Scacco matto in sei mosse a marostica

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Scacco matto in sei mosse a marostica
Numero 79 - Anno XV/2 - Aprile 2014
Edito in proprio da: Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Milano - Gruppo Milano Centro “Giulio Bedeschi”
Redazione: Via Vincenzo Monti 36 - 20123 Milano - tel. 02 48519720 - Responsabile: Alessandro Vincenti - Inviato gratis ai Soci.
Sito web: www.alpinimilanocentro.it E-mail: [email protected]
Scacco matto in sei mosse a marostica
A Marostica quest’anno si è tenuto il CISA
incentrato sulle iniziative promosse dall’ANA in vista delle celebrazioni del Centenario della Ia Guerra Mondiale; diverso quindi dalle edizioni passate.
Il venerdì sera fra i relatori, gli organizzatori e i vari convenuti, si respirava una
certa ansia di solennità e consapevolezza
dell’evento. Qualcuno già anticipava gli
argomenti che avrebbe illustrato il giorno
dopo all’assemblea; i Direttori dei giornali
mostravano una certa inquietudine per non
sapere bene come fare per raccontare degnamente il Centenario. Tutti si guardavano l’uno coll’altro nel ricercare il “Genio
della lampada di Aladino” che desse il
quid per trovare la soluzione vincente, eccezionale ed omnicomprensiva per chiudere una partita complessa e gravosa.
to quelle generazioni, li ha svezzati, selezionati, formati e quelli superstiti si son
fatti carico anche dello “zaino della vita”
di quelli che più non son tornati. Questo
concetto, che si traduce nel nostro “non
dimenticare” e nel “ricordare i morti perché aiutino i vivi”, non è forse la base da
cui è nata la nostra Associazione? Dunque
a riflettere bene, l’impegno della nostra
Associazione non è solo per il Centenario
della Grande Guerra, ma prosegue con
l’altro Centenario che è quello della fondazione dell’ANA. Sono due ricorrenze storiche separate, o le facce di una stessa medaglia?
Ecco che in chi ha colto il messaggio del
“Milite non più ignoto” sorge una domanda che rode la mente, come un tarlo: come
praticamente effettuare la ricerca su quei
giovani di cent’anni fa, i cui nomi son
sbiaditi sui monumenti? Come si possono
Sabato mattina: prima mossa.
Qualcuno porta sugli occhi i segni di una coinvolgere i giovani di oggi a incontrare i
notte insonne. Dopo le presentazioni di rito giovani di allora?
davanti ad un pubblico che affolla la sala,
il nostro Marchesi enuncia la sua relazione Seconda mossa: la scuola, se fatta bene,
inerente al progetto “Il Milite non più … deve insegnare un metodo. Ecco che il
ignoto”. I convenuti hanno tutti nella loro metodo della ricerca viene sommariamente
cartellina distribuita all’ingresso il progetto illustrato: certo non è cosa facile, ma se
e lo sfogliano, ne soppesano l’importanza, applicato con costanza, superando la prime
capiscono che ci si trova difronte a un difficoltà, diventerà via via sempre più
“Monumento” che è base fondamentale per semplice, fino a essere automatico. In fin
tutti noi. La ricerca per dare “anima” a dei conti si hanno ben quattro anni per
quei nomi dei Caduti ormai sbiaditi dal imparare, affinare il metodo e migliorarlo.
tempo nel marmo, non è impresa da matti, Quattro anni … una laurea!
ma è un’operazione doverosa verso noi I giovani di oggi riusciranno ad incontrare
stessi e – in particolare – verso le nuove i giovani di allora, colmando e appianando
giovani generazioni che frequentano le la prima differenza che è solo temporale.
scuole.
Viene fatto un richiamo, anche severo, a
Un messaggio è chiaro: quei giovani di chi detiene i dati e gli strumenti atti a concent’anni fa non erano eroi nati e formati, durre le ricerche. Dei brusii si sollevano
ma solo giovani che sono stati presi dentro nella sala, ma un altro concetto viene chiain un ingranaggio mortale; ne avrebbero rito: con metodo si ricercano le fonti prifatto a meno, certo, ma cosa potevano fare marie nei documenti più disparati, ma i
altrimenti? La danza macabra che ha colpi- dati per identificare i giovani di cent’anni
fa ci son tutti!
Allora “Viribus Unitis”, giusto il motto
degli ex avversari, anche loro giovani centenari, non diversi dai nostri!
L’Ufficio Storico dell’Esercito, le cartografie storiche sovrapposte con quelle attuali, i Sacrari, le leggi regionali, son tutti
strumenti pronti all’uso per far da ponte e
incontrare i giovani di allora con quelli di
oggi.
Quattro ore ci son volute per illustrare le
fondamenta di quel ponte! I convenuti sono stravolti sul viso, come se avessero subito un turno di trincea sotto bombardamento, ma al di la della fatica, nella mente
s’incomincia a ragionare, a soppesare gli
spunti che son stati dati.
Sabato pomeriggio: terza mossa.
Chi era preoccupato di non sapere date,
nomi, cause e conseguenze della Ia Guerra
Mondiale e aveva già rispolverato i vecchi
libri di scuola o navigato per ore in internet
credendo poi di andar così a far lezione ai
ragazzi, scopre che forse non è questo che
si richiede da noi alpini: quelle nozioni e
analisi, lasciamole agli Storici e Accademici!
Invece capiamo che il più bel libro di Storia è – fisicamente – sotto i nostri piedi:
sono i campi di battaglia che ancora oggi e
da sempre percorriamo e che da un po’ di
tempo cerchiamo di conservare. Non è
forse su di essi che gli alpini s’incontrano,
lavorano e ricordano? Ortigara, Adamello,
Pasubio, solo per fare degli esempi …
Alpin del Domm – 1
Sono quasi cent’anni che noi li percorriamo; forse – questo sì – negli ultimi decenni con troppa “leggerezza” … e così un
filo spinato affiorante dal terreno oggi noi
lo schiviamo perché diventato d’impiccio
sul nostro cammino. Ma per chi non è mai
salito con noi, quel filo spinato può diventare il miglior libro di Storia. Lo si faccia
vedere ai giovani di oggi; con cautela lo si
faccia toccare, si spieghi cosa voleva dire
affrontare fili spinati aggrovigliati alti due
metri e profondi cinque, entrarci, tagliarli
con strumenti primitivi, mentre qualcuno ti
mitragliava addosso … nessun libro è capace di raccontare cosa voleva dire “siepi
di filo spinato” se non quel filo stesso superstite e ancora pericoloso.
Far toccare ai ragazzi un panno grigioverde ruvido delle uniformi, soppesare una
scheggia che a cent’anni è ancora affilata
come un rasoio, indicare una scatoletta di
carne dell’epoca abbandonata in un ghiaione e dire che arriva da molto lontano, perché si legge ancora “Norge” e che è finita
lassù grazie a migliaia di persone che ci
han lavorato dietro per produrla, prepararla
e trasportarla, per noi forse son cose senza
alcun interesse; per i nostri giovani, invece, non è così, poiché son le più belle parole di un magnifico libro di Storia: il
“Sentiero della Pace” che passa sui campi
di battaglia, percorre zone che oggi sono
dichiarate Patrimonio dell’Unesco.
Quest’estate facciamo una prova: andiamo
sull’Ortigara, poi sull’Adamello e sul Pasubio; guardiamo per terra e cerchiamo,
con calma, di trovare ancora quelle
“parole” da leggere sul terreno. Lasciamo
che i nostri passi siano – in un certo senso
– guidati dai giovani di cent’anni fa per
dirci di ripassare con i giovani nostri …
questo ci farebbe riscoprire la dizione pellegrinaggio nel vero senso della parola!
Quarta mossa: fra i convenuti molti avevano pensato di commemorare il Centenario programmando nel tempo delle mostre
con oggetti, fotografie e disegni; di eseguire canti, rassegne teatrali e convegni.
Tutte cose giuste, anche se alcuni erano
preoccupati di riproporre formule già note
poiché fatte per il novantesimo o l’ottantesimo … quindi erano alla ricerca del
“pezzo” da museo mai mostrato, dell’opera d’arte mai vista, del canto mai eseguito.
Ma mai nessuno avrebbe pensato di fare
una mostra sensoriale! Questo no e c’è da
diventar matti!
Ecco dunque un’altra mossa importante:
riproporre con la tecnologia di oggi un
percorso sensoriale.
Si pensi a ricostruire una trincea buia, illuminata all’improvviso da flash di luce che
ricordano i riflettori e i razzi di un tempo;
riprodurre il rimbombo del cannone centuplicato dall’eco delle montagne. queste
cose sono state ricreate da un ente istitu2 – Alpin del Domm
zionale che gode fama mondiale: l’Imperial War Museum a Londra. Certo, bisogna
superare l’idea di non cadere nella pura
spettacolarizzazione, creando un fenomeno
rasente Disneyland, ma l’idea, se ben valutata, potrebbe essere vincente dal punto di
vista didattico ed espositivo.
Quinta mossa: l’incontro con i Direttori
dei giornali di Sezione risulta ancora ostico poiché alcuni sono assillati dalla domanda: “Ma io, nel mio piccolo, cosa devo
fare per essere grande in una grande ricorrenza? Io che sono in una zona dove non si
è combattuto, cosa e come posso fare?”
Alcuni – oppressi dall’affanno per ricercare la risposta – per tutto il tempo sono stati
distratti e non hanno perciò colto le opportunità che in quasi otto ore di convegno
sono state illustrate. La sensazione è che il
loro giornale e il loro territorio siano gocce
d’acqua inutili nel mare magnum del Centenario.
Si enuncia perciò un’altra mossa che possa
aprire gli occhi a chi – con serenità d’animo – li voglia aprire: si richiama di nuovo
il progetto del “Milite non più ignoto”,
poiché in ogni paese dalle Alpi alla Sicilia
c’è un monumento ai Caduti; ancora quei
giovani “dimenticati” nel marmo, hanno i
discendenti che vivono sulla porta accanto
di un alpino: chi meglio dei Gruppi possono conoscerli, intervistarli, ricercando notizie? Non è forse il Gruppo la radice principale, radicata sul territorio, su cui si nutre la pianta della nostra intera Associazione? Molte storie locali sono fonte d’interesse: oggetti come cartoline, foto, ricordi
orali degli abitanti dei paesi, sono i tasselli
fondamentali su cui poi si narrano i grandi
eventi. Se questi tasselli non vengono
scritti da un giornale di Gruppo o raccolti
in un giornale di Sezione, quando mai verranno conosciuti dai più? Che si raccolgano allora tutte queste notizie in articoli, si
comunichino con una certa frequenza al
Centro Studi e alla fine dei quattro anni di
Commemorazione, non si avrà forse
un’antologia bell’e pronta, utile per tutti a
livello nazionale, cosicché l’alpino del
gruppo della Valle d’Aosta possa conoscere l’alpino della Sicilia, passando per quello di Trento, dell’Abruzzo di cento anni
fa?
Queste indicazioni sollevano ulteriori domande: “Ma i giornali di Gruppo raccontano la vita di Gruppo, non la Storia!” … e si
cerca, alla fine, in una dialettica pur animata, ma costruttiva, di dipanare questa
cecità. Alcuni dei presenti sembrano capire
e si placano nella mente, altri ancora si
pongono ulteriori domande su come fare
per raccogliere le testimonianze, come se
la cosa fosse una sorta di “pubblicità” per
far conoscere un prodotto commerciale …
La stanchezza in molti sfinisce e acceca la
mente!
Domenica mattina: sesta mossa e … scacco matto, Marostica!
Fase conclusiva del CISA con il compito
grave e solenne di trarre le conclusioni: si
susseguono il past-president Perona, don
Bruno, il generale Primicerj e il Presidente
Favero che con efficaci parole riscaldano i
presenti. Interviene anche il nostro Lavizzari che contribuisce – come gli altri – a
dare a tutti la mossa vincente che, semplicemente e sorprendentemente, era sotto gli
occhi di tutti!
Per commemorare “degnamente” il Centenario 2014-2019 (e si sottolinea 2019, giusto a rimarcare la continuità fra il Centenario della Grande Guerra e quello dell’ANA), non si deve scrivere la Storia con la
“S” maiuscola, ché questo è compito di
altri; non si devono ricercare spasmodicamente eventi eclatanti perché noi alpini –
tutti noi – alla fine commemoriamo il
Centenario da … cento anni!
Lo facciamo ogni giorno, ogni mese, ogni
volta che in pubblico ci mostriamo col
nostro Cappello Alpino in testa. Non sono
cento anni che raccontiamo sui nostri giornali le microstorie degli alpini che in pace
e in guerra hanno fatto il loro dovere? Non
sono cent’anni che camminiamo sui campi
di battaglia, inenarrabili libri di Storia,
unici al mondo? (e sfidiamo chiunque
all’estero a trovarne altri simili per bellezza naturale e spirito di sacrificio).
Scacco matto! Ecco la mossa: semplicemente continuare a narrare e fare quello
che da cent’anni noi facciamo! È un lavorio che da quel tempo lo portiamo avanti e
lo porteremo anche quando commemoreremo il Centenario della Seconda Guerra
Mondiale, poiché il metodo sarà il medesimo; anche in quell’occasione riscopriremo
i nomi sul marmo riferiti ai Caduti della IIa
Guerra.
Ecco: forse perché il nostro operare è così
naturale, svolto fra di noi nella nostra cerchia associativa, ne sottovalutiamo l’eccezionalità.
La vera sfida per i Centenari dunque dovrà
concentrarsi sulla comunicazione esterna
che, probabilmente, non è ancora al passo
dei tempi: e questo potrebbe influenzare
anche il nostro futuro associativo!
Comunicare i Centenari (e quindi il nostro
“lavoro” associativo) dovrebbe essere il
tema di una prossima partita che coinvolgerà prevalentemente soggetti esterni, non
alpini, con i quali dare … scacco matto!
E gli “avversari” sono avvertiti, perché
sono 100 anni che ci mettiamo in gioco,
con naturalezza!
Firmato
Gruppo Alpini
Milano Centro
“Giulio Bedeschi”
Linee guida per il Centenario della Grande Guerra
Sulle vicende storiche che hanno caratterizzato
la nostra Patria nel corso della Prima Guerra
Mondiale, sono state dette innumerevoli cose,
migliaia di libri sono stati scritti - storie generali e particolari, militari e diplomatiche, politiche
ed economiche – ed altri verranno pubblicati in
occasione di questo centenario.
Naturalmente l’occasione di questa celebrazione darà modo a tutti di esprimersi secondo le
loro personali sensibilità.
La nostra Associazione non si troverà certo
impreparata ad un simile evento.
È dal 1919 che gli Alpini ricordano i Caduti
della Grande Guerra.
Lo hanno fatto formando questo sodalizio e, sapendo che gli statuti possono
essere facilmente modificati, hanno
inciso nel marmo della colonna mozza
in Ortigara la regola immodificabile,
l’essenza stessa della associazione, che è racchiusa nel motto: “Per non dimenticare”.
Quello che interessa alla nostra Associazione,
però, non è tanto un’idea di commemorazione
statica e storicistica – che altri ben più qualificati potranno fare – quanto piuttosto il ricordo
dinamico e vivo dell’uomo semplice e della sua
tenacia, del suo infinito coraggio e senso del
dovere che riesca a suscitare negli uomini d’oggi quei sentimenti di compassione e di ammirazione che impongono di misurare le proprie
azioni quotidiane con tanto valore.
Anche i più tragici e grandiosi eventi si perdono nella memoria: i lutti si dimenticano, l’erba
ricresce sulle trincee e sulle tombe; imperi sono
crollati ed altri cambiamenti si verificheranno.
Ciò che resta, però, è l'esperienza umana del
dolore e del dovere, la profonda capacità di
dare e di resistere, una lezione sommessa ed
altissima di piccoli uomini sconosciuti, più veri
e più grandi dei Grandi.
Anche l’esperienza umana del dolore del dovere, tuttavia, per non andar perduta ha bisogno
che nella coscienza collettiva della società vi
sia la consapevolezza che i fatti che caratterizzarono quel periodo furono reali e passarono
sulla pelle di centinaia di migliaia di ragazzi, di
uomini e di donne.
Col tempo infatti si corre il rischio che la prima
guerra mondiale sia vissuta, specie dalle giovani generazioni che non hanno avuto testimonianze dirette, come un evento lontano e quasi
leggendario. Una sorta di gigantesco romanzo
popolato di soggetti immaginari. Quelli che
vivono e muoiono senza dolore e senza particolari conseguenze.
Ed allora occorrerà, per prima cosa, fare in
modo che i nomi incisi sui monumenti ai Caduti presenti nelle nostre città e nei nostri paesi,
tornino ad essere abbinati ad un essere umano
fatto di carne, di sangue e di ossa. Ad un essere
umano che aveva i suoi affetti familiari, le sue
amicizie, le sue attività come chiunque di noi.
Occorre, cioè, restituire la dignità di uomo a
quello che oggi altro non è che un semplice
nome inciso sulla lapide.
Il secondo passaggio dovrà fare giustizia di
quella semplificazione mistificatoria che nel
tempo si è stratificata e che ha dipinto il soldato
italiano come imbelle, vigliacco e sempre alla
ricerca di una scorciatoia.
Il capolavoro di Monicelli “La Grande guerra”
è un esempio abbastanza evidente di questa
incredibile semplificazione.
Occorre, pertanto restituire a quegli uomini
anche la dignità di soldati e quella di semplici
eroi.
Già perché i soldati italiani furono eroi sulle
pietraie del Carso, sulle nevi dell’Adamello.
Furono eroi in Ortigara, in Pasubio e sul Grappa. Ovunque!
Una volta restituita a questi semplici eroi la
dignità di uomo e di soldato sarà necessario
capire cosa abbia spinto questi ragazzi ad affrontare i disagi, i pericoli e gli orrori di quella
che è stata giustamente definita l’Inutile Strage.
Qualcuno, con analisi semplicistica, potrebbe arrivare a
dire che i soldati sono stati
mandati al fronte sotto l’ordine imperativo del Re e con i fucili dei carabinieri ben piantati nella schiena ma ad una analisi meno semplicistica verrebbe da chiedersi
quanti dovevano essere i carabinieri per spingere al fronte qualche milione di uomini armati
fino ai denti.
Forse qualcuno fu davvero spinto dai fucili
delle guardie ma altri, la stragrande maggioranza, andarono al fronte e si comportarono da
soldati solo ed esclusivamente per rispondere
ad un semplice ed elementare dovere del cittadino.
E andarono con l’intima convinzione di contribuire, in un modo o nell’altro, a fare dell’Italia
un posto migliore dove vivere e crescere i loro
figli.
Ed allora il ricordo non potrà che avere come
obiettivo quello di accendere nei cuori, soprattutto dei giovani, una sorta di ardore civile che
li spinga ad operare per dare un senso a
quell’immane sacrificio attraverso il raggiungimento dell’obiettivo che quei ragazzi cent’anni
fa si prefiggevano: fare dell’Italia il posto migliore dove crescere i loro figli.
Ecco perché gli alpini hanno col tempo aggiornato quel motto iniziale del “Per non dimenticare” con quello attuale del “Ricordiamo i Caduti aiutando i Vivi”.
L’idea di un ricordo dinamico e vivo che serva
in un modo o nell’altro ad educare i giovani al
sentimento nazionale deve essere applicato
anche ai sentieri della memoria ed ai Sacrari,
ultime vere cattedrali dedicate ai migliori valori
della Patria.
Occorrerà portare i ragazzi a camminare sugli
stessi sentieri che i nostri soldati hanno percorso un secolo fa in modo che possano meglio
comprendere il sacrificio della guerra e della
vita da trincea.
I ragazzi più grandi potranno essere portati in
veri e propri campi finalizzati alla manutenzione dei sentieri e delle trincee. Anche questo
sarà un modo di avvicinarli a quello che accadde ed ai protagonisti incolpevoli di quella tragedia.
Occorrerà poi rendere fruibili i Sacrari veri e
propri luoghi di meditazione.
Devono essere tenuti vivi. Deve sentirsi la presenza del valore e non sembrare musei stantii di
un Italia che non c’è più.
Devono anch’essi ispirare i giovani ad alti pensieri ma perché ciò possa avvenire sarà necessa-
rio che siano puliti e sistemati ma soprattutto
che siano resi fruibili in ogni periodo dell’’anno
ed in ogni giorno della settimana con particolare riferimento al week end.
Per questo la nostra Associazione ha dato la
propria disponibilità a partecipare alla manutenzione ed all’apertura al pubblico di queste
cattedrali civili.
I nostri alpini sapranno dare anche quel calore
che contribuirà a far sentire vivi questi luoghi.
Naturalmente sia i percorsi scolastici sui luoghi
della memoria e nei campi di manutenzione dei
luoghi, sia l’attività presso i Sacrari avrà bisogno di essere riconosciuta e sostenuta dallo
Stato in primo luogo riconoscendo crediti formativi ai giovani che vorranno impegnarvisi
sotto il controllo delle Associazioni d’arma.
Siamo certi che questi percorsi potranno far
capire ai giovani che l’unico modo per onorare
davvero la memoria dei nostri caduti è quello di
operare per fare tutto ciò che è nelle nostre
possibilità per raggiungere quell’obiettivo per il
quale quei ragazzi, cent’anni fa, hanno pagato il
prezzo più alto.
***
Le celebrazioni per il centenario della grande
guerra, dunque, dovranno servire per ricostruire
ciò che dal secondo dopoguerra in avanti è stato
scientificamente distrutto: il concetto di Patria e
di identità nazionale.
All’inizio del terzo millennio la società ha cominciato a constatare che uno dei maggiori
problemi era costituito proprio dalla mancanza
del sentimento nazionale e dell’amor di Patria.
E la parola Patria è tornata, piano piano, ad
assumere il ruolo delle cose perdute ma che si
vogliono ritrovare.
Sul Corriere del 28 febbraio del 2001, ad esempio, in un articolo dedicato alla scuola che non
insegna "l'Italia" agli studenti, si leggeva:
“L'idea di Patria, nella sua accezione mite e
umana è inestricabilmente legata al sentimento
dei luoghi, alle immagini e alle atmosfere che
producono...”
E, giudicando sbagliate le scelte delle gite all'estero degli studenti, piuttosto che in Italia, si
sosteneva che fosse trascurato un altro importante capitolo della formazione giovanile quello
rivolto al sentimento dell'identità nazionale.
L’importanza di questo sentimento, l'attaccamento alla Patria, alla bandiera, alla propria
storia e tradizioni, costituisce l'elemento distintivo e fondante di una Nazione.
***
Nell’ambito di queste linee guida si muoverà
l’Associazione Nazionale Alpini per celebrare
questo centenario con la speranza che questo
evento possa davvero costituire un punto di
ripartenza soprattutto morale di questo che,
senza falsa modestia, è il più bel paese del
mondo. Naturalmente gli alpini si augurano, in
questo esaltante percorso, di essere affiancati
dalle Istituzioni e da chiunque abbia a cuore i
destini di questa Nazione.
Solo riaccendendo nel cuore dei giovani l’Amore per la Patria, il rispetto per chi per essa ha
dato la vita, solo riscoprendo i grandi valori di
fratellanza e di solidarietà che da quella tragica
esperienza sono sopravvissuti, solo così si potrà
sperare di risollevare la testa.
Cesare Lavizzari
Alpin del Domm – 3
La parabola della Germania, dalla Weltpolitik a Versailles
di Gianluca Pastori *
Il Secondo Reich tedesco svolge un ruolo mobilitazione farraginoso, è percepito, mania presupposto necessario alla realizcentrale nelle vicende che portano alla dallo Stato Maggiore prussiano, come una zazione dei suoi progetti, ma era, allo stesGrande Guerra. Il trattato di Versailles grave minaccia. La possibilità di successo so tempo, percepito da Londra come una
attribuisce esplicitamente (art. 231) alla in una guerra su due fronti (un incubo cui minaccia inaccettabile a una posizione
Germania e ai suoi alleati ‘la responsabili- la ‘vecchia’ politica bismarckiana aveva internazionale messa in discussione anche
tà … per aver causato tutte le perdite ed i sempre cercato di sfuggire) si legava, da dall’emergere di altri concorrenti.
danni che gli Alleati ed i Governi Associa- una parte, alla capacità di assumere un’iniTensioni europee ed internazionali si salti e i loro cittadini hanno subito come con- ziativa rapida e decisiva, dall’altra al perdano, così, nella decisione tedesca di imseguenza della guerra loro imposta dall’ag- fetto sincronismo della sua messa in atto.
boccare la via della guerra. Come per la
gressione della Germania e dei suoi allea- In questa prospettiva, la sconfitta della
maggior parte dei belligeranti, i vertici
ti’. E’ la consapevolezza del sostegno tede- Francia doveva giungere prima del compolitici e militari del Reich prevedono un
sco in caso di intervento della Russia a pleto dispiegamento delle armate zariste,
conflitto breve, seguito da un trattato di
spingere l’Austria-Ungheria a insistere – in modo da consentire il ridispiegamento
pace che spiani la strada
nella forma e nei contealle (molte) ambizioni
nuti – con le richieste
del Paese. Nel caso teavanzate alla Serbia
desco, questa previsione
dopo l’attentato di Sasi fonda soprattutto sulla
rajevo (28 giugno). La
qualità delle forze armamobilitazione
delle
te nazionali, sul loro
forze armate imperiali,
grado di preparazione, e
il 1° agosto, gioca una
sull’accuratezza della
parte
importante
pianificazione strategica
nell’innescare il meccae operativa. Fra il 1914
nismo della mobilitae il 1918, la Germania
zioni incrociate che
riesce
a
schierare
porterà, fra entro la fine
11.000.000 di uomini
del mese, tutte le magcontro i 12.000.000
giori potenze europee
della
Russia,
gli
(con l’eccezione dell’I8.900.000 della Gran
talia) a entrare nel conBretagna, gli 8.400.000
flitto. La guerra e la
L’imperatore Guglielmo II con i suoi sei figli, capodanno 1912 a Berlino
della
Francia,
i
sconfitta (mai, peraltro,
7.800.000 dell’impero
riconosciuta) hanno in Germania ampie sul fronte orientale delle unità tedesche
austro-ungarico e i 5.600.000 dell’Italia.
ricadute determinando – forse ancora più prima schierate su quello occidentale. Questo a fronte di una popolazione di
che in Italia – la dissoluzione del ‘vecchio’ Tuttavia, le ambizioni di Berlino sono più
67.000.000 di abitanti, contro i
ordine politico e l’emergere di uno radical- ampie. L’incidente di Sarajevo offre alla
167.000.000 della Russia, i 46.000.000
mente nuovo, incarnato nella repubblica – Germania di Guglielmo II l’occasione di
della Gran Bretagna, i 39.600.000 della
‘borghese’ e ‘socialista’ – di Weimar. Indi- accreditare definitivamente il suo ruolo di
Francia, i 48.500.000 dell’impero austropendentemente dalle ragioni che sostengo- Grande Potenza non solo sul teatro euroungarico e i 36.000.000 dell’Italia. Inoltre,
no le scelte del governo imperiale, gli ef- peo, ma soprattutto sulla scena internaziosebbene all’inizio del conflitto l’esercito
fetti che esse producono hanno, quindi, nale, dove dagli anni Novanta dell’Ottotedesco non si distaccasse molto dagli altri
una portata che trascende i ‘semplici’ esiti cento aveva iniziato a manifestare un creeserciti europei sul piano tecnico e operatidel conflitto. scente dinamismo. Nel ventennio successi- vo, larga parte delle infrastrutture nazionaLa questione cruciale è cosa spinga la Ger- vo alla sua proclamazione (1871), il Se- li (prima fra tutte la rete ferroviaria) aveva
mania, nel corso del luglio 1914, a schie- condo Reich aveva sperimentato una note- trovato collocazione all’interno del sistema
rarsi anche militarmente a sostegno di vole crescita socio-economica, ponendosi di mobilitazione e radunata; un fatto, queVienna. Nel caso della Serbia, il vincolo al centro della c.d. ‘seconda rivoluzione sto, che assicurava al Paese un notevole
della Triplice alleanza (rinnovata nel industriale’. Dalla fine del XIX secolo, vantaggio sia sulla Francia sia sulla Russia
1912), impone a Berlino di mantenere, in Berlino si era inoltre impegnata in un’am- nella realizzazione dei primi movimenti
assenza di aggressione diretta, ‘una neutra- biziosa politica estera (Weltpolitik) e mili- offensivi.
lità benevola’ (art. 4) o, al più, ‘di concer- tare (Machtpolitik), che dopo un primo
Più che dall’ambito strettamente militare,
tarsi in tempo utile sulle misure militari da periodo di apparente convergenza aveva
le debolezza della Germania derivava,
prendersi in vista di una cooperazione finito per entrare in collisione con la posiquindi, da una generale vulnerabilità straeventuale’ (art. 5). La mobilitazione par- zione e con gli interessi britannici. La c.d.
tegica. L’impero tedesco, frammentato in
ziale russa, il 30 luglio, sebbene formal- naval race (‘corsa alle navi’) è uno degli
quattro continenti (oltre all’Europa: Asia,
mente diretta verso l’Austria-Ungheria, aspetti più noti di questa competizione, e
Africa, e Oceania), era il prodotto dell’agtuttavia, pone Berlino nella necessità di quello più evidenziato dalla stampa dell’egregazione di piccoli possedimenti difficiladottare provvedimenti anticipatori con- poca. Il varo di una flotta da battaglia promente difendibili. Con l’unica eccezione
creti. Il potenziale militare dell’impero gettata e realizzata secondo gli standard
della lunga campagna in Africa orientale,
zarista (5.970.000 uomini, fra dispositivo più moderni e imperniata su una serie di
per Berlino, la guerra si riduce presto a un
di pace e riserve, contro i 4.500.000 della corazzate ‘all big guns’ (le c.d. Dreadaffare sostanzialmente europeo. In Europa,
Germania), pur ostacolato da un sistema di naughts) era infatti considerato dalla Ger4 – Alpin del Domm
poi, la necessità di suddividere lo sforzo
bellico su due fronti – orientale e occidentale – dalle caratteristiche profondamente
diverse, rappresenta un ulteriore fattore di
vulnerabilità, aggravato dalla necessità di
operare sistematicamente, ad Oriente, a
sostegno del più debole alleato austroungarico. Anche il contributo della Hochseeflotte si dimostra, nel corso di tutto il
conflitto, molto inferiore alle attese. La
scelta di fare ricorso alla guerra sottomarina indiscriminata contro i convogli alleati
nell’Atlantico e nel Pacifico è il segnale
più indicativo delle debolezza di una flotta
che – dopo il successo tattico dello Jutland
(31 maggio-2 giugno 1916) – rinuncia di
fatto alle operazioni su larga scala e al
tentativo di rompere il blocco imposto alla
Germania dalle Potenze Alleate. Questa scelta, peraltro, avrà
conseguenze politiche importanti sul lungo periodo, e a
tempo debito favorirà l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto. La principale area di vulnerabilità tedesca riguarda, tuttavia, l’ambito economico. Nonostante il grado di sviluppo
industriale (anzi, in parte, proprio a causa di questo), il Secondo Reich è, nell’agosto
1914, fortemente dipendente
dalle importazioni di materie
prime, fra cui quelle di carbone (nonostante le ampie disponibilità interne) e di metalli
non ferrosi. Pur possedendo
un’importante industria chimica, il Paese
dipende inoltre dall’estero per l’approvvigionamento dei fertilizzanti che ne alimentano il settore agricolo. Il blocco navale
imposto delle Potenze Alleate incide pesantemente su quest’area di vulnerabilità.
Secondo le stime, già nel 1915, esso aveva
determinato una contrazione sia dell’import, sia dell’export tedesco di oltre il
50%, anche se gli impatti sulla popolazione civile (pure presenti) sono in parte limitati dell’efficacia del sistema di razionamento introdotto nel gennaio 1915 e dal
programma di mobilitazione economica
introdotto nell’agosto 1916 (‘Programma
Hindenburg’). La diffusione di prodotti
surrogati (ersatz) cresce, quindi, nel corso
del conflitto, sia in ambito civile, sia militare; sono state comunque avanzate riserve
sul fatto che l’impatto del blocco economico sulla società e le Forze Armate tedesche
sia stato tale di provocare, prima del termine delle ostilità, un tracollo del fronte interno simile a quello accaduto in AustriaUngheria.
Proprio le ragioni della sconfitta avrebbero
innescato un ampio dibattito dopo il 1918.
Al momento dell’armistizio (Compiègne,
11 novembre 1918), le forze tedesche –
sebbene in fase di ripiegamento – occupavano ancora larghe porzioni di territorio
francese e belga. Sul fronte occidentale
erano schierati quattro gruppi d’armate (da
nord a sud: Kronprinz Rupprecht, Deutscher Kronprinz, Gallwitz, e Herzog Albrecht von Württemberg), mentre sul fronte orientale – dove la pace di Brest-Litovsk
(3 marzo 1918) aveva posto fine alle ostilità con la Russia in cambio di pesanti concessioni territoriali – il dispositivo comprendeva altri 500.000 uomini, sebbene,
per la maggior parte, organizzati in forze
di terza linea. L’occupazione della Polonia
orientale, dei territori baltici, della Bielorussia e dell’Ucraina dopo Brest-Litovsk
aveva permesso, inoltre, alla Germania di
mettere le mani sulle infrastrutture e sulle
risorse naturali e minerarie della regione,
privando la Russia di un terzo delle sue
ferrovie, del 73% delle riserve di minerali
ferrosi, dell’89% della produzione di carbone e di circa 5.000 fabbriche e impianti
produttivi. Sebbene asserragliata dietro i
campi minati, anche la flotta da guerra era
sostanzialmente intatta, con la grossa eccezione della squadra del Pacifico
(Ostasiengeschwader), andata perduta
nella battaglia delle Falkland, già all’inizio
del dicembre 1914. Su queste basi, la retorica postbellica
avrebbe spesso visto l’armistizio come una
‘pugnalata alle spalle’, inferta dalla politica a un esercito ancora capace di tenere il
campo pur di fronte a un nemico che, con
l’entrata in guerra degli Stati Uniti, aveva
visto crescere considerevolmente il numero di propri effettivi. La formazione
dell’American Expeditionary Force (AEF)
aveva, infatti, gettato altri 4.000.000 di
uomini (di cui la metà presenti in Francia
al momento dell’armistizio) sulla bilancia
dal lato delle Potenze Alleate e Associate.
Proprio nel 1918, inoltre, l’AEF aveva
iniziato a svolgere una parte importante
nelle operazioni sul campo, partecipando
in forze all’offensiva dell’Aisne (battaglie
di Belleau Wood, 1-26 giugno, e ChâteauThierry, 18 luglio), alla battaglia di SaintMihiel (12-15 settembre), e all’offensiva
di Meuse-Argonne, del 26 settembre
all’armistizio. Le disposizioni del trattato
di Versailles (28 giugno 1919) avrebbero
accentuato questo senso di frustrazione. A
Versailles, fra l’altro, le Forze Armate
tedesche sarebbero state pesantemente
ridimensionate, sia nel numero (ridotto a
100.000 uomini su un massimo di dieci
divisioni), sia nei mezzi. Nello stesso senso avrebbe agito il clima di guerra civile
che avrebbe caratterizzato la vita tedesca
degli anni 1919-20 e il ruolo che le stesse
Forze Armate avrebbero
svolto negli eventi di tale
biennio.
Per queste strade, la prima guerra mondiale
avrebbe svolto una parte
importante nel favorire
l’ascesa di Hitler e del
nazionalsocialismo. La
debolezza delle repubblica di Weimar (1919-33),
le violenze seguite all’armistizio; la natura apertamente puni0000tivo del
trattato di pace; le perdite
territoriali; il dissesto
economico e sociale prodotto dall’iperinflazione
del biennio 1921-23;
l’occupazione di regionichiave della Germania quali la Renania, la
Saar e il bacino della Ruhr... avrebbero
contribuito, infatti, ad alimentare la tensione e il malcontento che furono substrato
dell’esperienza hitleriana. Più ancora dei
2.500.000 morti fra civili e militari (3,8%
della popolazione) e dei 4.250.000 feriti,
questa rappresenta l’eredità duratura della
prima guerra mondiale nella storia e nella
memoria tedesca. La fine del Secondo
Reich, insieme alla disintegrazione
dell’Impero Austro-Ungarico, avrebbe
aperto un vuoto geopolitico che gli Stati
nati dalle paci di Parigi non sarebbero stati
in grado di colmare. Le turbolenze degli
anni fra le due guerre mondiali sono un
buon indicatore di tale stato di cose. Solo
dopo il 1945 le rigidità della guerra fredda
sarebbero riuscita a dare una (provvisoria)
stabilità alla regione, senza tuttavia riuscire a contenere stabilmente il potenziale
attrattivo di una Germania che rimane ancora oggi il perno politico ed economico
del vasto spazio mitteleuropeo. * Gianluca Pastori è Professore Aggregato di Storia
delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università
Cattolica del Sacro Cuore, Milano. Milanese arioso e
Alpin del Domm – 5
«1914-2014 La guerra
invisibile. La voce dei
soldati della Grande Guerra
in 100 opere riscoperte»
Un cappotto da ufficiale, alcuni elmetti
austro-ungarici, bossoli, gavette, un cappello da bersagliere con relativa tromba
d'ordinanza e un cappello alpino del glorioso sesto reggimento, accolgono in una
vetrina, i visitatori alla mostra. All'interno
del salone un centinaio di opere tra acquerelli serigrafie acqueforti , ma soprattutto disegni, matite carta e carboncini
stavano comodi nelle tasche degli zaini e
dei pastrani dei combattenti. Sono esposti
realistici ritratti di soldati, tedeschi e francesi, realizzati durante i momenti di quiete in trincea, con la tecnica del chiaroscuro che permette al visitatore di cogliere lo
stato d'animo desolati. Non mancano le
scene di combattimento, l’assalto, i bombardamenti, gli incendi, il campo di battaglia, colpisce l'opera con un soldato ed un
cavallo feriti mortalmente intrappolati nel
filo spinato, il cavallo ricorda quello raffigurato una ventina di anni più tardi da
Picasso nel suo “Guernica”. Poesie di
Ungaretti il poeta-soldato, Fratelli del
1916 e Veglia del ’15 ci aiutano mirabilmente a comprendere i sentimenti dei
combattenti. Sono i disegni di artistisoldati come Henry De Groux, o il tedesco Fritz Gartner, l'italiano Anselmo Bucci dal segno potente e dinamico. Denunciano con abilità e passione gli orrori della guerra , i compagni feriti e uccisi, la
triste vita di trincea, la voglia di rivedere i
propri cari tornando a casa a guerra finita.
Ci sono ritratti di soldati che nei rari momenti di tranquillità, scrivono a casa, si
riposano, leggono, conversano tra loro,
noi osservatori notiamo che cercano di
scacciare dalla mente, per un breve tratto
di tempo, l'orribile realtà che stanno vivendo. Chiudono l'interessantissima esposizione alcune allegorie sulla morte mietitrice, denunce senza appello sugli orrori
della guerra. Una copia originale del Corriere dei piccoli, ci presenta la propaganda, destinata ai fanciulli del tempo, sul
dovere di amare e difendere la Patria minacciata dallo straniero. Una mostra ben
organizzata e molto interessante, soprattutto per i giovani che possono avvicinarsi e comprendere la tragedia vissuta da
loro “coetanei” protagonisti della storia.
Fabrizio Balliana
6 – Alpin del Domm
NON ODIO PER IL NEMICO
Qualche giorno fa parlavo con il prof. Sergio Pivetta e ricordavamo assieme alcuni
comportamenti tipici comuni a tutte le Truppe Alpine dalla “Tridentina” alla “Monte
Rosa”.
In particolare mi ricordava un atteggiamento
tipico degli Alpini, ovunque fossero schierati, e cioè il saper combattere bene, ma non
l’odio per il nemico. Mi ricordava di un loro
giovanissimo ragazzo tedesco prigioniero,
dopo la battaglia di Jesi (se non ricordo
male) che sfinito e terrorizzato tremava
come una foglia, forse anche pensando a
cosa loro facevano ai prigionieri. Si è avvicinato a lui un alpino che con un sorriso e
una parola burbera gli ha donato un pezzo di
pane bianco e un pezzo di una tavoletta di
cioccolato americano. Poi se ne era andato,
senza aspettare ringraziamenti. Mi raccontava che per questo gesto ha visto la stupefatta
sorpresa e le lacrime scorrere sul viso del
soldatino tedesco.
Io, naturalmente, non ho partecipato a nessun fatto d’arme ma concordavo su questo
aspetto tipico: saper fare la faccia cattiva
quando necessario, ma l’odio, nemmeno per
il nemico, non fa parte della nostra etica.
Nella mia esperienza posso confermare e
nel mio piccolo vorrei testimoniare con un
breve episodio che mi è capitato da giovane
sottotenente ultimo arrivato, che, naturalmente, di Domenica era l’unico Ufficiale
presente in caserma. Si era a poco tempo
dopo i fatti di Cima Vallona ed io ero l’Ufficiale di Picchetto alla Caserma Druso di San
Candido (1967). L’atmosfera in paese era
strana: le libere uscite concesse con il contagocce, i locali intimiditi verso di noi, come
se si aspettassero qualche strana reazione.
La mattina, ore 6.30, io, da buon coscienzioso Ufficiale di Picchetto, faccio il giro delle
camere di sicurezza (= celle) e con mia sorpresa vedo stesi sul pavimento due civili che
straparlavano in tedesco incapaci di reggersi
in piedi.
Chiamo subito il Capo Posto e gli chiedo,
molto preoccupato cosa “diavolo” succede.
Mi risponde con calma: “È stata la Ronda
alpina questa notte. Non abbiamo pensato di
svegliarla”. In un lampo mi sono immaginato che questi due individui avessero cercato
di assassinare innocenti alpini nel buio della
notte, ma fermati ed arrestati dalla vigile
Ronda alpina.
Il Capo Posto continua: “Sono due ubriachi
fradici che abbiamo trovati addormentati
sotto il ponte della Drava. Con questo freddo, 20° sottozero, mi sa che al mattino non
si sarebbero svegliati affatto. Non si sono
accorti di nulla. Ora, appena coscienti, li
riempiamo di caffè, un calcio nel sedere e
fora dalle balle!” “Ma ...” “Beh? Che male
c’è ? Lei, signor Tenente, non avrebbe fatto
lo stesso? Se possiamo dare una mano, perché no?
E poi … nessuno lo sa (!!!) ma lo facciamo
sempre.”
Andrea Daretti
14 maggio 2014
Milano, via Borgonuovo 23
Palazzo Moriggia
Museo del Risorgimento
Guerra e fame 1915-1918.
L’alimentazione
al fronte e in città.
Ore 9.30
Presiede Maria Luisa Betri
Introduzione M. Messina
Ore 10
B. Bracco
Corpo e salute nella Grande
Guerra. Dal mito della rigenerazione ai processi “degeronici” del
conflitto.
Ore 10.30
A. Gigli
Cibo e guerra nelle pagine
dei giornali
Ore 11.00
S. Almini, G. Taccola
Orientarsi nell’Archivio della
Guerra.Fonti sull’alimentazione
Coffee break
Ore 11.50
E. Scarpellini
La guerra a tavola. Dieta e
consumi sul fronte interno.
Ore 12.20
D. Scala
Le foto di guerra
Ore 12.40 – 13 Dibattito
Ore 13 - Buffet
Ore 14.30
Presiede Ada Gigli
Ore 14.30
M. Minesso
La mobilitazione per la guerra a
Milano, crocevia di vecchie
e nuove élites.
Ore 15.00
A. Bianchi
La logistica alimentare al fronte
Ore 15.30
M. Canella
La Grande Guerra al cinema.
Ore 16.00
A. Flores Reggiani
Mamme e bambini
Sapori di trincea
L’intento principale di questo progetto è
portare a conoscenza quelle che erano le
problematiche di sostentamento alimentare
delle nostre truppe durante il conflitto 1915
-1918. Molto si è parlato e scritto delle
vicende belliche nelle quali le nostre truppe
si distinsero, ma pochissime volte si è preso in considerazione l’aspetto dei bisogni
primari del combattente. Primo tra tutti
l’alimentazione. Parte fondamentale nel
mantenimento dell’efficienza del combattente in linea è il mantenimento delle sue
condizioni ottimali di salute e questo passa
anche e soprattutto attraverso l’alimentazione. Fanti, bersaglieri ed alpini hanno
operato in condizioni spesso proibitive sia
dal punto di vista climatico - ambientale
che igienico. Capire il patimento ed il sacrificio quotidiano di quegli uomini, costretti ad operare spesso in condizioni precari, ci apre uno sguardo diverso verso
quella eroicità quotidiana che ha permesso
di arrivare ad un risultato vittorioso nonostante la precarietà della situazione.
Importante fu lo stretto legame tra la popolazione nelle nostre retrovie ed i nostri soldati. Spesso succedeva che i nostri contadini triveneti avessero difficoltà di comunicazione con i soldati dislocati poco più avanti
della porta della loro casa (Siracusa ebbe
più di 7.000 caduti es.), ma ciò nonostante
ci fu la capacità volontaria di supportare i
nostri soldati che si battevano per la Patria.
Sul Canale Cavetta, in sponda destra, i nostri fanti fecero barriera sdraiati sull’argine
veneziano mangiando quello che poco lontano (“prima de cascar in acqua” nella laguna Drago - Jesolo) veniva ancora coltivato con ostinazione o pescato dalla laguna.
A Zerobranco, alle porte di Treviso città
baluardo e nodo cruciale della resistenza
sul Piave, le famiglie di contadini, oltre a
dare i propri uomini validi alla patria, convertivano le proprie colture in saggina ed
erba medica per approvvigionare le salmerie di foraggio e paglia. Ancora oggi una
famiglia su tutte è conosciuta con il soprannome dei “paja” (paglia).
A Treviso arrivavano le tradotte che portarono anche i primi ragazzi del ’99, che,
dopo una tazza di latte caldo, da porta Santi
Quaranta partirono subito per Fagarè ed il
Molino della Sega sul Piave per respingere
il primo tentativo di sfondamento degli
austro-ungarici.
Non bisogna dimenticare le portatrici carniche che con i loro gerli pesanti e la croce
dipinta sul vestito erano già vecchie a 40
anni e ciò nonostante con ferma ostinazione raggiungevano “lassù” i loro uomini,
mariti, fratelli, morosi. Portavano di tutto:
armi, munizioni e cibo. Ce n’era poco di
quest’ultimo, ma era essenziale perché i
“loro” uomini riuscissero a resistere la in
alto. Una su tutte Maria Plozner Mentil.
Scene che si sono ripetute sino all’Adamello. Le donne di Ponte di legno aiutavano
anch’esse a mandare su ai nostri alpini asserragliati sul Maroccaro tutto quanto riuscivano a mettere assieme di commestibile.
Ma come era organizzato il nostro esercito?
Come erano le nostre cucine? Quanto lontane dalla prima linea?
Cosa mangiavano i nostri soldati secondo
libretta e cosa mangiavano veramente? Che
implicazioni mediche ebbe il tipo di alimentazione a cui dovettero sottostare i nostri soldati.
Come si adattarono i nostri soldati al
“rancio regio” nei vari scenari in considerazione che furono mischiati per la prima
volta veneti con siciliani o abruzzesi con
piemontesi?
Che differenza c’era tra quello che mangiavamo noi e quello che mangiava il nemico
o il nostro alleato e perché. Queste differenze hanno influito sullo svolgersi degli
eventi?
Questi sono alcuni spunti di riflessione da
cui partire per approfondire un aspetto importante delle battaglie di trincea quanto
l’armamento Logistica, medicina, sociologia, civica, storia e geografia sono le basi
su cui si dipana l’argomento e che meritano
di essere approfondite coerentemente.
Per presentare questo al cittadino si propone:
1) Allestire una mostra di cimeli e foto che
illustri il più possibile quali erano le condizioni operative della sussistenza durante il
conflitto portando il pubblico a “toccare
con mano” come si viveva tra un combattimento e l’altro e mostrando reperti e
cimeli sia del nemico che degli alleati per
poterne fare confronto.
2) Organizzare una conferenza sul tema
proposto coinvolgendo studiosi, storici e
medici, militari e del mondo accademico,
dalla quale far scaturire una monografia.
3) Organizzare una cena, o comunque un
evento conviviale, nella quale riproporre
le pietanze proposte dalle “nostre cucine”
e quelle più sovente auto preparate in trincea.
Nell’intento questa iniziativa deve avere
un forte impatto divulgativo culturale sul
territorio milanese e lombardo ed essere
anche momento formativo per i nostri
giovani.
A tale proposito vorremmo coinvolgere
anche il mondo scolastico, sia civile che
militare, attraverso la Scuola Alberghiera
Stringher di Udine (che ha già esperienza
sull’argomento) e, sia, la Scuola Militare
Teulié di Milano, particolarmente sensibile alle tematiche oggetto della nostra iniziativa, svolta in accordo con il Comando
Militare Esercito Lombardia
.
RG
Alpin del Domm – 7
Effetti sismici? Bersaglio mobile? No!
Sono gli Alpini che battono il pàs-so!
Come di consueto, forniamo ai nostri
Alpini che si mettono in viaggio verso
l’Adunata, le indicazioni stradali et diverse per giungere, confortati nel corpo
e nello spirito, a meta.
Quest’anno vi forniamo la versione più
vìntage del Baedeker, e noi sappiamo
quanto gli Alpini amino il vintàge, in
senso enologico ovviamente.
Varcato il ducato di Milano, attraversato
in modo non renziano l’Adda, si entra
nello serenissimo dominio marciano,
che offre ai viandanti (ancorché con le
vulcaniche quattroruote) notevoli possibilità di sosta, anzi bàuli di dolcezze che
provvide mani muliebri previdentemente
riempirono. Varcati fiumi e rii, si giunge
al Livenza, in Friuli, plaga che da tempi
immemori offre al viandante boschi dilettevoli et prati ameni, ma soprattutto,
se guardate la cartina abbasso, tra Duino
et Trieste, la rinomata località balneare
di Prosecho, ove ognuno vorrebbe farcisi un tufetho.
Per coloro che preferiscono non distrarsi
con le amenità del luogo, consigliamo di
usare, per la foderatio oculorum, il prosciutto di San Daniél. Per i vegetariani
non vegani, et anco qual antico remedio
contra la scrofola si consiglia il butirro
de Spilimbergo.
La redazione augura buona Adunata ai
soci ed agli Amici tutti!
8 – Alpin del Domm