LO SCOPO DELLA SCIENZA

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LO SCOPO DELLA SCIENZA
Introduzione a Renato Cartesio1
TI LANCIO UNA SFIDA: PROVA A DUBITARE DI
TUTTO. PROPRIO TUTTO.
Ti lancio una sfida: prova ad esercitare il dubbio su tutto. Prova cioè a ricominciare
da zero mettendo in discussione tutte le tue ‘certezze’. Con convinzione, senza
finzione. Almeno una volta nella vita credo che valga la pena fare questa ‘avventura’.
Hai paura?
E’ eccitante: noi giovani siamo spregiudicati, amiamo andare contro corrente.
“Partiamo dai sensi: puoi metterli in dubbio?
Come posso mettere in dubbio che sto vedendo, ad esempio, un libro?
Qualche volta, però, i sensi ci ingannano: non vediamo il bastone spezzato nell'acqua? non
vediamo i miraggi? non vediamo più grande la luna quando è bassa all’orizzonte? Perché allora
dovremmo fidarci dei sensi? Analizziamo meglio il problema: è indubitabile che vedi il libro che
ho in mano o è indubitabile che il libro esiste al di fuori del vedere?
Che quesito è questo? E’ indubitabile che lo veda ed è – nello stesso tempo indubitabile che esista al di fuori dal vedere. Come si fa a dubitare dell'esistenza di
questo libro al di là del vedere, quando questo libro lo posso ... toccare con le mie
mani? Il fatto che lo ‘tocco’, che lo sento pesante, non è la prova che questo libro
esiste esternamente alle mie sensazioni?
Ma… il toccare, il sentire pesante non sono ‘sensazioni’? Come si fa allora a dire che il libro
esiste al di fuori delle sensazioni? Un altro esempio? Le stelle. Possiamo dubitare della loro
esistenza?
Come è possibile dubitare che le stelle sono esistite ed esistono indipendentemente
da noi? Come si può, cioè, fare finta di non sapere cosa afferma la scienza?
Se si vuole fare tabula rasa e ripartire da zero, non occorre mettere in dubbio anche i risultati
della scienza? Un altro esempio: il suono. E’ indubitabile?
E’ letteralmente ridicolo negare che i suoni esistano al di fuori del nostro apparato uditivo,
naturalmente sotto forma di vibrazioni, onde!
Può essere ridicolo, come può essere ridicolo negare che le stelle abbiano un'esistenza
indipendente da noi che le percepiamo, ma, se vogliamo ripartire da zero, il dubbio è legittimo.
E' per caso ‘evidente’ che il suono esista - anche in altra forma - al di fuori del suo essere
percepito? Gli esempi possono continuare: si veda il... solletico: non è legittimo dubitare della
sua esistenza al di fuori del vostro percepirlo? Scaviamo ancora un po’. Secondo una dottrina
che risale ai Greci i colori, i suoni, gli odori, i sapori sono ‘soggettivi’, mentre ‘oggettivi’ sono
solo gli aspetti ‘quantitativi’ (misurabili) come ad esempio l’estensione. Si tratta di una
distinzione che è di fatto un postulato della scienza moderna. Vediamola, allora, questa
distinzione: di che cosa è lecito dubitare?”
Non certo dei colori, dei suoni…
Vuol dire che i colori esistono al di fuori del loro percepirli?
Ovviamente, no. La certezza indubitabile è che percepisco i colori…, ma posso
legittimamente dubitare dell’esistenza di qualcosa di esterno al percepire.
1
Nasce nel 1596 a La Haye, in Turenna, da una famiglia nobile. Studia in un celebre collegio dei Gesuiti. Studia diritto
a Poitiers. In Olanda, dove si trova al seguito dell'esercito di Maurizio di Nassau, grazie all'amicizia con un matematico,
riprende gli studi scientifici. Si arruola nell'esercito del duca di Baviera durante la guerra dei trent'anni. Nella notte del
10 novembre scopre - lo dice lui stesso - "i fondamenti di una scienza meravigliosa". Nel 1623-1624 fa un viaggio in
Italia (forse per un pellegrinaggio a Loreto). Tra il 1630-33 compone "Il mondo" che però non pubblica in seguito alla
condanna di Galileo. Nel 1637 pubblica il famosissimo "Discorso sul metodo". Nel 1641 pubblica le "Meditazioni
metafisiche". Nel 1644 pubblica i "Principi di filosofia". Nel 1649 è in Svezia ospite della Regina Cristina di Svezia
(che l'ha invitato a corte per apprendere la sua filosofia). Qui il clima rigidissimo lo porta alla morte: l'11 febbraio 1650.
Infatti. L'unica cosa ‘certa’, quindi, è il mondo variopinto, ricco di suoni, di profumi,
di odori, di sapori... che noi percepiamo. Proseguiamo nel nostro lavoro di... scavo: è
lecito dubitare dell’esistenza del vostro corpo?
Sembra folle: se è certo che noi vediamo, come possiamo dubitare che esistono i nostri occhi?
E' certo che noi percepiamo il nostro corpo, ma non sembra dubitabile l'esistenza del nostro
corpo al fuori del nostro percepirlo? E cosa dici dell’ipotesi che ciò che noi percepiamo in stato
di veglia non sia che ‘sogno’? Come facciamo a distinguere ciò che è sogno da ciò che non è
sogno, se nel sogno percepiamo le stesse cose che percepiamo da vegli?
Come? Le immagini del sogno sono slegate tra loro, spesso senza senso, puramente
fantastiche (possiamo sognare accostamenti di immagini che mai potrebbero
apparire in stato di veglia), cioè tutto il contrario di quanto appare in stato di veglia!
E poi come potremmo parlare di ‘sogno’ se non avessimo degli stati di ‘veglia’?
Alcune differenze, indubbiamente, ci sono: non si possono negare. Però che criteri potremmo
usare per poter escludere che quanto appare in stato di veglia non sia altro che materiale...
onirico (cioè sogno)? Riepiloghiamo. Che esista qualcosa di esterno alla sfera del percepire non
è per nulla certo. Non è, cioè, evidente (chiaro e distinto) che al di là della sfera del percepire
ci sia qualcosa. Noi non vediamo le ‘cose’, ma delle immagini: chi di noi ha un contatto retinico
con questo libro? Avendo presenti solo ‘immagini’, è quindi legittimo porci l’interrogativo se a
tali immagini corrispondano veramente delle ‘cose’. Se usiamo il termine ‘pensiero’ per indicare
tutto ciò che percepiamo, possiamo dire che è dubbio che esista qualcosa di esterno al
pensiero. Cos'è che, allora, è ‘certo’ (evidente, quindi non oggetto di alcun dubbio)?
Se vogliamo usare l’arma del dubbio fino in fondo, dovremmo dire – per essere
coerenti – che l'unica cosa certa è questo mondo... soggettivo, questo mondo cioè
che è nella nostra testa.
Come può il mondo essere nella nostra testa, se la testa non è che un contenuto del pensiero?
Senti: non è possibile spingere fino in fondo il dubbio e mettere in dubbio anche questo mondo
‘soggettivo’ (la sfera del percepito)?
A questo punto, sì: se mettiamo in dubbio che ciò che appare abbia una qualche
corrispondenza al di fuori del pensiero, potremmo anche dubitare che ciò che appare
non appaia assolutamente (come le immagini evanescenti dei sogni)!
Ma… come potremmo mettere in dubbio l'esistenza di questo libro al di fuori del pensiero, se
questo libro non ci apparisse, se cioè non fossimo certi della ‘presenza’, ‘percezione’ di questo
libro? Come si farebbe a dubitare, ad esempio, che esista il sole esterno al pensiero se non
apparisse il sole? Quand’anche – per citare un esperimento mentale che è diventato un classico
– uno scienziato pazzo si divertisse a stimolare nel mio cervello le più diverse esperienze
sensoriali (creando in me anche l’illusione di compiere delle azioni), io mi troverei di fronte a
delle “esperienze” che non potrei mettere in dubbio. Possiamo, quindi, dubitare ad esempio
che esista - al di fuori del pensiero - questo libro, ma non possiamo dubitare che questo libro
sia un contenuto del pensiero. In altre parole l'unica ‘certezza’ che abbiamo è che qualcosa è
oggetto del pensiero. L'unica certezza, quindi, è nel pensiero. Quale potrebbe essere, allora, la
conclusione di questa avventura che abbiamo fatto insieme?
Possiamo dubitare di tutto, ma non possiamo dubitare che noi che dubitiamo,
esistiamo. Possiamo ipotizzare che tutto sia un sogno, ma non possiamo dubitare che
il tutto (le immagini) che noi ipotizziamo come sogno, appaia, ci sia presente, lo...
pensiamo e, se lo pensiamo, siamo.
Ma.. un’obiezione: senza il cervello che pensa, che dubita, come potrebbe esistere il pensare, il
dubitare?
Ma il cervello non è qualcosa che è oggetto di dubbio?
Infatti: se si intende per cervello quella massa nervosa grigia che è racchiusa nel cranio, non
sappiamo, a questo punto, se tale cervello esista e quindi non possiamo considerarlo qualcosa
di ‘certo’. Cos'è, allora, questo ‘io’ (una volta abbiamo escluso che si identifichi col cervello)?
E’ il soggetto delle nostre operazioni mentali (il dubitare, il pensare, il sognare, il
percepire, l'immaginare...).
Proprio così. Quello che ti ho offerto non è altro che un’articolazione del cosiddetto “dubbio
metodico” di Cartesio, il dubbio cioè che Cartesio adotta come metodo per poter trovare il
fondamento certo del sapere: posso dubitare di tutto, ma non posso dubitare che io che dubito
esisto “cogito, ergo sum”). E’ questa la certezza indubitabile. E’ questa la pietra miliare su cui
costruire il sapere. Penso, dunque esisto in quanto sostanza che pensa. E cosa mi appare? Una
serie di immagini (idee, le chiama Cartesio). Noi, cioè, non percepiamo le cose, ma solo le
immagini. Noi non sappiamo – a questo punto della ricerca – se a queste immagini che ci
appaiono corrispondano cose esterne al pensiero. Ciò che è certo è che io percepisco delle
immagini. Se esiste qualcosa d’altro – il mondo o Dio – io non lo so. E quali immagini (idee)
percepisco? Alcune che sembrano provengano dall’esterno (appunto il computer, il libro, la
casa… Cartesio le chiama “avventizie”), altre che sappiamo aver costruito noi con la nostra
fantasia (vedi l’immagine di ippogrifo – Cartesio le chiama fattizie o fittizie) ed altre ancora che
Cartesio ritiene siano “innate” proprio perché sono strutturali al nostro pensiero.
L’ESISTENZA DI DIO? E’ FONDATA SU PROVE EVIDENTI.
A questo punto della ricerca non posso escludere che i contenuti del mio pensiero "albero”,
"computer”, "sole" sia io a produrli: non contengono infatti niente di così perfetto che non
possa essere creato da me. Ma c'è qualche idea di cui io non potrei ritenermi autore?
Certo: è l'idea "innata" di perfezione.
E' quanto pensa Cartesio: l'idea di "perfezione” non può certo essere un nostro prodotto
mentale perché noi siamo imperfetti. E' da questa idea che deduce l'esistenza di un Essere
Perfetto.
Siamo arrivati ad un nodo importante: per Cartesio noi abbiamo un'idea particolare, diversa
dalle altre, perché ha un contenuto rappresentativo tale (una tale ricchezza) che io non posso
considerarmi la causa in quanto “nella causa ci deve essere almeno tanta realtà che
nell'effetto”, ma io non sono perfetto. Perché mai l'io non è perfetto?
Io sono imperfetto perché dubito: se dubito, se non so neanche che esista il mio corpo, un
mondo esterno al pensiero, come posso considerarmi perfetto?
E' quanto sostiene Cartesio: il fatto che dubito mi dice che io sono imperfetto e quindi non
posso avere - come causa - tanta realtà quanta è contenuta nell'idea di perfezione.
Siamo, quindi, al... clou: Cartesio ha trovato (o crede di aver trovato) un'idea che richiede, per
essere spiegata, l'esistenza di una Causa perfetta, cioè Dio. Una volta provata l'esistenza di un
Dio Perfetto, cade l'ipotesi di un genio maligno (di un Dio cattivo), cade l'ipotesi, cioè che io sia
ingannato. E siccome l'uomo ha una naturale inclinazione a credere che vi sia un mondo
esterno al pensiero, dovremmo concludere che tale mondo esiste, perché se non esistesse, noi
saremmo ingannati.
Andiamo adagio. Cartesio ritiene che nel “cogito” vi sia un'idea il cui contenuto rappresentativo
è tanto ricco che non può essere prodotto dall'io stesso: si tratta dell'idea di perfezione. Da qui
l'esigenza di affermare l'esistenza di un Essere Perfetto quale causa del contenuto
rappresentativo dell'idea di perfezione. E' questa la prima prova. Quale la ragione profonda di
tale dimostrazione?
Sì: se non ci fosse l'Essere Perfetto quale causa della perfezione contenuta nell'idea di
perfezione, tale perfezione - contenuta nell'idea di perfezione - proverrebbe dal nulla.
E' quanto pensa Cartesio dopo aver scartato l'ipotesi che sia l'io - in quanto imperfetto (come
può essere perfetto un io che dubita?) quale causa della perfezione contenuta nell'idea di
perfezione.
L'idea di perfezione per Cartesio non è fattizia, non è cioè un prodotto della nostra fantasia
perché se lo fosse potrei aggiungere o togliere, con la massima libertà, delle proprietà (il che
non succede). Si tratta, dunque di un'idea innata, nata cioè con me. Del contenuto di questa
idea non posso io essere la causa proprio perché sono imperfetto: anzi mi colgo imperfetto
proprio perché ho l'idea di perfezione.
Da qui l'esigenza di affermare l'esistenza, al di fuori del pensiero, di un Essere che ha almeno
tanta realtà quanta è contenuta nell'idea di perfezione, l'esistenza, cioè di un Essere
Perfettissimo. Cartesio arriva a dire addirittura che noi abbiamo l'idea di una sostanza infinita,
eterna, onnisciente, onnipotente e creatrice. A maggior ragione di tale idea non posso essere
l'autore io perché se così fosse io dovrei essere Dio (il che non è vero).
La seconda prova riprende (e non può che riprendere) la stessa idea: io sono finito, imperfetto
(il fatto che dubito lo testimonia), quindi non posso essermi creato io, perché se mi fossi creato
io mi sarei date le perfezioni che sono contenute nell'idea di perfezione che è presente nella
mia mente; ne consegue che non può che avermi creato Dio il quale, pur avendomi creato
finito, mi ha dato l'idea di infinito. Cosa ne dici?
Non mi pare per nulla originale. Mi pare, infatti, che ripeta in altre parole la prima prova: l'idea
di perfezione richiede Dio come causa di detta perfezione.
Vi è, indubbiamente, qualcosa di comune, ma l'ottica è diversa. Qui non è l'idea di perfezione
l'effetto di cui si cerca la causa, ma l'io finito, imperfetto: proprio perché l'io è imperfetto, non
può essersi creato da sé, perché se fosse così, si sarebbe creato con le perfezioni contenute
nell'idea di perfezione.
Siamo alla terza prova: è la stessa idea di perfezione (l'idea di un Essere Perfetto) che implica
l'esistenza dell'Essere Perfetto (una prova che Cartesio mutua da S. Anselmo). Cartesio fa
ricorso ad un'immagine matematica: l'idea di Essere Perfettissimo implica necessariamente
l'esistenza dell'Essere Perfettissimo come l'idea di triangolo implica necessariamente che la
somma degli angoli interni equivale a 180 gradi. Si tratta, cioè, di una necessità geometrica,
logica. Cosa dici di tale prova?
Mi pare convincente: come farebbe l'Essere Perfettissimo - il contenuto dell'idea di perfezione essere Perfettissimo, se non avesse la perfezione dell'esistenza? Se l'Essere Perfettissimo non
esistesse, non sarebbe Perfettissimo, cioè sarebbe una vera e propria contraddizione!
Vi sono stati diversi pensatori che hanno fatto propria questa argomentazione, ma vi è stato
chi l'ha demolita perché non è possibile passare - se non in modo indebito - dal piano logico
(quello dell'idea) al piano dell'essere (quello dell'esistenza esterna al pensiero).
Siamo, quindi, usciti da “cogito”, secondo Cartesio: esiste un Essere Perfettissimo che è al di là
del mio pensiero. Ma... esiste un mondo esterno alle idee (computer, montagne, stelle,
corpo...)? Non vi è in Cartesio una "dimostrazione" dell'esistenza del mondo (di un mondo
esterno al pensiero, naturalmente). Perché allora Cartesio afferma, una volta ha dimostrato
Dio, l'esistenza di tale mondo? Prova ad intuire.
Perché Dio mette in fuga l'ipotesi di un Dio ingannatore e quindi è il garante della nostra stessa
evidenza.
E' vero che Dio - Essere Perfettissimo che, proprio perché perfettissimo, non può ingannare per Cartesio è il garante dell'evidenza, ma non è certo evidente che esista un mondo esterno al
pensiero.
Il Dio, Essere Perfettissimo, è il garante dell'evidenza e quindi è il garante, ad esempio,
dell'evidenza di proposizioni matematiche come 2+3=5. Ma non può garantire l'esistenza di un
mondo esterno al pensiero, in quanto questa esistenza non è affatto evidente. E allora su cosa
appoggia l'affermazione che un mondo esterno al pensiero esiste - che all'immagine del sole,
ad esempio, corrisponde un sole esterno all'immagine -?
Non vedo come si riesca a fare un'affermazione del genere, a meno che non si dica che Dio è il
garante della nostra credenza nella esistenza di un mondo esterno.
E', grosso modo, quanto sostiene Cartesio. Secondo lui noi abbiamo un'inclinazione naturale a
credere nell'esistenza in un mondo esterno al pensiero: ora, se tale mondo non esistesse, noi
saremmo tutti ingannati da Dio. Tutti, infatti, abbiamo questa tendenza naturale.
Se Dio - dice Cartesio nelle "Meditazioni metafisiche" - "mi ha dato una fortissima inclinazione
a credere" che le sensazioni "procedano da cose corporee, non vedo come potrei non accusarlo
di ingannarmi se veramente tali idee non procedessero o non fossero prodotte da cose
materiali". L'esistenza dei corpi, quindi, per Cartesio, non è fondata sulla base dell'evidenza,
ma sull'autorità di Dio (Essere Perfettissimo e quindi incapace di ingannare).
Dio, in quanto Perfettissimo, non può ingannare: questo il Leit-motiv di Cartesio. Cosa ne dici?
Mi pare convincente. Se Dio potesse ingannare, come potrebbe essere Perfettissimo?
L'ingannare è di per sé qualcosa di negativo e quindi non può essere attribuito all'Essere
Perfettissimo!
Sei in sintonia con Cartesio. Prova comunque a riflettere sull'altra opzione: come potrebbe
essere onnipotente Dio senza questa capacità di ingannare?
Veniamo alla critica principale che è stata fatta contro le dimostrazioni cartesiane dell'esistenza
di Dio: Cartesio, secondo l'accusa, sarebbe caduto in un "circolo vizioso". Puoi intuire il senso
di tale obiezione?
Mi pare di sì: Dio è dimostrato sulla base dell'"evidenza" (non viene dedotto sulla base del
criterio dell'"evidenza"?) e viene poi considerato il garante della stessa evidenza con la quale si
è dimostrato Dio.
Questi sono i termini esatti della classica obiezione: Dio viene dimostrato sulla base
dell'evidenza e poi viene considerato il garante della stessa evidenza. Un'obiezione forte. No?
Cartesio risponde all'obiezione sostenendo che l'evidenza non si fonda su Dio: Dio, infatti,
garantisce la "permanenza", l'immutabilità della verità, garantisce cioè che una cosa intuita
evidente, e quindi vera, è "sempre vera” anche quando non si ha più l'esperienza
dell'evidenza.
Cartesio, in altre parole, sostiene che chi afferma Dio ha la garanzia che le verità colte come
tali, grazie alle leggi immutabili di Dio, sono sempre vere e quindi non hanno bisogno di essere
sempre nuovamente intuite come vere. Sotto questo profilo, dunque, il teista ha a disposizione
certezze più solide rispetto a quelle dell'ateo. Cosa dici di questa risposta?
Mi pare abbia una forza persuasiva: l'ateo deve continuamente intuire come vere le
proposizioni "vere" , mentre per il teista tali verità non possono che essere garantite da Dio.
Tieni, comunque, presente l'obiezione: se fosse così, le cosiddette verità scientifiche sarebbero
sempre vere, il che è smentito dalla storia delle scienza.
Cartesio, quindi, riesce (o ritiene di essere riuscito) ad andare oltre il cogito deducendo dal
cogito stesso l'esistenza di Dio, esistenza che di fatto garantisce (essendo caduta l'ipotesi che
esista un Dio cattivo) la stessa esistenza di un mondo esterno al pensiero. Con la
dimostrazione dell'esistenza di un Essere Perfetto (che in quanto Perfetto non può ingannare)
conferisce garanzia allo stesso criterio dell'evidenza. Ma... allora come è possibile l'errore?
Non vedo come, in questa logica, sia possibile l'errore: come si fa a sbagliare se ci si basa
sull'evidenza, un'evidenza che è garantita addirittura da Dio?
Secondo Cartesio l'errore non è dovuto all'intelletto, ma alla... volontà che precipita l'assenso
anche quando si è di fronte ad affermazioni non evidenti: questo è possibile proprio perché la
volontà è libera.
L’UOMO? PENSIERO, CIOE’ QUALCOSA DI TOTALMENTE ETEROGENEO RISPETTO ALLA
MATERIA.
Il "problema del rapporto tra "mind” (mente) e "body” (corpo) esplode con Cartesio, un
problema che tuttora stimola fortemente i ricercatori di discipline le più diverse.
Io che penso, che dubito, ho la certezza di esistere. Potrei essere ingannato, ma non posso
ingannarmi nel cogliermi esistente, nel cogliermi un qualcosa che pensa, una sostanza
pensante. Questa è la certezza di base e in questa affermazione - evidente - non vi è spazio
per il corpo: il corpo potrebbe non esistere neanche, ma questo non metterebbe in crisi la
certezza del "cogito, ergo sum”. L'uomo, quindi, si coglie come... pensiero. Siamo, quindi, ad
una concezione "angelica" dell'uomo? Come sai, no. Abbiamo la certezza "morale" che esistono
i corpi al di fuori del pensiero e quindi anche il... mio corpo. Questo vuol dire che l'uomo viene
concepito come un corpo che pensa?
Macché! Cartesio afferma l'esistenza del corpo, ma non coglie la connessione tra corpo e
pensiero.
E' vero. Cartesio non vede alcun legame tra pensiero e corpo. Queste sono per lui due realtà
eterogenee, due realtà, cioè, che non hanno nulla in comune.
Cos'è per Cartesio il corpo (il mio corpo) ?
E' la risposta di Cartesio: per lui il corpo - il corpo che esiste oggettivamente - è estensione.
Hai colto perchè Cartesio arriva a "geometrizzare” i corpi privando tali corpi perfino del peso?
Certo: Cartesio li geometrizza perché li libera da quelle che considera qualità soggettive, da
tutte, cioè, le qualità sensibili.
E' così: nella favola del "Mondo" (una sua opera), Cartesio immagina i corpi come sono nel
momento dell'atto creativo di Dio, cioè del tutto liberi dalle qualità sensibili.
Abbiamo, quindi, a che fare con la certezza del "cogito” e con la certezza morale del corpo
inteso come estensione. Vediamo allora di capire bene il senso del "dualismo" cartesiano: di
che si tratta secondo te?
Da quanto mi pare di capire siamo di fronte a due realtà molto diverse. Da una parte vi è
l'estensione che per definizione è qualcosa di divisibile: che estensione sarebbe un'estensione
non divisibile? Dall'altra vi è il pensiero che non può essere diviso: come potrebbe dividersi il
pensiero se non è esteso, se l'estensione è la proprietà oggettiva dei corpi?
E' quanto pensa Cartesio: pensiero ed estensione hanno caratteristiche opposte e, quindi, non
possono che essere eterogenee.
Il pensiero non ha un'estensione, non ha uno spazio. Ti convince questa affermazione?
Sì: non vedo dove si possa trovare il pensiero, dove si possa trovare un'idea.
La tua è un'osservazione coerente: "dove” si trova qualcosa che non ha uno "spazio", che non
ha "estensione"? Sei convinto, cioè, che il pensiero - proprio perché non è estensione - non
possa essere in alcun luogo. Prova a riflettere, però, anche sull'altra opzione: non vi è un
legame stretto tra cervello e pensiero, a tal punto che senza cervello non si darebbe il
pensiero?
Secondo Cartesio l'estensione poi è determinata, mentre il pensiero è libero. Cosa ne dici?
No: dov'è mai la libertà del pensiero se il pensiero è aver presente qualcosa, è cioè passivo nei
confronti delle idee?
Hai sottolineato, indubbiamente, un aspetto del pensiero, ma, secondo Cartesio è l'io che
sceglie di esercitare il metodo del dubbio. Va aggiunto poi che per Cartesio l'errore è dovuto al
fatto che la volontà dà il suo assenso anche su qualcosa di non evidente perché è libera.
Ma non ti sembra strano che l'intero universo sia soggetto al determinismo, mentre quel
minuscolo essere che c'è sulla Terra (l'uomo, o meglio il pensiero umano) abbia il privilegio di
essere libero?
E' indubbiamente anomalo, ma è un fatto che noi, rispetto alle cose, siamo liberi e contro un
"fatto" non vi è argomento che tenga.
E' la convinzione prevalente nella storia del pensiero. Ed è pure la convinzione del senso
comune. Non credi? Vi è, tuttavia, chi considera la libertà umana una semplice illusione.
Secondo Cartesio, poi, il pensiero è cosciente, mentre la materia (pardon: l'estensione) no.
Cosa ne dici?
Mi pare scontato: il pensiero non solo è coscienza, ma autocoscienza (l'io non coglie se
stesso?), mentre la materia non solo non è autocosciente, ma non è neanche cosciente.
E' la convinzione prevalente: il pensiero non solo è cosciente, ma è anche autocosciente,
mentre la materia, no. Una nostra illusione? Tieni presente anche l'altra opzione: chi può
negare che anche gli animali abbiano una qualche forma di coscienza?
L'estensione è divisibile, il pensiero no; l'estensione è determinata, il pensiero è libero; il
pensiero è autocosciente mentre l'estensione non lo è. Sono questi i fattori che fanno del
pensiero qualcosa di assolutamente eterogeneo rispetto alla materia: la sostanza pensante
(res cogitans, in latino) è spirito, cioè qualcosa di assolutamente altro rispetto alla materia.
Cosa ne dici?
Mi sembra una conseguenza scontata. Se la materia ha le caratteristiche che abbiamo visto
(divisibilità...) e la sostanza pensante ha caratteristiche opposte, il pensiero non può che
essere antitetico alla materia, cioè spirito: come può, ad esempio, essere materia qualcosa che
non ha alcuno spazio?
E' questa una convinzione che ha avuto un grande peso nella storia del pensiero e certamente
Cartesio, con la sua impostazione ha dato un notevole stimolo in questa direzione.
Scaviamo. Senti: quale il problema - che senza enfasi potremmo definire "drammatico" - che
scaturisce da questo "dualismo" cartesiano?
Mi sembra ovvia: se la "sostanza pensante" fosse eterogenea rispetto alla "sostanza estesa"
(res extensa), tra loro non potrebbe esistere alcun rapporto!
E' questa una conseguenza... coerente: come farebbero a comunicare due sostanze che non
hanno nulla in comune? Ma... perché si può definire drammatica? Riprendiamo subito il
discorso.
Continuiamo a scavare. Posto che le due sostanze in oggetto non hanno nulla in comune, dette
sostanze non possono comunicare tra loro: l'una non potrebbe produrre effetti sull'altra. Non ti
pare questo in contrasto con l'esperienza?
Certo: se fosse così, non si spiegherebbe come mai ogni volta che decido di muovere la mano,
la mano si muove.
E' quanto pensa Cartesio: come potrebbe l'atto del decidere - che appartiene alla res cogitans influire sulla mano che appartiene alla res extensa?
Cartesio non può neanche spiegare gli influssi dei corpi sul pensiero: in che senso?
Se i corpi sono materiali, come possono produrre nel pensiero le idee relative?
E' la convinzione di Cartesio, una convinzione coerente con l'impostazione del problema: come
farebbero i "corpi" a produrre "idee"?
Cartesio provoca, con la sua impostazione, un problema che tormenterà molti pensatori. Una
soluzione, a dire il vero, Cartesio ad un certo punto la suggerisce: a svolgere la funzione di
trait d'union - di elemento cioè che mette in relazione le due sostanze - è la ghiandola pineale
(l'epifisi). Perché l'epifisi? Perché è la parte del cervello che, proprio perché non è doppia, è in
grado di collegare le sensazioni che provengono dai sensi che sono tutti doppi. Cosa ne dici?
Mi sembra una tesi che fa ridere... i polli: come può una ghiandola del cervello che è materiale
fungere da collegamento tra la sfera della materia e la sfera dello spirito?
Effettivamente dal punto di vista filosofico - data l'impostazione di cui prima - non può
convincere. L'ipotesi di Cartesio esprime di sicuro un'esigenza unitaria (un'esigenza
attualissima), ma non quadra nel contesto filosofico del suo discorso.
LA SCIENZA SI AUTOFONDA O HA BISOGNO DI UN FONDAMENTO EXTRA-SCIENTIFICO?
Galileo non avverte alcuna esigenza di un fondamento extra-scientifico della scienza. Cartesio,
invece, sì. Perché mai, secondo te, la scienza dovrebbe aver bisogno di un fondamento
filosofico?
Non vedo come la scienza che è nata divorziando dalla filosofia abbia bisogno della filosofia
come fondamento: la scienza non ha scoperto il suo metodo specifico, il suo oggetto specifico,
la sua... autonomia e dalla filosofia e dalla religione? Temo che detta esigenza di un
fondamento filosofico non sia altro che un abbaglio di Cartesio.
La tua meraviglia è più che legittima. E' un dato di fatto, tuttavia, che Cartesio (matematico e
fisico, un pensatore che dà un suo contributo significativo alla rivoluzione scientifica del
seicento) avverte forte l'esigenza di fondare filosoficamente la scienza.
Sulla base di quanto già sai, in quale contesto collocheresti l'esigenza - di cui prima - di
Cartesio?
Mi sembra chiaro il contesto di Cartesio: come potrebbe stare in piedi la scienza se non si
dimostrasse l'esistenza del mondo dei corpi, l'oggetto, appunto, della scienza?
Hai colto nel segno. Dato che la fisica ha come oggetto le cosiddette qualità oggettive
(matematizzabili), la fisica non avrebbe alcun fondamento se non si dimostrasse l'esistenza di
tali qualità. In altre parole, dato che la scienza ha l'ambizione di andare oltre l'ottica umana,
oltre la sfera del mondo "sensibile”, se non si dimostrasse l'esistenza di qualcosa che sta
appunto... oltre la sfera della sensibilità, la scienza sarebbe una pia illusione. Questo,
fondamentalmente, il pensiero di Cartesio.
Ora tu conosci l'approdo della ricerca cartesiana: quel mondo matematizzabile di cui parla la
scienza (mondo "oggettivo” che è oltre la sfera sensibile) esiste sulla base dell'autorità di Dio di un Essere Perfettissimo che non può ingannare -. La metafisica cartesiana, dunque, diventa
il fondamento della "fisica”: non è un caso che il "discorso sul metodo” che approda alla
metafisica cartesiana, originariamente è una premessa di trattati scientifici. Entriamo ora nel
merito della fisica "cartesiana”.
Cartesio espone i principi della sua fisica nel "MONDO", un’opera che Cartesio, appena sa della
condanna a Galileo, rinuncia a pubblicare. Quale l’impostazione? Cartesio ricorre all'espediente
(per evitare una condanna?) di non studiare il mondo reale, ma di presentare il mondo come
esce dalle mani di Dio nel suo atto creativo. Si tratta di un mondo, quindi, del tutto spoglio
delle qualità sensibili con le quali noi cogliamo il mondo. Com'è immaginabile tale mondo?
Credo che il mondo completamente spoglio delle qualità sensibili non sia altro che estensione:
l'idea di estensione - a differenza ad esempio dell'idea di colore - appare come un'idea chiara e
distinta. In altre parole, mentre appare tutt'altro che evidente che il colore appartenga ai corpi,
appare invece evidente che l'estensione - se i corpi esistono - appartiene ai corpi.
E' quanto pensa Cartesio: l’unico attributo che possiamo pensare in modo chiaro e distinto
come attributo dei corpi è l'estensione.
Per Cartesio è tutt'altro che evidente che le qualità sensibili (colore, sapore, odore... : tali idee
sono scure e confuse) siano attributi della materia. La materia, spogliata da tutte le qualità
sensibili (la materia, in altre parole, che esce dalle mani di Dio) non può che essere
estensione: è impensabile, infatti, togliere anche l'estensione dalla materia. Se la togliessimo,
la materia sarebbe una parola senza significato! I corpi, quindi, sono estensione, spazio. Cosa
ne dici?
Mi pare una concezione troppo astratta della materia, una concezione poco scientifica. E poi mi
pare che in Cartesio vi sia una confusione enorme: se per estensione si intende spazio, è
assurdo pensare ai corpi come estensione, in quanto i corpi - sarebbe ridicola una concezione
opposta - sono in uno spazio, ma non sono lo spazio.
Che sia astratta è indubbio. Non ti convince la identificazione di corpo con estensione? La tua
perplessità è legittima. E' un dato di fatto che Cartesio non vede alternative se si vuole
spogliare i corpi da tutte le sue caratteristiche sensibili (compresa la pesantezza, la stessa
durezza): se nella sua essenza il corpo è estensione, in che cosa potrebbe mai distinguersi
dallo spazio?
Tu chiederai giustamente come sia possibile identificare i corpi con l'estensione - con lo spazio
- quando i corpi hanno una loro individualità che li distacca dallo spazio che è qualcosa di
omogeneo - nell'ottica euclidea, un'ottica che, come sai, è lontanissima dalla concezione
gerarchica dello spazio di Aristotele. Non è vero?
Sì: come fanno i corpi - a prescindere pure dai colori e perfino dal peso - ad avere una loro
caratterizzazione (un computer non è una penna) se si identificassero con l'estensione?
La figura non è, in ultima analisi, estensione? non è una modalità dell'estensione? Per Cartesio
sono modalità dell'estensione, e quindi sono proprietà oggettive dei corpi, tutti gli aspetti
quantitativi (quindi matematizzabili) quali la solidità, la grandezza, l'impenetrabilità,
l'uniformità, la divisibilità.
L'identificazione dei corpi con l'estensione (con le specificazioni di cui sopra) produce
conseguenze non di poco conto. Quali, secondo te?
Immagino che una delle conseguenze sia la divisibilità all'infinito dei corpi: come potrebbe
arrestarsi la divisione di uno spazio concepito in modo euclideo?
Infatti. Se i corpi sono estensione, è ovvio che sono divisibili all'infinito in... barba
all'atomismo. La concezione geometrica dei corpi di Cartesio è in netto contrasto con la
concezione atomistica.
Per Cartesio non possono esistere atomi, cioè particelle indivisibili proprio perché la materia,
essendo estensione, è divisibile all'infinito. Un'altra conseguenza?
Se non esistono atomi, immagino che sia negato anche il vuoto.
E' quanto pensa Cartesio: lo spazio euclideo è continuo e, quindi, non ha... buchi, vuoti. Una
brocca - dice Cartesio - non può essere considerata "vuota” quando non contiene acqua, in
quanto è piena di aria.
Tu dirai, forse, che un discorso del genere non ti persuade perché senza il vuoto (sei memore
degli atomisti?) non si sarebbe possibile il movimento. Come potrebbe rispondere Cartesio ad
un'obiezione del genere?
Non credo proprio che sia possibile spiegare il movimento senza il vuoto: se tutto fosse pieno,
come potrebbe una cosa spostarsi da un posto all'altro?
Cartesio ritiene, invece, che sia possibile. Fa l’esempio dei pesci che nuotano nell'acqua: un
corpo può spostarsi, se entra nel posto di un altro.
Qui si è introdotto il discorso del movimento. Ma da dove deriva il moto se la materia è
estensione?
Non vedo come possa essere dedotto dal concetto di estensione, in quanto l'estensione,
proprio perché è un concetto geometrico, è qualcosa di statico.
E' quanto sostiene Cartesio: il moto non è deducibile dal concetto di estensione proprio perché
l'estensione è un concetto statico.
Da dove potrebbe venire allora il moto?
Se la materia è qualcosa di statico non vedo un'altra soluzione che questa: proviene dallo
spirito.
E' quanto pensa Cartesio: proprio perché il moto non può essere un attributo dell'estensione in
quanto l'estensione è un concetto geometrico-statico, occorre sostenere che detto moto deriva
dallo spirito. O meglio Cartesio fa derivare il moto da Dio.
Riprendiamo le conseguenze dell'identificazione tra materia ed estensione: ve ne sono altre?
Dato che lo spazio euclideo (l'estensione) non ha confini, non ha cioè limiti, e' infinito e quindi
la stessa materia è infinita, in altre parole l'universo è infinito.
E' quanto pensa Cartesio: dato che lo spazio euclideo (spazio) non ha limiti, questo vuol dire
che la materia (estensione) è infinita. In altre parole Cartesio deriva l'infinità dell'universo
dall'infinità dello spazio euclideo (cioè dell'estensione). Ti potrà sembrare paradossale la
conseguenza, ma è... consequenziale? Certo, potresti obiettare che l'universo, pur grande che
sia, ha sempre una grandezza determinata, cioè finita. Si tratterebbe, comunque, di
un'obiezione che partirebbe da un punto di vista diverso: che i corpi (e quindi anche l'insieme
dei corpi) - che appaiono nell'esperienza - sono sempre determinati, finiti.
Questa, a grandi linee, la fisica "matematica” di Cartesio. Ed è in questa fisica che si colloca il
PRINCIPIO DI INERZIA che viene formulato per la prima volta (nella sua accezione di legge
generale) proprio da Cartesio. Perché secondo te, è Cartesio che arriva a formulare tale
principio (un principio intuito già da Leonardo da Vinci e, soprattutto, da Galileo)?
Mi pare che, col quadro che in questo momento si ha di fronte, tutto sia chiaro: solo nel
contesto della concezione dell'infinità dell'universo - che Galileo non ha - è collocabile il
principio di inerzia.
Sì: Cartesio introducendo il concetto di universo infinito spiana la strada all'idea di un moto...
infinito. Non è più, in altre parole, ostacolato - come in Galileo - dalla concezione "finita"
dell'universo.
Cartesio arriva a formulare il principio di inerzia come legge fondamentale del moto non solo
perché introduce il concetto di universo infinito (Cartesio, a dire il vero, usa il termine
"indefinito”, in quanto considera il termine "infinito” attribuibile solo a Dio), ma anche perché...
perché Cartesio arriva a geometrizzare i corpi
E' così: per Cartesio, al contrario di Galileo, i corpi non hanno peso e quindi possono muoversi
all'infinito senza cadere.
Il moto inerziale, allora, è per Cartesio quello "rettilineo”, non quello circolare. Cartesio, quindi,
capovolge la concezione antica: il moto semplice e naturale non è quello circolare (che è un
moto composto), ma quello rettilineo. E’ il moto circolare che, in quanto composto, ha bisogno
di essere spiegato, mentre quello rettilineo, proprio perché è semplice e naturale, si giustifica
da sé.
L'immutabilità delle leggi è fondata in ultima analisi sull'immutabilità di Dio: è una vera e
propria bestemmia pensare che Dio agisca in modo incostante. Quali le leggi della fisica
cartesiana? Sono solo due: il principio di inerzia di cui prima e il principio della conservazione
della quantità complessiva del moto (quando un corpo in movimento ne incontra un altro, non
perde nulla del suo movimento, ma solo la direzione di tale movimento).
A proposito di moto, Cartesio esclude nel modo più categorico il concetto di "forza". Puoi
intuirne il perché?
Immagino che sia per la stessa ragione di Galileo: il concetto di forza richiama troppo
l'astrologia che scienza non è.
L'affinità con Galileo c'è: si tratta del rifiuto dell'azione a distanza. Galileo non credeva affatto
che le maree fossero l'effetto dell'azione a distanza della Luna!
Cartesio rifiuta non solo il concetto di forze che agiscono a distanza, ma lo stesso concetto di
forza attrattiva o repulsiva. Per lui l'unico motore non è che la quantità originaria di moto che
Dio ha assegnato alla materia, quantità che si distribuisce tra i corpi mediante gli "urti”.
Escluse allora le forze di cui prima, come fa Cartesio a spiegare il movimento dei pianeti (che
non è rettilineo)? Proprio perché il vuoto non esiste, un corpo che si muove in quella materia
sottile che è l'aria (costituita da corpuscoli, frammenti di estensione), da una parte spinge
detta aria, dall'altra l'aria stessa scivola dietro la scia e forma un VORTICE.
Cartesio afferma un gran numero di vortici (tourbillons) tra cui il sistema solare, Giove e i suoi
satelliti. Sono questi vortici che spiegano il moto dei pianeti. Cosa ne dici?
Fin qui ho apprezzato il rigore cartesiano, ma questa teoria dei vortici mi pare proprio campata
per aria.
Si tratta, infatti, di una teoria (quella dei vortici) piuttosto fantasiosa. Così dicono anche i
critici. Hai, quindi, tutt'altro che torto.
La concezione cartesiana dell'universo si può chiamare "MECCANICISTICA": l'universo è una
grande macchina che è mossa dalla quantità di moto che Dio ha assegnato alla materia. Non vi
sono forze: i singoli corpi si muovono grazie a "urti” esercitati da altri corpi. E' un
meccanicismo che Cartesio estende anche agli animali, al corpo umano: animali, lo stesso
corpo umano, non sono altro che MACCHINE, automi. Cosa ne dici?
Mi pare un'altra trovata fantasiosa: mi pare che Cartesio sia caduto in quell'errore che oggi
viene chiamato "riduzionismo", cioè nella pretesa di spiegare la complessità di un vivente come
l'animale e come il corpo umano riducendo queste realtà alle loro parti... meccaniche.
Non hai torto: egli riduce tutto in ultima analisi - perfino il corpo umano - a estensione e moto.
Tieni, comunque, presente l'altra opzione: non ha avuto Cartesio il merito di aver bandito dalla
scienza le "anime” aristoteliche?
La "vita”, per Cartesio si spiega senza dover introdurre concetti vaghi come le "anime”
aristoteliche: si tratta di un fenomeno in ultima analisi meccanico. E' la scoperta della
circolazione del sangue ad opera di Harvey a spingere Cartesio a dare questa interpretazione:
principio di vita, quindi, non è un’"anima”, ma una sorta di fuoco che dilata il sangue, provoca i
movimenti del cuore e la conseguente circolazione del sangue.