come i fondamentalismi religiosi alterano gli
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come i fondamentalismi religiosi alterano gli
Anno IV - Numero 15 Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli Reporter 9 Luglio 2010 nuovo GLI ULTRAS DELLA FEDE COME I FONDAMENTALISMI RELIGIOSI ALTERANO GLI EQUILIBRI MONDIALI Il quadro Arabia Saudita, India e Israele, i focolai del terrore. Ma è il Pakistan il più pericoloso Il fondamentalismo, una patologia Il direttore di Limes Lucio Caracciolo spiega le dinamiche del fenomeno Irene Pugliese La ricerca della purezza della fede che si lega alla frustrazione di persone che vivono in società di degrado, più l’azione della globalizzazione. Sono queste le cause del forte sviluppo del fondamentalismo, sostiene Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes in questa intervista. Professor Caracciolo, quando un credo religioso si trasforma in fondamentalismo? «Quando vuole tornare ai fondamentali e quindi prescindere dall’evoluzione moderna di una religione e attingere alle fonti presuntamente pure di questa fede. Per esempio nel campo islamico il fondamentalismo è una ricerca dell’Islam puro e vincente delle origini come alternativa a quell’Islam corrotto, modernizzato e arrendevole «Prendiamo il caso della Paleverso l’Occidente che, per loro, do- stina. Lì c’è da tempo un contenmina oggi in molti paesi islamici». zioso tra palestinesi e israeliani che Si può dire che è soltanto la re- originariamente era uno scontro ligione la matrice del fondamen- di carattere nazionale: il diritto detalismo o ci sono anche motiva- gli israeliani contro il diritto dei pazioni politiche? lestinesi. Ormai, visto «Bisogna distinche una soluzione poguere tra le due cose. «Persone che vivono litica tra i due paesi C’è una visione relinon è stata possibile, in società arretrate è diventantato un giosa che cambia a seconda delle varie conflitto fondamencercano risposte confessioni. E poi ci talmente religioso tra nella religione» sono delle ricadute di il fondamentalismo carattere politico e ebraico e quello islageopolitico che sono mico». un’altra cosa: una persona può esL’atteggiamento di Israele oggi sere un fondamentalista e passare il nei confronti dei palestinesi è ritempo a pregare dalla mattina alla conducibile quindi a un fondasera oppure può essere un fonda- mentalismo ebraico? mentalista che oltre a pregare si dà «C’è una parte della società israeda fare politicamente nelle cellule liana, in particolare i coloni che abiterroristiche». tano nei territori palestinesi, che è Esempi di motivazioni politi- molto sensibile a questo richiamo, che? una parte minoritaria ma influente ZONE CALDE La mappa con i paesi del globo dove il fondamentalismo fa più paura. Arabia Saudita, India, Pakistan e Israele i focolai politicamente. Non dimentichiamo che Israele rappresenta uno stato ebraico, cioè uno stato di religione». Quando il fondamentalismo si trasforma in terrorismo? «Quando si accoppia a un senso di frustrazione, di deprivazione. Persone che vivono in società particolarmente arretrate, entrando in contatto con il mondo moderno ma non trovando delle risposte di carattere politico alle proprie esigenze, le cercano nel campo religioso». Quali sono i focolai del fondamentalismo più significativi in un’analisi geopolitica del mondo contemporaneo? «Per quanto riguarda il campo musulmano, c’è un prevalante fondamentalismo sunnita il cui epicentro si trova in Arabia Saudita; parliamo soprattutto di alcune interpretazioni dell’Islam wahabita, che è quello ufficiale sunnita. Sem- esempio c’è un gruppo terroristico che si chiama Lashkar-e-Taiba di origine Kashmir - i territori contesi tra Pakistan e India - che ormai è un’organizzazione globale con cellule in Europa, in America, in tutto il mondo. Non è da dimenticare inoltre la diaspora pakistana in cui trovano largo spazio le cellule terroristiche». Quanto la globalizzazione ha contribuito alla diffusione del fondamentalismo in tutto il mondo? «Sicuramente le tecnologie elettroniche, i media sono fondamentali. Molti componenti di questi gruppi sono degli esperti in questo campo. L’uso di internet è strategico: non per caso tutti i loro comunicati passano per la rete, per i loro siti». Le varie leggi anti-immigrazione che ultimamente sono state emanate in diversi paesi europei quanto contribuiscono all’alimentaziopre in quelle zone ci sono i cosìd- ne del fenomeno? detti salafiti che sono anch’essi ri«Francamente non penso che conducibili a una ricerca dell’Islam siano decisive. Anche perché sono puro. Nel continente indiano poi c’è leggi fatte per essere raggirate, cioè un’altra importante cellulala del sono leggi fatte più per l’opinione fondamentalismo sunnita, ispiratrice pubblica che altro». dei vari gruppi taliPer quanto riguraban afghani». da gli Usa invece, nei Tra questi teatri suoi piani strategici è «Strategico l’uso del fondamentalicambiato qualcosa nei della rete: molti smo quali sono oggi confronti del fondai più pericolosi? fondamentelisti sono mentalismo dopo l’11 «Sicuramente il settembre? esperti di internet» Pakistan. Questo pae«Non è cambiato se, infatti, essendo quasi nulla. Nel senso abbastanza cadente che forse è cambiata la dal punto di vista istituzionale, lascia fiducia nella possibilità di battere il molto più spazio ai gruppi estremi- terrorismo. Mentre Bush pensava inisti. Inoltre, essendo l’identità paki- zialmete di poter vincere questa stana sostanzialmente di tipo reli- guerra contro il fondamentalismo gioso, è particolarmente facile per islamico, Obama ora sa di non poquesto tipo di correnti fondamen- terlo fare. Il problema è che non ha taliste attecchire in questi territori. trovato molte alternative per poterDal Pakistan poi si sviluppano di- ne uscire senza perdere completaramazioni in giro per il mondo. Ad mente la faccia» Sempre più alta è l’attenzione del mondo per il “Paese dei Puri” Francesco Paolelli La tragedia del cristiano arso vivo dai fondamentalisti islamici perché si era rifiutato di convertirsi all’Islam ha concentrato i riflettori della stampa internazionale sul Pakistan. La polveriera del sub continente indiano continua a costituire la preoccupazione numero uno degli Stati Uniti e della comunità internazionale. Strategico per gli “equilibri regionali” è l’unico paese musulmano dotato di armamenti nucleari. Il Pakistan è un Paese di 160 milioni di abitanti, con metà popolazione analfabeta e un quarto in stato di povertà. Un economia che dipende dagli aiuti degli Usa in 2 9 Luglio 2010 Polveriera Pakistan (e ha la Bomba) cambio della collaborazione nella “guerra al terrorismo” da parte del governo ma dove i potenti servizi segreti sono notoriamente vicini all’estremismo islamico dei taliban e di Al Qaeda che nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan hanno le loro roccaforti. Pakistan significa paese dei puri, e alla sua nascita doveva riunire i musulmani del subcontinente indiano, ma ne ospita solo un terzo e perlopiù in lotta con il 20 per cento di minoranza sciita. E’ sempre stato un Paese diviso. I suoi gruppi etnici vivono a cavallo dei confini degli stati vicini e gli abitanti appartengono poi a una dozzina di diversi gruppi linguistici. Pakistan è anche un acronimo con le iniziali dei principali gruppi etnici, punjabi, afghani che sta per pashtun, kashmiri, contesi con l’India e sindhi, ma fin dalla partizione del subcontinente indiano nel 1948 il Pakistan è stato retto in sostanza dal Punjab e dai militari provenienti da questa regione, la più forte. Durante e dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, il Pakistan ha goduto per anni del sostegno politico ed eco- nomico di Stati Uniti e Arabia Saudita. I servizi segreti di Islamabad hanno creato i taliban per cercare di ottenere in Afghanistan un retroterra sicuro per affrontare meglio l’acerrimo nemico del Pakistan: l’India. L’ex presidente Musharraf a partire dall’ undici settembre 2001 ha fatto l’equilibrista. Ha dovuto schierarsi in Afghanistan con gli Stati Uniti e contro i suoi taliban, ma nelle stesso tempo i suoi servizi hanno assicurato agli stessi taliban una via di fuga verso quelle aree tribali pakistane da sempre fuori dal controllo del- l’autorità statale. Oggi nuovi taliban, gruppi integralisti, tribù e gruppi mafiosi hanno preso il sopravvento nelle regioni periferiche e puntano ormai al cuore del paese Il tentativo americano di creare una diarchia interna favorendo il ritorno in patria di Benazir Bhutto è fallito sotto le bombe che hanno ucciso l’ex premier pakistano. Oggi Asif Zardari, copresidente del principale partito e vedovo di Benazir Bhutto, dopo aver vinto le elezioni nel 2008, anche se non con la messe di voti auspicata dopo la morte della Bhutto, ha la mag- gioranza relativa in Parlamento. Il suo principale antagonista è l’ex premier Musharraf. Quest’ultimo nonostante il divieto di ricandidarsi per la terza volta non ha intenzione di farsi da parte e forte di un nutrito gruppo parlamentare punta ad un accordo con Zardari. Il principale problema politico è far fronte alle proteste della popolazione scontenta di una classe dirigente incapace di migliorare l’economia. Invece ciò che piu teme la comunità internazionale è il rischio che il Pakistan con le sue armi nucleari cada nelle mani degli fondamentalisti islamici oppure si sgretoli in una guerra civile, scatenando tutte le contraddizioni di questa regione. Reporter nuovo Nel mondo Con la sociologa Maria Immacolata Macioti un’analisi delle motivazioni che alterano le religioni Eccesso di fede fino al fanatismo Al forte richiamo alle origini si legano motivi politici ed economici MUSULMANI EBREI Non solo Al-Qaeda Minacce sioniste Il fondamentalismo islamico nacque nel 1954 con l’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani che fecero cadere il regime di Nasser in Egitto, condannandone la politica laica che non seguiva i dettami dell’Islam. Gli Arabi insoddisfatti dalla crescente corruzione e oppressione dei paesi stranieri hanno trovato nella fede radicale al Corano un potente strumento per manifestare la loro opposizione. In Iran nel 1979 l’Ayatollah Khomeini diede grande impulso al fondamentalismo, diffondendo i suoi sermoni in tutto il paese e diventando così strumento di dissenso al regime dello scià. Khomeini, però, non fu il solo ad utilizzare il linguaggio dell’Islam come strumento politico. Nel 1987 Ahmad Yasin, Abd al-Aziz al-Rantissi e Mohammad Taha fondarono, sulla scorta dei Fratelli Musulmani, Hamas, organizzazione di ispirazione religiosa di carattere politico e paramilitare con lo scopo di creare uno Stato islamico in Palestina. Oggi Hamas detiene la maggioranza dei seggi dell’Autorità Nazionale Palestinese. Negli ultimi due decenni la curva della violenza fondamentalista è cresciuta soprattutto a causa di una sigla ormai tristemente famosa: Al – Qaeda. Ma non c’è solo l’organizzazione di Osama Bin Laden tra i fondamentalismi odierni; Iraq, Libano, Siria e Somalia sono solo alcuni dei paesi in cui l’Islam radicale continua a minacciare il mondo. È il neosionismo l’espressione dell’estremismo ebraico post ’67. Dopo la conquista della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, i cosidetti Territori occupati, la politica israeliana infatti è stata mirata alla costruzione di insediamenti nelle terre confiscate ai Palestinesi. Una strategia che ha reso impossibile l’ipotesi di un accordo e che ha incrinato i rapporti con gli Stati Uniti. Le nuove colonie a Gerusalemme est, volute dal premier Benjamin Netanyahu, sono la proverbiale goccia nel vaso nel dialogo tra Israele e Usa dove è attiva una potente lobby che quell’intransigenza di fatto giustifica. La tensione, però, è palpabile anche in patria; negli ultimi anni la svolta aggressiva dell’ala radicale ha minato l’equilibrio interno al Likud, il partito conservatore del primo ministro, provocando la rottura con i centristi di Ariel Sharon. Nel 2005 questi hanno dato vita a una scissione fondando Kadima. In realtà lo scontro tra moderati ed estremisti in Israele è una scintilla sempre pronta ad accendersi e l’importanza della posta in gioco non ha mai fatto sconti ai primi. Nel 1995 il premio Nobel Yitzhak Rabin, artefice con Arafat degli accordi di Oslo, breve speranza di un futuro di pace in Medio Oriente, fu ucciso da un colono ebreo estremista durante un comizio politico a Tel Aviv. CRISTIANI Prediche nell’etere Pat Robertson ha ottant’anni ed è una star della tv; ogni settimana il suo show 700 Club tiene incollati allo schermo milioni di americani. Tra un passo della Bibbia e un accenno all’attualità, il carisma trascinante di Robertson, già pastore di confessione battista, ha fatto la fortuna della trasmissione fin dal lontano 1966. Ma Robertson è solo uno dei tanti telepredicatori che da anni invadono l’etere televisivo statunitense. Armati della parola di Dio, di un linguaggio e di una gestualità invadente, questi personaggi sono diventati delle vere celebrità; riflesso di una società molto legata alla religione, i teleimbonitori rappresentano l’estremismo cattolico e protestante americano. Un estremismo ben agganciato con la politica che sempre ha sfruttato la forza elettorale dei fedeli, soprattutto cattolici. C’è un detto che segna quanto sia importante per un candidato conquistare il voto cattolico: “Dove vanno i cattolici va l’America”. La mappa dell’asse tra politica e religione negli States, per questo, è molto chiara: a sudest, dove tradizionalmente vincono i repubblicani, prevalgono i Battisti; a ovest, invece, i Mormoni, tradizionalisti e sostenitori del partito repubblicano. In questo contesto quella del predicatore è una professione politica; nel 2004 Bush vinse le presidenziali anche grazie al sostegno dei vari mr Robertson. Reporter nuovo MILITANTI Una manifestazione di Hamas in terra di Palestina È sempre più pressante negli individui l’esigenza di fede. Talvolta aderire a gruppi religiosi più integralisti può avere delle conseguenze se la religione si avvicina troppo a interessi politico-economici scatenando gli ultras delle diverse fazioni. A parlare dei fondamentalismi è Maria Immacolata Macioti, docente di sociologia delle religioni della Sapienza di Roma. Professoressa qual è la definizione di fondamentalismo? “È un forte richiamo alle origini della credenza. Per quanto riguarda il cristianesimo è la volontà di tornare a una chiesa voluta da Gesù, una chiesa di persone povere che si dedica agli altri, il cui pensiero è l’amore per il prossimo. Poi nella pratica diventano momenti di matura intransigenza rispetto al mondo contemporaneo”. Ma in che modo questi gruppi riescono a fare proseliti? “È difficile da dire per qualsiasi tipo di fondamentalismo. Nel mondo d’oggi, con tutte le contraddizioni che esistono, con le spinte al successo e all’autoaffermazione per reazione sorgono delle nicchie di persone che intendono vivere in modo diverso. Fuori da questi schemi cosi condivisi, dalle banalità e dal consumismo. Si richiede, a chi pensa di voler vivere in modo diverso, uno spirito di sacrificio, il far prevalere il bene comune su quello del singolo, il respingimento di tentazioni di autoaffermazione e fino al sacrificio della vita alle volte”. Nel mondo quali sono i fondamentalismi più importanti? “Ci sono di regola in tutte le religioni. Ci sono vari studi teorici in merito. Esiste un fondamentalismo islamico, che poi è l’humus da dove proviene l’integralismo più forte. Certamente ce n’è uno cristiano. Lei pensi alle guerre di religione, alle crociate contro supposti eretici”. E il fondamentalismo islamico? Questo ha una matrice più pericolosa analizzato dal punto di vista occidentale “Attenzione ad analisi troppo affrettate. Tutti gli studiosi dell’islam ammettono l’esistenza di un certo tipo di fondamentalismo. Però non riguarda allo Scontri duri da risolvere se ammantati di religione stesso modo tutti gli Stati islamici. Esiste una tendenza fondamentalista nel cui seno poi, qualcuno può essere particolarmente integralista. È da là che nascono i casi di suicidi, anche individuali, che però sono sempre organizzati da gruppi specifici di tipo integralista”. Quanto è maggioritaria nei gruppi più integralisti la componente religiosa rispetto a quella politica? Nella realtà dei fatti credo che gli scontri siano di tipo economico e politico. Pensi a Israele e Palestina. Gli scontri diventano molto più duri e difficili da ri- solvere laddove si ammantano di credenza religiosa. È raro che sia solo di natura religiosa. Per esempio fra Israele e Palestina il problema è dei confini e delle terre confiscate dagli ebrei ai palestinesi. Poi c’è anche una veste religiosa, ma non è religioso in senso specifico lo scontro. Questi gruppi come utilizzano i mezzi di comunicazione? Molto bene. Pensiamo all’attentato alle torri gemelle e a Washington. I fatti singoli che accadono sono comunicati in rete in tutti i telegiornali mondiali. C’è un uso molto forte dei nuovi media. Cambiando discorso, negli Usa esistono molti telepredicatori, come li colloca? Sono persone che hanno un certo tipo di tendenza fondamentalista. A volte però i noti telepredicatori si è scoperto avere una condotta di vita diversa da quella predicata. Però la predicazione ha degli accenti forti. L’esigenza di purificazione. Di tornare a modi di vita più austeri. Esiste un fondamentalismo ateo? Certamente. Però siccome non si tratta di un’organizzazione emerge meno. Organizzazioni, intendiamoci, ce ne sono. C’è quella dello “Sbattezzo” che chiede che si cancelli il proprio nome da tutti i registri parrocchiali. Ma sono delle realtà molto modeste. In linea generale, l’ateo non aderisce per natura ad associazioni organizzate. Quindi la questione non si pone. Pagina a cura di Giacomo Perra e Francesco Salvatore ATEI Fino al fanatismo “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”. Così queste scritte sugli autobus di Genova hanno segnato un anno fa la riscossa degli atei; un’iniziativa promossa dall’Uaar (Unione atei e agnostici razionalisti) per “riconquistare all’incredulità un po’ di quella par condicio che i mass media stentano a riconoscerle”, sosteneva il segretario Raffaele Carcano. La campagna si opponeva allo strapotere mediatico cattolico che in quel periodo aveva sfavorito, a detta dell’Uaar, il Gay Pride genovese; un tentativo di conquistare un posto al sole, quindi, più che un’esibizione estremistica. Ma nel recente passato anche la comunità atea ha dato prova di fanatismo: in Unione Sovietica il regime ateo - comunista di Stalin è stata una delle dittature più feroci del Novecento. La persecuzione contro i cristiani fu terribile; migliaia di chiese furono distrutte o adibite ad altri usi, i monasteri chiusi o convertiti in campi di prigionia. Le proprietà, incluse le icone e altri oggetti sacri per le celebrazioni, furono confiscate e utilizzate per altri scopi; molti membri del clero furono imprigionati per attività anti-governative e uccise. Queste vittime sono oggi riconosciute come i Nuovi Martiri dalla Chiesa russa ortodossa. 9 Luglio 2010 3 Le polemiche Nel suo violento libro scritto dopo l’11 settembre gli atti di accusa durissimi della Fallaci La rabbia di Oriana contro l’Islam Una moschea in Val d’Elsa? Se la facessero ci metterei una bomba Stefano Petrelli Una netta chiusura verso l’Islam, per evitare la perdita dell’identità europea e, in particolare, italiana. Oriana Fallaci è stata una delle voci fuori dal coro per quanto riguarda i rapporti fra i musulmani e il nostro paese. Lei che si trovava a New York l’11 settembre 2001, nel suo “La Rabbia e l’Orgoglio” (pubblicato nel 2002) si scagliò apertamente contro il fondamentalismo islamico. Nel 2006 in un’intervista pubblicata su “The New Yorker” arrivò, addirittura, a dichiararsi indignata per la costruzione di una moschea a Colle Val d’Elsa: “Se sarò ancora viva prenderò gli esplosivi e la farò saltare per aria. Non voglio vedere un minareto di 24 metri nel paesaggio di Giotto, quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia. Quindi, lo faccio saltare per aria!” Nonostante le forti espressioni che scatenarono accese polemiche, quello della Fallaci fu considerato un SCRITTRICE Oriana Fallaci giornalista e autrice di “La Rabbia e l’orgoglio” tentativo di costringere a riflettere, di muovere le coscienze e le passioni degli occidentali, il suo obiettivo era di risvegliare un orgoglio sopito, attraverso la creazione di emozioni, anche ricorrendo all’insulto. La scrittrice fiorentina era convinta che fosse in atto un processo di decadenza della società occidentale, soprattutto in Europa. In “La Rabbia e l’orgoglio”, la Fallaci accusa duramente la classe politica, senza distinzioni tra sinistra e destra, gli intellettuali e anche la Chiesa cattolica di alimentare o tollerare tale decadenza. Nello specifico, la scrittrice riteneva che la crescente pressione esercitata negli ultimi anni dall’immigrazione islamica verso l’Europa, e l’Italia in particolare, unita a scelte politiche, a suo parere, discutibili e all’aumentare di atteggiamenti di reciproca intolleranza, fosse la dimostrazione della veridicità delle sue tesi. Secondo la sua opinione, staremmo assistendo a un pianificato tentativo del mondo musulmano di islamizzazione, che potrebbe portare a uno scontro di civiltà. Una frase chiave estrapolata dal libro è: “Vi sono dei momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.”.Con questa espressione la scrittrice sottolinea la sua incapacità a mantenere quel silenzio che aveva precedentemente considerato come l’ unica soluzione per lenire la sua rabbia di fronte a un Occidente e a un’ Italia in crisi. L’opera è in realtà una raccolta di appunti, la cui stesura è avvenuta in seguito alla caduta delle Torri Gemelle. Lo schianto degli aerei contro le Torri è paragonato dalla Fallaci a “un coltello che si infilza in un panetto di burro”. La conclusione del libro sottolinea proprio il carattere esortativo del libro, un’espressione dal tono perentorio:”Stop. Quello che avevo da dire l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me l’hanno ordinato. La coscienza pulita e l’età me l’hanno consentito. Ora basta. Punto e Basta.” Sul pensiero di Huntingon, colloquio con Daniele Fiorentino, docente di Roma Tre Scontro di civiltà? Teoria manipolata Usata dai neocon, servì a motivare la guerra al terrorismo Paolo Riva Nel 1993, prima di Al Qaeda, dell’11 settembre e della guerra al terrorismo, Samuel P. Huntington scrisse un saggio dal titolo “Lo scontro di civiltà?”. Quanto la fortunata teoria di questo politologo statunitense ha influenzato gli eventi storici successivi? Lo abbiamo chiesto al professore Daniele Fiorentino che insegna storia degli Stati Uniti d’America all’università di Roma Tre. “Huntington -risponde Fiorentino- fu innovativo perchè spostò l’attenzione dal conflitto ideologico, economico e politico della Guerra fredda a quello di culture. A mio avviso, però, questa era un’istanza anticipata già negli anni ’60 e ’70 da chi prefigurava uno scontro tra Nord e Sud del mondo. Insomma, la sua teoria è nuova, ma fino ad un certo punto e riporta sui valori più istintivi del genere umano il confrontoscontro tra le diverse culture. In realtà, esistono altre linee di pensiero per le quali lo scontro culturale maschera altre ragioni di conflitto, politiche o economiche per esempio”. 4 9 Luglio 2010 Quali sono i punti deboli di questa visione? “Il punto di vista di Huntington, che rimane invariato nel corso di tutta la sua produzione, è essenzialmente americanocentrico: legge l’Islam in modo troppo monolitico. La sua visione dell’alterità è monolitica e generica: l’altro si distingue da me soltanto per la sua diversità che un dualismo tra la cultura islamica e quella occidentale: l’orizzonte di Huntington in realtà era più ampio, ma dopo il 2001 la sua teoria è stata letta solo in questo modo”. Quanto questa visione ha influenzato l’agire americano? “Negli Usa, ancor di più dopo l’11 settembre, serviva una teoria di questo genere per rafforzare il neoconservatori- “Un’eredità male interpretata: una teoria molto più complessa di una mera e violenta opposizione tra occidente e Islam” lo rende inconoscibile. Noi occidentali, e gli americani forse ancora meno di noi europei, non riusciamo a leggere la diversità e la complessità di certe culture”. Ma la teoria si riferiva esplicitamente allo scontro Islam – Occidente? “A dire il vero, l’analisi di Huntington comprendeva anche altre civiltà, quella cinese per esempio. Sono gli eventi che ci spingono a pensare la sua teoria essenzialmente come smo che, nato negli anni 60, si è affermato nel corso della presidenza Bush. La teoria in realtà è stata usata dall’entourage del Presidente che era formato solo in parte da neocon. hanno voluto leggere Huntington in questa chiave e credo che lui stesso si sia fatto trascinare dal successo della sua idea. La figura di Huntington, però, sfugge a qualsiasi precisa definizione politica”. Huntington nel 1993 scriveva: “ Fede e famiglia, sangue e credenze, sono le cose in cui le persone si identificano e quelle per cui combattono e muoiono”. Come s’inseriscono i fondamentalismi nel suo pensiero? “Il fondamentalismo parrebbe giustificare la teoria di Huntington, anche se personalmente credo che la questione sia più complessa. Certo, una radicalizzazione c’è stata e non solo nel mondo islamico: è un problema di numerose culture al quale non guardiamo con sufficiente attenzione. Al tempo stesso, però, è una questione legata a delle elitès che cercano la radicalizzazione del conflitto per interessi che vanno ben al di là di quelli culturali o religiosi”. In conclusione, quale eredità ha lasciato Huntington a due anni dalla morte? “Un’eredità male interpretata: la sua teoria è molto più complessa di una mera e violenta opposizione tra occidente e Islam. Forse lui stesso non l’aveva pensata così, nonostante una progressiva radicalizzazione delle sue posizioni. Il suo pensiero è stato ideologicamente manipolato”. PENSATORE Huntington morto nel dicembre 2008 Reporter nuovo Settimanale della Scuola Superiore di giornalismo “Massimo Baldini” della LUISS Guido Carli Direttore responsabile Roberto Cotroneo Comitato di direzione Sandro Acciari, Alberto Giuliani, Sandro Marucci Direzione e redazione Viale Pola, 12 - 00198 Roma tel. 0685225558 - 0685225544 fax 0685225515 Stampa Centro riproduzione dell’Università Amministrazione Università LUISS Guido Carli viale Pola, 12 - 00198 Roma Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008 [email protected] ! www.luiss.it/giornalismo Reporter nuovo