e su quello di San Pellegrino. Sul versante lucchese si trovava l'ospedale di
San Pellegrino dell'Alpe (1523 m, vedi pp. 137-139), mentre su quello emiliano era
presente quello di San Gemignano (1456 m), entrambi fondati alla fine del XI secolo
o agli inizi del XII. Gli esempi sono molti, considerando la notevole quantità di passi
impiegati nel medioevo sull'appennino.
Questi ospedali sorgono distanti dai centri abitati, nei limiti massimi di
abitabilità, restando, in diverse occasioni, isolati per la neve durante molti mesi l'anno.
I forti condizionamenti che pongono le catene alpine e appenniniche nell'Italia
centrosettentrionale allo sviluppo della viabilità, spiega come almeno dal periodo
romano esistesse una articolata rete di luoghi di sosta sugli stessi passi che poi
saranno ancora impiegati in modo parziale in età medievale.
Sui passi del Gran e del Piccolo San Bernardo, nella Valle d'Aosta, sono stati
rintracciati dei ricoveri stradali porticati con accesso unico difendibile, dove erano
presenti degli spazi di servizio per il ricovero dei muli, che potevano essere scaricati
dalle merci e nutriti al coperto.
Diversi autori hanno poi fatto notare come successivamente, nell'altomedioevo,
fu la monarchia longobarda e franca a provvedere alla costruzione [40] e
manutenzione di una serie di monasteri e punti di sosta di carattere religioso, vincolati
ai passi. Con frequenza questi luoghi di sosta si trovavano lungo le strade per i passi
ma ad una certa distanza dai valichi.
Si deve al re longobardo Liutprando la costruzione nell'VIII secolo della badia
di Berceto in prossimità del passo della Cisa, che divenne un caposaldo nel percorso
della Via Francigena. Nell'anno 825 l'imperatore Ludovico il Pio fondò l'ospedale sul
passo alpino di Moncenisio, mentre quello del Gran San Bernardo è documentato
nell'859. Restando negli Appennini, risale anche a questo periodo la fondazione
dell'ospedale di Santa Maria della Cisa, mentre quello di San Benedetto di
Montelungo compare nella documentazione nell'851.
Attualmente non conosciamo le caratteristiche materiali di queste strutture
altomedievali, e non possiamo quindi determinare le loro dimensioni, l'articolazione
spaziale, e – di conseguenza – il tipo di viaggiatori che utilizzavano questi alloggi.
La maggior parte degli ospedali di passo impiegati in età medievale fu costruita
nel periodo 1050-1150. Risale a questo periodo la costruzione di nuovi impianti, ma
anche la ristrutturazione o l'abbandono di quelli altomedievali. In qualche modo,
durante questo periodo si ridefinì l'assetto stradale della penisola sotto l'impulso dei
nuovi poteri locali che avevano sostituito le strutture statali nella gestione e
manutenzione delle strade [41].
Per tornare agli esempi già menzionati, diversi ospedali altomedievali
dell'appennino toscano scompaiono proprio a partire da questo periodo dalla
documentazione, sicuramente in funzione della costruzione di nuovi luoghi di sosta.
L'ospedale del Gran San Bernardo (Vallese, Svizzera), fu ricostruito alla fine
dell'XI secolo (QUAGLIA 1972, fig. 16). L'ospedale posto proprio sul valico, ancora
oggi resta isolato dalla neve per circa nove mesi l'anno. La lettura dei resti conservati,
realizzata negli anni 40, ha permesso di identificare l'ospizio ricostruito da San
Bernardo di Mentone all'interno della struttura pluristratificata ancora oggi visibile
(BLONDEL 1947). La fase attribuita ai secoli XI-XII, presentava una struttura
rettangolare allungata di 18x13,5 m, distribuita su due piani. Funzionalmente
presentava una cappella, una cucina con refettorio, un dormitorio e altre stanze (fig.
14).
Anche nel Piccolo San Bernardo è stata identificata una struttura ricettiva del
XII secolo di forma rettangolare allungata e di dimensioni modeste. Altri ospedali di
passo di una certa rilevanza storica nel medioevo, come quelli situati nei passi dei
Pirenei lungo il cammino di Santiago, presentano strutture architettoniche "a sala"
molto semplificate. Gli scavi condotti nell'ospedale di Santa Cristina di Somport
(Huesca) hanno messo in luce una struttura rettangolare di 13x25 m.
Nell'ospedale di Roncisvalle (981 m), fondato intorno all'anno 1137 nei pressi
del passo di Ibañeta (fig. 15), le strutture risalenti al secolo XII si caratterizzano per
una forma simile. L'edificio chiamato Itzandegia è probabilmente da identificare con
l'ospedale del XII secolo, anche se recenti indagini archeologiche condotte nei pressi
della chiesa di Santa Maria hanno permesso d'identificare un altro edificio di notevoli
dimensioni ma con caratteristiche costruttive simili. Entrambi gli edifici presentano
una struttura "a sala" distribuita su due piani, con grossi contrafforti laterali che
reggevano delle arcate a tutto sesto sulle quali poggiava la copertura lignea.
La presenza di queste strutture rettangolari è nota anche in altri passi alpini. Le
dimensioni e la carenza di ricoveri dimostrano comunque l'inadeguatezza di questi
ospizi per fare fronte alla circolazione delle merci.
Nel passo della Bocchetta, nel retroterra genovese, presso il valico appenninico
verso la pianura padana, è documentata l'esistenza di un'intensa circolazione di merci
in età medievale. Alla fine del XIV secolo attraversavano il passo tra i ventimila e i
trentamila capi di bestiame l'anno. Lo scavo realizzato nell'ospedale di passo di Cian
de Reste, ha mostrato le limitazioni degli ambienti di servizio utili alla circolazione
delle merci (TORRAZZA 1974). In questo caso, erano quindi altre le strutture di
servizio che dovevano permettere di affrontare il passo.
Ma forse non c'è una differenziazione netta tra gli ospedali "per pellegrini" e le
"volte mercantili", alberghi per mercanti e mulattieri, giacché anche gli ospedali
potevano avere dimensioni notevoli e caratteristiche strutturali [42] legate alla
circolazione di merci. L'esistenza delle "volte mercantili", strutture fortemente
specializzate, presuppone una posizione topografica e una situazione geografica e
storica particolare, che permettono la continuità indisturbata nel corso di diversi secoli
di una circolazione costante di merci. Questo è possibile, ad esempio, nel retroterra
del porto di Genova, dove circolavano merci che avevano destinazioni diverse, o
all'abbocco dei principali passi alpini, come quello del Gottardo o del Sempione. In
quest'ultimo caso, sono state identificate delle volte stradali nella località svizzera di
Briga (MANNONI 1993).
Anche nell'Appennino toscano è documentato questo tipo di strutture. I
numerosi esempi di Pontremoli, di Cragnola (Fivizzano) e di Borgo a Mozzano,
testimoniano l'importanza lungo queste strade della circolazione di mulattieri e
mercanti.
Tuttavia, questi magazzini erano situati unicamente all'imbocco e all'uscita dei
tracciati di passo, ma non sui passi veri e propri. In questo caso erano soltanto gli
ospedali gli unici luoghi di sosta disponibili. Il risultato fu la creazione di ospedali di
maggiori dimensioni, dotati anche di spazi d'uso ampi adatti al ricovero delle bestie e
delle merci, come nel caso di San Pellegrino dell'Alpe o di San Nicolao di Tea. Non
abbiamo notizie dirette sul loro funzionamento in età medievale e sulle forme
d'accoglienza nei confronti dei mulattieri e dei mercanti, ma sappiamo che in questi
passi lucchesi le uniche strutture di sosta erano gli ospedali, ed è testimoniata, già dal
XIII-XIV secolo, l'esistenza di flussi mercantili di una certa importanza.
La rilevanza della rete d'ospedali nell'Appennino toscano è dimostrata anche dal
fatto che, quando si cominciarono a costruire altre forme d'ospitalità nei passi, queste
sono comparse affiancando e in qualche modo appoggiando gli ospedali. A San
Pellegrino dell'Alpe fu fondata una piccola osteria in età moderna, che era
funzionalmente dipendente dall'ospedale.
In sintesi, gli ospedali di passo hanno costituito un perno essenziale
nell'articolazione dei tracciati viari medievali, anche se con frequenza erano associati
ad altre forme di accoglienza destinate a fronteggiare richieste più specifiche. A
quanto risulta dai lavori condotti finora, nell'appennino toscoemiliano gli ospedali
restarono le uniche strutture di riferimento, anche per la circolazione di mercanti e di
mulattieri. Non è assolutamente casuale che l'accordo commerciale firmato nel 1225
tra i rappresentanti dei comuni e dei mercanti di Modena e Pistoia fosse siglato presso
l'Ospedale di Fanano, o che le città abbiano fatto sentire la loro presenza per quanto
riguarda il controllo e il possesso di questi ospedali – con molta frequenza fondati o
dotati dai ceti dirigenti rurali – e delle strade d'acceso. Così, l'ospedale di Pratum
Episcopi, fondato alla fine dell'XI secolo lungo la strada che da Pistoia accedeva ai
passi appenninici verso la pianura padana, già nell'anno 1182 passò sotto il controllo
del comune pistoiese (COTURRI 1998, P. 61). [45]
3. Le strade nel territorio di Lucca in età medievale
3.1 LE STRADE DI LUCCA TRA ETÀ ROMANA E IL MEDIOEVO
Sicuramente è da attribuire all'Impero romano la prima vera e propria
rivoluzione stradale che comportò la costruzione di una vastissima rete di vie, in
origine di carattere militare, che collegavano tutto l'Impero. Tutto questo complesso
sistema viario era composto da un'articolata serie di servizi e strutture che garantiva la
fruibilità della rete stradale.
Una delle caratteristiche più importanti del sistema di trasporto romano fu
l'impiego massiccio di numerosi tipi di carri, che richiedevano delle caratteristiche
standardizzate nella progettazione dei tracciati stradali e nelle dimensioni delle strade
e dei ponti (raggi di curvatura ampia, larghezze superiori ai quattro metri, pendii poco
accentuati).
Alla fine dell'impero le strade romane subirono un progressivo deterioramento,
che finì con il determinare l'abbandono del carro come mezzo di trasporto e l'adozione
del trasporto a spalla o a dorso di mulo. Paradossalmente, Lucca trovò la sua fortuna
proprio a seguito dell'interruzione della rete stradale antica, restando per lungo tempo
vincolata alle principali vie di transito peninsulari.
L'ubicazione di Lucca ai piedi dell'appennino e nei pressi del litorale, ha
determinato che questa città diventasse passo obbligato delle principali vie di
comunicazione del centro della penisola. La sua rilevanza stradale è stata molto
importante già in età romana, quando era interessata dalla Via Cassia in prossimità
della sua unione con la via Aurelia nei pressi di Luni. Tuttavia, il suo ruolo viario
divenne fondamentale nell'altomedioevo, a seguito della definizione della Via
Francigena.
Questo tracciato viario si e formato, secondo autori come R. Stopani o I.
Moretti, a seguito dell'occupazione longobarda del centro Italia nel VI secolo
(MORETTI 1977, STOPANI 1988). La conquista di questo popolo iniziata nell'anno
568, non fu completata nel centro della penisola che nel secolo seguente, in modo che
i possedimenti longobardi restarono a lungo confinanti con i territori in mano
''romana'' o bizantina. In questa situazione, la maggior parte delle strade che
collegavano il centro con il nord della penisola attraverso gli Appennini restarono
impraticabili, e fu quindi necessario ricorrere al passo di Monte Bardone (attualmente
passo della Cisa), che collegava Parma con Lucca attraverso la Lunigiana, e in questo
modo mettere in comunicazione Pavia, capitale del regno, con la Tuscia (KURZE
1998).
Probabilmente questa posizione viaria privilegiata di Lucca, posta al centro di
tutto il sistema di comunicazioni longobardo, è alla base della sua rilevanza, in
termini politici, acquistata in età altomedievale. Già nel VI secolo aveva raggiunto
una posizione dominante nella regione, ma fu durante la dominazione dei longobardi
quando la città divenne la sede di un ducato, e, [46] di fatto, svolse la funzione di
capitale politica della Tuscia. Mantenne questa posizione fino al XII secolo, quando
Firenze acquistò un ruolo principale nelle vicende politiche toscane.
Da quanto si è detto si deduce che la rete viaria lucchese subì nell'altomedioevo
un importante cambiamento rispetto all'impianto di età romana.
Ciononostante, queste trasformazioni hanno intaccato in modo diverso il
territorio della Lucchesia. Ad esempio, nella pianura di Lucca sono ancora ben
riconoscibili le tracce della centuriazione risalente ad età romana. I canali e le strade
vicinali descrivono ancora con precisione parcellari regolari costruiti nel periodo
imperiale, orientati in modo solidale all'impianto urbanistico della città. Sebbene ci
siano stati nell'altomedioevo pesanti interventi di sistemazione del percorso dei fiumi,
dai documenti scritti emerge con forza una continuità nei tracciati della rete viaria
minore. Questa continuità viaria è legata, principalmente, alla continuità nella pianura
di Lucca dell'assetto insediativo sparso, che già caratterizzava la zona in età romana.
Per quanto riguarda il restante territorio di Lucca i cambiamenti insediativi sono
stati, invece, molto significativi. Durante l'altomedioevo il cambio nelle strutture
produttive si è tradotto in una trasformazione delle sedi umane occupate in
precedenza. Come risultato, la rete stradale di ambito locale subì importanti
modificazioni.
Altrettanto si può dire per quanto riguarda le strade a lunga percorrenza,
giacché, come si è detto prima, sorse in questo periodo la Via Francigena come il
frutto della riorganizzazione e il riadattamento di percorsi precedenti.
Durante l'altomedioevo non avvenne un cambio immediato nelle forme di
controllo e manutenzione delle strade rispetto al periodo precedente. In età romana era
lo stato che organizzava e gestiva la costruzione e la manutenzione delle strade, che
erano finanziate ed eseguite dalla popolazione locale. A seguito della caduta
dell'Impero lo stato continuò, con diversa fortuna, a esercitare questa funzione, anche
se il fabbisogno e le tecnologie costruttive erano completamente mutate. Tuttavia,
soltanto alla fine del periodo carolingio (secoli IX-X) il potere pubblico rinunciò di
forma sistematica alla partecipazione ai lavori di manutenzione, ordinamento e
controllo delle strade, dei ponti e dei porti. La gestione delle strade e dei ponti passò
in questo periodo nelle mani dei poteri locali, sia rappresentanti del potere pubblico
(marchesi, conti), che gruppi signorili emergenti.
3.2 LA SVOLTA DELL'XI-XII SECOLO
Il periodo compreso tra il 1030 e il 1150 rappresenta una fase di grande
rilevanza per la storia del sistema stradale lucchese. In questo periodo sono fondate e
compaiono nella documentazione le infrastrutture stradali che compongono i capisaldi
della rete di comunicazione del territorio di Lucca. È, infatti, da riferire a questo
periodo la costruzione dei principali ospedali e [47] ponti che costituiscono le basi
delle strade a lunga percorrenza più importanti del territorio (fig. 17).
Gli autori che si sono occupati di questo fenomeno, in particolare delle
numerose fondazioni di ospedali, hanno messo l'accento sul pellegrinaggio associato
al rilancio della via Francigena, sugli impulsi che i papi riformatori dell'XI secolo
dettero al culto dei santi, sulla protezione dei pellegrini e l'ospitalità e sulla
riorganizzazione della chiesa lucchese sotto la spinta di particolari prelati, quale il
vescovo Anselmo da Baggio, diventato papa Alessandro II negli anni 1061-1073
(SHMUGGE 1984). Tuttavia, il fenomeno si presenta molto più complesso, ed è da
collegare al forte sviluppo mercantile e produttivo che portò Lucca a diventare uno
dei centri economici di maggior rilevanza della Toscana.
Lucca aveva ereditato dall'altomedioevo una rete stradale piuttosto articolata, in
modo particolare nel caso delle strade a lunga percorrenza. Ciononostante, da questo
periodo le strade cominciano ad essere praticate anche da nuovi gruppi sociali
vincolati all'importante rilancio economico della città.
Come si è detto, dopo il X secolo la cura delle strade fu in qualche modo
privatizzata a seguito della rinuncia da parte del potere centrale di questa prerogativa.
Solo a partire dal XII secolo i comuni cominciano ad interessarsi della gestione viaria.
In questo periodo è da attribuire ai poteri locali di diversa entità e all'attività delle
istituzioni ecclesiastiche la fondazione di numerose infrastrutture ospedaliere. Questo
fatto si apprende con maggior facilità attraverso i ponti, giacché la loro gravosa
manutenzione e costruzione rispecchiano i nuovi rapporti di potere che si definiscono
tra la fine del X e gli inizi del XII secolo.
Sicuramente i ponti costituiscono un osservatorio ideale per lo studio del
rapporto tra il potere e la viabilità in questo periodo.
Nell'anno 1067 abbiamo notizia di un Ponte del Marchese (pons marchionis),
noto anche come Ponte San Pietro (per l'esistenza di un ospedale dedicato
all'apostolo), situato ad ovest della città di Lucca, e ancora oggi noto con quel nome.
Il vecchio ponte non si conserva più, ma ci sono numerose notizie che riguardano la
sua ricostruzione. Si deve attribuire la sua fondazione al marchese della Tuscia, che
aveva la sua sede a Lucca, forse già nel X secolo (BONGI 1872).
Nell'anno 1002 esisteva a Fucecchio un Ponte Bonfilio sull'Arno, fondato dai
Conti Cadolingi, che avevano nei pressi la loro residenza. Questo ponte fu distrutto
nel 1106 e ricostruito qualche decennio dopo da parte di Sant'Allucio, santo locale
della Valdinievole, che fondò anche un ospedale a Campugliano, nei pressi di Pescia.
In un secondo momento, la sua manutenzione fu affidata ad altri ospedali (CENCI
1997).
Non furono soltanto i rappresentanti del potere pubblico (marchesi e conti)
responsabili della fondazione di queste strutture. Con frequenza i [48] primi ponti
compaiono nelle fonti con i nomi di singole persone, probabilmente responsabili della
loro costruzione. Questo è il caso del ponte de Leo Buçi (1071), del Ponte di Pietro
(1074) o del Ponte d'Uberto (1074). Proprio a partire dalla fase finale dell'XI secolo si
osserva un cambiamento nella gestione dei ponti. I residui dei poteri statali periferici,
quali i marchesi o i conti, furono sostituiti nella costruzione e nella manutenzione di
queste strutture dai poteri locali e da nuove istituzioni religiose e laiche specializzate
in queste mansioni.
Per quanto riguarda questi ultimi, hanno avuto un particolare rilievo i cavalieri
del Tau d'Altopascio (fig. 18). L'ospedale, fondato negli ultimi de cenni dell'XI
secolo, svolse nel primo periodo di vita un'intensa attività dedicata alla costruzione e
manutenzione dei ponti, e questa attività è documentata nel Ponte sull'Arno di
Fucecchio, ma anche in diversi ponti sui fiumi Elsa, Usciana o Taro.
Per quanto riguarda i ponti più vicini alla città è documentata la presenza di
altre istituzioni. Nell'anno 1081 il ponte San Pietro aveva una propria opera (opus
suprascripti ponti). Si tratta di un'istituzione dotata di un patrimonio destinato alla
costruzione e manutenzione dei ponti. La sua presenza è documentata nel caso dei
ponti di Moriano, Santa Giustina o San Quirico, situati nelle vicinanze della città
(SZABÒ 1990).
L'opera in realtà era una istituzione impiegata per la realizzazione di grandi
costruzioni, e anche le cattedrali e le principali chiese sono state costruite e mantenute
da queste istituzioni, che in qualche caso sono sopravvissute fino ai nostri giorni.
Nelle zone più periferiche del territorio di Lucca rimaste più a lungo sottoposte
ai signori locali, si verificò durante i secoli XI-XIII la costruzione e manutenzione
della rete stradale da parte di questi gruppi di potere locale. Come si è detto in
precedenza, la loro azione fu indirizzata principalmente verso il controllo delle
infrastrutture stradali.
All'opera dei Rolandinghi è attribuita la costruzione del Ponte di Orlando o di
Riana, nella stretta che il fiume Serchio forma dopo il suo passaggio per Castelnuovo
Garfagnana.
Più a monte si trovava il Ponte di Bacciano sul fiume Serchio. Documentato dal
XIV secolo, i resti costruttivi permettono di attribuire la sua costruzione ai secoli XIIXIII. Era situato ai piedi dell'omonimo castello di Bacciano, e costituiva
probabilmente una delle basi della signoria "dei Bacciano", giacché era una delle
poche strutture che garantivano l'attraversamento del Serchio a nord di Castelnuovo,
ed è documentata la sua appartenenza al castello (NOTINI et alii 1996).
Oltre ai ponti, molti ospedali furono fondati e dotati in questo periodo per
iniziativa ecclesiastica e signorile. Dagli inizi del XII secolo sono documentate
confraternite ospedaliere, responsabili della fondazione di ospedali come quello dei
Santi Matteo e Pellegrino di Lunata. Anche all'iniziativa [50] signorile si possono
attribuire la partecipazione o la fondazione di numerosi ospedali. Ad esempio, nel XII
secolo l'ospedale di San Pellegrino dell'Alpe fu dotato di numerosi beni da parte dei
signori "di Careggine", e quello di Sant'Jacopo de Ponte Populi sorse su un terreno di
proprietà dei nobili di Casciobalbo (odierno Castelvecchio Pascoli).
In sintesi, i secoli XI e XII rappresentano un periodo decisivo nel rinnovamento
della rete stradale lucchese. Un noto privilegio dell'imperatore Enrico IV, concesso ai
lucchesi nell'anno 1084, garantisce la sicurezza dei commercianti e degli stessi
lucchesi che si recavano dal litorale a Lucca o che percorrevano la strada da Luni a
Lucca (la Via Francigena), testimoniando un nuovo rilancio dell'attività commerciale
della città. Questa nuova ripresa, iniziata a partire dalla seconda metà dell'XI secolo,
ha richiesto la costruzione di numerose infrastrutture stradali, tra le quali figurano in
primo luogo, i [51] luoghi di sosta. Non sono i secoli nei quali viene fondato il
maggior numero d'ospedali, ma quelli costruiti diventeranno i capisaldi del sistema
viario di Lucca (Tea, San Pellegrino in Alpe, Campugliano, Rosaia...). Infatti, è
proprio in questo momento che si documenta la fondazione della maggior parte degli
ospedali di passo e di quelli vincolati ai ponti. Ma anche ospedali che a seguito
avranno principalmente una funzione assistenziale piuttosto che recettiva, svolsero in
questo periodo un'importante attività indirizzata alla costruzione della rete stradale.
3.3 COMUNE E CONTROLLO DELLE STRADE
Una nuova fase di trasformazione nella manutenzione e nel controllo del
sistema stradale medievale si deve all'intervento del comune. Il comune è
documentato a Lucca per la prima volta nell'anno 1119, anche se in realtà già nei
primi decenni della sua esistenza ha avuto un ruolo piuttosto informale e soltanto
nella seconda metà del secolo ha raggiunto una definizione istituzionale completa.
Infatti, soltanto dagli ultimi decenni del secolo XII il suo intervento si fece più
incisivo nell'ordinamento della città e dell'immediato territorio rurale. Oltre al
controllo del mercato, dei pesi e delle misure, una delle prime prerogative adottate dal
comune è stato il controllo della rete stradale.
3.3.1 Le istituzioni comunali e le strade
Il comune di Lucca, come il resto delle città del centro e nord d'Italia mostrò,
già pochi decenni dopo la sua nascita, un interesse particolare verso i lavori di
costruzione e manutenzione della rete stradale urbana e rurale, e la regolazione dei
fiumi.
Probabilmente all'inizio questi lavori erano svolti direttamente dai consoli e dal
podestà, anche se, con il tempo fu necessaria la creazione di magistrati specifici,
competenti in materia. In questo modo, nel corso del XIII secolo, tutti i comuni si
dotarono di un ufficio stradale unico e centralizzato, che coordinava anche i lavori da
realizzarsi nel contado.
Nel caso di Lucca, risale al XIII secolo la creazione di una magistratura
denominata Maggiore Officiale delle vie e di Pubblici, che era responsabile
dell'organizzazione, della conservazione e pulizia delle strade in città e in campagna,
oltre alle piazze, fossi e ponti. Il suo ruolo era, fondamentalmente, quello di
controllare che i lavori fossero eseguiti, condannando le trasgressioni e imponendo
anche una sorta di normativa edilizia. Questa magistratura fu abolita nel l377, quando
questo ruolo fu svolto dal Maggiore Officiale del Fondaco (BONGI 1872). Questa
carica, nata agli inizi del secolo con svariate funzioni (controllo dei mercati, del
commercio e dell'approvvigionamento di grano), con il tempo divenne responsabile
della manutenzione di piazze, strade e ponti, soppiantando la magistratura precedente.
Negli [52] statuti lucchesi era definito nel XV secolo come Viarum Emundio, e la sua
rilevanza fu ridimensionata nei secoli successivi.
Attraverso questi uffici, il comune riuscì ad impostare una politica stradale di
grande rilevanza destinata al miglioramento della qualità del sistema di
comunicazione, a garantire la sicurezza dei viaggiatori e la percorribilità delle strade.
3.3.2 Ponti e strade
La presenza del Comune divenne importante, anche per quanto riguarda i ponti.
La necessità di una continua manutenzione di queste strutture, tecnicamente
complesse e che richiedono manodopera specializzata, è alla base di questo intervento
nella riorganizzazione delle forme di assistenza dei ponti. Nei secoli XI-XIII erano
sorte diverse opere che si occupavano della loro manutenzione e conservazione. Dopo
la fondazione del comune, tutte queste opere furono sottoposte all'autorità della Curia
delle vie. Tuttavia, le rendite disponibili per queste opere erano limitate, e potevano
affrontare soltanto le manutenzioni ordinarie, ma non avevano molta capacità
d'intervento.
Soltanto le istituzioni ecclesiastiche erano in grado di intraprendere lavori di una
certa consistenza. È il caso della costruzione del ponte detto delle monache, che fu
costruito agli inizi del XIII secolo dal monastero di Santa Giustina. Tuttavia questo
ponte, già nel 1339, non era più praticabile, forse per la mancata manutenzione o per
l'incapacità del monastero di provvedere alla sua conservazione (BONGI 1872).
In altre occasioni, le opere furono soppiantate o rafforzate da altre istituzioni
religiose, come gli ospedali associati ai ponti. Nell'anno 1249, ad esempio, non era più
l'opera del Ponte San Pietro che svolgeva queste mansioni, ma direttamente
l'ospedale. In quest'anno la chiesa e l'ospedale di Ponte San Pietro vendettero alcuni
beni con il consenso del Capitolo dei canonici per fare fronte alle spese che
comportava la riparazione del ponte realizzata dal fabbro Barocco e dal maestro di
legname Bonaccorso (CONCIONI, GHILARDUCCI, FERRI 1994, p. 109).
Infine, dopo l'assedio degli anni 1341-1342, che causò gravi problemi alla
conservazione dei ponti, il comune decise di incamerare le opere, affrontando
direttamente le spese di manutenzione. In un primo momento furono nominati dei
Consiglieri dei Ponti, sostituiti successivamente dall'Uffizio dei Pontonari.
I ponti più lontani della città restarono tuttavia affidati alle vicarie, ai comuni
rurali o, occasionalmente, agli ospedali. Non mancano notizie a questo proposito di
ospedali associati a ponti che ne curavano la manutenzione. A Fiattone, noto nel
medioevo come Ponte del Popolo, era presente l'ospedale di Sant'Jacopo di Ponte del
Popolo alla fine del XII secolo; nei pressi del Ponte di Calavorno c'era l'ospedale di
San Leonardo. Con il tempo, anche questi ponti furono assoggettati alle cure delle
vicarie. [53]
3.3.3 Interventi sulle strade
Come è stato messo in rilievo da T. Szabò una delle principali linee di
attuazione da parte del comune è stata quella di considerare le strade come un bene
pubblico, diventando oggetto della pubblica amministrazione (SZABÒ 1991, p. 147).
Anche a Lucca è documentato, già nei primi decenni di vita del comune, un
interesse rivolto a garantire la percorribilità delle strade pubbliche, limitando
l'iniziativa dei privati. Le prime attestazioni di questo interesse si possono individuare
in diversi atti degli anni 70 del XII secolo. Nell'anno 1170 i consoli del comune sono
chiamati ad arbitrare una lite intercorsa tra la chiesa di San Michele in Foro e i fratelli
Roberto e Caro riguardante il possesso di un terreno, situato nei pressi della chiesa. I
consoli sentenziano a favore della chiesa, ma la obbligano a limitare la sporgenza
delle murature che si trovano in questa proprietà sopra la via per salvaguardare lo
spazio intermedio che deve restare per uso ed utilità pubblica, cioè del comune di
Lucca (CONCIONI, GHILARDUCCI, FERRI 1994, p. 97).
Gli esempi sono numerosi, ma già alla fine del XII secolo l'attività del comune
era incisiva in città, e forse anche nel territorio rurale. In realtà, l'ambito di controllo
diretto del territorio rurale da parte del comune di Lucca si limitò, fino al 1250,
all'area pianeggiante situata entro sei miglia intorno alla città, nota nel medioevo
come le Seimiglia. Diversi esempi della seconda metà del XIII secolo mostrano come
il controllo, la sicurezza e la manutenzione delle strade fosse affidata ancora a gruppi
signorili, nonostante le pretese del comune.
In Valdinievole, nella Lucchesia orientale, l'Imperatore Federico I aveva
concesso nel 1167 ai signori locali (di Buggiano, Castiglione, Maona), la riscossione
di un pedaggio di 26 denari per ogni bestia da soma che attraversasse il territorio di
Buggiano. Questo pedaggio fu confermato da Federico II, e si mantenne ancora per
tutto il XIII secolo. Nell'anno 1262 gli appaltatori della dogana di Lucca cercarono di
strappare questo privilegio, ma fu proprio il comune che dovette riconoscere la
fondatezza dei diritti dei signori locali (QUIROS CASTILLO 1999).
Altrettanto è documentato nell'alta Valle del Serchio. In un documento del 1272
noto come Statuto dei Gherardinghi, giacché fa riferimento all'organizzazione della
signoria di questi nobili discendenti di Gherardo, la cui sede di potere era il castello
delle Verrucole, compaiono precise norme riguardanti la sicurezza delle strade (vedi
p. 98).
Soltanto dalla fine del XIII secolo e dalla riorganizzazione amministrativa della
Lucchesia del XIV, l'azione del comune si estese anche alle parti più marginali del
contado, e l'organizzazione in vicarie consentì un controllo più fitto del territorio.
È anche necessario, infine, segnalare il Porto di Motrone in Versilia, [54]
un'altra struttura di grande rilevanza nella rete viaria di Lucca (PELÙ 1974). Nel
privilegio di Enrico IV dell'anno 1084, l'imperatore garantiva l'incolumità dei
mercanti e dei viaggiatori che provenivano dal porto di Motrone verso Lucca,
risalendo il corso del Serchio. Da questo si deduce l'importanza di questo porto nei
rapporti commerciali di Lucca. Anche se Motrone passò in diverse occasioni sotto il
controllo pisano, Lucca mantenne, per tutto il medioevo, un grande interesse nel
controllo di quello che era l'unico accesso al mare attrezzato al cabotaggio di navi di
una certa portata. Tuttavia, trattandosi di uno scalo fluviale, non era possibile
l'attracco delle navi di maggiori dimensioni, e in questo caso Genova diventava la
sede di smistamento delle merci destinate o provenienti dalla città di Lucca. La
presenza di numerosi lucchesi a Genova è documentata, infatti, già dal XII secolo
(GIOFFRÈ 1973). Quando Pisa riuscì a impossessarsi di Motrone, fu necessario
ricorrere ad un'intensa rete di commercio terrestre alternativa a quella marittima nei
rapporti con i principali porti (Venezia, Genova).
Il Porto di Motrone è stato interrato nel corso dei secoli dai detriti depositati dai
torrenti apuani, provocando l'allontanamento dalla linea di costa. Costituisce, quindi,
uno dei pochi porti medievali ancora conservati e uno dei siti archeologici più
importanti di Lucca, che dovrebbe essere oggetto di nuove ricerche nei prossimi anni.
3.3.4 Patti commerciali
Lucca ebbe quindi bisogno, almeno dal XII secolo, di un'efficiente rete
mercantile che collegava via terra la città con i porti e le principali città del centro
nord della penisola, dove poteva acquistare materie prime e smerciare i prodotti finiti.
Per corrispondere a queste richieste, i singoli comuni stabilirono dei reciproci patti di
sicurezza, indirizzati a garantire il passaggio delle merci e dei mercanti, e al
mantenimento delle strade. Questi patti erano molto frequenti da entrambi i versanti
delle catene montuose, come gli Appennini, e con i principali porti marittimi.
In particolare sono di grande importanza per Lucca i patti stabiliti con Genova
(GIOFFRÉ 1973). Il primo di questi patti risale addirittura all'anno 1152, ma ne sono
documentati altri otto prima della fine del XIII secolo. In questi accordi i genovesi si
impegnavano a proteggere i lucchesi e le loro merci in transito per il territorio di
Genova. Come si è detto, Genova è stato, insieme a quello minore di Motrone, il porto
più impiegato dai lucchesi per il loro commercio, e i patti del 1166 e del 1217
regolarono in qualche modo questa forma di coordinamento tra i due scali. I genovesi
disponevano a Motrone di magazzini e di fortificazioni a loro difesa, anche se la
comune città nemica, Pisa, riuscì nell'anno 1172 a conquistare il porto, mantenendolo
nelle sue mani fino alla metà del XIII secolo.
Altri patti rivolti a garantire la circolazione delle materie prime e delle merci
lucchesi sono documentati sempre nel XII secolo. Risalgono al 1177 i [55] patti con
Pistoia, e quelli con Modena sono documentati prima della fine dello stesso secolo.
Quelli più antichi risalgono all'anno 1182, e furono nuovamente stipulati nel 1306. In
questo caso, era così rilevante la circolazione delle merci, che entrambi i comuni
stabilirono un accordo destinato a sorvegliare il passo di San Pellegrino, ciascuno per
il suo territorio, e a istituire un servizio di rimozione della neve nei periodi invernali.
Un altro fatto significativo è avvenuto nel versante Reggiano dell'Appennino nel
1241. Quattro toscani, provenienti dal versante lucchese attraverso il passo delle
Forbici, che trasportavano ferro su degli asini furono assaliti e derubati. I1 podestà di
Reggio impose alle comunità locali il risarcimento dei danni (SZABÒ 1991, p. 28).
Infine, disponiamo di notizie di patti con i poteri della Lunigiana (vescovo di
Luni, marchesi Malaspina, comune di Pontremoli) risalenti all'inizio del XIII secolo.
Questi patti tra i singoli comuni sono molto frequenti nell'Italia
centrosettentrionale, ed erano prima di tutto rivolti alla protezione dei mercati.
3.4 LE COMUNITÀ LOCALI E LA MANUTENZIONE DELLE STRADE
Almeno dal periodo romano la manutenzione delle strade era affidata e
finanziata dalle popolazioni locali sotto il controllo e la coordinazione del1'Impero.
Dopo la caduta dell'impero e durante tutto l'altomedioevo quest'attività continua ad
essere documentata. Anche il comune medievale, in questo caso quello di Lucca, si
servì dei comuni e delle istituzioni rurali per rendere efficace la sua politica stradale e
assicurare la manutenzione della rete viaria.
Esiste, tuttavia, una gerarchia nel controllo e nella gestione delle diverse strade.
In quelle suburbane e in quelle a lunga percorrenza, la presenza del comune o delle
vicarie nell'organizzazione dei lavori era maggiore. Si è già visto come nel caso dei
ponti situati nella vicinanza della città, le opere furono soppiantate nel XIV secolo dal
comune, mentre i restanti ponti restarono affidati a enti locali o alle vicarie. Per
quanto riguarda le strade principali, dal XIII secolo diversi comuni procedettero alla
ripartizione dei lavori tra gli abitanti del contado. A Lucca queste ripartizioni sono
documentate dall'anno 1371. I lavori sul resto delle strade e ponti, come si vedrà,
rimase in mano ai comuni rurali.
Le vicarie, divisioni amministrative del territorio rurale di Lucca, presto
diventarono gli strumenti di controllo stradale del contado. In ogni vicaria
responsabili della manutenzione dei ponti e delle strade erano i vicari o i loro
collaboratori. Curavano, soprattutto le strade di lunga e media percorrenza,
coinvolgendo per l'occasione le singole comunità locali. Negli statuti cinquecenteschi
della vicaria estense di Castelnuovo Garfagnana, il Capitano [56] aveva il compito di
obbligare gli abitanti delle località attraversate dalle singole vie a "ristorare et rifare i
Ponti, le Vie e le Strade pubbliche". Nel seicento, inoltre, il Ponte di Chifenti o della
Maddalena era mantenuto dalle vicarie di Borgo a Mozzano e di Bagni di Lucca (pp.
119-122).
Le comunità rurali, invece, curavano direttamente le strade locali e di servizio,
che erano di particolare rilevanza per le attività produttive.
Grazie agli statuti medievali e moderni di questi comuni abbiamo delle notizie
sull'organizzazione di questi lavori. In realtà, gli statuti non fanno mai riferimenti
diretti alle forme nelle quali erano condotti questi interventi, ma indicano le modalità
nelle quali venivano eseguiti.
In numerosi casi gli statuti descrivono gli obblighi dei consoli e dei magistrati
dei comuni, che erano tenuti, pena forti contravvenzioni, a vigilare e coordinare la
realizzazione dei lavori stagionali di riparazione e manutenzione dei ponti e delle
strade (comune di Gioviano, anno 1376).
La realizzazione di questi lavori avveniva solitamente una volta l'anno,
generalmente in primavera: a Mutigliano (1345) tra aprile e maggio; a Barga (1360) e
Borgo a Mozzano (1368) a maggio. Tuttavia, non sempre si regolamentava il periodo
preciso. A Valdottavo (1514) si stabiliva che a questi lavori doveva partecipare uno di
ogni casa tutta le volte che fosse chiamato.
Questi interventi erano eseguiti quindi direttamente dagli abitanti delle
comunità, e sicuramente la pulizia delle strade era uno dei compiti principali, vista la
ricorrenza di questi lavori in primavera.
Nel caso fosse necessario realizzare lavori di un particolare impegno che
richiedevano la partecipazione di maestranze specializzate, i magistrati dei comuni
erano tenuti a contrattarli e pagarli. Questo è documentato nella Rocca a Mozzano nel
XVII secolo, nel caso che si dovesse rifare l'astracato (lastricato), o realizzare dei
muri di sostegno o d'argine.
3.5 I LUOGHI DI SOSTA A LUCCA NEL MEDIOEVO
Grazie alla ricca documentazione scritta lucchese conservata, conosciamo
l'esistenza di oltre duecento ospedali e xenodochia tra i secoli VIII-XVI. I riferimenti
sono numerosi anche per quanto riguarda altre forme di ricettività a pagamento,
sebbene finora non siano state oggetto di studi specifici (fig. 19).
Nel periodo altomedievale (secoli VIII-X) abbiamo notizie dell'esistenza di ben
24 ospedali nel territorio della diocesi di Lucca, la maggior parte dei quali situati in
città (fig. 20). Gli ospizi più antichi di Lucca sono chiamati nelle fonti xenodochia, e
sono fondati prevalentemente da laici. Queste strutture poste nella città, nei sobborghi
di Lucca e lungo le principali direttrici viarie del territorio rurale.
I documenti lucchesi mostrano come queste istituzioni fossero sempre legate a
chiese o monasteri, e come fossero affiancate da altre istituzioni ecclesiastiche che
esercitavano anche funzioni assistenziali. Ad esempio, [57] nell'VIII secolo una
chiesa di Lucca intitolata a santa Maria doveva accogliere pellegrini e nutrire dodici
poveri. Queste erano anche le funzioni che svolgevano gli stessi xenodochia lucchesi,
che regolamentavano in modo preciso il numero di poveri da nutrire nei diversi giorni
la settimana, e le forme di accoglienza dei pellegrini (SZABÒ 1991).
Fondate e dotate da privati, molte di queste istituzioni hanno avuto una vita
breve, in quanto dipendevano dell'entità del patrimonio disponibile impiegato nei
lavori di assistenza.
Non conosciamo al momento le caratteristiche materiali e organizzative di
queste fondazioni, giacché non si sono conservati resti in elevato e non sono state
ancora indagate archeologicamente.
Il termine ospedale è presente nelle fonti scritte lucchesi dall'VIII secolo, ma
soltanto dall'XI secolo diventerà esclusivo per denominare queste istituzioni
assistenziali (COTURRI 1998).
Come si è detto in precedenza, è nel periodo 1030-1200 che si viene a creare nel
territorio di Lucca una rinnovata infrastruttura stradale sotto lo stimolo di nuove
strutture di potere.
La fondazione di strutture ricettive d'ospitalità gratuita è uno degli aspetti più
significativi di questa fase. Il numero d'ospedali documentati nel territorio di Lucca in
questo periodo è di quasi 40, superiore a tutte le fondazioni dei tre secoli precedenti.
Sappiamo inoltre che questa cifra non è completa. Numerose strutture sorte in questo
periodo, compaiono nella documentazione soltanto secoli dopo. Questo è il caso dello
stesso ospedale di Tea, documentato a partire dal XIII secolo, ma fondato alla fine
dell'XI.
Circa la metà di queste strutture sono istituzioni fondate nella città e nei
sobborghi di Lucca, e nel resto nel territorio. Questa ventina di ospedali rurali
definisce le principali direttrici stradali della Lucchesia medievale, in quanto possono
essere considerati come i principali capisaldi della rete viaria. Come si è già detto,
risalgono proprio a questo periodo numerosi ospedali sorti sui passi di montagna o nei
pressi, e quelli associati ai ponti.
Per quanto riguarda i fondatori di questi ospedali, la maggior parte sono sempre
stati religiosi, in modo particolare nella città. Nella campagna, invece, sembra che
l'iniziativa signorile sia stata altrettanto importante, sia nella fondazione che nella loro
dotazione.
Sull'altopiano delle Pizzorne sorse nel XII secolo l'ospedale di San Bartolomeo
di Grominio per iniziativa dei signori di Porcari, che ne avevano il giurispatronato. A
Camaiore è documentata una domus dominorum de Piscopana, e l'ospedale di
Sant'Jacopo de Ponte del Popolo sorse su un terreno di proprietà dei nobili di
Casciobalbo (odierno Castelvecchio Pascoli). Anche l'ospedale di San Pellegrino
dell'Alpe, secondo l'ipotesi di L. Angelini (1996), sarebbe stato dotato, e forse anche
fondato, dai signori di Careggine.
Infine, sempre nella Valle del Serchio sono presenti altri ospedali noti nel XIII
secolo di proprietà dei signori di Cascio (Hospitale Domindrum di [58] Cascio, 1230)
e di Campo San Pietro a Loppia (locus Dominarum di Campo San Pietro, 1232).
Una nuova ondata di fondazioni è documentata dal XIII secolo, numericamente
tanto notevole quanto quella del secolo precedente (PISANI 1907). Tuttavia, già da
questo periodo è evidente la trasformazione in atto per quanto riguarda la natura e le
funzioni degli ospedali, segnalata da T. Szabò. Nelle carte di fondazione e dotazione
dei nuovi istituti compare con forza il carattere assistenziale, dominante in confronto
con le funzioni ricettive.
Questo cambiamento è osservabile perfino nel caso di ospedali disposti lungo le
direttrici viarie o nel caso di ospedali tradizionalmente associati alla viabilità. Un
esempio significativo è quello degli ospedali vincolati ai ponti. Nella già ricordata
costruzione da parte del monastero di Santa Giustina di un ponte sul Serchio all'inizio
del XIII secolo, fu realizzato un nuovo ospedale, definito dai suoi fondatori come un
ospedale "per poveri".
Un altro esempio può essere quello dell'ospedale di Stiappa, attualmente nel
comune di Pescia (PT), ma appartenente al territorio medievale di Lucca. Da una carta
di dotazione sappiamo che in questa località fu fondato un ospedale nell'anno 1245 da
parte di un certo Vacchario, che donò al vescovo di Lucca la sua casa e tutti i suoi
beni. L'ospedale, disposto all'esterno del recinto murato del borgo, si trovava lungo la
strada di comunicazione della valle del fiume Pescia verso la Lima, passi appenninici
e la pianura padana. La presenza più a monte di un ospedale di passo, quello di Croce
a Veglia (fig. 21) – coevo a quello di Stiappa –, ne costituisce l'indicatore più
significativo (QUIROS CASTILLO c.s.). Tuttavia, il documento fondazionale fa
notare come si tratti di un ospedale a carattere prevalentemente assistenziale, poiché è
definito semplicemente come ospedale per poveri. I pellegrini presenti nei documenti
più antichi sono completamente scomparsi da queste carte di fondazione. Si può
concludere, quindi, che dall'anno 1200 sono rari nuovi ospedali costruiti nel territorio
di Lucca con funzione prevalentemente [60] ricettiva nei confronti dei viaggiatori. La
maggior parte delle nuove fondazioni si dispone nei centri abitati già esistenti, anche
se con frequenza si situavano all'esterno delle mura o del tessuto urbanistico
precedente.
Dalla seconda metà del XII secolo si osserva una tendenza crescente alla
diversificazione funzionale degli ospedali lucchesi, che non si deve comunque
interpretare come una specializzazione. Un esempio significativo sono i cinque
lebbrosari documentati a Lucca nel periodo 1150 1257, dei quali è ancora
riconoscibile quello di San Lazzaro, situato subito fuori della città, lungo la strada per
Pisa (fig. 22).
Anche se il fenomeno della fondazione degli ospedali continuò ancora durante
tutto il bassomedioevo e anche oltre, si nota come nei secoli XIV-XV venga
abbandonato un numero importante di ospedali stradali. Quelli che sono sopravvissuti
alla nuova situazione hanno mantenuto le strutture e il titolo, ma hanno perso
numerosi conversi. Per quanto riguarda gli ospedali di passo, molti furono
abbandonati nel XIV secolo. Questo è il caso di Santa Maria di Buita (passo delle
Radici) o di San Bartolomeo del Saltello nell'omonimo passo. I cambiamenti dei
tracciati viari, delle forme d'accoglienza ai viaggiatori e nell'organizzazione della
manutenzione delle strade causarono l'abbandono della maggior parte degli ospedali
di passo e di altre significative istituzioni nel territorio rurale. Furono pochi, quindi,
gli ospedali di passo che, come San Nicolao di Tea o San Pellegrino in Alpe, rimasero
in uso fino al periodo postmedievale.
Altri ospedali furono dismessi nel corso dei secoli XV e XVI, quando furono
integrati e accorpati in quello urbano di San Luca, destinato a diventare il principale
ospedale per malati della città fino al secolo scorso, quando fu incluso negli Spedali
ed Ospizi riuniti.
Gli ospedali non furono gli unici luoghi di sosta presenti nel territorio di Lucca
nel medioevo. Accanto a queste forme di ospitalità gratuita, compaiono in forma
massiccia i luoghi di sosta a pagamento, anche se la loro presenza nella
documentazione medievale è più sporadica.
Queste strutture non compaiono nelle fonti scritte altomedievali, e bisogna
aspettare gli inizi del XII secolo per avere le prime notizie al riguardo. Una lapide,
ancora oggi presente nell'atrio del Duomo di San Martino e datata al 1111, costituisce
la prima prova documentale della presenza di case che ospitano mercanti. Si tratta di
un giuramento realizzato dai cambisti e speziali che operano nell'atrio della chiesa,
con il quale promettono di non realizzare truffe, sia nel suddetto atrio che nelle case
dove si dà ospitalità (fig. 23).
Non abbiamo altre notizie su queste forme d'ospitalità nel XII secolo, anche se
grazie a documenti successivi, è possibile dedurre altre informazioni su queste
strutture di appoggio allo sviluppo mercantile lucchese.
Grazie a documenti del XIV secolo sappiamo, infatti, dell'esistenza di una
interessante formula contrattuale che legava gli albergatori della città di Lucca con i
mercanti che si recavano in città per realizzare le loro vendite e acquisti (PAYER
1990) [61]. Questo contratto rispecchia in realtà un'antica consuetudine, risalente ai
secoli XII-XIII. Si stabiliva un rapporto duraturo nel tempo tra gli albergatori e
commercianti, consistente nel fatto che questi ultimi si recavano sempre e soltanto
presso la stessa casa, che era tenuta a fornire un adeguato servizio, che comprendeva
vitto, alloggio e qualsiasi tipo di aiuto necessario per la riuscita della loro attività.
Questo servizio era pagato secondo una percentuale sugli utili ricavati dal mercante
durante il suo soggiorno. In questo periodo, anche l'albergatore era coinvolto nella
buona riuscita degli affari dei suoi ospiti.
Gli unici ospiti che erano esclusi dall'obbligo di stipulare questo rapporto erano
gli abitanti del territorio di Lucca, i cittadini pisani, certe categorie di mercanti
(venditori di bestie), e tutti quelli che non erano mercanti.
Questo rapporto era sancito con formule rituali che comprendevano lo scambio
della mano o il bacio. Il contratto era rotto soltanto quando una delle parti veniva a
mancare suoi obblighi. La fortuna di questa formula contrattuale fu tale, che fu
necessario regolare la tendenza degli albergatori ad accaparrarsi il maggior numero di
mercanti, a danno degli altri. Questo diritto era inoltre ceduto in eredità ai figli degli
albergatori e dei mercanti, al quale, in ogni caso essi potevano rinunciare.
La rilevanza di questa attività nel territorio di Lucca è anche messa in rilievo da
diversi statuti conservati. In quelli dell'anno 1308 si stabilisce che tutti gli albergatori
siano tenuti al giuramento di esercitare con buona fede la [62] loro assistenza nei
confronti degli ospiti e le loro merci, "di qualsiasi condizioni fossero, pellegrini,
mercanti o altri". Nel 1376, invece, si stabilisce una divisione tra i "fondachieri di
mercanzie" rispetto all'arte degli Albergatori, che avevano raggiunto una notevole
importanza in città.
Infine, per quanto riguarda la presenza di locande e osterie nel territorio rurale,
bisogna dire che le notizie sono piuttosto scarse e rare. Le prime osterie documentate
compaiono nel XIII secolo, e sono presenti nei principali borghi nati lungo le strade.
Così ad esempio, uno è documentato a Pietrasanta nel 1255; a Camaiore nel 1298; a
Borgo a Buggiano nel 1376; all'interno del complesso di Altopascio nel 1474; altre
erano al Ponte a Moriano, Borgo a Mozzano, Ponte San Pietro, Lunata e nei principali
borghi della Lucchesia.
Grazie ai documenti siamo in grado di conoscere a grandi linee le caratteristiche
e l'evoluzione dei luoghi di sosta a Lucca nel medioevo, ma non si dispone ancora di
studi sistematici condotti sulle strutture materiali appartenenti ad ospedali, osterie o
locande. Come si è detto in precedenza, molti ospedali non sono più riconoscibili a
causa dei numerosi interventi o distruzioni realizzati nel corso dei secoli. Gli scavi
archeologici su questi tipi di strutture (ad esempio l'ospedale urbano di San Luca)
sono appena iniziati, e resta ancora molto lavoro da fare. Non è quindi ancora
possibile tracciare un quadro, anche approssimativo, delle caratteristiche materiali di
queste strutture. Dovremmo limitarci a fare una prima riflessione sulla loro
organizzazione e funzionamento, utilizzando la lettura dei documenti scritti. [63]
Non esiste un modello architettonico unico che si possa associare agli ospedali
lucchesi, ma anzi, da una ricognizione anche superficiale, emerge la diversità di forme
e dimensioni di questi manufatti.
Le strutture più semplici erano soltanto delle case comuni adibite alle funzioni
ospedaliere. Questo tipo d'ospedale deve essere stato presente in tutti i periodi, ma la
sua importanza è maggiore a partire dal XIII secolo, quando queste strutture
assumono funzioni prevalentemente assistenziali. Si [64] è già fatto riferimento
all'ospedale di Stiappa, fondato nell'anno 1245. La struttura (fig. 24) si presenta come
un'abitazione unica, isolata all'esterno delle mura del borgo. Si tratta di una piccola
costruzione rettangolare di 4,2 x 7,4 m con unico ingresso ad arco nella facciata
meridionale. L'edificio è stato pesantemente restaurato nel periodo postmedievale,
anche se sono ancora riconoscibili le strutture medievali. L'ospedale non era dotato di
strutture adatte al ricovero degli animali da soma o altri servizi.
Tuttavia, dai documenti scritti emerge come buona parte dei principali ospedali
costruiti nei secoli XI-XII aveva una struttura più articolata. In queste strutture era
possibile distinguere un edificio dedicato all'alloggio dei viaggiatori e dei bisognosi, e
una piccola chiesa o cappella.
L'ospedale di Rosaia (1075), fondato dei conti Cadolingi nei pressi di
Fucecchio, era una struttura molto articolata. Era composto di una chiesa con un
chiostro, un portico e due case di accoglienza; una definita domus leprosorum e
un'altra più semplicemente domus. L'ospedale dei Santi Matteo e Pellegrino di Lunata
era composto alla metà del XII secolo da una chiesa, un cimitero e dall'ospedale vero
e proprio. Anche San Pellegrino dell'Alpe aveva una struttura simile. Gli esempi sono
molti, ma le fonti scritte documentano sempre un'articolazione strutturale simile e
ricorrente a questa descritta.
Oggi non è più riconoscibile questa organizzazione degli spazi se non in rari
casi. Spesso è sopravvissuta soltanto la cappella, come nel caso di San Leonardo in
Treponzio (fig. 25), nel lebbrosario di San Lazzaro o nella chiesa di San Michele della
Contésora, per indicare soltanto qualche esempio. Nei pochi casi in cui è possibile
individuare i fabbricati dell'ospedale, non si riesce più a riconoscere la loro
funzionalità interna, come nel caso di Campugliano (Sant'Allucio), Sant'Antonio di
Pescia o di San Frediano alle Gavine (Piazzano).
Un altro esempio è quello dell'ospedale di Sant'Antonio di Pescia, documentato
dal 1300, anche se la sua cappella si fa risalire al XII secolo (fig. 26). L'ospedale è
situato all'esterno del recinto fortificato del borgo medievale, e si articola in due
costruzioni separate dalla strada. Si presenta come una struttura rettangolare di 26 per
8 metri circa, articolata in due piani. La costruzione è stata molto trasformata è quindi
non è più agevole la sua lettura. Nella facciata rivolta verso la strada e la cappella è
presente un ingresso a doppio arco.
Da questi esempi sembra emergere la conferma del ricorso alle piante semplici e
allungate, tipo "sala", più volte richiamate come le tipologie più ricorrenti
nell'architettura degli ospedali medievali.
Naturalmente un caso molto particolare è rappresentato dall'ospedale
d'Altopascio, diventato nel corso dei secoli un vero borgo fortificato. Anche in questo
caso le trasformazioni successive hanno profondamente modificato l'assetto
medievale dell'abitato, compromettendo l'interpretazione funzionale dei singoli
ambienti. Dai documenti scritti del XV secolo si osserva l'esistenza [65] di strutture
ricettive di diverse caratteristiche, in funzione dell'entità degli ospiti, situate nei pressi
della chiesa. Numerose erano inoltre le strutture di servizio che comprendevano
diverse stalle e magazzini, e altri edifici funzionali alla vita dell'ospedale (DEL
CANTO 1996).
Per quanto riguarda gli ospedali di passo, come si è detto, la maggior parte è
stata abbandonata negli ultimi secoli del medioevo. Tra le pochissime strutture ancora
conservate si può segnalare l'ospedale di San Pellegrino del1'Alpe (vedi pp. 137-140),
e il piccolo ospedale di Croce a Veglia, nel comune di Pescia. I resti di quest'ultimo
ospedale si trovano sul versante meridionale di un passo situato a 856 m, tra le valli
dei fiumi Pescia e Lima, lungo il tracciato di una strada che comunicava la zona di
montagna della Valdinievole con i passi appenninici pistoiesi e la pianura padana.
L'esistenza di questa struttura è nota dall'anno 1260, anche se la sua fondazione può
essere precedente a questa data. L'edificio si presenta isolato, nei pressi di un
alpeggio, a qualche decina di metri dall'omonimo passo. Si tratta di una piccola
struttura con pianta rettangolare impostata sul pendio, che sfrutta il dislivello del
versante. La costruzione attuale risale al periodo postmedievale ed è stata realizzata in
due fasi ben distinte. Probabilmente il piano inferiore era la stalla dell'ospedale,
mentre i due superiori costituivano le strutture ricettive. Manca completamente una
cappella o struttura annessa di carattere ecclesiastico. [68]
In altri casi, come all'Ospitaletto (Reggio Emilia, fig. 27), o all'Ospitaletto di
San Sisto di Sillano (Lucca), non si sono conservati resti.
Negli ospedali rimasti in uso fino al periodo rinascimentale si osserva
un'evoluzione architettonica molto importante, poiché il modello a sala è sostituito da
quello a palazzo articolato intorno a un cortile. Questo è il caso dell'ospedale dei Santi
Matteo e Pellegrino di Lunata (figg. 28-29), ancora conservato nel tracciato della
antica via Pesciatina (conosciuta come via Romana nel medioevo), e noto attraverso
diverse fonti d'archivio. Un documento dell'anno 1569 rappresenta l'ospedale
organizzato intorno ad un cortile, che separava da una parte l'orto e dall'altra un
massiccio edificio descritto come "Palaso". Tutto lo spazio è chiuso da un muro a
retta, e all'interno dell'edificio si trova una cappella dedicata a Santa Zita
(BENEDETTO 1997).
Anche quello di Sant'Jacopo d'Isola Santa (Careggine) nei secoli XVI-XVII era
inglobato in un recinto all'interno del quale erano presenti un oratorio annesso
all'ospedale, una canonica e una torre. L'ospedale era composto da tre stanze, con
loggiato e stalle dove venivano sistemati gli animali dei viandanti, o i viandanti stessi
(ROMITI 1985).
Infine, non si conoscono ancora esempi di strutture d'ospitalità a pagamento. Le
osterie postmedievali di San Pellegrino dell'alpe sono, forse, gli unici esempi ancora
riconoscibili al giorno d'oggi. [69]
Juan Antonio Quirós Castillo