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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale
Sentenza 28 maggio 2015, n. 22933
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 novembre 2013 la Corte di Appello di Caltanisetta ha confermato la pronunzia di
primo grado del Tribunale monocratico di Gela, con la quale (OMISSIS) era stata dichiarata colpevole del
reato di diffamazione, per aver offeso la reputazione di (OMISSIS), di anni 17, divulgando immagini
pornografiche di due persone, due di sesso maschile e una di sesso femminile, quest'ultima identificata
mediante la scritta (OMISSIS), mediante la immissione del file contenente tali immagini sul sito eDonkey,
di libero accesso, e così comunicando con più persone. Con l'aggravante di avere commesso il fatto
mediante
la
rete
telematica
e
quindi
con
un
mezzo
di
estesa
pubblicità.
2. Propone ricorso l'imputata, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo i seguenti quattro
motivi.
2.1 Violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b e c, per erronea applicazione della legge penale
(articolo595 c.p.) e per vizio di motivazione. Si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto
configurabile nel caso di specie il reato di cui all'articolo 595 c.p., non avendo i giudici di merito analizzato
la
differenza
tra
"condivisione"
e
"divulgazione"
di
materiale
pornografico.
Secondo la ricorrente la Corte territoriale ha implicitamente ritenuto che la sola condotta di essersi
procurata i file pornografici mediante l'utilizzazione del programma di condivisione Emule integri il reato
di diffamazione, e ciò per la ragione che tale programma (come altri similari) ha la caratteristica di
mettere automaticamente in condivisione i file man mano che singole parti degli stessi vengono scaricati.
Sostiene, quindi, che non sarebbe ravvisabile il reato di diffamazione né quello di divulgazione di
materiale pedopornografico, per il solo motivo (e sulla base della sola prova) che i file illeciti sono stati
procurati attraverso un programma di condivisione tipo eMule.
Contesta, peraltro, la sussistenza dell'elemento soggettivo, non essendovi la prova di una volontà diretta
a divulgare o diffondere il file.
La Corte avrebbe con motivazione apodittica ritenuto sussistente tale volontà dalla circostanza che
l'imputata aveva inviato un sms ad un'amica, nonché dall'ulteriore circostanza che nel telefono cellulare
era stata ritrovata una foto ritraente un articolo di giornale che faceva riferimento ad un video hard di
una ragazza di (OMISSIS).
Nella sentenza non si è tenuto conto - secondo la ricorrente - del fatto che la Polizia Postale aveva riferito
con riferimento a lei, che "questo compartimento non ha potuto accertare se quest'ultimo abbia immesso
per primo il materiale diffamatorio oggetto delle indagini". La Corte di Appello ha invece riportato nella
sua motivazione una circostanza diversa ovvero che "era difficile individuare il soggetto che per primo
aveva
immesso
sulla
rete
internet
il
file
in
modo
da
diffamare
la
denunciante".
Deduce infine la ricorrente che la comunicazione in via confidenziale e riservata ad una sola persona,
ossia a (OMISSIS), fa sì che la condotta contestata all'imputata perda il suo carattere criminoso.
2.2. Con il secondo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento
alla valutazione della prova indiziaria. La ricorrente censura ancora una volta la sentenza nella parte in
cui ha ritenuto che sia stata lei a immettere sul web il file, traendo la convinzione da elementi indiziari
non valutati correttamente.
2.3. Con il terzo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione per omessa pronunzia
sia su quanto dedotto nella memoria difensiva depositata in data 6 giugno 2012, sia su quanto dedotto
nelle note tecniche depositate all'udienza del 19 novembre 2013.
2.4. Con il quarto motivo è stato dedotto il vizio di motivazione per omessa pronuncia sulla richiesta di
riapertura dell'istruttoria e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.
La ricorrente si duole della mancata motivazione sulla richiesta di una perizia informatica da attuarsi con
la riapertura dell'istruttoria dibattimentale.
Censura altresì la sentenza per omessa motivazione sull'altro motivo di appello con il quale era stato
richiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato.
1. In primo luogo va rilevato che sebbene la data di commissione del reato sia indicata in quella del 10
dicembre 2006, risulta dagli atti che nel giudizio di appello vi siano stati tre rinvii disposti su richiesta dei
difensori e in ragione della loro adesione ad astensioni proclamate da organismi del settore.
Ne deriva che il termine prescrizionale ha subito plurime sospensioni, per cui alla data della presente
sentenza il reato non è ancora estinto ex articolo 157 c.p.
2. Infondati sono i primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché censurano tutti la
sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto configurabile il reato di cui all'articolo 595 c.p..
Secondo la ricorrente la Corte territoriale ha implicitamente ritenuto che la sola condotta di essersi
procurata i file pornografici mediante l'utilizzazione del programma di condivisione eMule integri il reato di
diffamazione, e ciò per la ragione che tale programma (come altri similari) ha la caratteristica di mettere
automaticamente in condivisione i file man mano che singole parti degli stessi vengono scaricati.
Sostiene, quindi, che non sarebbe ravvisabile il reato di diffamazione né quello di divulgazione di
materiale pedopornografico, per il solo motivo (e sulla base della sola prova) che i file illeciti sono stati
procurati attraverso un programma di condivisione tipo eMule.
Contesta, peraltro, la sussistenza dell'elemento soggettivo, perché non vi sarebbe la prova di una volontà
diretta a divulgare o diffondere il file.
2.1. È necessario premettere quanto risulta accertato dai giudici di merito, con la precisazione che a
questa Corte è inibita una diversa lettura dei fatti, così come implicitamente sembra sostenere la
ricorrente.
Né va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata in punto di responsabilità ha confermato
quella di primo grado, sicché vanno ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione,
quando ci si trova dinanzi a una "doppia pronuncia conforme" e cioè a una doppia pronuncia (in primo e
in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l'eventuale vizio di
travisamento può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con
specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta
introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n.
4060 del 12/12/2013, Rv. 258438).
Nella sentenza di primo grado e in quella impugnata in questa sede, che per la ricostruzione della vicenda
ha fatto legittimamente rinvio alla prima, si evidenzia che gli esiti dell'istruttoria dibattimentale hanno
consentito di "affermare che l'odierna imputata, che si rivelava un'abile utilizzatrice dei sistemi
informatici, utilizzava i software di file - sharing eMule e bearshare che consentono di scaricare e
divulgare files di varia natura con tutti gli utenti connessi alla rete P2P, scaricando e contestualmente
divulgando
a
tutti
i
frequentatori
della
rete
materiale
di
carattere
pornografico,
tra
cui
il
video....riguardante (OMISSIS), con la quale in precedenza aveva intrattenuto rapporti di amicizia,
mediante l'immissione dei relativi files sul sito eDonkey. Quest’attività di condivisione di cartelle
telematiche, di per sé, ci consente di ritenere la (OMISSIS) la divulgatrice per finalità diffamatorie del
materiale pornografico riguardante la (OMISSIS) - peraltro rivelatosi falso e suggestivo non riprendendo
la persona offesa ma solo una ragazza vagamente somigliante - e ci permette di ritenere dimostrata la
sua condotta illecita, atteso che l'inserimento del file relativo alle immagini pornografiche intitolate
(OMISSIS) permette a tutti i frequentatori dello stesso sito di condivisione telematica di accedere a tali
immagini e di eventuali frequentatori della rete telematica che accettassero le condizioni di accesso al sito
in questione, propagandole sull'intera rete telematica..." (pag. 6 della sentenza di primo grado).
E che la (OMISSIS) abbia non solo scaricato ma volutamente condiviso il file contenente le immagini
falsamente ritraenti la (OMISSIS) è provato, secondo i giudici di merito, dagli accertamenti irripetibili
svolti dalla Polizia Postale, che aveva rilevato l'ubicazione in cartelle di sistema delle immagini. "In
particolare la foto già rilevata nelle pregresse attività investigative ((OMISSIS).jpg) e la foto denominata
(OMISSIS) whit (OMISSIS).jpg, la quale risulta stata creata in data (OMISSIS) ma rinominata diverse
volte e spostata in varie cartelle del sistema dell'utente" (pagg. 7-8 della sentenza di primo grado).
E un teste della Polizia postale ha spiegato le modalità con le quali la (OMISSIS) ha appositamente creato
le cartelle di condivisione, confermando che i file di sistema, inequivocabilmente denominati con i
riferimenti alla (OMISSIS), erano stati messi a disposizione della rete telematica dall'imputata, con la
costituzione delle suddette cartelle che potevano essere condivise da parte di tutti i potenziali
frequentatori della rete.
È stato, peraltro, accertato che alcune delle immagini, contenute sui file di sistema rinvenuti sul disco
rigido del computer della (OMISSIS), erano presenti anche nel telefono cellulare della donna e che una
delle immagini trovate nel computer era stata scattata da un cellulare dello stesso tipo di quello in
possesso dell'imputata (pag. 9 della sentenza di primo grado). La Polizia postale ha ulteriormente
accertato che la (OMISSIS), con numerosi short messages System (sms) inviati a una amica, aveva
divulgato notizie riguardanti le immagini riferite alla (OMISSIS) e presenti in rete. Significativo per i
giudici di merito è il messaggio inviato il 4 gennaio 2007 nel quale la (OMISSIS) aveva scritto: "dobbiamo
scrivere la sua storia e la mettiamo su internet tipo melissa p."; e in un altro sms la (OMISSIS) aveva
mostrato l'intento di coinvolgere pure la madre della (OMISSIS) ( (OMISSIS)), scrivendo: "ci vulissi na
foto da sig. (OMISSIS)".
2.2. Tale articolata ricostruzione dei fatti, recepita correttamente dalla Corte territoriale, consente di
confutare le doglianze difensive in base alle quali non sarebbero sussistenti gli elementi oggettivo e
soggettivo del reato contestato alla (OMISSIS).
Invero, in primo luogo è evidente che l'imputata non si è limitata a scaricare e a "condividere" le
immagini pornografiche in questione, ma ha svolto tutta un’attività finalizzata alla divulgazione delle
suddette immagini, attribuendole falsamente alla (OMISSIS). Come si è visto, infatti, le immagini
risultano create in data 2 settembre 2006, ma sono state rinominate più volte e spostate dalla (OMISSIS)
in varie cartelle condivise su eDonkey. La presenza di alcune delle suddette immagini sul cellulare della
(OMISSIS) e i messaggi inviati alla amica, poi, sono un ulteriore elemento a sostegno della tesi
accusatoria, che ha rappresentato un ruolo attivo e consapevole nella divulgazione con finalità
diffamatorie delle stesse immagini.
Non è rilevabile, quindi, alcun vizio di motivazione della sentenza impugnata, che correttamente ha
valorizzato tutti gli elementi di prova sopra indicati anche al fine di ritenere configurato il dolo necessario
ad integrare l'elemento psicologico del reato contestato. Il fatto che l'imputata abbia agito allo scopo di
condividere, divulgandole e pubblicizzandole, le immagini con altri, proprio per screditare la (OMISSIS)
ed addirittura la madre di costei, è sufficiente ad integrare tutti gli elementi costitutivi del delitto di cui
all'articolo 595 c.p.
Nel caso in esame, come si è visto, non si può affermare - come fa la difesa dell'imputata - che la
(OMISSIS), utilizzando il programma eMule, si sia limitata a scaricare le immagini e a condividerle proprio
in ragione delle caratteristiche del suddetto programma.
È noto che eMule sia uno dei più efficienti programmi di condivisione (file sharing) e che esso è
compatibile con eDonkey, migliorando, peraltro, in maniera determinante alcune caratteristiche:
aggiornamento automatico dei server, facilità nel trovare file rari ed ottimizzazione del rapporto
upload/download.
Ma proprio per questo eMule e eDonkey conservano traccia di quanto si è dato agli altri (sotto forma di
crediti automatici) e conferisco una priorità nello scaricare.
Ecco perché la Polizia postale, nel caso in esame, ha accertato non solo che le immagini in questione sono
state scaricate dalla (OMISSIS), ma che la stessa le ha rinominate e a sua volta spostate in varie cartelle
del sistema dell'utente, ponendo così in essere una condotta di illegittima divulgazione, giacché ha
falsamente indicato la (OMISSIS) come la ragazza protagonista del video.
Essendo questi i fatti risultanti dalla sentenza impugnata, non si posso aver dubbi che la (OMISSIS) abbia
agito col dolo di diffondere i file scaricati.
Certamente non è ravvisabile il reato di diffamazione per il solo motivo (e sulla base della sola prova) che
i file siano procurati attraverso un programma di condivisione tipo eMule, essendo necessaria anche la
prova di una volontà consapevole del soggetto diretta a divulgare o diffondere il file; nel caso di specie,
però, tale prova è stata acquisita, giacché la (OMISSIS), dopo aver completamente scaricato le immagini
pornografiche in questione, le ha volontariamente inserite in cartelle contenenti i file destinati alla
condivisione, perfino
rinominando
le
immagini
con
specifici
riferimenti
alla ignara
(OMISSIS).
Nella sentenza impugnata e in quella di primo grado è stata resa congrua e logica motivazione su questi
elementi essenziali per la qualificazione giuridica del fatto come reato di cui all'articolo 595 c.p., e si è
data
compiuta
risposta
a
tutte
le
deduzioni
della
difesa
dell'imputata.
3. Manifestamente infondate sono le doglianze di cui al quarto motivo, con il quale è stato dedotto il vizio
di motivazione per omessa pronuncia sulla richiesta di riapertura dell'istruttoria e sulla mancata
concessione delle attenuanti generiche.
3.1. La ricorrente si duole della mancata motivazione sulla richiesta di una perizia informatica da attuarsi
con la riapertura dell'istruttoria dibattimentale.
Risulta nell'atto di appello che la (OMISSIS) aveva richiesto "la riapertura del dibattimento, al fine di
provvedere alla nomina di un perito informatico, che possa meglio chiarire la differenza tra immissione e
condivisione, nonché individuare (laddove sia possibile, posto che la Polizia postale di Catania non vi è
riuscita)
il
soggetto
che
ha
immesso
le
immagini
in
contestazione
sulla
rete".
È evidente la genericità della richiesta ed è ancor più evidente la sua superfluità alla luce di quanto
rappresentato dai giudici di merito in ordine alle risultanze processuali, sopra specificamente riportate.
Va, a tal proposito, rammentato che, in tema di giudizio di appello, la rinnovazione del dibattimento,
postulando una deroga alla presunzione di completezza dell'indagine istruttoria svolta in primo grado, ha
caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia assolutamente
indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. 5,
n.
7569
del
21/04/1999,
Rv.
213637;
Sez.
4,
n.
5550
del
13/01/1981,
Rv.
149209).
Nè può trascurarsi nel caso di specie che le valutazioni dei giudici di merito in ordine alla prova sono state
fatte sulla base di rilievi irripetibili della Polizia postale, dovendo a tal proposito evidenziarsi che nel
dibattimento del giudizio di appello la rinnovazione di accertamenti peritali può essere disposta soltanto
se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (La S.C. ha precisato che, in
caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e
congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto) (Sez. 2, n.
36630 del 15/05/2013, Rv. 257062).
3.2. Inammissibile
è
anche
la censura della sentenza per omessa motivazione
sul
mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche.
Va a tal proposito evidenziato che analogo motivo sul trattamento sanzionatorio è stato dedotto del tutto
genericamente
in
appello,
sicché
legittimamente
la
Corte
territoriale
non
lo
ha
vagliato.
Il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri
motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati
da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in
concreto tale sanzione. (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Rv. 262700; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014,
Rv.
261423).
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'imputata anche al rimborso delle spese sostenute dalla
parte
civile,
che
si
liquidano
nella
misura
qui
di
seguito
indicata
in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al rimborso di
quelle
sostenute
dalla
parte
civile,
liquidate
in
euro
2000,00,
oltre
accessori
di
legge.