Scacco matto in sei mosse a marostica
Transcript
Scacco matto in sei mosse a marostica
Numero 79 - Anno XV/2 - Aprile 2014 Edito in proprio da: Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Milano - Gruppo Milano Centro “Giulio Bedeschi” Redazione: Via Vincenzo Monti 36 - 20123 Milano - tel. 02 48519720 - Responsabile: Alessandro Vincenti - Inviato gratis ai Soci. Sito web: www.alpinimilanocentro.it E-mail: [email protected] Scacco matto in sei mosse a marostica A Marostica quest’anno si è tenuto il CISA incentrato sulle iniziative promosse dall’ANA in vista delle celebrazioni del Centenario della Ia Guerra Mondiale; diverso quindi dalle edizioni passate. Il venerdì sera fra i relatori, gli organizzatori e i vari convenuti, si respirava una certa ansia di solennità e consapevolezza dell’evento. Qualcuno già anticipava gli argomenti che avrebbe illustrato il giorno dopo all’assemblea; i Direttori dei giornali mostravano una certa inquietudine per non sapere bene come fare per raccontare degnamente il Centenario. Tutti si guardavano l’uno coll’altro nel ricercare il “Genio della lampada di Aladino” che desse il quid per trovare la soluzione vincente, eccezionale ed omnicomprensiva per chiudere una partita complessa e gravosa. to quelle generazioni, li ha svezzati, selezionati, formati e quelli superstiti si son fatti carico anche dello “zaino della vita” di quelli che più non son tornati. Questo concetto, che si traduce nel nostro “non dimenticare” e nel “ricordare i morti perché aiutino i vivi”, non è forse la base da cui è nata la nostra Associazione? Dunque a riflettere bene, l’impegno della nostra Associazione non è solo per il Centenario della Grande Guerra, ma prosegue con l’altro Centenario che è quello della fondazione dell’ANA. Sono due ricorrenze storiche separate, o le facce di una stessa medaglia? Ecco che in chi ha colto il messaggio del “Milite non più ignoto” sorge una domanda che rode la mente, come un tarlo: come praticamente effettuare la ricerca su quei giovani di cent’anni fa, i cui nomi son sbiaditi sui monumenti? Come si possono Sabato mattina: prima mossa. Qualcuno porta sugli occhi i segni di una coinvolgere i giovani di oggi a incontrare i notte insonne. Dopo le presentazioni di rito giovani di allora? davanti ad un pubblico che affolla la sala, il nostro Marchesi enuncia la sua relazione Seconda mossa: la scuola, se fatta bene, inerente al progetto “Il Milite non più … deve insegnare un metodo. Ecco che il ignoto”. I convenuti hanno tutti nella loro metodo della ricerca viene sommariamente cartellina distribuita all’ingresso il progetto illustrato: certo non è cosa facile, ma se e lo sfogliano, ne soppesano l’importanza, applicato con costanza, superando la prime capiscono che ci si trova difronte a un difficoltà, diventerà via via sempre più “Monumento” che è base fondamentale per semplice, fino a essere automatico. In fin tutti noi. La ricerca per dare “anima” a dei conti si hanno ben quattro anni per quei nomi dei Caduti ormai sbiaditi dal imparare, affinare il metodo e migliorarlo. tempo nel marmo, non è impresa da matti, Quattro anni … una laurea! ma è un’operazione doverosa verso noi I giovani di oggi riusciranno ad incontrare stessi e – in particolare – verso le nuove i giovani di allora, colmando e appianando giovani generazioni che frequentano le la prima differenza che è solo temporale. scuole. Viene fatto un richiamo, anche severo, a Un messaggio è chiaro: quei giovani di chi detiene i dati e gli strumenti atti a concent’anni fa non erano eroi nati e formati, durre le ricerche. Dei brusii si sollevano ma solo giovani che sono stati presi dentro nella sala, ma un altro concetto viene chiain un ingranaggio mortale; ne avrebbero rito: con metodo si ricercano le fonti prifatto a meno, certo, ma cosa potevano fare marie nei documenti più disparati, ma i altrimenti? La danza macabra che ha colpi- dati per identificare i giovani di cent’anni fa ci son tutti! Allora “Viribus Unitis”, giusto il motto degli ex avversari, anche loro giovani centenari, non diversi dai nostri! L’Ufficio Storico dell’Esercito, le cartografie storiche sovrapposte con quelle attuali, i Sacrari, le leggi regionali, son tutti strumenti pronti all’uso per far da ponte e incontrare i giovani di allora con quelli di oggi. Quattro ore ci son volute per illustrare le fondamenta di quel ponte! I convenuti sono stravolti sul viso, come se avessero subito un turno di trincea sotto bombardamento, ma al di la della fatica, nella mente s’incomincia a ragionare, a soppesare gli spunti che son stati dati. Sabato pomeriggio: terza mossa. Chi era preoccupato di non sapere date, nomi, cause e conseguenze della Ia Guerra Mondiale e aveva già rispolverato i vecchi libri di scuola o navigato per ore in internet credendo poi di andar così a far lezione ai ragazzi, scopre che forse non è questo che si richiede da noi alpini: quelle nozioni e analisi, lasciamole agli Storici e Accademici! Invece capiamo che il più bel libro di Storia è – fisicamente – sotto i nostri piedi: sono i campi di battaglia che ancora oggi e da sempre percorriamo e che da un po’ di tempo cerchiamo di conservare. Non è forse su di essi che gli alpini s’incontrano, lavorano e ricordano? Ortigara, Adamello, Pasubio, solo per fare degli esempi … Alpin del Domm – 1 Sono quasi cent’anni che noi li percorriamo; forse – questo sì – negli ultimi decenni con troppa “leggerezza” … e così un filo spinato affiorante dal terreno oggi noi lo schiviamo perché diventato d’impiccio sul nostro cammino. Ma per chi non è mai salito con noi, quel filo spinato può diventare il miglior libro di Storia. Lo si faccia vedere ai giovani di oggi; con cautela lo si faccia toccare, si spieghi cosa voleva dire affrontare fili spinati aggrovigliati alti due metri e profondi cinque, entrarci, tagliarli con strumenti primitivi, mentre qualcuno ti mitragliava addosso … nessun libro è capace di raccontare cosa voleva dire “siepi di filo spinato” se non quel filo stesso superstite e ancora pericoloso. Far toccare ai ragazzi un panno grigioverde ruvido delle uniformi, soppesare una scheggia che a cent’anni è ancora affilata come un rasoio, indicare una scatoletta di carne dell’epoca abbandonata in un ghiaione e dire che arriva da molto lontano, perché si legge ancora “Norge” e che è finita lassù grazie a migliaia di persone che ci han lavorato dietro per produrla, prepararla e trasportarla, per noi forse son cose senza alcun interesse; per i nostri giovani, invece, non è così, poiché son le più belle parole di un magnifico libro di Storia: il “Sentiero della Pace” che passa sui campi di battaglia, percorre zone che oggi sono dichiarate Patrimonio dell’Unesco. Quest’estate facciamo una prova: andiamo sull’Ortigara, poi sull’Adamello e sul Pasubio; guardiamo per terra e cerchiamo, con calma, di trovare ancora quelle “parole” da leggere sul terreno. Lasciamo che i nostri passi siano – in un certo senso – guidati dai giovani di cent’anni fa per dirci di ripassare con i giovani nostri … questo ci farebbe riscoprire la dizione pellegrinaggio nel vero senso della parola! Quarta mossa: fra i convenuti molti avevano pensato di commemorare il Centenario programmando nel tempo delle mostre con oggetti, fotografie e disegni; di eseguire canti, rassegne teatrali e convegni. Tutte cose giuste, anche se alcuni erano preoccupati di riproporre formule già note poiché fatte per il novantesimo o l’ottantesimo … quindi erano alla ricerca del “pezzo” da museo mai mostrato, dell’opera d’arte mai vista, del canto mai eseguito. Ma mai nessuno avrebbe pensato di fare una mostra sensoriale! Questo no e c’è da diventar matti! Ecco dunque un’altra mossa importante: riproporre con la tecnologia di oggi un percorso sensoriale. Si pensi a ricostruire una trincea buia, illuminata all’improvviso da flash di luce che ricordano i riflettori e i razzi di un tempo; riprodurre il rimbombo del cannone centuplicato dall’eco delle montagne. queste cose sono state ricreate da un ente istitu2 – Alpin del Domm zionale che gode fama mondiale: l’Imperial War Museum a Londra. Certo, bisogna superare l’idea di non cadere nella pura spettacolarizzazione, creando un fenomeno rasente Disneyland, ma l’idea, se ben valutata, potrebbe essere vincente dal punto di vista didattico ed espositivo. Quinta mossa: l’incontro con i Direttori dei giornali di Sezione risulta ancora ostico poiché alcuni sono assillati dalla domanda: “Ma io, nel mio piccolo, cosa devo fare per essere grande in una grande ricorrenza? Io che sono in una zona dove non si è combattuto, cosa e come posso fare?” Alcuni – oppressi dall’affanno per ricercare la risposta – per tutto il tempo sono stati distratti e non hanno perciò colto le opportunità che in quasi otto ore di convegno sono state illustrate. La sensazione è che il loro giornale e il loro territorio siano gocce d’acqua inutili nel mare magnum del Centenario. Si enuncia perciò un’altra mossa che possa aprire gli occhi a chi – con serenità d’animo – li voglia aprire: si richiama di nuovo il progetto del “Milite non più ignoto”, poiché in ogni paese dalle Alpi alla Sicilia c’è un monumento ai Caduti; ancora quei giovani “dimenticati” nel marmo, hanno i discendenti che vivono sulla porta accanto di un alpino: chi meglio dei Gruppi possono conoscerli, intervistarli, ricercando notizie? Non è forse il Gruppo la radice principale, radicata sul territorio, su cui si nutre la pianta della nostra intera Associazione? Molte storie locali sono fonte d’interesse: oggetti come cartoline, foto, ricordi orali degli abitanti dei paesi, sono i tasselli fondamentali su cui poi si narrano i grandi eventi. Se questi tasselli non vengono scritti da un giornale di Gruppo o raccolti in un giornale di Sezione, quando mai verranno conosciuti dai più? Che si raccolgano allora tutte queste notizie in articoli, si comunichino con una certa frequenza al Centro Studi e alla fine dei quattro anni di Commemorazione, non si avrà forse un’antologia bell’e pronta, utile per tutti a livello nazionale, cosicché l’alpino del gruppo della Valle d’Aosta possa conoscere l’alpino della Sicilia, passando per quello di Trento, dell’Abruzzo di cento anni fa? Queste indicazioni sollevano ulteriori domande: “Ma i giornali di Gruppo raccontano la vita di Gruppo, non la Storia!” … e si cerca, alla fine, in una dialettica pur animata, ma costruttiva, di dipanare questa cecità. Alcuni dei presenti sembrano capire e si placano nella mente, altri ancora si pongono ulteriori domande su come fare per raccogliere le testimonianze, come se la cosa fosse una sorta di “pubblicità” per far conoscere un prodotto commerciale … La stanchezza in molti sfinisce e acceca la mente! Domenica mattina: sesta mossa e … scacco matto, Marostica! Fase conclusiva del CISA con il compito grave e solenne di trarre le conclusioni: si susseguono il past-president Perona, don Bruno, il generale Primicerj e il Presidente Favero che con efficaci parole riscaldano i presenti. Interviene anche il nostro Lavizzari che contribuisce – come gli altri – a dare a tutti la mossa vincente che, semplicemente e sorprendentemente, era sotto gli occhi di tutti! Per commemorare “degnamente” il Centenario 2014-2019 (e si sottolinea 2019, giusto a rimarcare la continuità fra il Centenario della Grande Guerra e quello dell’ANA), non si deve scrivere la Storia con la “S” maiuscola, ché questo è compito di altri; non si devono ricercare spasmodicamente eventi eclatanti perché noi alpini – tutti noi – alla fine commemoriamo il Centenario da … cento anni! Lo facciamo ogni giorno, ogni mese, ogni volta che in pubblico ci mostriamo col nostro Cappello Alpino in testa. Non sono cento anni che raccontiamo sui nostri giornali le microstorie degli alpini che in pace e in guerra hanno fatto il loro dovere? Non sono cent’anni che camminiamo sui campi di battaglia, inenarrabili libri di Storia, unici al mondo? (e sfidiamo chiunque all’estero a trovarne altri simili per bellezza naturale e spirito di sacrificio). Scacco matto! Ecco la mossa: semplicemente continuare a narrare e fare quello che da cent’anni noi facciamo! È un lavorio che da quel tempo lo portiamo avanti e lo porteremo anche quando commemoreremo il Centenario della Seconda Guerra Mondiale, poiché il metodo sarà il medesimo; anche in quell’occasione riscopriremo i nomi sul marmo riferiti ai Caduti della IIa Guerra. Ecco: forse perché il nostro operare è così naturale, svolto fra di noi nella nostra cerchia associativa, ne sottovalutiamo l’eccezionalità. La vera sfida per i Centenari dunque dovrà concentrarsi sulla comunicazione esterna che, probabilmente, non è ancora al passo dei tempi: e questo potrebbe influenzare anche il nostro futuro associativo! Comunicare i Centenari (e quindi il nostro “lavoro” associativo) dovrebbe essere il tema di una prossima partita che coinvolgerà prevalentemente soggetti esterni, non alpini, con i quali dare … scacco matto! E gli “avversari” sono avvertiti, perché sono 100 anni che ci mettiamo in gioco, con naturalezza! Firmato Gruppo Alpini Milano Centro “Giulio Bedeschi” Linee guida per il Centenario della Grande Guerra Sulle vicende storiche che hanno caratterizzato la nostra Patria nel corso della Prima Guerra Mondiale, sono state dette innumerevoli cose, migliaia di libri sono stati scritti - storie generali e particolari, militari e diplomatiche, politiche ed economiche – ed altri verranno pubblicati in occasione di questo centenario. Naturalmente l’occasione di questa celebrazione darà modo a tutti di esprimersi secondo le loro personali sensibilità. La nostra Associazione non si troverà certo impreparata ad un simile evento. È dal 1919 che gli Alpini ricordano i Caduti della Grande Guerra. Lo hanno fatto formando questo sodalizio e, sapendo che gli statuti possono essere facilmente modificati, hanno inciso nel marmo della colonna mozza in Ortigara la regola immodificabile, l’essenza stessa della associazione, che è racchiusa nel motto: “Per non dimenticare”. Quello che interessa alla nostra Associazione, però, non è tanto un’idea di commemorazione statica e storicistica – che altri ben più qualificati potranno fare – quanto piuttosto il ricordo dinamico e vivo dell’uomo semplice e della sua tenacia, del suo infinito coraggio e senso del dovere che riesca a suscitare negli uomini d’oggi quei sentimenti di compassione e di ammirazione che impongono di misurare le proprie azioni quotidiane con tanto valore. Anche i più tragici e grandiosi eventi si perdono nella memoria: i lutti si dimenticano, l’erba ricresce sulle trincee e sulle tombe; imperi sono crollati ed altri cambiamenti si verificheranno. Ciò che resta, però, è l'esperienza umana del dolore e del dovere, la profonda capacità di dare e di resistere, una lezione sommessa ed altissima di piccoli uomini sconosciuti, più veri e più grandi dei Grandi. Anche l’esperienza umana del dolore del dovere, tuttavia, per non andar perduta ha bisogno che nella coscienza collettiva della società vi sia la consapevolezza che i fatti che caratterizzarono quel periodo furono reali e passarono sulla pelle di centinaia di migliaia di ragazzi, di uomini e di donne. Col tempo infatti si corre il rischio che la prima guerra mondiale sia vissuta, specie dalle giovani generazioni che non hanno avuto testimonianze dirette, come un evento lontano e quasi leggendario. Una sorta di gigantesco romanzo popolato di soggetti immaginari. Quelli che vivono e muoiono senza dolore e senza particolari conseguenze. Ed allora occorrerà, per prima cosa, fare in modo che i nomi incisi sui monumenti ai Caduti presenti nelle nostre città e nei nostri paesi, tornino ad essere abbinati ad un essere umano fatto di carne, di sangue e di ossa. Ad un essere umano che aveva i suoi affetti familiari, le sue amicizie, le sue attività come chiunque di noi. Occorre, cioè, restituire la dignità di uomo a quello che oggi altro non è che un semplice nome inciso sulla lapide. Il secondo passaggio dovrà fare giustizia di quella semplificazione mistificatoria che nel tempo si è stratificata e che ha dipinto il soldato italiano come imbelle, vigliacco e sempre alla ricerca di una scorciatoia. Il capolavoro di Monicelli “La Grande guerra” è un esempio abbastanza evidente di questa incredibile semplificazione. Occorre, pertanto restituire a quegli uomini anche la dignità di soldati e quella di semplici eroi. Già perché i soldati italiani furono eroi sulle pietraie del Carso, sulle nevi dell’Adamello. Furono eroi in Ortigara, in Pasubio e sul Grappa. Ovunque! Una volta restituita a questi semplici eroi la dignità di uomo e di soldato sarà necessario capire cosa abbia spinto questi ragazzi ad affrontare i disagi, i pericoli e gli orrori di quella che è stata giustamente definita l’Inutile Strage. Qualcuno, con analisi semplicistica, potrebbe arrivare a dire che i soldati sono stati mandati al fronte sotto l’ordine imperativo del Re e con i fucili dei carabinieri ben piantati nella schiena ma ad una analisi meno semplicistica verrebbe da chiedersi quanti dovevano essere i carabinieri per spingere al fronte qualche milione di uomini armati fino ai denti. Forse qualcuno fu davvero spinto dai fucili delle guardie ma altri, la stragrande maggioranza, andarono al fronte e si comportarono da soldati solo ed esclusivamente per rispondere ad un semplice ed elementare dovere del cittadino. E andarono con l’intima convinzione di contribuire, in un modo o nell’altro, a fare dell’Italia un posto migliore dove vivere e crescere i loro figli. Ed allora il ricordo non potrà che avere come obiettivo quello di accendere nei cuori, soprattutto dei giovani, una sorta di ardore civile che li spinga ad operare per dare un senso a quell’immane sacrificio attraverso il raggiungimento dell’obiettivo che quei ragazzi cent’anni fa si prefiggevano: fare dell’Italia il posto migliore dove crescere i loro figli. Ecco perché gli alpini hanno col tempo aggiornato quel motto iniziale del “Per non dimenticare” con quello attuale del “Ricordiamo i Caduti aiutando i Vivi”. L’idea di un ricordo dinamico e vivo che serva in un modo o nell’altro ad educare i giovani al sentimento nazionale deve essere applicato anche ai sentieri della memoria ed ai Sacrari, ultime vere cattedrali dedicate ai migliori valori della Patria. Occorrerà portare i ragazzi a camminare sugli stessi sentieri che i nostri soldati hanno percorso un secolo fa in modo che possano meglio comprendere il sacrificio della guerra e della vita da trincea. I ragazzi più grandi potranno essere portati in veri e propri campi finalizzati alla manutenzione dei sentieri e delle trincee. Anche questo sarà un modo di avvicinarli a quello che accadde ed ai protagonisti incolpevoli di quella tragedia. Occorrerà poi rendere fruibili i Sacrari veri e propri luoghi di meditazione. Devono essere tenuti vivi. Deve sentirsi la presenza del valore e non sembrare musei stantii di un Italia che non c’è più. Devono anch’essi ispirare i giovani ad alti pensieri ma perché ciò possa avvenire sarà necessa- rio che siano puliti e sistemati ma soprattutto che siano resi fruibili in ogni periodo dell’’anno ed in ogni giorno della settimana con particolare riferimento al week end. Per questo la nostra Associazione ha dato la propria disponibilità a partecipare alla manutenzione ed all’apertura al pubblico di queste cattedrali civili. I nostri alpini sapranno dare anche quel calore che contribuirà a far sentire vivi questi luoghi. Naturalmente sia i percorsi scolastici sui luoghi della memoria e nei campi di manutenzione dei luoghi, sia l’attività presso i Sacrari avrà bisogno di essere riconosciuta e sostenuta dallo Stato in primo luogo riconoscendo crediti formativi ai giovani che vorranno impegnarvisi sotto il controllo delle Associazioni d’arma. Siamo certi che questi percorsi potranno far capire ai giovani che l’unico modo per onorare davvero la memoria dei nostri caduti è quello di operare per fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per raggiungere quell’obiettivo per il quale quei ragazzi, cent’anni fa, hanno pagato il prezzo più alto. *** Le celebrazioni per il centenario della grande guerra, dunque, dovranno servire per ricostruire ciò che dal secondo dopoguerra in avanti è stato scientificamente distrutto: il concetto di Patria e di identità nazionale. All’inizio del terzo millennio la società ha cominciato a constatare che uno dei maggiori problemi era costituito proprio dalla mancanza del sentimento nazionale e dell’amor di Patria. E la parola Patria è tornata, piano piano, ad assumere il ruolo delle cose perdute ma che si vogliono ritrovare. Sul Corriere del 28 febbraio del 2001, ad esempio, in un articolo dedicato alla scuola che non insegna "l'Italia" agli studenti, si leggeva: “L'idea di Patria, nella sua accezione mite e umana è inestricabilmente legata al sentimento dei luoghi, alle immagini e alle atmosfere che producono...” E, giudicando sbagliate le scelte delle gite all'estero degli studenti, piuttosto che in Italia, si sosteneva che fosse trascurato un altro importante capitolo della formazione giovanile quello rivolto al sentimento dell'identità nazionale. L’importanza di questo sentimento, l'attaccamento alla Patria, alla bandiera, alla propria storia e tradizioni, costituisce l'elemento distintivo e fondante di una Nazione. *** Nell’ambito di queste linee guida si muoverà l’Associazione Nazionale Alpini per celebrare questo centenario con la speranza che questo evento possa davvero costituire un punto di ripartenza soprattutto morale di questo che, senza falsa modestia, è il più bel paese del mondo. Naturalmente gli alpini si augurano, in questo esaltante percorso, di essere affiancati dalle Istituzioni e da chiunque abbia a cuore i destini di questa Nazione. Solo riaccendendo nel cuore dei giovani l’Amore per la Patria, il rispetto per chi per essa ha dato la vita, solo riscoprendo i grandi valori di fratellanza e di solidarietà che da quella tragica esperienza sono sopravvissuti, solo così si potrà sperare di risollevare la testa. Cesare Lavizzari Alpin del Domm – 3 La parabola della Germania, dalla Weltpolitik a Versailles di Gianluca Pastori * Il Secondo Reich tedesco svolge un ruolo mobilitazione farraginoso, è percepito, mania presupposto necessario alla realizcentrale nelle vicende che portano alla dallo Stato Maggiore prussiano, come una zazione dei suoi progetti, ma era, allo stesGrande Guerra. Il trattato di Versailles grave minaccia. La possibilità di successo so tempo, percepito da Londra come una attribuisce esplicitamente (art. 231) alla in una guerra su due fronti (un incubo cui minaccia inaccettabile a una posizione Germania e ai suoi alleati ‘la responsabili- la ‘vecchia’ politica bismarckiana aveva internazionale messa in discussione anche tà … per aver causato tutte le perdite ed i sempre cercato di sfuggire) si legava, da dall’emergere di altri concorrenti. danni che gli Alleati ed i Governi Associa- una parte, alla capacità di assumere un’iniTensioni europee ed internazionali si salti e i loro cittadini hanno subito come con- ziativa rapida e decisiva, dall’altra al perdano, così, nella decisione tedesca di imseguenza della guerra loro imposta dall’ag- fetto sincronismo della sua messa in atto. boccare la via della guerra. Come per la gressione della Germania e dei suoi allea- In questa prospettiva, la sconfitta della maggior parte dei belligeranti, i vertici ti’. E’ la consapevolezza del sostegno tede- Francia doveva giungere prima del compolitici e militari del Reich prevedono un sco in caso di intervento della Russia a pleto dispiegamento delle armate zariste, conflitto breve, seguito da un trattato di spingere l’Austria-Ungheria a insistere – in modo da consentire il ridispiegamento pace che spiani la strada nella forma e nei contealle (molte) ambizioni nuti – con le richieste del Paese. Nel caso teavanzate alla Serbia desco, questa previsione dopo l’attentato di Sasi fonda soprattutto sulla rajevo (28 giugno). La qualità delle forze armamobilitazione delle te nazionali, sul loro forze armate imperiali, grado di preparazione, e il 1° agosto, gioca una sull’accuratezza della parte importante pianificazione strategica nell’innescare il meccae operativa. Fra il 1914 nismo della mobilitae il 1918, la Germania zioni incrociate che riesce a schierare porterà, fra entro la fine 11.000.000 di uomini del mese, tutte le magcontro i 12.000.000 giori potenze europee della Russia, gli (con l’eccezione dell’I8.900.000 della Gran talia) a entrare nel conBretagna, gli 8.400.000 flitto. La guerra e la L’imperatore Guglielmo II con i suoi sei figli, capodanno 1912 a Berlino della Francia, i sconfitta (mai, peraltro, 7.800.000 dell’impero riconosciuta) hanno in Germania ampie sul fronte orientale delle unità tedesche austro-ungarico e i 5.600.000 dell’Italia. ricadute determinando – forse ancora più prima schierate su quello occidentale. Questo a fronte di una popolazione di che in Italia – la dissoluzione del ‘vecchio’ Tuttavia, le ambizioni di Berlino sono più 67.000.000 di abitanti, contro i ordine politico e l’emergere di uno radical- ampie. L’incidente di Sarajevo offre alla 167.000.000 della Russia, i 46.000.000 mente nuovo, incarnato nella repubblica – Germania di Guglielmo II l’occasione di della Gran Bretagna, i 39.600.000 della ‘borghese’ e ‘socialista’ – di Weimar. Indi- accreditare definitivamente il suo ruolo di Francia, i 48.500.000 dell’impero austropendentemente dalle ragioni che sostengo- Grande Potenza non solo sul teatro euroungarico e i 36.000.000 dell’Italia. Inoltre, no le scelte del governo imperiale, gli ef- peo, ma soprattutto sulla scena internaziosebbene all’inizio del conflitto l’esercito fetti che esse producono hanno, quindi, nale, dove dagli anni Novanta dell’Ottotedesco non si distaccasse molto dagli altri una portata che trascende i ‘semplici’ esiti cento aveva iniziato a manifestare un creeserciti europei sul piano tecnico e operatidel conflitto. scente dinamismo. Nel ventennio successi- vo, larga parte delle infrastrutture nazionaLa questione cruciale è cosa spinga la Ger- vo alla sua proclamazione (1871), il Se- li (prima fra tutte la rete ferroviaria) aveva mania, nel corso del luglio 1914, a schie- condo Reich aveva sperimentato una note- trovato collocazione all’interno del sistema rarsi anche militarmente a sostegno di vole crescita socio-economica, ponendosi di mobilitazione e radunata; un fatto, queVienna. Nel caso della Serbia, il vincolo al centro della c.d. ‘seconda rivoluzione sto, che assicurava al Paese un notevole della Triplice alleanza (rinnovata nel industriale’. Dalla fine del XIX secolo, vantaggio sia sulla Francia sia sulla Russia 1912), impone a Berlino di mantenere, in Berlino si era inoltre impegnata in un’am- nella realizzazione dei primi movimenti assenza di aggressione diretta, ‘una neutra- biziosa politica estera (Weltpolitik) e mili- offensivi. lità benevola’ (art. 4) o, al più, ‘di concer- tare (Machtpolitik), che dopo un primo Più che dall’ambito strettamente militare, tarsi in tempo utile sulle misure militari da periodo di apparente convergenza aveva le debolezza della Germania derivava, prendersi in vista di una cooperazione finito per entrare in collisione con la posiquindi, da una generale vulnerabilità straeventuale’ (art. 5). La mobilitazione par- zione e con gli interessi britannici. La c.d. tegica. L’impero tedesco, frammentato in ziale russa, il 30 luglio, sebbene formal- naval race (‘corsa alle navi’) è uno degli quattro continenti (oltre all’Europa: Asia, mente diretta verso l’Austria-Ungheria, aspetti più noti di questa competizione, e Africa, e Oceania), era il prodotto dell’agtuttavia, pone Berlino nella necessità di quello più evidenziato dalla stampa dell’egregazione di piccoli possedimenti difficiladottare provvedimenti anticipatori con- poca. Il varo di una flotta da battaglia promente difendibili. Con l’unica eccezione creti. Il potenziale militare dell’impero gettata e realizzata secondo gli standard della lunga campagna in Africa orientale, zarista (5.970.000 uomini, fra dispositivo più moderni e imperniata su una serie di per Berlino, la guerra si riduce presto a un di pace e riserve, contro i 4.500.000 della corazzate ‘all big guns’ (le c.d. Dreadaffare sostanzialmente europeo. In Europa, Germania), pur ostacolato da un sistema di naughts) era infatti considerato dalla Ger4 – Alpin del Domm poi, la necessità di suddividere lo sforzo bellico su due fronti – orientale e occidentale – dalle caratteristiche profondamente diverse, rappresenta un ulteriore fattore di vulnerabilità, aggravato dalla necessità di operare sistematicamente, ad Oriente, a sostegno del più debole alleato austroungarico. Anche il contributo della Hochseeflotte si dimostra, nel corso di tutto il conflitto, molto inferiore alle attese. La scelta di fare ricorso alla guerra sottomarina indiscriminata contro i convogli alleati nell’Atlantico e nel Pacifico è il segnale più indicativo delle debolezza di una flotta che – dopo il successo tattico dello Jutland (31 maggio-2 giugno 1916) – rinuncia di fatto alle operazioni su larga scala e al tentativo di rompere il blocco imposto alla Germania dalle Potenze Alleate. Questa scelta, peraltro, avrà conseguenze politiche importanti sul lungo periodo, e a tempo debito favorirà l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto. La principale area di vulnerabilità tedesca riguarda, tuttavia, l’ambito economico. Nonostante il grado di sviluppo industriale (anzi, in parte, proprio a causa di questo), il Secondo Reich è, nell’agosto 1914, fortemente dipendente dalle importazioni di materie prime, fra cui quelle di carbone (nonostante le ampie disponibilità interne) e di metalli non ferrosi. Pur possedendo un’importante industria chimica, il Paese dipende inoltre dall’estero per l’approvvigionamento dei fertilizzanti che ne alimentano il settore agricolo. Il blocco navale imposto delle Potenze Alleate incide pesantemente su quest’area di vulnerabilità. Secondo le stime, già nel 1915, esso aveva determinato una contrazione sia dell’import, sia dell’export tedesco di oltre il 50%, anche se gli impatti sulla popolazione civile (pure presenti) sono in parte limitati dell’efficacia del sistema di razionamento introdotto nel gennaio 1915 e dal programma di mobilitazione economica introdotto nell’agosto 1916 (‘Programma Hindenburg’). La diffusione di prodotti surrogati (ersatz) cresce, quindi, nel corso del conflitto, sia in ambito civile, sia militare; sono state comunque avanzate riserve sul fatto che l’impatto del blocco economico sulla società e le Forze Armate tedesche sia stato tale di provocare, prima del termine delle ostilità, un tracollo del fronte interno simile a quello accaduto in AustriaUngheria. Proprio le ragioni della sconfitta avrebbero innescato un ampio dibattito dopo il 1918. Al momento dell’armistizio (Compiègne, 11 novembre 1918), le forze tedesche – sebbene in fase di ripiegamento – occupavano ancora larghe porzioni di territorio francese e belga. Sul fronte occidentale erano schierati quattro gruppi d’armate (da nord a sud: Kronprinz Rupprecht, Deutscher Kronprinz, Gallwitz, e Herzog Albrecht von Württemberg), mentre sul fronte orientale – dove la pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) aveva posto fine alle ostilità con la Russia in cambio di pesanti concessioni territoriali – il dispositivo comprendeva altri 500.000 uomini, sebbene, per la maggior parte, organizzati in forze di terza linea. L’occupazione della Polonia orientale, dei territori baltici, della Bielorussia e dell’Ucraina dopo Brest-Litovsk aveva permesso, inoltre, alla Germania di mettere le mani sulle infrastrutture e sulle risorse naturali e minerarie della regione, privando la Russia di un terzo delle sue ferrovie, del 73% delle riserve di minerali ferrosi, dell’89% della produzione di carbone e di circa 5.000 fabbriche e impianti produttivi. Sebbene asserragliata dietro i campi minati, anche la flotta da guerra era sostanzialmente intatta, con la grossa eccezione della squadra del Pacifico (Ostasiengeschwader), andata perduta nella battaglia delle Falkland, già all’inizio del dicembre 1914. Su queste basi, la retorica postbellica avrebbe spesso visto l’armistizio come una ‘pugnalata alle spalle’, inferta dalla politica a un esercito ancora capace di tenere il campo pur di fronte a un nemico che, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, aveva visto crescere considerevolmente il numero di propri effettivi. La formazione dell’American Expeditionary Force (AEF) aveva, infatti, gettato altri 4.000.000 di uomini (di cui la metà presenti in Francia al momento dell’armistizio) sulla bilancia dal lato delle Potenze Alleate e Associate. Proprio nel 1918, inoltre, l’AEF aveva iniziato a svolgere una parte importante nelle operazioni sul campo, partecipando in forze all’offensiva dell’Aisne (battaglie di Belleau Wood, 1-26 giugno, e ChâteauThierry, 18 luglio), alla battaglia di SaintMihiel (12-15 settembre), e all’offensiva di Meuse-Argonne, del 26 settembre all’armistizio. Le disposizioni del trattato di Versailles (28 giugno 1919) avrebbero accentuato questo senso di frustrazione. A Versailles, fra l’altro, le Forze Armate tedesche sarebbero state pesantemente ridimensionate, sia nel numero (ridotto a 100.000 uomini su un massimo di dieci divisioni), sia nei mezzi. Nello stesso senso avrebbe agito il clima di guerra civile che avrebbe caratterizzato la vita tedesca degli anni 1919-20 e il ruolo che le stesse Forze Armate avrebbero svolto negli eventi di tale biennio. Per queste strade, la prima guerra mondiale avrebbe svolto una parte importante nel favorire l’ascesa di Hitler e del nazionalsocialismo. La debolezza delle repubblica di Weimar (1919-33), le violenze seguite all’armistizio; la natura apertamente puni0000tivo del trattato di pace; le perdite territoriali; il dissesto economico e sociale prodotto dall’iperinflazione del biennio 1921-23; l’occupazione di regionichiave della Germania quali la Renania, la Saar e il bacino della Ruhr... avrebbero contribuito, infatti, ad alimentare la tensione e il malcontento che furono substrato dell’esperienza hitleriana. Più ancora dei 2.500.000 morti fra civili e militari (3,8% della popolazione) e dei 4.250.000 feriti, questa rappresenta l’eredità duratura della prima guerra mondiale nella storia e nella memoria tedesca. La fine del Secondo Reich, insieme alla disintegrazione dell’Impero Austro-Ungarico, avrebbe aperto un vuoto geopolitico che gli Stati nati dalle paci di Parigi non sarebbero stati in grado di colmare. Le turbolenze degli anni fra le due guerre mondiali sono un buon indicatore di tale stato di cose. Solo dopo il 1945 le rigidità della guerra fredda sarebbero riuscita a dare una (provvisoria) stabilità alla regione, senza tuttavia riuscire a contenere stabilmente il potenziale attrattivo di una Germania che rimane ancora oggi il perno politico ed economico del vasto spazio mitteleuropeo. * Gianluca Pastori è Professore Aggregato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano. Milanese arioso e Alpin del Domm – 5 «1914-2014 La guerra invisibile. La voce dei soldati della Grande Guerra in 100 opere riscoperte» Un cappotto da ufficiale, alcuni elmetti austro-ungarici, bossoli, gavette, un cappello da bersagliere con relativa tromba d'ordinanza e un cappello alpino del glorioso sesto reggimento, accolgono in una vetrina, i visitatori alla mostra. All'interno del salone un centinaio di opere tra acquerelli serigrafie acqueforti , ma soprattutto disegni, matite carta e carboncini stavano comodi nelle tasche degli zaini e dei pastrani dei combattenti. Sono esposti realistici ritratti di soldati, tedeschi e francesi, realizzati durante i momenti di quiete in trincea, con la tecnica del chiaroscuro che permette al visitatore di cogliere lo stato d'animo desolati. Non mancano le scene di combattimento, l’assalto, i bombardamenti, gli incendi, il campo di battaglia, colpisce l'opera con un soldato ed un cavallo feriti mortalmente intrappolati nel filo spinato, il cavallo ricorda quello raffigurato una ventina di anni più tardi da Picasso nel suo “Guernica”. Poesie di Ungaretti il poeta-soldato, Fratelli del 1916 e Veglia del ’15 ci aiutano mirabilmente a comprendere i sentimenti dei combattenti. Sono i disegni di artistisoldati come Henry De Groux, o il tedesco Fritz Gartner, l'italiano Anselmo Bucci dal segno potente e dinamico. Denunciano con abilità e passione gli orrori della guerra , i compagni feriti e uccisi, la triste vita di trincea, la voglia di rivedere i propri cari tornando a casa a guerra finita. Ci sono ritratti di soldati che nei rari momenti di tranquillità, scrivono a casa, si riposano, leggono, conversano tra loro, noi osservatori notiamo che cercano di scacciare dalla mente, per un breve tratto di tempo, l'orribile realtà che stanno vivendo. Chiudono l'interessantissima esposizione alcune allegorie sulla morte mietitrice, denunce senza appello sugli orrori della guerra. Una copia originale del Corriere dei piccoli, ci presenta la propaganda, destinata ai fanciulli del tempo, sul dovere di amare e difendere la Patria minacciata dallo straniero. Una mostra ben organizzata e molto interessante, soprattutto per i giovani che possono avvicinarsi e comprendere la tragedia vissuta da loro “coetanei” protagonisti della storia. Fabrizio Balliana 6 – Alpin del Domm NON ODIO PER IL NEMICO Qualche giorno fa parlavo con il prof. Sergio Pivetta e ricordavamo assieme alcuni comportamenti tipici comuni a tutte le Truppe Alpine dalla “Tridentina” alla “Monte Rosa”. In particolare mi ricordava un atteggiamento tipico degli Alpini, ovunque fossero schierati, e cioè il saper combattere bene, ma non l’odio per il nemico. Mi ricordava di un loro giovanissimo ragazzo tedesco prigioniero, dopo la battaglia di Jesi (se non ricordo male) che sfinito e terrorizzato tremava come una foglia, forse anche pensando a cosa loro facevano ai prigionieri. Si è avvicinato a lui un alpino che con un sorriso e una parola burbera gli ha donato un pezzo di pane bianco e un pezzo di una tavoletta di cioccolato americano. Poi se ne era andato, senza aspettare ringraziamenti. Mi raccontava che per questo gesto ha visto la stupefatta sorpresa e le lacrime scorrere sul viso del soldatino tedesco. Io, naturalmente, non ho partecipato a nessun fatto d’arme ma concordavo su questo aspetto tipico: saper fare la faccia cattiva quando necessario, ma l’odio, nemmeno per il nemico, non fa parte della nostra etica. Nella mia esperienza posso confermare e nel mio piccolo vorrei testimoniare con un breve episodio che mi è capitato da giovane sottotenente ultimo arrivato, che, naturalmente, di Domenica era l’unico Ufficiale presente in caserma. Si era a poco tempo dopo i fatti di Cima Vallona ed io ero l’Ufficiale di Picchetto alla Caserma Druso di San Candido (1967). L’atmosfera in paese era strana: le libere uscite concesse con il contagocce, i locali intimiditi verso di noi, come se si aspettassero qualche strana reazione. La mattina, ore 6.30, io, da buon coscienzioso Ufficiale di Picchetto, faccio il giro delle camere di sicurezza (= celle) e con mia sorpresa vedo stesi sul pavimento due civili che straparlavano in tedesco incapaci di reggersi in piedi. Chiamo subito il Capo Posto e gli chiedo, molto preoccupato cosa “diavolo” succede. Mi risponde con calma: “È stata la Ronda alpina questa notte. Non abbiamo pensato di svegliarla”. In un lampo mi sono immaginato che questi due individui avessero cercato di assassinare innocenti alpini nel buio della notte, ma fermati ed arrestati dalla vigile Ronda alpina. Il Capo Posto continua: “Sono due ubriachi fradici che abbiamo trovati addormentati sotto il ponte della Drava. Con questo freddo, 20° sottozero, mi sa che al mattino non si sarebbero svegliati affatto. Non si sono accorti di nulla. Ora, appena coscienti, li riempiamo di caffè, un calcio nel sedere e fora dalle balle!” “Ma ...” “Beh? Che male c’è ? Lei, signor Tenente, non avrebbe fatto lo stesso? Se possiamo dare una mano, perché no? E poi … nessuno lo sa (!!!) ma lo facciamo sempre.” Andrea Daretti 14 maggio 2014 Milano, via Borgonuovo 23 Palazzo Moriggia Museo del Risorgimento Guerra e fame 1915-1918. L’alimentazione al fronte e in città. Ore 9.30 Presiede Maria Luisa Betri Introduzione M. Messina Ore 10 B. Bracco Corpo e salute nella Grande Guerra. Dal mito della rigenerazione ai processi “degeronici” del conflitto. Ore 10.30 A. Gigli Cibo e guerra nelle pagine dei giornali Ore 11.00 S. Almini, G. Taccola Orientarsi nell’Archivio della Guerra.Fonti sull’alimentazione Coffee break Ore 11.50 E. Scarpellini La guerra a tavola. Dieta e consumi sul fronte interno. Ore 12.20 D. Scala Le foto di guerra Ore 12.40 – 13 Dibattito Ore 13 - Buffet Ore 14.30 Presiede Ada Gigli Ore 14.30 M. Minesso La mobilitazione per la guerra a Milano, crocevia di vecchie e nuove élites. Ore 15.00 A. Bianchi La logistica alimentare al fronte Ore 15.30 M. Canella La Grande Guerra al cinema. Ore 16.00 A. Flores Reggiani Mamme e bambini Sapori di trincea L’intento principale di questo progetto è portare a conoscenza quelle che erano le problematiche di sostentamento alimentare delle nostre truppe durante il conflitto 1915 -1918. Molto si è parlato e scritto delle vicende belliche nelle quali le nostre truppe si distinsero, ma pochissime volte si è preso in considerazione l’aspetto dei bisogni primari del combattente. Primo tra tutti l’alimentazione. Parte fondamentale nel mantenimento dell’efficienza del combattente in linea è il mantenimento delle sue condizioni ottimali di salute e questo passa anche e soprattutto attraverso l’alimentazione. Fanti, bersaglieri ed alpini hanno operato in condizioni spesso proibitive sia dal punto di vista climatico - ambientale che igienico. Capire il patimento ed il sacrificio quotidiano di quegli uomini, costretti ad operare spesso in condizioni precari, ci apre uno sguardo diverso verso quella eroicità quotidiana che ha permesso di arrivare ad un risultato vittorioso nonostante la precarietà della situazione. Importante fu lo stretto legame tra la popolazione nelle nostre retrovie ed i nostri soldati. Spesso succedeva che i nostri contadini triveneti avessero difficoltà di comunicazione con i soldati dislocati poco più avanti della porta della loro casa (Siracusa ebbe più di 7.000 caduti es.), ma ciò nonostante ci fu la capacità volontaria di supportare i nostri soldati che si battevano per la Patria. Sul Canale Cavetta, in sponda destra, i nostri fanti fecero barriera sdraiati sull’argine veneziano mangiando quello che poco lontano (“prima de cascar in acqua” nella laguna Drago - Jesolo) veniva ancora coltivato con ostinazione o pescato dalla laguna. A Zerobranco, alle porte di Treviso città baluardo e nodo cruciale della resistenza sul Piave, le famiglie di contadini, oltre a dare i propri uomini validi alla patria, convertivano le proprie colture in saggina ed erba medica per approvvigionare le salmerie di foraggio e paglia. Ancora oggi una famiglia su tutte è conosciuta con il soprannome dei “paja” (paglia). A Treviso arrivavano le tradotte che portarono anche i primi ragazzi del ’99, che, dopo una tazza di latte caldo, da porta Santi Quaranta partirono subito per Fagarè ed il Molino della Sega sul Piave per respingere il primo tentativo di sfondamento degli austro-ungarici. Non bisogna dimenticare le portatrici carniche che con i loro gerli pesanti e la croce dipinta sul vestito erano già vecchie a 40 anni e ciò nonostante con ferma ostinazione raggiungevano “lassù” i loro uomini, mariti, fratelli, morosi. Portavano di tutto: armi, munizioni e cibo. Ce n’era poco di quest’ultimo, ma era essenziale perché i “loro” uomini riuscissero a resistere la in alto. Una su tutte Maria Plozner Mentil. Scene che si sono ripetute sino all’Adamello. Le donne di Ponte di legno aiutavano anch’esse a mandare su ai nostri alpini asserragliati sul Maroccaro tutto quanto riuscivano a mettere assieme di commestibile. Ma come era organizzato il nostro esercito? Come erano le nostre cucine? Quanto lontane dalla prima linea? Cosa mangiavano i nostri soldati secondo libretta e cosa mangiavano veramente? Che implicazioni mediche ebbe il tipo di alimentazione a cui dovettero sottostare i nostri soldati. Come si adattarono i nostri soldati al “rancio regio” nei vari scenari in considerazione che furono mischiati per la prima volta veneti con siciliani o abruzzesi con piemontesi? Che differenza c’era tra quello che mangiavamo noi e quello che mangiava il nemico o il nostro alleato e perché. Queste differenze hanno influito sullo svolgersi degli eventi? Questi sono alcuni spunti di riflessione da cui partire per approfondire un aspetto importante delle battaglie di trincea quanto l’armamento Logistica, medicina, sociologia, civica, storia e geografia sono le basi su cui si dipana l’argomento e che meritano di essere approfondite coerentemente. Per presentare questo al cittadino si propone: 1) Allestire una mostra di cimeli e foto che illustri il più possibile quali erano le condizioni operative della sussistenza durante il conflitto portando il pubblico a “toccare con mano” come si viveva tra un combattimento e l’altro e mostrando reperti e cimeli sia del nemico che degli alleati per poterne fare confronto. 2) Organizzare una conferenza sul tema proposto coinvolgendo studiosi, storici e medici, militari e del mondo accademico, dalla quale far scaturire una monografia. 3) Organizzare una cena, o comunque un evento conviviale, nella quale riproporre le pietanze proposte dalle “nostre cucine” e quelle più sovente auto preparate in trincea. Nell’intento questa iniziativa deve avere un forte impatto divulgativo culturale sul territorio milanese e lombardo ed essere anche momento formativo per i nostri giovani. A tale proposito vorremmo coinvolgere anche il mondo scolastico, sia civile che militare, attraverso la Scuola Alberghiera Stringher di Udine (che ha già esperienza sull’argomento) e, sia, la Scuola Militare Teulié di Milano, particolarmente sensibile alle tematiche oggetto della nostra iniziativa, svolta in accordo con il Comando Militare Esercito Lombardia . RG Alpin del Domm – 7 Effetti sismici? Bersaglio mobile? No! Sono gli Alpini che battono il pàs-so! Come di consueto, forniamo ai nostri Alpini che si mettono in viaggio verso l’Adunata, le indicazioni stradali et diverse per giungere, confortati nel corpo e nello spirito, a meta. Quest’anno vi forniamo la versione più vìntage del Baedeker, e noi sappiamo quanto gli Alpini amino il vintàge, in senso enologico ovviamente. Varcato il ducato di Milano, attraversato in modo non renziano l’Adda, si entra nello serenissimo dominio marciano, che offre ai viandanti (ancorché con le vulcaniche quattroruote) notevoli possibilità di sosta, anzi bàuli di dolcezze che provvide mani muliebri previdentemente riempirono. Varcati fiumi e rii, si giunge al Livenza, in Friuli, plaga che da tempi immemori offre al viandante boschi dilettevoli et prati ameni, ma soprattutto, se guardate la cartina abbasso, tra Duino et Trieste, la rinomata località balneare di Prosecho, ove ognuno vorrebbe farcisi un tufetho. Per coloro che preferiscono non distrarsi con le amenità del luogo, consigliamo di usare, per la foderatio oculorum, il prosciutto di San Daniél. Per i vegetariani non vegani, et anco qual antico remedio contra la scrofola si consiglia il butirro de Spilimbergo. La redazione augura buona Adunata ai soci ed agli Amici tutti! 8 – Alpin del Domm