L`eleganza non c`entra niente col prezzo, io mi vesto
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L`eleganza non c`entra niente col prezzo, io mi vesto
Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 375 CONVERSAZIONE CON LAPO ELKANN L’eleganza non c’entra niente col prezzo, io mi vesto così Alcuni media italiani tendono a rappresentare Lapo Elkann come la Paris Hilton italiana. Un personaggio bizzarro al quale, con magnanima compiacenza, si possono concedere eccessi negati ai comuni mortali. E, in effetti, è soprattutto a causa dei suoi eccessi che il giovane Lapo talvolta sale agli onori delle cronache popolari. La verità, però, è profondamente diversa. Lapo Elkann è un imprenditore nel mondo della moda, del marketing e della finanza, ed è un esteta. Un giovane uomo dalla formazione cosmopolita, attento studioso dell’evoluzione del gusto e dello stile in tutto il mondo. Capace di difendere i suoi segreti di stile: all’appuntamento si è presentato con una camicia vintage ma non ha voluto svelare né la provenienza del capo né la sua storia. Lapo, del resto, ha un suo personale gusto che poi ha influenzato diverse tendenze, innovandole profondamente. Fratello di John (presidente Fiat ed Exor, e leader in carica della dinastia Agnelli), Lapo si è occupato per un paio d’anni del brand promotion del gruppo Fiat, compiendo alcune mosse importanti per modernizzarlo e avvicinarlo al pubblico giovane. Poi ha fondato Italia Independent (www.italiaindependent.com), un marchio di creatività e di stile che vende in tutto il mondo prodotti innovativi del made in Italy. Del grappolo di aziende che fanno capo a Holding srl fa parte anche Independent Ideas, una società di comunicazione dall’impostazione innovativa. Nel 2009, quando Lapo è comparso a torso nudo su enormi manifesti stradali che riportavano la scritta “Rock Save Italy“ e il logo Virgin Radio, molti osservatori superficiali hanno pensato all’ennesima bizzarria del rampollo scavezzacollo di casa Agnelli. Invece era una campagna pubblicitaria di Independent Ideas, frutto di una strategia accortamente studiata da Lapo e i suoi collaboratori. Strategia che ha aumentato del 30 per cento gli ascolti dell’emittente radiofonica di cui Richard Branson, fondatore di Virgin si è pubblicatamente complimentato con Lapo. 375 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 376 Considerato, per stile ed eleganza, il successore del nonno Gianni Agnelli, Lapo Elkann è stato eletto cinque volte Best Dressed Man dalla rivista Vanity Fair. Mentre l’edizione americana di Vogue, quella diretta dalla terribile Anna Wintour, gli ha dedicato una copertina nella quale lo definiva come l’uomo più elegante del mondo. Ambasciatore della Triennale di Milano, è membro del consiglio di amministrazione di varie aziende come la casa d’aste Phillips de Pury Auction House. Collabora con fotografi e artisti di fama internazionale. Lapo Elkann è l’interlocutore migliore per capire quali siano le chiavi di lettura giuste del dilagare dei prodotti low-cost nell’abbigliamento, nel design, nell’arredamento. E come gli oggetti low-cost si possano mixare con altri prodotti e con il vintage. Capire cosa siano in realtà lo stile e il lusso e come possano convivere con i ragionamenti sul prezzo, alto o basso che sia. «L’esplosione del low-cost ha dei pro e dei contro», dice Lapo. «In testa alla lista dei pro metto l’allargamento dell’accesso. Mi piace poter vivere in un mondo nel quale è diventato più facile fare un viaggio a Londra, indossare un vestito carino, arredare la casa con un mobile di design. Perché queste cose deve poterle fare solo chi ha tanti soldi?» Per Lapo in molti casi il low-cost premia chi è più intelligente, «chi sa contrattare meglio, chi va su internet a cercare le tariffe più convenienti. In rete, lo stesso volo per gli Stati Uniti si può trovare a un prezzo che va dai 450 ai 1000 euro. Attenzione, non il volo più lussuoso, comodo o veloce, ma lo stesso identico volo. E poi, l’industria del low-cost crea valore, e permette alle imprese più intraprendenti di farsi largo». Dice così proprio lei che ha fatto parlare i giornali di tutto il mondo con gli occhiali da mille euro che proponevi ai ricconi… Non è una contraddizione? «Gli occhiali da mille euro erano in realtà una scultura in carbonio, realizzata ad hoc pezzo su pezzo, grazie alla collaborazione di alcuni artigiani che hanno lavorato insieme a noi. Ne abbiamo prodotti mille esemplari, e sono andati rapidamente esauriti. Il prezzo era giusto, se si pensa ai materiali, al valore aggiunto artigianale e alla componente collezionistica dell’oggetto. 376 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 377 Il ricavato in questo modo ci è servito a finanziare le successive attività industriali di Italia Independent, una start-up completamente autofinanziata. Il prezzo di mille euro è stata anche una provocazione mediatica, certo. Abbiamo voluto richiamare l’attenzione sulla nascita della nostra nuova impresa. Non avevamo budget di comunicazione, e abbiamo deciso di fare così. Ci piaceva una provocazione che non fosse fine a se stessa, ma di sostanza. E anche tecnologica. Figli di quegli occhiali da mille euro in carbonio sono i 50 mila occhiali da 160 euro circa che stiamo vendendo oggi». L’aspetto del low-cost che piace di più è dunque l’allargamento dell’accesso? «Certo. È un concetto che secondo me è a 360 gradi e va oltre la dimensione economica. Per me, low-cost è anche il bike sharing, che permette a chi ne ha voglia, quando lo desidera, di farsi un bel giro in bici. Una liberazione. Oppure il boat sharing, che consente a quelli che amano la barca di usarla senza per forza doverla comprare. E che evita gli sprechi, favorendo in qualche modo l’ambiente. Non dimentichiamo, infatti, che quasi tutte le barche destinate al tempo libero – eccezion fatta, forse, per i pensionati e per qualche persona che vive di rendita – restano ancorate per la maggior parte della loro vita. C’è chi le usa per quindici giorni all’anno. Non ha senso possederle da soli. Lo hanno capito perfino due personaggi come Larry Ellison (fondatore e maggior azionista della Oracle, al numero sei nella classifica degli uomini più ricchi del mondo nda), e il produttore David Geffen (quarantanovesimo in classifica nda) che hanno deciso di condividere la proprietà del Rising Sun, la loro magnifica barca. Una mossa che secondo me non deve essere letta come una stranezza da miliardari, ma come un preciso segno dei tempi. Ancora, per me low-cost sono le società di car sharing che ti permettono, per un canone fisso che se non ricordo male è di 50 mila euro, di divertirti al volante di Ferrari, Lamborghini, Bugatti, Maserati. Vetture che costano almeno 300 mila euro, ai quali vanno aggiunti costi di manutenzione, assistenza, assicurazione che le rendono proibitive. C’è tutto un pubblico che non 377 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 378 arriva fino ai trecentomila euro e più necessari, ma magari ai cinquantamila sì. Persone che magari quei soldi li hanno guadagnati con duro lavoro. Dieci anni fa per loro sarebbe stato impensabile guidare una Ferrari. Adesso invece possono farlo». Insomma, il concetto le piace se indica un giusto prezzo e non un prezzo basso a tutti i costi. «Proprio così. Da questo punto di vista la parola low-cost forse porta fuori strada. Magari sarebbe meglio right-cost, oppure easy-cost. Ecco, easy-cost mi piace. O anche, visto che secondo me il tratto distintivo è l’allargamento dell’accesso, si potrebbe usare access-cost». L’accesso senza il possesso è un’idea seducente. Ma fa anche pensare. Lascia intravedere una società nella quale non si possiede più nulla. È la società liquida come in parte la descrive Zygmunt Bauman, nella quale tutto scorre e nulla resta. Si perde il valore delle cose che si tramandano. L’incertezza, la precarietà, l’insicurezza e forse anche la paura dominano molte persone. «Non sarei così pessimista, e comunque non in riferimento alle cose che abbiamo detto. Personalmente, non sono poi così sicuro che il possesso eterno, in quanto tale, sia possibile e sia anche un bene. Forse è un’illusione. Chi mai può dire, per esempio, di possedere una donna? Una donna è tua nei momenti in cui condividi con lei delle sensazioni importanti, ma non per sempre. E non puoi mai dominarla. Lo stesso vale per le persone. Non si può trasformare nessuno in un oggetto di possesso, altrimenti se ne fa un servo che poi detesta il suo padrone. Hegel, nella dialettica del servo e del padrone, diceva che il maggior desiderio del servo, è, appunto, di uccidere il suo padrone. Il desiderio dell’altro non si può mai possedere. E comunque, visto che dobbiamo morire, qualunque possesso legale è sempre temporaneo. Poi ce ne andiamo e lo lasciamo. La proprietà di una casa non vale neanche un decimo delle sensazioni che si sono provate al suo interno. E non definisce neanche il vero lusso. Possedere non coincide né con il lusso né con lo 378 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 379 stile. E comunque i tempi cambiano. È finita l’orgia del possesso a tutti i costi che dominava le vite delle vecchie generazioni». Bene, mi fornisce l’occasione per chiederle come definisce lusso e stile… «Secondo me il lusso, o l’eleganza, consistono soprattutto nell’essere se stessi. E fino in fondo. Capire chi si è e mostrarlo al mondo, senza esibirlo. Mostriamo noi stessi – ma non solo – anche attraverso ciò che usiamo. Il lusso è proprio non avere bisogno di esibire nulla. Quindi, se si ha una carta American Express Black – perché offre servizi che si ritengono necessari – non abbiate problemi a custodirla dentro un portacarte da cinque euro di Muji. O dentro uno in plastica, senza né marca né provenienza definita. Sempre che il portacarte sia scelto così perché ci piace, e non per esibire uno pseudo-pauperismo ricercato ed esibito ad arte. Altrimenti, rientra nella categoria precedente». Definito così, il lusso può richiedere coraggio. Torniamo a qualcosa che non è da tutti… «Certamente è così…» E lo stile? «Per me lo stile è l’insieme delle cose che ci piacciono. Si manifesta nel vestire, nella propria casa, nelle letture, nelle auto. Si costruisce lentamente, imparando. Si alimenta grazie alla curiosità. Ed evolve insieme alla propria personalità. C’è chi crede di avere stile, e poi si fa comprare le cose dagli styilist e progettare la casa dall’architetto, magari imitando gli altri. In realtà ha solo denaro, e lo stile non sa neppure che cosa sia. E tantomeno il gusto». Che cosa le piace del low-cost? Quali prodotti o servizi utilizzi? «Per volare in Europa, Easyjet è talvolta migliore delle compagnie di bandiera. Io la uso spesso. Raggiunge facilmente città nelle quali talvolta sarebbe lunga arrivare altrimenti, è comoda e 379 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 380 ha un buon rapporto qualità-prezzo. I sedili sono confortevoli. Costa un po’ di più di Ryanair, ma va bene così. Ryanair invece io non la uso, mi sento compresso nei suoi aerei strapieni, i sedili sono scomodi, non mi piace. Nelle auto, Dacia trovo che abbia fatto dei passi avanti interessanti, anche se non l’ho mai avuta perché non corrisponde al mio gusto personale. L’auto low-cost è un segmento in forte crescita. Negli accessori, sono un vero fan degli Swatch, ne ho qualche decina, anche se poi li metto raramente perché mi danno fastidio, tendo a non portare orologi. Le poche volte che li indosso, mi piace abbinarli con vestiti classici. Da Top Shop a Londra, penso che si trovino delle cose interessanti. Guardo con attenzione anche marchi giapponesi come Uniqlo e il classico Muji, E mi piace molto lo svedese The Cheap Monday. Come tutti, in casa o in ufficio ho anch’io qualche pezzo di Ikea. E in guardaroba qualche capo di H&M e Zara. Ovs Industry – il marchio del quale è testimonial mia sorella Ginevra – non l’ho ancora guardata bene. Però penso che sia un esperimento interessante». E gli aspetti negativi, o problematici, del low-cost… «Non sono un sociologo o un economista e vorrei evitare affermazioni tranchant. Diciamo che ci sono degli aspetti che fanno pensare. E sono legati al fatto che l’Italia intera, come emerge dall’idea da cui è nata Italia Low Cost e dai dati, sta diventando low-cost. Siamo sicuri che, come Paese, vogliamo posizionarci in questo modo? Certo, è bello che gli studenti di tutto il mondo possano venire qui con pochi soldi. Ma è un bene che l’Italia venga monopolizzata dal turismo low-cost? È giusto che i ragazzi visitino Venezia, ma è un bene che questo luogo magico abbia solo il superlusso come alternativa al low-cost? Senza contare il fatto che, tante volte, poi, quello che viene presentato come superlusso, e pagato come tale, non offre una qualità corrispondente. È fuffa per chi ha tanti soldi. E il turismo di qualità a un prezzo accettabile? Perché non coltiviamo quello? Il discorso diventa ancora più importante quando si parla di 380 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 381 lavoro. Se l’Italia diventa tutta low-cost è più difficile che la produzione venga mantenuta qui. È impossibile competere con i Paesi emergenti sul terreno del costo del lavoro. Se vogliamo mantenere il lavoro qui, dobbiamo rimanere competitivi in modo da poter continuare a remunerarlo con standard italiani. Ecco, il vantaggio dell’Italia è la presenza di un artigianato forte e di elevata qualità, che rappresenta un polmone vitale per molte multinazionali del lusso. Questo artigianato, lo stesso che Italia Independent valorizza attraverso alcune iniziative, è un’autentica miniera d’oro. Un tesoro, che altri Stati europei avevano in parte e hanno perso. Noi italiani dovremmo preservarlo e farlo crescere. Non so in che misura questo obiettivo possa essere compatibile con la massiccia migrazione verso il low-cost raccontato in Italia Low Cost». Tornando a Ginevra e Ovs Industry, qualcuno potrebbe dire che vedere una discendente Agnelli “abbassarsi” a fare da testimonial a un marchio low-cost è un segno dei tempi… magari della decadenza dei tempi… «Forse di questo dovrebbe parlarne con Ginevra e non con me. Io posso solo dire che anche lei, che non a caso si occupa di arte, ha un gusto molto evoluto, e che secondo me ha fatto bene a fare questa cosa. Perché il suo compenso va in beneficenza, perché è una bella cosa e perché lei ne esce benissimo». Mi sembrano tre buone ragioni, anche se noi autori di Italia Low Cost abbiamo un’opinione critica su alcuni aspetti di Ovs Industry. A proposito di casa Agnelli, lei si è fatto riadattare il guardaroba di nonno Gianni. E poi ha collaborato con una casa di moda che ha riproposto alcuni modelli. Tutto ciò mi fa riflettere sul vintage, e sul riproporre cose del passato. Che cosa dice in proposito? «A me piace molto il vintage, in particolare i pezzi di moda o di design che si rifanno agli anni Cinquanta e Sessanta, che rappresentano forse il massimo della creatività. Recuperare parti del passato però non deve significare fossilizzarsi. Io indosso gli abiti di mio nonno, ma li reinterpreto, unendoli a cose mie, a 381 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 382 oggetti nuovi, combinandoli in modo differente. Se il lusso è essere se stessi, non comporta per forza comprare i vestiti più costosi e all’ultima moda, ma anche riadattare quelli vecchi, se ci piacciono». Riutilizzare è anche un modo di andare controcorrente rispetto all’orgia del consumo e dell’acquisto di cose nuove a tutti costi. È una riscoperta dell’anima delle cose. «Ha colto alla perfezione il mio pensiero, per quello che vale». Il suo stile è molto mixato, e prevede anche elementi low cost. Adesso, per esempio, mentre mi parla, indossa una camicia militare comprata usata. Però è noto che lei possieda una Ferrari gialla. Insomma, nel suo stile il low-cost si fonde continuamente con il top di gamma… «Parla come se dovessi per forza classificarmi in qualche modo, inserirmi in un contenitore. La verità è molto più semplice: compro quello che mi piace e non mi faccio grandi problemi sulla categoria di cui fa parte e il prezzo che ha. Lo giudico e lo scelgo non in base al prezzo, ma in relazione all’utilità e alla corrispondenza al mio gusto. Da questo punto di vista, per esempio, i gemelli di corda “pugno di scimmia” da cinque euro possono piacermi più di certi modelli in oro da 500 euro. E cerco di tenere le cose assieme seguendo un ordine, un’armonia che corrisponde al mio stile, o al mio gusto, o a come lo si voglia chiamare». Comunque lei ha un particolare piacere nel mescolare le cose. «Mi diverto moltissimo a farlo. La mia vita, la mia educazione, la possibilità che ho di andare in giro per il mondo, le risorse di cui dispongo e soprattutto la mia curiosità hanno reso questa ricerca una passione, una cosa che fa parte di me, che riflette la mia anima. Ma che ha anche avuto un impatto sul lavoro che faccio». 382 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 383 Ecco, appunto, che lavoro fa? Si sente spesso parlare di lei e a vario titolo... «Insieme all’amico Andrea Tessitore gestiamo una holding dove tra i vari investimenti ha particolare rilevanza il brand di creatività e stile che si chiama Italia Independent e che mette sul mercato pezzi unici caratterizzati da artigianato e da tecnologia. Ci proponiamo di valorizzare sia il made in Italy che magari non ha i mezzi per farsi conoscere nel mondo e giovani talenti nel campo del design, dell’artigianato, della moda. Che scegliamo e mettiamo assieme in base al gusto personale mio e dei miei collaboratori. Guardando con estremo interesse a tutto ciò che è nuovo». Le piace dar spazio ai giovani… «È così. So bene di venire dalla famiglia Agnelli e di essere per tanti aspetti un privilegiato, anche se ho sempre cercato di guadagnare il mio spazio nel mondo attraverso le mie idee e le mie iniziative. Offrire una chance a chi ha i numeri per eccellere non è solo una strategia utile alla mia azienda, ma è anche, in qualche modo, un modo per ridistribuire parte dei privilegi di cui ho goduto grazie alla mia famiglia. L’ho fatto in Fiat, ai tempi in cui ero responsabile del brand promotion. E lo faccio adesso con le mie iniziative. Del resto in Italia, purtroppo, c’è poco spazio per i talenti senza nome, per la creatività, per l’innovazione, per chi rompe le reti di potere esistente. Viviamo in una società dominata da una gerontocrazia, e ne paghiamo il prezzo». Insomma, cerca di fare da ponte tra mondi diversi, e ciò è coerente con quello che ci siamo detti a proposito del vintage, oppure del mix fra oggetti hig-cost e low-cost? «Proprio così. Mi piace collegare designer, artisti ma anche utilizzare materiali nuovi, come la fibra di carbonio e la cordura, che magari mixiamo con la lana o la seta. Sempre coltivando il made in Italy, che a mio avviso ha un valore enorme. L’Italia non è solo il luogo dove risiede e opera la nostra azienda, ma anche 383 Low-cost_def _libr 22-02-2011 16:06 Pagina 384 il principale luogo ispiratore e motore del progetto-azienda Italia Independent, che nasce da un’ambizione: dar vita al made in Italy 2.0. Vogliamo aggiornare il made in Italy, metterlo al passo con i tempi, uscire dagli stereotipi e sintonizzarci rapidamente col nuovo. In altre parole: aggiungere innovazione alla tradizione. Italia Independent è un marchio di creatività e stile per persone indipendenti». Insomma, il lavoro in team è una cifra del suo progetto imprenditoriale… «Non una cifra, ma “la cifra”. È finito il tempo dei solisti. Oggi le cose si fanno creando reti di persone che collaborano, pur mantenendo ognuno la loro specificità. Da soli non si va da nessuna parte». 384