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ABILITÀ METALINGUISTICHE E
METAFONOLOGICHE
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Abilità metalinguistiche
e metafonologiche
Abilità metalinguistiche e apprendimento della lingua scritta
La competenza metafonologica, ovvero «la capacità di percepire e riconoscere per via uditiva i fonemi che compongono le parole del linguaggio parlato,
operando adeguate trasformazioni con gli stessi» (Bortolini, 1995), è da tempo
riconosciuta da gran parte degli autori come uno dei requisiti necessari per l’apprendimento della lingua scritta.
Nel corso dello sviluppo linguistico del bambino il rapido evolversi di queste
abilità tra l’ultima classe della scuola d’infanzia e la fine del primo ciclo della scuola
primaria rappresenta un momento di cruciale importanza (Marotta et al., 2002).
La scuola d’infanzia, infatti, stimola il bambino nella riflessione sul linguaggio
attraverso la conoscenza e la consapevolezza delle componenti del linguaggio:
fonologica, grammaticale, semantica e pragmatica.
Solo recentemente, però, è stata rivalutata l’importanza delle abilità metafonologiche nell’apprendimento della lettura e della scrittura, fondamentale
processo cognitivo in cui viene richiesto al bambino di rivolgere la sua attenzione all’aspetto acustico dell’informazione, per analizzarla e quindi tradurla in un
codice grafico.
Poiché la lingua italiana è un sistema a base fonemica, con un’ortografia
trasparente, quindi con una generale corrispondenza suono-segno, essa richie-
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de un’elaborazione dei suoni del linguaggio parlato in modo da permetterne
un confronto con il codice scritto. Pertanto la capacità di eseguire un’adeguata
analisi dei suoni della parola rappresenta un requisito fondamentale per imparare
a leggere e a scrivere.
In effetti, che tali abilità fossero una delle condizioni necessarie per l’apprendimento di lettura e scrittura, era stato già sostenuto da numerosi autori
(Frith, 1985; Bradley, 1988; Lunderberg, Frost e Peterson, 1988; Ball e
Blachmann, 1988). Anche Hulme e Snowling (1988) ipotizzavano un ruolo
importante svolto dalle abilità fonologiche nell’acquisizione della lettura e della
scrittura, in particolare delle abilità di ricognizione di rime e di riconoscimento
del suono iniziale. Wimmer e colleghi (1991) in uno studio condotto con bambini
di lingua austriaca, lingua caratterizzata da un’ortografia estremamente trasparente, descrivevano come nelle abilità di consapevolezza fonologica all’inizio
del primo anno della scuola primaria fossero evidenti profili prestazionali assai
disomogenei, indipendenti dal livello di risorse cognitive. Dopo il periodo di
istruzione scolastica relativo al primo anno, tale differenza interindividuale
appariva correlata al livello di competenza nella lettura, dimostrandosi in tal
senso predittiva.
Bryant e Bradley (1996) confermavano l’esistenza di un nesso diretto tra
la consapevolezza fonologica e l’apprendimento della lingua scritta. Questi autori sostenevano, inoltre, una forte influenza dell’esposizione alla lingua scritta
nell’evoluzione di tali abilità. In particolare, ritenevano che essa fosse causa di una
modificazione qualitativa, con uno «sviluppo gerarchico» che, partendo dalle abilità
di analisi delle unità più grandi, quali sillabe, rime e iniziale di parola, condurrebbe
verso un’abilità di analisi di unità più piccole come i fonemi.
Duncan, Seymour e Hill (2000) in una rassegna della letteratura, osservarono un’ulteriore trasformazione nel corso della scolarizzazione: mentre i processi
metafonologici in bambini della prima classe risultavano caratterizzati da un
approccio verso l’unità minima, nella quale fonemi e grafemi sono enfatizzati,
nel secondo anno di scuola, invece, apparivano maggiormente incentrati sulla
presenza di strutture in rima all’interno del magazzino lessicale. Secondo gli autori, questa nuova modificazione della consapevolezza fonologica verso le unità
più grandi sarebbe funzionale a un significativo miglioramento nelle prestazioni
nella lettura. Già in precedenza, gli stessi autori (Duncan, Seymour e Hill, 1997)
avevano esaminato il ruolo delle abilità metafonologiche sviluppate durante la
scuola d’infanzia, nei primi approcci al codice scritto. Gli stessi bambini che avevano già in età prescolare un buon grado di consapevolezza fonologica di tipo
globale, erano stati esposti a un metodo d’insegnamento misto che prevede un
approccio rivolto sia all’unità minima (e quindi fonemico), sia a unità d’ampiezza
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maggiore (evidenziabili nei compiti di riconoscimento di rime o di sillaba iniziale
di parola). Gli autori hanno trovato che i bambini utilizzavano una strategia di
decodifica basata sulla corrispondenza grafema-fonema, nonostante avessero
acquisito in età prescolare un buon grado di consapevolezza fonologica di tipo
globale. Sembrerebbe quindi che l’utilizzo esplicito della consapevolezza fonologica precedentemente acquisita non sarebbe funzionale alle primissime fasi
di acquisizione della lingua scritta, anche al netto di prestazioni eccellenti nei
compiti di rima.
Secondo Tressoldi, Vio, Nicotra e Calgaro (1993), «il rapporto tra consapevolezza fonemica all’inizio della scuola primaria e prestazioni nel linguaggio
scritto, in particolare per gli aspetti relativi alla decodifica, permane ben oltre il
primo anno di scuola con indici molto contenuti di falsi negativi e un indice di
predizione di veri positivi (soggetti a rischio) dell’85%». Gli stessi autori hanno
osservato che la misura della consapevolezza fonemica all’inizio della scuola primaria è un buon indice predittivo delle difficoltà di lettura e scrittura nelle prime
classi della scolarizzazione di base.
Molti altri autori (Windfuhr e Snowling, 2001; Jason et al., 2002; Boets
et al., 2006; 2007) hanno sostenuto la massiccia implicazione delle abilità
metafonologiche, pur sottolineando la simultanea presenza di differenti meccanismi anche non fonologici nel processo di apprendimento della lettura e
della scrittura.
La letteratura sembra quindi concorde nell’attribuzione di un peso rilevante alle abilità metafonologiche nell’acquisizione della lettura e scrittura, pur
considerando come indispensabile l’osservazione anche di altri fattori di rischio,
come la comprensione della natura alfabetica del sistema di scrittura e le abilità
di riconoscimento visivo (Orsolini et al., 2003; Bowey, 2005).
Come si è potuto osservare, la ricerca di prerequisiti specifici per l’acquisizione delle competenze di letto-scrittura ha condotto alla realizzazione di numerosi
studi che hanno trovato un’elevata correlazione tra la capacità dei bambini di età
prescolare di controllare in maniera consapevole le unità fonemiche e la successiva
prestazione di lettura nella scuola primaria. Tuttavia, pur essendo stata indagata
la validità predittiva di tali abilità nella determinazione delle difficoltà in lettura
e scrittura, l’utilizzazione delle competenze metafonologiche a fini clinici per la
prevenzione dei disturbi di apprendimento e il trattamento precoce dei bambini
a rischio risulta ancora poco sperimentata.
L’interpretazione dei dati a disposizione sullo sviluppo della competenza
metafonologica non è però ancora univoca, in particolare per la lingua italiana,
anche per la mancanza di studi longitudinali basati su protocolli di valutazione
standardizzati: a questo il nostro lavoro tenta di offrire un contributo.
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Le abilità metafonologiche
Ferreiro e Teberosky (1985) in numerosi studi avevano sostenuto il fatto che
i bambini fossero in grado di apprendere spontaneamente che la parola scritta
rappresenta la parola orale, concentrandosi soprattutto nell’analisi fonologica, la cui
automatizzazione consentirebbe di padroneggiare la scrittura alfabetica in base alla
possibilità di identificare e di mantenere la stabilità del rapporto suono-segno.
Questa «consapevolezza» dell’esistenza di aspetti sonori costitutivi della parola
e la capacità di operare delle trasformazioni degli stessi in un processo definito
«metafonologico», rappresenta uno dei fondamentali prerequisiti all’accesso al
linguaggio scritto.
Le abilità metafonologiche consistono, dunque, nell’analizzare il linguaggio
parlato nelle sue componenti sonore e nel manipolare queste piccolissime unità
(Cheung et al., 2001).
In queste competenze sono presenti vari processi differenti per qualità e per
complessità, dalla sensibilità per la struttura sonora della parola di tipo più globale
(apprezzamento delle rime, capacità di produrne) alle capacità di segmentazione e
manipolazione dei singoli fonemi, che presuppongono operazioni di astrazione e
categorizzazione di esperienze di percezione acustica caratterizzate da un elevato
grado di variabilità ambientale.
Nello specifico le abilità metafonologiche comprendono il riconoscimento e
la produzione di rime, il riconoscimento di analogie fra fonemi iniziali di diverse
parole, la capacità di suddividere la sequenza costitutiva delle parole in fonemi
isolati, la capacità di fondere una sequenza di suoni isolati nella costituzione di
una parola, la capacità di elidere, aggiungere o invertire fonemi tra parole date
(spoonerismo).
Fra queste, la capacità di segmentare la parola nei suoi fonemi costituenti
(analisi fonologica) e la capacità di sintetizzarli a partire da una sequenza di suoni
isolati (fusione fonologica) sono state fra le abilità più studiate e spesso considerate
prerequisiti necessari per l’accesso al linguaggio scritto.
Ma la capacità di manipolazione dei fonemi non è da considerarsi spontanea, poiché il fonema in sé è il frutto di una convenzione legata al processo
di scrittura e non rappresenta un invariante acustico, cambiando in funzione
degli altri suoni con i quali si combina. I bambini, infatti, possono facilmente
distinguere i suoni del linguaggio e usare contrasti fonemici, ad es. per segnalare differenze di significato, ma hanno notevoli difficoltà nel segmentare le
parole in fonemi.
L’abilità metafonologica va, pertanto, analizzata nella sua complessità, che
comprende dapprima l’abilità di analisi-sintesi dei fonemi e solo successivamente
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il riconoscimento della corrispondenza grafema-fonema, la capacità di manipolare
il segmento sillabico o fonologico, riconoscendogli la possibilità di entrare a far
parte di altre parole, di essere sostituito, di cambiare posizione, contribuendo
così a creare innumerevoli significati.
La rappresentazione più «naturale» sarebbe, quindi, quella sillabica, dato
che essa ha un suo preciso referente a livello acustico, presupponendo che lo
sviluppo dell’attenzione e della consapevolezza per le sillabe preceda quello per
i fonemi (Wagner e Torgesen, 1987).
Gli studi volti a indagare lo sviluppo delle competenze metafonologiche
raramente includevano nei propri campioni bambini di età inferiore ai cinque
anni, pur essendo descritta in letteratura una consapevolezza fonologica cosiddetta globale anche nei bambini in età prescolare (Morais, 1987). Tale livello di
competenza veniva considerato alla stregua di una conoscenza prevalentemente
«implicita», una semplice precondizione della consapevolezza fonologica analitica
«esplicita» e solo a quest’ultima era riservata un’attenzione specifica, in relazione
all’apprendimento della lingua scritta.
Recentemente, questa prospettiva ha subito delle modifiche che hanno
favorito lo spostamento dell’attenzione sulle prime manifestazioni della consapevolezza fonologica osservabili in bambini più piccoli. A tal proposito, si può
fare riferimento allo studio osservativo di Chaney (1992): l’autrice, nel corso di
numerose osservazioni spontanee di bambini molto piccoli, ha potuto rilevare la
presenza di una rudimentary awareness (giochi di parole, rime, allitterazioni, ecc.),
apportando una significativa semplificazione a compiti di natura metalinguistica
in modo da renderli accessibili a bambini dell’età di 3 anni. Chaney ha dimostrato, innanzitutto, la presenza di un discreto livello di consapevolezza fonologica
in bambini di tre anni soprattutto nel giudizio di rima, nella identificazione del
suono iniziale delle parole e in un compito di sintesi fonemica (somministrato
con il supporto di materiale figurato). Inoltre, ha confermato la presenza di un
trend evolutivo in queste competenze. Queste considerazioni hanno portato
l’autrice a formulare un’«ipotesi interattiva», in base alla quale lo sviluppo del
metalinguaggio avverrebbe in modo graduale e parallelo rispetto alla fase di
acquisizione del linguaggio.
Un altro contributo di ricerca è fornito dallo studio condotto da Burt, Holm e
Dodd (1999), che hanno somministrato a due gruppi di bambini rispettivamente
di 3,10-4,3 anni e 4,4-4,10 anni le seguenti prove di consapevolezza fonologica:
segmentazione sillabica, riconoscimento di rima, riconoscimento del suono iniziale, isolamento di un fonema, segmentazione fonemica. Lo studio ha evidenziato
principalmente due risultati: la rilevazione di una consapevolezza fonologica in
entrambi i gruppi di bambini (seppur in misura variabile relativamente alla prova,
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e in particolare con migliori prestazioni nella prova di segmentazione sillabica e
peggiori nella segmentazione fonemica) e un significativo incremento dei punteggi
tra i due gruppi nelle prove di rima, di riconoscimento del fonema iniziale e di
segmentazione fonemica.
In Italia, Devescovi, Orsolini e Pace (1989) hanno condotto uno studio
su quattro gruppi di bambini provenienti dalla scuola d’infanzia e dalla scuola
primaria, rispettivamente di 4,7 anni, 5,5 anni, 6,2 anni, 6,7 anni. Il compito
affidato ai bambini era quello di individuare la presenza di fonemi, sillabe e morfemi all’interno di parole fatte pronunciare ad alcuni pupazzetti.
La capacità di individuare tali sottounità è risultata presente già nei bambini
della fascia d’età più bassa (con una percentuale di risposte corrette del 14% per
i fonemi, del 20% per sillabe e morfemi), con un profilo evolutivo caratterizzato
da un significativo incremento delle prestazioni nel passaggio alle età successive.
In tutte le prove è emerso che, indipendentemente dal tipo di sottounità, quelle
collocate all’inizio delle parole erano più facili da individuare.
In uno studio più recente sulla valutazione del primo sviluppo metalinguistico, Pinto e Condilera (2000) hanno somministrato una prova di rime a scelta
multipla, dimostrando iniziali abilità in questo compito già in bambini di quattro
anni e confermandone il regolare sviluppo nelle età successive.
Martini, Bello e Pecini (2003) hanno condotto uno studio volto all’individuazione dei tempi di comparsa e di sviluppo delle abilità metafonologiche in
bambini italiani in età prescolare, creato allo scopo di rilevare possibili applicazioni
pratiche nella diagnosi e nel trattamento di bambini con ritardo di linguaggio.
Il campione era composto da 77 bambini provenienti dalla scuola d’infanzia e
suddivisibili in quattro gruppi individuati rispettivamente dalle seguenti fasce d’età:
4 anni, 4,6 anni, 5 anni e 5,6 anni. I bambini selezionati presentavano tutti un
profilo linguistico tipico e nessuno di essi, a una prova di scrittura, ha mostrato
di possedere procedure di tipo alfabetico. Ai bambini sono state somministrate
prove metafonologiche appartenenti sia alla tipologia globale, sia a quella analitica.
È stata scelta una modalità di somministrazione di tipo ludico poiché gli autori
hanno ritenuto che ciò potesse rendere l’indagine sufficientemente sensibile e
in grado di apprezzare le prime manifestazioni della consapevolezza fonologica
in bambini così piccoli.
Nelle prove che valutano la capacità di emettere un giudizio di correttezza su
parole presentate oralmente non sono stati registrati cambiamenti legati all’età,
in quanto il compito risulta già molto facile anche per i bambini più piccoli.
Nelle prove che implicano la capacità di operare a livello segmentale sillabico, i bambini di 4 anni presentano punteggi alti e nel passaggio ad altre età si
rileva un graduale incremento prestazionale, statisticamente significativo. È da
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precisare che nelle prove di sintesi e segmentazione sillabica si evidenzia una
«naturale» tendenza a operare a livello sillabico, per una maggiore salienza percettiva, mentre il riconoscimento di sillaba iniziale che probabilmente presuppone
una capacità di analisi più sofisticata presenta maggiori difficoltà per i bambini
di quattro anni.
Le prove di rima hanno rivelato un incremento maturativo dell’abilità,
mostrando un balzo significativo tra le prime due e le seconde due fasce d’età
(4-4,6/5-5,6).
La prova di riconoscimento del fonema iniziale sembra presentare un profilo
prestazionale simile a quello rilevato per le prove di rima; tuttavia, è opportuno
sottolineare che all’età di 4-4,6 anni questa abilità risulta praticamente assente
e quindi più che di incremento maturativo, è più adeguato parlare di comparsa
vera e propria di una nuova competenza.
Le prove di consapevolezza fonologica di tipo analitico, quali sintesi fonemica
e segmentazione fonemica, presentano, in senso assoluto, un andamento analogo
con prestazioni basse a tutte le età; all’analisi statistica però, le due prove si differenziano in termini evolutivi, poiché la prova di sintesi che risulta mediamente
più facile presenta un incremento significativo tra 4,6 e 5 anni, mentre la prova
di segmentazione non mostra alcun miglioramento significativo.
Le prove di fluenza verbale su indizio sillabico e fonemico sono mediamente
difficili per i bambini appartenenti a queste fasce d’età, poiché rispetto alle prove
di semplice riconoscimento dei segmenti acustici iniziali (sillabici e fonemici), richiedono capacità autonome di ricerca e analisi all’interno del proprio patrimonio
lessicale. Tuttavia, è osservabile un cambiamento con l’età, in entrambe le prove
negli intervalli compresi tra i 4 e i 4,6 anni e tra i 5 e i 5,6 anni. Delle due prove,
quella di fluenza sillabica risulta più facile rispetto a quella di fluenza fonemica.
Dai confronti messi in atto tra più prove, gli autori hanno tratto ulteriori
considerazioni. Per esempio, tra la prova di riconoscimento di sillaba iniziale e di
quella finale (rima) è stato confermato il dato già rilevato da Devescovi e colleghi
(1989): per i bambini più piccoli è significativamente più facile individuare il suono
iniziale rispetto a quello finale e tale differenza non è più rilevabile nei bambini
della fasce d’età più elevate. Tra tutte le prove che propongono il riconoscimento
di segmenti di tipo sillabico piuttosto che di tipo fonemico, si possono osservare, tra i bambini selezionati dal campione, prestazioni migliori nelle operazioni
eseguite a un livello segmentale di tipo sillabico. Questo dato apporta ulteriore
conferma a quanto già ampiamente presente in letteratura circa la maggiore
salienza percettiva, e quindi riconoscibilità, della sillaba rispetto al fonema.
In sintesi, gli intervalli selezionati dagli autori risultano critici per la comparsa
e lo sviluppo delle abilità metafonologiche, consentendo di individuare profili
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evolutivi specifici e di ribadire il ruolo della differenza tra abilità metafonologiche globali e analitiche nella definizione di precisi momenti evolutivi. Infatti, le
prime risultano già largamente presenti in bambini in età prescolare, mentre le
seconde sembrano comparire e svilupparsi maggiormente a ridosso dell’ingresso nella scuola primaria. In particolare, dal punto di vista evolutivo, gli autori
conferiscono una maggiore significatività al semestre 4,6-5 anni, che è risultato
particolarmente fertile per lo sviluppo di alcune abilità metafonologiche prese in
esame (riconoscimento di sillaba iniziale, riconoscimento di rime, riconoscimento
del fonema iniziale).
Questa «gerarchia di sviluppo» si rivela di fondamentale importanza nell’evoluzione delle abilità metafonologiche. Molti autori ipotizzano che lo sviluppo metalinguistico, e quindi metafonologico, possa essere correlato a un più generale
cambiamento nelle capacità di processamento dell’informazione nella seconda
infanzia. Secondo Bortolini (1995) durante la seconda infanzia i bambini diventano consapevoli dei loro processi intellettivi in un più vasto campo di situazioni
e compiti, compresi quelli richiesti da attività metalinguistiche.
La relazione fra sviluppo metalinguistico e sviluppo metacognitivo può
spiegare perché la capacità di trattare il linguaggio come un oggetto del pensiero non sia una conseguenza automatica dello sviluppo linguistico. A differenza,
infatti, delle normali operazioni linguistiche che implicano processi automatici,
le operazioni metalinguistiche richiedono processi di controllo. Per parlare e
capire la lingua orale non dobbiamo essere consapevoli dei singoli fonemi, né
delle parole, né delle relazioni fra le parole che costituiscono l’enunciato, a meno
che deliberatamente non riflettiamo su questi componenti, cioè non attiviamo un
processo di controllo per riflettere sui costituenti strutturali dell’enunciato.
Lo sviluppo delle capacità metafonologiche potrebbe essere perciò correlato
all’emergere nel bambino delle capacità di controllare i propri processi intellettuali,
ma la difficoltà di valutare i processi di controllo direttamente, piuttosto che in
compiti che richiedono altre capacità oltre al processo di controllo, non permette
delle affermazioni definitive a riguardo.
Consapevolezza fonologica globale e analitica
Il modello teorico cui abbiamo fatto riferimento per la costruzione di questa
batteria è quello di Morais (1991), che sia per la nostra sperimentazione all’interno dello studio delle abilità linguistiche nei bambini con sviluppo tipico, sia
per la quotidiana esperienza clinica con bambini con disturbo di linguaggio o di
apprendimento, ci appare maggiormente rispondente alla realtà.
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Questo modello propone una suddivisione simile a quella operata da Bradley e Bryant (1983), ma più specifica, e distingue Consapevolezza Globale, od
Olistica, e Consapevolezza Analitica, o Fonemica.
La Consapevolezza Globale, od Olistica, riguarda le operazioni metafonologiche (cioè di riflessione sulla fonologia del linguaggio) relative alle seguenti
capacità:
Discriminazione di suoni
– discriminazione uditiva di coppie minime;
Classificazione
– riconoscimento di rime
– riconoscimento di sillabe in parole diverse;
Fusione e segmentazione
– segmentazione sillabica
– sintesi sillabica.
Questo tipo di consapevolezza è presente in soggetti che usano sistemi di
scrittura non alfabetici, in adulti analfabeti, e nei bambini in età prescolare (Martini 1995; 2003). Le sillabe, infatti, a differenza della maggior parte dei fonemi,
sono marcate acusticamente e possono essere pronunciate isolatamente avendo
una chiara autonomia articolatoria e percettiva. Per questo motivo i bambini non
hanno generalmente bisogno di riflettere su qualche rappresentazione astratta
quando segmentano parole multisillabiche in sillabe.
Coerentemente con questa differenza i risultati di molti studi mostrano che
i bambini sviluppano la conoscenza delle sillabe spontaneamente molto prima
dei fonemi. Questa abilità inoltre, si sviluppa prima e indipendentemente dall’apprendimento della lingua scritta (Zucchermaglio, 1985).
I bambini in età prescolare, invece, incontrano maggiori difficoltà nei compiti
che interessano le unità minime, ovvero i fonemi. Questo perché il linguaggio è
solo apparentemente una sequenza di unità sonore discrete e ricorrenti, anche
se così appare al bambino alfabetizzato, che è tale perché ha appreso una particolare forma di codifica dei suoni del linguaggio.
Studi obiettivi sull’analisi acustica delle parole, e sulla percezione dei suoni
linguistici, infatti, effettuati con metodiche spettrografiche, hanno dimostrato
che il linguaggio è costituito da continue e variabili onde di energia acustica da
cui non emerge alcun indizio sulla presenza di una segmentazione fonematica
(Liberman et al., 1974). Le unità fonemiche sono fuse tra loro e la segmentazione del segnale acustico non corrisponde alla segmentazione fonica: i fonemi,
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se rappresentati acusticamente, corrisponderebbero più appropriatamente alla
dimensione delle sillabe.
La Consapevolezza Analitica o Fonemica, per l’appunto, riguarda invece le operazioni che coinvolgono i fonemi. Anche Tressoldi e colleghi (1989)
affermano l’importanza di un’esplicita consapevolezza fonemica, capacità che
però è dipendente anche da abilità metalinguistiche che non si sviluppano spontaneamente come il linguaggio orale. Questo tipo di consapevolezza fonologica è
meno accessibile della precedente: non è, infatti, presente in soggetti che usano
sistemi di scrittura non alfabetici e nei bambini prima dell’apprendimento della
lingua scritta. Inoltre, è un indicatore molto sensibile dell’avvenuta esposizione
alle regole di codifica del sistema alfabetico e stenta a emergere nei soggetti con
ritardo di apprendimento della lingua scritta.
È relativa alla struttura segmentale profonda del linguaggio e riguarda riflessioni metafonologiche analitiche relative a:
Fusione e segmentazione
– sintesi e segmentazione fonemica;
Manipolazione
– delezione sillabica e consonantica
– inversione di iniziali (spoonerismo);
Classificazione
– ricognizione di rime
– produzione di rime
– fluidità lessicale con facilitazione fonemica.
Proprio sulla base di questo modello evolutivo, abbiamo scelto una serie di
prove, descritte nel capitolo successivo, che fossero rappresentative sia del livello di
acquisizione generale delle abilità metafonologiche, sia delle finestre temporali nel
percorso scolastico nelle quali il bambino apprende e consolida tali capacità.