Ugo Morelli - Educare al paesaggio, progettare il futuro
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Ugo Morelli - Educare al paesaggio, progettare il futuro
EDUCARE AL PAESAGGIO, PROGETTARE IL FUTURO Ugo Morelli1 Trento -Festival Economia 2012 - venerdì 2 giugno Il concetto di paesaggio prende le mosse molti secoli fa da un contesto che è eminentemente letterario per poi diffondersi in più campi ed essere utilizzato principalmente dall’architettura paesaggistica. Abbiamo parlato fino agli anni recenti di paesaggio come “lo sfondo” su cui si svolgono le attività degli esseri umani. Ne abbiamo sentito parlare soprattutto in termini estetici intendendo per estetico gli aspetti esteriori della nostra esperienza. Il paesaggio, quindi, si è collegato principalmente alla dimensione “decorativa” degli spazi di vita. Negli ultimi tempi le cose stanno cambiando perché ci siamo resi conto che il paesaggio è fortemente connesso alla vivibilità delle specie sul pianeta Terra e in particolare di quella umana che è una specie tra le altre, di un unico sistema evolutivo. Per la nostra specie la vivibilità è stata principalmente una vivibilità “contro” la natura: nella storia abbiamo pensato ed organizzato la nostra vita, soprattutto in un’epoca in cui demograficamente eravamo una minoranza sul pianeta, “contro” la natura. Questo aspetto ha determinato il modo di pensare, di vedere e di rapportarsi con l’ambiente ed ha creato una dipendenza dalla storia nel senso che abbiamo costruito noi stessi per far fronte all’incertezza con cui la natura si proponeva. Il resto della natura, infatti, si proponeva a noi in modo da collocarci da un certo momento in poi “sopra le parti”. Questo è un movimento cognitivo e affettivo della mente individuale e collettiva: abbiamo concepito noi stessi come “sopra le parti”, come effetto dell’esigenza di fare i conti con la natura e le sue minacce. Negli ultimi cinquanta anni si è prodotta una profonda rivoluzione, di cui oggi intuiamo appena gli effetti, che ha portato progressivamente a riconoscere i limiti dello sviluppo concepito a partire da un atteggiamento “contro” la natura e quindi l’esigenza di elaborare gli effetti che questo modo di vivere ha prodotto per la nostra specie. Cominciano a essere molto evidenti fino al punto di mettere in discussione l’esistenza di una specie pervasiva come la nostra che è diventata un problema per se stessa e per il resto del sistema vivente. Alcuni grandi paleoantropologi segnalano il rischio di determinare, con i nostri comportamenti “contro” la natura, le condizioni per una sesta estinzione di massa che riguarderebbe la nostra specie. In questa prospettiva il paesaggio assume un’altra connotazione: non più lo sfondo sul quale si svolge la scena dei comportamenti umani nei confronti dell’aria, dell’acqua, del suolo, del territorio e delle risorse disponibili, non più quindi una cartolina, non più lo strumento da vendere per ragioni turistiche, non più lo spazio da utilizzare in modo frenetico, ma la condizione stessa delle condizioni di vita delle specie che vivono sul pianeta. Da una concezione e da prassi, quindi, in cui la natura era vissuta come separata dagli esseri umani, nemica da cui difendersi, risorsa da usare senza limiti, abbiamo bisogno di sviluppare una cultura della natura come realtà di cui siamo parte, o meglio, come la realtà che noi stessi siamo. 1 Questo testo è un’elaborazione della registrazione dell’intervento di Ugo Morelli al ciclo di incontri “Il paesaggio è il nostro futuro” organizzato dalla step-Scuola per il governo del territorio e del paesaggio dal 1 al 3 giugno a Trento all’interno del Festival Economia 2012. Il testo mantiene volutamente l’immediatezza dell’oralità. Il paesaggio è il risultato di un processo di sensemaking mediante il quale diamo senso e significato alla realtà: è un processo di rappresentazione simbolica. Allo stesso tempo però, come tutto ciò che genera senso e significato, determina le azioni e i comportamenti in virtù della circolarità tra il senso e il significato che diamo ad una realtà e i comportamenti e le azioni che mettiamo in atto. Viviamo in un circuito nel quale i modelli mentali generano azioni e queste azioni hanno poi effetti sulla vivibilità. Ovvero cerchiamo di capire a quali condizioni si possa mediante l’educazione, agire per interrompere, mettere in discussione, creare dei breakdown nel modo in cui concepiamo il paesaggio, l’ambiente, il territorio con la presunzione di non esserne parte, ma di essere “sopra le parti”. Cambiare idea è molto difficile. Avere un’idea è difficile, ma cambiare idea lo è ancora di più. Esperimenti condotti nel campo delle scienze della mente evidenziano che di fronte ad un cambiamento in cui possiamo scegliere tra A e B, dove B è l’innovazione e A lo status quo, anche quando gli effetti della scelta di A sono chiaramente indesiderabili, in 2/3 dei casi propendiamo a scegliere A perché mantenere inalterati i comportamenti è rassicurante. Allora se consideriamo i comportamenti della vita quotidiana e li mettiamo in rapporto con l’esigenza di cambiare in modo profondo gli atteggiamenti, ad esempio un progettista che nel suo lavoro non dovrebbe concentrarsi solo sull’artefatto ma avere in mente lo spazio in cui quell’artefatto andrà collocato e ragionare quindi in termini ecosistemici tra artefatto e contesto, ci troviamo di fronte ad un vincolo cognitivo e affettivo che nel linguaggio di ogni giorno chiamiamo la forza dell’abitudine. Se il paesaggio è spazio e forma di vita, abbiamo il paesaggio che ci meritiamo e la responsabilità di meritarcelo. Perciò è opportuno sottolineare l’importanza della scelta di porre al centro il paesaggio nel Piano Urbanistico Provinciale in Trentino e nei piani delle Comunità di valle. Strumento fondamentale per valorizzare questa centralità è la step-Scuola per il governo del territorio e del paesaggio, istituita dalla Provincia autonoma per la formazione permanente di chi deve decidere delle trasformazioni territoriali e paesaggistiche, ma anche per far crescere la coscienza e la maturità dell’intera comunità rispetto ai valori del paesaggio. L’educazione al paesaggio incontra una resistenza al cambiamento e ci rendiamo conto nella nostra attività formativa quotidiana con gli amministratori, i tecnici, i professionisti, le scuole, di quanto sia difficile evolvere i punti di vista e i pensieri riguardo al paesaggio. Sono resistenze che sperimentiamo anche nel lavoro che deriva dall’accreditamento UNESCO alle Dolomiti come Patrimonio dell’Umanità, che è un riconoscimento che connette l’azione di territori diversi: Trento, Belluno, Bolzano, Pordenone e Udine. La step, per la Provincia autonoma di Trento, è responsabile della rete della formazione per tutti i territori e uno sguardo alle differenze di orientamento che ci sono nell’affrontare i problemi di gestione mostra gli ostacoli e le resistenze che si incontrano al cambiamento. L’educazione intesa, nel senso profondo del termine, come il lavoro proprio dell’educere, ossia di tirare fuori la consapevolezza dello stato delle cose, deve aiutare ad elaborare le resistenze che si incontrano. La principale resistenza è il modo stesso di concepire il paesaggio che non è una questione relegata nel campo del paesaggismo a una parte dei tecnici che si occupano in modo strettamente disciplinare dell’argomento. Ci siamo resi conto che la vivibilità è strettamente legata allo spazio e alla forma della nostra vita, che è una vita tra le vite, con l’ipotesi che solo se riusciamo a diventare “parte del tutto” e ad avere una cultura di essere “parte del tutto” avremo una possibilità di futuro. Se pensiamo a modi diversi di intendere il paesaggio ossia al “paesaggio come sfondo”, al “paesaggio da vendere”, cioè risorsa da utilizzare per scopi commerciali in particolare nel turismo, al “paesaggio da utilizzare”, al “paesaggio da curare”, come condizione della vivibilità, scopriamo che è l’ultimo modo di intendere quello che ha minore considerazione nell’immaginario e nelle prassi collettive. Quello della Scuola è un lavoro culturale ed educativo di grande impegno. I temi relativi alla sostenibilità, ai limiti dello sviluppo, all’autonomia nelle scelte, alla ricerca delle condizioni dello sviluppo appropriato e soprattutto l’attenzione ai fallimenti dell’economia e dei modi attuali di gestire le risorse, sono sotto gli occhi di tutti, ma le discipline che se ne occupano, soprattutto quelle economiche, non hanno mostrato grandi capacità di affrontare queste questioni anzi hanno fortemente rinforzato le problematiche. È di un certo interesse che il Festival Economia si occupi di rapporto tra generazioni soprattutto in un tempo e in un paese molto problematico in cui, come emerge da una ricerca sugli effetti psichici del lavoro precario che ho svolto recentemente insieme a un gruppo di allievi dell’Università di Bergamo, uno degli aspetti dei paesaggi della nostra vita sociale particolarmente doloroso è quello di osservare come un terzo dei giovani che hanno da diciannove a trentaquattro anni, non ha possibilità di concepire un posto per sè: i cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training) coloro che non lavorano non studiano e non cercano lavoro, hanno superato i due milioni. Questo è un effetto del modo di intendere l’economia ed è un effetto di ciò che le discipline economiche hanno fatto come fidi maestri sostituti di un certo modello di sviluppo. Solo con un crudo esame di realtà c’è la possibilità rivedere il modo in cui si agisce e in cui si pensa. Estendiamo, in conclusione, il concetto di paesaggio non intendendolo più soltanto come lo sfondo decorativo della nostra esperienza, ma come lo spazio e la forma della nostra vita, il luogo da cui traiamo i vincoli e le possibilità di una vivibilità consentita nel presente e che auspichiamo nel futuro. Per fare ciò si deve agire in una maniera forte e diffusiva sull’educazione, non solo dei bambini e dei ragazzi naturalmente, ma di tutti noi che siamo responsabili dell’esigenza attuale di cambiare la nostra vita.