01 - Sommario 705-706 copia

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01 - Sommario 705-706 copia
R ivista D iocesana N ovarese
Bollettino Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia di Novara
Sommario
ANNO XCVII - Nº 3 - MARZO 2012
LA PAROLA
DEL
VESCOVO
Una nuova etica del dono
Primo Quaresimale sull’Economia e Finanza 131
Messaggio per il Funerale del Presidente
Oscar Luigi Scalfaro
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Omelia alla Messa funebre
di mons. Giuseppe Cacciami
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Discorso ai partecipanti alla Rota Romana
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Incontro di inizio Quaresima con il clero
di Roma
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L’ultimo saluto al Presidente
Oscar Luigi Scalfaro
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CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
Veglia delle Palme 2012
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UFFICIO
Cammino quaresimale e Messa Crismale
del Giovedì Santo
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LA PAROLA
DEL
PAPA
ORDINARIATO
DEL
CLERO
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Relazione del Vicario Giudiziale
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PASTORALE PELLEGRINAGGI
Pellegrinaggi proposti nel 2012
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INFORMAZIONI
Dioecesis
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IN MEMORIA
Mons. Giuseppe Cacciami
178
Padre Lamberto Ferraris
185
TRIBUNALE
ECCLESIASTICO
PIEMONTESE
Ufficiale per gli Atti di Curia Attività Pastorali in Diocesi Direttore Responsabile Mons. Giuseppe Cacciami
Reg.Tribunale di Novara n. 4 del 18-08-1948
Per abbonamento: CANCELLERIA CURIA DIOCESANA
Via Puccini 11 - 28100 NOVARA • Tel. 0321/661.661 • Fax 0321/661.662
C.C.P. n. 15682289
Copia distribuita solo in abbonamento ABBONAMENTO PER IL 2012
€ 45
IN COPERTINA:
Ritratto del BEATO INNOCENZO XI
101° Vescovo di Novara (1650-1656) e Sommo Pontefice (1676-1689)
NEL
4° CENTENARIO DELLA NASCITA (foto don Tino)
Edizione della Stampa Diocesana Novarese - Fotocomposizione in proprio
Stampa - Poligrafica Moderna S.R.L. - Novara
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Una nuova etica del dono
Primo Quaresimale del Vescovo per l’Economia e Finanza
Progetto Passio 2012
Università di Novara - 10 marzo 2012
Prendendo spunto dal cruciale dibattito sviluppatosi durante il “Primo
Quaresimale per l’economia e la finanza”, abbiamo chiesto al nostro Vescovo
Franco Giulio Brambilla un’intervista, in cui affrontare il tema dell’etica in
questa mutata situazione, che tanto sta influenzando la nostra società.
Il Vescovo ci offre una riflessione puntata soprattutto sul valore del dono, cioè
della carità come fattore di sviluppo, come emerso con forza dal “Quaresimale”.
Monsignor Brambilla, di fronte alla crisi che sta travagliando il mondo è emerso da più parti un nuovo bisogno di etica? Ma quale etica?
Se il richiamo non vuole essere velleitario non può bastare l’appello a un’etica genericamente intesa. Affinché si generi un cambiamento reale, questa crisi deve influire soprattutto sugli stili di vita e sulla costruzione di un nuovo
legame e responsabilità sociale, regole per il mercato che tutelino sia il risparmio sia il credito e, più ampiamente, il lavoro e lo sviluppo.
Ma come si è giunti a questa situazione?
La questione è innanzitutto antropologica. Una riflessione interessante su
questi aspetti è quella presente nell’opera Consumo, dunque sono di Zygmunt
Bauman, l’autore diventato famoso per l’immagine della “modernità liquida”.
Bauman afferma che stiamo passando da una società della produzione a una
società dei consumi, e che sotto l’avidità cui assistiamo quotidianamente bisogna leggere un processo più profondo. Il profitto non è da demonizzare in assoluto perché, nella misura in cui serve a migliorare e viene anche condiviso, non
può essere condannato. C’è però in atto un mutamento più radicale che, in termini filosofico-culturali, appare strutturale e non congiunturale.
Questa crisi è l’epifenomeno di un movimento più profondo, un cambiamento che sta avvenendo e che, culturalmente parlando, è il passaggio dalla
modernità alla postmodernità, verso una società che Bauman definisce “consumistica” e non semplicemente “dei consumi”.
Che effetti sta producendo questo mutamento sulla nostra realtà?
Due citazioni descrivono bene la ricaduta antropologica di questo passaggio.
La prima: “Il passaggio dal consumo al consumismo ha acquistato nella vita
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
della maggior parte delle persone un’importanza particolare se non centrale, trasformandosi nello scopo stesso dell’esistenza in cui la nostra capacità di volere,
di desiderare, di agognare e specialmente di fare esperienza ripetuta di tali emozioni diventa l’effettivo fondamento dell’economia”.
Si sta facendo avanti un altro tipo di società: quella dei consumi. È una
società che rompe i legami e crea individui singoli ed isolati, determinando uno
scollamento tra privato e società.
La seconda: “Il desiderio umano di sicurezza e il sogno di uno stato stazionario e definitivo mal si accordano con la società dei consumatori. Nel percorso verso questa società il desiderio umano di stabilità deve trasformarsi, e in realtà si
trasforma, da principale punto di forza del sistema nella sua principale forma di
passività: potenzialmente fatale. Difficilmente le cose potevano essere diverse
perché il consumismo, in netto contrasto con le forme di vita precedenti, associa
la felicità non tanto alla soddisfazione dei bisogni, quanto piuttosto alla costante crescita della qualità e quantità di desideri; il che implica a sua volta il rapido utilizzo e la rapida sostituzione degli oggetti con cui si pensa e si spera di soddisfare questi desideri. Essa abbina l’insaziabilità dei bisogni all’impulso, all’imperativo di guardare costantemente alle merci per soddisfarli. Nuovi bisogni
richiedono nuove merci, nuove merci richiedono nuovi bisogni e desideri”.
L’avvento del consumismo non punta a preservare i beni per il futuro ma a
smaltirli. Ecco la grande differenza.
Come influisce questa dinamica sulla vita quotidiana, sulle persone?
La cosa veramente scioccante è la diversa esperienza del tempo che la società
dei consumi genera, un’esperienza del tempo frammentaria, puntinista, istantanea, per la quale qualcuno ha parlato di “dittatura dell’istante”.
E come se uno vedesse isolatamente ogni istante della propria vita e volesse
consumare il massimo nel minimo di tempo. Lo si vede essenzialmente in quegli strati sociali più assorbenti: le fasce giovanili, soprattutto adolescenziali, le
quali pensano che l’istante sia il tutto e che il tutto sia presente nel frammento.
Si vive di frammenti che non costruiscono una storia in progresso, ma ripartono sempre da capo. Guardiamo i sintomi: vi è un’enorme difficoltà a costruire storie che rimangano nella vita, dalla famiglia all’impresa ed alla professione. Il lavoro non è più concepito con ampio orizzonte, non è più un luogo d’investimento personale.
A cosa andiamo incontro, dunque?
Questi due aspetti – l’individualismo personale e la frammentazione del tempo – sono conseguenze del tema del consumo, anzi del consumismo, ossia dell’uomo che si percepisce prevalentemente come soggetto di bisogni. È chiaro
che l’uomo e la donna sono anche soggetti di bisogno, ma la realtà ci dice che
i loro bisogni più profondi non possono trovare risposte meramente materiali.
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
Quali indicazioni emergono per il mondo finanziario, della produzione
e del lavoro?
Dal nostro “Primo Quaresimale per il mondo dell’economia e della finanza”,
promosso dal Progetto Passio, è emerso il valore del dono, cioè della carità
come fattore dello sviluppo economico e della giustizia sociale. Lo strategico n.
34 della Caritas in Veritate è stato lo spunto decisivo che ha dominato gli interventi del convegno tenuto nell’aula magna dell’Università di Economia di
Novara, che ci ha generosamente ospitati. L’idea del valore politico della carità
proclama che il dono non è semplicemente accessorio al regime della giustizia
che deve regolare i rapporti sociali. Il regno della Giustizia invoca la dimensione escatologica della giustizia del Regno (la comunione con Dio e la fraternità).
Per non scadere nell’assolutismo di una giustizia “commutativa” (do ut des) che
non si alimenta all’eccedenza del dono e per non mettere “a margine” la gratuità della carità come un rimedio privato (personale o di gruppo) all’impossibilità terrena della giustizia. L’ultimo paragrafo del n. 34 lo afferma esplicitamente. Per questo conviene citarlo:
“Nell’affrontare questa decisiva questione, dobbiamo precisare, da un lato, che
la logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone ad essa in un
secondo momento e dall’esterno e, dall’altro, che lo sviluppo economico, sociale
e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al
principio di gratuità come espressione di fraternità”.
Il principio, formulato nella sua limpida chiarezza, esige di essere mediato,
mostrando come il mercato non può soggiacere solo alla logica mercantile della giustizia commutativa (di scambio), ma ha bisogno anche della giustizia
distributiva a cui presiede l’istanza politica, finalizzata alla ridistribuzione dei
beni in vista del bene comune. L’enciclica puntualizza che il mercato come luogo dell’economia di scambio non coincide subito con ideologia del profitto ad
ogni costo. Si evoca indirettamente che l’economia di scambio si fonda sull’eccedenza del dono: gli uomini possono regolare i loro rapporti mediante scambi di beni solo se, scambiando beni, alimentano l’alleanza tra loro mediante
l’eccedenza del dono: «La grande sfida che abbiamo davanti a noi [...] è di
mostrare [...] che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del
dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la
normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale,
ma anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di una esigenza
ad un tempo della carità e della verità» (si veda il n. 36 della stessa Caritas in
Veritate).
Come praticamente il valore del dono/carità mette in discussione sia la
giustizia commutativa (di scambio) che quella distributiva (il welfare)?
La logica del dono e della fraternità, in altri termini della carità, appare
necessaria al regime della giustizia. Infatti, anche la logica di scambio non ha
di mira solo lo scambio dei beni, ma tende ad aumentare l’alleanza sociale, a
far crescere l’appartenenza comune alla città dell’uomo. Per questo anche nel
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LA PAROLA
DEL VESCOVO
rapporto tra pari (io ti do una cosa e tu mi dai qualcosa in cambio) ha bisogno
di una gratuità che prevede l’accrescimento della vita comune. La società mercantile non può vivere senza la speranza che nel dare e nel ricevere si accresce il patrimonio di umanità della vita sociale. Senza dono anche la giustizia
dello scambio dei beni s’inaridisce in una logica mercantile sempre minacciata dall’avidità, dal carrierismo, dalla voracità personale e sociale.
Ma anche il dono tra situazioni dispari, tra chi dona e chi ha bisogno, necessita della carità intesa non solo come soccorso al bisogno, neppure soltanto
come rispetto della dignità del povero, ma come liberazione dal bisogno. Il
modo con cui aiuto il povero, il sofferente, l’indigente, l’immigrato, è per dirgli
fin dall’inizio – scommettendo sul tempo – che prima o poi (meglio prima che
poi) anche lui dovrà diventare un cittadino “alla pari” che deve ridare quello
che ha ricevuto, magari non a me e nelle stesse forme, ma alla vita comune
della società civile. Per questo la carità (intesa non soltanto come relazione di
aiuto, ma come esperienza di fraternità), rende gli uomini liberi, non li tratta
solo da uguali, ma li fa soggetti attivi del destino comune della società degli
uomini. E corregge anche una concezione solo pietistica del welfare che si ferma solo a soddisfare richieste, ma non vuole veramente che gli altri diventino
autonomi e liberi, soggetti attivi della patria comune dove tutti si sentono a
casa. È questo il cuore pulsante del messaggio papale. Questo è stato anche il
messaggio forte del convegno, tenuto sotto le volte dell’Università di Economia
di Novara.
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CENTRO DIOCESANO GIOVANILE
VEGLIA DELLE PALME 2012
Sabato 31 marzo
A Ghemme
In occasione della XXVII Giornata Mondiale della Gioventù, si terrà
sabato 31 marzo a Ghemme la Veglia delle Palme.
Tema della giornata sarà:
“Prima persona plurale. SIAMO Chiesa”
PROGRAMMA
Accoglienza in piazza Antonelli (chiesa parrocchiale)
a partire dalle 15.45
Adorazione Eucaristica animata e Confessioni
dalle 16 alle 19
Concerto live della band musicale “Skortza”
alle 16.30 in piazza Castello
Evento speciale in piazza Castello
dalle 17.30 alle 19.00
Interverranno: Gianpiero Perone (comico di Zelig e Colorado),
Francesco Sportelli (cantante), Andrea Carretti (animatore), don
Ildephonse (testimone del Burundi)
Cena al sacco e animazione in oratorio
dalle 19.00
Veglia delle Palme in piazza Castello
alle 20.45, presieduta da Mons. Franco Giulio Brambilla
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UFFICIO
DEL
CLERO
Cammino quaresimale
e Messa Crismale del Giovedì Santo
INCONTRI DEL VESCOVO NEI VICARIATI
Il Vescovo Mons. Franco Giulio Brambilla, nel periodo di Quaresima e
Pasqua, ha programma la visita a tutti gli otto Vicariati.
Il programma prevede la permanenza del Vescovo sul territorio per due giorni. Sono previsti tre incontri: con i sacerdoti, con i religiosi e le religiose, ed
infine con gli operatori pastorali. In ciascuno dei vicariati, inoltre, il vescovo
incontra alcune delle realtà ecclesiali e sociali significative che operano sul territorio.
A conclusione della sua visita, tutti gli operatori del Vicariato partecipano al
momento centrale: la celebrazione eucaristica.
Calendario degli incontri nei Vicariati
20 febbraio
24 febbraio
5 marzo
6 marzo
13 marzo
15 marzo
Ovest Ticino
19 marzo
22 marzo
Verbano
26 marzo
28 marzo
Aronese
16 aprile
18 aprile
Cusio
23 aprile
24 aprile
Valsesia
14 maggio
15 maggio
Ossola
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Novara
Borgomanerese
UFFICIO
DEL
CLERO
GIOVEDI’ SANTO
Anche quest’anno l’olio che verrà consacrato dal Vescovo proviene dagli uliveti confiscati dalla Magistratura e affidati alla Cooperativa sociale “Libera” di
don Ciotti, che si propone il riscatto sociale e la formazione dei giovani in diverse zone del meridione d’ Italia.
INDICAZIONI PER I SACERDOTI
I Sacerdoti assumeranno i paramenti nella sala della Maddalena. Si recheranno in Cattedrale , nei posti loro assegnati, alle ore 9,15. La Messa Crismale
avrà inizio alle ore 9,30.
Tutti i Sacerdoti sono invitati a concelebrare, portando con sé il camice e la
stola bianca.
All’offertorio, utilizzando le buste distribuite, offriranno al Vescovo un contributo per far fronte alle necessità del Seminario.
Anche quest’anno sarà offerto ai presenti un rinfresco presso il vescovado:
occasione per uno scambio fraterno di auguri pasquali.
IL SEGNO DELLA SOLIDARIETÀ QUARESIMALE
“CARITASnet. Uno slogan per dire che la società civile, per essere più umana, è chiamata a divenire una “rete” di solidarietà. A cominciare, innanzitutto
dalla conoscenza delle situazioni di disagio e delle iniziative in atto sul territorio per rispondervi.
L’iniziativa è sostenuta da comitato Passio 2012 che offre spazi e opportunità
alle iniziative di solidarietà dell’Associazione Il Solco, della Caritas vicariale
novarese e dell’ANGSA Novara onlus (in collaborazione con il Rotary Club di
Orta S Giulio), affinché queste realtà possano rendere note le loro attività e
contattare nuovi potenziali sostenitori e collaboratori.
COLLETTA PRO TERRA SANTA
Eccellenza Reverendissima,
l’attesa quaresimale della Pasqua del Signore è
una occasione propizia per sensibilizzare l’intera Chiesa Cattolica a favore della Terra Santa, promuovendo particolari iniziative di preghiera e di carità fraterna.
Rivolgo, perciò, un cordiale invito a tutte le comunità ecclesiali affinché si
pongano al fianco dei cristiani di Gerusalemme, Israele e Palestina, come dei
Paesi circostanti, Giordania, Siria, Libano, Cipro, Egitto, i quali compongono
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UFFICIO
DEL
CLERO
insieme quella Terra benedetta. Il Figlio di Dio fatto uomo, dopo averla attraversata per annunciare il Regno ed aver confermato la parola con prodigi e
segni (cf At 2,22), è salito alla Santa Città per immolare Sé stesso: ha patito, è
morto sulla Croce, è risorto e ci ha donato lo Spirito. Da allora ogni cristiano
ritrova se stesso in quella Città e in quella Terra. Ciò è possibile perché ancora oggi i pastori posti dal Signore Gesù vi raccolgono i fratelli e le sorelle nella
fede a celebrare l’amore di Colui che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5).
La Congregazione per le Chiese Orientali ricorda ai vescovi del mondo intero
la costante richiesta di Papa Benedetto XVI affinché sia generosamente sostenuta la missione della Chiesa nei Luoghi Santi. E’ una missione specificamente pastorale, ma nel contempo offre a tutti indistintamente un encomiabile servizio sociale. Così cresce quella fraternità che abbatte le divisioni e le discriminazioni per inaugurare sempre di nuovo il dialogo ecumenico e la collaborazione interreligiosa. Ciò costituisce un’ammirevole opera di pace e di riconciliazione, tanto più necessaria oggi, preoccupati come siamo col Santo Padre
“per le popolazioni dei Paesi in cui si susseguono tensioni e violenze, in particolare la Siria e la Terra Santa” (Discorso agli Ambasciatori presso la Santa
Sede, 9 gen. 2012). Ed anche in seguito Sua Santità ha pregato accoratamente per la Siria, rinnovando “il pressante appello a porre fine alla violenzaYper
il bene comune dell’intera società e della Regione” (Angelus, domenica 12 feb.
2012).
Il giorno che i Sommi Pontefici hanno scelto per la Collecta pro Terra Sancta
è il venerdì che precede la Pasqua, anche se ogni comunità potrà scegliere altra
opportuna circostanza per proporre ai fedeli la solidale iniziativa. Il Venerdì
Santo quest’anno sembra interpretare ancor più le necessità dei pastori e dei
fedeli, le quali sono racchiuse nelle sofferenze di tutto il Medio Oriente. Per i
discepoli di Cristo le ostilità sono il pane quotidiano che alimenta la fede e talora fanno risuonare l’eco del martirio in tutta la sua attualità. L’emigrazione cristiana è acuita dalla mancanza di pace, che tenta di impoverire la speranza,
mutandosi nella paura di essere soli davanti ad un futuro che sembra non esistere se non come abbandono della propria patria.
Come per l’evangelico chicco di frumento (cf Gv 12,24), la fatica dei cristiani
di Terra Santa prepara senz’altro un domani di bene, ma chiede oggi di sostenere scuole, assistenza sanitaria, necessità abitative, luoghi di aggregazione e
tutto quanto ha saputo suscitare la generosità della Chiesa. Quanta fede scopriamo nei giovani, desiderosi di testimoniare le beatitudini, amando i loro
Paesi nell’impegno per la giustizia e per la pace con i mezzi della non violenza
evangelica. Quanta orgogliosa fede, quanta fermezza, ci viene trasmessa da chi
proferisce parole di riconciliazione e di perdono, sapendo di dover rispondere
in tal modo alla violenza e talora al sopruso.
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UFFICIO
DEL
CLERO
Abbiamo il dovere di restituire il patrimonio spirituale ricevuto dalla loro
millenaria fedeltà alle verità della fede cristiana. Lo possiamo e lo dobbiamo
fare con la nostra preghiera, con la concretezza del nostro aiuto, con i pellegrinaggi. L’Anno della Fede, nel cinquantesimo del Concilio Ecumenico
Vaticano II, fornirà motivazioni singolari per muovere i nostri passi verso quella Terra, peregrinando ancor prima col cuore tra i misteri di Cristo in compagnia della Santa Madre del Signore.
Il prossimo Venerdì Santo, attorno alla Croce di Cristo, ci sentiremo insieme
a questi nostri fratelli e alle sorelle: la solitudine che talora si affaccia fortemente nella loro esistenza sia vinta dalla nostra fraternità. Ed essi possano
proclamare nella serenità del corpo e dello spirito che “Gesù è il Signore” (At
11,20), affinché “la porta della fede” (At 14,27) continui a spalancarsi proprio
da quella Terra ad assicurare il perdono e la bontà di Dio per l=intera famiglia
umana.
La nostra Congregazione si fa portavoce della gratitudine che Papa Benedetto
XVI esprime ai pastori, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai giovani e a
quanti si prodigano per la Terra di Gesù. Ed è sicura di interpretare il grazie
della Diocesi patriarcale di Gerusalemme, della Custodia Francescana e delle
locali Chiese Orientali Cattoliche.
Con l’augurio migliore nella gioia del Signore Crocifisso e Risorto.
Leonardo Card. Sandri
Prefetto della congregazione
per le Chiese Orientali
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UFFICIO
DEL
CLERO
Giornata di fraternità sacerdotale
Seminario San Gaudenzio
Lunedì 7 maggio
Lunedì 7 maggio, in seminario, si terrà la Giornata di fraternità sacerdotale,
tradizionale occasione per festeggiare i sacerdoti che nel 2012 ricordano un
significativo anniversario di ordinazione: 25°, 50°, 60°, 65° e 70°.
Quest’anno la Giornata si arricchirà di un altro significato: è la prima volta
che il nuovo Vescovo mons. Franco Giulio Brambilla vivrà con noi questo gioioso incontro di fraternità.
Il nostro Vescovo presenterà la riflessione di aggiornamento culturale e spirituale del clero sul tema: La famiglia tra lavoro e festa, nella qualità di Co-presidente del Comitato teologico pastorale che ha organizzato il Congresso
Internazionale Teologico Pastorale, in occasione del Settimo Incontro Mondiale
delle Famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 1 giugno 2012.
Nel contesto della Giornata, infine, alcuni seminaristi di II Teologia presenteranno al Vescovo la domanda di ammissione tra i candidati al Diaconato e al
Presbiterato. Questo segno diventa un invito a tutti i sacerdoti a una attenta e
responsabile pastorale vocazionale, aiutando i ragazzi e i giovani a scoprire
una possibile chiamata al sacerdozio e ad accompagnarli in una generosa
risposta.
PROGRAMMA
9,15
Accoglienza
9,30
Santa Messa presieduta dal Vescovo
Concelebrano tutti i sacerdoti presenti, provvisti di camice e
stola bianca.
I festeggiati portino solo il camice; indosseranno la casula
che sarà messa a disposizione in seminario.
11,15
Nell’auditorium “Mons. Del Monte” il nostro Vescovo proporrà
la riflessione sul tema: La famiglia tra lavoro e festa.
13,00
Pranzo.
I sacerdoti sono invitati a ritirare il ticket di prenotazione
all’arrivo in seminario.
140
UFFICIO
DEL
CLERO
ANNIVERSARI
70 anni di Messa ( ordinato nel 1942)
AVONDO ARMANDO
65 anni di Messa (ordinati nel 1947)
AVVIGNANO FRANCO
BIGNOLI GIACOMO
GADDIA ALDO
MORETTI MONS. GIOVANNI BATTISTA
UDINI PIERO
60 anni di Messa (ordinati nel 1952)
AGAZZINI GIUSEPPE
FRIGERIO FAUSTO
MAINARDI ANGELO
TAMONE SERAFINO
50 anni di Messa (ordinati 1962)
BERTOLOTTI ARMANDO
CASTELLETTA ROBERTO
MELLONI ARTURO
PIUMARTA LUCIANO
25 anni di Messa (1987)
BOTTA GIORGIO
GALLI FRANCO
MICOTTI ADRIANO
SOLDAVINI TIZIANO
VERDINA ARMANDO
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LA PAROLA
DEL
PAPA
Senza giustizia non c’è vero diritto
«Nella Chiesa l’interpretazione della legge canonica»
Discorso del Papa ai partecipanti alla Rota Romana
Roma - 21 gennaio 2012
Cari Componenti del Tribunale della Rota Romana!
E’ per me motivo di gioia ricevervi oggi nell’annuale incontro, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Rivolgo il
mio saluto al Collegio dei Prelati Uditori, ad iniziare dal Decano, Mons. Antoni
Stankiewicz, che ringrazio per le sue parole. Un cordiale saluto anche agli
Officiali, agli Avvocati, agli altri collaboratori, e a tutti i presenti. In questa circostanza rinnovo la mia stima per il delicato e prezioso ministero che svolgete
nella Chiesa e che richiede un sempre rinnovato impegno per l’incidenza che
esso ha per la salus animarum del Popolo di Dio.
Nell’appuntamento di quest’anno, vorrei partire da uno degli importanti
eventi ecclesiali, che vivremo tra qualche mese; mi riferisco all’Anno della fede,
che, sulle orme del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, ho voluto indire nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico
Vaticano II. Quel grande Pontefice – come ho scritto nella Lettera apostolica di
indizione – stabilì per la prima volta un tale periodo di riflessione «ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della
vera fede e alla sua retta interpretazione».1
Riallacciandomi a una simile esigenza, passando all’ambito che più direttamente interessa il vostro servizio alla Chiesa, oggi vorrei soffermarmi su di un
aspetto primario del ministero giudiziale, ovvero l’interpretazione della legge
canonica in ordine alla sua applicazione.2 Il nesso con il tema appena accennato – la retta interpretazione della fede – non si riduce certo a una mera assonanza semantica, considerato che il diritto canonico trova nelle verità di fede
il suo fondamento e il suo stesso senso, e che la lex agendi non può che rispecchiare la lex credendi. La questione dell’interpretazione della legge canonica,
peraltro, costituisce un argomento assai vasto e complesso, dinanzi al quale mi
limiterò ad alcune osservazioni.
Anzitutto l’ermeneutica del diritto canonico è strettamente legata alla concezione stessa della legge della Chiesa.
Qualora si tendesse a identificare il diritto canonico con il sistema delle leg-
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LA PAROLA
DEL
PAPA
gi canoniche, la conoscenza di ciò che è giuridico nella Chiesa consisterebbe
essenzialmente nel comprendere ciò che stabiliscono i testi legali. A prima
vista questo approccio sembrerebbe valorizzare pienamente la legge umana.
Ma risulta evidente l’impoverimento che questa concezione comporterebbe:
con l’oblio pratico del diritto naturale e del diritto divino positivo, come pure
del rapporto vitale di ogni diritto con la comunione e la missione della Chiesa,
il lavoro dell’interprete viene privato del contatto vitale con la realtà ecclesiale.
Negli ultimi tempi alcune correnti di pensiero hanno messo in guardia contro l’eccessivo attaccamento alle leggi della Chiesa, a cominciare dai Codici,
giudicandolo, per l’appunto, una manifestazione di legalismo. Di conseguenza,
sono state proposte delle vie ermeneutiche che consentono un approccio più
consono con le basi teologiche e gli intenti anche pastorali della norma canonica, portando ad una creatività giuridica in cui la singola situazione diventerebbe fattore decisivo per accertare l’autentico significato del precetto legale
nel caso concreto. La misericordia, l’equità, l’oikonomia così cara alla tradizione orientale, sono alcuni dei concetti a cui si ricorre in tale operazione interpretativa.
Conviene notare subito che questa impostazione non supera il positivismo
che denuncia, limitandosi a sostituirlo con un altro in cui l’opera interpretativa umana assurge a protagonista nello stabilire ciò che è giuridico. Manca il
senso di un diritto oggettivo da cercare, poiché esso resta in balìa di considerazioni che pretendono di essere teologiche o pastorali, ma alla fine sono esposte al rischio dell’arbitrarietà. In tal modo l’ermeneutica legale viene svuotata:
in fondo non interessa comprendere la disposizione della legge, dal momento
che essa può essere dinamicamente adattata a qualunque soluzione, anche
opposta alla sua lettera. Certamente vi è in questo caso un riferimento ai fenomeni vitali, di cui però non si coglie l’intrinseca dimensione giuridica.
Esiste un’altra via, in cui la comprensione adeguata della legge canonica
apre la strada a un lavoro interpretativo che s’inserisce nella ricerca della
verità sul diritto e sulla giustizia nella Chiesa. Come ho voluto far presente al
Parlamento Federale del mio Paese, nel Reichstag di Berlino,3 il vero diritto è
inseparabile dalla giustizia. Il principio vale ovviamente anche per la legge
canonica, nel senso che essa non può essere rinchiusa in un sistema normativo meramente umano, ma deve essere collegata a un ordine giusto della
Chiesa, in cui vige una legge superiore. In quest’ottica la legge positiva umana
perde il primato che le si vorrebbe attribuire, giacché il diritto non si identifica più semplicemente con essa; in ciò, tuttavia, la legge umana viene valorizzata in quanto espressione di giustizia, anzitutto per quanto essa dichiara
come diritto divino, ma anche per quello che essa introduce come legittima
determinazione di diritto umano.
In tal modo, si rende possibile un’ermeneutica legale che sia autenticamente giuridica, nel senso che, mettendosi in sintonia con il significato proprio della legge, si può porre la domanda cruciale su quel che è giusto in ciascun caso.
143
LA PAROLA
DEL
PAPA
Conviene osservare, a questo proposito, che per cogliere il significato proprio
della legge occorre sempre guardare alla realtà che viene disciplinata, e ciò non
solo quando la legge sia prevalentemente dichiarativa del diritto divino, ma
anche quando introduca costitutivamente delle regole umane. Queste vanno
infatti interpretate anche alla luce della realtà regolata, la quale contiene sempre un nucleo di diritto naturale e divino positivo, con il quale deve essere in
armonia ogni norma per essere razionale e veramente giuridica.
In tale prospettiva realistica, lo sforzo interpretativo, talvolta arduo, acquista
un senso e un obiettivo. L’uso dei mezzi interpretativi previsti dal Codice di
Diritto Canonico nel canone 17, a cominciare dal «significato proprio delle
parole considerato nel testo e nel contesto», non è più un mero esercizio logico. Si tratta di un compito che è vivificato da un autentico contatto con la
realtà complessiva della Chiesa, che consente di penetrare nel vero senso della lettera della legge. Accade allora qualcosa di simile a quanto ho detto a proposito del processo interiore di Sant’Agostino nell’ermeneutica biblica: «il trascendimento della lettera ha reso credibile la lettera stessa».4 Si conferma così
che anche nell’ermeneutica della legge l’autentico orizzonte è quello della verità
giuridica da amare, da cercare e da servire.
Ne segue che l’interpretazione della legge canonica deve avvenire nella
Chiesa. Non si tratta di una mera circostanza esterna, ambientale: è un richiamo allo stesso humus della legge canonica e delle realtà da essa regolate. Il sentire cum Ecclesia ha senso anche nella disciplina, a motivo dei fondamenti dottrinali che sono sempre presenti e operanti nelle norme legali della Chiesa. In
questo modo, va applicata anche alla legge canonica quell’ermeneutica del rinnovamento nella continuità di cui ho parlato in riferimento al Concilio Vaticano
II,5 così strettamente legato all’attuale legislazione canonica. La maturità cristiana conduce ad amare sempre più la legge e a volerla comprendere ed applicare con fedeltà.
Questi atteggiamenti di fondo si applicano a tutte le categorie di interpretazione: dalla ricerca scientifica sul diritto canonico, al lavoro degli operatori giuridici in sede giudiziaria o amministrativa, fino alla ricerca quotidiana delle
soluzioni giuste nella vita dei fedeli e delle comunità. Occorre spirito di docilità
per accogliere le leggi, cercando di studiare con onestà e dedizione la tradizione giuridica della Chiesa per potersi identificare con essa e anche con le disposizioni legali emanate dai Pastori, specialmente le leggi pontificie nonché il
magistero su questioni canoniche, il quale è di per sé vincolante in ciò che
insegna sul diritto.6 Solo in questo modo si potranno discernere i casi in cui le
circostanze concrete esigono una soluzione equitativa per raggiungere la giustizia che la norma generale umana non ha potuto prevedere, e si sarà in grado di manifestare in spirito di comunione ciò che può servire a migliorare l’assetto legislativo.
144
LA PAROLA
DEL
PAPA
Queste riflessioni acquistano una peculiare rilevanza nell’ambito delle leggi
riguardanti l’atto costitutivo del matrimonio e la sua consumazione e la ricezione dell’Ordine sacro, e di quelle attinenti ai rispettivi processi. Qui la sintonia con il vero senso della legge della Chiesa diventa una questione di ampia e
profonda incidenza pratica nella vita delle persone e delle comunità e richiede
una speciale attenzione. In particolare, vanno anche applicati tutti i mezzi giuridicamente vincolanti che tendono ad assicurare quell’unità nell’interpretazione e nell’applicazione delle leggi che è richiesta dalla giustizia: il magistero
pontificio specificamente concernente questo campo, contenuto soprattutto
nelle Allocuzioni alla Rota Romana; la giurisprudenza della Rota Romana, sulla cui rilevanza ho già avuto modo di parlarvi;7 le norme e le dichiarazioni emanate da altri Dicasteri della Curia Romana.
Tale unità ermeneutica in ciò che è essenziale non mortifica in alcun modo
le funzioni dei tribunali locali, chiamati a confrontarsi per primi con le complesse situazioni reali che si danno in ogni contesto culturale. Ciascuno di
essi, infatti, è tenuto a procedere con un senso di vera riverenza nei riguardi
della verità sul diritto, cercando di praticare esemplarmente, nell’applicazione
degli istituti giudiziali e amministrativi, la comunione nella disciplina, quale
aspetto essenziale dell’unità della Chiesa.
Avviandomi alla conclusione di questo momento di incontro e di riflessione,
vorrei ricordare la recente innovazione - a cui ha fatto riferimento Mons.
Stankiewicz - in forza della quale sono state trasferite ad un Ufficio presso
codesto Tribunale Apostolico le competenze circa i procedimenti di dispensa
dal matrimonio rato e non consumato e le cause di nullità della sacra
Ordinazione.8 Sono certo che vi sarà una generosa risposta a questo nuovo
impegno ecclesiale.
Nell’incoraggiare la vostra preziosa opera, che richiede un fedele, quotidiano
e impegnato lavoro, vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria,
Speculum iustitiae, e volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica.
1 Motu pr. Porta fidei, 11 ottobre 2011, 5: L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 4.
2 Cfr can. 16, § 3 CIC; can. 1498, § 3 CCEO.
3 Cfr Discorso al Parlamento Federale della Repubblica Federale di Germania, 22 settembre 2011: L’Osservatore Romano, 24 settembre 2011, pp. 6-7.
4 Cfr Esort. ap. postsininodale Verbum Domini, 30 settembre 2010, 38: AAS 102
(2010), p. 718, n. 38.
5 Cfr Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005: AAS 98 (2006), pp. 40-53.
6 Cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 29 gennaio 2005, 6: AAS 97
(2005), pp. 165-166.
7 Cfr Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 2008: AAS 100 (2008), pp. 84-88.
8 Cfr Motu pr. Quaerit semper, 30 agosto 2011: L’Osservatore Romano, 28 settembre
2011, p. 7.
145
LA PAROLA
DEL
PAPA
«Siate umili e liberi
dalle opinioni del mondo»
Incontro di inizio Quaresima del Papa con il clero di Roma
Roma, 23 febbraio 2012
Cari fratelli,
è per me una grande gioia vedere ogni anno, all’inizio della
Quaresima, il mio clero, il clero di Roma, ed è bello per me vedere oggi come
siamo numerosi. Io pensavo che in questa grande aula saremmo stati un gruppo quasi perso, ma vedo che siamo un forte esercito di Dio e possiamo con forza entrare in questo nostro tempo, nelle battaglie necessarie per promuovere,
per far andare avanti il Regno di Dio. Siamo entrati ieri per la porta della
Quaresima, rinnovamento annuale del nostro Battesimo; ripetiamo quasi il
nostro catecumenato, andando di nuovo nella profondità del nostro essere battezzati, riprendendo, ritornando al nostro essere battezzati e così incorporati
in Cristo. In questo modo, possiamo anche cercare di guidare le nostre comunità nuovamente in questa comunione intima con la morte e risurrezione di
Cristo, divenire sempre più conformi a Cristo, divenire sempre più realmente
cristiani.
Il brano della Lettera di san Paolo agli Efesini che abbiamo ascoltato (4,1-16)
è uno dei grandi testi ecclesiali del Nuovo Testamento. Comincia con l’autopresentazione dell’autore: «Io Paolo, prigioniero a motivo del Signore» (v. 1). La
parola greca desmios dice «incatenato»: Paolo, come un criminale, è in catene,
incatenato per Cristo e così inizia nella comunione con la passione di Cristo.
Questo è il primo elemento dell’autopresentazione: egli parla incatenato, parla nella comunione della passione di Cristo e così sta in comunione anche con
la risurrezione di Cristo, con la sua nuova vita. Sempre noi, quando parliamo,
dobbiamo parlare in comunione con la sua passione e anche accettare le
nostre passioni, le nostre sofferenze e prove, in questo senso: sono proprio prove della presenza di Cristo, che Lui è con noi e che andiamo, in comunione alla
sua passione, verso la novità della vita, verso la risurrezione. «Incatenato»,
quindi, è prima una parola della teologia della croce, della comunione necessaria di ogni evangelizzatore, di ogni Pastore con il Pastore supremo, che ci ha
redenti «dandosi», soffrendo per noi. L’amore è sofferenza, è un darsi, è un perdersi, e proprio in questo modo è fecondo. Ma così, nell’elemento esteriore delle catene, della libertà non più presente, appare e traspare anche un altro
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LA PAROLA
DEL
PAPA
aspetto: la vera catena che lega Paolo a Cristo è la catena dell’amore.
«Incatenato per amore»: un amore che dà libertà, un amore che lo fa capace di
rendere presente il Messaggio di Cristo e Cristo stesso. E questo dovrebbe
essere, anche per noi tutti, l’ultima catena che ci libera, collegati con la catena dell’amore a Cristo. Così troviamo la libertà e la vera strada della vita, e possiamo, con l’amore di Cristo, guidare a questo amore, che è la gioia, la libertà,
anche gli uomini affidatici.
E poi dice «Esorto» (Ef 4,1): è il suo compito quello di esortare, ma non è un
ammonimento moralistico. Esorto dalla comunione con Cristo; è Cristo stesso,
ultimamente, che esorta, che invita con l’amore di un padre e di una madre.
«Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto» (v. 1); cioè,
primo elemento: abbiamo ricevuto una chiamata. Io non sono anonimo o senza senso nel mondo: c’è una chiamata, c’è una voce che mi ha chiamato, una
voce che seguo. E la mia vita dovrebbe essere un entrare sempre più profondamente nel cammino della chiamata, seguire questa voce e così trovare la
vera strada e guidare gli altri su questa strada.
Sono «chiamato con una chiamata». Direi che abbiamo la grande prima chiamata del Battesimo, di essere con Cristo; la seconda grande chiamata di essere Pastori al suo servizio, e dobbiamo essere sempre più in ascolto di questa
chiamata, in modo da poter chiamare o meglio aiutare anche altri affinché sentano la voce del Signore che chiama. La grande sofferenza della Chiesa di oggi
nell’Europa e nell’Occidente è la mancanza di vocazioni sacerdotali, ma il
Signore chiama sempre, manca l’ascolto. Noi abbiamo ascoltato la sua voce e
dobbiamo essere attenti alla voce del Signore anche per altri, aiutare perché ci
sia ascolto, e così sia accettata la chiamata, si apra una strada della vocazione ad essere Pastori con Cristo.
San Paolo ritorna su questa parola «chiamata» alla fine di questo primo capoverso, e parla di una vocazione, di una chiamata che è alla speranza - la chiamata stessa è una speranza – e così dimostra le dimensioni della chiamata:
non è solo individuale, la chiamata è già un fenomeno dialogico, un fenomeno
nel «noi»; nell’«io e tu» e nel «noi». «Chiamata alla speranza». Vediamo così le
dimensioni della chiamata; esse sono tre. Chiamata, ultimamente, secondo
questo testo, verso Dio. Dio è la fine; alla fine arriviamo semplicemente in Dio
e tutto il cammino è un cammino verso Dio.
Ma questo cammino verso Dio non è mai isolato, un cammino solo nell’«io»,
è un cammino verso il futuro, verso il rinnovamento del mondo, e un cammino nel «noi» dei chiamati che chiama altri, fa ascoltare loro questa chiamata.
Perciò la chiamata è sempre anche una vocazione ecclesiale. Essere fedeli alla
chiamata del Signore implica scoprire questo «noi» nel quale e per il quale siamo chiamati, come pure andare insieme e realizzare le virtù necessarie. La
«chiamata» implica l’ecclesialità, implica quindi la dimensione verticale e orizzontale, che vanno inscindibilmente insieme, implica ecclesialità nel senso di
147
LA PAROLA
DEL
PAPA
lasciarci aiutare per il «noi» e di costruire questo «noi» della Chiesa. In tale senso, san Paolo illustra la chiamata con questa finalità: un Dio unico, solo, ma
con questa direzione verso il futuro; la speranza è nel «noi» di quelli che hanno la speranza, che amano all’interno della speranza, con alcune virtù che
sono proprio gli elementi dell’andare insieme.
La prima è: «con ogni umiltà» (Ef 4,2). Vorrei soffermarmi un po’ di più su
questa perché è una virtù che nel catalogo delle virtù precristiane non appare;
è una virtù nuova, la virtù della sequela di Cristo. Pensiamo alla Lettera ai
Filippesi, al capitolo due: Cristo, essendo uguale a Dio, si è umiliato, accettando forma di servo e obbedendo fino alla croce (cfr Fil 2,6-8). Questo è il cammino dell’umiltà del Figlio che noi dobbiamo imitare. Seguire Cristo vuol dire
entrare in questo cammino dell’umiltà. Il testo greco dice tapeinophrosyne (cfr
Ef 4,2): non pensare in grande di se stessi, avere la misura giusta. Umiltà.
Il contrario dell’umiltà è la superbia, come la radice di tutti i peccati. La
superbia che è arroganza, che vuole soprattutto potere, apparenza, apparire
agli occhi degli altri, essere qualcuno o qualcosa, non ha l’intenzione di piacere a Dio, ma di piacere a se stessi, di essere accettati dagli altri e – diciamo –
venerati dagli altri. L’«io» al centro del mondo: si tratta del mio io superbo, che
sa tutto. Essere cristiano vuol dire superare questa tentazione originaria, che
è anche il nucleo del peccato originale: essere come Dio, ma senza Dio; essere
cristiano è essere vero, sincero, realista.
L’umiltà è soprattutto verità, vivere nella verità, imparare la verità, imparare
che la mia piccolezza è proprio la grandezza, perché così sono importante per
il grande tessuto della storia di Dio con l’umanità. Proprio riconoscendo che io
sono un pensiero di Dio, della costruzione del suo mondo, e sono insostituibile, proprio così, nella mia piccolezza, e solo in questo modo, sono grande.
Questo è l’inizio dell’essere cristiano: è vivere la verità. E solo vivendo la verità,
il realismo della mia vocazione per gli altri, con gli altri, nel corpo di Cristo, vivo
bene. Vivere contro la verità è sempre vivere male.
Viviamo la verità! Impariamo questo realismo: non voler apparire, ma voler
piacere a Dio e fare quanto Dio ha pensato di me e per me, e così accettare
anche l’altro.
L’accettare l’altro, che forse è più grande di me, suppone proprio questo realismo e l’amore della verità; suppone accettare me stesso come «pensiero di
Dio», così come sono, nei miei limiti e, in questo modo, nella mia grandezza.
Accettare me stesso e accettare l’altro vanno insieme: solo accettando me
stesso nel grande tessuto divino posso accettare anche gli altri, che formano
con me la grande sinfonia della Chiesa e della creazione. Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché
aiutano ognuno a riconoscere la propria verità ed essere così liberi da questa
vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice e buono. Accettare
e imparare questo, e così imparare ad accettare la mia posizione nella Chiesa,
148
LA PAROLA
DEL
PAPA
il mio piccolo servizio come grande agli occhi di Dio. E proprio questa umiltà,
questo realismo, rende liberi. Se sono arrogante, se sono superbo, vorrei sempre piacere e se non ci riesco sono misero, sono infelice e devo sempre cercare questo piacere. Quando invece sono umile ho la libertà anche di essere in
contrasto con un’opinione prevalente, con pensieri di altri, perché l’umiltà mi
dà la capacità, la libertà della verità. E così, direi, preghiamo il Signore perché
ci aiuti, ci aiuti ad essere realmente costruttori della comunità della Chiesa;
che cresca, che noi stessi cresciamo nella grande visione di Dio, del «noi», e siamo membra del Corpo di Cristo, appartenente così, in unità, al Figlio di Dio.
La seconda virtù - ma siamo più brevi – è la «dolcezza», dice la traduzione italiana (Ef 4,2), in greco è praus, cioè «mite, mansueto»; e anche questa è una
virtù cristologica come l’umiltà, che è seguire Cristo su questa strada della
umiltà. Così anche praus, essere mite, essere mansueto, è sequela di Cristo
che dice: Venite da me, io sono mite di cuore (cfr Mt 11,29). Questo non vuol
dire debolezza. Cristo può essere anche duro, se necessario, ma sempre con
un cuore buono, rimane sempre visibile la bontà, la mansuetudine. Nella
Sacra Scrittura, qualche volta, «i mansueti» è semplicemente il nome dei credenti, del piccolo gregge dei poveri che, in tutte le prove, rimangono umili e fermi nella comunione del Signore: cercare questa mitezza, che è il contrario della violenza. La terza beatitudine. Il Vangelo di san Matteo dice: felici i mansueti, perché possederanno la terra (cfr Mt 5,5). Non i violenti possiedono la
terra, alla fine rimangono i mansueti: essi hanno la grande promessa, e così
noi dobbiamo essere proprio sicuri della promessa di Dio, della mitezza che è
più forte della violenza. In questa parola della mansuetudine si nasconde il
contrasto con la violenza: i cristiani sono i non violenti, sono gli oppositori della violenza.
E san Paolo prosegue: «con magnanimità» (Ef 4,2): Dio è magnanimo.
Nonostante le nostre debolezze e i nostri peccati, sempre di nuovo comincia
con noi. Mi perdona, anche se sa che domani cadrò di nuovo nel peccato;
distribuisce i suoi doni, anche se sa che siamo spesso amministratori insufficienti. Dio è magnanimo, di grande cuore, ci affida la sua bontà. E questa
magnanimità, questa generosità fa parte proprio della sequela di Cristo, di
nuovo.
Infine, «sopportandovi a vicenda nell’amore» (Ef 4,2); mi sembra che proprio
dall’umiltà segua questa capacità di accettare l’altro. L’alterità dell’altro è sempre un peso. Perché l’altro è diverso? Ma proprio questa diversità, questa alterità è necessaria per la bellezza della sinfonia di Dio. E dobbiamo, proprio con
l’umiltà nella quale riconosco i miei limiti, la mia alterità nel confronto con l’altro, il peso che io sono per l’altro, divenire capaci non solo di sopportare l’altro, ma, con amore, trovare proprio nell’alterità anche la ricchezza del suo
essere e delle idee e della fantasia di Dio.
149
LA PAROLA
DEL
PAPA
Tutto questo, quindi, serve come virtù ecclesiale alla costruzione del Corpo
di Cristo, che è lo Spirito di Cristo, perché divenga di nuovo esempio, di nuovo corpo, e cresca. Paolo lo dice poi in concreto, affermando che tutta questa
varietà dei doni, dei temperamenti, dell’essere uomo, serve per l’unità (cfr Ef
4,11-13). Tutte queste virtù sono anche virtù dell’unità. Per esempio, per me è
molto significativo che la prima Lettera dopo il Nuovo Testamento, la Prima
Lettera di Clemente, sia indirizzata ad una comunità, quella dei Corinzi, divisa
e sofferente per la divisione (cfr PG 1, 201-328). In questa Lettera, proprio la
parola «umiltà» è una parola chiave: sono divisi perché manca l’umiltà, l’assenza dell’umiltà distrugge l’unità. L’umiltà è una fondamentale virtù dell’unità e solo così cresce l’unità del Corpo di Cristo, diventiamo realmente uniti e
riceviamo la ricchezza e la bellezza dell’unità. Perciò è logico che l’elenco di
queste virtù, che sono virtù ecclesiali, cristologiche, virtù dell’unità, vada verso l’unità esplicita: «un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo
Dio e Padre di tutti» (Ef 4,5). Una sola fede e un solo Battesimo, come realtà
concreta della Chiesa che sta sotto l’unico Signore.
Battesimo e fede sono inseparabili. Il Battesimo è il Sacramento della fede e
la fede ha un duplice aspetto. E’ un atto profondamente personale: io conosco
Cristo, mi incontro con Cristo e do fiducia a Lui. Pensiamo alla donna che tocca il suo vestito nella speranza di essere salvata (cfr Mt 9, 20-21); si affida a
Lui totalmente e il Signore dice: Sei salva, perché hai creduto (cfr Mt 9, 22).
Anche ai lebbrosi, all’unico che ritorna, dice: La tua fede ti ha salvato (cfr Lc
17, 19).
Quindi la fede inizialmente è soprattutto un incontro personale, un toccare
il vestito di Cristo, un essere toccato da Cristo, essere in contatto con Cristo,
affidarsi al Signore, avere e trovare l’amore di Cristo e, nell’amore di Cristo, la
chiave anche della verità, dell’universalità. Ma proprio per questo, perché chiave dell’universalità dell’unico Signore, tale fede non è solo un atto personale di
fiducia, ma un atto che ha un contenuto. La fides qua esige la fides quae, il
contenuto della fede, e il Battesimo esprime questo contenuto: la formula trinitaria è l’elemento sostanziale del credo dei cristiani. Esso, di per sé, è un «sì»
a Cristo, e così al Dio Trinitario, con questa realtà, con questo contenuto che
mi unisce a questo Signore, a questo Dio, che ha questo Volto: vive come Figlio
del Padre nell’unità dello Spirito Santo e nella comunione del Corpo di Cristo.
Quindi, questo mi sembra molto importante: la fede ha un contenuto e non è
sufficiente, non è un elemento di unificazione se non c’è e non viene vissuto e
confessato questo contenuto della unica fede.
Perciò, «Anno della Fede», Anno del Catechismo - per essere molto pratico sono collegati imprescindibilmente. Rinnoveremo il Concilio solo rinnovando il
contenuto - condensato poi di nuovo - del Catechismo della Chiesa Cattolica. E
un grande problema della Chiesa attuale è la mancanza di conoscenza della
fede, è l’«analfabetismo religioso», come hanno detto i Cardinali venerdì scorso
circa questa realtà. «Analfabetismo religioso»; e con questo analfabetismo non
150
LA PAROLA
DEL
PAPA
possiamo crescere, non può crescere l’unità. Perciò dobbiamo noi stessi appropriarci di nuovo di questo contenuto, come ricchezza dell’unità e non come un
pacchetto di dogmi e di comandamenti, ma come una realtà unica che si rivela nella sua profondità e bellezza. Dobbiamo fare il possibile per un rinnovamento catechistico, perché la fede sia conosciuta e così Dio sia conosciuto,
Cristo sia conosciuto, la verità sia conosciuta e cresca l’unità nella verità.
Poi tutte queste unità finiscono nel: «un solo Dio e Padre di tutti». Tutto
quanto non è umiltà, tutto quanto non è fede comune, distrugge l’unità,
distrugge la speranza e rende invisibile il Volto di Dio. Dio è Uno e Unico. Il
monoteismo era il grande privilegio di Israele, che ha conosciuto l’unico Dio, e
rimane elemento costitutivo della fede cristiana. Il Dio Trinitario - lo sappiamo
- non sono tre divinità, ma è un unico Dio; e vediamo meglio che cosa voglia
dire unità: unità è unità dell’amore. E’ così: proprio perché è il circolo di amore, Dio è Uno e Unico.
Per Paolo, come abbiamo visto, l’unità di Dio si identifica con la nostra speranza. Perché? In che modo? Perché l’unità di Dio è speranza, perché questa
ci garantisce che, alla fine, non ci sono diversi poteri, alla fine non c’è dualismo tra poteri diversi e contrastanti, alla fine non rimane il capo del drago che
si potrebbe levare contro Dio, non rimane la sporcizia del male e del peccato.
Alla fine rimane solo la luce! Dio è unico ed è l’unico Dio: non c’è altro potere
contro di Lui! Sappiamo che oggi, con i mali che viviamo nel mondo sempre più
crescenti, molti dubitano dell’Onnipotenza di Dio; anzi diversi teologi – anche
buoni – dicono che Dio non sarebbe Onnipotente, perché non sarebbe compatibile con l’onnipotenza quanto vediamo nel mondo; e così essi vogliono creare
una nuova apologia, scusare Dio e «discolpare» Dio da questi mali. Ma questo
non è il modo giusto, perché se Dio non è Onnipotente, se ci sono e rimangono altri poteri, non è veramente Dio e non è speranza, perché alla fine rimarrebbe il politeismo, alla fine rimarrebbe la lotta, il potere del male. Dio è
Onnipotente, l’unico Dio. Certo, nella storia si è dato un limite alla sua onnipotenza, riconoscendo la nostra libertà.
Ma alla fine tutto ritorna e non rimane altro potere; questa è la speranza: che
la luce vince, l’amore vince! Alla fine non rimane la forza del male, rimane solo
Dio! E così siamo nel cammino della speranza, camminando verso l’unità dell’unico Dio, rivelatosi per lo Spirito Santo, nell’Unico Signore, Cristo.
Poi da questa grande visione, san Paolo scende un po’ ai dettagli e dice di
Cristo: «Asceso in alto ha portato con sé i prigionieri, ha distribuito doni agli
uomini» (Ef 4,8). L’Apostolo cita il Salmo 68, che descrive in modo poetico la
salita di Dio con l’Arca dell’Alleanza verso le altezze, verso la cima del Monte
Sion, verso il tempio: Dio come vincitore che ha superato gli altri, che sono prigionieri, e, come un vero vincitore, distribuisce doni. Il Giudaismo ha visto in
questo piuttosto un’immagine di Mosé, che sale verso il Monte Sinai per ricevere nell’altezza la volontà di Dio, i Comandamenti, non considerati come peso,
ma come il dono di conoscere il Volto di Dio, la volontà di Dio. Paolo, alla fine,
vede qui un’immagine dell’ascesa di Cristo che sale in alto dopo essere sceso;
151
LA PAROLA
DEL
PAPA
sale e tira l’umanità verso Dio, fà posto per la carne e il sangue in Dio stesso;
ci tira verso l’altezza del suo essere Figlio e ci libera dalla prigionia del peccato, ci rende liberi perché vincitore. Essendo vincitore, Egli distribuisce i doni.
E così siamo arrivati dall’ascesa di Cristo alla Chiesa. I doni sono la charis
come tale, la grazia: essere nella grazia, nell’amore di Dio. E poi i carismi che
concretizzano la charis nelle singole funzioni e missioni: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri per edificare così il Corpo di Cristo (cfr Ef 4,11).
Non vorrei entrare adesso in un’esegesi dettagliata. E’ molto discusso qui che
cosa voglia dire apostoli, profeti… In ogni caso, possiamo dire che la Chiesa è
costruita sul fondamento della fede apostolica, che rimane sempre presente:
gli Apostoli, nella successione apostolica, sono presenti nei Pastori, che siamo
noi, per la grazia di Dio e nonostante tutta la nostra povertà. E siamo grati a
Dio che ci ha voluto chiamare per stare nella successione apostolica e continuare ad edificare il Corpo di Cristo. Qui appare un elemento che mi sembra
importante: i ministeri – i cosiddetti ministeri – sono chiamati «doni di Cristo»,
sono carismi; cioè, non c’è questa opposizione: da una parte il ministero, come
una cosa giuridica, e dall’altra i carismi, come dono profetico, vivace, spirituale, come presenza dello Spirito e la sua novità. No! Proprio i ministeri sono
dono del Risorto e sono carismi, sono articolazioni della sua grazia; uno non
può essere sacerdote senza essere carismatico.
E’ un carisma essere sacerdote. Questo - mi sembra - dobbiamo tenerlo presente: essere chiamato al sacerdozio, essere chiamato con un dono del
Signore, con un carisma del Signore. E così, ispirati dal suo Spirito, dobbiamo
cercare di vivere questo nostro carisma. Solo in questo modo penso si possa
capire che la Chiesa in Occidente ha collegato inscindibilmente sacerdozio e
celibato: essere in un’esistenza escatologica verso l’ultima destinazione della
nostra speranza, verso Dio. Proprio perché il sacerdozio è un carisma e deve
essere anche collegato con un carisma: se non fosse questo e fosse solamente
una cosa giuridica, sarebbe assurdo imporre un carisma, che è un vero carisma; ma se il sacerdozio stesso è carisma, è normale che conviva con il carisma, con lo stato carismatico della vita escatologica.
Preghiamo il Signore perché ci aiuti a capire sempre di più questo, a vivere
sempre più nel carisma dello Spirito Santo e a vivere così anche questo segno
escatologico della fedeltà al Signore Unico, che proprio per il nostro tempo è
necessario, con la decomposizione del matrimonio e della famiglia, che possono comporsi solo nella luce di questa fedeltà all’unica chiamata del Signore.
Un ultimo punto. San Paolo parla della crescita dell’uomo perfetto, che raggiunge la misura della pienezza di Cristo: non saremo più fanciulli in balia delle onde, trasportati da qualsiasi vento di dottrina (cfr Ef 4,13-14). «Al contrario, agendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa,
tendendo a Lui» (Ef 4,15). Non si può vivere in una fanciullezza spirituale, in
una fanciullezza di fede: purtroppo, in questo nostro mondo, vediamo questa
fanciullezza. Molti, oltre la prima catechesi, non sono più andati avanti; forse
152
LA PAROLA
DEL
PAPA
è rimasto questo nucleo, forse si è anche distrutto. E del resto, essi sono sulle onde del mondo e nient’altro; non possono, come adulti, con competenza e
con convinzione profonda, esporre e rendere presente la filosofia della fede per così dire - la grande saggezza, la razionalità della fede, che apre gli occhi
anche degli altri, che apre gli occhi proprio su quanto è buono e vero nel mondo. Manca questo essere adulti nella fede e rimane la fanciullezza nella fede.
Certo, in questi ultimi decenni, abbiamo vissuto anche un altro uso della
parola «fede adulta». Si parla di «fede adulta», cioè emancipata dal Magistero
della Chiesa. Fino a quando sono sotto la madre, sono fanciullo, devo emanciparmi; emancipato dal Magistero, sono finalmente adulto. Ma il risultato non
è una fede adulta, il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione, dall’opinione che
tutti pensano e vogliono. Non è vera emancipazione, l’emancipazione dalla
comunione del Corpo di Cristo! Al contrario, è cadere sotto la dittatura delle
onde, del vento del mondo. La vera emancipazione è proprio liberarsi da questa dittatura, nella libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di
Cristo, con il Cristo Risorto, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.
Mi sembra che dobbiamo pregare molto il Signore, perché ci aiuti ad essere
emancipati in questo senso, liberi in questo senso, con una fede realmente
adulta, che vede, fa vedere e può aiutare anche gli altri ad arrivare alla vera
perfezione, alla vera età adulta, in comunione con Cristo.
In questo contesto c’è la bella espressione dell’aletheuein en te agape, essere
veri nella carità, vivere la verità, essere verità nella carità: i due concetti vanno insieme. Oggi il concetto di verità è un po’ sotto sospetto perché si combina verità con violenza. Purtroppo nella storia ci sono stati anche episodi dove
si cercava di difendere la verità con la violenza. Ma le due sono contrarie. La
verità non si impone con altri mezzi, se non da se stessa! La verità può arrivare solo tramite se stessa, la propria luce. Ma abbiamo bisogno della verità; senza verità non conosciamo i veri valori e come potremo ordinare il kosmos dei
valori? Senza verità siamo ciechi nel mondo, non abbiamo strada.
Il grande dono di Cristo è proprio che vediamo il Volto di Dio e, anche se in
modo enigmatico, molto insufficiente, conosciamo il fondo, l’essenziale della
verità in Cristo, nel suo Corpo. E conoscendo questa verità, cresciamo anche
nella carità che è la legittimazione della verità e ci mostra che è verità. Direi
proprio che la carità è il frutto della verità - l’albero si conosce dai frutti – e se
non c’è carità, anche la verità non è propriamente appropriata, vissuta; e dove
è la verità, nasce la carità. Grazie a Dio, lo vediamo in tutti i secoli: nonostante i fatti negativi, il frutto della carità è sempre stato presente nella cristianità
e lo è oggi! Lo vediamo nei martiri, lo vediamo in tante suore, frati e sacerdoti
che servono umilmente i poveri, i malati, che sono presenza della carità di
Cristo. E così sono il grande segno che qui è la verità. Preghiamo il Signore
perché ci aiuti a portare il frutto della carità ed essere così testimoni della sua
verità. Grazie.
153
ORDINARIATO
L’ultimo saluto
al Presidente Oscar Luigi Scalfaro
Un novarese a servizio dell’Italia
Si è spento, alle prime ore di domenica 29 febbraio a Roma, il presidente emerito e senatore a vita Oscar Lugi Scalfaro. Aveva 93 anni, essendo nato a Novara il
9 settembre 1918. E a Novara ha sempre risieduto, fino agli ultimi anni, trascorsi
nella sua residenza romana.
Nella sua città ha compiuto gli studi (fu liceale al classico Carlo Alberto), ha
affrontato gli studi universitari laureandosi in Giurisprudenza alla Cattolica di
Milano (1941), ha iniziato l’impegno ecclesiale nell’Azione Cattolica (di lui si ricorda l’inossidabile costanza nel portare il distintivo dell’Ac all’occhiello della giacca)
fino a diventarne presidente diocesano nel 1940, si è impegnato nella Resistenza,
ha svolto i primi compiti di magistrato come pubblico ministero presso la Corte
d’Assise speciale e, nel 1946, per insistente richiesta del Vescovo mons. Leone
Ossola, si presentò alle elezioni dell’Assemblea Costituente, per poi essere sempre
eletto deputato per 12 legislature consecutive fino a diventare il nono presidente
della Repubblica italiana.
A Novara si era sposato nel 1943 con Maria Inzitari, morta l’anno seguente pochi
giorni dopo aver dato alla luce la figlia Marianna, che sempre è rimasta a fianco
del padre.
La sua vita a servizio delle istituzioni repubblicane è così riassunta dal sito del
Quirinale:
“Viene eletto Deputato all'Assemblea Costituente il 2 giugno 1946 nelle liste della
Democrazia Cristiana risultando capolista della circoscrizione Torino-NovaraVercelli. E' eletto Deputato al Parlamento in tutte le legislature dal 1948 al 1992.
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 1954 al 1955
si adopera attivamente per il rientro di Trieste all'Italia, per l'accoglienza dei profughi giuliano-dalmati e per l'attuazione degli accordi De Gasperi-Gruber riguardanti
l'Alto Adige. Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia dal 1955 al 1958
promuove e porta all’approvazione la legge che consente alle donne l’accesso alla
carriera di magistrato. Sottosegretario al Ministero dell'Interno dal 1959 al 1962 promuove e porta all'approvazione la legge che istituisce la Polizia femminile.
Ministro dei Trasporti e dell'Aviazione Civile dal 1966 al 1968 e successivamente
nel 1972 affronta per la prima volta nella storia delle Ferrovie il tema dell'Alta
Velocità, avviando la costruzione della "direttissima" Roma-Firenze. In questa veste
conclude con i sindacati delle Ferrovie anche il primo accordo riguardante l'esercizio
del diritto di sciopero.
154
ORDINARIATO
Ministro della Pubblica Istruzione nel 1972.
Ministro dell’Interno dal 1983 al 1987 promuove e stipula i primi accordi internazionali con i Paesi della Comunità europea, con Israele e con i governi africani dell’area mediterranea per la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, affermando che in questo campo “nessuno vince da solo e nessuno perde da solo”.
E' eletto Presidente della Camera dei Deputati il 24 aprile 1992 e Presidente della
Repubblica il 25 maggio dello stesso anno.
Sin dall'inizio del suo mandato Scalfaro è chiamato ad affrontare la più grave crisi della storia repubblicana con preoccupanti manifestazioni sul piano politico ed
economico.
Esplode il fenomeno di "Tangentopoli" che provoca un serio affievolimento della
rappresentatività della politica e nel contempo si verifica anche una inquietante perdita della capacità di acquisto della moneta, con evidenti ripercussioni di carattere
generale. Si sforza in ogni circostanza di rincuorare il Paese e di rassicurare gli
osservatori internazionali sulla saldezza delle istituzioni italiane. E' anche frutto di
questa azione se la lira, nonostante le previsioni negative di molti, giunge all'approdo nell'Euro.
Durante questi "sette anni drammatici", come li definisce la stampa, Scalfaro
difende costantemente i valori fondanti della Repubblica contenuti nella prima parte della Carta Costituzionale, auspicando che ogni possibile modifica della seconda
parte della Costituzione avvenga a larga maggioranza con il concorso delle forze
politiche sia di governo che di opposizione. Così per la legge elettorale.
Anche sul piano internazionale è intensa la sua attività. Numerose sono le visite
di Stato da lui compiute sia in Paesi ove mai in precedenza erano state effettuate
sia in quelli ove è consistente la presenza italiana in termini di comunità e di relazioni economiche”.
Al termine del settennato Scalfaro prosegue l’attività nell’altro ramo del
Parlamento, come senatore a vita. Anni di impegno attivo in aula, con la proposizione di numerosi disegni di legge.
Sono stati anche gli anni di un rinnovato impegno politico per il mantenimento della Costituzione italiana: è stato Presidente del Comitato “Salviamo la
Costituzione”.
Da presidente emerito, Oscar Luigi Scalfaro ha partecipato più volte, a Novara
e nel novarese, ad incontri pubblici, in particolare tra gli studenti per ribadire
e trasmettere alle nuove generazioni le ragioni del servizio al bene comune e dei
valori fondanti della nostra Repubblica.
Dopo la celebrazione dei funerali a Roma nella chiesa di Santa Maria in
Trastevere, la sua salma venne accolta nel Battistero del Duomo di Novara.
Martedì 31 gennaio mons. Renato Corti, con mons. Enrico Masseroni arcivescovo di Vercelli hanno celebrato la liturgia esequiale con la partecipazione di
numerosi sacerdoti e molti novaresi e amici che hanno voluto dare l’ultimo saluto al Presidente che sempre è rimasto legato alla nostra terra. La sua salma venne sepolta nel cimitero di Cameri accanto alla tomba della moglie.
155
ORDINARIATO
TELEGRAMMA DI PAPA BENEDETTO XVI
Appresa la notizia della morte del senatore Oscar Luigi Scalfaro, Papa
Benedetto XVI ha espresso il suo cordoglio in un telegramma inviato alla figlia
dello statista scomparso, Marianna Scalfaro, e reso noto da L’Osservatore
Romano.
«Spiritualmente vicino in questo momento di dolore per la morte dell’amato
genitore, Senatore Oscar Luigi Scalfaro, Presidente emerito della Repubblica
Italiana, desidero porgere le mie più sentite condoglianze con l’assicurazione
della mia sincera partecipazione al grave lutto che colpisce anche l’intera nazione italiana. Nel ricordare con vivo affetto e con speciale gratitudine questo illustre uomo cattolico di Stato, integerrimo magistrato e fedelissimo servitore delle
istituzioni, che nelle pubbliche responsabilità ricoperte sempre si adoperò per la
promozione del bene comune e dei perenni valori etico-religiosi cristiani propri
della tradizione storica e civile dell’Italia, elevo fervide preghiere di suffragio
invocando per la sua anima dalla divina bontà, per intercessione della Vergine
Maria, da lui particolarmente venerata, la pace eterna e di cuore imparto a lei e
a tutti i familiari la confortatrice benedizione apostolica».
MESSAGGIO DEL NUOVO VESCOVO DI NOVARA
PER IL FUNERALE DEL PRESIDENTE OSCAR LUIGI SCALFARO
Mi unisco al cordoglio sentito di tutta la Nazione, abbraccio fraternamente i
familiari e partecipo al lutto della città di Novara e della Regione tutta per la
scomparsa dell’Onorevole Presidente Oscar Luigi Scalfaro. Grande personalità democratica e cattolico a tutto tondo ha servito per lunghi anni il paese in
tutte le cariche della vita repubblicana, fino a raggiungere la più alta, in un
non facile periodo di transizione. Convinto assertore della centralità del
Parlamento, della rappresentanza dei deputati e senatori, dell’indipendenza
della magistratura, pur nella convergenza dei poteri per il bene delle persone
e della vita civile, ha tenuto come stella polare la Costituzione repubblicana,
uscita dal patto tra le forze vive della società dopo l’ultimo terribile conflitto
mondiale.
Aggiungo anche due motivi personali di ricordo del Presidente Scalfaro. Egli
è stato membro nobile del Consiglio di Amministrazione della Facoltà
Teologica dell’Italia Settentrionale, nel momento glorioso della sua fondazione, con il Preside mons. Giuseppe Colombo, uno tra i massimi teologi italiani
e fratello del compianto presidente del Senato Vittorino Colombo. Tutti ricordano l’Onorevole Oscar Luigi attento ai valori della fede intrecciata con le forme più alte della cultura. E per questo gliene sono sinceramente grati. E,
anch’io personalmente, ne ho un’immagine vivida in un intervento nella mia
parrocchia, sul tema a lui caro della devozione a Maria in un lungo e appassionato atto di testimonianza. Devozione professata con la semplicità del
bambino e laicità democratica vissuta in modo integrale si sono in lui coniu-
156
ORDINARIATO
gate nel discorso dinanzi al Parlamento dopo l’elezione alla Presidenza della
Repubblica, non temendo di invocare al termine con le parole del sommo
Poeta Dante, a protezione della Nazione tutta, la Vergine Madre, “umile e alta
più che creatura”.
Al Signore risorto e alla Madre di ogni misericordia lo affidiamo con tenerezza e riconoscenza.
+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara
«Cristiano che seppe abitare la polis»
Omilia di mons. Renato Corti
Abbiamo già ascoltato dalla voce di don Gianni Colombo un commosso ricordo del Presidente Oscar Luigi Scalfaro. Per parte mia saluto di cuore i familiari e, in particolare la figlia Marianna. Mi lascio condurre a riflettere sulla vita
del cristiano nel mondo a partire dalla sacra Scrittura. Premetto soltanto due
riferimenti.
Il primo: quando sono stato nominato Vescovo di Novara egli è venuto gentilmente a Milano per incontrarmi e farmi gli auguri sul futuro che mi attendeva.
Il secondo: in questi vent’anni è stato fedele, fino a quando la salute glielo ha
permesso, ad essere presente e partecipe alla festa di San Gaudenzio, unendosi nella preghiera a tutti gli altri fedeli.
Mi soffermo, dunque su alcune pagine della sacra Scrittura. Le ho scelte perché mi sembra che esse, senza troppi commenti, interpretino bene gli impegni
di vita che il Presidente Scalfaro ha testimoniato.
1. SALMO 1
Il primo testo esprime la preghiera di un antico credente ebraico. Sono posti
in evidenza due modi opposti di intendere e affrontare la vita: quello del giusto
e quello del malvagio. Mi soffermo su quello del giusto.
Di lui si dice:
“Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti”.
Chi fa questa coraggiosa scelta è proclamato beato; è un uomo la cui vita,
agli occhi di Dio è piena. Lo è perché egli, per essere aiutato a percorrere i sentieri giusti,
157
ORDINARIATO
“nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte”.
E’ dunque beato perché affronta ogni giornata lasciandosi condurre dalla
parola di Dio che ha meditata. Questa è una scelta di base che qualifica la
nostra vita di cristiani poiché assumiamo la parola di Dio come lampada sui
nostri passi, luce sul nostro cammino.
2. FILIPPESI 1,27
Il secondo testo è dell’apostolo Paolo. Scrive alla piccola comunità cristiana
della grande città di Filippi. Egli aveva molta stima ed affetto per quei primi
frutti della predicazione del Vangelo. Quei cristiani dimostravano infatti di avere una fede ardente. La vivevano in un contesto tutt’altro che facile. Non mancavano infatti duri avversari. Ma essi non si lasciarono intimidire.
Per quella comunità Paolo esprime un’esortazione singolare. Si tratta del
modo di affrontare da parte loro, la realtà della città. Dice loro: “Comportatevi
da cittadini degni del Vangelo”. Credo che, se Paolo fosse qui oggi, rinnoverebbe l’invito a noi cristiani del XXI secolo. Siamo chiamati a compiere le scelte e
ad affrontare le sfide che ci vengono poste dal nostro inserimento nella storia,
avendo come ispirazione e logica di fondo il Vangelo.
Siamo chiamati ad avere a cuore la “polis”, la città e i suoi abitanti, la città
e i suoi problemi, la città e la convivenza pacifica e costruttiva al di dentro di
essa, la città e le nuove generazioni con le loro attese e i loro timori sul futuro. La politica è farsi carico di questo cammino comune. Anche i cristiani sono
chiamati a questo appuntamento. Oscar Luigi Scalfaro da vero cristiano, non
ha mancato all’appuntamento.
3. MATTEO 22, 15-21
Il testo dell’apostolo Paolo ha già suggerito qualche indicazione sul cristiano
nella città. In questa linea va anche la pagina evangelica con parole famose di
Gesù:
“Date a Cesare quel che è di Cesare,
a Dio quello che è di Dio”.
Il Regno di Dio non è un regno di questo mondo, ha detto ancora Gesù in
un’altra occasione. C’è una giusta laicità da elaborare e praticare. Essa è
distante da ogni integralismo religioso e, nello stesso tempo, da una antropologia che ignora o nega ogni riferimento trascendente a Dio. Il cristiano ha i
piedi ben piantati nel mondo, ma adora soltanto Dio. Oscar Luigi Scalfaro lo
ha fatto.
***
Il Presidente Scalfaro nella sua lunga vita ha meditato e praticato le indicazioni delle sacre scritture su cui mi sono brevemente soffermato. Come Maria,
le ha meditate nel cuore per poi tradurle nel contesto delle sue responsabilità
che sono state molto grandi. Proprio a Maria, Regina di tutti i Santi, vorrei affidarlo, insieme con voi mentre egli ha ormai raggiunto la Gerusalemme celeste.
Insieme con lui, vorrei affidare ognuno di voi, specialmente voi laici. Il luogo
nel quale Dio vi ha posti è il luogo della vostra santità.
158
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
Relazione del Vicario Giudiziale
sull’attività del Tribunale Ecclesiastico
Regionale Piemontese - Anno 2011
Torino 2012
Eccellenza Reverendissima ed Eccellentissimi Vescovi,
Autorità Civili e Militari,
Signore e Signori.
Anche quest’anno ho l’onore di porgere il benvenuto a tutti gli ospiti che partecipano all’inaugurazione del 73° anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico
Regionale Piemontese. Un carissimo e fraterno ringraziamento al Vicario
Giudiziale, mons. Paolo Rigon, del Tribunale Ligure che saluto insieme al suo
Vicario Giudiziale Aggiunto, don Novara, che ci onorano della loro presenza.
Esprimo sentimenti di stima al Vicario Giudiziale del Tribunale di Appello
Lombardo, mons. Paolo Bianchi, che non ha potuto essere presente, ma che
sento vicino grazie alla presenza del Vicario giudiziale Aggiunto, don Vajani.
Permettetemi di salutare i rappresentanti degli avvocati dei fori ecclesiastici piemontese, ligure e lombardo e il nutrito numero di avvocati appartenenti
ai Collegi dell’Ordine Piemontesi che partecipano a questa giornata. Un particolare cenno di riconoscenza al Presidente dell’Autorità garante per la privacy,
prof. Francesco Pizzetti, che ha voluto onorarci della sua presenza e al professore don Davide Cito che terrà la prolusione concernente gli aspetti penali che
hanno attinenza con le cause di nullità matrimoniale.
Sono riconoscente all’Arcivescovo Moderatore per le parole contenute nel
Suo saluto nei confronti di tutto il Tribunale pedemontano ed in particolare
per il rimando al prezioso lavoro del personale della cancelleria e della segreteria che mi permette di ricordare ancora una volta don Renato Mazzola, che
il Signore ha chiamato a sé dopo quarant’anni di servizio al Tribunale
Ecclesiastico Regionale come notaio, economo e cancelliere. Con Lui permettetemi di ricordare altre persone che sono mancate: l’avv. Manni e il can. avv.
Frignani. Questa mattina a margine della Celebrazione Eucaristica la dottoressa Barbara Marengo ha prestato il suo giuramento assumendo il gravoso
compito di Capo della Cancelleria: a lei l’augurio di un proficuo e attento lavoro di coordinamento e di servizio, con l’auspicio che sappia veramente “collaborare col Vicario Giudiziale nell’organizzazione generale e nel funzionamento
del Tribunale”, come ricordato dall’art. 9 del nuovo Regolamento Interno.
159
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
Reverendissimo Moderatore, citando l’ultima allocuzione alla Rota Romana
di Benedetto XVI, Ella ha ricordato ancora una volta il nucleo fondamentale
che contraddistingue il processo canonico matrimoniale e l’operato di un tribunale, sottolineandone la sua singolare, essenziale e solida indole ecclesiale.
“… la retta interpretazione della fede non si riduce certo a una mera assonanza semantica, considerato che il diritto canonico trova nelle verità di fede il
suo fondamento e il suo stesso senso, e che la lex agendi non può che rispecchiare la lex credendi. La questione dell’interpretazione della legge canonica,
peraltro, costituisce un argomento assai vasto e complesso, dinanzi al quale mi
limiterò ad alcune osservazioni. Anzitutto l’ermeneutica del diritto canonico è
1
strettamente legata alla concezione stessa della legge della Chiesa” .
La realtà del Tribunale ecclesiastico è spesso fraintesa e manipolata da
campagne massmediali che ne travisano il vero volto e, qualche volta, lo deformano concentrando l’attenzione su aspetti che concorrono a sminuirne la reale portata di servizio alla persona umana. Diritto e pastorale, in un tribunale
con esclusive competenze matrimoniali, non sono alternativi, ma convergono e
si rimandano l’uno all’altra. Ne consegue che il diritto canonico in generale, e
in specie quello matrimoniale e processuale, richiedono certamente una peculiare preparazione, ma la conoscenza dei suoi aspetti basilari e pratici costituisce un’esigenza formativa di primaria rilevanza per tutti gli operatori pastorali, in particolare per coloro che agiscono nella pastorale familiare, così come
può essere un approccio interessante e arricchente anche per gli operatori del
diritto statale.
Siamo consapevoli che questo orizzonte ecclesiale, richiamato nell’ultima
allocuzione alla Rota Romana da Benedetto XVI, si gioca in concreto, partendo da un’attenta ed illuminata centralità della persona umana che come christifidelis è situata nella communio ecclesiae. La peculiarità irripetibile del
matrimonio, anche in quanto realtà giuridica, legittima lo strumento processuale come un mezzo autorevole, imparziale e sicuro per pronunciare un giu2
dizio secondo verità .
Ecco perché ancora una volta sento la necessità di ribadire come l’oggetto
della causa di nullità del matrimonio, espressione della piena e riconosciuta
autonomia giurisdizionale della Chiesa, non possa essere per nulla ricondotto
alla rivendicazione di un diritto o di un interesse personale sul quale si può
anche giungere ad un accordo transattivo che soddisfi, o almeno non scontenti, le parti contendenti; né si possono ridurre le cause di nullità ad un luogo di
recezione di una volontà autocertificativa delle stesse.
Come non sono ammissibili interpretazioni e applicazioni del diritto nelle
quali: “manca il senso di un diritto oggettivo da cercare, poiché esso resta in
balìa di considerazioni che pretendono di essere teologiche o pastorali, ma alla
fine sono esposte al rischio dell’arbitrarietà”3, così non c’è spazio per una
pastorale del compromesso che mortifichi le esigenze del procedimento giudiziale, pur avendo ben presenti le persone coinvolte e le loro problematiche.
160
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
Ogni rimando al Magistero, al quale va tutta la nostra attenzione e il nostro
ossequio, va colto nell’essenziale riferimento alla carità nella verità e alla rigo4
rosità dell’operato della giustizia ecclesiale che è essenziale nella Chiesa , come
sono essenziali alla vita della Chiesa il matrimonio e la famiglia.
Viviamo in un contesto nel quale si sta smarrendo insieme al senso e alla
realtà del matrimonio anche la reale portata dell’essere Chiesa. La crisi della
cristianità, a volte identificata con la crisi del mondo occidentale, può spingere qualcuno a pensare ad un cristianesimo senza “cristianità” o addirittura
senza “chiesa” ovvero senza il bisogno di incarnarsi in una comunità visibile e
5
distinguibile nella storia del mondo .
L’esito è quello di un cristianesimo non solo senza una concreta compagine
ecclesiale, ma addirittura senza Cristo. Analogicamente l’unione dell’uomo e
della donna è per lo più concepita senza il matrimonio e senza la garanzia dell’esserci di Cristo nel coniugio, attraverso e mediante il Sacramento, che è
segno efficace della Sua Grazia offerto agli sposi.
È pertanto sempre più difficile cogliere la portata dell’espressione “chiesa
6
domestica” introdotta dal Concilio Vaticano II che voleva sintetizzare la valenza ecclesiale e comunitaria del matrimonio e della famiglia, superandone una
visione giuridista ed individualista e, nel contempo, una deriva sentimentalista.
Sono le caratteristiche stesse dell’amore coniugale, sia esso “naturale” o
assunto nel Sacramento, a reclamare un’apertura, a fondare relazioni, a tendere ad esprimersi in una forma comunitaria che ha in sé anche una valenza
giuridica.
1. La dimensione di servizio all’uomo in ricerca di se stesso e di un “Disegno
buono” che non può darsi da sé, deve sempre accompagnare questo strumento giudiziale della Chiesa che, tuttavia, si muove in una realtà sempre più complessa e schizzata nella quale coesistono la paura del “per sempre” e quella
opposta della “precarietà”.
“Concentrati su un qui e ora puramente corporei, abbiamo ucciso tutti gli dei
e reso la bellezza l’unica nostra religione. Non abbiamo più sogni, non coltiviamo
progetti, non sopportiamo il silenzio, facciamo rumore per vincere la solitudine,
sradicati come siamo dalle nostre origini, incapaci di amare, di insegnare ai
7
nostri figli e di imparare dai nostri padri. E siamo pieni di paura” .
Vittorino Andreoli nel suo ultimo recentissimo libro, fotografando il destino
dell’uomo contemporaneo, sembra offrire più di uno spunto per uno sguardo
veramente umano capace di cogliere i mutamenti senza offrire ricette preconfezionate, ma suggerendo chiavi di lettura capaci di guardare con speranza
anche alla crisi dell’istituto matrimoniale.
“L’uomo di oggi galleggia su una società liquida, scivola sulla propria pelle,
non ha più anima. E rischia di morire: di bellezza, di stupidità, di potere, di denaro. Eppure non è questo l’uomo e non è questo il mondo. La gioia si cala nel
8
mistero che portiamo nascosto dentro” .
161
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
La percezione di questa precarietà e complessità epocale ci deve spingere
ben al di là di una adeguata preparazione dottrinale e professionale, sia pur
necessaria. Il nostro operato deve trovare la sua sorgente e la sua foce in un
“con-sentire ecclesiale” perché sappiamo bene che il nostro è un compito difficile. Esso esige un esercizio della ragione molto delicato per giungere a quella
certezza morale che consente al giudice di pronunciare la sentenza stessa.
Tutti noi siamo e dobbiamo essere umili collaboratori del munus dei Vescovi,
ai quali spetta l’esercizio della potestà giudiziale.
La giornata odierna giunge ad un anno e mezzo dal rinnovo dell’Organico
del Tribunale e a due mesi dall’entrata in vigore del nuovo regolamento rivisitato, ampliato e corretto alla luce dell’Istruzione Dignitas Connubii. Questo
strumento è stato approvato dalla Conferenza Episcopale del Piemonte e Valle
d’Aosta riunita a Susa il 14 settembre 2011.
Spetta ai ministri del Tribunale la massima vigilanza nel mantenere fede
alla retta dottrina, alle direttive del Magistero, alla legge canonica e alla giurisprudenza che garantisce quella corretta applicazione della legge richiamata
nell’ultima Allocuzione del Santo Padre. Un grazie al Moderatore e a quei
Vescovi piemontesi che con generosità e pazienza ci seguono e ci sostengono.
2. Il Tribunale Ecclesiastico interviene dopo il fallimento del matrimonio
nella vita di quelle persone, credenti e non credenti, cattolici e non, che si rivolgono alla giustizia della Chiesa.
Proprio questo contesto giurisdizionale nella ricerca della verità, trascendente rispetto alle persone e agli interessi delle parti in causa, consente e giustifica un loro atteggiamento concorde e convergente, in quanto la verità sul
matrimonio, a suo tempo contratto, non è di interesse unilaterale, ma un bene
pubblico.
Le parti sono chiamate a collaborare nell’accertamento della verità sul loro
stato di vita. Indicazioni preziose ci vengono dall’Istruzione Dignitas Connubii,
dove si può leggere in quest’ottica il disposto dell’art. 95, § 1: “Perché venga
accertata più facilmente la verità e riceva miglior tutela il diritto di difesa, è quanto mai opportuno che entrambi i coniugi prendano parte al processo di nullità di
matrimonio”. “Accertare più facilmente la verità” non significa, come qualcuno
purtroppo ancora pensa anche in ambienti del foro civile, che sia sufficiente
che le parti si mettano d’accordo per ottenere la declaratoria di nullità.
Esiste l’onere della prova e il contraddittorio nel processo matrimoniale
canonico è sempre dato dalla necessaria presenza della Parte pubblica; di qui
il delicato e fondamentale compito del Difensore del Vincolo e, laddove è utile
o in alcuni casi necessario, quello del Promotore di Giustizia.
La loro presenza nel nostro Tribunale non è solo formale: essa sostanzia un
ruolo attivo in tutto l’iter del processo. Posso inoltre dire ad alta voce che nel
Tribunale Piemontese non esistono “corsie privilegiate” accessibili per qualcu-
162
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
no forte di conoscenze o quant’altro. Nessuno può collocarsi al di sopra, o ai
margini, della legge canonica e non ci possono essere strappi alla giustizia e
alla legalità anche nell’ordinamento ecclesiale.
Tuttavia, per riprendere un’immagine evocata dal Procuratore Caselli nel
suo libro “Assalto alla Giustizia”, concernente la visione tradizionale del giudi9
ce inteso come “bocca della legge” , con orgoglio posso asserire che nei duemila anni dell’ordinamento ecclesiale, che si caratterizza per singolarità e finalità,
mai il giudice canonico ha potuto “nascondersi dietro il dito” della mera applicazione della norma e, nel dipanarsi dei secoli, nella giurisprudenza canonica
è sempre stata presente la possibilità di una “interpretazione evolutiva della
legge” non solo sotto il profilo applicativo dell’equitas canonica, ma anche in
appoggio al sensus fidei del popolo di Dio e alla necessità per la Chiesa di
cogliere “i segni dei tempi”.
In realtà il matrimonio è un bene pubblico dell’ordinamento ecclesiale e pertanto la sua esistenza o meno non può essere lasciata né alla libera disponibilità né alla mera coscienza delle parti in causa. I fedeli che si rivolgono alla giustizia canonica non si impegnano ad autocertificare la fine di una coabitazione, ma concorrono nella ricerca della verità circa il loro effettivo status vitae,
cioè circa la validità o meno del vincolo contratto. La fatica di queste cause sta
sia nel duro coinvolgimento del vissuto personale, sia nel rigore con cui esse
sono istruite ed espletate.
3. Dovendo relazionare sulla vita del Tribunale Regionale, il primo rimando
è riservato agli operatori: Giudici, Difensori del Vincolo, Cancelliere, Notai,
Patroni stabili, Avvocati e Periti. L’organico non è praticamente cambiato, fatta salva la nomina del nuovo cancelliere.
La presenza dei laici di anno in anno si fa sempre più significativa e fondamentale per il funzionamento del Tribunale. Anche oggi rinnovo un accorato
appello agli Eccellentissimi Vescovi delle diocesi piemontesi, perché si favori10
sca lo studio del diritto canonico da parte di sacerdoti giovani . Se ciò non
avverrà e i presbiteri relativamente giovani saranno lasciati al Tribunale, ma
gravati da due o tre incarichi nella loro diocesi di incardinazione, nel prossimo
triennio, viste anche le nuove disposizioni della CEI circa l’assunzione di giudici e Difensori del Vincolo laici e le sempre più contenute risorse economiche,
non sarà più possibile avere un organico adeguato e operativamente funzionante.
Le verifiche amministrative - gestionali e i suggerimenti per il funzionamento e il futuro di questa istituzione ecclesiastica forniti in questi mesi
dall’Ufficio Giuridico della CEI sono state preziose ed importanti. Non posso
non ringraziare mons. Adolfo Zambon per la sua amabile disponibilità ed il suo
prezioso interessamento. Sono certo che i frutti si raccoglieranno nei prossimi
anni, anche se ci aspettano tempi tutt’altro che facili. Il passaggio da una giu-
163
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
stizia che si manteneva prevalentemente con gli oneri che gravavano sulle parti e che ne facevano uno strumento di élite, alla riforma voluta dalla CEI che
ne ha assunto i costi di gestione con una quota dei proventi dell’“otto per mille”, è un processo benefico ed irreversibile per la Chiesa italiana.
4. La competenza del Tribunale Regionale Piemontese si estende alle 17
Diocesi del Piemonte e della Valle d’Aosta come Tribunale di prima istanza. In
quanto Tribunale di Appello giudica le cause matrimoniali provenienti dalle 7
Diocesi della Liguria. Ovviamente l’attenzione del Tribunale è mirata ai matrimoni canonici o celebrati con rito concordatario secondo i fori di competenza
stabiliti dalla legge.
Le cause del Tribunale Ligure vengono da noi trattate in sede di appello,
mentre il Tribunale Lombardo è il nostro Tribunale di secondo grado. È doveroso, anche quest’anno, ringraziare i colleghi dell’uno e dell’altro foro per la
costante collaborazione.
Nell’ultimo anno il TERP ha deciso in primo grado di giurisdizione e con
sentenza 133 cause di nullità, alle quali si devono sommare 3 cause rinunciate o perente e 2 ritirate; di esse 109 sono state le sentenze affermative e 24
sono state quelle negative. Le sentenze affermative sono state trasmesse d’ufficio a Milano. Solo quelle che hanno avuto una risposta diversa dal primo grado necessitano di un terzo grado (quello spettante alla Rota Romana). Di fronte a sentenze negative in primo grado di Torino, una ha appellato direttamente in Rota, la quale agisce anche come Tribunale di secondo grado. Contro le
decisioni negative del nostro Tribunale in secondo grado, nel 2010, gli appelli
in Rota sono stati 2.
5. Le cause di nullità di primo grado introdotte nell’anno 2011 (110) hanno
riscontrato una pesante battuta d’arresto nei confronti della leggera ripresa
dell’anno precedente. Il numero delle cause introdotte continua a diminuire
rispetto agli anni passati (-17). Le cause di secondo grado (96) sono ulteriormente diminuite rispetto al 2010 (-9). È ormai un dato generalizzato in tutti i
Tribunali Regionali il calo delle cause introdotte.
In realtà questo fenomeno può essere letto non solo come frutto di una diffusa disinformazione nelle comunità ecclesiali ancora ferme all’idea di una giustizia per privilegiati, ma anche come un fenomeno indotto da fattori economici e dalla forte secolarizzazione che ha determinato il costante calo, di anno in
anno, del numero di matrimoni concordatari (si vedano a questo proposito i
dati prodotti e le statistiche offerte dall’ISTAT). Anche in sede civile si sta assestando il numero complessivo delle separazioni e dei divorzi, perché in realtà
ci si sposa sempre meno ed in età sempre più avanzata. Il numero dei matrimoni celebrati nell’Arcidiocesi di Torino negli ultimi quindici anni si è più che
11
dimezzato , così è anche per le altre diocesi piemontesi.
164
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
Il rapporto tra divorzi e cause di nullità concluse in Italia è di 4 nullità ogni
100 divorzi. Le cause canoniche ancora presentano una incidenza in proporzione davvero esigua.
6. Consentitemi ancora alcuni accenni alla durata dei processi e alle cause
pendenti. Nel 2011 si sono conclusi tra il primo e il secondo grado 237 processi contro i 281 dell’anno precedente, con un significativo decremento della
giurisdizione di entrambi i gradi (-44 cause rispetto al 2010). Nel 2008 le cause concluse nei due gradi di giurisdizione erano state 280.
Questi dati vanno letti in rapporto al numero complessivo delle cause introdotte e senza perdere di vista il numero delle cause pendenti, sia in primo che
in secondo grado definitivo. Dico ciò, perché l’impegno di diminuire le pendenze e i tempi dell’espletamento delle cause sta mostrando effetti ormai ben assestati. La nuova organizzazione della distribuzione del lavoro ha accelerato i
tempi e ci ha permesso di smaltire non poche pendenze. Già negli anni scorsi
esse erano contenute in termini fisiologici (il 2009 si era concluso con 228 pendenze di primo grado) e i risultati del 2010 vedevano per la prima volta, rispetto agli ultimi venti anni, le cause pendenti sotto il numero di 200 (197). Il 2011
annovera tra le pendenti solo 169 cause. Pur tenendo conto del minor numero dei libelli presentati posso asserire che si è lavorato di più, anche se con una
certa discontinuità nel corso dell’anno.
Tuttavia tra le pendenti ve ne sono alcune che possono prestare il fianco ad
accuse di “justitia retardata”:
4 le cause pendenti introdotte nel 2008;
7 le pendenti introdotte nel 2009;
19 e pendenti del primo quadrimestre del 2010.
Anche le cause pendenti di secondo grado si sono contratte ancora e ben
al di là del numero in calo delle cause giunte da Genova. Le pendenti erano 46
allo scadere del 2010 contro le 75 del 2009. Al 31 dicembre 2011 le pendenti
sono 36 così ripartite:
17 rinviati ad Esame ordinario;
19 in attesa di decisione.
Purtroppo tra gli esami ordinari si contano 5 supplementi di istruttoria iniziati nel 2009, 5 cause iniziate nel 2010, mentre sono 7 gli esami ordinari iniziati nel 2011.
Al 31 dicembre 2010 era pendente 1 mandato di Tribunali Apostolici e nessuna rogatoria di Tribunali italiani o esteri. Nel 2011 sono pervenuti complessivamente 21 mandati. Il nostro Tribunale ha eseguito 19 rogatorie e pertanto
il 2011 si è concluso con 3 pendenze per rogatorie giunte, tuttavia, tra ottobre
e dicembre. Il TERP espleta questo servizio con una media di 45 giorni, mentre mediamente si deve attendere dai due ai sei mesi per ricevere quelle richieste ai Tribunali di altre diocesi.
165
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
Permane ancora forte il desiderio e l’obiettivo di rimanere nei tempi previsti
dal dettato codiciale, almeno per buona parte delle cause introdotte.
La stragrande maggioranza delle cause di secondo grado (87) è stata confermata con decreto, tuttavia 17 sono state decise con esame ordinario e 2
sono andate perente. La media del tempo necessario per giungere al decreto è
stata quest’anno di 87 giorni contro i 112 dell’anno precedente.
Un buon lavoro è stato fatto nello smaltire e nell’accelerare la minor durata
delle cause di primo grado per raggiungere il traguardo dei tempi del processo
canonico, così come sono disposti dal codice, cioè 12 mesi in primo grado.
Vi invito a consultare la tabella 1.15. Il 77% delle cause di primo grado, contro il 75% dell’anno scorso, è durato meno di due anni. Ma significativo è il
dato che più si avvicina ai parametri codiciali. Infatti 72 cause (il 52%) su 138
concluse nel 2011 hanno avuto una durata al di sotto dei 14 mesi. Con l’inaugurazione dell’anno scorso auspicavo uno sforzo: “affinché almeno il 50%
delle cause decise in un anno si avvicini alla tempistica prevista dal codice”;
questo risultato è stato ampiamente raggiunto. Sono soltanto più 32, pari al
23%, le cause pendenti la cui durata supera i due anni anche se occorre non
adagiarci sui risultati ottenuti. Le cause del protrarsi dell’istruttoria sono sempre le stesse e sono per lo più segnate dal grande contenzioso delle parti, o dalle lunghe attese per avere la perizia d’ufficio nelle cause di incapacità consensuale. A volte i patroni, chiedono dilazioni dei termini che poi non rispettano
per il deposito delle difese.
7. Quest’anno l’Ufficio degli Avvocati Patroni Stabili, messi a disposizione
dal Tribunale, al quale si può ricorrere senza spese, ha affrontato 628 colloqui
per un ammontare di 257 nuove situazioni matrimoniali esaminate, effettuando evidentemente più incontri di approfondimento. Questo istituto, voluto e
sovvenzionato dalla CEI, ha offerto una possibilità di assistenza tecnica, sia
nella fase di consulenza anteriore all’introduzione della causa, sia nella causa
stessa a favore dei fedeli più deboli economicamente, psicologicamente e culturalmente.
Il servizio dislocato in alcune diocesi è stato utile ed efficace; il numero dei
patroni è rimasto di tre con l’apporto di don Cheula che ha espletato il suo tirocinio e sostituirà l’avv. Pia Negri dopo il 30 giugno 2012. Nel 2010 i Patroni
Stabili avevano introdotto 35 cause su 127, nel 2011 invece hanno presentato 41 libelli su 110 e indicato un procedimento amministrativo per inconsumazione; sono state inoltre difese 7 parti convenute. I Patroni Stabili non solo
consigliano l’introduzione della causa esclusivamente nei casi in cui ravvisino
una fondatezza della stessa, come d’altronde fanno anche i Patroni di fiducia,
ma sempre presentano l’albo degli avvocati a coloro che, viste le possibilità economiche, possono rivolgersi al libero patrocinio professionale.
166
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
Gli Avvocati dell’Albo, come liberi professionisti sono considerati un’ulteriore qualificata risorsa del Tribunale stesso. Lo spirito di dialogo ha contraddistinto i rapporti tra l’Associazione dei Patroni di fiducia e il Tribunale anche
nell’anno 2011 e ha portato ad ottimi frutti quale il lavoro per la revisione del
regolamento del Tribunale approvato dai Vescovi nell’autunno.
La posizione scandalistica e mistificatrice di certi organi di stampa sembra
dura a morire, per lasciare il passo ad uno sguardo più obiettivo sui Tribunali
ecclesiastici e sulla loro funzione. Purtroppo, non solo i mezzi di comunicazione di massa, ma anche internet, diventano spesso cassa di risonanza di luoghi comuni infondati, con una disinformazione sulle procedure e sui costi delle cause di nullità, o, in forme più gravi e subdole, occasione di pubblicità di
chi si inventa esperto e consulente, attribuendosi riconoscimenti ecclesiali inesistenti e spacciandosi per “avvocato ecclesiastico”. Tutte queste situazioni
creano confusione nei fedeli, fino a giungere all’inganno della loro buona fede.
Certi comportamenti non possono essere tollerati e possono anche essere perseguiti penalmente all’interno dell’ordinamento canonico. La relazione del prof.
Cito non mancherà di offrire spunti al riguardo.
Ringrazio l’Ufficio Comunicazioni Sociali della Curia Torinese per l’apporto
dato, anche in questa occasione, ad una informazione completa, esaustiva e
trasparente.
8. Tra le cause delle due regioni, Piemonte e Valle d’Aosta, decise nell’anno
2011, i capi di nullità che si configurano in rapporto all’identità cristiana del
matrimonio cioè il gruppo dei difetti del consenso o simulazioni hanno ceduto
il passo, ma per poche unità, alle incapacità consensuali. I difetti del consenso si verificano quando si contrae con una visione e impostazione soggettiva
del matrimonio in aperto rifiuto del matrimonio stesso o di uno o più requisiti
essenziali (esclusione dell’indissolubilità, della sacramentalità, della prole, della fedeltà, del bene dei coniugi). Consultate il grafico nel fascicolo che vi è stato dato e vi renderete conto come, sotto il profilo quantitativo, le cosiddette
immaturità abbiano una grande portata. Su 242 capi di nullità giudicati, infatti, 112 appartengono alle simulazioni: 42 hanno ottenuto sentenza affermativa, 15 sono stati respinti. Le simulazioni più ricorrenti sono l’esclusione dell’indissolubilità (20) e della prole (29). Sovente la seconda consegue alla prima:
infatti, l’incertezza sulla consistenza e serenità del proprio matrimonio, che
genera una riserva contro la permanenza del vincolo, si può ripercuotere sull’impegno procreativo fino al punto di escluderlo o condizionarlo al buon esito
dell’unione coniugale. Il 2011 ha visto la decisione pro nullitate di una causa
la cui vicenda matrimoniale è stata segnata dall’esclusione dell’indissolubilità
operata da una parte cristiano-ortodossa.
I capi di natura psicologica sono purtroppo esponenzialmente in crescita
rispetto all’anno scorso: 116 unità su 242, di cui però 14 sono stati respinti.
Essi riguardano sia il grave difetto di discrezione di giudizio di una o dell’altra
167
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
parte, a fronte dei diritti e doveri essenziali del matrimonio, sia l’assenza di
libertà interna, sia l’incapacità per cause di natura psichica di assumere gli
obblighi essenziali del matrimonio. Anche quest’anno è emerso un mondo di
gravissime sofferenze con non pochi contatti con l’ordinamento statale ed il
suo ambito penale, dal quale sempre abbiamo avuto la massima collaborazione possibile. Sono uno spaccato di quelle situazioni che purtroppo popolano,
a volte morbosamente, la cronaca nera dei mezzi di comunicazione. È in questo contesto generale che si fa ancor più urgente una rinnovata attenzione agli
atti preparatori delle nozze.
Anche nel 2011 sono state diverse le occasioni di collaborazione del
Tribunale con la pastorale familiare, sia a livello di singole diocesi che a livello regionale: davanti a noi abbiamo un grande sfida, quella di non permettere
di mascherare con una parvenza di “coppia” una sostanziale vita da “single”.
Nelle 106 cause provenienti dalla Liguria e decise nel 2011 in secondo grado di giurisdizione dal nostro Tribunale, si nota una sostanziale conformità
rispetto ai dati presentati per il Tribunale di prima istanza.
Sia per le cause di primo, come per il secondo grado, la somma dei capi di
nullità ammessi o respinti non corrisponde al numero dei decreti di conferma
o delle sentenze, poiché in alcuni casi i provvedimenti hanno definito più capi
di nullità o sono intervenute, sia con decreto che con sentenza di secondo grado di giurisdizione, conferme solo parziali.
Scorrendo ancora velocemente i dati, evidenzierei come la percentuale delle sentenze negative (32, pari 13%) insieme alle cause rinunciate o perente (7)
la dica lunga sulla rigorosità delle procedure e delle decisioni in linea con le
indicazioni del Magistero. La sentenza negativa dichiara non constare la nullità del matrimonio.
Per le sentenze liguri, 87 sono state le decisioni prese con rito abbreviato e
quindi confermate totalmente o anche solo parzialmente, 17 quelle decise dopo
il rinvio all’esame ordinario, perché necessitanti un maggiore approfondimento istruttorio. Tra queste ultime 9 hanno prodotto una sentenza di conferma
quanto meno parziale e 8 hanno portato ad un pronunciamento difforme, cioè
negativo rispetto al primo grado di giurisdizione; 2 sono state le cause rinunciate o archiviate in questo secondo grado di giurisdizione.
I numeri e le percentuali smentiscono ancora una volta coloro che parlano
di “facilità” nell’ottenere sentenze di nullità di matrimonio, perché l’esito di una
causa è sempre tutt’altro che scontato.
9. Continua la disinformazione riguardo al costo delle cause, nonostante i
molteplici sforzi posti in essere in passato anche non tanto recente e spesso ci
si ferma ad alcuni circoscritti abusi o alle tariffe del Tribunale della Rota
Romana, nei rari casi in cui ci si rivolga al Tribunale Apostolico. La Conferenza
Episcopale Italiana, dopo un triennio di sperimentazione, ha promulgato norme definitive per tutto il territorio nazionale. Il contributo per i costi di causa
(si tratta di un semplice contributo) è stato fissato per tutto il territorio nazionale in euro 525,00 per la parte attrice e di euro 262,50 per la parte convenu-
168
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
ta che si costituisce, a fronte di un costo reale che si aggira sui 3.000 euro,
comprensivo dell’attività del Tribunale di primo grado e del Tribunale di
Appello. Sempre la Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito “una forbice”,
che è stata aggiornata nel 2010, da un minimo di 1.575 euro a un massimo di
2.992 euro per l’onorario degli Avvocati. Qualora il Tribunale d’Appello ritenga
opportuno rinviare all’esame ordinario la causa decisa dal primo grado, la CEI
ha previsto un supplemento di onorario per gli avvocati sempre tra un minimo
ed un massimo.
Questo regime patrimoniale è pienamente vigente nel Tribunale Piemontese
con una prassi che è stata recepita anche dal nuovo regolamento. Si è voluto
riconoscere la professionalità e il lavoro dei Patroni, senza tralasciare la vigilanza, affinché le parti siano sempre adeguatamente e preventivamente informate dei reali costi e onorari dovuti ai professionisti.
A fronte di una precisa documentazione viene comunque sempre accordata una congrua riduzione delle spese fino al gratuito patrocinio per chi si trova in difficoltà economiche. La grande maggioranza di chi ricorre al Tribunale
non è certo costituita da persone ricche o famose. Fatta salva la possibilità di
rivolgersi ai Patroni Stabili, che non sono assimilabili nel nostro ordinamento
ai difensori d’ufficio, considero una reale garanzia per le parti quella di affidarsi ai professionisti iscritti all’albo del nostro Tribunale, perché in questo
ambito esiste la possibilità di un ulteriore controllo da parte del Collegio degli
avvocati ecclesiastici, e del Tribunale stesso, circa il corretto approccio deontologico e il rispetto delle tariffe previste dai Vescovi italiani.
10. Concludo questa relazione sull’attività del Tribunale Ecclesiastico
Regionale con la speranza di essere stato chiaro ed esauriente. Non è facile far
recepire all’opinione pubblica, meno avvertita e meno difesa dalle impulsività
emozionali, il valore e la verità del matrimonio, e del matrimonio-sacramento
in particolare, e in questo contesto spiegare il munus di chi non “annulla”, ma
si pone alla ricerca della verità su un vincolo contratto in modo difforme,
incompleto o inadeguato rispetto ad un progetto inscritto nel cuore dell’uomo,
con un disegno che viene da Dio.
“Non esiste, pertanto, un matrimonio della vita ed un altro del diritto: non vi
è che un solo matrimonio, il quale è costitutivamente vincolo giuridico reale tra
l’uomo e la donna, un vincolo su cui poggia l’autentica dinamica coniugale di vita
12
e di amore” .
Nel matrimonio canonico diritto divino e diritto naturale interagiscono fondendosi in un unicum prezioso e di incomparabile bellezza e maestosità, come
certe nostre montagne così amate dal mio Vescovo e dal mio predecessore don
Carbonero. Un unicum nel quale umano e divino non sono dicotomicamente
presi: “Ius naturale est quod in Lege et Evangelio continetur” per dirla con il
maestro Graziano. Una bellezza, non superficiale, che viene dal profondo di un
uomo e di una donna che progressivamente scoprono, o riscoprono, la vita
come vocazione e, cioè, non solo come “libertà da” ma come “libertà di”.
169
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
A fondamento del nostro operato, per nulla arbitrario o manipolatore, rimane comunque e sempre la legge canonica, che a me piace richiamare nella definizione formale e classica di San Tommaso d’Aquino: “Quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata”.
Fedeltà alla legge non positivisticamente intesa e dimensione di servizio servono a rendere sempre meno inadeguato lo strumento giudiziale, rispetto al
fine ultimo del processo canonico matrimoniale e, cioè, la “dignitas connubii” e
la “salus animarum”.
Tra breve ascolteremo il relatore prof. Don Davide CITO, docente di diritto
penale alla Pontificia Università della Santa Croce e Consultore presso la
Congregazione del Clero. Egli ci introdurrà in un tema alquanto delicato, muovendosi con la sua chiarissima esposizione nel complesso rapporto tra processo matrimoniale e diritto penale canonico.
Ringrazio tutti per l’attenzione. Chiedo ora all’Arcivescovo nella sua funzione di Moderatore di dichiarare aperto il 73° anno giudiziario del Tribunale
Ecclesiastico Regionale Piemontese.
Don Ettore Signorile
1
2
3
4
5
BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 21 gennaio 2012.
Cfr. BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 2006.
BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 21 gennaio 2012.
Cfr. BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 21 gennaio 2012.
Cfr. GIOVANNI FERRETTI, Essere cristiani oggi: il nostro cristianesimo nel moderno mondo secolare, ELLEDICI, 2011, p. 35-68.
6 Lumen Gentium n. 11.
7 VITTORINO ANDREOLI, L’uomo di superficie, Rizzoli 2012, p. 105.
8 Ut supra, p. 95-96
9 GIAN CARLO CASELLI, Assalto alla Giustizia, Melampo, 2011, p. 34.
10 PCLT, Instr. Dignitas Connubii, 25 ian. 2005: “Pertanto, i Vescovi hanno il grave obbligo di provvedere che per i propri tribunali vengano formati con sollecitudine idonei
amministratori di giustizia e che questi vengano preparati con un opportuno tirocinio
in foro canonico a istruire secondo le norme e decidere secondo giustizia le cause
matrimoniali in tribunale” (Proemium Instructionis).
11 Cfr. scheda n. 9
12 BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana
170
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
DATI STATISTICI RELATIVI ALL’ATTIVITA’ GIUDIZIARIA
NELL’ANNO 2011
TRIBUNALE ECCLESIASTICO REGIONALE PIEMONTESE
CAUSE DI NULLITÀ DI MATRIMONIO IN PRIMO GRADO
Istanze provenienti dalle 12 Diocesi della Provincia Ecclesiastica di Torino
(Torino, Acqui, Alba, Aosta, Asti, Cuneo, Fossano, Ivrea, Mondovì, Pinerolo,
Saluzzo, Susa) e dalle 5 Diocesi della Provincia Ecclesiastica di Vercelli (Vercelli,
Alessandria, Biella, Casale, Novara) riunite nella Regione Ecclesiastica Piemonte.
Situazione
Pendenti il 31 dicembre 2010
Introdotte nell’anno 2011
Concluse nell’anno 2011:
Decise con sentenza
Perente o rinunciate
Archiviate
Totale
Pendenti il 31 dicembre 2011
197
110
133
3
2
Esito delle 133 cause decise nell’anno 2011
Sentenze affermative (consta la nullità del matrimonio)
Sentenze negative (non consta la nullità del matrimonio)
138
169
109 (82%)
24 (18%)
Capi di nullità esaminati nelle 133 cause decise nell’anno 2011
ammessi respinti
Incapacità consensuale per insufficiente uso di ragione
0
1
Incapacità consensuale per grave difetto di discrezione
di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali
49
25
Incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio 21
20
Matrimonio ottenuto con dolo
4
3
3
Simulazione per esclusione del matrimonio (simulaz. totale)
1
20
30
Simulazione per esclusione dell’indissolubilità del vincolo
32
17
Simulazione per esclusione del bonum prolis
Simulazione per esclusione della fedeltà coniugale
5
0
Simulazione per esclusione del bonum coniugum
1
1
Simulazione per esclusione della dignità sacramentale
0
2
1
1
Matrimonio celebrato per effetto di violenza o timore grave
Esclusione del matrimonio
0
2
Condicio
0
1
Impotenza
1
1
Totale
145
97
171
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
N.B. La somma dei capi di nullità ammessi o respinti non corrisponde al
numero delle sentenze, in quanto in diversi casi una sentenza ha definito più
capi.
Condizione sociale delle parti nelle 133 cause decise nell’anno 2011
Impiegati
Operai
Liberi professionisti
Commercianti e artigiani
Disoccupati
Insegnanti
Casalinghe
Pensionati
Militari ed equiparati
Dirigenti
Imprenditori
Non dichiarata
In attesa di occupazione
Magistrati
Totale
Parte attrice
83 31,20%
41 15,41%
31 11,65%
24 9,02%
18 6,77%
14 5,26%
13 4,89%
11 4,14%
9 3,38%
7 2,63%
7 2,63%
4 1,50%
3 1,13%
1 0,38%
266 100%
46 34,59%
16 12,03%
16 12,03%
9
6,77%
4
3,01%
11
8,27%
6
4,51%
7
5,26%
7
5,26%
3
2,26%
5
3,76%
0
0,00%
2
1,50%
1
0,75%
133
100%
Parte convenuta
37
25
15
15
14
3
7
4
2
4
2
4
1
0
133
27,82%
18,80%
11,28%
11,28%
10,52%
2,26%
5,26%
3,01%
1,50%
3,01%
1,50%
3,01%
0,75%
0,00%
100%
Durata della convivenza coniugale nelle 133 cause decise nell’anno 2011
Meno di un anno
Da uno a due anni
Da due a tre anni
Da tre a cinque anni
Da cinque a dieci anni
Oltre dieci anni
25
15
17
23
31
22
media
media
media
media
media
media
giorni
mesi
mesi
mesi
anni
anni
199
18,13
30,28
45,99
33
15,69
(18,80%)
(11,28%)
(12,78%)
(17,29%)
(23,31%)
(16,54%)
Numero di figli in costanza di matrimonio nelle 133 cause decise
nell’anno 2011
Nessun figlio
Un figlio
Due figli
Tre figli
Quattro o più figli
106
20
5
1
1
(79,70%)
(15,04%)
(3,76%)
(0,75%)
(0,75%)
172
TRIBUNALE ECCLESIASTICO
Diocesi di provenienza delle 138 cause concluse nell’anno 2011
Torino
Vercelli
Acqui
Alba
Alessandria
Aosta
Asti
Biella
Casale
59 (42,75%)
1 (0,72%)
5 (3,62%)
3 (2,17%)
10 (7,25%)
1 (0,72%)
14 (10,14%)
4 (2,90%)
6 (4,35%)
Cuneo
Fossano
Ivrea
Mondovì
Novara
Pinerolo
Saluzzo
Susa
2 1,45%)
1 (0,72%)
4 (2,90%)
4 (2,90%)
20 (14,49%)
2 (1,45%)
1 (0,72%)
1 (0,72%)
Durata del processo nelle 138 cause concluse nell’anno 2011
Inferiore a sei mesi
Da sei mesi a un anno
Da un anno a un anno e mezzo
Da un anno e mezzo a due anni
Oltre due anni
2
24
46
34
32
media
media
media
media
media
giorni
mesi
mesi
mesi
anni
111
10,52
14,58
21,13
2,72
(1,45%)
(17,39%)
(33,33%)
(24,64%)
(23,19%)
Contributo economico delle parti nelle 133 cause decise nell’anno 2011
A totale pagamento
Con riduzione delle spese
Senza spese
124
7
2
(93,23%)
(5,26%)
(1,50%)
N.B. Il contributo per le spese processuali a carico della parte che intenta l’azione è stato stabilito dalla Conferenza Episcopale Italiana in euro 525,00. Parte
convenuta, se si costituisce con proprio Avvocato, è tenuta a versare al Tribunale
il contributo di euro 262,50. Tali somme sono comprensive di ogni spesa (incluse perizie e rogatorie presso altri Tribunali) per i due gradi di giudizio.
L’onorario dell’Avvocato di fiducia per le parti è invece fissato dalla C.E.I.
tra un minimo di € 1.575,00 e un massimo di € 2.992,00, oltre gli accessori
fiscali di legge. Chi inizia una causa riceve una informativa circa la possibile forbice nell’onorario del patrono di fiducia che sottoscrive. Con la presentazione delle difese il Presidente di causa determina l’importo dell’onorario all’avvocato e
liquida le eventuali ulteriori spese dell’avvocato certificate e sottoscritte dalla
parte.
Chi si avvale del Patrono Stabile non è gravato da onorari di Avvocato né in
prima né in seconda istanza.
173
PASTORALE PELLEGRINAGGI
“Al servizio della gioia e della speranza”
Pellegrinaggi proposti nel 2012
Partecipare a un pellegrinaggio è sicuramente una forte esperienza di fede.
Oltre agli aspetti organizzativi è quindi necessario che ciascuno predisponga la
mente e il cuore.
A questo scopo l’Ufficio diocesano è a disposizione di coloro che intendono promuovere il pellegrinaggio come speciale opportunità pastorale, offrendo assistenza organizzativa e spirituale sia per la programmazione che, se richiesto, per
l’accompagnamento.
A coloro che fossero interessati alle iniziative proposte, potremo inviare il quantitativo richiesto di depliant. E’ inoltre possibile avviare una collaborazione per
la raccolta delle adesioni, concordandone le modalità.
L’Organizzazione tecnica dei Pellegrinaggi 2012 è affidata alle seguenti
Agenzie: SpiderViaggi - Borgosesia, SogeviTour - Vercelli, Rusconi Viaggi Lecco, Duomo Viaggi - Milano, ORP-Roma e altre.
2-3 GIUGNO 2012 - VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE
PARTECIPAZIONE AGLI EVENTI CON IL SANTO PADRE
Sabato 2 giugno - ore 20.30
Festa delle Testimonianze alla presenza del Papa Benedetto XVI
La partenza dalle diverse località di provenienza è prevista nel primissimo
pomeriggio.
Domenica 3 giugno – ore 10.00
Solenne Celebrazione Eucaristica
presieduta da Sua Santità Benedetto XVI
La partenza dalle diverse località di provenienza è prevista nella primissima
mattinata (indicativamente ore 4,30/5,00).
La Diocesi mette a disposizione l’organizzazione dei pullman per i trasferimenti
a Milano - Parco Nord / Aeroporto di Bresso, l’area che ospiterà gli incontri con
il Santo Padre.
174
PASTORALE PELLEGRINAGGI
Per chi desidera partecipare ai due eventi, è possibile prevedere il pernottamento con sacco a pelo presso l’aera degli incontri (siamo ancora in attesa che
l’organizzazione ci comunichi eventuali possibili sistemazioni).
Per poter accedere agli incontri è obbligatorio il pass.
Il Pass per i soli due eventi è gratuito, il costo per i trasferimenti è stato fissato in € 11,00 ad evento.
Iscrizioni entro il 5 maggio.
POLONIA sui passi di Giovani Paolo II
15/19 maggio 2012 - in aereo
Quota € 800,00 con Rusconi Viaggi
LOURDES
23/25 maggio 2012 - in aereo
Quota € 450,00 con Duomo Viaggi
4-8 settembre 2012 - in aereo
Quota indicativa € 410,00
(soggetta a riconferma in base alla quotazione aerea all’atto dell’iscrizione)
con SpiderViaggi
LE REPUBBLICHE BALTICHE con Stoccolma e Helsinki
Accompagnatore spirituale: don Gianni Colombo
30 giugno - 8 luglio 2012
Quota € 2100,00 con SogeviTour
PARAY LE MONIAL, Lione, la Cattedrale di Santa Maria Maddalena Vezelay e
il Monastero Benedettino di Saint-Marie de la Pierre-qui-Vire
5/8 luglio 2012
MARSIGLIA e L’ISOLA DI LERINS
31 agosto /2 settembre 2012
FATIMA - In occasione dell’Anniversario
12/15 ottobre 2012
Quota € 620,00 con SogeviTour
PARIGI - RUE DU BAC, Montmartre, Notre Dame e Paray Le Monial
25/28 novembre 2012
GIORDANIA e GERUSALEMME
Accompagnatore spirituale: don Gian Mario Lanfranchini
Ottobre/Novembre 2012
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PASTORALE PELLEGRINAGGI
ITINERARI DI PREGHIERA A MEDJUGORJE
Promossi dalle aggregazioni laicali con l’assistenza spirituale di
don Maurizio Gagliardini
in pullman: 1/4 marzo - 29 aprile/02 maggio
24/27 giugno - 30 settembre/3 ottobre
Quota indicativa € 310,00
in aereo: 10/14 luglio - 17/20 luglio
Quota indicativa € 370,00 (soggetta a riconferma in base alla quotazione aerea
all’atto dell’iscrizione) con SpiderViaggi.
POMERIGGI DI SPIRITUALITÀ
Fontanelle di Montichiari, Maria Rosa Mistica
con cadenza mensile: prime date fissate 28 marzo, 17 aprile, 09 maggio
Maccio di Villa Guardia (CO), Santuario della SS. Trinità Misericordia.
PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI:
Ufficio per la Pastorale dei Pellegrinaggi
via Puccini 11 - int. Canonica 31 - 28100 NOVARA
Tel./Fax 0321.661633 - email: [email protected]
sito: www.novaria.org/siti/pellegrinaggio/index.html
ORARIO UFFICI:
dal lunedì al venerdì - ore 9.30/12.00
cell. 333 4713875
dal lunedì al venerdì ore 10/16
Responsabile dell’Ufficio Pellegrinaggi:
don Maurizio Gagliardini - cell. 338 5288679
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INFORMAZIONI
DIOECESIS
Cronaca breve
del territorio gaudenziano
NOMINE
In data 14 marzo 2012 il Vescovo ha
accettato la rinuncia all’Ufficio di
parroco delle parrocchie “S. Albino”
in Pella e “S. Giovanni Battista” in
Alzo di Pella di don Salvatore Maniscalco.
Con decreto Vescovile
in data 1° marzo 2012
Don Alberto Olivo è stato nominato
parroco di Gargallo.
AGGIORNAMENTO INDIRIZZARIO
Con decreto Vescovile
in data 15 marzo 2012
Don Salvatore Maniscalco è stato
nominato Vicario parrocchiale di
Gozzano, Baraggia di Gozzano, Auzate, Bugnate, Vacciago e Bolzano
Novarese dove sarà sacerdote di riferimento per la comunità parrocchiale.
Il Santo Padre Benedetto XVI, in
data 21 marzo 2012, ha nominato
Vescovo Prelato di São Félix (Brasile)
S.E. Mons. Adriano Ciocca Vasino,
finora Vescovo di Floresta.
RINUNCE
In data 29 febbraio 2012 il Vescovo
ha accettato la rinuncia all’Ufficio di
parroco della parrocchia “S. Pietro” in
Gargallo (NO) di don Giuseppe
Zanetta.
CAVAGNA don GIOVANNI
cell. 333/7260249
D’ANGELO don MARIO
Via Canonico Diana, 33
28066 GALLIATE NO
cell. 338/7715390
FLORIANI don BRUNELLO
e-mail: [email protected]
MASSERONI don GIANCARLO
cell. 349/2852752
OLIVO don ALBERTO
piazza S. Pietro, 2
28010 GARGALLO NO
tel. 0322/94813
cell. 338/5450602
e-mail: [email protected]
[email protected]
ZARA don GIOVANNI
e-mail: [email protected]
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IN MEMORIA
Mons. Giuseppe Cacciami
Giovane sacerdote ha iniziato il
ministero pastorale nella sua
Valsesia, prima a Grignasco (con una
prolungata parentesi in Trentino per
motivi di salute) e quindi cappellano
a Valmaggiore di Quarona.
Nel 1953 giunse a Verbania (che
diverrà la sua città di adozione e di
cui diventerà cittadino onorario)
come vicerettore della Famiglia
Studenti di Intra – una struttura di
ospitalità per giovani – e assistente di
Gioventù Studentesca. Sono gli anni
in cui divenne attivo protagonista
della vita sociale verbanese anche
iniziando una fruttuosa collaborazione con ilrinnovato settimanale diocesano con una testata tutta dedicata a
quel territorio: “Il Verbano”.
Monsignor Giuseppe Cacciami,
direttore emerito dei nostri settimanali, si è spento la sera di sabato 17
marzo, all’età di 87 anni. Era ricoverato da alcune settimane presso la
clinica de “I Cedri” di Fara Novarese,
dopo l’aggravarsi del suo stato di
salute.
Da otto anni era ritornato nella sua
Grignasco, dove era nato il 5 settembre 1924, presso l’abitazione di famiglia per trascorre i suoi ultimi anni
dopo aver lasciato l’attività pubblicistica presso i settimanali diocesani,
di cui è stato direttore responsabile
dal 1964 al 2001, incarico lasciato a
don Bartolo Fornara, pur proseguendo la direzione e, in particolare, la
famosissima rubrica de “Gli Spilli”,
fino a quando la salute glielo ha consentito.
Era stato ordinato sacerdote quasi
65 anni fa il 28 giugno 1945 nella
cattedrale di Novara da mons. Leone
Ossola, il vescovo della Liberazione
della città.
Per volontà del Vescovo Placido
Maria Cambiaghi, desideroso di dare
nuovo impulso alla stampa cattolica,
don Giuseppe venne nominato direttore responsabile della catena dei
settimanali diocesani nel 1964, con
la stretta collaborazione di don
Germano Zaccheo e don Bartolo
Fornara.
Contemporaneamente all’attività
giornalistica don Giuseppe si impegnò in campo educativo e sociale.
Grande opera di cui andava fiero è
stata la riedificazione e l’ampliamento della Famiglia Studenti (di cui
diventa direttore nel 1968) e infine
alla sua trasformazione, mutate le
necessità della città, ne “Il Chiostro”,
178
IN MEMORIA
prestigioso centro di ospitalità per
servizi non solo pastorali ma anche
luogo di accoglienza per anziani e per
gruppi, ristorante per lavoratori,
riconosciuto centro di iniziative culturali per la città. Una città che, da
un punto di vista più strettamente
ecclesiale, lo ebbe, dal 1975 al 2001,
dapprima come vicario foraneo di
Intra, poi vicario territoriale del
Verbano.
Sono anche gli anni in cui don
Giuseppe (diplomato in giornalismo
e critica cinematografica) promosse
la stampa cattolica a livello nazionale e internazionale, facendole acquisire maggiore visibilità, peso, capacità di iniziativa e prestigio.
I suoi funerali, lunedì 20 marzo nella chiesa parrocchia di Grignasco,
sono stati presieduti da monsignor
Franco Giulio Brambilla (di cui viene
pubblicata di seguito l’omelia) con la
partecipazione di molti sacerdoti concelebranti, che in lui hanno trovato un
amico e un “fratello maggiore” severo,
ma capace di dare consigli saggi, gli
esponenti delle autorità civili (tra i
quali il presidente della Provincia del
VCO Massimo Nobili, il sindaco di
Verbania Marco Zacchera e quello di
Grignasco Roberto Beatrice), tanti
giornalisti a salutare un maestro (il
direttore di Tv2000 Dino Boffo, quello
dell’agenzia Sir Paolo Bustaffa, il presidente Fisc Francesco Zanotti e il
direttore dei settimanali diocesani
Antonio Maio) e soprattutto la gente di
Verbania e Grignasco.
A metà degli anni ’70 collaborò alla
nascita della Federazione italiana
settimanali cattolici di cui venne
nominato vicepresidente, per diventarne presidente dal 1980 fino al
1986, gli anni in cui ha avviato l’agenzia d’informazioni della Cei, il Sir.
Successivamente divenne presidente
nazionale del Consis e in quegli stessi anni è vicepresidente della
Federation internationale de la presse d’église; quindi diventò membro
della Commissione Cei per le Comunicazioni sociali, membro del
Gruppo di lavoro per la promozione
del sostegno economico della Chiesa
italiana e consigliere nel Cda di
“Avvenire”. Nel 1992 venne nominato
monsignore.
Don Roberto Salsa, successore di
mons. Cacciami nell’incarico di vicario territoriale del Verbano, ha portato
il ringraziamento delle comunità verbanesi: «Era un uomo di elevata statura morale, ma anche culturale. Egli
sapeva cogliere le dinamiche storiche e
al contempo esprimeva una voglia di
futuro con la quale leggeva, i fatti che
poi raccontava attraverso il giornale.
Mons. Cacciami ci lascia anche un’altra eredità, ovvero l’impegno a essere
cristiani al servizio della città, con una
fede incarnata, immersa nella vita del
popolo e del territorio».
Il parroco di Grignasco don Gianfranco Regalli ha ricordato come:
«Verbania era il luogo della battaglia.
La nostra parrocchia, invece, era il luogo degli affetti, del rifugio durante la
malattia. Finché la salute glielo ha concesso ha sempre celebrato Messa alla
Monsignor Cacciami ottenne anche
l’onorificenza di Grande ufficiale al
merito della Repubblica italiana,
dopo essere stato Commendatore e,
tra i segni più graditi, la cittadinanza onoraria di Verbania.
179
IN MEMORIA
Casa di Riposo». Ha poi letto il messaggio di partecipazione del cardinal
Lajolo.
Il suo compagno di seminario, il
Vescovo Gianbattista Moretti così
ricordò il giovane don Giuseppe: «era
il leader della nostra classe. Capace di
animarci, di darci energia, di insegnar-
ci l’entusiasmo per le nuove sfide».
Il direttore del Sir Paolo Bustaffa ha
portato il ringraziamento da parte della
Stampa cattolica nazionale: «Don
Giuseppe ha saputo unire la carità del
sorriso alla carità intellettuale con una
professionalità giornalistica fondata sulla fatica e sulla bellezza del pensare».
OMELIA DEL VESCOVO NELLA MESSA FUNEBRE
Considero per me un privilegio e un segno dall’alto che il mio primo gesto di
congedo a un sacerdote, dopo l’ingresso nella diocesi di Novara, avvenga per
un grande sacerdote, uomo di forte fede e penetrante cultura. È un privilegio
perché quando il vescovo consegna al Padre un proprio prete, è come se una
parte della sua Chiesa, anzi della Chiesa di Gesù, venisse a mancare.
Ho conosciuto solo recentemente mons. Giuseppe Cacciami ai Cedri, il giorno in cui sono andato a trovarlo una settimana dopo il mio ingresso. Era assopito e forse non mi ha riconosciuto. Abbiamo pregato insieme.
Sabato prima di ricevere la notizia della scomparsa di mons. Giuseppe, con
il segretario don Gianluigi, dovevamo decidere dove pernottare a Verbania,
scegliendo il posto fra i due offerti da don Roberto Salsa. Senza saperlo abbiamo scelto, prima ancora che mancasse don Giuseppe, la Famiglia Studenti, la
prima grande opera di mons. Cacciami. Così ieri sono stato tutto il giorno nella sua casa, e ne ho respirato l’intuizione e ascoltato la voce. Tutto lì parlava
dei suoi ricordi, ma soprattutto della forza del suo sogno. Sono ricordi che ci
donano una luce abbagliante in questo momento di dolore per la scomparsa
di mons. Cacciami. La sua vita, per usare un’espressione biblica, è terminata
colma di giorni.
Non avendo conosciuto direttamente don Giuseppe, ho raccolto solo alcune
testimonianze su di lui. Partirei con una definizione molto bella che ho trovato in un articolo di un amico che dice così: “Lottatore con la penna in mano”.
“Si lotta” – rispondeva a quelli che andavano a trovarlo nel momento della
malattia –: ecco Lui era un “lottatore con la penna in mano”. Una delle cose
che mi sorprende sempre di più nella lettura dei testi biblici è che Paolo descriva la vita cristiana con la metafora sportiva, ma egli parla degli sport “duri”: il
pugilato, la lotta greco romana, la corsa di resistenza, ecc. Le persone diventano grandi proprio così, solo se sono lottatori. Ho scelto come piccolo canovaccio due quadri della parola di Dio per rappresentare al vivo la figura di don
Giuseppe.
1. Il primo è preso dalla Seconda lettera ai Corinti, dal versetto due al versetto sei del terzo capitolo, dove leggo così: «La nostra lettera siete voi, lettera
180
IN MEMORIA
scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto, infatti,
che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con l’inchiostro,
(parliamo di una persona che di inchiostro ne ha usato tanto) ma con lo spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra ma sulle tavole di carne dei vostri
cuori» (2Cor 3,2-3). Credo che don Cacciami sia stato proprio questo. Un grande giornalista che ha dato molto sulla scena nazionale e internazionale, perché è stato un uomo che ha imparato a scrivere le parole sui cuori degli uomini e a partire dal cuore degli uomini del suo tempo. La sua Famiglia Studenti
ne è testimonianza viva. Ha concepito l’ardito progetto di fare sulle sponde del
Verbano una casa, a cui attrarre studenti dall’Italia e dalle nazioni vicine. Se
non scriviamo la nostra parola nella carne della vita quotidiana dell’uomo, le
parole che poi scriviamo sui giornali, sulle lettere, sulla stampa, sono parole
senza carne, senza vita, senza forza, senza profondità. Non toccano, non portano la vita nel cuore dell’uomo e della donna.
Questo è il suo mistero, la forza dirompente del temperamento di don
Giuseppe. Egli per tanti anni a Verbania ha concepito questo grande sogno. Lui
che era valsesiano, è diventato l’interprete di un territorio molto diverso, più
secolarizzato, ma non si è spaventato. Perché era un uomo che aveva fiuto, ma
il fiuto non nasce dal nulla, nasce dalla forza di questo incontro tra la carne e
la parola, tra la vita e il senso che trasforma tutte le cose. Potrei dirlo con le
parole di un grande giornalista, Montanelli. Credo che le abbia scritte a proposito di un altro amico di don Cacciami (non so se l’ha conosciuto, ma certamente ne avrà letto gli editoriali pungenti come i suoi Spilli), il canonico Spada,
anche lui all’origine di un miracolo giornalistico, l’Eco di Bergamo. Alla sua
morte, Montanelli scriveva così di questo grande personaggio, ma credo che si
possa dire anche don Cacciami. È una frase fulminante: «Il guaio di questo tipo
di uomini che è anche il loro pregio è quello di dire (e scrivere) ciò che pensano e di pensare ciò che dicono (e di scriverlo)». Ecco il guaio che è anche il pregio del grande giornalista! Più semplicemente direi di ogni grande uomo.
Ho trovato anche quest’altra espressione di don Dante Airaga per il 60° di
sacerdozio di don Giuseppe, un amico che scriveva così: «Don Giuseppe è stato un infaticabile rabdomante, alla ricerca della sorgente zampillante e ha stimolato i suoi giovani, i suoi collaboratori alla ricerca della verità, sempre alla
luce del Vangelo».
Ecco questa è la prima immagine, la prima icona per leggere la testimonianza di don Giuseppe, che lascia dietro di sé anche una forza vitale, che si prolunga oltre lui stesso, perché questi uomini, che hanno fatto accadere un
avventuroso e inimmaginabile scambio tra la vita e la parola, lasciano dietro di
sé delle sorprese. Così a Novara ha lasciato tante testate giornalistiche di ispirazione ecclesiale, quando a Milano sono scomparse tutte. Per far questo basta
un uomo, un uomo appassionato.
2. La seconda immagine, è quella che viene dal Vangelo che abbiamo ascoltato: «Passato il sabato, Maria di Magdala e le altre donne, di buon mattino, il
primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole…». Quelli
181
IN MEMORIA
come don Cacciami sono uomini che, in un periodo storico, vedono già dal
levar del sole come va a finire il giorno. E continua: «Esse dicevano tra loro:
“Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro”. Ma guardando che il
sasso era già stato tolto, entrando nel sepolcro videro un giovane, seduto alla
destra, vestito di una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non
abbiate paura. Voi cercate Gesù Nazareno il Crocifisso?». Le donne, che sono
le custodi della memoria, degli affetti, della tenerezza, dell’attenzione, lo cercano nel luogo della memoria, e invece l’angelo dice loro: “Voi lo cercate dalla parte sbagliata, nel luogo della memoria. Invece è risorto, non è qui! Dove voi lo
cercate non c’è, è dall’altra parte”.
E don Giuseppe, questa è l’immagine che voglio lasciarvi, è stato uno che ha
fatto cercare dall’altra parte, dentro questa vita che lui intravedeva proiettata
sul futuro. Era un personaggio “visionario”, colui che vede prima le cose, che
invece noi con i nostri occhi appannati non vediamo perché siamo ripiegati su
noi stessi. Questa è la seconda immagine che portiamo nel cuore e di cui
abbiamo bisogno. Dico che sono veramente contento di celebrare il mio primo
funerale di una persona così importante, perché autenticamente cristiana. Ve
lo esprimo a questo punto leggendovi il Messaggio del Cardinale Ruini, con cui
don Giuseppe ha intrecciato un intenso rapporto.
Eccellenza Reverendissima,
Le sono molto grato di avermi informato tanto tempestivamente della morte del caro amico Don Giuseppe Cacciami. Mi legava a lui
un rapporto che è nato nel 1986 e ho sempre ammirato la sua straordinaria intelligenza e la sua dedizione di vero apostolo del nostro tempo, innamorato del
Vangelo e intenzionato a comunicarlo per le vie e con gli strumenti di oggi. A lui
anche personalmente devo molto e perciò mi unisco con tutto il cuore alla preghiera di Vostra Eccellenza, dei sacerdoti e della gente della Diocesi di Novara,
chiedendo al Signore che lo accolga nel suo amore misericordioso e porti a compimento ciò per cui Don Giuseppe ha speso tutto se stesso.
Grazie ancora, Eccellenza, La saluto con grande amicizia.
Camillo card. Ruini
E vorrei terminare con un suo testo, scritto nel 2005, con il Papa Giovani
Paolo II ormai anziano e sfiancato dalla malattia: sentite la penna del lottatore… in questo incipit!
KAROL WOITJLA
NELLE VESTI DI
MOSÈ
L’abitudine crea l’attesa. Così avviene ogni anno per la lettera che il papa
manda a tutti i cristiani. Stavolta Carol Woitila veste i panni di Mosè nella lettera che arriverà per la prossima quaresima. Commenta le parole di Mosè rivolto al popolo per invitarlo a fare alleanza con Jahvè. Confesso candidamente di
essere allergico a quel pettegolume in uso nelle curie e nei palazzi romani per
deprecare la situazione precaria del Papa ammalato che spiccica le parole ad
una ad una con fatica molte volte finendo con un rantolo.
182
IN MEMORIA
Ma leggiamo la lettera per sommi capi. Titolo “La vecchiaia come dono”. Karol
invita a riflettere sul ruolo che noi vecchi siamo chiamati a svolgere nella
società e nella Chiesa. Per questo il Papa chiede un’attenzione più marcata alla
cosiddetta terza età. Se si invecchia nella luce della fede si comprende meglio
il mistero della croce. Occorre far crescere la consapevolezza che noi vecchi
non siamo rottami o scartine inutili ma una risorsa profonda da valorizzare.
Proprio per questo il vecchio ha il suo ruolo nella società. L’uomo infatti vive
della eredità di quelli che l’hanno preceduto, anche morale, e il suo futuro
dipende dal modo come gli sono stati trasmessi i valori della cultura.
Così camminiamo verso una civiltà più completa se cercheremo di mantenerci aperti verso i fratelli e le sorelle ridotti nelle loro capacità dai disagi dell’età o della malattia.
Essere vecchi cristiani vuol dire mantenersi fedeli all’alleanza con Jahvè.
Gronda di ottimismo la lettera quaresimale del Papa che si chiude consigliandoci a pensare con fiducia al mistero della morte perché l’incontro finale avvenga in un clima di pace interiore nella certezza che ad accoglierci è colui che ci
ha voluti a sua immagine e somiglianza.
Di fatto questa promessa di vita fa di noi vecchi una risorsa da valorizzare e
ci aiuta a trovare un posto e un ruolo specifico nella società senza rassegnarsi al pessimismo e al nichilismo. Questo è il ruolo importantissimo che Karol
Woitjla riveste pur essendo vecchio e ammalato e menomato nel suo vigore fisico. Il Papa nota che per meriti della scienza e della medicina si assiste a un
allungamento della vita umana e a un incremento del numero degli anziani.
Per questo il problema della terza età è il più grande problema delle comunità
ecclesiali e civili del mondo occidentale.
La soluzione del problema può avvenire all’unica condizione che tutti gli
anziani affrontino questi interrogativi di fondo per affrontare il proprio ruolo
nella società; una società di vecchi in cammino verso una forma di civiltà più
completa.
Inoltre, siccome gli anziani camminano verso la morte il Papa ci incita ad abituarci a pensare con fiducia al mistero della morte perché l’incontro con Dio
avvenga in un clima di pace interiore. Sarebbe auspicabile che gli anziani leggano tutti questa lettera che noi pubblicheremo e che costituisce un fatto
sociale di immensa rilevanza e che smentisce tutte le fasulle campagne retoriche sulla perenne giovinezza, su una forma di salutismo becero, ma si radica
in un realismo animato dalla fede.
Dobbiamo constatare che quanto si fa per la nostra vecchiaia ci offre la possibilità di affrontare interrogativi di fondo che prima forse avevamo trascurato.
Una stagione giovanile dunque se ci convinciamo che pur essendo vecchi possiamo avere e dedicarci a quell’essenziale che è il modo di vivere del buon cristiano. L’essenziale che non viene danneggiato e logorato dall’usura degli anni.
Se durante questa Quaresima, leggendo personalmente la lettera del Papa, i
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IN MEMORIA
vecchi si convinceranno della ricchezza del dono che essi possono dare all’umanità può cominciare una nuova stagione dove l’ottimismo diventa obbligato.
Se il vecchio risponde all’appello di Mosè di stringere un’alleanza con Jahvè
nel paese di Moab non in forma simbolica ma facendone un tempo assiduo di
preghiera e di ascolto della Parola abbiamo senza retorica acquisito una garanzia per il nostro futuro.
Grignasco, febbraio 2005 don Giuseppe Cacciami
Concludo. Il giorno in cui sono stato a trovarlo, la sua fedele collaboratrice
lo aiutava a pregare, dicendo un’espressione dell’Ave Maria dopo l’altra, che
don Giuseppe flebilmente ripeteva con la voce. Arrivato alla frase: … e nell’ora
della nostra morte, don Giuseppe non la disse, ma dopo l’invito a ripeterla, con
un ultimo filo di voce rispose: e nell’ora della nostra morte…. Così muoiono i
grandi uomini, perché hanno vissuto da uomini grandi!
+ Franco Giulio Brambilla
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IN MEMORIA
Padre Lamberto Ferraris
Decano dei sacerdoti e degli oblati novaresi
dopo una breve agonia, San
Giuseppe ha accompagnato padre
Lamberto al grande “Incontro”.
L’intenso e lungo cammino – 103
anni di vita, 82 anni di sacerdozio,
74 di oblazione – di padre Ferraris
può essere sintetizzato in sette tappe.
All’inizio della celebrazione padre
Giancarlo Julita, attuale prevosto
degli oblati diocesani, ha così ripercorso il cammino di padre Lamberto.
La prima: l’ordinazione. In una
fredda mattina di sabato 20 dicembre 1930, nella Cappella del
Seminario di Novara don Lamberto
venne ordinato sacerdote da mons.
Castelli. Il giorno seguente celebrava
la sua prima Messa a Santa Cristina,
dove era nato il 14 aprile 1908, circondato dall’affetto della famiglia e di
quella fervorosa comunità cristiana.
Mercoledì 21 marzo è stata celebrata la liturgia esequiale di padre
Lamberto Ferraris, come da sua
volontà testamentaria, nel Santuario
di Re, presieduta dal nostro Vescovo,
con la presenza di mons. Amedèe
Grab, vescovo emerito di Coira, di
casa a Re da più di trent’anni, dei
Padri Oblati e di molti sacerdoti.
La salma di padre Lamberto è stata tumulata nel piccolo cimitero di Re
accanto a quella dell’amico e compagno padre Gaspare Uccelli.
La presenza dei parrocchiani di
san Giuseppe in Novara, con i “ragazzi” di padre Lamberto, hanno reso
struggente e pieno di speranza la
celebrazione: la consegna al Signore
di un vero “pastore secondo il cuore di
Cristo, un vero capolavoro della grazia di Dio”.
Lunedì 19 marzo, presso la casa
“Cuore Immacolato di Maria” di Re
Il primo servizio pastorale fu quello di coadiutore in Cattedrale a
Novara e cappellano dell’Altare del
Santissimo Sacramento, mentre nel
pomeriggio assisteva i ragazzi presso
il Circolo Regaldi.
Nel 1935 mons. Castelli lo nominò
parroco a San Rocco di Premia e
Salecchio: due parrocchie della Valle
Antigorio. Qui si trovò a suo agio.
Anche le vette della Formazza lo
entusiasmavano.
185
IN MEMORIA
Nel 1938 la voce del Signore attraverso Padre Fasola, in quel momento
Prevosto degli Oblati, si fa chiara:
“Vieni a Novara, entra nella Congregazione degli Oblati per vivere il progetto di don Gallotti: la Societas Missionariorum Mariae”.
rio, tra i suoi penitenti alcuni erano
sacerdoti anche provenienti dalle diocesi vicine.
Nell’estate 2006 salì a Miasino per
il tempo estivo e là si trovò bene con
i confratelli, con don Giacomo De
Giuli, ma a Miasino rivisse soprattutto la situazione della prima tappa:
il Tabernacolo. Era spesso in
Cappella: viveva alla lettera il messaggio di Padre Chautard.
Ed ecco la quarta tappa: oblato e
responsabile dei giovani nella nuova
parrocchia di San Giuseppe che stava muovendo i primi passi. Questa
quarta tappa è la più intensa. I suoi
ragazzi, che gli sono stati accanto
fino agli ultimi giorni rivelano l’intensità con la quale Padre Lamberto si è
dedicato alla loro formazione.
Ma la Madonna lo attendeva
quassù, a Re, dove per la prima volta era giunto (1922) accompagnato
dal suo incomparabile maestro il
Servo di Dio, don Silvio Gallotti. Nel
pomeriggio dell’Epifania 2011, appena dimesso dall’ospedale di Domodossola, giunse a Re. E qui rimase.
E in questi ultimi quindici mesi visse
con il medesimo fervore di quando
era giovane prete: meditazione, letture del giorno e preghiera.
Sabato scorso fu portato a
Domodossola perché accusava un
dolore e mentre attendevamo l’esito
dell’esame il Padre con profonda
lucidità mi disse: “Ricordi il motto di
Padre Pianzola? Sì! Tutto per Gesù.
Cerchiamo di fare anche noi adesso”.
E per Gesù visse e con Gesù morì! E
noi in comunione con il nostro padre
venerabile Silvio Gallotti, il servo di
Dio, padre Fasola, l’indimenticabile
padre Franzi, e con i fratelli e le
sorelle che padre Lamberto ha amato, con la sua famiglia, le sue cognate e i suoi nipoti, diciamo con la
liturgia: “Ti accolga Cristo che ti ha
chiamato fin dalla giovinezza e ti ha
dato la grazia di perseverare fino
all’ultimo respiro”. Riposa in Corde
Matris nostrae dulcissimae.
Nel 1956 mons. Gremigni affidò il
Santuario di Cannobio a due Oblati
diocesani: padre Preti e padre
Ferraris. Una copia perfetta e insieme per quattordici anni si impegnano, in quell’angolo della Diocesi,
come apostoli del messaggio della
Santissima Pietà e custodi della tomba del “Padre”, don Silvio Gallotti.
Padre Lamberto si recò anche in
Germania per apprendere la lingua
tedesca utile per accogliere i numerosi visitatori provenienti da oltralpe.
Con una piccola moto, donatagli dai
suoi fratelli, raggiungeva per il ministero anche le piccole parrocchie della Cannobina.
Nel 1970 ritornò alla parrocchia di
San Giuseppe in Novara, questa volta
non per i giovani, ma per gli ammalati e gli anziani. Di questi trentacinque
anni ricordiamo tre attenzioni: gli
ammalati, non c’era casa dove Padre
Ferraris non arrivava; i poveri, una
lunga fila di questuanti lo attendeva
davanti alla porta della Chiesa; era
disponibile alle confessioni senza ora-
Padre Giancarlo Julita
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