come i fondamentalismi religiosi alterano gli

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come i fondamentalismi religiosi alterano gli
Anno IV - Numero 15
Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli
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9 Luglio 2010
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GLI ULTRAS
DELLA FEDE
COME I FONDAMENTALISMI RELIGIOSI ALTERANO GLI EQUILIBRI MONDIALI
Il quadro
Arabia Saudita, India e Israele, i focolai del terrore. Ma è il Pakistan il più pericoloso
Il fondamentalismo, una patologia
Il direttore di Limes Lucio Caracciolo spiega le dinamiche del fenomeno
Irene Pugliese
La ricerca della purezza della fede
che si lega alla frustrazione di persone che vivono in società di degrado, più l’azione della globalizzazione. Sono queste le cause del
forte sviluppo del fondamentalismo, sostiene Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes in questa intervista.
Professor Caracciolo, quando un
credo religioso si trasforma in
fondamentalismo?
«Quando vuole tornare ai fondamentali e quindi prescindere dall’evoluzione moderna di una religione e attingere alle fonti presuntamente pure di questa fede. Per
esempio nel campo islamico il fondamentalismo è una ricerca dell’Islam puro e vincente delle origini come alternativa a quell’Islam corrotto, modernizzato e arrendevole
«Prendiamo il caso della Paleverso l’Occidente che, per loro, do- stina. Lì c’è da tempo un contenmina oggi in molti paesi islamici». zioso tra palestinesi e israeliani che
Si può dire che è soltanto la re- originariamente era uno scontro
ligione la matrice del fondamen- di carattere nazionale: il diritto detalismo o ci sono anche motiva- gli israeliani contro il diritto dei pazioni politiche?
lestinesi. Ormai, visto
«Bisogna distinche una soluzione poguere tra le due cose. «Persone che vivono litica tra i due paesi
C’è una visione relinon è stata possibile,
in società arretrate è diventantato un
giosa che cambia a
seconda delle varie
conflitto fondamencercano risposte
confessioni. E poi ci
talmente religioso tra
nella religione»
sono delle ricadute di
il fondamentalismo
carattere politico e
ebraico e quello islageopolitico che sono
mico».
un’altra cosa: una persona può esL’atteggiamento di Israele oggi
sere un fondamentalista e passare il nei confronti dei palestinesi è ritempo a pregare dalla mattina alla conducibile quindi a un fondasera oppure può essere un fonda- mentalismo ebraico?
mentalista che oltre a pregare si dà
«C’è una parte della società israeda fare politicamente nelle cellule liana, in particolare i coloni che abiterroristiche».
tano nei territori palestinesi, che è
Esempi di motivazioni politi- molto sensibile a questo richiamo,
che?
una parte minoritaria ma influente
ZONE CALDE
La mappa
con i paesi
del globo
dove il
fondamentalismo
fa più paura.
Arabia Saudita,
India, Pakistan
e Israele
i focolai
politicamente. Non dimentichiamo che Israele rappresenta uno
stato ebraico, cioè uno stato di religione».
Quando il fondamentalismo si
trasforma in terrorismo?
«Quando si accoppia a un senso
di frustrazione, di deprivazione.
Persone che vivono in società particolarmente arretrate, entrando in
contatto con il mondo moderno ma
non trovando delle risposte di carattere politico alle proprie esigenze, le cercano nel campo religioso».
Quali sono i focolai del fondamentalismo più significativi in
un’analisi geopolitica del mondo
contemporaneo?
«Per quanto riguarda il campo
musulmano, c’è un prevalante fondamentalismo sunnita il cui epicentro si trova in Arabia Saudita;
parliamo soprattutto di alcune interpretazioni dell’Islam wahabita,
che è quello ufficiale sunnita. Sem-
esempio c’è un gruppo terroristico
che si chiama Lashkar-e-Taiba di origine Kashmir - i territori contesi tra
Pakistan e India - che ormai è un’organizzazione globale con cellule in
Europa, in America, in tutto il mondo. Non è da dimenticare inoltre la
diaspora pakistana in cui trovano largo spazio le cellule terroristiche».
Quanto la globalizzazione ha
contribuito alla diffusione del fondamentalismo in tutto il mondo?
«Sicuramente le tecnologie elettroniche, i media sono fondamentali.
Molti componenti di questi gruppi
sono degli esperti in questo campo.
L’uso di internet è strategico: non per
caso tutti i loro comunicati passano
per la rete, per i loro siti».
Le varie leggi anti-immigrazione
che ultimamente sono state emanate in diversi paesi europei quanto contribuiscono all’alimentaziopre in quelle zone ci sono i cosìd- ne del fenomeno?
detti salafiti che sono anch’essi ri«Francamente non penso che
conducibili a una ricerca dell’Islam siano decisive. Anche perché sono
puro. Nel continente indiano poi c’è leggi fatte per essere raggirate, cioè
un’altra importante cellulala del sono leggi fatte più per l’opinione
fondamentalismo sunnita, ispiratrice pubblica che altro».
dei vari gruppi taliPer quanto riguraban afghani».
da gli Usa invece, nei
Tra questi teatri
suoi piani strategici è
«Strategico l’uso
del fondamentalicambiato qualcosa nei
della rete: molti
smo quali sono oggi
confronti del fondai più pericolosi?
fondamentelisti sono mentalismo dopo l’11
«Sicuramente il
settembre?
esperti di internet»
Pakistan. Questo pae«Non è cambiato
se, infatti, essendo
quasi nulla. Nel senso
abbastanza cadente
che forse è cambiata la
dal punto di vista istituzionale, lascia fiducia nella possibilità di battere il
molto più spazio ai gruppi estremi- terrorismo. Mentre Bush pensava inisti. Inoltre, essendo l’identità paki- zialmete di poter vincere questa
stana sostanzialmente di tipo reli- guerra contro il fondamentalismo
gioso, è particolarmente facile per islamico, Obama ora sa di non poquesto tipo di correnti fondamen- terlo fare. Il problema è che non ha
taliste attecchire in questi territori. trovato molte alternative per poterDal Pakistan poi si sviluppano di- ne uscire senza perdere completaramazioni in giro per il mondo. Ad mente la faccia»
Sempre più alta è l’attenzione del mondo per il “Paese dei Puri”
Francesco Paolelli
La tragedia del cristiano
arso vivo dai fondamentalisti
islamici perché si era rifiutato
di convertirsi all’Islam ha concentrato i riflettori della stampa internazionale sul Pakistan. La polveriera del sub
continente indiano continua a
costituire la preoccupazione
numero uno degli Stati Uniti e
della comunità internazionale.
Strategico per gli “equilibri regionali” è l’unico paese musulmano dotato di armamenti nucleari. Il Pakistan è un Paese di 160 milioni di abitanti,
con metà popolazione analfabeta e un quarto in stato di povertà. Un economia che dipende dagli aiuti degli Usa in
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Polveriera Pakistan (e ha la Bomba)
cambio della collaborazione
nella “guerra al terrorismo” da
parte del governo ma dove i
potenti servizi segreti sono
notoriamente vicini all’estremismo islamico dei taliban e di
Al Qaeda che nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan
hanno le loro roccaforti. Pakistan significa paese dei puri,
e alla sua nascita doveva riunire
i musulmani del subcontinente indiano, ma ne ospita
solo un terzo e perlopiù in lotta con il 20 per cento di minoranza sciita. E’ sempre stato un Paese diviso. I suoi gruppi etnici vivono a cavallo dei
confini degli stati vicini e gli
abitanti appartengono poi a
una dozzina di diversi gruppi
linguistici. Pakistan è anche un
acronimo con le iniziali dei
principali gruppi etnici, punjabi, afghani che sta per pashtun, kashmiri, contesi con
l’India e sindhi, ma fin dalla
partizione del subcontinente
indiano nel 1948 il Pakistan è
stato retto in sostanza dal Punjab e dai militari provenienti da
questa regione, la più forte.
Durante e dopo l’invasione
sovietica dell’Afghanistan, il
Pakistan ha goduto per anni
del sostegno politico ed eco-
nomico di Stati Uniti e Arabia
Saudita. I servizi segreti di
Islamabad hanno creato i taliban per cercare di ottenere in
Afghanistan un retroterra sicuro per affrontare meglio
l’acerrimo nemico del Pakistan:
l’India. L’ex presidente Musharraf a partire dall’ undici settembre 2001 ha fatto l’equilibrista. Ha dovuto schierarsi in
Afghanistan con gli Stati Uniti e contro i suoi taliban, ma
nelle stesso tempo i suoi servizi
hanno assicurato agli stessi
taliban una via di fuga verso
quelle aree tribali pakistane da
sempre fuori dal controllo del-
l’autorità statale. Oggi nuovi taliban, gruppi integralisti, tribù
e gruppi mafiosi hanno preso
il sopravvento nelle regioni
periferiche e puntano ormai al
cuore del paese Il tentativo
americano di creare una diarchia interna favorendo il ritorno in patria di Benazir Bhutto è fallito sotto le bombe che
hanno ucciso l’ex premier pakistano. Oggi Asif Zardari, copresidente del principale partito e vedovo di Benazir Bhutto, dopo aver vinto le elezioni
nel 2008, anche se non con la
messe di voti auspicata dopo la
morte della Bhutto, ha la mag-
gioranza relativa in Parlamento. Il suo principale antagonista è l’ex premier Musharraf.
Quest’ultimo nonostante il divieto di ricandidarsi per la terza volta non ha intenzione di
farsi da parte e forte di un nutrito gruppo parlamentare punta ad un accordo con Zardari.
Il principale problema politico
è far fronte alle proteste della
popolazione scontenta di una
classe dirigente incapace di
migliorare l’economia. Invece
ciò che piu teme la comunità
internazionale è il rischio che
il Pakistan con le sue armi nucleari cada nelle mani degli fondamentalisti islamici oppure si
sgretoli in una guerra civile,
scatenando tutte le contraddizioni di questa regione.
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Nel mondo
Con la sociologa Maria Immacolata Macioti un’analisi delle motivazioni che alterano le religioni
Eccesso di fede fino al fanatismo
Al forte richiamo alle origini si legano motivi politici ed economici
MUSULMANI
EBREI
Non solo Al-Qaeda
Minacce sioniste
Il fondamentalismo islamico nacque nel
1954 con l’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani che fecero cadere il regime di Nasser
in Egitto, condannandone la politica laica che
non seguiva i dettami dell’Islam. Gli Arabi insoddisfatti dalla crescente corruzione e oppressione dei paesi stranieri hanno trovato nella fede radicale al Corano un potente strumento
per manifestare la loro opposizione. In Iran nel
1979 l’Ayatollah Khomeini diede grande impulso al fondamentalismo, diffondendo i suoi
sermoni in tutto il paese e diventando così strumento di dissenso al regime dello scià. Khomeini, però, non fu il solo ad utilizzare il linguaggio dell’Islam come strumento politico. Nel
1987 Ahmad Yasin, Abd al-Aziz al-Rantissi e
Mohammad Taha fondarono, sulla scorta dei
Fratelli Musulmani, Hamas, organizzazione di
ispirazione religiosa di carattere politico e paramilitare con lo scopo di creare uno Stato islamico in Palestina. Oggi Hamas detiene la maggioranza dei seggi dell’Autorità Nazionale Palestinese. Negli ultimi due decenni la curva della violenza fondamentalista è cresciuta soprattutto a causa di una sigla ormai tristemente
famosa: Al – Qaeda. Ma non c’è solo l’organizzazione di Osama Bin Laden tra i fondamentalismi odierni; Iraq, Libano, Siria e Somalia
sono solo alcuni dei paesi in cui l’Islam radicale
continua a minacciare il mondo.
È il neosionismo l’espressione dell’estremismo ebraico post ’67. Dopo la conquista
della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i
cosidetti Territori occupati, la politica israeliana
infatti è stata mirata alla costruzione di insediamenti nelle terre confiscate ai Palestinesi. Una strategia che ha reso impossibile l’ipotesi di un accordo e che ha incrinato i rapporti
con gli Stati Uniti. Le nuove colonie a Gerusalemme est, volute dal premier Benjamin Netanyahu, sono la proverbiale goccia nel vaso
nel dialogo tra Israele e Usa dove è attiva una
potente lobby che quell’intransigenza di fatto giustifica.
La tensione, però, è palpabile anche in patria; negli ultimi anni la svolta aggressiva dell’ala radicale ha minato l’equilibrio interno al
Likud, il partito conservatore del primo ministro, provocando la rottura con i centristi di
Ariel Sharon. Nel 2005 questi hanno dato vita
a una scissione fondando Kadima.
In realtà lo scontro tra moderati ed estremisti in Israele è una scintilla sempre pronta
ad accendersi e l’importanza della posta in
gioco non ha mai fatto sconti ai primi. Nel 1995
il premio Nobel Yitzhak Rabin, artefice con
Arafat degli accordi di Oslo, breve speranza
di un futuro di pace in Medio Oriente, fu ucciso da un colono ebreo estremista durante
un comizio politico a Tel Aviv.
CRISTIANI
Prediche nell’etere
Pat Robertson ha ottant’anni ed è una star
della tv; ogni settimana il suo show 700 Club
tiene incollati allo schermo milioni di americani. Tra un passo della Bibbia e un accenno all’attualità, il carisma trascinante di Robertson, già pastore di confessione battista,
ha fatto la fortuna della trasmissione fin dal
lontano 1966. Ma Robertson è solo uno dei
tanti telepredicatori che da anni invadono l’etere televisivo statunitense. Armati della parola di Dio, di un linguaggio e di una gestualità invadente, questi personaggi sono diventati delle vere celebrità; riflesso di una società
molto legata alla religione, i teleimbonitori rappresentano l’estremismo cattolico e protestante americano.
Un estremismo ben agganciato con la politica che sempre ha sfruttato la forza elettorale dei fedeli, soprattutto cattolici. C’è un detto che segna quanto sia importante per un
candidato conquistare il voto cattolico: “Dove
vanno i cattolici va l’America”. La mappa dell’asse tra politica e religione negli States, per
questo, è molto chiara: a sudest, dove tradizionalmente vincono i repubblicani, prevalgono i Battisti; a ovest, invece, i Mormoni, tradizionalisti e sostenitori del partito repubblicano. In questo contesto quella del predicatore è una professione politica; nel 2004 Bush
vinse le presidenziali anche grazie al sostegno dei vari mr Robertson.
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MILITANTI Una manifestazione di Hamas in terra di Palestina
È
sempre più pressante
negli individui l’esigenza di fede. Talvolta aderire a gruppi religiosi più integralisti può
avere delle conseguenze se la religione si avvicina troppo a interessi politico-economici scatenando gli ultras delle diverse fazioni. A parlare dei fondamentalismi è Maria Immacolata
Macioti, docente di sociologia
delle religioni della Sapienza di
Roma.
Professoressa qual è la definizione di fondamentalismo?
“È un forte richiamo alle origini della credenza. Per quanto
riguarda il cristianesimo è la volontà di tornare a una chiesa voluta da Gesù, una chiesa di
persone povere che si dedica agli
altri, il cui pensiero è l’amore per
il prossimo. Poi nella pratica diventano momenti di matura intransigenza rispetto al mondo
contemporaneo”.
Ma in che modo questi
gruppi riescono a fare proseliti?
“È difficile da dire per qualsiasi tipo di fondamentalismo.
Nel mondo d’oggi, con tutte le
contraddizioni che esistono, con
le spinte al successo e all’autoaffermazione per reazione sorgono delle nicchie di persone che
intendono vivere in modo diverso. Fuori da questi schemi
cosi condivisi, dalle banalità e dal
consumismo. Si richiede, a chi
pensa di voler vivere in modo diverso, uno spirito di sacrificio, il
far prevalere il bene comune su
quello del singolo, il respingimento di tentazioni di autoaffermazione e fino al sacrificio
della vita alle volte”.
Nel mondo quali sono i fondamentalismi più importanti?
“Ci sono di regola in tutte le
religioni. Ci sono vari studi teorici in merito. Esiste un fondamentalismo islamico, che poi è
l’humus da dove proviene l’integralismo più forte. Certamente
ce n’è uno cristiano. Lei pensi alle
guerre di religione, alle crociate contro supposti eretici”.
E il fondamentalismo islamico? Questo ha una matrice
più pericolosa analizzato dal
punto di vista occidentale
“Attenzione ad analisi troppo affrettate. Tutti gli studiosi dell’islam ammettono l’esistenza
di un certo tipo di fondamentalismo. Però non riguarda allo
Scontri duri da
risolvere se ammantati
di religione
stesso modo tutti gli Stati islamici. Esiste una tendenza fondamentalista nel cui seno poi,
qualcuno può essere particolarmente integralista. È da là che
nascono i casi di suicidi, anche
individuali, che però sono sempre organizzati da gruppi specifici di tipo integralista”.
Quanto è maggioritaria nei
gruppi più integralisti la componente religiosa rispetto a
quella politica?
Nella realtà dei fatti credo che
gli scontri siano di tipo economico e politico. Pensi a Israele e
Palestina. Gli scontri diventano
molto più duri e difficili da ri-
solvere laddove si ammantano di
credenza religiosa. È raro che sia
solo di natura religiosa. Per
esempio fra Israele e Palestina
il problema è dei confini e delle
terre confiscate dagli ebrei ai palestinesi. Poi c’è anche una veste
religiosa, ma non è religioso in
senso specifico lo scontro.
Questi gruppi come utilizzano i mezzi di comunicazione?
Molto bene. Pensiamo all’attentato alle torri gemelle e a
Washington. I fatti singoli che accadono sono comunicati in rete
in tutti i telegiornali mondiali.
C’è un uso molto forte dei nuovi media.
Cambiando discorso, negli
Usa esistono molti telepredicatori, come li colloca?
Sono persone che hanno un
certo tipo di tendenza fondamentalista. A volte però i noti telepredicatori si è scoperto avere una condotta di vita diversa
da quella predicata. Però la
predicazione ha degli accenti forti. L’esigenza di purificazione. Di
tornare a modi di vita più austeri.
Esiste un fondamentalismo
ateo?
Certamente. Però siccome
non si tratta di un’organizzazione emerge meno. Organizzazioni, intendiamoci, ce ne
sono. C’è quella dello “Sbattezzo” che chiede che si cancelli il
proprio nome da tutti i registri
parrocchiali. Ma sono delle realtà molto modeste. In linea
generale, l’ateo non aderisce
per natura ad associazioni organizzate. Quindi la questione
non si pone.
Pagina a cura di Giacomo Perra e Francesco Salvatore
ATEI
Fino al fanatismo
“La cattiva notizia è che Dio non esiste.
Quella buona è che non ne hai bisogno”.
Così queste scritte sugli autobus di Genova hanno segnato un anno fa la riscossa
degli atei; un’iniziativa promossa dall’Uaar (Unione atei e agnostici razionalisti) per
“riconquistare all’incredulità un po’ di quella par condicio che i mass media stentano a riconoscerle”, sosteneva il segretario Raffaele Carcano.
La campagna si opponeva allo strapotere mediatico cattolico che in quel periodo aveva sfavorito, a detta dell’Uaar, il Gay
Pride genovese; un tentativo di conquistare
un posto al sole, quindi, più che un’esibizione estremistica. Ma nel recente passato anche la comunità atea ha dato prova di
fanatismo: in Unione Sovietica il regime
ateo - comunista di Stalin è stata una delle dittature più feroci del Novecento.
La persecuzione contro i cristiani fu terribile; migliaia di chiese furono distrutte o
adibite ad altri usi, i monasteri chiusi o convertiti in campi di prigionia.
Le proprietà, incluse le icone e altri oggetti sacri per le celebrazioni, furono confiscate e utilizzate per altri scopi; molti membri del clero furono imprigionati per attività
anti-governative e uccise. Queste vittime
sono oggi riconosciute come i Nuovi Martiri dalla Chiesa russa ortodossa.
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Le polemiche
Nel suo violento libro scritto dopo l’11 settembre gli atti di accusa durissimi della Fallaci
La rabbia di Oriana contro l’Islam
Una moschea in Val d’Elsa? Se la facessero ci metterei una bomba
Stefano Petrelli
Una netta chiusura verso l’Islam,
per evitare la perdita dell’identità
europea e, in particolare, italiana.
Oriana Fallaci è stata una delle voci
fuori dal coro per quanto riguarda i
rapporti fra i musulmani e il nostro
paese. Lei che si trovava a New York
l’11 settembre 2001, nel suo “La Rabbia e l’Orgoglio” (pubblicato nel
2002) si scagliò apertamente contro
il fondamentalismo islamico. Nel
2006 in un’intervista pubblicata su
“The New Yorker” arrivò, addirittura, a dichiararsi indignata per la costruzione di una moschea a Colle Val
d’Elsa: “Se sarò ancora viva prenderò gli esplosivi e la farò saltare per aria.
Non voglio vedere un minareto di 24
metri nel paesaggio di Giotto, quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare
una Bibbia. Quindi, lo faccio saltare
per aria!”
Nonostante le forti espressioni
che scatenarono accese polemiche,
quello della Fallaci fu considerato un
SCRITTRICE Oriana Fallaci giornalista e autrice di “La Rabbia e l’orgoglio”
tentativo di costringere a riflettere, di
muovere le coscienze e le passioni degli occidentali, il suo obiettivo era di
risvegliare un orgoglio sopito, attraverso la creazione di emozioni, anche
ricorrendo all’insulto.
La scrittrice fiorentina era convinta
che fosse in atto un processo di decadenza della società occidentale,
soprattutto in Europa. In “La Rabbia
e l’orgoglio”, la Fallaci accusa duramente la classe politica, senza distinzioni tra sinistra e destra, gli intellettuali e anche la Chiesa cattolica di alimentare o tollerare tale decadenza. Nello specifico, la scrittrice
riteneva che la crescente pressione
esercitata negli ultimi anni dall’immigrazione islamica verso l’Europa,
e l’Italia in particolare, unita a scelte
politiche, a suo parere, discutibili e all’aumentare di atteggiamenti di reciproca intolleranza, fosse la dimostrazione della veridicità delle sue tesi.
Secondo la sua opinione, staremmo
assistendo a un pianificato tentativo
del mondo musulmano di islamizzazione, che potrebbe portare a uno
scontro di civiltà.
Una frase chiave estrapolata dal libro è: “Vi sono dei momenti, nella
Vita, in cui tacere diventa una colpa
e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si
può sottrarre.”.Con questa espressione la scrittrice sottolinea la sua incapacità a mantenere quel silenzio che
aveva precedentemente considerato
come l’ unica soluzione per lenire la
sua rabbia di fronte a un Occidente
e a un’ Italia in crisi. L’opera è in realtà una raccolta di appunti, la cui stesura è avvenuta in seguito alla caduta delle Torri Gemelle. Lo schianto degli aerei contro le Torri è paragonato dalla Fallaci a “un coltello che si
infilza in un panetto di burro”. La
conclusione del libro sottolinea proprio il carattere esortativo del libro,
un’espressione dal tono perentorio:”Stop. Quello che avevo da dire
l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me
l’hanno ordinato. La coscienza pulita e l’età me l’hanno consentito. Ora
basta. Punto e Basta.”
Sul pensiero di Huntingon, colloquio con Daniele Fiorentino, docente di Roma Tre
Scontro di civiltà? Teoria manipolata
Usata dai neocon, servì a motivare la guerra al terrorismo
Paolo Riva
Nel 1993, prima di Al Qaeda, dell’11 settembre e della
guerra al terrorismo, Samuel P.
Huntington scrisse un saggio
dal titolo “Lo scontro di civiltà?”. Quanto la fortunata teoria di questo politologo statunitense ha influenzato gli eventi storici successivi? Lo abbiamo chiesto al professore Daniele Fiorentino che insegna
storia degli Stati Uniti d’America all’università di Roma Tre.
“Huntington -risponde Fiorentino- fu innovativo perchè
spostò l’attenzione dal conflitto
ideologico, economico e politico della Guerra fredda a quello di culture. A mio avviso,
però, questa era un’istanza anticipata già negli anni ’60 e ’70
da chi prefigurava uno scontro
tra Nord e Sud del mondo. Insomma, la sua teoria è nuova,
ma fino ad un certo punto e riporta sui valori più istintivi del
genere umano il confrontoscontro tra le diverse culture.
In realtà, esistono altre linee di
pensiero per le quali lo scontro culturale maschera altre ragioni di conflitto, politiche o
economiche per esempio”.
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Quali sono i punti deboli
di questa visione?
“Il punto di vista di Huntington, che rimane invariato
nel corso di tutta la sua produzione, è essenzialmente
americanocentrico: legge
l’Islam in modo troppo monolitico. La sua visione dell’alterità è monolitica e generica: l’altro si distingue da me
soltanto per la sua diversità che
un dualismo tra la cultura
islamica e quella occidentale:
l’orizzonte di Huntington in realtà era più ampio, ma dopo il
2001 la sua teoria è stata letta
solo in questo modo”.
Quanto questa visione ha
influenzato l’agire americano?
“Negli Usa, ancor di più
dopo l’11 settembre, serviva
una teoria di questo genere per
rafforzare il neoconservatori-
“Un’eredità male interpretata: una teoria molto
più complessa di una mera e violenta
opposizione tra occidente e Islam”
lo rende inconoscibile. Noi
occidentali, e gli americani
forse ancora meno di noi europei, non riusciamo a leggere la diversità e la complessità
di certe culture”.
Ma la teoria si riferiva
esplicitamente allo scontro
Islam – Occidente?
“A dire il vero, l’analisi di
Huntington comprendeva anche altre civiltà, quella cinese
per esempio. Sono gli eventi
che ci spingono a pensare la
sua teoria essenzialmente come
smo che, nato negli anni 60, si
è affermato nel corso della
presidenza Bush. La teoria in
realtà è stata usata dall’entourage del Presidente che era formato solo in parte da neocon.
hanno voluto leggere Huntington in questa chiave e credo
che lui stesso si sia fatto trascinare dal successo della sua
idea. La figura di Huntington,
però, sfugge a qualsiasi precisa definizione politica”.
Huntington nel 1993 scriveva: “ Fede e famiglia, sangue
e credenze, sono le cose in cui
le persone si identificano e
quelle per cui combattono e
muoiono”. Come s’inseriscono i fondamentalismi nel suo
pensiero?
“Il fondamentalismo parrebbe giustificare la teoria di
Huntington, anche se personalmente credo che la questione sia più complessa. Certo, una radicalizzazione c’è
stata e non solo nel mondo
islamico: è un problema di numerose culture al quale non
guardiamo con sufficiente attenzione. Al tempo stesso,
però, è una questione legata a
delle elitès che cercano la radicalizzazione del conflitto per
interessi che vanno ben al di là
di quelli culturali o religiosi”.
In conclusione, quale eredità ha lasciato Huntington a
due anni dalla morte?
“Un’eredità male interpretata: la sua teoria è molto più
complessa di una mera e violenta opposizione tra occidente e Islam. Forse lui stesso
non l’aveva pensata così, nonostante una progressiva radicalizzazione delle sue posizioni. Il suo pensiero è stato
ideologicamente manipolato”.
PENSATORE Huntington morto nel dicembre 2008
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Settimanale della Scuola Superiore di giornalismo “Massimo Baldini”
della LUISS Guido Carli
Direttore responsabile
Roberto Cotroneo
Comitato di direzione
Sandro Acciari, Alberto Giuliani,
Sandro Marucci
Direzione e redazione
Viale Pola, 12 - 00198 Roma
tel. 0685225558 - 0685225544
fax 0685225515
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Università LUISS Guido Carli
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Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008
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