Vie d`uscita - Le Montagne Divertenti

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Vie d`uscita - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
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C ultura A lpina
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D tenti
N°32 - PRIMAVERA 2015 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Ritorno alla terra
Grano saraceno
Antonio Boscacci
Racconti inediti:
"Il bidé della contessa"
Personaggi
Ettore Castiglioni
(1908-1944)
Clima 2014
È stato l'anno più caldo
di sempre?
Traversate
Dai Bagni di Màsino
a Villa di Chiavenna
Valmalenco
Alta Via: 3a tappa
Alpi Orobie
Pizzo del Diavolo
di Malgina (m 2926)
Alta Valtellina
Cima di Saoseo
(m 3264)
Ardenno
La camminata
dei ci(a)ncètt
Valtellinesi nel
Mondo
GR 20: la traversata
della Corsica
Natura
Gallo forcello
Cultura
Novità in biblioteca
Inoltre
Ricette, foto dei lettori,
giochi, superconcorso,
libri ...
Vie d'uscita
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
Beno
Sono sotto gli occhi di tutti alcuni mali del mondo moderno: stili di vita troppo frenetici e stressanti, la folle rincorsa
a chimere create da una società che non distingue gli indicatori economici da quelli del benessere reale, il consumo del
territorio, lo spreco dissennato delle risorse, la corruzione e le ingiustizie sociali, la perdita di capacità motorie dovuta a
uno stile di vita troppo sedentario, la mancanza di contatto con la natura...
Tuttavia ai più sembra impossibile trovare una speranza di cambiamento, anche solo per se stessi. Questo credo dipenda
dalla pressione mediatica che spaventa le persone, le fa sentire inadeguate qualora non siano aggiornate e allineate con
gli ultimi modelli consumistici che, tra le altre bestialità, bandiscono i momenti di riflessione e di introspezione: bisogna
sempre mostrarsi impegnati a fare o a comunicare qualcosa anche qualora non si abbia niente di importante da fare o da
raccontare.
Questa è la moderna schiavitù. Le catene non sono più di ferro, ma wireless e si manifestano in una totale sudditanza
psicologica: sottili e rodati meccanismi di marketing hanno portato all'autoimposizione di comportamenti e abitudini che
mantengono e rafforzano lo stato delle cose, emarginando, deridendo e demonizzando chi ha trovato il modo per affrancarsi.
In tutto ciò, per di più, si è convinti di essere liberi, in quanto si può scegliere o votare. Poco importa se le alternative offerte
conducano tutte nella medesima direzione. Ah, qualcuno mi contesterà: «Lo schiavo non aveva stipendio!» In effetti è vero,
ma lo stipendio non è che uno degli aggiornamenti moderni della schiavitù, da spendersi rigorosamente in prodotti che
ingrassano ulteriormente il sistema, ma non sfamano il nostro animo.
Il ritorno alla terra, ai momenti in cui si ammira la natura volendone essere parte, quando si fa qualcosa solo perché è bello
e non per averne in cambio soldi, quando l'etica e il rispetto prevaricano l'opportunismo, quando si è incuriositi e si studia,
quando si inizia un percorso di cui a beneficiarne saranno le prossime generazioni: questi sono tutti momenti di vera libertà,
il cui sapore mostrerà a tutti un'inaspettata quantità di vie d'uscita.
2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
Vignetta: Valtellina, proposte 2015 per un turismo intelligente.
In copertina: grotta nel ghiacciaio del pizzo Scalino (25 maggio 2014, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
Editoriale
LE
MONTAGNE
DIVERTENTI
Ultima
di copertina:
pian di Spagna
e monte Legnone al tramonto (19 novembre 2014, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
3
O
LE MONTAGNE DIVERTENTI
S
I
peciali
tinerari
d’alpinismo
I
tinerari
d’escursionismo
R
ubriche
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
I
Beno
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Roberto Moiola
10
Realizzazione grafica
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
78 Alta Via della Valmalenco 108
Ritorno alla terra
Grano saraceno
3a tappa
Valtellinesi nel mondo
GR 20 - Attraverso la Corsica
R
Beno
Andrea Sem e Diana De Gasperi, Andrea Zampatti,
Angelo Recalcati, Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Carlo
Nani, Denis Bertanzetti, Dicle, Eliana e Nemo Canetta,
Fabio Pusterla, Flavio Casello, Franco Benetti, Giacomo
Meneghello, Giovanni Rovedatti, Giuseppe Fabani,
John Harlin, Luca Gianatti, Luciano Bruseghini, Marco
Muscogiuri, Marino Amonini, Matteo Tarabini, Maurizio
Cittarini, Nicola Giana, Paolo Sertorelli, Pietro Pellegrini,
Raffaele Occhi, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Simone
Ronzio,Vittorio Vaninetti.
Si ringraziano inoltre
A
Hanno inoltre collaborato a questo numero:
25
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380138
Stampa
50
90
62
94
Traversate
Dalla val Màsino alla Valchiavenna
Approfondimenti
Monte Disgrazia e ghiacciai
120
Natura
Gallo forcello
M
Avis Comunale Sondrio, Elena e Piero Lenatti, Lino
Saini, Giancarla Maestroni e Patrizio Mazzuchelli, Franco
Monteforte, Giorgio Urbani, Giovanna Iacolino, Lorenzo
Dotti, Gianfranco Fava, Lorenzo Dotti, Dario Songini
e famiglia, Vittorio Toppi, la Tipografia Bonazzi, gli
edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli
sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti
quelli che abbiamo dimenticato di citare.
Personaggi
Ettore Castiglioni (1908-1944)
32
Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio
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www.lemontagnedivertenti.com
Racconti inediti
Il bidé della contessa
Alpi Orobie
Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926)
Approfondimenti
Val Sissone
127
Fotografia
Gli effetti del tempo
Contatti, informazioni e merchandising
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
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Arretrati
38
96
Clima 2014
I record dell'anno trascorso
Approfondimenti
Zingari degli alpeggi
O
Abbonamenti per l’Italia
M
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
Prossimo numero
S
21 giugno 2015
44
Novità in biblioteca
Primavera 2015
70
Alta Valtellina
Cima di Saoseo (m 3264)
LE MONTAGNE DIVERTENTI 100
Versante retico
La camminata dei ci(a)ncètt
130
Il miglior fotografo
131
Le foto dei lettori
143
Vincitori e vinti
144
Giochi
146
Le ricette della nonna
Taiadìn di Teglio
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
3062
2115
Mulegns
3279
3378
Cresta
St. Moritz
Maloja
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
3183
Mera
Pizzo Galleggione
3107
CHIAVENNA
Prata
Camportaccio
Somaggia
Novate
Mezzola
3032
Lago
di Como
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Bellagio
Introbio
Lierna
Caiolo
Tartano
Ornica
LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Foppolo
Carona
Mezzoldo
Cùsio
Piazzatorre
Valtorta
Pasturo
6
Colorina
Tremenico
Premana
Cassiglio
Olmo
al Brembo
Brusio
Ponte in Valt.
Albosaggia
Pizzo Campaggio
2503
TIRANO
Bianzone
Teglio
Tresenda
Arigna
Carona
Aprica
Còrteno
62
Schilpario
Gromo
Primavera 2015
Vilminore
Colere
Villa
Pizzo Camino
2492
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Paisco
Concarena
2549
Monte Fumo
3418
Garda
50Traversate
Dai Bagni di Màsino a Villa di Chiavenna
(Beno)
Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926)
(Luciano Bruseghini)
70 Alta Valtellina
Cima di Saoseo (m 3264)
(Luciano Bruseghini)
78Valmalenco
Alta Via, 3 tappa: dalla Porro a Chiareggio per il rifugio Del Grande - Camerini
(Eliana e Nemo Canetta)
a
100Versante retico
Adamello
3554
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Passo del Tonale
1883
Edolo
Malonno
Pizzo di Coca Monte Torena
2911
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo di Redorta
Loveno
3039
Monte Gleno
Pizzo del Diavolo
2883
Valbondione
di Tenda
Passo del Vivione
2914
1828
Gandellino
Cortenedolo
Vione
Ponte
di Legno
Incudine
Monno
Passo dell'Aprica
Pizzo di Rodes
2829
Branzi
Roncorbello
Adda
Vezza
d'Oglio
Tovo
Lovero
Sernio
Pezzo
Pezzo
Monte Serottini
2967
Mazzo
100
Corno
corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Adda
Chiuro
T. V
enin
a
Dervio
Albaredo
Boirolo
Tresivio
Talamona
Bema
SONDRIO
T. Livrio
Monte Legnone
2610
3136
Fumero
Sondalo
Punta San Matteo
3678
Passo di Gavia
2618
Il bidé della contessa
(Antonio Boscacci e Luisa Angelici)
62Orobie
Santa Caterina
Le Prese
Grosotto
Monte Masuccio
2816
Fonta
na
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Postalesio
Berbenno
Castione
3323
Le Prese
T. Va
l
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
100
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
Pizzo Scalino
Monte Confinale
3370
Cepina
Grosio
Vetta di Ron
Torre
di S. Maria
Malghera
Poschiavo
Monte Cevedale
3769
frana
di val Pola
Eita
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
3114
2845
Verceia
Primolo
Bagni
3678
di Màsino 32
San Martino Corni Bruciati
Cima del Desenigo
Sasso Nero
2917
Gran Zebrù
3851
San Antonio
BORMIO
Valdisotto
Cima di Saoseo
3264
San Carlo
T. Mallero
Còlico
Pizzo Ligoncio
Monte Disgrazia
T. Caldenno
Lago
di Mezzola
3378
50
ra
T. Code
Chiareggio
78
Cima di Castello
o
T. Màsin
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
Dongo
3308
La Rösa
i
od
Lag chiavo
Pos
2459
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
Vicosoprano
Cima Piazzi
3439
70
4049
Passo del Muretto
2562
Bondo
Passo del Bernina
2323
Oga
32 Val Màsino
Ortles
3905
Bagni di Bormio
Premadio
T. Roasco
Gordona
Soglio
Castasegna
50
Prosto
Mese
Piz Palù
Pizzo Bernina 3906
Casaccia
Isolaccia
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
T.
La
nte
rna
Fraciscio
Passo dello Stelvio
2757
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Solda
Solda
Giogo di Santa Maria
2503
Trepalle
Pianazzo
Campodolcino
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Livigno
3057
Mera
3209
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
Stelvio
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3159
Inn
Montechiaro
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Julia
Curtegns 1864
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
Pizzo Tambò
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Saviore
Ardenno: la camminata dei ci(a)ncètt
(Nicola Giana)
Valle
Capo
di Ponte
Làveno
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello
2889
Niardo
Niardo
© Beno 2013
2011 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Si comincia a doversi
proteggere dal freddo e dai
ferocissimi ermellini, ma
per fortuna il tratto su neve
è poco ripido. Occorre
estrema abilità per riuscire a
perdersi.
Itinerario invernale adatto a chi si è
appena trasferito in Valtellina da
un'isola tropicale e ha visto il
ghiaccio solo nei cocktail.
Lo spazzaneve per te
non ha più misteri e ti
senti pronto a nuove
esperienze lontane
dagli impianti di
risalita.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento cronogeografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare
l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Assolutamente sicuro
Bello
Anche per uomini larva
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Assolutamente fantastico
FATICA
Basta stare un po’ attenti
Un massacro
Sai sciare o sei un manico con
le ciaspole, non hai paura del
dislivello o di brevi tratti ripidi,
ma, se vieni portato al pronto
soccorso, preferiresti avere
al capezzale l'abominevole
uomo delle nevi che tua suocera
inferocita perché perderai giorni
di lavoro!
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ORE DI PERCORRENZA
DISLIVELLO IN SALITA
meno di 5 ore
meno di 800 metri
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
È richiesta una buona conoscenza
dell’ambiente alpino, discreta
capacità di arrampicare
e muoversi su terreno gelato, gamba
sicura su ogni tipo di neve e pendio.
È consigliabile una guida.
Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco
di insidie di varia specie. È facile perdersi, incengiarsi
o prender notte per contrattempo. Nei momenti di
massima tensione arriverai addirittura a sperare di
poter presto ascoltare i rimproveri di tua suocera al
pronto soccorso.
Il tuo sogno è farti
lanciar giù dalla nord del
Disgrazia incatenato
a una slitta,
ma non trovi nessuno
che ha il coraggio di darti
la spinta
e così cerchi alternative.
Speciali
Grano saraceno
Viviamo in un territorio montano dalle grandi ricchezze che troppo spesso non vengono
valorizzate. Una di queste è la biodiversità delle colture, che i nostri antenati inconsapevolmente
ci hanno tramandato di generazione in generazione: segale (séghel), grano saraceno (furmentù)
e orzo distico (duméga), che in cinquecento e più anni d’isolamento hanno modificato le loro
caratteristiche genetiche e morfologiche per potersi meglio adattare alle avverse condizioni
climatico-ambientali della Valtellina.
Carlo Nani
La raccolta
del grano saraceno
alla Moia
10
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
di Carona (27 settembre 2014, foto Beno).
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Grano saraceno
11
Ritorno alla terra
Speciali
SOGNI, COSCIENZA E PRIMI
SUDORI
i sono accostato all'agricoltura per vie traverse:
quattro anni fa non sapevo neppure
coltivare una patata e ora sono alle
prese con la coltivazione e la tutela
dei grani e dei cereali antichi di
Valtellina alla Moia, una piccola
frazione di Carona di Teglio.
Quasi tutti, quando vengono a
sapere ciò che ho intrapreso, mi
pongono la stessa domanda: “Cosa
ti ha spinto a entrare nel mondo
dell’agricoltura?” Oppure, vedendo
le fatiche cui mi sottopongo, più
schiettamente mi chiedono “Chi te
lo fa fare?”
“L’amore per la mia terra”,
rispondo io. Vi racconto com’è
andata.
ora abbandonati. Per fare ciò avevo
bisogno di qualcuno che potesse
darmi i giusti consigli per affrontare
in maniera corretta la sana fatica che
implica l’agricoltura di montagna.
Sergio mi ha preso per mano e mi ha
aiutato a fare i primi passi: l’avventura era iniziata. Ho dovuto imparare
a usare l’aratro, a effettuare la sarchiatura e la rincalzatura, a conoscere i
ritmi di accrescimento degli ortaggi
e la loro cura per avere un buon
raccolto. Banalità per chi ha sempre
avuto a che fare coi campi, un po’
meno per chi, come me, ne era quasi
completamente estraneo. Tre anni
dopo ero pronto a compiere un passo
in avanti.
M
Il mio campo scuola, dove ho iniziato a fare pratica con gli ortaggi (27 giugno 2013, foto C. Nani).
I
n questi ultimi anni ho assistito al
progressivo e costante abbandono
della montagna, non quella turistica
e folkloristicamente un po’ grottesca;
mi riferisco alla montagna vera, quella
che una volta costituiva un tutt’uno
con i suoi abitanti: l’uomo si prendeva
cura della montagna e la montagna
si prendeva cura dell’uomo sfamandolo: un equilibrio quasi perfetto!
Ora l’uomo ha abbandonato la
montagna, come se non fosse più affar
suo, e la natura si sta rimpadronendo
in maniera disordinata di ciò che un
tempo era il coltivo (non senza conseguenze). La cultura locale e il sapere
artigianale se ne stanno andando
assieme agli ultimi anziani abitanti
di queste montagne e in meno di
quarant’anni di decadenza siamo
riusciti a distruggere quasi tutto ciò
che i nostri antenati avevano creato in
più di un millennio di fatiche.
Mi capitava spesso di sentire tante
persone ricordare romanticamente
quanto era bello il nostro territorio
montano rispetto al triste abbandono dei nostri giorni ed ero stufo
di constatare che nessuno cercava di
invertire questa tendenza. Nel mio
piccolo dovevo provare a fare qualcosa, per mantenere quel poco di
terreno rimasto e cercare di tener viva
la cultura locale del mio paese.
Nel 2011 ho spiegato a un caro
amico la mia intenzione di tornare a
coltivare alcuni appezzamenti di terra
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI Individuo il terreno per il mio progetto (9 aprile 2014, foto Carlo Nani).
Fresiamo il terreno ottenendo un bel campo (18 giugno 2014, foto Carlo Nani).
Primavera 2015
SI PARTE!
L’EQUIPAGGIAMAMENTO
on l’arrivo della primavera
aveva preso finalmente forma
la mia idea di tornare a coltivare i
grani antichi e in particolar modo il
grano saraceno autoctono di Teglio.
Prima di tutto ho dovuto scegliere dei
terreni adeguatamente soleggiati per
agevolare la maturazione del grano
e abbastanza pianeggianti per non
tribolare eccessivamente nel dissodamento. Non avendo una moderna
mietitrebbia, il secondo passo da
affrontare era quello di recuperare
tutti gli attrezzi necessari per le varie
lavorazioni, quelli che i nostri antenati hanno usato per secoli: scighèz,
fièl, pelòrsce, rac’ e mulinèll1.
Dai miei amici di Carona sono
riuscito a recuperare 14 vecchi scighèz:
alcuni erano arrugginiti, alcuni sbeccati e altri senza manico o poco
taglienti. Da bravo appassionato di
antiquariato sono riuscito a recuperarli tutti: a quelli privi d’impugnatura ho dovuto rifare il manico in
legno, quelli arrugginiti li ho spazzolati e - fatto importante anche ai fini
dell’ascesa sociale – ho appreso dal
signor Arturo Bonolini l’antica arte di
martellare le falci per rifare loro il filo.
Tanti affermano, infatti, che “se non
sai martellare la falce, che uomo sei?”
Il secondo attrezzo che ho recuperato è il fièl, indispensabile per la
battitura del grano, costituito dal
C
1 - Falce messoria, correggiato, teloni in fibra di
canapa, setaccio in legno e ventilabro. I nomi dialettali sono scritti in dialetto tellino o di Carona.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Spuntano le piantine (23 giugno 2014, foto Carlo Nani).
Timidi, sbocciano i primo fiori (16 luglio 2014, foto Carlo Nani).
Gli insetti impollinano (15 agosto 2014, foto Beno).
Grano saraceno
13
Ritorno alla terra
Speciali
manabrìl, un lungo e sottile manico
di legno collegato con una fettuccia di
cuoio a un secondo legno, più corto
e grosso, un vero e proprio battente
che, con il movimento giusto,
perquote e stacca i chicchi di grano
dalla pianta. A dire il vero non ho
recuperato vecchi fièl ma li ho ricostruiti ex novo! Sono andato nel bosco
e armato di rampèla2 mi sono procurato i manici in nocciolo e i battenti
in sambuco, larice e acero. Ho scelto il
nocciolo perché questo tipo di legno è
abbastanza elastico da impedire che si
spezzi il lungo manico, mentre per il
battente l’essenza ideale è l’acero, visto
il suo alto peso specifico. Alcuni poi li
ho fatti utilizzando il leggero legno di
sambuco (per le numerose ragazze che
si strappavano i capelli per potermi
aiutare) e infine alcuni interamente
in larice perché tradizionalmente a
Carona erano fatti così.
L’attrezzo la cui realizzazione mi ha
dato più filo da torcere è stato il rac',
il grande setaccio in legno per separare la paglia dai semi e dalla pula. Il
cerchio esterno del rac’ l’avevo già, ma
era privo del fondo in legno intrecciato e quindi era inutilizzabile. Così
ho dovuto sfruttare le moderne tecnologie e tramite Facebook ho chiesto ai
miei amici se qualcuno conosceva un
gerlàt (ormai sono pochi) capace di
rifare la trama del fondo del setaccio.
Sono stato fortunato. Il signor Renato
di Teglio, detto Mazuchèl, con mia
sorpresa non mi ha rifatto l’attrezzo,
bensì mi ha dato le istruzioni per ricostruirlo. Sono andato nel bosco, ho
scelto attentamente i còler (noccioli)
adatti a fare i scudésci (listelli di legno)
e, tornato a casa, mi sono messo al
lavoro. Dopo due giorni a fa scudésci
e uno per intrecciarli, il setaccio era
pronto. Mancava solo il ventilabro
che, in sostituzione del val, ha la
funzione di pulire il grano. Assieme
all’amica Alessandra mi sono dovuto
spingere fino in Trentino, in val di
Fiemme, per trovarne uno utilizzabile
anche come attrezzo, oltre che come
pezzo da salotto etnografico.
Coltivare il grano saraceno mi ha dato l’opportunità di apprendere alcuni lavori artigianali che
stanno cadendo in oblio. In alto si vede Arturo di Carona intento a insegnarmi la tecnica per la
martellatura delle falci, un lavoro che, se fatto bene consente di avere degli attrezzi affilatissimi, ma
che, altrimenti, compromette irreparabilmente il filo delle lame. Nell'immagine in basso si vede
il rac', grande setaccio composto da fascera in legno di larice con il fondo di listelli di nocciolo
intrecciati. Fondamentali in questo caso gli insegnamenti di Albino della Moia e di Renato
“Mazuchèl” di Teglio (10 settembre 2014, foto Carlo Nani).
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI LA SEMINA
Recuperati gli strumenti di lavoro,
non mi rimaneva altro che seminare e
2 - Macete.
Primavera 2015
curare la crescita del grano, ma i semi
dell’antico furmentù di Teglio dove
potevo recuperarli? Mi sono rivolto
a Patrizio Mazzucchelli che, facendo
parte dell’ “Associazione per la tutela
del Grano Saraceno e dei grani antichi
di Teglio”, ha saputo indirizzarmi dalla
famiglia giusta, una di quelle cinque
famiglie di Teglio che non ha mai
smesso di coltivare il proprio grano,
tramandando le sementi di padre in
figlio, di generazione in generazione,
dal medioevo fino ai giorni nostri.
Si tratta di un grano ben diverso sia
geneticamente che morfologicamente
da quello d’importazione.
La semina, effettuata il 18 giugno,
è stata la parte più emozionante. Lo
spaglio dei chicchi è un gesto antico
di millenni e nel ripetere quest’azione
mi sembrava di percorrere a ritroso la
linea del tempo. Seguendo i consigli
degli anziani, prima di seminare ho
fatto il segno della croce, sperando
in una buona raccolta e pensando a
quando, un tempo, la vita dell’uomo
dipendeva dall’andamento delle
stagioni. Dopo solo cinque giorni
(23 giugno) i semi erano germogliati e dove prima c’era la nuda terra
ora trionfava il verde. Man mano
che trascorrevano i giorni le piante
si facevano più rigogliose, finché il
16 luglio sono sbocciati i primi fiorellini bianco-rosati. Ahimè la stagione
non è stata benevola con questi nuovi
nati, tormentandoli con pioggia,
vento e temporali a non finire. Nonostante ciò i fiori si sono trasformati
in chicchi e sono maturati incuranti
delle condizioni avverse.
LA RACCOLTA
Il 27 settembre mi sono svegliato
presto, in preda all’eccitazione per il
grande evento.
Ero in attesa dei miei amici che
dovevano aiutarmi nella mietitura in
qualità di braccianti: il brutto tempo
aveva piegato gli steli del grano e
quindi la raccolta a mano era d’obbligo. I primi ad arrivare sono stati
Beno e Gioia, pantaloni di velluto
arancione e giacca del nonno lui,
grembiule colorato e fazzoletto in
testa lei. Poi è arrivata Alessandra
che a detta di molti, vestita com’era,
somigliava in tutto e per tutto alla
sua ava; sono quindi arrivati Ester,
LE MONTAGNE DIVERTENTI Prepariamo le fascine (27 settembre 2014, foto Beno).
Stipiamo le fascine sotto il portico della chiesa di Carona (27 settembre 2014, foto Beno).
La battitura sul terrazzo della chiesa di Carona (20 ottobre 2014, foto Beno).
Grano saraceno
15
Ritorno alla terra
Speciali
Portiamo il tutto al mulino di Menaglio dove finalmente otteniamo la farina (19 febbraio 2015, foto Beno e Carlo Nani).
Svuotiamo i pelòrsc dentro il setaccio e filtriamo il grano dalle pagliuzze più grossolane, quindi lo ventiliamo per levare le impurità più piccole
(20 ottobre 2014, foto Beno e Carlo Nani).
Simona, Marco, Diletta, Francesca,
Sergio e Mario. Per esigenze di documentazione Beno ci ha imposto l’abbigliamento tradizionale. Passato
l’imbarazzo iniziale, ci siamo scoperti
divertiti da questo carnevale fuori
stagione e abbiamo constatato, infine,
che maglioni ruvidi e šcusài non sono
poi così scomodi.
Scesi nel campo, ho dovuto dare
dimostrazione pratica di come
tagliare e incasellare il grano, raccomandando a tutti di stare ben attenti
agli affilati scighèz, perché non volevo
nessun loro dito sulla coscienza o
nei pizzoccheri. Alla fine l'unico a
tagliarsi ripetutamente sono stato io,
forse perché ci davo dentro di brutto
temendo di non finire in giornata.
Il sole aveva raggiunto lo zenit e
il caldo stava incominciando a farsi
sentire. Anche se si dice che ciò che
tiene via il freddo tiene via anche
il caldo, i costumi tipici avevano
lasciato spazio a magliette e pantaloncini. In quasi cinque ore la mietitura
è stata terminata! Dopo un pranzo
16
LE MONTAGNE DIVERTENTI conviviale preparato dalla signora
Rina, siamo tornati nel campo per
spostare i covoni e metterli al riparo
dalle intemperie a seccare bene prima
di essere battuti.
LA BATTITURA E LA PULIZIA DEL
GRANO
Trascorso un mese dalla raccolta, il
22 ottobre abbiamo iniziato la battitura. Un’estate passata ad allenarmi
a usare il fièl è bastata per non uccidere nessuno, anche se la squadra di
battitori si è presto decimata: il primo
giorno eravamo io, Ester, Gioia e
Beno; il secondo giorno io, Sergio e
Mario, il terzo e il quarto io e Sergio.
Per prima cosa abbiamo messo giù
piazza, cioè abbiamo steso i pelòrsc
sul terreno, sopra un morbido letto
di paglia. Sopra i pelòrsc abbiamo
adagiato i covoni e a ritmo, due da
una parte e due dall’altra, abbiamo
incominciato a battere il grano.
Per quattro giorni a Carona non si
è sentito altro che PIM PUM PIM
PUM PIM PUM. Ogni tanto qual-
cuno perdeva il ritmo e allora ci si
doveva fermare onde evitare spiacevoli incidenti. PIM PUM PIM PUM,
su un fièl e giù l’altro, PIM PUM
PIM PUM per quattro giorni. Man
mano che si battevano i covoni bisognava setacciare e insaccare il grano
misto alla pula in attesa della successiva pulitura con il ventilabro.
Un tempo per pulire il grano saraceno e la segale veniva utilizzato il
val, poi, circa nell’800, comparvero
i primi ventilabri meccanici in legno,
costituiti da una tramoggia in cui
veniva rovesciato il grano e un perno
a cui erano ancorate delle palette.
Tramite una manopola si faceva
ruotare il perno andando a creare una
forte corrente d’aria. Un ferro trasformava il moto di rotazione in moto
ondulatorio che veniva impresso a
una slitta sottostante la tramoggia.
Così facendo il grano cadendo
dalla tramoggia passava attraverso la
corrente d’aria generata dalla “turbina
di legno”. La parte più pesante,
ovvero i chicchi, precipitavano vertiPrimavera 2015
calmente andando a depositarsi,
tramite una slitta, in un recipiente,
mentre la parte leggera, costituita da
polvere e pagliuzza, veniva soffiata via.
Storditi dai colpi che continuavano a rintoccare nella nostra testa,
abbiamo portato i sacchi nella masù,
dove c’era il mulinèl. Io ero addetto
al rovesciamento dei sacchi nella
tramoggia, mentre Sergio con una
manopola doveva far girare le pale
dell’attrezzo. Svuotato il primo sacco
e messe in moto le pale del ventilabro, subito abbiamo visto il grano
pulito dalla sporcizia che andava ad
accumularsi nel catino. In due ore
abbiamo mulinato 96 kg di furmentù:
l’esito di tre anni di preparazione e di
sei mesi di fatiche. Che soddisfazione!
Non rimaneva altro che portare
il grano, ora pulito, in un luogo
asciutto e ben ventilato, lasciarlo
seccare bene e infine trasformarlo in
preziosa farina.
FINALMENTE LA FARINA!
Per la macinazione ho portato il
mio furmentù nell’antico mulino
Menaglio a San Rocco di Teglio,
l’unico superstite dei 10 e più mulini
un tempo attivi in val Rogna. RistrutLE MONTAGNE DIVERTENTI turato di recente dal Comune di Teglio
con il contributo della Fondazione
Cariplo, ora è gestito dall’ “Associazione per la tutela del grano Saraceno
di Teglio e dei Cereali Tradizionali”.
Viene alimentato da un canale deviato
dal torrente della val Rogna, la cui
acqua, dopo un salto di qualche
metro, fa girare la grande ruota di
legno che tramite un complesso
insieme di ingranaggi mette in moto la
pesante macina in pietra. Il mugnaio
(Pietro Reghenzani) mi ha spiegato
che la migliore qualità della farina
macinata a pietra è conseguenza del
fatto che questa non subisce il riscaldamento che nei processi industriali
degrada le sostanze più nobili contenute nei chicchi. Unica accortezza è
quella di trovare la giusta velocità di
rotazione del palmento superiore ed
effettuare la periodica “rabbigliatura”
ovvero la scalpellatura delle pietre per
mantenere le asperità indispensabili
per macinare le granaglie.
Versato il grano nella tramoggia
del mulino secondo le indicazioni del
bravo mugnaio, abbiamo aperto il
canale di acqua per azionare la ruota
esterna. Subito ho incominciato a
sentire l’inconfondibile rumore della
macina e dopo poco Pietro mi ha
mostrato con fierezza la farina che,
filtrata dal buratto (setaccio cilindricoesagonale rotante), andava a depositarsi nel grande cassone di legno.
La soddisfazione da parte di tutti i
miei aiutanti nel mangiare i pizzoccheri prodotti con questa farina è
stata indescrivibile. Un gusto davvero
mai provato prima a detta di tutti,
che nonostante l’appetito consumavano ogni boccone con una straordinaria lentezza, quasi a voler rendere
eterno il piatto fumante. Ci consideravamo fortunati: eravamo i primi
dopo 40 anni a mangiare pizzoccheri
prodotti col grano di Carona!
La massima felicità però l’ho
provata quando ho saputo che altri
nella mia zona erano intenzionati a
tornare a coltivare la terra. E pensare
che solo sei mesi prima molti ridevano
della mia idea di coltivare il furmentù
a Carona, mentre ora, sono in molti
a chiedermi le sementi per tornare a
coltivare questo grano antico: una via
d'uscita alla perdita d'identità fra i
valtellinesi e la loro terra.
Grano saraceno
17
Ritorno alla terra
Speciali
I n t e rv i s ta
L
a
Lino Saini
Carlo Nani
o conobbi un giorno d'autunno, mentre mi stavo dirigendo verso l’antico mulino Menaglio
a San Rocco di Teglio, in val Rogna. Lui era a bordo strada e stava tagliando legna per
l’inverno. Nello scambiare quattro parole, mi chiese dove stessi andando. Gli dissi che ero diretto
al mulino per macinare il grano saraceno nostrano coltivato a Carona. Una luce si accese nei
suoi occhi e mi confessò che la sua famiglia da sempre coltivava i grani antichi.
Da sempre, anche quando lavorava come stradino per il comune di Teglio, aveva continuato a
mantenere vive le tradizioni di famiglia.
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Lino Saini, con la moglie Tersilia, mostrano le preziose sementi del grano saraceno di Teglio (19 febbraio 2015, foto Beno).
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a sua famiglia ha sempre coltivato il grano saraceno?
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Sempre: il mio nonno, il mio papà
e ora io con l’aiuto anche dei miei figli
e nipoti. Sono contento del desiderio
che hanno di imparare le antiche
tecniche di coltivazione.
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il periodo della guerra è stato duro,
ma la mia famiglia coltivando il
grano saraceno, la segale, la duméga
(orzo distico) e tenendo una pecora
per la lana e qualche mucca per il
burro e il formaggio, se l’è sempre
cavata e questa grande miseria non
l’abbiamo mai patita. Eravamo quasi
completamente autosufficienti e ci
arrangiavamo: ad esempio per fare i
pizzoccheri e la minestra di taiadìn
anziché miscelare la farina di grano
saraceno con la farina di grano tenero,
che non era disponibile, mia mamma
mischiava alla farina nera un po’ di
farina di segale e orzo macinato.
Grano saraceno
19
Ritorno alla terra
Speciali
nessuno. Non fare del male a nessuno
e nessuno farà del male a te! E ricordati che la notte è uguale al giorno,
solo che non vedi dove metti il piede.”
E così io non ho mai avuto paura.
Quanti campi coltivavate?
Erano parecchi: a San Giovanni
avevamo delle vigne. Tra un filare e
l’altro seminavamo in maniera alternata segale e patate. Avevamo campi
tutti attorno a San Rocco, a Panaggia
e poi su fino a m 1200.
Dove andavate a macinare?
Un tempo qui a Teglio c’erano
ben 10 mulini in funzione, ora
rimane solo quello detto “Menaglio”,
comprato e ristrutturato dal comune
di Teglio con il contributo della
Fondazione Cariplo. C’erano periodi
in cui si macinava 24 ore su 24 e il
mugnaio per riuscire a riposare un
po' metteva una campanella che
dava la sveglia quando il grano nella
tramoggia era quasi finito e doveva
essere rabboccato.
Come si coltivava il saraceno?
Innanzitutto bisogna precisare
che a Teglio si praticava (e si pratica
tuttora) la doppia coltura. A ottobre
si metteva la segale, che veniva
raccolta a luglio dell’anno successivo.
Quindi il terreno veniva zappato a
mano e, dopo il rituale segno della
croce, si procedeva con la semina
del saraceno, durante la quale i
contadini conficcavano nel terreno
alcuni paletti in legno che man
mano venivano spostati per distinguere l'area già seminata da quella
ancora vergine.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale
la zappa venne rimpiazzata da muli
e aratro. Quei pochi che potevano
permettersi di mantenere la bestia da
soma e possedevano l’aratro in legno,
andavano ad arare i campi di chi ne
era sprovvisto e che, al momento
della mietitura o della battitura,
ricambiava il favore prestando la
propria manodopera.
Dopo 4/6 giorni dalla semina, il
grano saraceno era già spuntato; si
sciarscelàva1 e si mondava. Dopo circa
90 giorni il furmentùn era maturo e
poteva essere raccolto.
Importanti per la coltivazione del
grano saraceno sono le api. Mio
padre, tornato dall’Australia dov'era
emigrato per lavoro, aveva preso
delle arnie e prima di morire mi
aveva detto: “Ricordati Lino, le api
sono degli insetti che lavorano per
te”. Passando di fiore in fiore, infatti,
favoriscono l’impollinazione e quindi
fanno aumentare la produzione delle
piantine.
Una volta tagliato, il grano veniva
incasellato nel campo mettendo in
piedi i covoni e lì restava per
4/5 giorni, il tempo necessario per
seccare. Quindi si andava nel campo
e “si metteva giù piazza”, ovvero si
1 - Sarchiatura.
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI La panificazione?
stendevano le
pelòrsce 2 e sopra si
disponevano i
covoni per la battitura col fièl 3. Quest’attrezzo mio padre iniziò a
farmelo usare già a 10 anni: il
trucco è tenere il ritmo. Io per
sbaglio una volta colpii in testa mio
padre!
Il risultato della battitura, un misto
di semi e foglie secche sminuzzate,
veniva setacciato con il rac' 4 per dividere la paglia dai chicchi e dalla pula
e poi ventilato con il mulinèl 5 o con
il val 6. Sempre utilizzando il val, con
un antico e sapiente movimento del
bacino, il grano veniva purificato da
sassolini e sabbia. Infine lo si portava
al mulino per la macinatura.
Coltivazione della segale: come si
svolgeva?
2 - Strisce di tessuto ottenuto dalle fibre più grossolane della canapa.
3 - Correggiato.
4 - Grande setaccio a maglie larghe.
5 - Ventilatore in legno.
6 - Ventilabro.
Dopo la mietitura del grano saraceno veniva seminata la segale che in circa quindici
giorni germogliava. Si creava così il
ceppo radicale. Il gelo invernale faceva
morire gli steli, ma non le radici da
cui, in primavera, ricrescevano le
nuove piantine. Il famoso detto “sotto
la neve pane” si riferiva al fatto che
il manto nevoso andava a proteggere
le radici della segale dalle forti gelate.
Prima dell’arrivo della neve si faceva
pascolare il bestiame che andava a
“potare” gli steli e da uno in primavera ne spuntavano due. La maturazione avveniva verso il 9/10 di luglio,
al che si mieteva e i bataröli 7 veni-
vano appesi
nei péndesc 8 e
per un mese si
lasciavano lì a seccare.
Quindi si prendevano
i bataröli e li si batteva contro un
asse di legno o un lastrone in pietra
per separare i chicchi dagli steli. In
seguito si procedeva alla ventilazione e
alla macinatura.
Quando incominciava la giornata
nei campi?
Con i rintocchi dell’Ave Maria alle
5 del mattino. Un tempo la gente
era molto superstiziosa: aveva paura
di ciò che l’oscurità poteva celare.
I rintocchi dell’Ave Maria erano il
segnale che il pericolo di incontrare
qualche strano essere era passato.
Avevo 10 anni e un giorno mio padre
mi abbracciò e mi disse: “Stai tranquillo Lino, non devi avere paura di
8 - Solai dove si possono appendere i mazzi di segale
alle travi.
7 - Mazzi di segale.
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Qui a San Rocco di Teglio
c’erano due forni che funzionavano
per 24 ore su 24 e le famiglie panificavano a turno ogni 15 giorni.
C’erano 3 fornaie che facevano
i turni e si davano il cambio ogni
8 ore. La gente di molte contrade
veniva qua per il pane: da Santa
Maria, Panaggia, ca di Scranz, molti
da Teglio …
Ci si recava al forno con la propria
farina e la propria legna. L’ultimo che
infornava doveva lasciare un piccolo
panetto di impasto che serviva da
lievito madre per la prima panificazione del giorno successivo. Per
la combustione usavamo legna di
betulla, ontano o l’abete. La betulla
bruciava velocemente e faceva diventare rapidamente bianco il cielo del
forno (segno che indicava il raggiungimento della giusta temperatura).
Un antico proverbio di Carona
recita: “Quand che 'l finirà 'l
furmentù de Téi, la séghel de
Carona, 'l fé de Borm, i pra de Ciür
e 'l vi de Punt, 'l sarà scià la fi del
munt.”
L’ho sentito anch’io! Sicuramente
la coltivazione d’elezione per noi di
Teglio è il grano saraceno ed è anche
vero che mia moglie, originaria di
Chiuro, mi ha sempre raccontato
che era uno spettacolo a luglio vedere
la sponda di Carona che biondeggiava dalla sterminata estensione dei
campi coltivati a segale. Nella sponda
orobica di Teglio, essendo svantaggiata dall’esposizione a nord, si prediligeva la coltura della segale e la si
raccoglieva solo a piena maturazione,
noi a Teglio invece avevamo fretta di
seminare il saraceno e quindi anticipavamo la mietitura ottenendo un grano
più povero.
Cosa l’ha spinta a non abbandonare la coltivazione del grano
saraceno, contribuendo così alla
conservazione della biodiversità del
grano autoctono di Teglio?
La grande passione e la voglia di
mangiare genuino. La preservazione
del grano antico è venuta di conseguenza. Qualcuno mi chiede che
differenza c’è tra il grano nostrano e
quello d’importazione, che è macinato dai moderni mulini: io ad essere
onesto non lo so! La mia famiglia ha
sempre coltivato il grano saraceno dei
miei antenati e per i pizzoccheri non
abbiamo mai usato altra farina.
Fortunatamente i miei campi non
sono troppo vicini a quelli coltivati
con il grano d’importazione, altrimenti il rischio di ibridazione sarebbe
molto alto. In effetti la possibilità di
perdere il filone genetico del grano
tradizionale è ancora concreta per
l'ostinazione che qualcuno ha nel
seminare prodotti d'importazione.
Come è avvenuto il rilancio
della coltura del grano saraceno
tradizionale?
C’è stato un periodo in cui le coltivazioni di saraceno stavano completamente sparendo: eravamo rimasti
io e una manciata di famiglie. Poi gli
animi si sono risvegliati, si è incominciato a parlare di biodiversità
e qualche mosca bianca ha chiesto
alle ultime famiglie custodi del saraceno nostrano un po’ di sementi per
tornare a coltivare il grano antico.
Recentemente è stata creata un’associazione per la tutela dei grani antichi
ed è stato ristrutturato l’antico mulino
Menaglio in val Rogna, dove gli associati possono macinare a pietra il loro
grano.
Grano saraceno
21
Ritorno alla terra
Speciali
IERI E OGGI,
IL GRANO SARACENO IN VALTELLINA
Carlo Nani
“Q
uesto adunque (per quanto io
me n'intenda) ne fu portato
in Italia d'Africa, però in molti luoghi
d’Italia, si chiama saracino, quantunque
in altri luoghi lo chiamino formentone. Produce quando nasce le foglie
quasi tonde, le quali crescendo diuentano, come d’hedera, ma più molli più
appuntate. Fa il gambo fragile, tondo,
uacuo, rosso, pieno di foglie, crescendo
all'altezza di due gombiti, qualche uolta
maggiore. Fa i fiori in cima copiosi,
bianchi racemosi, da i quali nasce un
seme triangulare, il cui guscio è nero,
la midolla bianca. Seminasi il mese
d’aprile, ricogliesi maturo il mese di
luglio, ne i luoghi caldi, di modo che
alle uolte il medesimo anno due uolte
si semina, si raccoglie, come so io essere
stato fatto in più luoghi d'Italia”. Così
Pietro Andrea Mattioli in Historia del
saracino e le sue virtù, Venezia 1565.
Il grano saraceno - Fagopyrum esculentum moench – è una specie botanica
facente parte della famiglia delle Poligonacee originaria dell’Asia Centrosettentrionale che si è propagata in
Cina, nella Siberia meridionale e nella
Regione Tibetana.
La sua comparsa in Valtellina, dov'è
nota con il nome di furmentùn, non è
facilmente databile, anche se in un’opera del medico e letterato modenese del XVI secolo Ortensio Landi
stampata a Venezia nel 1548 si parla
di “mangiar formentini, lasagnuole e
pinzocheri”.
Questa coltivazione si è sviluppata in
Valtellina principalmente sul versante
solivo retico: in bassa valle fino alla
costiera dei Cech, nella media valle
(territorio di Ponte, Chiuro e Teglio,
quest’ultimo, in passato, maggiore
produttore di saraceno), ma anche
nelle zone orobiche più soleggiate.
La produzione, in declino già da
inizio '900, verso il 1970 è giunta al
quasi totale abbandono.
Alla fine degli anni ottanta l’amministrazione comunale di Teglio ha
deciso di incentivarne la coltivazione
22
LE MONTAGNE DIVERTENTI fagopirum argenteum
fagopirum esculentum
moench (nostrano)
saraceno grigio ibrido
fagopirum tataricum
con gli altri cereali alpini per il mantenimento del seme autoctono e la
valorizzazione del territorio nelle aree
tradizionalmente agricole.
Negli anni ’90, sotto l’impulso
della biblioteca di Teglio, del Centro
Tellino di Cultura e dei tellini sensibili al tema, è nato un “Comitato per
la Salvaguardia e Reintroduzione della
coltivazione dei Cereali Alpini Tradizionali” che è trasformato nel 2008
in quella che è ora l’ “Associazione
per la coltura del grano saraceno di
Teglio e dei cereali alpini tradizionali”, fortemente voluta in particolar
modo da Patrizio Mazzucchelli e dalla
Primavera 2015
professoressa Giancarla Maestroni.
Tra gli scopi dell’associazione c’è
quello di “sostenere, salvaguardare e
incrementare la produzione di grano
saraceno autoctono, dei cereali di
montagna, quali segale e orzo, valorizzare e promuovere la diffusione della
cultura del mondo rurale legato a tali
LE MONTAGNE DIVERTENTI coltivazioni; sensibilizzare alla tutela
delle biodiversità e ripristinare tradizionali forme di solidarietà e di lavoro
cooperativo tra i coltivatori”.
Nel 2000 a Teglio c'erano non più
di 7000 m2 seminati a cereali antichi.
Da allora, partendo dalle poche
famiglie che hanno resistito nella
Varie tipologie di grano saraceno
(31 gennaio 2015, foto Beno).
Dalla ciotola in alto in senso orario:
• fagopirum esculentum moench: è il
furmentùn che da cinque secoli viene
coltivato sugli alti poggi di Teglio e ora
anche nei territori di Carona;
• fagopirum argenteum, detto grano
saraceno francese (è stato importato
dalla Francia a inizio '900) o curunìn
in quanto forma una specie di corona
di semi sugli apici degli steli. Ha
una maggiore resa rispetto a quello
nostrano;
• fagopirum tataricum, meglio noto
come ansibaria. Grano resistente alle
basse temperature e che cresce perciò
a quote più elevate, fu introdotto
probabilmente dall’Abate Ignazio
Bardea (1736-1815) allo scopo di
sfamare i “famelìchi” di Bormio. Non
viene più coltivato in quanto la farina
ottenuta è più amara. La pianta è un
terribile infestante.
• saraceno grigio ibrido. Si differenzia
dal grano saraceno grigio francese
(curunìn) in quanto il seme si sviluppa
lungo lo stelo della pianta;
coltivazione delle sementi antiche,
custodendo i saperi e le competenze
legati alla filiera dei cereali alpini, l'attività è rinata. A ciò hanno contribuito
il “Presidio Slow Food del Grano Saraceno di Valtellina”, nato nel 2001, e le
varie amministrazioni comunali che
dal 1988 hanno sostenuto il rilancio
di queste coltivazioni prevedendo un
finanziamento annuo per pertiche
coltivate. Attualmente i coltivi si aggirano attorno ai 10 ettari.
L’Associazione sta contribuendo
fattivamente alla tutela delle biodiversità territoriali e della cultura alpina,
al recupero dei terrazzamenti e del
paesaggio finalizzato alle colture di
qualità. Dal 2012 L'Associazione
gestisce anche il mulino Menaglio
di San Rocco, dove ha riattivato la
macina azionata ad acqua per metterla
a disposizione dei piccoli produttori
locali. Nella stessa sede è stato allestito
il “Museo dei Cereali Alpini Tradizionali” che offre visite didattiche con
itinerari sui campi di cereali.1
1 - Informazioni gentilmente fornite dalla professoressa Giancarla Maestroni e da Patrizio Mazzucchelli.
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“I
n località passo del Forno - si legge ne Il Popolo Valtellinese del giugno
1944 - a poche centinaia di metri dal confine svizzero, è stato rinvenuto,
dopo circa due mesi dalla morte, il cadavere di un uomo di circa 35 anni,
in stranissime condizioni di equipaggiamento. A circa 3000 metri lo sconosciuto
era ricoperto soltanto da due paia di mutande, senza abiti e a capo scoperto, e si
trovava avvolto in una coperta da letto; i piedi, calzati con babbucce, recavano i
ramponi da ghiaccio.”
LE MONTAGNE DIVERTENTI Ettore Castiglioni (1908-1944)
25
Personaggi
Speciali
Pizzo Bacone
(3244) Cima del Largo
(3188)
Monte del Forno
(3214)
Piz Platta
(3392)
Passo del Forno
(2765)
Passo del Muretto
(2562)
L
VA
VA
LL
E
D
EL
M
U
RE
TT
O
A
N
BO
La val Bona e il passo del Forno. Indicato il punto in cui il 3 giugno 1944 fu trovato il corpo di Ettore Castiglioni (12 febbraio 2007, foto Beno).
In copertina a questo articolo: Ettore Castiglioni (foto F.lli Pedrotti, archivio CAI sez. di Tregnago).
L
a splendida conca di Chiareggio è limitata a nord dall’ardita piramide del monte del Forno.
Alla base meridionale di questa
cima vi è l’omonimo e relativamente
agevole passo che forse, anche per
la vicinanza del più basso e comodo
valico del Muretto, non ha mai
avuto rilevanza storico-commerciale. Tuttavia, da quando nelle valli
dell’Adda e della Mera si è sviluppato l’alpinismo, il passo del Forno
ha assunto un’importanza turistica
notevole, sia per i transiti estivi che
invernali, poiché di passaggio relativamente agevole anche con gli sci.
Un passo facile, quindi, ma che ha
visto sul suo versante malenco svolgersi una tragedia i cui contorni,
incredibilmente, non sono ancor
oggi del tutto chiariti. In effetti 70
anni orsono, nella primavera del
1944, quando ormai il Secondo
Conflitto Mondiale stava volgendo
al termine, qui fu trovato il corpo
senza vita di Ettore Castiglioni,
uno dei più forti alpinisti degli anni
Trenta, noto scrittore di montagna
nonché redattore di alcune delle più
apprezzate guide alpinistiche delle
nostre Alpi.
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI Perché il fortissimo Castiglioni sia
morto sui facili pendii del passo del
Forno ha dato adito a infinite discussioni. Alcuni documenti recentemente venuti tra le mani degli
studiosi fanno luce sulla vicenda.
CHI ERA ETTORE CASTIGLIONI?
Ettore Castiglioni, ultimo di 5
figli di un’agiata famiglia lombarda,
nacque il 28 agosto 1908 a Ruffré,
nell’attuale provincia di Trento, a
brevissima distanza dal passo della
Mendola, ai tempi luogo di villeggiatura di arciduchi e ricchi borghesi del
Tirolo e dell’Austria. Salvo che i suoi
diari non ancora del tutto esplorati
non smentiscano questa nostra affermazione, pare che la Grande Guerra
non avesse lasciato segni particolari
sull’animo di Ettore che, quando la
pace tornò tra le Dolomiti, iniziò
a frequentarle assiduamente con i
fratelli Bruno e Manlio, soci dell’importante associazione alpinistica
SEM di Milano. Nel 1921, a 13
anni, legato in cordata con la celeberrima guida Tita Piaz, salì le Torri
del Vajolet e due anni dopo, nel
1923, con il fratello Bruno, fece la
prima ascensione alla parete ovest
del Pelmetto. Castiglioni aveva solo
15 anni e questo era il segnale di
un buon mattino, che lo portò ad
aprire dozzine di vie nuove un po’
su tutte le Alpi anche se, in linea di
massima, le Dolomiti restarono le
sue preferite.
Nel 1925, a soli 17 anni, aprì
con i fratelli altre due vie nuove
sul Cimerlo (Pale di San Martino)
e sul Sass da Mur (Alpi Feltrine).
Al diciottesimo compleanno Castiglioni potè iscriversi alla SEM: da
statuto, infatti, i giovani non erano
accettati. In quell' ambiente, votato
da un lato alla propaganda popolare
dell’alpinismo, dall’altro a imprese
di notevole livello tecnico, si trovò
sempre a suo agio e strinse numerose
amicizie, tra cui quella con Vitale
Bramani1, che fu per lui un importantissimo amico e compagno di
cordata.
1 - Vitale Bramani (1900-1970), alpinista di grande
fama, è ricordato anche per essere il padre delle
suole Vibram (nome che contiene le iniziali dell'inventore), di nuova concezione rispetto alle tradizionali in quanto impermeabili e in grado di adattarsi a
vari tipi di terreno. Nel 1937, grazie alle suole da lui
stesso ideate, conquistò con Ettore Castiglioni la
parete nord-ovest del pizzo Badile.
Primavera 2015
Note caratteristiche del soldato Ettore Castiglioni (documento tratto dalle ricerche effettuate da Lorenzo Dotti).
IL SERVIZIO MILITARE
Nel 1929 fu chiamato per il servizio
militare e, come d’uso all’epoca per
gli studenti che avevano portato
avanti studi relativamente elevati, fu
inviato alla Scuola Allievi Ufficiali
di Moncalieri nell’Arma di Fanteria.
Dopo 6 mesi di corso raggiunse regolarmente il grado di Sottotenente:
le sue note caratteristiche del 1930
dimostrano come fosse apprezzato
per le sue doti.
La parentesi militare non interruppe la sua attività alpinistica, tanto
che nel ’29 compì sei prime ascensioni, tra cui la prima assoluta della
Torre Conegliano e della Torre
Storta nel gruppo del Civetta, e
nell'anno successivo ne realizzò altre
sei.
Nel 1931 si laureò in legge come
da volontà dei suoi genitori, ma non
fu costretto a una vita da avvocato,
in quanto l’agiatezza della famiglia
gli permetteva di vivere di rendita.
Questo fattore lo differenziò moltissimo da gran parte dei suoi colleghi
alpinisti degli stessi anni e, secondo
alcuni studiosi, ebbe pure un’importanza di tipo “politico”. In un’eLE MONTAGNE DIVERTENTI poca in cui l’alpinismo era intriso di
nazionalismo, non solo in Italia ma
in tutta Europa, e le varie imprese
specie di largo respiro venivano viste
come dei trionfi collettivi di questa
o quella nazione, Castiglioni aveva
una visione invece del tutto personalistica dell’ascensione e dell’arrampicata. Non solo, ma mentre gli altri
alpinisti d'alto livello erano quasi
sempre inquadrati, anche per motivi
economici, nelle strutture pubbliche,
lui poteva permettersi di arrampicare come e dove voleva, senza render
conto a nessuno della propria attività.
È abbastanza probabile che il suo
atteggiamento distaccato, talora
negativo verso il regime fascista,
abbia potuto svilupparsi anche grazie
a questa caratteristica economica
della sua famiglia. Al contrario di
molti suoi coetanei alpinisti, infatti,
Ettore Castiglioni è passato alla storia
come contestatore della politica del
Ventennio.
zarlo verso i lavori legali. Fu uno dei
pochissimi periodi della vita di Ettore
privo di ascensioni. Sul suo diario
scrisse: “…maggio. Vuoto, vuoto,
vuoto. E possibile che io debba essere
sempre condannato al nulla, a distruggere e reprimere le mie energie, per
vegetare in un ozio demolitore e putrefacente? Vengo all’ufficio al mattino e
me ne vado alla sera senza aver fatto
assolutamente nulla. Poche chiacchiere
con Carpenter hanno presto esaurito gli
argomenti di conversazione e la lettura
di un atto o due di Shakespeare serve
a farmi passare un paio d’ore, ma non
certo a dare un senso alla mia giornata.” Fatto inspiegabile della parentesi londinese è come Castiglioni non
abbia colto l’occasione per entrare in
contatto con l’ambiente alpinistico
della Gran Bretagna, che in quel
periodo era tra i più attivi in Europa.
LA CATTIVITÀ LONDINESE
Nel 1933 Castiglioni rientrò in
Italia e si scatenò in una campagna
che lo portò a collezionare una
ventina di prime ascensioni, soprat-
Nel 1932 Castiglioni fu mandato a
Londra nel vano tentativo di indiriz-
RITORNO IN ITALIA E GRANDE
ALPINISMO
Ettore Castiglioni (1908-1944)
27
Personaggi
Speciali
Congresso del Club Alpino Accademico Italiano ai Bagni di Màsino. Seduti, da dx, Giusto Gervasutti ed Ettore Castiglioni. In piedi, immediatamente
a sx (giacca con spilla), è Aldo Bonacossa, mentre il più alto del gruppo è Renato Chabod. Da sx invece si riconoscono Ninì Petrasanta,Vitale
Bramani (dietro di lei), e Gabriele Boccalatte, marito e compagno di scalate di Ninì e unico in maglietta a maniche corte (1 settembre 1935, foto
Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio, riconoscimento dei personaggi a cura di Raffaele Occhi, Angelo Recalcati e Beno).
tutto nel gruppo del Brenta. In
Valtellina, in quello stesso anno, aprì
tre vie sui Corni Bruciati, cime quasi
dimenticate nonostante il loro fiero
aspetto: la prima traversata per cresta
dalla punta centrale alla punta NE,
la prima ascensione per la cresta S
alla punta centrale e la prima traversata per la cresta SO, con discesa per
la parete O, della punta centrale e
della punta NE. Tutte le tre ascensioni, quella della vicina cima
dell’Averta e l'apertura di una nuova
via sulla parete E del piz Glüschaint
vennero effettuate con l’amico Vitale
Bramani. Queste scalate, fuori dalle
aree da lui normalmente battute,
chiariscono un’altra caratteristica di
Castiglioni: il desiderio di andare a
scoprire luoghi nuovi indipendentemente dalla loro fama alpinistica.
Sempre nel 1933 Castiglioni
conobbe Bruno Detassis, col quale
costituì un sodalizio importante,
avendo entrambi un’analoga concezione dell’andar per monti.
Il piacere per l'esplorazione ne fece
un eccellente autore di guide già in
età giovanile, tanto che nel 1935, a
soli 27 anni, pubblicò nella celeberrima collana Guida dei monti d’Italia
del CAI-TCI il volume Pale di San
Martino, gruppo dei Feruc, Alpi
Feltrine. Due anni dopo, nel 1937,
fu la volta di Odle, Sella, Marmolada. La sua volontà esplorativa non
riguardava solo l’estate, ma pure l’inverno; difatti nel 1942 uscì la sua
Guida sciistica delle Dolomiti.
LA "MEDAGLIA D'ORO"
E LE POSIZIONI POLITICHE
Nel 1934 la progressione di prime
ascensioni continuò costante, molte
con Detassis e Bramani. Fu proprio
in quell’anno che Angelo Manaresi,
presidente del Club Alpino Italiano,
ottenne per lui l’assegnazione della
“medaglia d’oro al valore atletico”.
Castiglioni l’accettò per non apparire
inopportuno, specie verso Manaresi e
gli altri che avevano appoggiato quel
suo riconoscimento, ma appuntò sul
suo diario2: “…ora ho anche la secca-
In vetta al piz da Cir con Elvezio Bozzoli (1930, foto archivio Bozzoli
Parasacchi).
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI Ettore Castiglioni e Vitale Bramani sulle placconate dei pizzi Gemelli
(1937, archivio famiglia Bozzoli Parasacchi).
Primavera 2015
2 - Ettore Castigioni (a cura di Marco Albino Ferrari), Il giorno delle Mésules. I diari di un alpinista
antifascista, CDA & Vivalda, Torino 1993
LE MONTAGNE DIVERTENTI tura della medaglia per non offendere
chi me l’ha assegnata, credendo di
farmi piacere e mi toccherà di andare
alla cerimonia in mio onore e pigliar
le congratulazioni per le mie ascensioni. Cosa centrano tutti loro? Le mie
ascensioni le ho fatte per me e per me
solo e sono e resteranno soltanto mie e
non potranno essere infangate da tutto
l’oro del mondo …”
In queste righe è evidente il valore
molto personale che aveva l’alpinismo per Castiglioni, che perciò ne
rinnegava l’aspetto politico-sociale.
Molti vi hanno voluto leggere
anche un’avversione al fascismo.
Non vi è dubbio, infatti, che Castiglioni non fosse un fascista. Non
è del tutto chiaro, però, se il suo
atteggiamento contrario al regime
fosse dovuto a una precisa posizione
politica, quanto piuttosto a una
repulsione per l’indottrinamento di
gruppo che doveva apparire assolutamente sgradevole a una personalità
libera come la sua.
Alessandro Pastore nel suo Alpinismo e storia d’Italia - dall’Unità
alla Resistenza suggerisce, infatti, che
la sua non sia stata un'opposizione
matura e consapevole al regime.
Non bisogna neppure dimenticare
che in quell’epoca, in cui il fascismo
si impose sul Club Alpino Italiano e
lo trasformò in un ente alle dirette
dipendenze del segretario politico
del partito, Castiglioni divenne uno
dei referenti principali della Guida
dei Monti d'Italia. Sembra improbabile che, se mai avesse palesato le
sue posizioni non allineate al regime,
gli sarebbe stata data la possibilità
di scrivere libri fondamentali per il
CAI.
Più chiara è, invece, la sua vena
nazionalista, come - ad esempio emerge in conclusione al suo articolo su Le Alpi a proposito di una
sua campagna alpinistica in Corsica:
“Nessuno finora ci ha ancora dato
una monografia alpinistica completa
con tutti i dati e le notizie necessarie. Speriamo quindi che gli italiani
vogliano ora rimediare al loro troppo
lungo silenzio creando questa opera
fondamentale e che un volume dedicato
alla Corsica possa presto figurare nella
collana delle Guide dei Monti d’Italia,
come già la Guida della Corsica del
CTI3, degnamente completa la serie
delle guide delle regioni italiane. E
auguriamoci che quando l’isola sarà
definitivamente riunita al territorio
nazionale ed anche le ultime formalità saranno soppresse, gli alpinisti
italiani accorreranno numerosi tra
questi monti bellissimi, rispondendo
al dovere morale di visitare, studiare
e conoscere l’isola italiana che, nonostante la secolare dominazione straniera, ha saputo mantenere intatta la
sua italianità.”
ATTIVITÀ EXTRAEUROPEA
Nel 1937 Castiglioni partecipò
a una spedizione che potremmo
definire “leggera” sulle Ande patagoniche, condotta da un altro celeberrimo alpinista dell’epoca: il conte
Aldo Bonacossa. La spedizione era
essenzialmente alpinistica, come lo
stesso Castiglioni scrisse nell’articolo
sulla Rivista del Centro Alpinistico
Italiano4, e consisteva in un tentativo
di salita al Fitz Roy, vetta che all’epoca appariva pressoché invincibile.
Causa il cattivo tempo i nostri si
dovettero “accontentare” del Cerro
Doblado (m 2840), prima vetta
ad essere salita dall’uomo lungo
la catena principale che divide il
versante pacifico da quello atlantico
della Patagonia. In questa spedizione
emersero però degli attriti con Bonacossa e Castiglioni si dimostrò, con
la sua visione molto personalistica
dell’alpinismo, piuttosto intollerante alle regole di un’azione collettiva quale una spedizione alpinistica
extraeuropea.
Nel 1938 Castiglioni, con
Gabriele Boccalatte e Carletto
Negri, organizzò al rifugio Omio il
primo “Corso di arrampicamento
sul granito”. In questo corso Castiglioni, affermando che si trattava
di una vera e propria scuola di alpinismo in cui gli allievi erano portati
a conoscere la “vera” montagna,
prende le distanze dalle “scuole di
palestra”, che gli sembrano un puro
sfoggio atletico.
3 - Consociazione Turistica Italiana (in epoca fascista aveva sostituito il Touring Club Italiano).
4 - Nome assunto dal CAI dal 1938.
Ettore Castiglioni (1908-1944)
29
Personaggi
Speciali
LA SECONDA GUERRA
MONDIALE
Nel 1940 l'Italia entrò in guerra,
ma Castiglioni inizialmente non
venne richiamato alle armi e potè
continuare il proprio percorso, che
si fece addirittura ancor più intenso
poiché stava lavorando alle guide
Dolomiti di Brenta, Alpi Carniche,
oltre a quella già citata sciistica delle
Dolomiti e a un volume sullo sci
nell’area di Madonna di Campiglio,
che in realtà copre gran parte del
Trentino occidentale.
Nel 1941 furono 13 le nuove
salite, tra cui la prima assoluta al
Torrione Giorgio Graffer, dedicata
al noto alpinista accademico trentino Capitano d’aviazione, caduto
durante la Campagna di Albania.
Nel 1942 le ascensioni nuove
furono addirittura 34. Nel 1943
Castiglioni fu richiamato alle armi e
inviato come istruttore di alpinismo
alla scuola di Aosta. Qui partecipò
a due corsi di addestramento: il
primo sulle Dolomiti e il secondo in
Valpelline (AO).
Nel settembre del 1943 l’Italia
chiese l’armistizio e, come tutti
sappiamo, questo coincise con la
divisione in due campi del nostro
Paese. Castiglioni non esitò e organizzò - non è chiaro se spinto da
ragioni politiche o umanitarie - un
gruppo di soldati e ufficiali che,
facendo base all’alpeggio di Berio
in Valpelline, aiutava militari, esponenti politici ed ebrei ad espatriare
in Svizzera. Castiglioni era l’anima
di quel gruppo che, sebbene da lui
stesso impostato su basi egualitarie,
non sopravvisse alla sua mancanza
nel periodo della detenzione in
Svizzera.
Castiglioni, infatti, fu detenuto
circa un mese e poi rilasciato con una
diffida a proseguire l'illecita attività di
espatrio. Proprio questo avvertimento
potrebbe spiegare il movente della
scelta che decretò la sua tragica fine.
Il richiamo dell'alpinismo fu forte
anche durante la sua attività umanitaria in Valpelline: ne è la prova
la nuova via al monte Berio - l'ultima della sua vita - che aprì il 21
settembre 1943 in cordata con Emilio
Macchietto.
30
LE MONTAGNE DIVERTENTI Da sx: Vitale Bramani, Rino Barzaghi, Ettore Castiglioni e Elvezio Bozzoli Parasacchi
Montenvers (1937, archivio famiglia Bozzoli Parasacchi).
LA MORTE
Nel 1944 Castiglioni, chiusa la
parentesi dell’alpe Berio, tornò a vivere
in Lombardia senza soverchi problemi,
partecipando con vari suoi compagni
a un corso di sci alpinismo al rifugio
Porro in Valmalenco, diretto dall’intimo amico Carletto Negri e in compagnia di Vitale Bramani. L'11 marzo
Castiglioni però abbandonò il gruppo,
traversò il confine e giunse al passo
del Maloja ove, riconosciuto, venne
fermato dalla gendarmeria elvetica.
Qui iniziò la sua ultima avventura, i
cui contorni sono ancora incerti. Una
delle prime versioni girate nel mondo
alpinistico vuole che Castiglioni stesse
svolgendo attività di intelligence tra il
CLN, il servizio segreto inglese e gli
espatriati in svizzera. Va detto però che
tutte le ricerche condotte negli anni
successivi non hanno rivelato elementi
a sostegno di questa tesi.
Sembrerebbe invece che Castiglioni
fosse arrivato al Maloja per ragioni
personali. C'è chi sostiene che egli
avesse raggiunto il valico svizzero per
incontrare l'amato nipote e compagno
di cordata Saverio Tutino, emigrato per
motivi politici. Girava voce addirittura
che Castiglioni fosse stato riconosciuto
mentre conversava con Saverio, ma
anche questa versione è priva di fondamento, in quanto il nipote in quel
periodo era sotto custodia a Lugano
e sembra proprio che Castiglioni ne
fosse a conoscenza.
Di recente dall’archivio del CAI di
Tregnano5 è stata recuperata da Gianfranco Fava6 una lettera del 12 giugno
1944 di Vitale Bramani che, come
sappiamo era un carissimo amico e
che partecipava anch’esso al famoso
corso di sci alpinismo alla Porro. Vi si
legge: “circa due mesi fa alla capanna
Porro si svolgeva un corso di sci della
SUCAI al quale, con me ed altri amici
comuni, si era unito anche Ettore; come
voi ben sapete il discesismo con gli sci
non era il suo sport preferito per cui,
dopo alcuni giorni e come sua inveterata
abitudine, si staccò da noi per intraprendere un giro di ispezione verso il gruppo
Vazzeda, Cima di Rosso e dei Torrioni,
allo scopo di vedere la possibilità di tracciare altre nuove vie e di prendere rilievi
da utilizzare per una pubblicazione
5 - Sezione veneta dedicata a Ettore Castiglioni.
6 - Gianfranco Fava è con Marco Albino Ferrari, tra
i maggiori esperti della vita e delle opere di Castiglioni.
Primavera 2015
Autunno 1943: il gruppo guidato da Ettore Castiglioni fotografato all'alpe Berio (archivio Gino Buscaini). Per approfondimenti si consiglia la lettura
di Marco Albino Ferrari, La storia di Ettore Castiglioni. Alpinista, scrittore, partigiano, TEA storica, Milano 2008
attorno alla zona, che aveva in animo di
compilare…”
Per facilitarlo un allievo svizzero
del corso gli aveva prestato il proprio
passaporto ma i gendarmi, riconosciuto il falso, lo chiusero in una
stanza dell’albergo di Maloja, togliendogli sci, scarponi e pantaloni per
impedirgli di fuggire. Castiglioni
sapeva di essere diffidato e che questa
volta sarebbe finito in reclusione; sicuramente, visto pure il periodo storico,
la più parte al suo posto avrebbe accettato tale soluzione che lo avrebbe
anche messo al sicuro da eventuali
problemi con i tedeschi e le forze della
RSI visto l’espatrio clandestino. Ma
Castiglioni non la vedeva in questo
modo e come dice Fava: “… il suo
spirito indomito non si assoggettò alla
situazione ed al pericolo di un possibile
internamento: durante la notte ricavò
dalle lenzuola lunghe strisce che in parte
utilizzò per fasciarsi i piedi mentre col
resto ottenne un mezzo per calarsi a terra
…” E così il mattino del 12 marzo
1944, in mutandoni di tela, con una
coperta di lana come mantella, coi
piedi fasciati da un paio di ramponi
trovati per caso, puntò a ritornare in
Valmalenco attraverso il ghiacciaio e il
LE MONTAGNE DIVERTENTI passo del Forno. Come se l’attrezzatura
precaria non bastasse, si scatenò una
bufera furiosa che contribuì a esaurire
le sue pur eccezionali forze. Raggiunto
il valico si abbassò di qualche centinaio di metri sul versante italiano, poi
esausto si fermò su una cengia riparata
pare per liberare i piedi dai ramponi
che lo ferivano. La sosta gli fu però
fatale. Il corpo fu coperto dalla neve
e fu ritrovato solo il 3 giugno successivo dal viceprefetto di Sondrio che, da
appassionato alpinista qual era, batteva
la zona. Anche per interessamento
degli amici Bramani, Negri, Oppio
e Bozzoli Parasaccchi, Castiglioni
fu riconosciuto e tumulato a Chiesa
in Valmalenco, riuscendo a evitare
indagini che avrebbero potuto creare
problemi a chi lo aveva visto partire.
Se la versione di Vitale Bramani fosse
quella definitiva, si potrebbe quindi
pensare che Castiglioni era andato al
Maloja per motivi essenzialmente alpinistici, senza escludere peraltro che dal
territorio svizzero potesse più facilmente mettersi in contatto col nipote,
trattenuto a Lugano. Scoperto sarebbe
fuggito non per motivi politico militari, come qualcuno aveva pensato
inizialmente, ma perché allergico a
qualsiasi reclusione che, nel suo caso,
non poteva mancare data la precedente diffida elvetica7.
Oggi le spoglie di Ettore Castiglioni riposano a Tregnago (provincia
di Verona), in val d’Illasi sui monti
Lessini, dove la famiglia possedeva una
casa di campagna. Del resto egli aveva
scritto sul suo diario poche settimane
prima di morire: ”La mia patria è tra i
monti, la mia casa a Tregnago, a cui sono
legato da tanti affetti e da tanti ricordi;
unico punto fermo della mia vita tanto
randagia e irrequieta, ove sono certo
di potermi sempre ritrovare anche nei
momenti di maggior smarrimento.”
7 - Bibliografia e ringraziamenti:
Ettore Castiglioni alla Croda dei Toni, a cura di Gianfranco Fava (Jeff), edizione straordinaria del notiziario della SEM La Traccia, stampato in proprio, agosto 2011;
Ettore Castiglioni, ricordo nel centenario della nascita
(1908-2008), a cura di Gianfranco Fava (Jeff), edizione straordinaria del notiziario della SEM La Traccia, stampato in proprio, aprile 2010;
Un Alpinista, tre confini, narrazione corale per Ettore
Castiglioni a 70 anni dalla morte, SEM col patrocinio del Comune di Milano, giugno 2014;
Ettore Castiglioni, il fuggiasco del Passo del Forno,
ricordo del grande alpinista e scrittore a 70 anni dalla
morte, SEM, con il contributo e patrocinio delle
Sezioni CAI di Tregnago e Valmalenco, Unione Valmalenco, Ecomuseo Valmalenco, Associazione
Amici di Chiareggio, estate 2014.
Si ringraziano in modo particolare Gianfranco Fava
(Jeff) e Lorenzo Dotti, per gli importanti documenti
e consigli forniti.
Ettore Castiglioni (1908-1944)
31
Racconti
Speciali
Il bidé
della contessa
racconti inediti di antonio boscacci
I
l racconto di questo numero è ambientato al bidé della contessa, quella
pozza d’acqua che si incontra percorrendo la val di Mello tra Ca di
Carna e Cascina Piana. Non è una pozza qualunque, ma la pozza per
eccellenza, di un’acqua color smeraldo e di tutte le sfumature dei blu e degli
azzurri, a seconda del colore del cielo e degli occhi che la guardano.
La pozza è resa ancora più attraente dalla presenza di un grosso masso di
granito, finito lì per caso, o per necessità, che da un tempo indeterminato
si lascia accarezzare con infinita pazienza dall’acqua del torrente, in quel
punto placidissima. Affiora infine, ed è raggiungibile solo quando la quantità
d’acqua del torrente diminuisce, un altro sasso piatto dove spesso le coppie che
si amano si fanno ritrarre.
Nessuno riesce a resistere alla bellezza del bidé della Contessa; una sosta e una
fotografia sono d’obbligo così come un tuffo, soprattutto nei giorni più caldi
dell’estate.
Introduzione
L
Val di Mello. Il bidé della
Contessa (18 luglio 2012,
foto Vittorio Vaninetti).
32
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
a protagonista del racconto
è Martha von Blixen, ovvero
Karen Blixen. Antonio ce la presenta
come Contessa di Offenstadt o come
Renate per gli amici e ce la descrive
con due grosse tette. Niente corrisponde al vero, tranne il cognome
Blixen e, forse, le tette.
Ma chi è Karen Blixen?
Si tratta di uno dei molti pseudonimi con cui Karen Christentze
Dinesen, baronessa von BlixenFinecke (Rungsted 1885 – Copenaghen 1962) firmava i propri romanzi.
“In Africa avevo una fattoria ai piedi
degli altipiani del Ngong. La posizione
geografica e l’altezza contribuivano a
creare un paesaggio unico al mondo.
Nulla che fosse grasso e lussureggiante:
era un’Africa distillata lungo tutti i
suoi milleottocento metri di altitudine,
quasi l’essenza forte e raffinata di un
continente. I colori asciutti e arsi parevano colori di terracotta.
… il respiro del panorama era
immenso.”
Così comincia La mia Africa, il
romanzo autobiografico più famoso
della scrittrice e pittrice danese,
pubblicato nel 1937.
Noi, forse, più che al romanzo,
LE MONTAGNE DIVERTENTI Luisa Angelici
ci siamo appassionati al film che da
quel libro è stato tratto e diretto da
Sydney Pollack nel 1985 e che vinse
ben 7 premi Oscar. Chi non ricorda
la bellissima interpretazione di Meryl
Streep (Karen Blixen), vestita sempre
in modo impeccabile, sia che fosse
ospite di un lussuoso hotel o a caccia
di leoni nel cuore della savana!
Abbiamo condiviso con lei prima
l’amore e poi il disgusto per un
marito infedele, il barone Bror
Blixen, con il quale la donna era
partita dall’Europa nei primi anni
del ‘900 per iniziare una nuova vita
in Kenya e dal quale divorziò dopo
qualche anno. Abbiamo ammirato i
panorami, i colori, gli odori di un’Africa selvaggia, piena di misteri e di
soprese, abbiamo conosciuto il suo
popolo in una povertà preziosa e
dignitosa, ma più di tutto abbiamo
trepidato per l’intensa storia d’amore
tra Karen e il cacciatore Denys
Finch Hatton, interpretato da Robert
Redford.
Una storia d’amore però finita
male: Denys infatti muore in un incidente aereo e Karen lascia l’Africa per
tornare in Europa e cominciare una
nuova vita, questa volta da scrittrice.
Donna intelligente e coraggiosa,
diventa una delle autrici più amate
del ‘900.
La Marta von Blixen del racconto di
Antonio non è né Martha, né Renate,
non è una contessa e nemmeno una
arrampicatrice, non è mai stata in val
di Mello, ma questo fa parte dell’arte
della narrazione e non deve stupirci.
Forse, a pensarci bene, alla fine
di questa mia introduzione, non
sono più tanto sicura che la protagonista de “Il Bidé della Contessa”
a cui Antonio si riferiva, sia davvero
Karen Blixen. Anzi, più ci penso più
mi rendo conto che la mia è solo una
supposizione.
Potessi chiedere ad Antonio una
conferma, immagino che mi risponderebbe con un sorriso ironico, il
solito che sfoggiava quando non
voleva dare risposte, quando preferiva
lasciare il dubbio. E anche questo
non mi stupisce.
Quello che invece non finisce
mai di sorprendermi è la vena creativa di Antonio che sapeva costruire
storie molto gustose e che, soprattutto, le sapeva raccontare così bene
da riuscire sempre a farci credere che
fossero vere.
Il bidé della contessa
33
Racconti
Speciali
L
a prima volta che sentii che
era una contessa fu al bar
della Monica a San Martino. Stavo
giocando a dama con il Roberto
Bianchini e lui, come al solito era in
vantaggio.
Le prime tre o quattro mosse mi
venivano quasi sempre abbastanza
bene. E così ogni volta speravo di
uscire indenne dalla trappola. Perché
lui era proprio lì che voleva farmi
cascare. In una trappola.
Stavo attento. Avevo imparato a
moderare la voglia di schizzare avanti.
Cercavo anche di non scoprirmi sulla
destra, che era il mio punto debole.
Ma non c’era niente da fare. Alla
decima, undicesima o, al più dodicesima mossa, finivo nel tranello. Cazzo,
come mi spiaceva questo fatto. E ogni
volta era la stessa cosa. Però adesso
arrivavo almeno quasi sempre fino alla
decima. Già un bel passo avanti.
Non è che il sacrificio di un pedone
34
LE MONTAGNE DIVERTENTI mi facesse perdere per forza la partita,
però dovevo sempre lavorare in perdita
e questo non è mai bello. Continuamente a rincorrerlo, sempre a cercare
la mossa sui fianchi. Lui era debole
sui fianchi, specie sul fianco sinistro,
da metà in giù. Comunque non c’era
storia. Io avevo vinto quattro volte e
lui ventisei, sulle trenta partite che
avevamo fatto quell’estate.
In ogni caso, fu proprio durante
una partita, che Roberto si mise a
parlare della contessa.
- Non la conosco, gli risposi, questa
è la prima volta che la sento nominare.
Lui mi guardò come si guarda il
vecchio zio tonto che perde le bave e
continua a ripeterti le stesse cose.
- Non conosci la contessa?
- Ti assicuro che io non so chi sia
questa contessa.
- Impossibile.
Questa era una delle cose che mi
facevano andare in bestia. Tu dicevi
che questo non lo sapevi, che quella
non la conoscevi, che lì non eri mai
stato e trovavi gente che ti diceva,
impossibile.
- Impossibile un cazzo. Se io non la
conosco, non la conosco. Punto.
- Martha von Blixen, contessa di
Offenstadt, la conosci anche tu.
In quel momento si alzò dal tavolo
e cercando di fare una voce in falsetto
disse, accompagnandosi con un
ampio movimento delle mani, ha due
tette così.
- Ma nooo? Renate? Risposi
trasecolato.
- Si, proprio lei.
- Non sapevo che fosse una contessa.
Men che meno potevo immaginarmi
che si chiamasse Martha. Ma perché
Renate allora.
- Questo non lo so. Chiediglielo?
Quasi quasi venivo giù come una
pera. Devo riconoscerlo, quando vedo
due tette, mi si rizzano le sopracciPrimavera 2015
glia. Questo in condizioni normali.
Per esempio una sera ero andato con
l’Ivan, lo Jacopo e il Maesescu1 al
Bully Frog, un locale di Morbegno
dove facevano un po’ di lap dance e
all’inizio … beh, all’inizio mi stavano
venendo fuori gli occhi dalle orbite.
Gli altri si vede che erano più allenati e non ci facevano troppo caso,
o almeno così mi pareva. Poi con il
passare del tempo ci ho fatto il callo,
però non del tutto. Mi restava sempre
un sopracciglio un po’ più in tiro
dell’altro.
Se questo scherzo mi succedeva in
pianura, dentro un locale dove facevano la lap dance e le tette in vista
erano la regola …
Avevo fatto da solo la punta Sertori
e attraversando sulla cresta ero arrivato sul pizzo Badile. Niente di difficile per carità, anzi.
In cima a questa montagna, che
è più che altro un ammasso di sassi
grossi e piccoli che sono lì da chissà
quanto, c’è sempre un sacco di gente
d’estate. La maggior parte sale dal
rifugio Gianetti, perché è il modo
più facile e gli altri vengono su dalla
Svizzera lungo lo spigolo nord. Ce ne
sono anche di quelli che arrivano in
vetta dopo aver salito la parete nordest percorrendo la via Cassin. Ma non
sono tantissimi, così come quelli che
scelgono altre vie.
Tutto questo per dire che quando
arrivai sulla cima del Badile c’era una
bella fiera. Corde e zaini dappertutto e
gente che vociava. Ce n’erano tre che
continuavano a dire “pòta che bello,
pòta che non finiva mai, pòta che se
c’era la Gianna …”
Ho scambiato due parole due con
un tipo di Ardenno che conoscevo,
ma l’ho lasciato subito perché ho
capito che mi voleva attaccare un
bottone che non finiva più. Così ho
preso il canale di discesa. Dovevo
stare attento ai sassi perché c’era un
sacco di gente che saliva. Non sapevo
nemmeno bene dove andare perché
c’erano cordate dappertutto. Scendevo un po’ a caso, spostandomi di
qua e di là. Sono arrivato al sentierino
che si fa di solito per spostarsi a destra.
Lì non c’era nessuno, però sentivo
1 - Ivan Guerini, Jacopo Merizzi e Paolo Masa, protagonisti dell'arrampicata in val di Mello negli anni
'70 e '80.
LE MONTAGNE DIVERTENTI dalle voci, che c’erano altre cordate in
arrivo. Per non intralciare il traffico,
mi sono seduto sull’erba all’uscita
del camino. Si sentiva chiaramente
che era una donna che stava venendo
su. Imprecava perché il passaggio era
un po’ stretto e si capiva che non
riusciva bene a muoversi. Intanto che
aspettavo, guardavo giù lungo la val
Porcellizzo che respirava in pieno sole,
mandando manciate di nebbie verso
la costiera del Cavalcorto. Mi sarebbe
piaciuto essere un camoscio ritto su
quelle rocce. Ecco cosa mi sarebbe
piaciuto più di tutto.
Pensavo a questo e mi trovai davanti
agli occhi due tette.
Sì, avete capito bene, erano proprio
due tette. E mica delle più piccole in
commercio.
Vieni, disse al suo compagno di
cordata e si girò verso valle per recuperarlo. Adesso la vedevo di schiena.
Aveva le scarpe d’arrampicata, delle
mutande arancioni e l’imbracatura.
Alla cintura gli pendevano un po’ di
moschettoni, un mazzo di nuts e tre
o quattro friends assortiti. Quando si
girò per chiedermi se mancava ancora
tanto, notai che tra le due tette, passavano alcuni cordini.
Quando vidi arrivare il suo
compagno di cordata … Beh, non
c’era storia. Era alto, bello, muscoloso: il contrario di me.
Non so come io sia riuscito a scenIl bidé della contessa
35
Racconti
Speciali
dere quell’ultimo
tratto della via. Ricordo solo che
avevo quelle due tette piantate negli
occhi al punto che mi incespicai e fui
lì lì per volare di sotto e sfracellarmi
sulle gande ai piedi della parete.
Quella fu la prima volta che incontrai Renate.
Per caso.
Un’altra volta invece non fu per
caso.
Avevo sentito che lei era in giro per
la val di Mello e che quella domenica
sarebbe andata ad arrampicare sullo
Stomaco Peloso.
Fu così che decisi di andarci anch’io.
Feci due conti e per tenermi largo
arrivai ai piedi dello Stomaco Peloso
verso le otto e mezzo.
Ovviamente non c’era.
Visto che avevo tempo, pensai alla
strategia.
Nascondermi in un cespuglio non
mi pareva il caso.
36
LE MONTAGNE DIVERTENTI Prendere il sole
sdraiato sulla
placca nemmeno.
Fingere un improvviso
bisogno di assistenza, non era
da scartare, ma mi sembrava un po’
debole.
E se lei mi si fosse avvicinata e mi
avesse chiesto se ero io che avevo fatto
per la prima volta Nuova Dimensione?
Le avrei risposto che ero proprio io in
carne e ossa, ma senza farlo pesare
troppo. Poi avrei aggiunto, però è un
po’ di tempo che non arrampico, che
è una frase che va sempre bene e fa un
certo effetto se si vuole stare modesti.
Quando arrivò erano ormai le 10.30
e, avendo perso ogni speranza, mi ero
addormentato con la testa appoggiata
allo zaino.
Lei quando camminava era vestita
normale, solo quando arrampicava
tirava fuori le tette. Non è che sia
facile per uno come me, allevato in
mezzo ai salesiani che ti facevano fare
la doccia con le mutande, mettermi
a parlare con due tette davanti agli
occhi e mantenere pure la calma.
Borbottai qualcosa e per non
dare l’impressione che ero lo
stupido del villaggio, presi ad
arrampicare.
Mi accorsi subito che arrampicavo strano. Fossi stato un
pavone, avrei fatto la ruota.
Andavo su senza girarmi, per
paura di incrociare il suo sguardo.
A salire mi muovevo bene, ma
scendere era la mia specialità.
Più era ripido, più mi trovavo
a mio agio. La mia concentrazione cresceva di pari passo
con le difficoltà.
Ma lì era diverso e me ne
resi subito conto.
Rischiai di volare giù dalla
placca.
Porca vacca, urlai.
Porca vacca, mi rispose lei.
Poi mi chiese come facessi a
scendere così sicuro.
Il ghiaccio era rotto.
Mezz’ora dopo le sue tette
non mi facevano più né meraviglia, né paura.
Erano due tette e basta.
Forse esagero un po’ nel dichiarare che diventai immune da quella
fascinazione.
Sì, decisamente esagero.
Perché due tette sono pur sempre
due tette, a prescindere.
In quelle tre ore che arrampicammo
insieme mi sono accorto che era una
in gamba, che sapeva quello che
voleva, e aveva un bel cervello elastico.
Di certo più elastico del mio.
Del tipo che c’era con lei non ho
parlato, perché non ha detto una
parola per tutto il tempo che siamo
stati lì. E non ha mai arrampicato.
Quando è arrivato, ha preso un
libro dallo zaino, si è messo all’ombra
di un cespuglio e ha tirato su la testa
solo all’una e mezzo per dire, Renate è
ora di andare.
Dieci minuti dopo erano già spariti.
Tolsi le scarpe d’arrampicata e mi
sedetti sul prato.
IL BIDÉ
Renate, cioè Martha von Blixen,
contessa di Offenstadt, la incontrai un
altro paio di volte. Una volte mentre
arrampicava sul Precipizio degli Asteroidi. Facemmo insieme qualche tiro
di Oceano Irrazionale. Io la guardavo
Primavera 2015
dall’alto mentre saliva. Ragazzi, che
intorcigliata. C’era di che precipitare
nel vuoto.
Un'altra volta la vidi di sfuggita mentre iniziavo il primo tiro di
Kundalini e lei era già oltre la fessura
del serpente.
Lo confesso che mi sarebbe piaciuto
arrampicare con lei. C’era stato un
periodo, dopo la faccenda dello
Stomaco Peloso, che mi ero un po’
intrippato di lei. Alla sera quando
andavo a letto, mi vedevo davanti
quelle due belle tette.
Non è facile superare un momento
così difficile. Con questa storia delle
tette magari vi sarete fatti una cattiva
idea di me. Non ero un sessodipendente, però in quel periodo mi ero un
po’ perso di testa.
Impiegai un paio di settimane a
guarire e, alla fine non ci pensai quasi
più.
Però.
Un giorno di giugno, era il 3 o il
4 del mese ed era giovedì, perché il
mercoledì faccio il grosso della spesa
dal Ciccio Fiorelli, sentii bussare alla
porta della mia baita a Ca di Carna.
Erano le nove di sera passate, ma c’era
ancora un sacco di luce.
- Avanti, dissi.
- Sono io.
- Io chi?
- Renate.
Lo stantuffo del cuore ebbe una
accelerata improvvisa e il sangue mi
arrivò fino ai sopraccigli.
Mi affacciai alla porta e vidi subito
che lei non stava bene.
- Posso entrare?
- Certo.
A questo punto potrei raccontarvi
quante volte disse merda, bastardo,
figlio di troia e altre amenità simili,
tutte rivolte a un certo Gustav che,
mano a mano che la storia si dipanava, compresi che era stato il suo
fidanzato per quattro lunghi anni.
Proprio quel giorno le aveva detto che
lui dell’arrampicata non gli importava
un bel niente e di lei meno che meno.
Quindi, sintetizzo per non
annoiarvi, che andasse a cagare.
Mi sono subito reso conto di essere
in una situazione strana, ma strana
per davvero. Avrei voluto dispiacermi
almeno un po’ per lei e dire, poverina.
D’altra parte non me ne importava
LE MONTAGNE DIVERTENTI un fico secco se il suo Gustav l’aveva
lasciata anzi, lo ammetto, ero felice.
Non potevo darlo a vedere davanti a
lei in modo sfacciato, ma a me che
cazzo mi importava se il suo beneamato Gustav l’aveva lasciata?
Così, dissi quelle cose di circostanza
che si dicono sempre in questi casi di
separazioni e lamenti, ma ero talmente
poco convincente che perfino al mio
orecchio quelle frasi risuonarono false
e un po’ stronze.
Le diedi un po’ di pane e salame,
poi del formaggio.
Era ormai mezzanotte.
- Posso restare a dormire da te?
- Certo.
E in quel certo c’era di tutto. Sentii
che il mio cervello si era ingolfato di
brutto e non sapevo più che cosa fare.
Quasi avevo anche difficoltà perfino a
parlare.
Sediamoci fuori dalla porta.
Lo dissi perché proprio non sapevo
da dove cominciare.
Un cielo così se lo sognano anche i
poeti.
Lei mi mise una mano sulla spalla.
Trattenni il fiato e, se avessi potuto,
non avrei più respirato per non
rompere l’incantesimo.
- Scheisse, disse dopo tre o quattro
minuti.
Allora capii che la scatola magica si
era rotta e non ci restava che tornare
dentro.
Immagino che i più curiosi tra voi,
vorrebbero a questo punto chiedermi
che cosa successe durante quelle
lunghe ore notturne.
Nulla.
Russò tutta la notte e questo fu il
suo modo di liberarsi del dispiacere
per l’abbandono del suo Gustav.
Al mattino si alzò, allegra e
chiacchierona.
- Vuol fare colazione, mia
principessa?
- Certo, mi andrebbe del caffè lungo
con un po’ di latte, due uova e della
pancetta.
Per le uova e la pancetta non c’erano
problemi, il caffè ce l’avevo.
Il latte lo rimediai dal Gilio
Scamoni, il contadino che mi aveva
affittato la baita.
Lui aveva due mucche e due vitelli e
a quell’ora del mattino, saranno state
le nove, aveva già munto sicuramente
da un bel pezzo la sua Nanda e la sua
Bionda.
Me l’aveva già chiesto appena alzata,
ma me lo ripeté durante la colazione,
se volevo accompagnarla da qualche
parte ad arrampicare.
Così, intorno alle undici, ci
avviammo verso La Piana.
Non c’era in giro nessuno.
Nemmeno un cane si dice in questi
casi.
Come tutti sanno, la strada costeggia
il torrente per un buon tratto fino a un
grosso masso dove l’acqua che scende
si espande e forma un laghetto verde
smeraldo. C’è anche un grande sasso
piatto che affiora o scompare secondo
la stagione e la quantità d’acqua che
il torrente trascina verso San Martino.
- Mi devo fermare un momento,
disse Renate, devo farmi il bidé. Tu
no?
- Già fatto, risposi mentendo
spudoratamente.
Si tolse tutto ciò che doveva togliersi
e fece ciò che doveva fare.
Mi passeresti la maglietta che c’è
nello zaino?
Si asciugò con quella e riprendemmo a camminare.
Fu una giornata splendida, della
quale però non posso (e non voglio)
raccontarvi altro.
Due mesi dopo, quando Renate,
la contessa Martha von Blixen, era
ormai tornata in Baviera a Offenstadt
da un paio di settimane, passai di lì
con lo Jacopo e il Pilly Masescu.
All’inizio non volevano credere alla
storia del bidé.
Poi si misero a ridanciare, come solo
loro sanno fare.
- Ci faccia vedere, buon uomo,
come si svolsero i fatti, dissero rivolgendosi a me.
Volevano a tutti i costi che io
mi facessi il bidé, per riprodurre al
meglio, anche visivamente, l’elegante
esperienza che mi era capitata.
Discutemmo una mezz’ora sul
tema e alla fine fummo d’accordo che
sarebbe stato opportuno apporre una
targa ricordo in quel luogo.
Qui il giorno (...) fece il bidé Martha
von Blixen Contessa di Offenstadt.
Che Dio l’abbia in gloria.
Il bidé della contessa
37
Speciali
Clima 2014
Matteo Gianatti
I
l 2014 è stato davvero l’anno più caldo di sempre?
A livello globale ci sono alcune contraddizioni fra i dati
strumentali e quelli rilevati via satellite, ma per quanto riguarda
l’Italia l’anno 2014 è risultato effettivamente il più caldo dal
1800. A confermarlo sono i dati dell’ISAC-CNR, secondo cui
l’anomalia complessiva sul territorio nazionale è stata di +1.45°C
rispetto al trentennio 1971-2000.
38
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
Fioritura
di Pseudofumaria lutea al lago Rotondo in val Gerola, dove a fine agosto si trovano ancora chiazze
di neve
Bilancio
2014
LE MONTAGNE DIVERTENTI
(24 agosto 2014, foto Roberto Ganassa).
39
Clima
Speciali
Il 2014 non solo è stato l'anno più caldo dal 1800 in Italia, ma, secondo alcuni gruppi di
lavoro indipendenti (Royal Netherlands Meteorological Institute, Università di Oxford
e Melbourne, e Australian National University) è stato molto probabilmente l’anno più
caldo degli ultimi cinque secoli in Europa, superando il precedente primato del 2007.
media annuale di circa +1,0°C dalla
norma e precipitazioni abbondanti, si
è rivelato altresì uno dei meno soleggiati della storia.
Malgrado le nevicate eccezionali
dell’inverno, la prima parte dell’anno
è risultata complessivamente molto
mite, seguita da un estate fresca e
uggiosa, mentre l’autunno ha di
nuovo portato un periodo particolarmente caldo con precipitazioni in
qualche caso da record.
Ad eccezione di maggio, tutti i mesi
del primo semestre hanno osservato
temperature superiori alla media. A
Sondrio è stato il sesto semestre più
caldo della statistica dal 1926 con
un’anomalia di +0,9°C. Valori termici
paragonabili sono stati registrati nel
1981, mentre nel primo semestre
del 2007, il più caldo di sempre, le
temperature sono state sensibilmente
più elevate, risultando di ben 2,2°C
superiori alla norma.
Soltanto la prima metà di giugno si
è dimostrata severamente estiva7, con
una fase canicolare durata circa una
settimana. A seguire, fino ad agosto
il tempo è risultato perlopiù piovoso
e relativamente fresco, consegnando
una delle estati fra le meno soleggiate
di sempre. Luglio è stato un mese
ricco di precipitazioni che hanno
stabilito nuovi primati di piovosità
in particolare sulle Prealpi (Varese
309,7 mm).
Sondrio - Anomalie termiche mensili nel 2014. Solo i mesi estivi sono stati relativamente freschi, per il resto hanno nettamente prevalso gli eccessi
termici, soprattutto a novembre.
CONSIDERAZIONI GENERALI
Il clima del 2014 in Italia e in
buona parte d’Europa è stato segnato
dall’anomala persistenza di flussi
caldo-umidi oceanici e mediterranei,
che hanno determinato frequente
nuvolosità, precipitazioni abbondanti, ma anche temperature eccezionalmente elevate. In Italia è stato
un anno decisamente piovoso, con
uno scarto complessivo dalla norma
pari al 16%, e picchi del 100% su
alcune aree del centro-nord, mentre
scarti negativi si sono registrati limitatamente ad alcune aree di Sicilia e
Sardegna.
La scorsa estate si è rivelata piovosa
e fresca al Nord come non succedeva
da decenni, con rare ondate canicolari (solo verso il 10 giugno le temperature hanno raggiunto i 34/37°C),
così come poche sono state le irruzioni fredde nordiche, le gelate e le
nevicate a bassa quota durante la
stagione fredda. L'inverno 2013-14
ha infatti mostrato frequentissime
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI perturbazioni e clima mite, piogge
straordinarie e nevicate bibliche sulle
Alpi, ma solo sopra i m 10001.
PIOVOSITÀ
Stante la ricorrenza degli apporti
d’aria umida in prevalenza da sudovest, nel 2014 grandi quantità di
pioggia sono cadute soprattutto
sull’arco ligure-apuano-tirrenico e
dalla Lombardia al Triveneto, dove
l’anno è risultato tra i più piovosi
nelle serie di misura.
La piovosità è stata straordinaria dalla Lombardia verso est:
2646 mm a Varese2, 1645 mm a
Milano-Lambrate3, 1065 mm a
Bolzano4, 2040 mm a Pordenone,
1 - Anche nel dicembre 2014 la neve è rimasta confinata alle quote medio-alte, salvo una fugace comparsa a fine mese sui fondovalle alpini (20 cm a
Sondrio).
2 - Anno più piovoso dal 1967.
3 - Quantità mai registrata dal 1778 all’osservatorio
di Brera, dove purtroppo le piogge non sono più
misurate.
4 - Secondo anno più piovoso dal 1921.
2293 mm a Belluno, per non parlare
dei 5400 mm di Musi5 in provincia di
Udine. Molta pioggia è però caduta
anche in varie zone del sud6.
Pure il numero di giorni piovosi
è stato eccezionale. Nell’insieme
ha piovuto circa un giorno su tre al
nord, e in alcuni casi sono stati avvicinati o superati i record precedenti:
ad esempio, 135 giorni con almeno
1 mm a Varese (a sole due lunghezze
dal primato di 137 giorni del 1972),
129 giorni di pioggia a Sondrio, 109
a Bolzano e 134 a Pordenone (nuovi
massimi rispettivamente dal 1926,
1921 e 1917).
Eccezionali accumuli nevosi sopra i tetti delle case di Lendine in Valchiavenna (9 febbraio 2014,
foto Roberto Ganassa).
Il caldo anomalo è quindi ritornato
in autunno accompagnato da importanti precipitazioni.
Le temperature sono rimaste elevate
anche per gran parte di dicembre (a
Sondrio il più caldo dal 1926), e l’innevamento non si è spinto al di sotto
dei m 1500.
A livello nazionale è stato registrato
uno scarto dalla media di +2,1°C per il
trimestre settembre-novembre, che ha
fatto dell’autunno 2014 il più caldo
dal 1800. Le anomalie termiche positive si sono ulteriormente intensificate
nel mese di novembre, il più caldo
degli ultimi due secoli sull’insieme del
BILANCIO NELLA REGIONE
SUDALPINA
Il 2014 è stato un anno costellato
di eventi meteorologici estremi. Con
una deviazione della temperatura
5 - Musi è la località più piovosa d’Italia, con una
media annua di 3300 mm.
6 - 863 mm a Palermo contro una media di
539 mm, quinto anno più bagnato dal 1797.
Primavera 2015
AUTUNNO 2014: IL PIÙ CALDO
DAL 1800 IN ITALIA, CON PIOGGE
ECCEZIONALI AL NORD
Mammatus in seno al temporale che ha scavalcato la Valtellina scaricandosi più a sud
(13 giugno 2014, foto Matteo Gianatti.
LE MONTAGNE DIVERTENTI 7 - L'estate meteorologica differisce da quella astronomica e ha inizio l'1 giugno.
Bilancio 2014
41
Clima
Speciali
Sondrio - Fra i dieci anni più piovosi dal 1926, il 2014 si è piazzato in prima posizione, superando di poco il recente primato del 2000.
paese8. Al nord sono state soprattutto
le miti temperature minime a contribuire all’eccezionalità dell'autunno
appena trascorso: questo a causa dei
continuati flussi umidi subtropicali
che hanno favorito frequenti notti
coperte. Infine, la quasi totale assenza
di irruzioni artiche ha determinato
circa 20 giorni di ritardo nell'arrivo
delle prime gelate significative in
pianura Padana.
Secondo i dati di Sondrio, con un
anomalia di +1,5°C l’autunno 2014 è
risultato il terzo più caldo dal 1926, e
preceduto di pochissimo soltanto dal
2006 negli ultimi 27 anni. A contribuire a tale risultato sono stati i mesi
di ottobre e novembre, con scarti
positivi rispettivamente di +1,7°C
e +3,0°C dalla media 1981-2010.
Diversamente, il mese di settembre è
stato appena più fresco del normale
con una deviazione di -0,3°C.
In autunno ha piovuto il 74% in
più della media sull’insieme del territorio nazionale. Al nord il mese di
novembre è stato il più ricco di precipitazioni dal 1926 e l'autunno il più
piovoso dal 1800. A sud delle Alpi e in
Engadina le precipitazioni sono risul8 - +3,3°C, con punte di oltre +4°C al nord-est:
deviazioni non lontane da quelle osservate nel feroce
agosto 2003.
42
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Mallero infuriato a Sondrio (13 agosto 2014, foto Luca Gianatti).
tate pari al 130-190% i valori medi del
periodo 1981-2010.
Le abbondanti piogge sono state
causate da un reiterato massiccio
trasporto di aria caldo-umida dai
settori meridionali proprio nel mese di
novembre, responsabile di numerose
alluvioni e dissesti al centro-nord.
In particolare a Sondrio e nelle zone
limitrofe si sono registrati quantitativi circa tre volte quelli soliti. Con
303 mm complessivi il capoluogo
ha archiviato il terzo novembre più
Sondrio - Fra i dieci anni più caldi dal 1926, il 2014 ha assunto la quinta posizione, con un'anomalia di +0,6°C. Si noti come nella classifica non vi sia
alcun caso anteriore al 1982. Ciò sta a indicare la forte tendenza al riscaldamento osservabile negli ultimi 30/35 anni.
Insolita fioritura autunnale di rododendri in val Belviso: i rododendri normalmente fioriscono col gran caldo di inizio estate (23 settembre 2014, foto
Roberto Ganassa).
piovoso dal 19269.
A causa delle temperature elevate,
ha nevicato abbondantemente solo dai
m 2000/2500 in su, dove a fine mese il
manto nevoso ha raggiunto uno spessore localmente superiore ai 2 metri.
Ad altitudini inferiori, invece, la
coltre nevosa è risultata molto misera
o del tutto assente, causando ritardi
nell’avvio della stagione sciistica.
9 -Preceduto dai 373 mm del 2000 e dagli inarrivabili 473 mm del 2002.
Primavera 2015
DICEMBRE 2014: CALDO CON
PIOGGE QUASI NELLA NORMA
Le anomalie pubblicate dal centro
di ricerca ISAC-CNR confermano
altresì un dicembre molto mite a
livello nazionale. Pur con l’ondata di
gelo degli ultimi giorni dell’anno, il
mese ha registrato una deviazione dalla
norma di +1,75°C, che ne ha fatto il
terzo più caldo dal 1800.
Dal punto di vista pluviometrico
LE MONTAGNE DIVERTENTI dicembre ha registrato un surplus del
15%, con precipitazioni generalmente
abbondanti al centro-nord e inferiori al
sud e in alcune zone delle Alpi.
CONSIDERAZIONI
L’impronta antropica sull’effetto
serra sembra la principale indiziata
del caldo record del 2014, mentre al
momento è difficile individuare una
causa connessa a frequenza e intensità
delle precipitazioni.
Sicuramente lo sfruttamento sempre
più intensivo del suolo, l'abbandono
dei coltivi sui versanti, l'incuria dei
boschi e la sconsiderata cementificazione hanno reso il territorio più
vulnerabile e suscettibile ai danni
causati dalle piogge estreme10.
10 - Fonti consultate:
ARPA Lombardia, 3B Meteo, La Stampa, MeteoNetwork, MeteoSvizzera e Nimbus.
Bilancio 2014
43
N
ovità in biblioteca
Speciali
Berbenno
Caspoggio
Chiuro
Chiuro
Montagna
Montagna
Grosio
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI Gioia Zenoni intervista Marco Muscogiuri
Illustrazioni Guido Scarabottolo
Affrontare una montagna di libri come questa può
sembrare, ad alcuni, un'impresa più ardua che scalare
un equivalente numero di vette in capo a una vita.
Per altri, invece, la lettura è un'attività da praticare
nel più completo isolamento, fino a perdere
il contatto con chi sta intorno.
Agli uni e agli altri, e ad altri ancora, si rivolge
il progetto di rinnovamento di alcune biblioteche
del Sistema bibliotecario della Valtellina.
Tirano
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Biblioteche della Valtellina
45
Speciali
L
eggere è un piacere accessibile a tutti e la biblioteca è il luogo in cui questa possibilità
si concretizza, offrendo libri, riviste, audiovisivi, strumenti di ricerca e, soprattutto,
un luogo accogliente in cui vivere e condividere la propria esperienza di lettura, in cui
incontrarsi, in cui conoscere e partecipare a iniziative della propria comunità.
Sprofondare nella lettura alla biblioteca di Caspoggio (21 ottobre 2014, foto Simone Ronzio).
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Biblioteche della Valtellina
47
Novità
Speciali
N
el 2007, su iniziativa della
Provincia di Sondrio, è nato il
Sistema bibliotecario della Valtellina,
che mette in rete le 20 biblioteche di
media valle.
Cosa significa in termini pratici?
Al già affermato catalogo unico1,
che permette agli utenti di prenotare
libri, musica e film e di farli recapitare nella biblioteca più comoda
per il ritiro, il Sistema ha affiancato
servizi sempre migliori, ad esempio
ampliando e diversificando l'offerta di
libri e materiali multimediali, potenziando le risorse digitali e creando
punti di accesso a Internet in tutte le
sedi.
A fronte di questo enorme potenziale, le statistiche hanno osservato
che solo 1 persona su 7 all'interno del
bacino d'utenza del sistema sfrutta i
servizi della biblioteche.
La lungimiranza di Gloria Busi
e Isabella Mangili del Servizio
Cultura della Provincia di Sondrio
ha messo in pista un progetto per
lo sviluppo delle biblioteche valtellinesi2. Partendo dall'analisi delle
problematiche di ogni singola realtà
e dalla redazione di linee guida per
il miglioramento della fruizione,
grazie ad un bando di cofinanziamento della Fondazione Cariplo, la
Provincia e i Comuni hanno realizzato un progetto di rinnovamento
che ha coinvolto una selezione di
8 biblioteche: Berbenno di Valtellina, Caspoggio, Chiuro, Grosio,
Montagna in Valtellina, Morbegno,
Talamona e Tirano.
Le attività sono quasi concluse:
i più attenti fra voi non si saranno
persi le prime inaugurazioni, avviate
già nel 2013, mentre entro l'estate
saranno portati a compimento i
lavori nell'ultima biblioteca, quella di
Morbegno.
Il rinnovamento ha interessato
diversi aspetti: l'architettura, l'arredamento, l'organizzazione concettuale e
spaziale delle collezioni, l'immagine
coordinata, la tecnologia, la comunicazione, i servizi offerti e la possibilità
di ospitare attività di diverso genere.
Non intendiamo soffermarci su
1 - http://biblioteche.provinciasondrio.gov.it
2 - Per saperne di più, cercate nelle vostre biblioteche il dossier pubblicato sul numero di aprile 2015
di “Biblioteche oggi”.
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI La biblioteca di Tirano, nella bella sede dei rustici di palazzo Pievani-Arcari, prima (2 maggio 2010,
foto Alterstudio partners) e dopo il rinnovo (22 ottobre 2014, foto Simone Ronzio).
Non siete finiti nel Paese delle Meraviglie come Alice, ma a Grosio! In basso il totem all'ingresso di
villa Visconti Venosta, sede della biblioteca (21 novembre 2014, foto Simone Ronzio).
Guido “Bau” Scarabottolo
Guido Scarabottolo, nato nel 1947 a Sesto San
Giovanni, vive e lavora a Milano. Laureato in
architettura al Politecnico di Milano, dal 1973
fa parte dello studio Arcoquattro, specializzato
in architettura e comunicazione visiva in ambito
editoriale e pubblicitario. Come grafico e illustratore ha lavorato per la RAI e per i più noti
editori italiani, tra cui Guanda. Sono celebri i
suoi progetti per l'infanzia (ricordiamo Topipittori). Tra le collaborazioni: L'Europeo, Abitare,
Internazionale e il domenicale de Il Sole 24 Ore.
Le sue opere hanno viaggiato per il mondo in
numerose mostre.
tutti questi ambiti, ma lasciarvi liberi
di scoprirli di persona: vi proponiamo,
quindi, solo una sintetica presentazione di quello che ci ha più colpito
e che sicuramente stupirà anche voi,
cioè la progettazione funzionale e
architettonica. A raccontarcela è il suo
ideatore, l'architetto Marco Muscogiuri di Alterstudio partners, studio
milanese che da anni concentra l'impegno civico e la non comune sensibilità dei suoi soci nella progettazione
partecipata di centri culturali, biblioteche, musei e spazi pubblici.
Cosa si nota di diverso nelle
biblioteche che avete rinnovato?
“Più calore, più ordine, più possibilità. Le aree dedicate ai quotidiani, alle
riviste e alle novità sono state trasformate in un accogliente salotto dove ci
si può sentire come a casa; sono state
collocate postazioni multimediali per
l'accesso a internet, per gestire da soli
il proprio prestito libri e per fruire
degli audiovisivi. Lo spazio di lavoro
dei bibliotecari è stato razionalizzato;
alcune aree sono molto flessibili e
possono essere velocemente modificate
per ospitare attività collettive. Dove
possibile è stata creata un'area silenziosa con tavoli cablati, per studiare
con il proprio PC. Nella sezione
bambini e ragazzi, che ci è particolarmente cara, ci siamo sbizzarriti con la
fantasia per rendere la lettura invitante
quanto un gioco, anche grazie alle illustrazioni di Scarabottolo.”
Primavera 2015
L'impatto visivo del vostro lavoro
è molto forte in tutte le biblioteche. Come l'avete ottenuto?
“Un completo ripensamento dei
materiali e dei colori di arredi e
finiture è stato il primo passo per
liberarsi di quell'aspetto da scuola
elementare o da ufficio comunale
che si riscontrava in molte sedi poste
all'interno di edifici costruiti per una
diversa destinazione d'uso.
Abbiamo attribuito molta importanza a un buon sistema di illuminazione, improntato al risparmio
energetico, ma non per questo
mortificante: la luce è fondamentale
per la lettura e per rendere vivo un
ambiente!
Inoltre, ognuno potrà sedersi su
LE MONTAGNE DIVERTENTI sedie e poltrone di design, belle,
comode e colorate, ma non per
questo troppo costose.
L'arredo e la segnaletica di ogni
biblioteca, infine, rispondono a
un criterio di coerenza interna, ma
anche rispetto alle altre sedi del
sistema, per costruire una specifica
identità visiva.”
Qual è il principio ispiratore
della vostra linea progettuale?
“La biblioteca è un luogo di
crescita culturale, di supporto alla
scuola e alla formazione permanente,
ma è oggi anche luogo di aggregazione sociale, per l'informazione
e l'uso creativo del proprio tempo
libero. Per questo è necessario che si
configuri come un luogo amichevole,
attrattivo e aperto a tutti, più simile a
un salotto, a una bella caffetteria o a
una bella libreria.
La flessibilità degli arredi che
abbiamo previsto, inoltre, permette
alla biblioteca di ospitare conferenze,
presentazioni, corsi, laboratori e
incontri di diverso tipo.
Siamo convinti, infatti, che oggi
le biblioteche pubbliche debbano
puntare su ciò che Facebook, Google
e Amazon non avranno mai: la fisicità di un bel posto dove andare,
dove trovare un contatto umano e
uno scambio di esperienze e competenze - con il bibliotecario, un
amico, l'esperto di qualsivoglia arte o
disciplina.”
Il progetto realizzato da Alterstudio Partners è molto articolato. Come è stato possibile dare
coerenza ai suoi diversi aspetti?
“Innanzitutto
attraverso
una
profonda conoscenza delle realtà in
cui abbiamo operato. Il progetto è
stato avviato in seguito ad un'analisi
sulla qualità degli spazi, delle sedi e
degli allestimenti di tutte le biblioteche del Sistema, che ho condotto
insieme ad Antonella Agnoli, esperta
di biblioteconomia, cioè la disciplina
che studia l'organizzazione delle
biblioteche.
In secondo luogo, attraverso la
partecipazione degli attori locali, dai
bibliotecari delle varie sedi, agli uffici
tecnici comunali, ai professionisti
locali che hanno curato la ristrutturazione edilizia di alcune delle sedi
(l'arch. Graziano Tognini a Grosio e
l'arch. Marco Ghilotti a Morbegno).
Fondamentale, infine, il lavoro di
squadra. La graphic designer Benedetta De Bartolomeis ha progettato
l'identità visiva e la grafica.
Guido Scarabottolo, figura poliedrica che sarebbe riduttivo definire
solamente illustratore, ha prestato il
suo segno inconfondibile per realizzare 25 illustrazioni a tema “libro”,
che decorano gli spazi interni, e il
totem che è diventato il simbolo del
Sistema bibliotecario: una sagoma
in lamiera di ferro di un uomo che
regge alto un libro aperto, come
a mostrarlo, o forse ad afferrarlo
mentre si libra in volo.”
Biblioteche della Valtellina
49
Alpinismo
Traversate
Dai Bagni di Màsino
a Villa di Chiavenna
Beno
Due giorni fuori dal mondo in luoghi fantastici e remoti, senza telefonini o diavolerie
tecnologiche che ci incatenano: solo i nostri sci e qualche provvista.
Così io e Gioia abbiamo deciso di trascorrere gli ultimi 2 giorni di marzo: ingaggiandoci
in una lunga traversata di vallate che perlopiù non conoscevamo, dalla val Màsino
alla val Bregaglia, per chiudere l'anello coi mezzi pubblici che comodamente ci hanno
riportato a Sondrio.
50
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
dell'Averta ai piedi del turrito pizzo dell'Oro settentrionale (30 marzo 2014, foto Beno).
Scendendo
in valle
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna
51
Alpinismo
Val Màsino-Valchiavenna
Pizzo
della Merdarola
(2734)
2762
Cima centrale del Calvo
(2967)
Pizzo dei Ratti
(2919)
Cima NO del Calvo
(2943)
Cima E del Calvo
Pizzo della Vedretta
(2873)
(2907)
Pizzo Ligoncio
(3033)
Sfinge
(2802)
Pizzo meridionale
dell'Oro
(2695)
Pizzo centrale
dell'Oro
(2703)
Rif. Omio
(2100)
Casere Ligoncio
(1766)
Le cime della val Ligoncio e il tracciato che dai Bagni di Màsino porta al passo dell'Oro visti dall'alta val Sione (15 maggio 2010, foto Beno).
C
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Bagni di Màsino (m 1172).
Itinerario automobilistico: da Morbegno
seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato
il ponte sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di
Ardenno (5 km a E di Morbegno) e seguire la SP
9 della val Màsino fino al suo termine: i Bagni del
Màsino (2 km oltre l'abitato di San Martino). Poco
prima dell'impianto termale vi è sulla sx uno spiazzo
sterrato in cui si può lasciare l'auto.
Itinerario sintetico:
1° giorno: Bagni di Màsino (m 1172) - rifugio
Omio (m 2100) - passo dell'Oro (m 2526) - valle
dell'Averta - rifugio Brasca (m 1304);
2° giorno: Bagni di Màsino (m 1172) Coeder - alpe Sivigia (m 1920) - Il Cantaccio (m 2799) bocchetta della Tegiola (m 2490) - Foppate (m 1387)
- Tabiadascio (m 1190) - San Barnaba (m 673) Villa di Chiavenna (m 647).
Tempo per l'intero giro: 2 giorni (6+8 ore).
Attrezzatura richiesta: attrezzatura da
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI scialpinismo, ramponi e piccozza (utili), kit
antivalanga. Provviste per 2 giorni, vestiti di
ricambio, pelli di scorta e rampanti. Si consigliano
sacco a pelo pesante, materassino ed eventualmente
una tenda leggera perchè il rifugio Brasca non offre
alcun locale invernale.
Difficoltà/dislivello
1400 m + 1600 m.
in salita: 4 su 6 /
Dettagli: OSA. Bellissima gita di scialpinismo
esplorativo attraverso ambienti selvaggi e isolati,
un po' ripido l'ultimo tratto per il Cantaccio (>45°),
altrimenti non si superano i 40°. Occorre ottimo
orientamento, capacità di valutazione dei pendii e
dei tracciati migliori, oltre che, naturalmente, neve
perfettamente assestata.
Mappe:
- Val Màsino - carta escursionistica, 1:30000;
- CNS n.268 e n.278, 1:50000;
- Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val
Bregaglia, 1:50000.
Primavera 2015
osa spinge a fare lunghe
traversate in luoghi remoti?
Sicuramente la ricerca di pace,
di un momento per noi stessi a
contatto ed in balia della natura. Se
si rinucia alla reperibilità, le traversate sono una fuga dal quotidiano,
momenti di svago autentico in cui
si è costretti a riflettere.
Purtroppo vedo la gente schiava
delle telecomunicazioni, incapace di godersi il presente con la
scusa e la condanna autoinflitta di
dover condividere ogni istante della
propria vita con chi non è presente.
Una gita come questa offre una via
d'uscita da quel mondo per riprendere un più sano senso della realtà,
del vivere lento.
GIORNO 1 - DOMENICA
30 MARZO 2014 - BAGNI DI
MÀSINO - RIFUGIO BRASCA
Dopo una parca colazione alle 5 di
mattina alla Brace, attorniati da baldi
giovanotti stremati dalle significative prestazioni alcoliche del sabato
sera e sognanti il letargo domenicale,
lasciamo la macchina al parcheggio
dei Bagni e alla luce dei frontalini
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sulla valanga ai piedi del Medaccio e il passaggio per uscire sui ripiani superiori della val Ligoncio
(30 marzo 2014, foto Beno).
partiamo già con gli sci ai piedi. La
neve è copiosa e bagnaticcia.
Stiamo sulla dx idrografica del
Màsino, senza attraversare lo stabilimento termale, e costeggiando
il torrente siamo alla radura dalla
quale si ammira la valle del Ligoncio,
sospesa sopra una barra di rocce
con appiccicate qua e là cascate di
ghiaccio, e tutta la corona di monti
che presto andremo a sfiorare.
Quanta neve!
Insistiamo nel fondovalle dapprima
a ONO, poi O, quindi SO lungo
quella traccia estiva che, se non la si
conosce bene, sarebbe impresa ardua
trovare.
Il valangone che s'abbatte dalle
pendici della cima centrale del Calvo
e del Medaccio ha già colmato la valle.
È stato levigato dalle ultime nevicate
e indurito dalla serenata notturna: il
Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna
53
Alpinismo
Val Màsino-Valchiavenna
Cima del Barbacan
(2738)
Punta Milano
(2610)
Passo dell'Oro
(2526)
Rifugio Omio
(2100)
Quanta neve sul tetto della Omio (30 marzo 2014, foto Beno).
Dopo una lunga traversata da S a N della val Ligoncio si arriva prima alla Omio, poi al passo dell'Oro (30 marzo 2014, foto Beno).
fondo è come quello di un biliardo
e comodamente inanelliamo una
rapida e fitta serie di inversioni
che ci portano a m 1580 ca., dove
pieghiamo a dx in un boschetto di
larici sorretto da un gradino roccioso.
Traversiamo (NO poi N) alcune
vallette e ci portiamo nel centro del
vasto anfiteatro della val Ligoncio. La
Omio, ben visibile davanti a noi, è la
nostra stella polare.
Chi fosse miope e non riuscisse a
scorgere il rifugio, potrebbe prendere
di mira il dente roccioso della punta
Milano, inconfondibile dente di
granito che affianca il passo dell'Oro.
Muniti di rampanti, graffiamo
la crosta indurita dal rigelo e, con
pendenza
costante,
superiamo
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI varie vallecole il cui solco offre una
porzione di vista sul gruppo del
Ligoncio.
Gioia ha gli sci nuovi, gli scarponi
nuovi, gli attacchi nuovi, i bastoncini nuovi e sta testando le nuove
pelli senza colla. Una follia direte voi.
Come si può partire per una gita del
genere con attrezzatura mai provata
prima?
In realtà ieri pomeriggio siamo stati
sul monte delle Scale dal lago delle
Scale, facendo 600 metri di bei pendii
che ci hanno rassicurato che fino a 2
ore di salita tutto funziona!
Anche io ho preso le pelli senza
colla e per ora va tutto bene, anche se
per sicurezza ho messo quelle vecchie
nello zaino.
Punta Milano e passo dell'Oro dall'alta valle dell'Averta (30 marzo 2014, foto Beno).
Gli sci di Gioia, i Polvere, sono
larghi. Visto che lei, preferendo il
giogo dello studio al divertimento, è
alla terza uscita questa stagione, rimediamo alla sua scarsa preparazione
facendo cambio di attrezzi: le do i
miei Maestro, facilissimi e leggerissimi in salita, e mi esercito un po' a
fare i traversi gelati coi suoi larghi.
Del resto quando si va in giro in
due l'unico successo è se ci si gode
entrambi la gita, per cui finché uno
ne ha d'avanzo deve aiutare in tutti
modi l'altro e alleggerirlo.
La mia spalla destra, ascoltato questo pensiero magnanimo,
mi manda a quel paese perchè il
peso dello zaino la sta oltremodo
provando.
Primavera 2015
Pensando in silenzio e guardandoci
in giro con gli occhi colmi di meraviglia, la gita scorre serena, baciata
dopo le 8 anche dai raggi del sole che
riscaldano l'aria tersa del mattino.
Troviamo il rifugio Omio
(m 2100, ore 3:30)1 con un vistoso
berretto di neve che ne rende l'aspetto
piuttosto grazioso.
Riprendiamo la traversata della val
Ligoncio e in un'oretta siamo ai piedi
della punta Milano. Qui ci sono due
possibilità per svalicare e finire in val
Codera: la sella a dx o quella a sx del
dente. Noi scegliamo la seconda, che,
stando alle mappe, ci risparmia ben
1 - Il rifugio Omio, di proprietà della SEM, ha
locale invernale situato nel sempre aperto e adiacente bivacco Silvio Saglio.
LE MONTAGNE DIVERTENTI 20 metri di dislivello sotto il sole che
azzanna i polpacci!
Siamo così al passo dell'Oro
(m 2526, ore 1:15) e davanti a noi,
oltre un ripido corridoio tra le rocce,
si apre la valle dell'Averta, laterale sx
della val Codera. Entrarci è un vero
salto nel vuoto perchè giù di qui non
mi sono mai spinto con le assi. In alto
c'è un ampio e tranquillo palco semicircolare, ma sotto, dove sulla cartina
si accavallano le isoipse, chissà dov'è
il passaggio. I sentieri estivi d'inverno
spesso non sono percorribili, quindi
non li prendiamo nemmeno in considerazione e decidiamo di inventarci
una via diversa da quella suggerita
dalle mappe.
Ci buttiamo giù, osservati dai
dirimpettai monte Gruf e monte
Conco e dal solco rettilineo della
valle Piana che li divide. Gioia torna
coi suoi sci larghi e si diverte a far
curvoni seguendo me che con un po'
di diffidenza affronto questi sconosciuti scenari.
Fino a m 2200 la neve è bellissima,
poi, nella zona più ampia della valle
diventa crosta. Siamo nel mezzo di
un gigantesco anfiteatro dominato
dai pizzi dell'Oro e del Barbacan che,
a m 1900, si risolve in un claustrofobico canyon circondato da balze di
roccia.
Si passerà?
La rischiamo e ci immergiamo nel
corridoio, una trappola in caso di
distacchi. Qui la neve torna polve-
Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna
55
Alpinismo
Val Màsino-Valchiavenna
Nel claustrofobico canyon della valle dell'Averta (30 marzo 2014, foto Beno).
rosa, alternando però tratti con grossi
blocchi di ghiaccio da evitare.
A m 1600 c'è pure una cascata
gonfia di acqua che disegna un bell'
arcobaleno mentre si getta dalla
scarpata orientale nel solco e scompare sotto la neve, ma il terrore che
dietro all'acqua prima o poi arrivi
una valanga, mi fa desistere dal
fotografarla.
Il canyon termina a m 1500. Proseguiamo nel letto del torrente tra
neve fradicia e sassi affioranti fino ad
incrociare la strada della val Codera
proprio di fronte allo sbocco della
valle Piana.
Qui mangiamo, per poi ripellare e
dirigerci al bivacco Pedroni, nostro
obbiettivo di giornata. Giovanni, che
ieri era stato al pizzo Porcellizzo, mi
ha girato le foto. “La scatola rossa
del bivacco emerge dalla neve - ho
concluso. Non avremo problemi a
trovarla.” Così abbiamo lasciato ingenuamente a casa i materassini e i
sacchi a pelo pesanti, necessari solo in
caso di bivacco all'aperto.
Sono le 13 e il caldo è davvero
insopportabile. Incontriamo anche
un alpinista solitario senza sci che
sta battendo ritirata da dove noi
vorremmo andare. Mai avrei scommesso di trovare qualcuno in alta val
Codera in questa stagione!
In fondo al pianone, mentre il
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sfinge, Ligoncio e val d'Arnasca da Coeder (30 marzo 2014, foto Beno).
Il rifugio Brasca, aperto nei soli mesi estivi - tel. 0343 62075 (30 marzo 2014, foto Beno).
Tutto a stendere: certo che siamo ben carichi! (30 marzo 2014, foto Beno)
Cima
della Teggiola
Bocch.
della Teggiola
Pizzi dei Vanni
Bocch.
dei Vanni
Il Cantaccio
(2799)
Pian
della
Scala
Prima dell'alba, uno sguardo verso la nostra meta in alta val Codera (31 marzo 2014, foto Beno).
Maestro chef cucina minestrone in Polvere (30 marzo 2014, foto Gioia Zenoni).
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI sentiero estivo passa su una dorsale
che divide due vallecole parallele,
la via più logica pare il canale di dx.
Alziamo la testa: sta venendo giù roba
da tutte le parti, per cui desistiamo
pure noi dal salire e ripieghiamo
all'alpe Coeder, dove si trova il rifugio
Brasca. È chiuso, ma la facciata O è
sgombra dalla neve. Così ci mettiamo
lì in mutande e ci gustiamo tutto il
sole del pomeriggio.
La scelta si rivela ottima, perchè
riusciamo a fare asciugare i vestiti
e anche gli scarponi, oltre che a
godere dell'acqua fresca che sgorga
dalla vicina fontana (su al Pedroni
avremmo dovuto sciogliere neve per
ogni nostra esigenza).
Ceniamo con minestrone liofilizzato ascoltando hit come Valanga
bagnata o Crollo di cascata trasmessi
a ripetizione da Radio Slavina, un'emittente della val d'Arnasca. Per
fortuna ci troviamo in una piana
tranquilla e circondata dal bosco che
ci fa sentire al riparo da ogni evento
naturale. Andiamo a dormire2 presto
perchè domani c'è la levataccia!
2 - Il rifugio Brasca fu inaugurato nel 1933, distruttio nel 1944 e ricostruito nel 1946. Appartiene alla
sez. di Milano del CAI ed è intitolato a Luigi Brasca
(1882-1929), coautore della celebre Guida delle Alpi
Retiche Occidentali del 1911. Il rifugio non offre
locale invernale e apre solo d'estate: per la notte si
deve bivaccare all'addiàccio o in tenda nei paraggi,
cercando magari uno spiazzo sgombro dalla neve.
Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna
57
Alpinismo
Val Màsino-Valchiavenna
Pizzo Badile
(3308)
GIORNO 2 - LUNEDÌ 31 MARZO
2014 - RIFUGIO BRASCA IL CANTACCIO - VILLA DI
CHIAVENNA
Sveglia alle 5, colazione con tè caldo
e quel che troviamo nel sacchetto
del cibo, dai savoiardi sbriciolati,
al salame di capra del Crapella, al
mango disidratato, al pane secco
intriso del succo di un arancio che si
è spappolato lungo il viaggio. Dopo
24 ore in montagna, vi assicuro,
tutto ciò che è commestibile diventa
appetibile!
Risaliamo tutto il lungo pianone
(N) già tracciato ieri con la strana
sensazione che in 12 ore e dopo una
notte non proprio comodissima gli
spazi si siano dilatati.
Passiamo accanto agli sbocchi
delle selvagge valle del Conco e valle
Canina (sx), mentre sulla dx sono i
contrafforti del pizzo Sceroia a farla
da padroni.
A m 1700 ecco il gradone che
interrompe la valle. Ci armiamo da
guerra con ramponi, corda e piccozza
e vediamo di superarlo per il canale
che sale all'estrema dx.
La neve non porta, così ad ogni
passo vado giù fino oltre il ginocchio.
La pendenza cresce fino ai 45°, ma la
paura non è tanto quella di cadere,
quanto quella di annegare.
Dopo 70 metri non ci son più altre
tracce di bipedi e dopo 150 metri di
sofferenza il solco spiana. Mettiam
via corda e piccozza che sono state
quanto mai inutili. Siamo completamente soli in ampi spazi vergini.
Unica compagnia sono alcuni
camosci che scorazzano alla ricerca
dei ciuffi d'erba selvatica sui versanti
svalangati.
Usciti dall'imbuto (m 1830 ca.),
traversiamo a sx (N) su neve crostosa
e non portante intercalata con fastidiose liste di ghiaccio. Attraversato un primo vallone lisciato dalle
valanghe3, passiamo nei pressi della
sommersa alpe Sivigia (m 1920).
Segue una seconda comba i cui
fianchi sono piuttosto scoscesi e che
si biforca poco sopra (ENE), in corrispondenza di una barra rocciosa.
Sempre a piedi ci issiamo su per il
3 - Valle dei Valloni su CNS.
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Cantaccio
(2799)
Il tracciato per il Cantaccio visto dal più alto dei pizzi dei Vanni (13 marzo 2014, foto Ganassa).
Salendo il canale per l'alpe Sivigia (31 marzo 2014, foto Beno).
Bocch. della Teggiola
(2490)
Bivacco Pedroni
(2592)
L'alta val Codera dal Pizzo Porcellizzo (29 marzo 2014, foto Giovanni Rovedatti).
Insolita prospettiva sulla scura parete NO del pizzo Badile (13 marzo 2014, foto Roberto Ganassa).
Pizzo or. dei Vanni
(2774)
Bocch. della Teggiola
(2490)
Nel vallone ai piedi di Cantaccio. In secondo piano, a sx della bocchetta della Teggiola, le cime del
Vallon (13 marzo 2014, foto Roberto Ganassa).
Primavera 2015
Il Cantaccio
(2799)
Pizzo Badile
(3305)
Sguardo sul vallone dei Vanni dalla bocchetta della Teggiola (31 marzo 2014, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI vallone che s'abbassa dalla bocchetta
della Teggiola, dove provvidenziali
recenti valanghe hanno compattato
il fondo e ci permettono di galleggiare fino a m 2100. A questa quota
ci dà il benvenuto il sole e ci punisce
rompendo i legami tra le molecole di
acqua.
Rimettiamo gli sci per non annegare e raggiungiamo la conca ai piedi
della bocchetta e del circo racchiuso
tra i pizzi dei Vanni ed Il Cantaccio.
Gioia è stanca, così la lascio arrostire al sole su una chiazza d'erba
con tanto di sassi a mo' di sdraio.
Io mi addentro (NO) toccando tre
ripiani glaciali, poi punto a dx (S) e
guadagno la spalla SO del Cantaccio.
I pendii sono piuttosto sostenuti e la
neve è gelata.
Per cresta, con gli sci nello zaino e
facendo attenzione a cornici e precipizi, tocco la vetta, segnalata con
uno striminzito bastone di legno (Il
Cantaccio, m 2799, ore 4:30).
A ripensarci bene non è andato
tutto poi così liscio: una spaccata
(II+) su terreno molto esposto a
3 metri dalla sommità merita una
nota di terrore.
Il panorama è stupendo, specialmente sullo scuro versante occidentale del Badile e sull'alta val Codera,
dove studio tutte le possibili vie di
discesa per future avventure. Pure la
bocchetta della Trubinasca pare sciabile su entrambi i versanti, quando
d'estate lì sono roccette e catene a
farla da padrone.
Dritto a SE s'ergono invece il pizzo
Porcellizzo e la punta Torelli, ai cui
piedi si trova il ghiacciaio di Sivigia
Nord-Est, il più vasto del MàsinoCodera. A fine anni '80 misurava
ben 45 ettari, che in un ventennio si
sono ridotti a 25,5 ettari (2007). Nel
2005 la vedretta si è per di più divisa
in due apparati, superiore e inferiore, separati da una barra rocciosa
trasversale4.
Un elicottero continua a girare sulle
creste che dividono la val Codera
dalla val Bregaglia italiana. È lo stesso
che abbiamo notato pure ieri mentre
eravamo a Coeder. Qui gli son più
vicino e distinguo chiaramente che
non si tratta dell'elisoccorso, bensì
4 - Fonte: AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, Editore Hoepli, Milano 2012
Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna
59
Alpinismo
Val Màsino-Valchiavenna
In discesa dalla bocchetta della Teggiola. Si noti la finestra di roccia (31 marzo 2014, foto Beno).
Tabi
adas
cio
Foppate
Alta val Casnaggina, prima di entrare nel solco del torrente (31 marzo 2014, foto Beno).
Cima della Teggiola
(2574) Bocch. della Teggiola
(2490)
Una discesa mozzafiato da quasi m 2500 fino a m 1650, dove i radi larici ci indicano che è meglio
iniziare a spostarsi verso O per raggiungere Foppate (31 marzo 2014, foto Beno).
60
LE MONTAGNE DIVERTENTI dell'eliski che ha infestato anche la val
Bregaglia italiana.
Tornato a valle della breccia che
mi ha fatto tribolare, inforco subito
le assi e mi butto giù per il pendio,
raggiungendo Gioia in pochi minuti.
Il caldo ora ci attanaglia. Sono piuttosto sfiduciato: ho paura di trovare
neve pessima nella discesa verso Villa
di Chiavenna.
Ripelliamo e 100 metri di sudore
intenso ci consegnano la bocchetta
della Teggiola (m 2490, ore 0:45),
stretta breccia rocciosa tra le cime
del Vallon e la cima della Teggiola.
Sul versante di Villa è caratterizzata
da una bizzarra finestra di roccia ben
visibile già pochi metri sotto il valico.
Varcato lo spartiacque sembra di
aver aperto la porta del freezer, tant'è
che non perdiamo tempo nel rivestirci.
La neve sul versante N è farinosa,
un piacevolissimo imprevisto. Giù
a tutta per i pendii. Un primo tratto
ripido chiuso tra le rocce anticipa il
larghissimo anfiteatro superiore della
val Casnaggina. Poi, come accaduto
in valle dell'Averta, finiamo dentro un
canale, questa volta meno incassato
(sembra quasi una pista di half-pipe)
e colmo di neve polverosa. Qui corre
anche il confine di stato italo-svizzero.
A m 1650 iniziamo a virare a NO
e ci immergiamo in un fitto bosco
dentro cui non è affatto semplice
orientarsi se non si trova già una traccia
sulla neve. Dopo qualche incengiata,
raggiungiamo gli alpeggi di Foppate
e di Tabiadascio (m 1190), che già
avevamo riconosciuto dalla bocchetta
della Teggiola.
Dai tetti cola acqua di scioglimento:
ne approfittiamo per bere. Ventiliamo
l'ipotesi di stare in giro ancora un
giorno, fermandoci qui a dormire sul
terrazzo di qualche baita - ma devo dare
da mangiare alle capre e non posso!
La neve diminuisce di spessore, ma
ci permette di sciare lungo la carrozzabile fino a circa m 1000.
Quando non ci sono più speranze,
leviamo sci e scarponi, calziamo le
scarpe da ginnastica e, intercettato il
vecchio sentiero segnalato, caliamo
lungo la stupenda via selciata che
alterna scalinate e alpeggi. Di tanto in
tanto ci voltiamo ad ammirare la val
Casnaggina appena scesa, poi dopo
Primavera 2015
una botta di troppo il mio zaino si
apre in due. Che sfiga!
Ma a tutto c'è rimedio: prendo
quello di Gioia e ci carico entrambe le
paia di sci e di scarponi. Quanto pesa,
ma meglio che scendere con la roba in
mano!
Approdiamo alla diga di Villa di
Chiavenna (m 647, ore 1:30 - 3:30
a seconda dell'innevamento), quindi
sulla strada del Maloja, che seguiamo
in direzione di Chiavenna.
La prima fermata dell'autobus che
incontriamo riporta solo gli sconfortanti orari della linea italiana: una
corsa ogni morte di Papa (solo nel
caso di lunghi pontificati), per cui ci
avviamo a piedi verso Chiavenna.
Ma nel centro di Villa ecco una
seconda fermata, coperta oltre che dai
bus nostrani, anche dal Postale svizzero. Facciamo appena a tempo a fare
il biglietto5 e ne passa già uno!
Velocemente siamo a Chiavenna,
dove subito parte la coincidenza per
Sondrio, che raggiungiamo alle 20:30.
Spesa totale 7 euro e spiccioli a testa.
Lodevole la velocità delle coincidenze, ma appunto per questo, noi
che stavamo morendo di sete, non
abbiamo neppure trovato il tempo di
bere fino a Sondrio!
“Sondrio, stazione di Sondrio”,
annuncia l'autoparlante della stazione,
mentre mi aggiro invano alla ricerca
di una cabina del telefono. Niente da
fare, le hanno eliminate tutte: evidentemente nel capoluogo è stato decretato che tutti devono possedere il
cellulare. Allora Gioia va dalla sua
amica Laura - che abita lì vicino - e si
atteggia da reduce della Campagna di
Russia, così che Lele - marito di Laura
- mosso a comp assione si offre di
scarrozzarci a Montagna.
Lì rubiamo la macchina a mio papà
e torniamo ai Bagni per raccattare il
mio Panda.
Giornata lunga, ma a mezzanotte
siamo già sotto le coperte sognando
di non aver trovato la via d'uscita da
quei luoghi incantati e perciò di esser
condannati a sciare in neve polverosa
per un altro giorno ancora!
5 - Quando si prende il Postale in Italia vengono
applicate le più popolari tariffe dei trasposrti pubblici del nostro Paese.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Baita a m 1600 in val Casnaggina sotterrata dalla neve (31 marzo 2014, foto Beno).
Tabiadascio (31 marzo 2014, foto Beno).
Bocch. della Teggiola
(2490)
Da Tabiadascio uno sguardo verso la costiera che dal monte Gruf raggiunge i pizzi del Vanni e
determina l'orografica dx della val Codera (31 marzo 2014, foto Beno).
Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna
61
Alpinismo
Alpi Orobie
Pizzo del
Diavolo di Malgina
La salita lungo il canalone della Malgina fin sulla vetta del Diavolo di Malgina non è
sicuramente un percorso per chi ama salite comode e discese su ampi pendii perfettamente
innevati. È invece un itinerario per avventurieri in cerca di emozioni forti, in ambiente
selvaggio, dove è raro incontrare anima viva. È una di quelle classiche che non dovrebbe
mancare nel palmares degli appassionati scialpinisti.
Il lungo e incassato canale che solca la parte alta della vallata raccoglie tutte le slavine
che scivolano dai ripidi costoni che lo delimitano. Per questo motivo la gita è consigliabile
solo in tarda primavera o ad inizio estate, quando ormai il pericolo valanghe è assai basso.
Luciano Bruseghini
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il pizzo del Diavolo di Malgina
(6 febbraio 2014, foto Fabio Pusterla).
Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926)
63
Alpinismo
Alpi Orobie
BELLEZZA
Cime di Cagamei
Pizzo del Diavolo di
(2912-2913)
Malgina
Cima di Valmorta
(2926)
(2865)
Passo di Malgina
(2693)
FATICA
Pizzo di Coca
(3050)
Cima di Cantonlongo
(2826)
Dente di Coca
(2925)
Passo di Coca
(2649)
PERICOLOSITÀ
Ca
na
lo
ne
de
lla
M
alg
in
a
Partenza: Paiosa (m 687) - frazione di
Castello dell'Acqua.
Itinerario
automobilistico:
dalla
rotonda alla fine della tangenziale di
Sondrio (E), proseguire in direzione Tirano.
Dopo 11 km, in località San Giacomo di
Teglio, prendere a dx e attraversare il fiume
Adda, proseguire per 100 metri e svoltare
a dx (indicazioni per Castello dell’Acqua).
Insistere sulla strada principale che
dopo 1,5 km dal ponte di San Giacomo
incomincia a salire. Superate alcune
contrade, nel punto in cui la carrozzabile
si congiunge con quella proveniente da
Chiuro (cimitero), svoltare a sx seguendo
le indicazioni per “Val Malgina”.
Percorrere la stradina fino a Paiosa, dove
si trova un’edicola del parco delle Orobie
e parcheggio (6,2 km dal ponte di San
Giacomo,17,2 km da Sondrio).
Itinerario sintetico: Paiosa (m 687) -
baite Carro (m 826) - baite Campo (m 974)
baite Colombini (m 1016) - baita/bivacco
La Valle (m 1176) - baita Paltani (1215)
piano della Valle - briglia sul torrente
Malgina (m 1350 circa) - canalone della
Malgina - pianoro sotto il passo dell'Omo
di Malgina (m 2550 ca.) - passo della
Malgina (m 2693) - pizzo del Diavolo di
Malgina (m 2926).
Tempo previsto: 6/7 ore per la vetta.
Attrezzatura richiesta: attrezzatura
da scialpinismo con rampanti, piccozza,
ramponi e kit antivalanghe.
Difficoltà/dislivello: 4- su 6 / circa
2300 m.
Dettagli: BSA+. Itinerario molto lungo
con pendii fino a 40° e da affrontarsi solo
con neve del tutto assestata per il pericolo
di scariche dagli scoscesi declivi che
circondano il canalone.
Mappe: Kompass n.104 - Foppolo - Valle
Seriana, 1:50000
Bibliografia consigliata: Vittorio Toppi, La
val Malgina, in Guido Combi ( a cura di),
Alpi Orobie Valtellinesi. Montagne da
conoscere, Fondazione Luigi Bombardieri,
Sondrio 2011
http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/
64
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
VA
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Piano della Valle
M
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Paierone
Baite Colombini
Piazzola
(1122)
La val Malgina ripresa di notte dal monte Brione (15 gennaio 2014, foto Beno).
I
l pizzo del Diavolo di Malgina1
(m 2926), sesta vetta delle
Orobie in ordine d'altezza, è l'elegante vetta conica formata da argille
e arenarie 2 compatte e ben stratificate, che s'erge in fondo all'omonima vallata, una delle meno
frequentate del versante bacio valtellinese. È ben visibile anche dalla
SS38 all'altezza di Chiuro, ma da lì
è ancora molto lontano da raggiungere in quanto si trova sul confine
tra le province di Sondrio e di
Bergamo.
La massima depressione della
cresta E della montagna è detta
passo del'Omo di Malgina per il
grosso obelisco di roccia che la
caratterizza. A NO del valico scende
per oltre 1300 metri di dislivello un
selvaggio canalone che le valanghe
colman di neve, rendendolo - per
usare le parole di Douglas William
Freshfield - “propizio alle scivolate”.
1 - La prima ascensione fu effettuata nel lontano
1876 dalla guida alpina Antonio Baroni con il bergamasco Emilio Torri.
2 - Sono rocce di chiara origine marina.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Attacchiamo il pizzo del Diavolo
di Malgina il 13 giugno 2013,
per festeggiare l’imminente arrivo
dell’estate!
Lasciamo l'auto a Paiosa (m 687).
I lazzaroni su 4x4 possono proseguire per l’angusto sterrato (è necessario il permesso) che si inoltra in
val Malgina per diversi chilometri
fino alle baite Colombini (m 1016),
risparmiando così tempo e fatica. I
puri di cuore come noi invece se la
fanno tutta a piedi!
Partiamo alle 5:30; albeggia.
Con gli sci sullo zaino e gli scarponi già incernierati negli attacchi,
ci avviamo lungo la carrareccia che
si sviluppa sulla sx idrografica della
vallata. Ci aspetta una interminabile
marcia in un labirinto verde di latifoglie che rendono ancora più scuro
il cammino. Iniziamo piacevolmente
in discesa, poi pianeggiamo speditamente fino ad affrontare la salita.
Da piccole radure vediamo il sole
dorare coi suoi primi raggi il pizzo
del Diavolo e le cime di Valmorta e
dei Cagamei che sorgono alla sua dx.
Finalmente arriviamo nei pressi di
un minuscolo alpeggio, baite Carro3
(m 840, ore 0:40), da cui scorgiamo
molto bene la parte alta del canalone
e la cima. Poco oltre la via si discosta
un po' dal torrente e tocca le baite
Campo4 (m 974, ore 0:35), nei
cui paraggi il pastore Ercole Bernoi,
detto "il Pensa", aveva trovato anni
fa una cucciola di capriolo in fin di
vita. Raccolta, l'aveva curata e allevata nella sua proprietà di Castello
dell'Acqua come fosse un animale
domestico. Nel dicembre 2007 la
polizia locale, venuta a conoscenza
della strana convivenza, aveva sequestrato l'ungulato a Ercole, per poi
vedersi costretta a restituirglielo pochi
mesi dopo in quanto Luigi (questo il
nome datogli da Ercole) versava in
cattive condizioni di salute al centro
per la selvaggina di Ponte in cui era
stato rinchiuso e solo riportarlo
3 - Il toponimo locale è al Car. Sulla facciata di una
baita, proprio a ridosso della strada, si trova un
grande affresco della Sacra Famiglia con Cristo pantocratore e due apostoli.
4 - Il toponimo locale è Camp.
Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926)
65
Alpinismo
nell'ambiente in cui era cresciuto
l'avrebbe potuto salvare. Rientrato a
casa, il capriolo era stato accolto da
Ercole con un piatto di pasta che,
difficile a credersi, era il suo alimento
preferito!
Avanziamo sullo sterrato fino al suo
termine dove un breve slargo è più
che sufficiente per ospitare le poche
vetture dei temerari scialpinisti che
ambiscono alla nostra stessa meta. Un
ripido sentiero sale tra frondosi abeti,
per addolcirsi prima di inoltrarsi
verso la testata della valle. Poco dopo
il bivacco-baita La Valle5 (m 1176)
dobbiamo attraversare il torrente per
portarci sulla dx idrografica, ma il
ponte in legno è parzialmente crollato6. Non fidandoci dell’unica trave
rimasta, decidiamo di guadare direttamente il corso d’acqua saltando sui
massi sparsi nel greto. Sfiorata la baita
Paltani (m 1215), raggiungiamo la
grande radura del piano della Valle
(m 1300 ca., ore 1:15) dove, in
corrispondenza delle opere di presa
che prosciugano il torrente, ha inizio
il canalone della Malgina. Da qui
partiamo all’avventura su per l’angusto canyon che, fino a m 2000 ca.,
non presenta altri punti d'accesso.
In basso troviamo solo una pietraia,
niente neve, per cui brancoliamo
a piedi, scavalcando grossi massi e
facendo attenzione a non finire a
mollo nell’acqua scaricata dal disgelo.
Finalmente, a circa m 1600, appare la
neve, anche se grigiastra e cosparsa di
rottami che le valanghe hanno trascinato a valle. Stufi di portarci in spalla
l’oneroso carico, decidiamo di calzare
gli scarponi e di inforcare gli sci. Con
diverse inversioni, sia per vincere il
ripido pendio che per evitare i numerosi ostacoli, guadagniamo quota in
un ambiente surreale. Siamo circondati da incombenti pareti rocciose,
sormontate da una florida vegetazione, da cui di tanto in tanto
rimbalzano delle piccole cascatelle
d’acqua che vanno poi a scomparire
sotto lo spesso manto nevoso che
ricopre tutto il vallone. Tratti ripidi
si alternato ad altri con pendenze
più accettabili fino a raggiungere una
strozzatura (attorno ai m 1900/1950)
5 - Di proprietà del Comune di Castello dell'Acqua,
sempre aperta, può essere utile posto di ricovero.
6 - Il ponte è stato ripreistinato nell'estate 2014.
66
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie
Pizzo del Diavolo di
Malgina
(2926)
L'ultimo tratto della salita al pizzo del Diavolo di Malgina visto dalla cima di Bondone (5 marzo
2014, foto Giacomo Meneghello).
La ripida cresta per la vetta del pizzo del Diavolo di Malgina (13 giugno 2013, foto Luciano
Bruseghini).
I pendii sommitali sopra il passo della Malgina (13 giugno 2013, foto Luciano Bruseghini).
Quasi in vetta (13 giungo 2013, foto Luciano Bruseghini).
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI dove la forte pendenza (35°) mette a
dura prova la tenuta delle nostre pelli
di foca.
Oltre, il canalone si amplia e l’inclinazione si attenua considerevolmente.
Da qui in avanti pure la coltre bianca
si purifica ed è ben sciabile. Alzando
lo sguardo vediamo il passo dell’Omo
della Malgina, che conclude il vallone
con il suo gendarme di roccia e divide
la valle della Malgina abduana da
quella seriana.
Riprendiamo la nostra marcia
con diagonali molto più ampie
fino a toccare un dolce pianoro
(m 2550 circa) illuminato dal sole,
appena un centinaio di metri sotto
il passo dell'Omo della Malgina.
Pieghiamo a dx (O), usciamo dal
canale su ripidi pendii. La neve non
è più dura e compatta, ma molle e
pesante e fatichiamo parecchio nel
tracciare la via verso la cresta E della
montagna. Anche il caldo comincia
a farsi sentire e grondiamo sudore a
ogni passo, mentre risaliamo l’ampio
declivio nevoso e puntiamo all’evidente selletta posta tra due grossi
blocchi rocciosi e che prende il nome
di passo della Malgina (m 2673).
Più elevato del passo dell'Omo della
Malgina, è altresì di più agevole
traversata. È di qui che la gente di
Castello transitava un tempo, sia per
motivi commerciali, che per recarsi
in pellegrinaggio al santuario della
Madonna di Ardesio con una trasferta
di circa una settimana.
Proseguiamo, sempre con gli sci ai
piedi, sul versante bergamasco, meno
erto di quello valtellinese. Purtroppo
questo lato della montagna è riscaldato dal sole da parecchie ore, per cui
la neve diventa ben presto inconsistente e le pelli di foca non riescono
più a fare presa. Allora decidiamo di
mettere le assi sullo zaino e di vincere
l’ultimo arduo tratto a piedi. Siamo
allo stremo delle forze per la fatica, ma
soprattutto per il gran caldo. Fortunatamente, ogni volta che alziamo la
testa, la croce di vetta si fa sempre più
vicina e ci stimola a proseguire.
Alle undici, dopo 2300 metri
di dislivello, siamo sulla vetta del
Diavolo della Malgina (m 2926,
ore 4:15) e possiamo suonare la
piccola e allegra campanella appesa
alla croce sommitale!
Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926)
67
Alpinismo
Alpi Orobie
Panorama dalla vetta del pizzo del Diavolo di Malgina (12 aprile 2014, foto G. Meneghello).
Sui ripidi pendii sotto la vetta. Sullo sfondo il pizzo Recastello (12 aprile 2014, foto Meneghello).
Stanchi, spossati, ma soprattutto
felici e soddisfatti per aver raggiunto
un traguardo così prestigioso.
Riposati e rifocillati, diamo uno
sguardo all’ambiente che ci circonda:
subito ci colpisce il contrasto tra il
verde della rigogliosa vegetazione
che ricopre tutta la Valtellina e il
poco bianco ancora aggrappato alle
vette più alte. Verso N si rileva quasi
completamente il nostro itinerario:
dall’alto sembra ancora più lungo!
Recuperate un po’ le forze, iniziamo
la discesa prima che il caldo renda la
neve troppo flaccida. Partiamo con
gli sci ai piedi direttamente dalla vetta
lungo il ripido versante E: la pendenza
è sostenuta (40°), ma la neve è splen-
dida e permette di compiere divertenti evoluzioni in tutta sicurezza.
Raggiunto il canale, notiamo che il
fondo è ancora duro e che nemmeno i
caldi raggi del sole estivo sono riusciti
a scalfire più di tanto il compatto
manto nevoso. La parte alta del
vallone ci regala una fantastica volata
su neve pulita: solo un po’ di attenzione a vecchie slavine che occupano
parzialmente il percorso. Arrivati
alla strozzatura, intorno ai m 1950,
la situazione cambia: la neve è tutta
a blocchi, sebbene ancora sciabile;
ci sono parecchi ostacoli, bisogna
armarsi di pazienza e zigzagare tra
sassi e pezzi legno.
Purtroppo a m 1600 non c'è più
neve e ci tocca fare canyoning fino
alla briglia: rispetto a questa mattina
la portata del torrente è notevolmente
aumentata e dobbiamo impegnarci
assai in alcuni passaggi per evitare un
tuffo nelle gelide acque del Malgina.
Approdati al pian della Valle, proseguiamo il rientro lungo il sentiero
calcato in mattinata. Al ponte di
legno semicrollato, troviamo un’amara sorpresa: il corso d’acqua è
talmente gonfio che è impossibile
attraversarlo saltando da un masso
all’altro. Siamo quindi obbligati a
fidarci di ciò che resta della vecchia
passerella: un’unica trave in precario
equilibrio sulle onde tumultuose.
Facendoci coraggio a vicenda e scherzando sul fatto che mal che vada ci
aspetta un tuffo refrigerante, uno alla
volta traghettiamo: miracolosamente
tutto va liscio e chiudiamo la nostra
avventura a Paiosa7.
Nella parte alta del canalone della Malgina. Sullo sfondo si vede il passo dell'Omo di Malgina (13 giugno, foto Luciano Bruseghini).
7 - Si ringrazia Vittorio Toppo per le puntualizzazioni sulla toponomastica.
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
Il canalone della Malgina (13 giugno, foto Luciano Bruseghini).
Il ponte semicrollato nei pressi della baita la Valle (13 giugno, foto Luciano Bruseghini).
Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926)
69
Alpinismo
Alta Valtellina
Cima di Saoseo
La cima di Saoseo (m 3264) si alza massiccia lungo la cresta di confine tra il passo
di Sacco e il passo di Dosdé, alla confluenza di quattro vallate: l'elvetica val di
Campo e le italiane valle di Sacco, valle di Avedo e val Cantone di Dosdè. Proprio
percorrendo quest’ultima, laterale della val Viola Bormina, se ne raggiunge la vetta
con gli sci per un itinerario piuttosto lungo ma senza particolari difficoltà.
Scendendo dalla vetta della cima di Saoseo. Sullo sfondo da dx: la cima
Viola, la cima settentrionale di Lago Spalmo, la cima Piazzi e il pizzo di
Dosdé
maggio
2013, foto
Giacomo Meneghello
- www.clickalps.com).
MONTAGNE
DIVERTENTI
70 (5LE
Primavera 2015
Luciano Bruseghini
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima di Saoseo (m 3264)
71
Alta Valtellina
Alpinismo
Cima Viola
(3374)
Cima Piazzi
(3439)
Pizzo di Dosdé
(3280)
Corno di Dosdé
(3232)
Cima di Lago Spalmo
settentrionale
(3362)
Punta Dügüral
(3097)
Cima di Saoseo
(3264)
Passo di Sacco
(2730)
Rifugio Federico
(2133)
Le cime della val Viola riprese da La Pala in val di Campo (10 marzo 2013, foto Giacomo Meneghello).
BELLEZZA
Partenza: parcheggio Altumeria (m 2070 ca.).
Con strada ingombra da neve si può dover partire
sci ai piedi direttamente da Arnoga.
FATICA
PERICOLOSITÀ
Itinerario
automobilistico:
da Bormio,
prendere la SP 301 in direzione di Livigno e passo del
Foscagno. Dopo circa 20 km si raggiunge Arnoga.
Al tornante destrorso (chilometro 15 della strada
del passo del Foscagno) si stacca sulla sx la stradina
asfaltata della val Viola Bormina. Inoltrarsi nella
vallata fino a raggiungere, dopo 5 km il parcheggio
di Altumeira.
Itinerario
sintetico:
parcheggio Altumeria
(m 2070 ca.) - Caricc (m 1980) - rifugio Federico
all'alpe Dosdé (m 2130) - baita del Pastore
72
LE MONTAGNE DIVERTENTI (m 2368) - cima di Saoseo (m 3264).
Tempo previsto: 4 ore per la vetta.
Attrezzatura richiesta: attrezzatura da
scialpinismo con rampanti, kit antivalanghe.
Potrebbero tornare utili piccozza e ramponi.
Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / circa 1300 m.
Dettagli: BS. Qualche tratto ripido nella
parte finale, per cui da affrontare solo con neve
perfettamente assestata.
Mappe:
- Kompass n. 72 - Parco Nazionale dello Stelvio,
1:50000
- CNS n.1278 - La Rösa, 1:25000
Primavera 2015
er chi percorre l'alta val Viola
Bormina, la maggior ambizione è quella di toccare la cima
Viola (m 3374). Ma limitando le
proprie ambizioni a 100 metri di
quota in meno e al voler guardare
la Viola da uno dei suoi profili più
emozionanti, ci si può interessare
alla panoramicissima e più agevole
cima di Saoseo.
La cima di Saoseo fu scalata per la
prima volta già nel lontano 1894 da
Carl Blodig e Ludwig Purtscheller
per la cresta orientale. Poi, nel 1906,
Bruno Galli-Valerio in compagnia
di J. Rochaz e della guida Pietro
Rinaldi raccolse l'invito di Giorgio
Sinigaglia1 e ne esplorò il versante
NE, un bel pendio glaciale, che,
dopo essere stato sciato nel 1923 dal
pioniere Aldo Bonacossa, divenne
una classica dello scialpinismo.
Cima di
Lago Spalmo
orientale
(3291)
Cima Viola
(3374)
Cima di Lago Spalmo sett.
(3362)
Pizzo Matto
(2993)
Passo Dosdé
(2824)
Val
Ca
nt
o
P
é
osd
iD
d
ne
A
ffrontiamo l’ascesa il 17 maggio
2014 sfruttando la rotabile
della val Viola pulita e parcheggiamo
presso Altumeria (P4). Prendiamo la
carrabile in discesa2, incontrata poco
1 - Giorgio Sinigaglia (1875-1898), come titola il
volume a lui dedicato dal Centro di Studi Alpini di
Isolaccia (1998), fu alpinista, esploratore e cantore
della montagna. Morì di tifo a soli 23 anni, ma nel
poco tempo concessogli dalla vita, riuscì a compiere
una sistematica esplorazione delle cime della val
Grosina, tanto da legare indissolubilmente il suo
nome a quelle vette.
2 - Un'alternativa, da valutare a seconda dell'inneva-
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpe Dosdé
(2129)
Caricc
(1980)
La val Cantone di Dosdé e le cime di lago Spalmo viste dalle pendici del monte Forcellina
(17 aprile 2011, foto Giacomo Meneghello).
Cima di Saoseo (m 3264)
73
Alta Valtellina
Alpinismo
Punta Dügüral
(3097)
Passo di Dosdé
(2824)
La linea di salita alla cima di Saoseo dal pianone a circa m 2500 (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello).
Il primo tratto ripido per il Saoseo si trova oltre la piana a m 2500 ca. (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello).
prima del parcheggio, che ci porta
dopo un tratto in piano al ponte sul
torrente Viola. Passati in dx idrografica, calziamo subito gli sci e proseguiamo in direzione SSO lungo
morbidi pascoli ricoperti da un esiguo
strato di neve, appena sufficiente per
non rovinare le pelli di foca. Dall'altra
parte del torrente vediamo l'agriturismo Caricc3, nei pressi del quale
parte un altro sentiero che va a ricongiungersi a quello che stiamo percorrendo. Il tracciato inizia a salire in un
fitto bosco per poi immettersi nella
val Cantone di Dosdè. Man mano che
saliamo lo spessore del manto nevoso
fortunatamente aumenta. Con diverse
inversioni prendiamo quota e in poco
tempo raggiungiamo la vasta radura
occupata dall’alpe Dosdè (m 2130,
ore 0:30).
Balza subito agli occhi una baita,
molto più grande e curata delle altre.
Si tratta del rifugio intitolato a Federico Valgoi, di proprietà del CAI di
Bormio e gestito dalla famiglia della
guida alpina, nonché campione di
sci alpinismo e corsa, Adriano Greco.
Aperto solamente nei mesi estivi,
dispone di un comodo bivacco invernale con una ventina di posti letto.
Ci abbassiamo a dx e, oltrepassato il torrente che divide in due
l’alpe, insistiamo in direzione S superando alcuni dossi. Davanti a noi si
para l’ampia vedretta di Dosdè che
conduce alla cima di Lago Spalmo
Orientale. Man mano avanziamo, la
vallata piega dolcemente verso SO
e i radi alberi pionieri scompaiono.
Superato un breve pendio, perveniamo ad una larga spianata: qui
sorgono i resti di una casupola, nota
come baita del Pastore (m 2368);
spero non venga più utilizzata, altrimenti il povero occupante sarà alla
mercé degli spifferi che si rincorrono tra le feritoie delle fatiscenti
pareti. Sfruttando un ponte di neve,
mento, è quella di raggiungere l'alpe Dosdé continuando a piedi o con gli sci (SO) lungo la strada
della val Viola, che da Altumeira in poi è a transito
limitato. Dopo circa 15' di salita, si prende a sx la
pista che s'abbassa e con un arco verso sx raggiunge
l'imbocco della valle Cantone di Dosdé, dove si
trova l'alpe Dosdé. In fondo alla piana dell'alpe (S)
questa variante si ricongiunge all'itinerario descritto
nel testo.
3 - L' Agriturismo Baita Caricc è gestito dalla
famiglia Lazzeri. In bassa stagione apre nei fine
settimana solo su prenotazione (389.29.36.189 /
www.agriturismobaitacaricc.com) e offre anche la
possibilità di pernottamento.
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Verso la cresta E della cima di Saoseo (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello).
Gli ultimi metri per la vetta della cima di Saoseo (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello).
Cima di Saoseo (m 3264)
75
Alta Valtellina
Alpinismo
Panorama dalla cima di Saoseo (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello).
guadiamo il torrentello e ritorniamo
sulla dx idrografica per affrontare il
lungo e noioso altipiano. Da qui è
ben visibile il percorso che ci resta da
compiere, ma non scorgiamo la vetta
vera e propria.
In
fondo
alla
piana
(m 2500 ca.) risaliamo un erto
pendio4, sulla dx, che ci porta ai piedi
della punta Dügüral. Sudiamo e fatichiamo anche per il forte irraggiamento solare. Guadagnati 200 metri
di dislivello, pieghiamo decisamente
a sx e affrontiamo un facile traverso
che ci guida ad una vallettina delimitata sulla dx da una piccola fascia
rocciosa. La seguiamo brevemente
verso SO. Appena scorgiamo un
valico, ci alziamo con stretti zig-zag
e scolliniamo nella conca parallela
occupata dal ghiacciaio di Val Viola
Est. La vedretta dal 1990 al 2007 ha
evidenziato il maggiore regresso tra
le 20 censite nell'area Dosdé-Piazzi,
passando da 22,5 ettari a soli 8,5
ettari (-62,2%)5.
Con numerose inversioni lungo il
vasto tavolato bianco, risaliamo fino a
rimontare la cresta spartiacque con la
val Grosina occidentale (m 3150 ca.).
Percorrendo la dorsale verso N, in un
attimo siamo in vetta alla cima di
Saoseo (m 3264, ore 3:30).
Il grandioso panorama spazia a
4 - Qui la val Cantone di Dosdé piega a sx e raggiunge il passo di Dosdé, dove si trova la capanna
Dosdé (m 2824). Si tratta di un bivacco in muratura
costruito nel 1890 dalla sezione di Milano del CAI
e inaugurato l'anno successivo. Più volte distrutta e
ripristinata in seguito agli eventi bellici, la capanna
fu acquisita dalla sezione di Bormio del CAI e ricostruita nel 1982. Piuttosto spartana, offre cucina, 12
posti letto e acqua nelle vicinanze. Si presta ad essere
utilizzata da chi volesse spezzare in 2 giorni la gita
alla cima di Saoseo.
5 - Fonte: AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, Editore Hoepli, Milano 2012
76
LE MONTAGNE DIVERTENTI 360°, tanto da far girare la testa. Da
questa prospettiva un’enorme delusione ce la riserva il pizzo Scalino:
non più l’elegante piramide che
caratterizza la Valmalenco, ma una
montagna senza particolari tratti
salienti e che si mimetizza fra le altre.
Assai invitante invece è la cima Viola
che sorge dall'altro lato della valle
Cantone di Dosdé. La terremo in
considerazione per un futuro raid,
del resto già il reverendo Coolidge
a fine '800 consigliava di salire sia
Saoseo che Viola per godere della
bella vista reciproca che offrono le
due montagne
Per il rientro seguiamo in parte la
comoda dorsale verso E, ma dopo
un breve tratto optiamo per il ripido
pendio a NE. Nonostante la forte
inclinazione (40°), il buon fondo
ci consente di disegnare serpentine
perfette e di raggiungere facilmente
la conca occupata dalla vedretta di
Val Viola Est. Ricalcando fedelmente
il tracciato dell’andata, perdiamo
rapidamente quota con una divertente sciata su neve trasformata fino
a toccare il lungo pianone. A forza di
spinte e scivolate in stile sci di fondo,
approdiamo alla baita del Pastore.
Un’altra avvincente picchiata sulle
pendici del Corno di Dosdè ed eccoci
al rifugio Federico, dove ad attenderci
troviamo un ospite inatteso: una
bella vipera appena uscita dal lungo
letargo invernale che si sta godendo
i caldi raggi solari e che, infastidita
dai numerosi paparazzi, piano piano
si ritira e scompare fra i massi. Per il
sentierino nel bosco, chiudiamo la
nostra gita nel fondovalle trapuntato
di crochi che preannunciano la chiusura della stagione sciistica.
In picchiata verso la val Cantone di Dosdé (17 maggio 2014, foto Luciano Bruseghini).
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima di Saoseo (m 3264)
77
Escursionismo
3
Alta Via della Valmalenco
3 tappa
a
Dai rifugi Gerli-Porro e Ventina a Chiareggio, passando
per la val Sissone e il rifugio Del Grande-Camerini.
Protagonista di giornata: il monte Disgrazia.
Eliana e Nemo Canetta
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'alta val Sissone con, da sx, monte Disgrazia, monte Pioda, passo
di Mello e cima meridionale e centrale di Chiareggio (24 agosto
2014, foto Luciano
Bruseghini).
Alta
Via della Valmalenco (III tappa)
79
Escursionismo
Valmalenco
Tappa di estremo interesse per la grandiosità dell’ambiente naturale e per le caratteristiche
geologico-petrografiche della zona. Il percorso è privo di vere difficoltà, ma a causa della sua
complessità è da intraprendere in buone condizioni di visibilità.
Cima di Rósso
(3366)
Monte del Fórno
Cima di Vazzéda
(3214)
(3301)
Cima di Val Bóna
(3033) Passo del Fórno
(2775)
Punta Baróni
(3204)
Monte Sissóne
Cima Centrale di
(3331)
Chiaréggio
Passo del Murètto
(2562)
Rif. Del GrandeCamerìni
A. Sissóne
A. Vazzéda sup.
VAL
LE S
ISSÓ
NE
A. dell'Òro
A. Vazzéda inf.
Laresìn
Forbesìna
NA
NTÌ
E
V
VAL
Il tracciato della III tappa dell'Alta Via della Valmalenco visto dal Torrione Porro (1 novembre 2011, foto Roberto Ganassa). Viene indicata anche
la corretta pronuncia dei toponimi.
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: rifugio Gerli-Porro (m 1960).
Variante di accesso: per chi non si trova
già alla Porro, si consiglia di raggiungere il rifugio
partendo da Chiareggio con la possibilità di compiere
un anello.​Dalla piazza del paese, si scende verso il
torrente Mallero, che si attraversa su un ampio ponte.
Si segue quindi la mulattiera per il rifugio Porro,
che si abbandona in val Ventina in corrispondenza
del primo tornante sinistrorso (m 1862, ore 0:30,
indicazioni per "alpe Forbicina" sulla dx).
Itinerario
sintetico:
rifugio Gerli-Porro
(m 1960) - Forbesìna (m 1563) - Laresìn (m 1705) passo della Corna del Sissone di Dentro (m 2438) bocchetta del Ciatel di Vazzeda - rifugio Del Grande
- Camerini (m 2550) - alpe Vazzeda superiore
(m 2033) - alpe Vazzeda inferiore (m 1833) - ciàn de
la Loppa (m 1657) - Chiareggio (m 1612).
Tempo
D
previsto: 6:30 ore.
al
rifugio
Gerli-Porro
(m 1960) seguiamo il sentiero
per Chiareggio fino ai due tornanti
dove si trasforma in carrareccia. Al
secondo pieghiamo a sx (indicazioni)
per imboccare la vecchia mulattiera
che, dopo un ripido tratto in discesa,
porta sul fondo della val Ventina. La
percorriamo fino al termine e attraver-
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 900 m in salita e
1260 in discesa (sviluppo 13 km).
Dettagli: E. Escursione su sentieri segnalati
(n.301-305) da bandierine bianco-rosse e dai
triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. Breve
tratto con catene per raggiungere il rifugio Del
Grande-Camerini. La variante che porta in Longoni
passando per l'alpe dell'Oro presenta invece tratti
con sentieri un po' incerti (EE).
Mappe:
- Comunità Montana Valtellina di Sondrio,
Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000;
- Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco,
1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne
Divertenti.
siamo il corso principale del torrente
su di un ponte. Superato con un
guado un successivo ramo secondario, ci lasciamo guidare dalla traccia
che, tra le sassaie, porta alle baite di
Forbesìna1 (m 1663, ore 0:30), dove
intercettiamo la carrareccia prove1 - CTR e segnaletica recente italianizzano il toponimo in “Forbicina”.
niente da Chiareggio.
A Forbesìna prendiamo a sx e con
una breve salita entriamo nel solco
della val Sissone nei pressi delle baite
di Laresìn (m 1705).
Ignoriamo a dx, prima un tratturo
che sale al soprastante rifugio Tartaglione Crispo e successivamente, dopo
esserci alzati per superare una strettoia
Alta Via della Valmalenco (III tappa)
81
Escursionismo
Valmalenco
Fioritura di epilobio nei pressi delle vecchie baite di Forbesìna
(3 agosto 2013, foto Luciano Bruseghini).
Salendo la bassa val Sissone tra boschi e vaste pietraie
(24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).
Rimontando la morena sx della val Sissone si giunge alla placida conca
della Zuchéta (28 settembre 2014, foto Beno).
Sguardo dalla Zuchéta verso Sassa di Fora e il gruppo delle Tremogge. A
dx Cresta Güzza e pizzo d'Argento (28 settembre 2014, foto Beno).
Nei pressi del guado del torrente che scende dal ghiacciaio della cima di
Rosso (28 settembre 2014, foto Beno).
Al passo della Corna del Sissone di Dentro. Sullo sfondo pizzo delle
Tremogge, pizzo Malenco e Sassa d'Entova (28 settembre 2014, foto Beno).
della valle, un altro sentiero (dx) che
porta direttamente all’alpe Sissone. Il
nostro itinerario prosegue in discesa ed
entra nel grande bacino mediano della
val Sissone, sconvolto più volte dalle
alluvioni2. La traccia serpeggiando tra i
2 - Tra le grandi calamità che hanno colpito la val
Sissone, oltre all'alluvione del 1987, si ricorda quella
del 15 settembre 1950, quando le grandi precipitazioni e lo scioglimento dei ghiacciai causarono l'esplosione di un lago proglaciale e un'enorme frana
che fu ben descritta dal professor Giuseppe Nange-
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI detriti, ora in piano, ora in lieve salita,
si accosta al fianco settentrionale della
valle, chiuso da un'alta parete rocciosa.
Superati una serie di alvei entriamo in
una zona relativamente pianeggiante,
un tempo dominata dalla seraccata
della vedretta del Disgrazia. Poco
oltre pieghiamo a dx e, facendo attenzione ai segnavia, vinciamo con una
roni nel volume La frana di Val Sissone.
serie di tornanti il ripido pendio della
morena laterale sx della val Sissone e
ne raggiungiamo la sommità in corrispondenza di un pianoro3 chiuso a
monte da una cascatella e localmente
noto come Zuchéta (m 2100 ca.)4. È
3 - Qui si trova il trivio Chiareggio, rifugio Del
Grande-Camerini, passo di Mello. Davvero inadeguate le indicazioni pressofuse in alluminio per il
passo Sissone, valico disagevole e pericolosissimo da
raggiungere dal versante malenco.
4 - Sul margine meridionale della conca si trovano i
Alta Via della Valmalenco (III tappa)
83
Escursionismo
Valmalenco
Al passo della Corna del Sissone di Dentro. In secondo piano la cresta che corre tra il monte dell'Oro e la Sassa di Fora, di cui si vede l'anticima di
quota m 3300 (28 settembre 2014, foto Beno).
Nella vallecola tra le creste SE ed E della cima di Vazzeda
(24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).
quanto mai pittoresco nella sua tranquillità che contrasta col selvaggio
ambiente d’alta montagna circostante, dominato dalla parete nord e
dai ghiacciai del monte Disgrazia. A
occidente invece l'orizzonte è chiuso
dalle tre cime di Chiareggio, tra cui
spicca a N la punta Baroni (m 3204),
con la sua forma conica e il lungo e
affilato spigolo E, meta ambita dagli
ruderi di un baitello. Qui erano portate al pascolo le
mucche da chi caricava l'alpe Sissone.
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'elegante e possente versante SE della calcarea cima di Vazzeda
(28 settembre 2014, foto Beno).
arrampicatori.
Dalla conca imbocchiamo la traccia
sulla costa di dx (ENE) che, dopo
una traversa, immette in un marcato
valloncello. Lo percorriamo per metà
della sua lunghezza per uscirne sulla
sx e ci portiamo sul filo di un piatto
crestone, sul quale guadagniamo
quota lentamente. A questo punto
iniziamo una lunga diagonale verso dx
in lieve salita e intercettiamo il grosso
torrente che scende dal ghiacciaio
della cima di Rosso e che, in giornate
ed in ore calde, può presentare difficoltà di guado. Sull’opposto lato della
valletta è visibile la prosecuzione del
nostro sentiero, che supera in costa un
terroso cordone morenico, si immette
in una seconda valletta per salire con
qualche tornante alla sella detta localmente passo della Corna del Sissone
di Dentro (m 2438, ore 2:30).
Sulla dorsale dirimpetto è già visibile
il rifugio Del Grande-Camerini, posto
Primavera 2015
Il rifugio Del Grande-Camerini appena ultimato (settembre 1936, foto
archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese).
poco sopra una lieve depressione all'inizio della grandiosa cresta orientale
della cima di Vazzeda.
Caliamo sul versante opposto grazie
alla mulattiera aggrappata alle bastionate rocciose che fu costruita per
consentire il passaggio delle mandrie.
Attraversiamo la parte superiore della
valletta, dominata dalla biancheggiante cima di Vazzeda, e incrociamo
(indicazioni) il sentiero che dall’alpe
Sissone porta direttamente al rifugio
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il bivacco del Grande - Camerini e la mole biancastra della cima di
Vazzeda (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).
Del Grande-Camerini. Ci uniamo a
questa direttrice piegando a sx, sino
alla breve paretina che difende l’intaglio della bocchetta dei Ciatté di
Vazzeda. Dopo una breve arrampicata (I grado, catene fisse), risaliamo il
facile crestone che ci porta al rifugio
Del Grande-Camerini5 (m 2550,
ore 1), una piccola struttura ottenuta
5 - Per il 2015 l'apertura è prevista dal 27 giugno al
13 settembre. Per info: tel. 0342/556010 - sezione@
caisovico.it.
dall'accostamento di vari parallelepipedi con pietra a vista e con simpatiche finestrelle dagli infissi rossi.
Il rifugio fu costruito dal CAI sez.
di Milano nel 1936 in ricordo di
Mario Del Grande, perito sulla punta
Rasica nel 1936, e di Remo Camerini, precipitato nel 1926 dal Sigaro
in Grigna. Offre uno splendido panorama sull'alta Valmalenco, sopratutto
sulla parete N e sul ghiacciaio del
monte Disgrazia, attorniato dal pizzo
Alta Via della Valmalenco (III tappa)
85
Escursionismo
Valmalenco
Scendendo verso N dal rifugio Del Grande - Camerini si attraversano
numerosi ruscelli che scendono dai Ciatté di Vazzeda
(28 settembre 2014, foto Beno).
Ventina e dal monte Pioda. Più volte
ripristinato in seguito ad atti di vandalismo e al naturale deterioramento, il
rifugio è stato recentemente acquisito
dal CAI sez. di Sovico (2001) che lo
ha ampliato e messo a norma (20042005), infine dotato di bivacco invernale con 4 posti letto (2012).
Dal rifugio, seguendo i segnavia, ci
abbassiamo rapidamente per la linea di
massima pendenza, poi effettuiamo un
lungo traverso (sx) guadando le numerose vallette che scendono dai ciatté
Poco sopra l'alpe Vazzeda superiore, il sentiero, che correva tra i ginepri
e rododendri che foderano l'antica morena, entra in un bel bosco di
larici (28 settembre 2014, foto Beno).
di Vazzeda. All’altezza del cordone
morenico che fa da spartiacque fra
il bacino di Vazzeda e la val Bona, il
sentiero divalla (dx) con una serie di
svolte che penetrano in un bel bosco
di larici. Presto sbuchiamo nell'abbandonata e fatiscente alpe Vazzeda
superiore (m 2033, ore 1)6. Un
pugno di piccole baite a S del sentiero
6 - Qui un trivio: a O è il sentiero per il rifugio Del
Grande Camerini; a N il sentiero che presto si
divide in due rami, uno per il passo del Forno e l'altro per l'alpe Monterosso inferiore; a SE è invece la
via per Chiareggio.
che facevano capo ad una più grande
posta a N e recentemente crollata,
per un totale di 14 edifici nel 1816,
diminuiti a 10 a metà del '900. L'ultimo a trascorrere stabilmente l'estate
all'alpe Vazzeda superiore fu Vittorio
Moroni di Mossini, detto Murunìn,
che qui monticò il bestiame fino al
19987. Attraversiamo i pascoli inselvatichiti da NE a SO, per scendere un
gradino roccioso e imboccare (dx, S)
7 - Vedi: Luciano Bruseghini, Alpe Vazzeda superiore, LMD n.28 - Primavera 2014, pagg. 79-81.
Presso i ruderi dell'alpe Vazzeda superiore. Sulla sx si vede l'alpe
dell'Oro, mentre in lontananza, a sx del monte di Senevedo, è la lontana
piramide del pizzo Scalino (28 settembre 2014, foto Beno).
un valloncello tra due rocce montonate. Non molta strada e ci affacciamo al canale percorso dal torrente
Vazzeda. Pieghiamo a sx lungo il
crinale che porta ai pascoli dell’alpe
Vazzeda inferiore (m 1832)8. Qui sale
ancora il bestiame e il paesaggio è così
Chiareggio visto dal suo margine orientale. In alto svetta la cima di
Vazzeda e, indicata, si nota la posizione del rifugio Del Grande - Camerini
(28 settembre 2014, foto Beno).
molto più dolce. Senza raggiungere le
baite dell'alpe, prendiamo a dx e attraversiamo il torrente, il cui alveo è stato
spazzato nei primi mesi del 2014 da
una poderosa valanga.
Il sentiero prosegue nel fitto del
bosco, prima pianeggiante, poi con
pendenza più accentuata, e giunge al
ponte sul torrente Mallero allo sbocco
della valle del Muretto, dove si trova la
carrareccia che unisce Chiareggio con
Forbesìna. Oltre il ponte insistiamo
sulla pista sterrata che dopo circa un
8 - L'alpe Vazzeda inferiore viene pascolata dalle
30 mucche dall'Azienda Agricola Fratelli Lenatti, la
cui famiglia è detta Urä. Il latte, munto in loco,
viene trasportato al ciàn de la Loppa per la lavorazione. Con lo stesso bestiame vengono brucati
anche i pascoli dell'alpe Sentieri, della Zocca, di
Laresìn e di Forbesìna (informazioni sugli alpeggi a
cura di Andrea Sem e Diana De Gasperi).
Sassa di Fura
(3363)
Cima di val Bona
(3033)
Ciattè di Vazzeda
Passo delle Tremògge
(3015)
Passo del Murètto
(2562)
Fura de Dint
Alpe dell'Òro
V. D
EL
MU
RÈ
T
TO
CO
AS
EV
N
Alpe Vazzéda inf.
Ciàz de Fura
Rif. Longoni
L
VA
Alpe Monte Rosso
inf.
Piani dell'Òro
O
SC
RA
FO
Alpe Monte Rosso
sup.
Alpe Vazzéda sup.
Sassa d'Éntova
(3331)
L
VA
VA
LB
ON
A
Pizzo Malénco
(3438)
Monte Murètto
(3104)
Passo del Fórno
(2775)
9 - “Pian del Lupo” su cartelli e mappe in seguito a
un'errata italianizzazione del toponimo.
Pizzo delle Tremògge
(3441)
Monte dell'Òro
(3155)
Monte del Fórno
(3214)
chilometro risale a sx e si immette
sulla carrozzabile che da Chiareggio
conduce all’alpe dell’Oro. La seguiamo
verso E e in breve siamo prima all’abitato del Ciàn de la Loppa9, poi a Chiareggio (m 1612, ore 1:30), dove è
possibile trovare comoda ospitalità in
vari alberghi.
Alpe Fura
Panoramica sulla variante della III tappa dell'Alta Via della Valmalenco ripresa dal monte di Senevedo (31 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini).
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (III tappa)
87
Escursionismo
Valmalenco
Lungo questo tratto non si manchi
di notare qualche bell’esemplare di
Pino cembro, poco diffuso in Valmalenco e che spicca per la sua caratteristica forma conica e per il vivace colore
verde intenso.
Dall’alpe si inizia un lunghissimo
mezza costa nel bosco, su traccia non
sempre ben evidente, che consente,
tenendosi alti rispetto a Chiareggio,
di percorrere le pendici meridionali
della costiera monte dell’Oro - Sassa
di Fora. Attraversato il vallone del
torrente Nevasco, foriero di grandi
valanghe, entriamo in piano per
pascoli nella conca che ospita l'alpe
Fora14 (m 2053, ore 1:30).
Lasciate a sx le baite dell’alpe,
iniziamo a salire in direzione N a sx
di un alta bastionata rocciosa. Con
strette risvolte guadagniamo quota
e, valicato il torrente Forasco, ci
troviamo a oltre m 2200 nell'ampio
ripiano erboso dei Ciàz de Fura. In
direzione ENE attraversiamo la bella
conca, spesso su terreno paludoso,
puntando alle caratteristiche cascate
che intagliano scure balze rocciose.
Dopo averle costeggiate, pieghiamo a
ESE fino al quadrivio San Giuseppe
- Longoni - passo delle Tremogge Ciàz de Fura, da cui in pochi minuti
siamo sul poggio panoramico della
cresta SO della Sassa d'Entova che
ospita il rifugio Longoni15 (m 2430,
ore 1:15).
VARIANTE DALL' ALPE VAZZEDA
SUPERIORE AL RIFUGIO
LONGONI
Q
uesta
variante
(sentieri
n.326, n.308 e n.301) è
consigliabile a chi volesse compiere
l'intero tragitto dell'Alta Via
dormendo sempre in alta quota.
Per fare ciò dal rifugio Del GrandeCamerini ci portiamo al rifugio
Longoni senza scendere a Chiareggio. La variante, di grande
respiro ambientale, aggiunge alla
III tappa dell'Alta Via altri 500 m di
dislivello in salita (1400 m in totale)
e circa 2 ore in più di cammino
(8 ore in totale).
Al trivio dell'alpe Vazzeda superiore
(m 2033), andiamo a N. Troviamo
indicazioni per il passo del Forno e
per l'alpe Monte Rosso10 inferiore
/ alpe dell'Oro. Penetrati nel bosco
raggiungiamo in breve i ruderi della
baita isolata a m 2070 ca. Qui ci separiamo dalla via per il passo del Forno e
prendiamo la traccia (dx) che discende
verso la confluenza tra la val Bona e la
valle del Muretto. Il sentierino supera
uno degli emissari del ghiacciaio di
Vazzeda e subito dopo, non sempre
pulito ma assai segnalato, scende
ripidamente sin nei pressi dell'alpe
Monte Rosso inferiore11 (m 1944),
poche baite al margine di una pietraia
ai piedi di un'alta rupe. Superiamo il
torrente della val Bona su una passerella, ci abbassiamo ancora qualche
decina di metri e un più ampio ponticello ci porta in sx idrografica della
valle del Muretto. Da qui il tracciato,
con belle vedute sulla val Ventina, si
alza a mezza costa sino a raggiungere
la strada del passo del Muretto, quindi
l’alpe dell’Oro (m 2027, ore 1:10)12,
terrazzo panoramico che si affaccia sul
monte Disgrazia.
Il toponimo pare non abbia nulla a
che vedere col metallo, anche perché
qui di più prezioso vi sono certamente
i fertili pascoli che permettono di
produrre ottimi formaggi13.
10 - Libri e mappe riportano indistintamente la grafia Monte Rosso e Monterosso. L'alpe non viene più
monticata da molti anni.
11 - Vedi: Luciano Bruseghini, Monterosso, LMD
n.31 - Inverno 2014, pagg. 64-65.
12 - In un punto dell'alpe quotato m 2010 è posto
il cartello che dà la Longoni a 3 ore.
13 - L'alpe dell'Oro negli anni '40 era sfruttata da
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI L'alpe dell'Oro è posta su un terrazzo panoramico che si affaccia sul Disgrazia
(9 maggio 2013, foto Roberto Moiola).
Ai piedi delle cascate che ornano i Ciàz de Fura (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).
Primavera 2015
Il rifugio Longoni (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).
LE MONTAGNE DIVERTENTI ben 5 famiglie che vi salivano con oltre 80 mucche.
Ora viene caricata dal patriarca Arnaldo Lenatti coi
figli Claudio e Alberto e i nipoti Riccardo e Michele.
Circa 30 capi, di cui 23 da latte, vengono fatti
pascolare dai primi di luglio al 25 di agosto nei prati
dell'alpe, oltre che ai piani dell'Oro. L'alpeggio è
storicamente di proprietà della loro famiglia, detta i
Bracièi. A fine stagione, scendendo a valle, si fermano anche a cian Làzzer e ca Novi.
Le coste erbose della valle del Muretto vengono
invece brucate dalla “vacche delle Highlander” di
proprietà del Bianco (Giancarlo Lenatti) e di Fausto
e Maicol Pedrolini.
14 - Fora deriva dall'italianizzazione del toponimo
locale Fura. All'alpe si incontra il sentiero principale
proveniente da Chiareggio (IV tappa dell’Alta Via)
che si segue fino al rifugio Longoni. Nel periodo
1952-1966 nel circondario erano caricati 150 capi
bovini (molti in affitto), di cui 100 - suddivisi tra 6
famiglie - pascolavano i prati di Fura de Dint e 50
- gestiti da altre 4 famiglie - sfruttavano i ciàz de
Fura. Dagli anni '80 gli alpeggi, che erano entrambi
privati, sono stati uniti e nelle ultime stagioni vi salgono i soli Tommaso e Rodolfo Lenatti, detti i
Tumasìn, con circa 20 capi.
15 - Gestito dalla guida alpina Elia Negrini, ha oltre
37 posti letto ed è aperto dai primi di giugno a metà
settembre. Di proprietà del CAI di Seregno, fu
costruito nel 1938 e dedicato ai fratelli Elia ed
Antonio Longoni, caduti nella Prima Guerra Mondiale. Tel. 0342 451120 - 348 3110010 [email protected].
Alta Via della Valmalenco (III tappa)
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Monte Disgrazia
Escursionismo
e ghiacciai
P
Il versante settentrionale del monte
Disgrazia si alza imponente sopra la cresta
SE della cima di Vazzeda (24 agosto 2014,
foto Luciano
Bruseghini).DIVERTENTI LE MONTAGNE
90
rotagonista indiscusso della III
tappa dell'Alta Via della Valmalenco è il monte Disgrazia (m 3678),
la vetta più alta che si alza nel settore
retico tra i passi del San Gottardo, del
Maloja e del Muretto. Infatti anche
le elevate e celeberrime creste che
dividono la vicina val Màsino dalla
val Bregaglia - con i pizzi Badile e
Cengalo, il monte Sissone e la cima di
Castello - non superano i m 3400.
Sul Disgrazia tuttavia, nonostante
la sua importanza, non è stata fatta
passare la linea di confine italo-elvetico che invece transita alquanto più a
nord.
Mentre il suo versante nord orientale è interamente di pertinenza del
Comune di Chiesa Valmalenco, quello
sud occidentale è diviso tra i Comuni
di Val Màsino, Buglio in Monte e
Torre di Santa Maria. Si tratta quindi
di una cima interamente in territorio
italiano.
La sua fama è altissima, forse anche
perché è una delle cime più visibili
delle Retiche centrali. Contrariamente
al Bernina, più elevato ma col versante
meridionale alquanto nascosto, il
monte Disgrazia si può osservare da
tutta l’alta Valmalenco, da gran parte
delle cime circostanti, dalle lontane
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Disgrazia e ghiacciai
91
Escursionismo
Approfondimenti
Valmalenco
Il versante settentrionale del monte Disgrazia con il vasto e crepacciato ghiacciaio che ancora
scendeva in val Sissone occupando la parte alta della valle. Immagine ripresa dai pascoli
dell'alpe dell'Oro (agosto 1912, foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese).
Il circo-pendio con esposizione NO e compreso tra il monte Sissone e il Disgrazia è coperto da un vasto e corrucciato lenzuolo di ghiacciaio, il
ghiacciaio del Disgrazia, che attualmente raggiunge i m 2400 di quota ed ha una superficie di 263 ettari, la maggiore del massiccio. Dal 1992 al
2007 ha perso il 31% della sua superficie pur restando molto potente nella sua parte più elevata, mentre nelle ultime stagioni la sua evoluzione è
apparsa piuttosto stabile evidenziando un rallentamento dei ritmi di regresso. Queste immagini, scattate dalla cima di Vazzeda rispettivamente
da Alfredo Corti il 28 settembre 1940 (www.archiviocorti.it) e da John Harlin il 31 luglio 2011, mostrano il drammatico ritiro avvenuto in poco
più di 70 anni (fonte SGL - Riccardo Scotti).
Le cime della conca di Chiareggio nel luglio 1926 (foto archivio Alfredo Corti - CAI sez.
Valtellinese) e l'8 agosto 2010 (foto Beno). Si notino, da sx, le importanti perdite di superficie
dei ghiacciai di Punta Baroni (1- separatosi negli anni '40 da quello del Disgrazia), Passo
di Chiareggio (2), Sissone (3), Cima di Rosso (4 - poco visibile da questa angolazione) e di
Vazzeda (5). Nel solo periodo 1990-2007 hanno subito un regresso complessivo attorno al 40%.
1
2
3
5
4
Prealpi Lombarde e chiaramente
anche dalla SS 38 mentre si attraversa
Morbegno: è infatti un importante
punto trigonometrico.
La prima ascensione1 fu per la
cresta NO ad appannaggio degli
inglesi Edward Shirley Kennedy, Leslie
Stephen, con la guida svizzera Melchior
Anderegg e il collaboratore Thomas
Cox il 24 agosto 1862, dopo che gli
stessi, quattro giorni prima, avevano
fatto un tentativo dalla Valmalenco
giungendo a quella sorta di grande
anticima che è il monte Pioda. Se
pensiamo che all’epoca non esistevano
nelle valli di Màsino e Malenco rifugi
e tanto meno alberghi, che non vi
erano sentieri segnalati né guide alpine
che potessero offrire informazioni, ben
si comprende quale impresa fosse al
tempo conquistare il Monte Disgrazia.
Altra impresa di rilievo e grande
eco fu la prima salita della glaciale
parete nord, 700 metri con pendenze
che toccano i 60°, vinta da Antonio
Lucchetti Albertini e Giacomo Schenatti il 10 luglio del 1934, dopo che
altri importanti tentativi si erano
arenati nella strozzatura centrale.
Ancora nel 1975 Aldo Bonacossa
in Guida dei monti d'Italia. Màsino
Bregaglia Disgrazia, CAI/TCI la definiva “una delle massime imprese per
parete della regione.”
Poco a E della vetta maggiore, è
stata posata la scatola di metallo del
bivacco Rauzi che dispone di 9 posti
letto. In un certo senso è l’erede della
vecchia capanna Maria che a fine '800
fu eretta dai topografi poco a SO
della cima per avere maggiore comodità nell'effettuare i rilievi a una quota
tanto inospitale.
Chi ascende al Disgrazia lo fa principalmente per due vie: quella che si
svolge dal rifugio Ponti in alta valle
di Predarossa (val Màsino) per la
Sella di Pioda (PD) e la cresta NO;
e quella che dal rifugio Gerli-Porro
tocca i bivacchi Taveggia e Oggioni,
per infine cavalcare la cresta N, meglio
conosciuta come “Corda molla” (AD).
1 - Una monografia completa e dettagliata sul
monte Disgrazia - coi contributi di Mario Sertori,
Beno, Antonio Boscacci, Franco Benetti, Riccardo
Scotti, Eliana e Nemo Canetta e Luciano
Bruseghini - è presente sul n.13 de LMD - Estate
2009. Il numero è esaurito, ma scaricabile
gratuitamente in formato PDF dal sito
www.lemontagnedivertenti.com.
92
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Disgrazia e ghiacciai
93
Approfondimenti
Valmalenco
Val Sissone
Minerali
geologia e glaciologia a cielo aperto
1920
1941
1954
2014
avvertenze per i raccoglitori
La val Sissone con il ghiacciaio del Disgrazia in costante e inesorabile ritiro. Nelle prima immagine siamo agli inizi del '900 (cartolina archivio
Maurizio Cittarini), quindi nel 1941. Si noti nella terza immagine, datata 1954, l'impressionante ritiro dei ghiacci e lo sconvolgimento della valle
in seguito all'alluvione del 1950 (foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). Infine un'immagine del 2014 (foto Luciano Bruseghini).
L
a val Sissone, con i suoi fianchi
dirupati e in gran parte privi
di copertura vegetale, costituisce
in vari punti una sezione geologica naturale di estremo interesse.
Nella prima parte della valle, esaminando con attenzione le rocce,
possiamo osservare il passaggio tra le
rocce scistose della falda Margna (di
aspetto marrone grigiastro) alle anfiboliti del monte del Forno, rocce di
eccezionale interesse che secondo i più
recenti studi geologici corrisponderebbero a brandelli del mantello superiore della Terra coinvolti nell’urto tra
il continente euro-asiatico e quello
africano, urto che diede origine alle
Alpi. Le anfiboliti di colore verde bluastro sono ben riconoscibili rispetto al
serizzo, roccia granitoide grigio chiaro
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI che si trova più ad O. Sia le anfiboliti
che il serizzo sono poi traversati, in ogni
direzione, da filoni di quarzo e feldspato di origine magmatica, le cosiddette apliti.
Il contatto tra le anfiboliti e il serizzo
costituisce il visibile incontro tra le
rocce delle falde alpine (anfiboliti) ed
il massiccio intrusivo Màsino-Bregaglia
(serizzo).
Dal punto di vista morfologico è
facile osservare come, tutto attorno
alla valle, ad una quota compresa tra i
m 2200 e i m 2400 vi siano dei terrazzi
sospesi, talora a picco, sul fondovalle.
Si tratta di antichi fondovalle, probabilmente preglaciali, successivamente
profondamente erosi dalla fiumana di
ghiacci quaternari che scendeva verso
Chiareggio. Un esempio di questo
i n va l
fenomeno è la “valle sospesa” dell’alpe
Sissone, il cui torrente è costretto in
una profonda forra a raccordarsi col
fondovalle 300 m più in basso.
Da ultimo osserviamo che la val
Sissone, contrariamente alle vicine
valli del Muretto e val Ventina, ha il
fondovalle completamente devastato
da frane e alluvioni. In effetti in essa
la natura ha sovente esercitato la sua
mano possente, talora con avvenimenti
catastrofici come quando negli anni
’50 si svuotò di colpo un probabile
lago sottoglaciale, provocando un’alluvione i cui effetti si fecero sentire sino a
San Giuseppe. Il relativo assestamento
successivo fu nuovamente fortemente
rovinato dall’alluvione del 1987, che
danneggiò in più punti anche il tracciato dell’Alta Via.
Primavera 2015
Sissone
Gita guidata in val Sissone organizzata tutti gli anni dall' Istituto Valtellinese di Mineralogia. Per informazioni: www.ivmminerals.org
(24 agosto 2013, foto Franco Benetti).
S
ovente si sente affermare che la
Valmalenco sia una delle valli
retiche più ricche di minerali. In effetti
è proprio così ed alcuni studiosi, tra
cui il Sigismund ed il Grazioli, fecero
nelle valli del Mallero e del Lanterna
ricchissime raccolte trovando anche
nuove specie minerali.
Certo i tempi sono cambiati e forse
la ricerca e il ritrovamento non sono
più così facili sebbene il costante ritiro
dei ghiacci permette ancor oggi interessanti scoperte.
Purtroppo vi è chi, anche con “mezzi
pesanti” saccheggia e ha saccheggiato
questi depositi per fini commerciali. Il raccoglitore sappia che tali
mezzi richiedono apposite autorizzazioni poiché si tratta di un’attività di
LE MONTAGNE DIVERTENTI estrazione mineraria; inoltre si tenga
presente che le attuali leggi regionali
in materia sono oltremodo severe. Si
eviti poi in ogni modo ed in ogni caso
di danneggiare ciò che non si può
raccogliere. I minerali per riformarsi
non richiedono una stagione come i
fiori, ma milioni di anni!
In val Sissone troviamo tantissime
specie minerali: elencarle tutte sarebbe
impossibile, ne citeremo solo alcune.
La tremolite, silicato complesso di
aspetto bianco fibroso, che, pur assomigliando all’amianto, è di questo
assai più duro. I granati, altri silicati,
qui in genere rossi (tipo almandino)
di facile riconoscimento per il colore
e della forma di cristallizzazione
sferoidale con facce a forma rombica.
Ancora l’epidoto altro silicato
complesso di aspetto prismatico color
verde intenso, la tormalina, comune
in aciculi nerastri nei filoni. La calcite
dalla tipica sfaldatura romboedrica
biancastra ma che assume talora colorazioni diverse a causa di inclusioni
di altri minerali. Gli anfiboli (come
l’orneblenda) talora in cristalli giganteschi verde nerastri, gli spinelli neri,
ossidi metallici talora ben cristallizzati
in ottaedri. Il berillo in prismi azzurrastri, la titanite in piccoli cristalli di
aspetto giallastro1.
1 - Per approfondimenti: Franco Benetti,
Guida mineralogica della Valmalenco,
Ed. Nordpress, Chiari (BS) 1994. Il libro può essere
ordinato da www.lemontagnedivertenti.com.
Val Sissone
95
Approfondimenti
Z i n' gSa r i
verso l alpe issone
Valmalenco
degli alpeggi
Luciano Bruseghini
Escursionisti all'alpe Sissone (settembre 1928, foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). L'alpeggio, oggi completamente abbandonato e
in rovina, si trova sulla sponda sx della val Sissone, dirimpetto al versante N del monte Disgrazia.
I ruderi dell'alpe Sissone. Sullo sfondo, da sx, la punta Baroni, il monte Sissone e le cime di Rosso e di Vazzeda
(3 agosto 2013, foto Luciano Bruseghini).
L’
alpe Sissone (m 2290), in alta
Valmalenco, è un alpeggio assai
particolare, sia per la sua posizione
isolata e non facilmente raggiungibile,
sia perchè offre solo magri pascoli
dovuti all’alta quota e alla morfologia
del territorio. Ormai abbandonato da
diversi anni, in passato fu sfruttato da
numerose famiglie che, come confermano testimonianze orali, qui monticavano fin dal diciottesimo secolo.
I fratelli Elena e Piero Lenatti mi
svelano i loro ricordi di gioventù
quando vi si recavano a far pascolare le mucche. Figli di Gildo Lenatti
(classe 1915) e Celestina Sem (classe
1918), insieme alle loro sorelle Gilda
e Luciana, trascorrevano la maggior
parte dell’anno fra vari alpeggi della
Valmalenco. Normalmente solo da
96
LE MONTAGNE DIVERTENTI gennaio ad aprile sostavano in paese a
Chiesa. Poi salivano sopra la frazione
di San Giuseppe alla località pra di
Cabéi, e alla fine di maggio si trasferivano a Sabbionaccio, sempre nel
circondario. Nel mese di luglio si
spostavano al Laresìn sopra Chiareggio. La transumanza in quota avveniva all’incirca il giorno di sant’Anna,
protettrice di Chiareggio festeggiata il
26 luglio, e anche questo accadeva per
gradi: seguendo la val Sissone sostavano un paio di giorni al Gerùn (località scomparsa nel 1987 quando la
furia delle acque del torrente Mallero
la ricoprì di detriti), quindi si alzavano
alla Zuchéta per altri due giorni1.
1 - Questo sito esiste ancora oggi (vi si trovano i
ruderi di un baitello) e si trova lungo il sentiero
dell’Alta Via a oltre m 2100, nei pressi di una bella
Dalla Zuchéta si portavano al
Sissone di Dentro (m 2300 ca.)2,
dove si fermavano una settimana
prima di proseguire per il passo
della Corna di Sissone di Dentro
(m 2438) e trasferirsi all’alpe Sissone
(m 2290) vera e propria per sfruttare
la poca erba di questi alti pascoli.
In linea di massima trascorrevano
dai 15 ai 20 giorni in quota (in un
anno particolarmente difficile per il
clima, raccontano che vi dimorarono
solamente per 9 giorni). Verso ferragosto scendevano in basso passando
per il sentiero diretto: un tracciato
più breve, ma in alcuni punti assai
cascata, là dove dal tracciato che porta dal fondo
della val Sissone al rifugio Del Grande - Camerini si
stacca la deviazione per il passo di Mello
2 - Zona di magri pascoli priva di ricoveri.
Primavera 2015
impervio, tant'è che nei tratti più pericolosi le mucche venivano fatte passare
a due o tre alla volta, con andatura
lenta in modo che non si urtassero fra
di loro.
Capitava pure che il giro della val
Sissone avvenisse al contrario, in base
alle condizioni della strada e ai residui
di valanga.
Tornati a valle non sostavano a
Laresìn, ma ritornavano direttamente
a Sabbionaccio per tutto settembre,
a far brucare i pascoli della zona.
Non paghi del lungo girovagare, all’inizio di ottobre ritornavano a Chiareggio e tenevano gli animali nella
stalla a consumare il fieno accumulato durante l’estate. Col cambio del
mese riprendevano la marcia verso il
pra di Cabéi, anche qui per esaurire
LE MONTAGNE DIVERTENTI lo sfalcio estivo. In base alla disponibilità delle scorte vi soggiornavano fino
a Natale o all’Epifania. Con un ultimo
trasferimento completavano il giro e
ritornavano a Chiesa in attesa della
primavera.
L’ ALPE SISSONE
N
egli anni sessanta erano ancora
quattro le famiglie che la caricavano: quelle di Giacinto Lenatti,
Andrea e Franco Lenatti, Ottavia
Lenatti e - ovviamente - quella
di Gildo Lenatti. L’omonimia dei
cognomi sta a significare una certa
parentela: infatti questi è un alpeggio
privato, tramandato da padre in figlio.
Piero è stato l’ultimo a salirvi con le
mucche nel 1977, poi più nessuno ha
sfruttato quei territori.
Gildo e Piero accudivano circa
venticinque bestie, la metà delle quali
era affidata loro da vari proprietari. In
totale una sessantina di capi girovagava
per quei pascoli alla ricerca di qualche
buon ciuffo d’erba da brucare. Inoltre
ogni famiglia aveva dei maiali che
nutriva con gli scarti della lavorazione
del latte, ma essendo questi animali
pigri, dovevano essere “convinti” con
la minaccia del bastone ad incedere su
per gli impervi tracciati, mettendo a
dura prova la pazienza degli accompagnatori. Fino agli anni sessanta venivano monticate anche le capre, poi
non vennero più considerate perché
poco redditizie e per di più di indole
ribelle.
Le bestie pascolavano liberamente,
Alpe Sissone
97
Escursionismo
Approfondimenti
Valmalenco
Primo a sx Gildo Lenatti, poi i giovani Giovanni e Franco con il padre Andrea Lenatti. La ragazzina a dx è Gilda Lenatti, figlia di Gildo
(fine anni '50, foto archivio famiglia Lenatti).
controllate a vista dai ragazzi ai quali
veniva data un po’ di polenta preparata
la mattina e che doveva servire come
nutrimento fino alla sera quando rientravano alla baita. Qui li attendeva un
bel piatto di minestra calda servita nel
ciapèl di legno e poi subito a nanna.
Sopra la stalla si trovava il dormitorio
il cui pavimento era costituito da una
base di pali di legno allineati, ricoperti
da fascine di rami di ontano; sopra di
essi venivano distesi mazzetti di erba
selvatica (scignùn) che rendeva più
morbido il tutto. Come lenzuolo e
coperta avevano un polòt, telo di lana
pesante che pungeva dappertutto, e
per cuscino gli abiti indossati durante
il giorno, ben ripiegati, in modo da
trovarli stirati al risveglio.
L’acqua del vicino ruscello non era
potabile in quanto gli animali pascolavano appena a monte, per cui si
approvvigionavano presso una piccola
sorgente poco distante soprannominata l’acqua de la nona.
Il burro veniva portato saltua-
98
LE MONTAGNE DIVERTENTI riamente a Chiareggio per essere
venduto; anche i formaggi, man
mano che erano pronti, venivano
spostati a Laresìn dove vi era un’ottima cantina di stagionatura. Nel risalire, lungo il tragitto, raccoglievano la
legna per alimentare il fuoco poiché al
Sissone non crescevano alberi, causa
l’altitudine.
Alcuni attrezzi per la lavorazione
del latte, soprattutto i più pesanti ed
ingombranti (culdéra e penàia), venivano lasciati all’alpe, altri meno voluminosi, li portavano sempre con sé
nei loro spostamenti. Gli attrezzi e
le provviste venivano movimentate
a spalla o grazie ad un asino che fece
una brutta fine.
Bisogna sapere che l’alpeggio è posizionato su un balcone prativo, parzialmente attorniato da lati dirupati ai
quali bisogna prestare molta attenzione. Una notte, l’asino in questione,
per mangiare l’erba tralasciata dalle
mucche, si avvicinò troppo al pericolo e scivolò. Il mattino seguente,
non vedendolo, si misero tutti alla sua
ricerca, lo trovarono solamente a tarda
sera in fondo al precipizio privo di
vita. Oltre alla perdita di un instancabile lavoratore, questa disgrazia significava doppio lavoro per gli uomini
nel trasportare le masserizie avanti ed
indietro.
In caso di forte maltempo anche le
mucche tendevano a scendere a valle
avvicinandosi pericolosamente al
bordo; allora dovevano intervenire per
fermarle e serrarle nella stalla.
Piero narra un episodio accaduto
nel 1972. Stava giocando col suo
amico Graziano Dell’Andrino (detto
Stampèla), facevano rotolare delle
pietre. Ad un certo punto Graziano
perse l’equilibrio e scivolò giù per
un’impervia scarpata finendo la sua
corsa decine di metri più in basso.
Pietro, spaventatissimo, scese in volata
e recuperò il giovane ferito riportandolo a spalla fino alle baite. Costatata
la frattura di una gamba, lo caricarono su una barella improvvisata fatta
Primavera 2015
Le sorelle Elena e Luciana Lenatti all'interno della baita a Laresìn (agosto 1971, foto archivio famiglia Lenatti).
con il gerlo per la grasa, lo trasportarono velocemente a Chiareggio e
quindi all’ospedale di Sondrio. Quella
sera Piero non riuscì a mungere le
mucche, perciò la mattina seguente le
mammelle scoppiavano di latte.
Durante l’inverno e all’inizio della
primavera sovente scendevano delle
valanghe nei pressi delle baite, per
cui prima di transumare, toglievano
e mettevano al sicuro le lamiere che
fungevano da tetto onde evitare che
venissero trascinate via. Quando rientravano in estate, le ricollocavano al
loro posto dopo aver rabberciato eventuali danni provocati ai muri diroccati
delle primitive abitazioni.
Tra le curiosità emerse durante il
colloquio vi è la storia di Livio Lenatti
(classe 1900) che, portato al Sissone
ancora piccolino, veniva adagiato
in una culla formata da strisce di
stoffa appese ai legni del tetto per
tenerlo sollevato da terra così che
non fosse morso dalle vipere che lì
abbondavano.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Elena rammenta l’ultima volta in
cui vi ha soggiornato, quando l’alpe
era ancora in attività: nell’estate del
1976 era salita col marito Ignazio e
il piccolo Giacomo di appena due
anni seguendo il sentiero diretto; in
alcuni tratti l’erba selvatica era più alta
del bambino. Ad aspettarla c’era suo
padre che si coccolò il piccolo sulle
ginocchia e lo nutrì con dei piccoli
pezzettini di burro appena prodotto.
Tra i suoi ricordi più cari vi sono le
cene che gustava in solitudine all’aperto, ammirando l’imponente parete
nord del Disgrazia, mentre gli ultimi
raggi del sole la salutavano augurandole la buona notte.
Non essendoci ancora i cellulari,
all’imbrunire comunicavano in un
modo estremamente più romantico
con i pastori della dirimpettaia alpe
Sentieri: con una piccola pila facevano
segnali intermittenti e si scambiavano
la buona notte.
I figli ricordano che Gildo era un
gran lavoratore e appena aveva un po’
di tempo libero dagli impegni agricoli
si occupava con gran sudore di pala e
piccone di tener pulito e in ordine il
sentiero che percorreva la val Sissone
in modo che gli animali potessero
transitare senza troppi pericoli.
C
he cosa spingeva quei pastori
ad una vita così difficoltosa e
sacrificata? Solo la sopravvivenza?
Non credo.
Penso che alla base di tutto ci fosse
un grande desiderio di libertà, l’amore
e il rispetto per il proprio ambiente,
l’orgoglio di tramandare ai discendenti uno stile di vita autentico, in
simbiosi con la natura: cosa che oggigiorno stiamo dimenticando, incalzati
dalla frenesia delle “finte esigenze”
che ci rendono schiavi della rincorsa a
possedere di più. Forse un andare più
lento sarebbe la giusta via d'uscita
che ci farebbe gustare con maggior
consapevolezza gli anni che ci sono
stati donati.
Alpe Sissone
99
Escursionismo
Versante retico
La camminata dei
ci(a)ncètt
Un' escursione lungo i sentieri che collegano il piano alle contrade alte di Ardenno, sino
al recente passato utilizzati quotidianamente per attendere alle attività agricole e
puntinati di cincètt (o ciancètt come chiamati nelle contrade alte), cappellette
votive affrescate erette in luoghi significativi (passaggi pericolosi, incroci,
zone di sosta) per volontà di singoli o della collettività a ricordo di
eventi eccezionali, scampati pericoli, per difesa contro
calamità o epidemie, a protezione dei
viandanti o semplicemente in
memoria dei morti.
Nicola Giana
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
La camminata
dei Ci(a)ncètt
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
Pioda,
frazione di
Ardenno. Sullo
sfondo le Alpi Orobie, tra cui, ultimo a dx il monte Legnone (3 novembre
2010, foto Roberto
Ganassa).
101
Escursionismo
Versante retico
P
omeriggio di sole e foschia in
questo caldo mese di febbraio.
Lasciamo l’auto accanto al centro
sportivo in via Europa e partiamo
decisi1 imboccando via don Gusmeroli diretti verso il centro (O). All’incrocio con via Cavour voltiamo a sx e
ci dirigiamo verso monte. Presto Beno
cerca di immortalarci, ma la macchina
è senza scheda. Passiamo in municipio
da Maria Grazia per rimediare un
prestito, ma non c’è d’aiuto e ci tocca
attendere le 15 per comperarne una.
Non male!
orniamo sui nostri passi e
mentre iniziamo la salita rimiriamo i palazzi nobili di via Cavour.
Costeggiamo palazzo ParraviciniSabini, uno dei meglio conservati in paese. Un alto muro di cinta
racchiude tutto il complesso di edifici
e giardini, mentre prospicienti alla
via sono i rustici e la cappella privata.
All’incrocio con via Indipendenza
non manchiamo di notare l’ex Caneva
Vescovile, residenza degli agenti del
vescovo di Como, e il palazzo Parravicini-Zaccaria col suo pesante portone
di legno con borchie e sedute in pietra
addossate alle pareti. Sicuramente
questa parte del nucleo storico merita
una visita approfondita, ma lasciamo
al lettore la facoltà della scelta.
In cima a via Cavour prendiamo a
dx via Magiasca sino a incrociare il
tornante di via 25 Aprile (strada per
il Gaggio). Ne percorriamo un breve
tratto e poco prima della bella fontana
monolitica di granito del 1856 imbocchiamo sulla sx il sentiero acciottolato
che incassato tra muretti in pietra
a secco si snoda tra le case e i rispettivi orti. Incrociamo nuovamente la
strada per Gaggio, poi sbuchiamo in
contrada Cavallari giusto di fronte al
cincètt de Cavalee2 il cui dipinto principale è costituito dalla Madonna
con Gesù assisa su un trono. La
contrada è molto antica, e in origine
era detta contrada del Castello per la
probabile stretta relazione col sopra-
T
Ardenno, Màsino e il tracciato dell'escursione visti dal Crap del Mesdì (15 maggio 2011, foto Roberto Ganassa).
BELLEZZA
Partenza: Ardenno, parcheggio del centro
sportivo in via Europa.
Itinerario
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
automobilistico: salendo da
Morbegno verso Sondrio, giunti all’altezza della
stazione FS di Ardenno, lasciare la SS 38 dello Stelvio
e svoltare in direzione del centro (sx). Alla rotonda
in cima al rettilineo, svoltare a sx in via Merlina.
Prendere la prima svolta a dx (via Europa), e lasciare
l’auto nell’ampio parcheggio.
Itinerario sintetico: Ardenno, parcheggio di
via Europa (m 260) - contrada Cavallari - contrada
Masun - San Lucio (m 425) - Bör - Mottallo (ca
Bianca) - Piazzalunga (m 676) - bacino di Pioda
(m 729) - Pioda (m 694) - Biolo (m 608) - Scheneno
(m 510) - Valmala - Ardenno.
Tempo
previsto: 2 ore e 45' (9 km circa di
sviluppo).
Attrezzatura
richiesta: scarpe adatte ai
percorsi acciottolati; consigliati i bastoncini.
Difficoltà/dislivello: 1 su 6; 430 m circa.
Dettagli: T. Semplice scursione su strade,
mulattiere e sentieri in parte segnalati.
Approfondimenti:
- Cooperativa L’Involt, Ardenno strade e contrade,
Bonazzi Grafica, Sondrio 1993;
- Mario Gianasso, Guida Turistica della Provincia di
Sondrio, BPS II Edizione, Bonazzi Grafica, Sondrio
2000;
- Giuseppe Songini, L’energia elettrica in provincia
di Sondrio 1883-2002, Bonazzi Grafica, Sondrio
2004;
- G. Azzalini e M. Innocenti, Le voci della Memoria.
Vita ad Ardenno e frazioni dall’inizio del Novecento
al Secondo Dopoguerra, Tipografia Ignizio, 2014;
- AAVV, La strada dei Cincett, Tipografia Polaris,
Sondrio 2000.
1 - Il percorso della manifestazione podistica "La
camminata dei cincett" è segnato con frecce e
piccoli bolli bianchi abbastanza facili da seguire, se
non per il fatto che il tracciato negli anni ha subito
alcune modifiche e ancora sono presenti le
fuorvianti vecchie indicazioni. In ogni caso, per
lunghi tratti si sovrappone al circuito “Arte,
Cultura e Paesaggio tra le vigne di Ardenno”.
2 - Per la descrizione completa e dettagliata di
ciascuna cappelletta rimandiamo a La strada dei
cincètt (op. cit.).
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Vista la grande densità di strade carrozzabili, per una maggiore pulizia grafica sono state
indicate schematicamente solo le principali.
Ardenno in una cartolina viaggiata negli anni '30 (archivio Maurizio Cittarini).
Ardenno oggi. Trovate le 10 piccole differenze (23 febbraio 2015, foto Roberto Ganassa).
La camminata dei Ci(a)ncètt
103
Escursionismo
stante castello di San Lucio. Il suo
nome deriva da quello di una famiglia proveniente da Piazzalunga e qui
stabilitasi sin dal 1484 per la coltivazione dei terreni. Interessanti, oltre al
cincètt, la disposizione e le strutture
delle case che denunciano chiari segni
di origine medioevale. Con Carlo
indugio nella ricerca di particolari
architettonici mentre Beno si sforza
di trovare improbabili inquadrature,
ma l’ora tarda e la spessa foschia non
lasciano speranze. Usciamo in cima
alla contrada sulla strada in corrispondenza delle enormi briglie selettive
della val Venduno. Procediamo sino
alle case di Masùn nei pressi di un
tornante dov’è un evidente complesso
dell’A.N.A. (bacheca con mappa del
circuito “Arte, Cultura e Paesaggio
tra le vigne di Ardenno”). Ci infiliamo (sx) tra le case sul sentiero che
guadato la valle Vilasca sale tra svettanti castagni sino al piccolo nucleo
di San Lucio (m 425, ore 0:30).
Nell’ascesa ci accompagna l’intenso
profumo dei castagni da poco tagliati
e accatastati per consentire all’acqua
piovana di asportare il tannino.
All'ingresso del nucleo ci accoglie la
piccola chiesa in posizione panoramica, in passato limite tra i vigneti
e l’inizio della boscaglia. Dai documenti antichi risulta che il borgo
avesse addirittura due chiese, ma oggi
rimane visibile solo quella dedicata
a San Lucio, mentre della seconda,
dedicata a San Leonardo, se n’è persa
traccia da tempo. Pare abbia subito
una variazione d’uso e il rinvenimento
di resti di affreschi cinquecenteschi
in un edificio avvalorerebbe questa
ipotesi. Anche del castello non vi sono
più tracce, ma da antichi documenti
si evince che il maniero fu demolito e
le pietre utilizzate, dopo aver diradato
il bosco, per edificare le prime abitazioni permanenti. Il piccolo borgo è
subito visitato, e dopo aver beneficiato
del panorama su Orobie e fondovalle,
riprendiamo il sentiero in piano (O)
che porta alla strada e la seguiamo
(O) per 300 m sino al suo termine
presso le case di Bör3. Qui ricomincia
la mulattiera vicinale del Mottallo. Il
bosco ha invaso i terrazzamenti e le
3 - Ci è stato detto che questa via asfaltata dovrebbe
proseguire fini ai prati di Bioggio, dove ne giunge
già un'altra dalla strada che sale a Bioggio.
104
LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante retico
Il palazzo secentesco Parravicini-Sabini (8 febbraio 2015, foto Nicola Giana).
Piazzalunga e la chiesa di Sant'Abbondio (12 febbraio 2015, foto Beno).
Il cincètt del Cavalee, fatto costruire nel 1887 da Pomoli Pietro e dal figlio Giacomo in via
Cavallari, è il primo che si incontra nell'escursione (12 febbraio 2015, foto Beno).
L'affresco della Madonna delle Grazie, copia di un quadro di Roma, si trova all'interno del
ciancètt del Corda, posto sul sentiero Biolo-Baffo (12 febbraio 2015, foto Beno).
Le chiesette di San Lucio e di Valmala (8 febbraio 2015, foto Nicola Giana).
Biolo in veste invernale (16 gennaio 2013, foto Roberto Ganassa).
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI case sono in stato di degrado avanzato. Il sentiero sale dolcemente, poi
s’impenna in prossimità del cincètt
del Müt4, dove si trova un dipinto
molto deteriorato che ha come tema
la Madonna del Rosario. Quello che
sorprende è sapere che la zona, ora
invasa dal bosco e dalle spine, grazie
alla buona posizione, era ricca di
vigneti, orti e alberi da frutto, certamente una risorsa per i tempi passati.
Usciamo dal bosco passando a
monte del nucleo di baite del Mutàl
e in vista del rudere della ca Bianca.
A questo punto il percorso abbandona il sentiero per attraversare un
incolto. La cosa ci par strana, ma
la freccia parla chiaro, girare a sx. E
mentre avanziamo perplessi cercando
una spiegazione, giunge un signore
col quale scambiamo qualche parola.
Ci racconta che la casa è così chiamata
perché intonacata con calce bianca e
che un incendio appiccato dai fascisti
durante la II Guerra Mondiale l’ha
ridotta a un rudere pericolante.
Questo è il motivo della breve deviazione. Aggiunge che questa zona era,
in passato, intensamente coltivata a
vigneto, campi e frutteti, tant’è che
la chiamavano l’èra (zona buona per
coltivi). Ora la casa ha una proprietaria che vive in Svizzera e che l’estate
scorsa è venuta a tagliare un po’ di
infestanti. Ci congediamo ringraziandolo per le preziose informazioni e
alla richiesta del suo nome risponde:
“me ciàmi Arnaldo, de Ardèn, quel
senza l’öc'.”
Il sentiero porta a uno dei tanti ponti
che scavalcano la condotta forzata che
serve la centrale di Ardenno5 e un
centinaio di metri dopo incontriamo
il cincètt dela Mort. Il riferimento alla
morte rimanda sia al dipinto centrale
con scena della Madonna addolorata
che regge il corpo di Gesù morto,
deposto dalla croce, sia alla fragilità della condizione umana che alla
precarietà della vita. Il sentiero compie
due tornanti poi riduce la pendenza
e uscendo dal castagneto giunge al
cincètt dei Gianoo. Fu edificato come
ringraziamento per una scampata
4 - Era così chiamato per il fatto che nei pressi abitava un signore muto trasferitosi qui da Piazzalunga.
5 - L’impianto fu iniziato nel 1962 e completato
nel 1968. Utilizza le acque derivate, in val Màsino,
dai torrenti Bagni, Mello e Sasso Bisolo e raccolte
nel serbatoio di Prati di Lotto.
La camminata dei Ci(a)ncètt
105
Escursionismo
Versante retico
Passaggio a Pioda dei concorrenti della "Camminata dei cincett" (19 ottobre 2014, foto Giuseppe Fabani - www.podistivaltellinesi.it).
I ruderi della chiesa di Scheneno. Sullo sfondo il culmén di Tartano (2 febbraio 2014, foto Paolo Sertorelli).
disgrazia. Caso insolito, al suo interno
non vi sono dipinti ma solo un crocefisso ligneo con il corpo di Gesù di
gesso. Proseguiamo dritti verso O
(sx) evitando di prendere il sentiero
a dx (giusto davanti al cincètt)6 e con
ampio e comodo giro tra il limite del
bosco e i prati, saliamo alla chiesa di
Piazzalunga (m 676) dedicata a Sant'
Abbondio. Poco prima di fare ingresso
tra le case rasentiamo un lavatoio che
immaginiamo non veda anima viva da
tempo immemore. Piazzalunga deve il
nome, con tutta probabilità, al fatto
che il suo territorio si estende su una
stretta striscia longitudinale che dal
promontorio di San Lucio arriva sino
al crinale della ValMàsino, una sorta
di terrazza a metà montagna. Ma
nonostante la felice posizione, anche
questo borgo ha subito inesorabile
l’abbandono dei suoi abitanti in cerca
di miglior vita, e nemmeno la costruzione della strada ha invertito questa
tendenza. Così, vagando senza meta
tra le case semi abbandonate, ristrutturate o raffazzonate alla bell’e meglio
in cerca di segni del passato, si avverte
quel senso di disordine misto a malin-
di Biolo (S, sx). Sempre sorprendenti e degni di nota i muri di pietre
a secco che accompagnano il nostro
cammino.
All’incrocio successivo incontriamo
il ciancètt Selve ai Pree, pare edificato
nel 1900 dopo la costruzione della
strada che da Biolo scende alla chiesetta, da qui poco distante, di San
Rocco. Lo passiamo sulla dx e intersecata poco dopo la strada di cui
abbiamo appena parlato, in breve
raggiungiamo l’estremità occidentale
delle case di Biolo. Dopo aver attraversato il nucleo, ci abbassiamo sulla
strada asfaltata che porta al campo
sportivo di Biolo (m 608, ore 1:15),
dove ha termine la manifestazione
podistica10 e da cui seguiremo il
tragitto che molti dei partecipanti
compiono per tornare ad Ardenno.
Il campo sportivo è nella parte
inferiore di Biolo, le cui origini risalgono al 1400. La chiesa parrocchiale
dedicata a Santa Maria Assunta, che
sovrasta le nostre teste, fu consa-
crata nella metà del ‘500. Prima di
emigrare verso centri più redditizi,
i residenti vivevano del ricavato dei
campi, della coltura delle vigne, della
lavorazione del legno e della produzione di carbone. Anche l’architettura
rurale merita senz’altro una visita tra
le ripide vie acciottolate per scoprire
l’abilità nell’uso della pietra e del
legno. Capiterà anche d’imbattersi in
gente dall’accento romano, discendenti degli emigrati a Roma tornati in
cerca delle loro radici11.
Scendiamo (E) sullo stradone sino
al parcheggio del cimitero dove nei
pressi della bacheca imbocchiamo
il risc che s'abbassa rapido sino al
ciancètt dela Campagna12. Svoltiamo a
dx sulla strada asfaltata che seguiamo
sino a riprendere al termine della
recinzione di un giardino l’imbocco
del sentiero (sx). In prossimità di
un dosso evitiamo la deviazione a sx
e continuiamo verso O (dx) sino a
incrociare la strada comunale Biolo
vecchia nei pressi della chiesa dei
10 - “La Camminata dei cicett”, che nel 2015 compirà 16 anni, si svolge a ottobre, generalmente la
domenica prima del Trofeo Vanoni. Organizzata
dall'A.D.S. Ardenno Sportiva, prevede un tracciato
unico per tutti i concorrenti di 5,5 km. Per info:
http://www.ardennosportiva.it.
11 - La famiglia Ciampini, che lasciò legato il suo
nome a Ciampino, era originaria di Biolo.
12 - Edificato nel 1801, fu così denominato per il
fatto di trovarsi all’inizio di una strada di grande
transito per i lavori agricoli.
6 - Qui vi è una freccia bianca fuorviante che manda
a dx sul vecchio tracciato della gara.
106
LE MONTAGNE DIVERTENTI conia che non lascia intravvedere un
possibile riscatto di questi luoghi che
videro anche tanta fame e povertà, ma
sicuramente non lo stress tipico dei
giorni odierni.
Dal campanile prendiamo verso
N la via acciottolata che sale tra le
ultime case (sentiero per il bacino
di Pioda), poi continua nel bosco di
castagni e in breve siamo al cincètt dal
Praa7. Al bivio poco avanti ci teniamo
a sx e passando tra grossi castagni
sbuchiamo sulla strada asfaltata che
seguiamo sino al nucleo di Pioda. La
strada passa nei pressi del bacino artificiale (m 729)8 posto sopra un dosso
dal quale si gode un panorama che va
dal Legnone al gruppo del Baitone,
quest’ultimo inconfondibile sopra il
passo dell’Aprica. Il nucleo di Pioda
(m 694) ci appare compatto, con
i tetti rigorosamente in piode. Alle
prime case, nei pressi della fontana,
troviamo il ciancètt dela Pioda9 dedi7 - Dal soprannome della famiglia Gianoli, detta
“Quei dal Praa”; Martino Gianoli lo fece edificare
nel 1885 per essere miracolosamente sopravvissuto
alla caduta dal tetto di una casa in costruzione.
8 - Bacino di accumulo delle acque del Màsino che
alimentano la centrale di Màsino costruita nel
1912. La capacità di carico è di 18000 m2, mentre
il salto è di 427,80 m.
9 - I dialetti cambiano da contrada a contrada: da
cato alla Beata Vergine del Carmine.
Prendiamo a dx il viottolo (indicazione "Via per il Baffo" sul cantone
di una casa) che passando tra antichi
edifici immette nel sentiero per la val
Màsino (N). Con pendenza moderata camminiamo spediti rasentando
muretti ancora in buono stato affiancati da enormi castagni da frutto. Un
ruscelletto denuncia la presenza di un
lavatoio nel bel mezzo di questi castagneti, anch’esso in completo oblio.
Chissà, erano forse tenuti distanti
dalle case per non lordare l’acqua?
Il successivo ciancètt del Corda pare
disposto a segnare il cambio di
pendenza, mentre tra i rami spogli
fa capolino, sul versante opposto, il
nucleo di Cevo. Nella parete di fondo
è riprodotta la Madonna che allatta
il Bambino, copia di un quadro che
si trovava a Roma, ulteriore testimonianza dei legami esistenti tra queste
zone e la capitale che accolse numerosi abitanti in cerca di fortuna.
Proseguiamo sino ad incrociare la
grossa mulattiera che porta da Biolo
in val Màsino, esattamente al Baffo.
Ci immettiamo su questa in direzione
Pioda in avanti le cappellette votive mutano il loro
nome da ciancètt in cincètt.
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Santi Bernardo, Sebastiano e Rocco di
Scheneno (XVII sec.), abbandonata e
lasciata cadere in rovina.
Ripresa la via, ora cementata,
planiamo verso Ardenno (E),
dapprima tra boschi e poi tra vigneti
impervi, tipico esempio di “viticoltura
eroica”. Una targa ci avvisa di quattro
cippi miliari di origine romana, ma
li cerchiamo invano. Passiamo la
condotta forzata che scende da Pioda,
quindi le case di Valmala con la chiesetta di San Giovanni. Nella seicentesca cappella dedicata a San Giovanni
Battista è conservata una tela con il
battesimo di Gesù.
La strada scende ripida e termina
al piano in un nucleo di case che
attraversiamo imboccando a sx la via
Calchera Alta13 (seguire freccia gialla
della Via Valtellina n. 30). Percorriamo questa pedemontana che,
passando sul retro della centrale idroelettrica di Ardenno14, ci riporta al
parcheggio del centro sportivo.
13 - Il nome della contrada deriva da esperti
“calgheroli”, ossia produttori di calce, provenienti
da Gaggio e qui trasferitisi.
14 - La centrale, costruita nel 1968 e di proprietà
dell'ENEL, sfrutta un salto di 697 metri ed è in
grado di generare una potenza di 56,7 MW.
La camminata dei Ci(a)ncètt
107
Rubriche
GR 20
attraverso la Corsica
Pietro Pellegrini
Sui sentieri del Gran Randonnée 20, uno dei percorsi a
tappe più famosi e impegnativi d'Europa, che taglia da nord
a sud la Corsica e ne fa scoprire l'anima multiforme.
Concepito da Michel Fabrikant nel 1970, si sviluppa su
180 km, oltre 11000 m di dislivello suddivisi in 15 tappe, tra
valichi di montagna che superano i m 2000, picchi selvaggi,
foreste secolari, radure erbose ed estensioni di macchia
mediterranea.
E all'orizzonte, il mare.
108
In vetta alla Paglia Orba, la più bella vetta della Corsica, raggiungibile con una divagazione alpinistica nella VI tappa del GR 20.
SulloDIVERTENTI
sfondo il Capu
LE MONTAGNE
Tafunato, bizzarra montagna con un buco nel centro (7 ottobre 2008, foto Beno). Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - attraverso la Corsica
109
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Il GR 20: un sogno per gli appassionati di escursionismo, un obbiettivo che
richiede allenamento e capacità di adattamento. I sentieri sono impervi, non
sempre si trova acqua e i rifugi sono davvero essenziali, non gli alberghetti
d'alta quota che spesso si trovano sulle Alpi. Anche la logistica non è facile da
organizzare, né scegliere quando partire. Di sicuro autunno e primavera, stagioni
abbastanza miti e lontane dalla ressa estiva, sono i periodi migliori per godersi
appieno il gran viaggio tra le montagne dell'isola più grande di Francia.
Tappa
Durata
D+
D-
1
Calenzana → Ref. d'Ortu di u Piobbu
6 h 30
1360 m
80 m
2
Ref. d'Ortu di u Piobbu → Ref. de
Carrozzu
7h
780 m
930 m
3
Ref. de Carrozzu → Ref. d'Ascu
Stagnu
6 h 10
790 m
680 m
4
Ref. d'Ascu Stagnu → Ref. de
Tighiettu
6h
1060 m
800 m
5
Ref. de Tighiettu → Ref. Ciottulu di i
Mori
4h
620 m
150 m
6
Ref. Ciottulu di i Mori → Ref. de
Manganu
8h
650 m
1100 m
7
Ref. de Manganu → Ref. de Petra
Piana
6 h 30
830 m
600 m
8
Ref. de Petra Piana → Ref. de
l'Onda
4 h 50
490 m
910 m
9
Ref. de l'Onda → Vizzavona
6h5
720 m
1250 m
10
Vizzavona → Ref. de Capannelle
5 h 15
890 m
250 m
11
Ref. de Capannelle → Ref. de Prati
6 h 10
890 m
600 m
12
Ref. de Prati → Ref. d'Usciolu
5 h 45
700 m
770 m
13
Ref. D'Usciolu → Ref. de Matalza
4 h 25
380 m
650 m
14
Ref. de Matalza → Ref. d'Asinau
4 h 15
650 m
550 m
15
Ref. D'Asinau → Ref. de Paliri
7h
430 m
950 m
16
Ref. de Paliri → Conca
5h
160 m
1050 m
Il traghetto sbarca a Bastia, la
“capitale” della Corsica che si trova
nella parte nord-orientale dell'isola.
Il GR 20 ha invece inizio a nordovest, dal paese di Calenzana, e per
raggiungerlo si deve usare la storica
ferrovia corsa. Il treno a gasolio, che
viaggia lentamente su binari a scartamento ridotto, da Bastia si porta nel
cuore dell'isola. Dalla costa tirrenica
si va nell'entroterra, in luoghi meno
turistici e con paesaggi via via più
aspri. A Ponte Leccia vi è lo scambio:
abbandonato il tronco per Ajaccio, ci
si imbarca sulla linea per Calvi, che
corre sinuosa tra le montagne. Sembra
quasi il trenino rosso del Bernina, solo
che i prezzi sono più popolari, i vagoni
ben più spartani (come lo sono anche
tutti i rifugi lungo il percorso) e, particolare non da poco, siamo su un'isola
in mezzo al mare. Dopo circa 4 ore di
viaggio, oltre Ile-Rousse, mare a vista,
vi è la fermata “Dolce-Vita-GR 20”,
capolinea degli escursionisti che ambiscono a compiere la grande traversata
della Corsica. 8 noiosi chilometri a
margine di una strada sempre dritta
e trafficata sono il tappeto su cui
versare le gocce di sudore necessarie
a raggiungere la partenza del GR 20.
Certo, non tutti fanno così: a Calenzana ci si arriva anche su 4 ruote.
GIORNO 1
Il sole è alto sopra l'orizzonte,
quasi a perpendicolo sopra la mia
testa. Devo decidermi a fermarmi per
togliere il cappello dallo zaino e ripararmi dal forte irraggiamento. Aspetto
di raggiungere un punto panoramico
da dove scattare qualche fotografia,
in modo da raddoppiare l'utilità della
fastidiosa operazione di interrompere la marcia e frugare nello zaino.
Il sentiero segnalato fa guadagnare
quota più lentamente di quanto non
desideri in questa conca di macchia
mediterranea, mentre alle mie spalle
un leggero strato di nubi e umidità
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - I tappa. Calenzana dalle pendici del Capu Revalente (15 ottobre 2008, foto Beno).
GR 20 - attraverso la Corsica
111
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
GR 20 - I tappa. Ai piedi del Capu Revalente, verso la Bocca u Corsu
(3 ottobre 2008, foto Beno).
GR 20 - I tappa. Il Refuge de l'Ortu di u Piobbu che offre 32 posti letto
(27 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini).
GR 20 - III tappa. Su una punta panoramica nei pressi della Bocca di
Stagnu (5 ottobre 2008, foto Beno).
GR 20 - IV tappa. La discesa nel Circo della Solitudine dalla Bocca
Tumasginesca (28 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini).
GR 20 - II tappa. Bufera di neve al Col d'Avartoli. Sullo sfondo il golfo
di Calvi (4 ottobre 2008, foto Beno).
GR 20 - III tappa. La passerella sospesa non lontano dal Refuge de
Carrozzu (5 ottobre 2008, foto Beno).
GR 20 - VI tappa. Il Capu Tafunato e, a dx, la Paglia Orba - versante S viste scendendo dal Refuge Ciuttulu di i Mori (foto Pietro Pellegrini).
GR 20 - VI tappa. Ha inizio la Foret Demaniale de Valdu Niellu
(28 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini).
sfuma il blu del mare nell'azzurro più
chiaro del cielo. Mare, un concetto
così lontano da quello di montagna da
esserne semanticamente all'opposto,
ma che su quest'isola trova il modo
di fondersi con esso per diventare
entità complementari e indissociabili. Calenzana (m 250)1 scompare
dietro la montagna. Compaiono i
primi alberi d'alto fusto e il paesaggio
acquista gradualmente una morfologia
alpina, con sollievo dalla calura mediterranea, sebbene questa prima tappa
sia in tutta la sua lunghezza priva di
acqua. Nei pressi della Bocca u Corsu
(m 581) mi divido dal sentiero Tra
mare e monti, altro famoso percorso a
tappe corso, decisamente meno impegnativo del GR 20 e che da Calenzana
raggiunge Cargese senza mai allontanarsi troppo dalla costa. Raggiunta
la Bocca u Saltu (m 1250), un lungo
traverso porta all'arrivo della prima
delle 16 tappe, il Refuge de l'Ortu di
1 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée
4149 OT, Calvi-Cirque de Bonifatu, 1:25000.
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI u Piobbu (m 1570)2. Come in ogni
punto di tappa la struttura del rifugio
è circondata dalle tende dei numerosi
escursionisti impegnati sul percorso3,
essendo espressamente vietati il
bivacco e il campeggio su tutto il
tracciato del GR 20. Rinvigorisco le
riserve d'acqua e proseguo. È piacevole camminare nella morbida luce
del tardo pomeriggio, tanto più che il
sentiero attraversa numerosi ruscelli in
cui mi posso rinfrescare. Abbandonata
la foresta, l'ambiente si fa più brullo
e le prime cime innevate compaiono all'orizzonte. Al col d'Avartoli
(m 1898) i profili aguzzi delle più alte
e impegnative montagne corse fanno
capolino davanti a me, il mare alle mie
spalle. Una ripida discesa conduce al
Refuge de Carrozzu (m 1270), meta
di giornata.
2 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée
4250 OT, Corte-Monte Cinto, 1:25000.
3 - In media solo 1 escursionista su 4 riesce a completare l'intero tracciato.
GIORNO 2
Una passerella sospesa attraversa
il torrente Spasimata, affluente del
Figherella, fiumiciattolo che serpeggia
tra gli enormi pini marittimi e i larici
del Cirque de Bonifatu.
Risalgo il versante opposto della
valle lentamente per risvegliare il
metabolismo sopito dalla notte.
Passo accanto al minuscolo lac de la
Muvrela, e, poco oltre, raggiungo
alcuni camminatori partiti di
buon'ora. Il percoso si snoda tra verticali pareti rossastre, il paesaggio è
decisamente di alta montagna. Alla
Bocca di Stagnu (m 2010) la vista si
apre verso S e si scontra con la Grande
Barrière, la più importante dorsale
montuosa dell'isola, che mostra - tra
le altre - la sua massima elevazione: il
monte Cinto (m 2706).
Incrocio altri che percorrono la
tappa in senso opposto. Mi stupisce
la quantità di persone, in maggioranza
francesi ma anche inglesi, spagnoli,
tedeschi e italiani. Molti sono carichi
all'inverosimile e non posso che rallePrimavera 2015
grarmi per la mia sobria attrezzatura
che mi permette di viaggiare più
leggero, anche se al costo di qualche
rinuncia alimentare e di comfort
notturno. La mia intenzione è di viaggiare al ritmo di 2-3 tappe al giorno,
riducendo di conseguenza i tempi di
percorrenza e in proporzione il bagaglio. Certo è che il GR 20 dimostra
che perché un sentiero a tappe sia
ambìto non occorre alcun comfort,
ma semplicemente promettere un
ambiente naturale integro e selvaggio.
Chissà se questo messaggio verrà
prima o poi recepito anche da chi si
occupa di turismo e di territorio sulle
Alpi.
Una picchiata mi porta al Refuge
Asco-Stagnu (m 1422), capolinea
della terza tappa. Mi trovo in una ex
località sciistica dove arriva anche la
tortuosa e aerea carrozzabile proveniente da Ponte Leccia.
Proseguo per l'ampia vallata che sale
alla Bocca Tumasginesca (m 2183).
Incrocio le prime lingue di neve e mi
concedo un bagno in un laghetto che
LE MONTAGNE DIVERTENTI raccoglie le acque di scioglimento.
Sopra la mia testa c'è l'imponente
Pic Von Cube (m 2247), o punta
Rossa, toponimo che evidentemente
deriva dal colore delle sue rocce.
Alla bocchetta ha inizio un tratto di
parete dove il sentiero è attrezzato con
catene. Scendo così per 200 metri
in un anfiteatro granitico chiamato
Cirque de la Solitude, ovvero Circo
della Solitudine, il luogo più selvaggio
del GR 20. Per uscirne, salgo la
dirimpettaia faccia rocciosa attrezzata
che mi conduce alla Bocca Minuta
(m 2218). Ora la via scende al Refuge
Tighiettu (m 1683), bizzarra struttura a palafitta e arrivo della quarta
tappa. Qui non è raro avvistare degli
esemplari di muflone corso, specie
endemica che probabilmente discende
da una capra inselvatichita portata
sull'isola nel neolitico e che ha mantenuto i suoi tratti genetici salienti:
robusta come uno stambecco, pelo
come un capriolo e corna arrotolate
come un ariete.
Perdo circa 400 metri di dislivello
tra i radi e maestosi esemplari di Pino
Laricio di Corsica, quindi piego a
destra e, contornando le pendici meridionali della Paglia Orba (m 2525),
vinco gli 800 metri di dislivello positivo per la Bocca di Foggiale (m 1962)
e il vicino Refuge Ciuttulu di i Mori
(m 1991, arrivo della quinta tappa).
Sono ai piedi di Paglia Orba, la
montagna più bella della Corsica, e
Capu Tafunato (m 2335), una pala
rocciosa con un grande foro a forma di
occhio nel centro (35 m di lunghezza
per circa 10 m di altezza massima).
Punto in direzione opposta alle
due cime, esattamente a S, e, dopo
le dolci praterie d'alta quota, divallo
dolcemente verso Castellu di Vergio,
piccola stazione sciistica a metà della
sesta tappa, dove pernotto. Qui passa
la D84, strada che percorre chi va da
Porto a Corte e che tocca il Col de
Vergio (m 1477)4, il passo automobilistico più elevato dell'isola.
4 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée
4251 OT, Monte d'Oro-Monte Rotondo, 1:25000.
GR 20 - attraverso la Corsica
113
Rubriche
114
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - attraverso la Corsica
Cavalli al pascolo nella zona umida del Lac de Nino (29 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini).
115
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
GR 20 - VI tappa. La Bergeries de Vaccaghia (29 giugno 2014, foto
Pietro Pellegrini).
GIORNO 3
Comoda partenza attraversando
la Foret Demaniale de Valdu Niellu.
Il forte isolamento e la bassa densità
abitativa dell'entroterra corso hanno
permesso lo sviluppo di foreste secolari, con incredibili esemplari di faggio
e pino laricio resi asimmetrici dall'azione del vento. La mulattiera sale alla
Bocca San Pedru (m 1452), da cui si
ha una emozionante vista sulla costa
occidentale della Corsica da Porto al
Colle di San Bastiano (poco a N di
Ajaccio). Circa 4 km ed eccomi alla
Bocca a Reta (m 1883), accesso alla
meravigliosa zona umida del Lac de
Nino (m 1743). Alcuni cavalli pascolano liberamente tra le anse del Tavignano, secondo fiume della Corsica,
che nasce proprio da questo specchio
d'acqua. Passo accanto alla Bergeries de Vaccaghia (m 1621), piccola
fattoria di montagna composta
da qualche baita costruita a secco.
Oltre una grande piana, raggiungo
il Refuge de Manganu (m 1601),
arrivo della sesta tappa, la più lunga
del GR 20 con quasi 23 km di
sviluppo. Il sentiero torna a salire tra
le mucche che pascolano poco distanti
dalle lingue di neve che scendono
dalla Breche de Capitello. Si apre un
ampio panorama sui sottostanti Lac
di Capitello, rinserrato tra cupe pareti
rocciose, e Lac de Melo. Un tratto
attrezzato traversa sotto cresta fino alla
Bocca Muzzella e al Refuge de Petra
Piana (m 1842, arrivo della settima
tappa), posto a S del monte Rotondo,
che coi suoi m 2622 è la seconda vetta
dell'isola. Qui abbandono il tracciato
classico del GR 20 per la prima delle
4 varianti alpine. Contrassegnata da
bolli gialli anziché da segnavia biancorossi come il GR 20, cavalca le facili e
dirette creste della Serra Bianca e Serra
di Tenda fino al minuscolo Refuge
de l'Onda (m 1430, arrivo dell'ottava tappa), riducendo di molto lo
sviluppo rispetto al tracciato classico.
GR 20 - aperitivo della VII tappa. Sguardo sul sud della Corsica dal
monte Rotondo (9 ottobre 2008, foto Beno).
116
LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - VII tappa. Mucche al pascolo salendo alla Breche de Capitello
(29 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini).
GIORNO 4
La tappa parte in salita, con nebbia
e un forte vento da O. Sempre per
cresta raggiungo la Pointe Muratello
(m 1921) e in pochi minuti l'innesto della variante alpina che porta
in vetta al monte d'Oro (m 2389).
La nebbia crea un "effetto Orobie"
alquanto familiare. In vetta mi trovo
sopra al mare di nebbie che arriva da
O e si dissolve sul lato orientale della
montagna, lasciando intravedere il
mare e un'isola rocciosa all'orizzonte.
Una lunga discesa porta a Vizzavona (m 920, arrivo della nona
tappa), agglomerato di poche case
e attività commerciali raggruppate
attorno alla stazione ferroviaria (linea
Bastia - Ajaccio). Qui termina il cosiddetto GR 20 Nord e inizia il GR 20
Sud5, più facile del settore appena
percorso. Volendo fare un paragone si
può dire che il GR 20 Nord ha carat5 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée
4252 OT, Monte Renoso-Bastelica, 1:25000.
GR 20 - VII tappa. Lac di Capitello e Lac de Melo dalla Breche de
Capitello (29 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini).
Primavera 2015
GR 20 - VIII tappa. La cresta che dal Refuge de Petra Piana porta al
Refuge de l'Onda (9 ottobre 2008, foto Beno).
teristiche alpine, mentre il GR 20 Sud
è più di tipo appenninico e presenta
meno passaggi tecnici.
Una fresca salita nel bosco di
faggi, la Foret Demaniale de Vizzavona, conduce alla Bocca Palmente
(m 1640). Un lungo tratto in costa
e sono al Refuge de Capannelle
(m 1586, arrivo della decima tappa),
nei pressi di alcuni impianti sciistici.
GIORNO 5
La variante alpinistica dell'undicesima tappa permette di salire al monte
Renoso (m 2352), punto panoramico
da dove si scorge il mare che lambisce
sia la costa orientale che quella occidentale. Il sottostante Lac de Bastani
raccoglie le acque che ancora si
stanno sciogliendo sui versanti della
montagna. Mi abbasso alla Bergeries
des Pozzi (m 1783) tra ampie praterie
con mucche e cavalli che pascolano
allo stato brado. Due bambini si divertono a costruire per i passanti origi-
nali papaveri in origami. La variante
si ricongiunge al GR 20 poco prima
del Col de Verde (m 1289), da cui
riprende l'ascesa verso la Bocca d'Oru
e il vicino Refuge de Prati (m 1820,
arrivo dell'undicesima tappa). Spingo
con forza con i bastoncini mentre
gocce di sudore rigano le lenti scure
degli occhiali. Fatico a ordinare in
modo coerente la sequenza di tappe,
montagne, colli, rifugi, persone ed
emozioni che si sono alternate in
questi giorni.
La dodicesima tappa6 è un percorso
sotto cresta, attraversando il Col de
Rapari e la Bocca di Laparo, fino al
Refuge d'Usciolu (m 1750, arrivo
della dodicesima tappa). Ancora uno
sforzo per guadagnare la Bocca di
l'Usciolu, poi una lunga discesa mi
allontana dalle creste rocciose per
abbracciare i boschi, le radure e i
pascoli di bassa quota della Bergeries
6 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée
4253 ET ,Aiguilles de Bavella-Solenzara, 1:25000.
GR 20 - X tappa. Il Refuge de Capanelle (30 giugno 2014, foto Pietro
Pellegrini).
LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - variante IX tappa. In vetta al monte d'Oro (10 ottobre 2008,
foto Andrea Sem).
de Bassetta. Alle ultime luci del giorno
sono al Refuge Matalza (m 1410,
arrivo della tredicesima tappa).
GIORNO 6
Una strada bianca accompagna il
primo tratto di salita verso il monte
Incudine (m 2135), il più alto del sud
della Corsica. Da una guida francese
apprendo che questa zona era sede del
bacino glaciale più a sud d'Europa.
Le alte vette che si intravedono a N
si contrappongono ai tozzi panettoni
che segnano il paesaggio a sud-ovest,
mentre a sud-est il profilo aspro ed
irregolare delle Aiguilles de Bavella,
paradiso degli arrampicatori, e una
rapida occhiata alla mappa mi suggeriscono che le fatiche non sono finite.
Valico su lisce placche granitiche
e in breve sono al Refuge Asinau
(m 1530, arrivo della quattordicesima
tappa). Il sentiero scende, attraversa il
torrente e si immerge nella pineta. Un
bivio segnala l'ultima variante alpina,
GR 20 -X tappa. L' isolamento dell'entroterra corso ha permesso lo
sviluppo di alberi secolari, in prevalenza faggi e pino laricio di Corsica.
GR 20 - attraverso la Corsica
117
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
3,5 cm
0169 WIND CHIME PAN 14-4002 TPX
0741 ORANGE.COM PAN 18-1561 TPX
8,3 cm
3,5 cm
1806 LIME PUNCH PAN 13-0550 TPX
GR20 - XIV tappa. Valicando la Bocca di Chiralba Verso il Rifugio Asinau, al cospetto del monte Incudine (2 luglio 2014, foto Pietro Pellegrini).
2,9 cm
2 cm
8 cm
che sale alla bocca Pargulù e con
alcuni saliscendi e un breve passaggio
attrezzato attraversa le Aiguilles fino
al Col de Bavella (m 1218). Il mio
francese si è perfezionato soltanto
nella parola “bonjour”, che scambio
decine di volte al giorno con le
persone che incrocio. Banchetto con
melone e albicocche e mi addormento
su di un prato non lontano dalla
strada. Ancora assonnato mi rimetto
2043 MYKONOS BLUE PAN 18-4434
TPX
in cammino sulla via per il Refuge de
Paliri (m 1055, arrivo della quindicesima tappa), dato a 2 ore. Imbocco la
mulatteria contrassegnata dai segnavia
e ne affronto i saliscendi protetto
dall'ombra rinfrescante della foresta.
Qualche foto nei pressi del rifugio e
mi incammino verso Conca, capolinea del GR 20. Il sentiero corre largo
tra i pini e le felci. Guglie e pinnacoli di roccia rossastra emergono in
angoli remoti di foresta. Incontro
un paio di escursionisti ormai giunti
alla fine della prima tappa del GR 20
percorso da S a N. Scruto l'orizzonte
per cogliere il mare e inizio a correre
sui sassi, la terra battuta e le placche
rocciose. Il sentiero scende gradualmente, a tratti risale e taglia a mezza
costa, senza svelare la via d'uscita a
questa foresta dal fascino primordiale.
Il torrente rumoreggia sul fondovalle,
creando pozze cristalline. Accelero,
nelle ultime luci del giorno, fino a
che il profilo di un campanile sbuca
tra le cime degli alberi. Incrocio una
strada asfaltata e in qualche centinaio
di metri sono in paese:
CONCA
Arrivée du "G.R.20"
Vous voici au terme
de vôtre odysée.
Vous avez parcouru
environ 180 km.
Bravo!
GR20 - XVI tappa. Attraverso la grande foresta che dal Refuge de Paliri conduce a Conca (2 luglio 2014, foto Pietro Pellegrini).
118
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - attraverso la Corsica
119
Gf
Rubriche
allo
orcello
Lek, si va in scena!
Alessandra Morgillo
Un canto d’amore risuona alle prime luci dell’alba
nell’aria ancora gelida di fine aprile. Lassù, tra i boschi
radi d’alta montagna, un maschio di gallo forcello
(Lyrurus tetrix), detto anche fagiano di monte, dà inizio
alla sua esibizione.
120
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
Gallo forcello (26 aprile 2012, foto Andrea Zampatti - www.flickr.com/photos/zampa_natureview
) forcello
Gallo
LE MONTAGNE DIVERTENTI
121
Rubriche
Sfidanti a duello. Le elaborate parate nuziali, costituite da posture e atteggiamenti ritualizzati, possono sfociare in combattimenti anche molto
violenti, finalizzati a stabilire una gerarchia tra i maschi che determina la loro posizione all’interno del lek (nome tecnico per definire l’arena di
canto). Il punto più ricercato è il centro dell’area, dove i maschi dominanti più anziani hanno maggiore probabilità di attrarre le femmine, che
qui si sentono più sicure perché il rischio di predazione è minimo. Queste ultime sono più piccole e dal piumaggio molto differente dai maschi: il
loro abito mimetico di color rosso-ruggine fittamente barrato di nero, le nasconde agli occhi dei predatori quando si dedicano alla costruzione del
nido, una semplice depressione scavata nel terreno, spesso nascosta tra i cespugli di rododendro o ginepro, dove si occupano da sole della cova e
della cura della
prole (2 aprile
2013, foto Andrea Zampatti).
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
122
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Gallo forcello
123
Fauna
Rubriche
Andrea Zampatti in azione nel capanno (26 aprile 2012, foto Denis
Bertanzetti).
I
l misterioso fascino che avvolge
i galli forcelli, uccelli appartenenti alla famiglia dei Tetraonidi,
deriva soprattutto dal loro appariscente comportamento riproduttivo:
sul finire dell’inverno i maschi escono
allo scoperto e si portano nelle arene
di canto, che sono aree aperte non
molto ampie, dette lek o balz, dove
mettono in scena spettacolari danze,
parate e vigorosi combattimenti per
sedurre le femmine. I loro rituali
così particolarmente elaborati stupiscono e incuriosiscono anche l’uomo,
specialmente se è sensibile alla natura
e ancor più se ha scelto come professione e per passione di documentare
gli animali selvatici, svelandone i loro
segreti più profondi.
È il 26 aprile e Andrea, fotografo
della natura, sa che in questo periodo
ogni mattina è quella giusta. Qualche
tempo fa i guardiacaccia gli avevano
indicato con precisione la posizione di un lek nel Parco del Brenta
e i galli, se indisturbati, si servono
delle stesse aree anche per decenni.
Andrea conosce bene i galli, è andato
più volte a fotografarli, ma non ha
mai visitato quell’arena che adesso è
ancora sicuramente coperta di neve e
decide di tentare. Il suo amico Denis,
animato dalla stessa passione, accetta
di buon grado di fargli compagnia e i
due preparano tutto l’occorrente per
un’avventura “into the wild”.
Quando la spedizione ha inizio il
sole del primo pomeriggio è tiepido
e riscalda il morale dei due ragazzi
che si apprestano a superare a piedi
qualche centinaio di metri di dislivello. La neve caduta copiosa nei
124
LE MONTAGNE DIVERTENTI Gallo forcello alla luce dell'alba (26 aprile 2012, foto Andrea Zampatti).
giorni scorsi, tuttavia, si rivela un
bell’impaccio che rallenta subito la
marcia. I due avanzano sempre più
faticosamente in circa un metro e
mezzo di neve fresca e ad ogni passo,
nonostante le ciaspole, sprofondano
per tutta la lunghezza della gamba
sotto il peso dello zaino di 15 chili.
Solo dopo tre ore e mezza, più del
doppio del previsto, Andrea e Denis
finalmente raggiungono una radura a
m 2000 che dovrebbe essere proprio
quella cercata.
Ad accoglierli un vento fortissimo
che trasforma in un’ardua impresa
anche montare il capanno. È ormai il
tramonto e devono fare in fretta, ma
la neve è così farinosa che li obbliga a
spalare una buca di almeno un metro
prima di trovare un substrato abbastanza stabile da sostenere la tenda,
che assicurano precauzionalmente
con dei sassi per non farla volar via.
Dopo aver sistemato meticolosamente tutta l’attrezzatura fotografica all’interno del capanno
mimetico, Andrea e Denis, stanchi e
decisamente affamati, al buio tornano
indietro, verso la vicina capanna dei
cacciatori, un riparo accogliente e più
adatto a consumare la cena. Quando
giungono davanti all’ingresso, una
nuova sorpresa li fa immediatamente
rammaricare di aver lasciato la pala
al capanno: la neve aveva sommerso
quasi completamente la porta!
All’una e mezza di notte, rifocillati, lasciano il confortevole rifugio
e tornano all’arena. Non c’è la luna
e per ritrovare il percorso devono
illuminare con la torcia frontale le
proprie orme impresse in precedenza.
Tutto è avvolto nel silenzio ovattato, la temperatura è scesa a -15°C
e per fortuna il vento si è placato.
All’interno del capanno si cerca di
ingannare il freddo e la lunga attesa
leggendo un buon libro.
Finalmente giunge l’alba, ma non
un’alba qualunque: uno spettacolo
raro. Il Brenta, nitido e imponente,
di fronte ai loro occhi si veste di rosa
e irradia una magica e surreale luce
soffusa che tinge di vita ogni molecola di quell’aria gelida e pungente.
Nello stesso momento il mondo
naturale si risveglia e in lontananza si
sentono i versi dei primi galli. Ogni
fotografo spera in cuor suo che il
proprio ambito soggetto si manifesti
proprio in quel momento, avvolto
dalla fantastica atmosfera effimera
che l’aurora regala.
Forse quella mattina Andrea ci ha
sperato così intensamente che un
gallo è arrivato proprio in quell’istante e si è posato su un larice
vicino all’arena, a 30 metri dal
capanno.
Inizia ad emettere i tipici rugolìi,
simili ai gorgoglìi dei columbidi,
accompagnati da caratteristici soffi. È
troppo lontano persino per il teleobbiettivo e i due fotografi continuano
a sperare, nel silenzio di quei minuti
interminabili in cui avrebbero voluto
fermare il sole. Finalmente il gallo si
avvicina, guadagna saltellando una
posizione insperata davanti a loro nel
centro dell’arena, a soli 6 metri dall’obiettivo! Spicca nella neve l’abito
nero-blu brillante con la coda a forma
Primavera 2015
di lira, significato letterale del nome
scientifico latino Lyrurus, per via delle
timoniere esterne molto più lunghe
di quelle centrali e ripiegate verso
l’esterno, in contrasto con le piume
del sottocoda bianchissime e la vistosa
escrescenza rossa, detta caruncola,
che rimarca l’occhio. Sarebbe un’inquadratura perfetta se non fosse per
un rametto, l’unico in tutta l’arena,
che si erge proprio tra i fotografi e il
tetraonide. Adesso che si trova solo al
centro della scena, il gallo dà sfoggio
di sé, si pavoneggia rivolgendosi
verso i fotografi, che riescono, loro
malgrado, a vedere bene solo qualche
penna della coda e il vapore che esce
dal becco e si innalza nell’aria ancora
piena di luce rosa.
Dopo cinque minuti di soffocata
disperazione, Andrea, sconsolato,
solleva il dito dall’otturatore: quel
ramo maledetto lascia solo intuire
a metà lo splendore della scena.
Inutile scattare ancora. Ma appena
ci rinuncia il gallo si sposta tutto a
sinistra e si concede per intero per un
solo scatto, appena in tempo prima
di spiccare il volo e posarsi molto
lontano.
Non sempre lo scatto sognato è
quello che si immagina in anticipo,
perché ora, proprio lì, fuori dalla
portata di un bel primo piano, Andrea
vede qualcosa che non aveva previsto.
Il dosso esposto disegna curve sinuose
piene di neve e il larice che spunta
appena contrasta esile sullo sfondo
omogeneo ripreso insolitamente da
un punto di osservazione più basso.
Sono tutti elementi che compongono
una scenografia perfetta, proprio
quella che il fotografo stava cercando,
ma che egli stesso non avrebbe saputo
individuare se non si fosse manifestata davanti ai suoi occhi. Il gallo
si è messo in posa su quel palcoscenico e si è esibito per un’ora. Alle
9.30 si allontana definitivamente nel
bosco e i due ragazzi possono uscire
allo scoperto e smontare il capanno.
Tutt’intorno notano tracce di lepre
variabile (Lepus timidus), che non
c’erano la sera prima. Una bellissima sensazione inebria i loro cuori
pervasi dalla consapevolezza di essere
stati parte integrante della natura,
ma nel ruolo di discreti spettatori,
totalmente invisibili ai suoi abitanti.
Nessuna femmina è apparsa quella
mattina, non è stata una giornata
fortunata per il gallo, ma Andrea e il
suo amico tornano a casa con l’animo
ricolmo di emozioni e la scheda della
macchina fotografica, scrigno di un
prezioso contenuto ancora tutto da
svelare.
Al termine di questo racconto
non ho potuto non chiedere al mio
amico che cosa effettivamente spinga
i fotografi come lui a vivere esperienze di questo tipo. Passare la notte
al freddo nell’incertezza di vedere
effettivamente gli animali non è da
tutti e spesso si torna casa a mani
vuote senza aver scattato nemmeno
una foto. So che non è solo l’ambizione di realizzare un buono scatto,
sono convinta ci sia dietro molto di
più; infatti la risposta che mi ha dato
Andrea ha dato conferma alle mie
supposizioni: “i galli sono animali
stranissimi e incredibili, i loro rituali
di seduzione sembrano diretti da uno
scenografo e quando ho la fortuna
di assistere ai loro vivaci combattimenti è come vedere due sfidanti sul
ring: puoi scommettere su di loro,
c’è la curiosità, la sorpresa, il dubbio,
perché nulla è scontato e fino a pochi
istanti prima dello scontro non puoi
immaginare chi sia il più forte. Ma la
cosa più straordinaria è che si assiste
a tutto questo senza che gli animali si
accorgano di te, sei presente, respiri
la stessa tensione, partecipi in diretta,
vivi con loro quel momento, ma allo
stesso tempo sei completamente fuori
dalla scena. Sono talmente concentrati nella loro esibizione che non
avvertono la presenza dell’uomo
se rimane immobile all’interno del
capanno mimetico. È incredibile
sentirsi parte della Natura selvatica
col privilegio di non arrecarvi alcun
disturbo, senza che la tua presenza sia
percepita e non possa quindi interferire in alcun modo con lo svolgimento
degli eventi. Questa per me è la vera
wild photography, ovvero vivere esperienze in prima fila e poterle documentare nel rispetto totale della
natura che amo così com’è, assolutamente intatta.”
È vero, dunque, che dietro ad
ogni fotografia c’è una storia e ogni
storia svela la prorompente volontà
della natura di manifestare tutta la
sua bellezza attraverso gli occhi non
soltanto di chi ha la fortuna di viverla
direttamente, ma anche e soprattutto
di chi è in grado di coglierla attraverso la poesia di un’immagine.
Maschio di gallo forcello in abito nuziale. In questa stagione sono molto evidenti le caruncole, escrescenze di color rossovivo poste sopra gli occhi (26 aprile 2012, foto Andra Zampatti).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Gallo forcello
125
L'arte della fotografia
Testi e foto Vittorio Vaninetti
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val di Zocca (27
2014,
f/16
- ISO 50 - 127
150s).
Gliluglio
effetti
del
tempo
L'arte della fotografia
Rubriche
“Quella fotografia sembra finta! Perché l’acqua è così strana
e il treno ha quella scia di movimento?”
Sono queste solitamente le prime impressioni del poco
esperto di fotografia quando si trova ad osservare scatti
eseguiti con tempi lunghi.
A sx: il fiume Adda. Uno scatto al tramonto con tempi lunghi per realizzare una sfocatura creativa (26 aprile 2012, f/16 - ISO 200, 8 s).
A dx: il trenino rosso del Bernina. Tempo lungo per trasformare le luci in scie artistiche (11 novembre 2014, f/16 - ISO 400, 2 s).
I
Val Màsino. Tempi lunghi per
creare l'effetto "lattigginoso"
dell'acqua (1 novembre 2013,
ISO 100 - 1,3DIVERTENTI
s).
LE -MONTAGNE
128 f/16
l tempo di scatto viene modificato
solitamente per controllare l’esposizione, ma può anche essere usato in
modo creativo per sfocare i soggetti
in movimento con l'effetto di dare
maggior senso di compiutezza all'azione o tracciare delle traiettorie.
Allungare il tempo di scatto quando
c’è molta luce è difficilissimo, se non
impossibile senza l’ausilio di filtri
scurenti (filtro a densità neutra o
filtro ND). Questi filtri sono studiati
per diminuire la luce che colpisce il
sensore. Arrivano addirittura a consentire di allungare di 1000 volte i tempi,
così da poter realizzare, in giornate di
sole pieno, anche scatti da 30 secondi.
Primavera 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Quando pensiamo all’esposizione
dobbiamo sempre considerare anche
il diaframma e gli ISO. Il livello ISO
serve per controllare la sensibilità
del sensore alla luce, il diaframma,
invece, gestisce quella che entra
nell’obbiettivo, il tempo di scatto,
infine, determina semplicemente la
durata dell’esposizione.
Queste impostazioni sono legate
strettamente tra loro. Se cambiamo
uno di questi parametri dobbiamo
regolare almeno uno degli altri due
per mantenere l’esposizione corretta.
Se vogliamo realizzare uno scatto
dal tempo lungo dobbiamo chiudere il diaframma (il che significa
aumentare il valore numerico di f ) e
tenere il levello degli ISO il più basso
possibile.
Per poter eseguire queste riprese è
ovviamente obbligatorio l’utilizzo di
un treppiede. Allungando il tempo,
possiamo creare così effetti particolari, come l’acqua o le nubi “lattiginose” o la scia degli oggetti in
movimento. La difficoltà di questa
tipologia di scatti sta nel controllare
perfettamente l’esposizione; infatti
un errore molto comune è quello di
sovraesporre le aree soggette a grandi
movimenti, ad esempio l’acqua di un
torrente, che rischia così di risultare
bruciata.
Gli effetti del tempo
129
IL MIGLIOR FOTOGRAFO
LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
1
Fioriture a Sernio (23 aprile 2014, foto Giorgio Gemmi).
Recensione (a cura di Beno)
Il fotografo - Giorgio Gemmi
La primavera è la stagione delle fioriture, ma anche quella di transizione dal
freddo inverno, caratterizzato da neve e paesaggi brulli, alla verdeggiante estate.
L'azzeccata composizione di questa immagine viene a ricordarcelo: in primo piano
un prato del fondovalle a Sernio e sullo sfondo le vette ancora innevate. L'alternarsi
di fiori di tarassaco all'apice del colore con altri che attendono il soffio del vento che
ne porti via le sementi muove la scena. La brusca interruzione creata da staccionata,
meleti, pini e alberi d'alto fusto, infine, accentua la distanza sia fisica che cromatica
tra il terzo superiore e la restante parte dell'immagine.
Ho il piacere di bloccare in immagini quello
che vedo dal lontano 1974, cioè da quando
ho iniziato a lavorare e ho potuto ricomprarmi
lo strumento necessario che mi era stato
sequestrato dopo un anno dal primo acquisto
perchè avevo immortalato una "colonna della
Celere". Amo fotografare ma non mi considero
un fotografo.
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
- una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di
Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected].
- una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo
email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD,
come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione degli addetti,
alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Non si accettano fotomontaggi.
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1 ➣ Macherio - Anche Edoardo e Pitulina covano la passione per "Le Montagne Divertenti" (8 gennaio 2015).
2 ➣ USA - Il ranger Sandy con Flavio, Christian e Marco al Mesa Verde National Park in Colorado (12 novembre 2014).
3 ➣ Spagna - Cristina e Sara in visita a Valencia, città delle arti e delle scienze (22 ottobre 2014).
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Lurago d'Erba - Giulia con il piccolo Andrea (5 dicembre 2014).
Portogallo - Atleti e simpatizzanti della Rupe Magna di Grosio alla maratona di Porto (2 novembre 2014).
Orobie - Da Erve a Fonte San Carlo, gli alpini del gruppo Monza centro rifocillano i viandanti (7 febbraio 2014).
Orobie - Valter sul monte Lago, sotto di lui un lago di nebbia (28 settembre 2014).
Australia - Roberta, Lella e Nello: tre Caspoggini sulla Sydney Tower (3 novembre 2014).
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9 ➣ Prealpi comasche - Il nutrito gruppo escursionistico barzaghese "Mai sècch" in vetta al monte Palanzone (11 gennaio 2015).
10 ➣Media Valtellina - Dimitri, Fabrizio, Elisa e Francesco hanno scelto il nuovo rifugio Alpe Granda (4 gennaio 2015).
11 ➣Croazia - Marika, Stefano, Patrizia e Angelo davanti alla pittoresca chiesa di San Marco a Zagabria (26 agosto 2014).
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12 ➣Val Màsino - Giulia e Ismaele, piccoli scalatori crescono al sasso Remenno (14 agosto 2014).
13 ➣Montenegro - Olga ed Anna sui monti balcanici (maggio 2014).
14 ➣Orobie - Claudio, Stefano, Mauro, Giampy, Marco, Selena, Stefania, Luca e il pastore australiano Anouk a Santo Stefano (21 settembre 2014).
15 ➣Svizzera - La famiglia Bonini alle cascate di Trident, nel paradiso degli orologi a cucù (14 dicembre 2014).
16 ➣Campo Tartano - Carlo, Lucia, Luciano e Dilvo al doss de la Crus (8 gennaio 2015).
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17 ➣Tartano - Gli amici della val Tartano nei pressi del famoso Presepe (3 gennaio 2015).
18 ➣India - Dario, Chiara e Angela dopo una rappresentazione di Katakali, ballo tipico dello stato del Kerala (30 novembre 2014).
19 ➣Alta Valtellina - Franz insieme a Mykla e Remy a Pugnalt, nella val Grosina orientale (6 gennaio 2015).
20 ➣Australia - Roberto e Martina durante il loro viaggio di nozze all'Ayers rock (30 settembre 2014).
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21 ➣Creta - Nelle gole di Samaria (16 ottobre 2014).
22 ➣Olanda - Nella fredda Amsterdam, Piera, Raffaele, Cinzia e Ivo hanno iniziato il loro 2015 (3 gennaio 2015).
23 ➣Nepal - Claudio, Mariella, Arianna, Simona, Ornella e Gian al Kalapathar (19 novembre 2014).
24 ➣Liguria - Elena, Patrick, Paola, Sergio, Renzo, Barbara, Luca, Tiziana, Elisabetta ormeggiano a Savona (21 settembre 2014).
25 ➣Umbria - Chiara, Renzo, Giancarlo e Laura reduci dalla marcia Perugia-Assisi (19 ottobre 2014).
26 ➣Valchiavenna - Maria, Angelo, Beppe, Edy, Ugo, Roberto, Maria, Concetta, Angelo, Rosanna, Rita, Emy, i due Franco, Carmen e il fotografo Imre ricordano il 50° del CAI Nembro presso la diga di Lei (26 ottobre 2014).
27 ➣Bolivia - Valentina e Andrea allo sconfinato Salar de Uyuni (12 gennaio 2014).
28 ➣Orobie - Giorgia e Giulia portano LMD a Sostila, in val Fabiòlo (2 novembre 2014).
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29 ➣Tunisia - Edoardo e Lucia in piazza della Rivoluzione a Tunisi (28 settembre 2014).
30 ➣Liguria - Gli alunni di V della scuola primaria "Camilla Cederna" di Montagna Piano a Monterosso (27 maggio 2014).
31 ➣Francia - Filippo, Pio, Romina, Alessandra, Manuela, Lorenzo, Bruno e Adele in visita a Colmar (6 dicembre 2014).
32 ➣India - Simo, Elena, Antonella e Ilaria nel Rajasthan, davanti al Taj Mahal ad Agra (5 luglio 2014).
33 ➣Salento - I coscritti classe 1954 di Sondalo festeggiano i 60 anni presso l'hotel "Torre del Parco" di Lecce (9 novembre 2014).
34 ➣Sicilia - Il gruppo CAI-sezione Andrea Oggioni sul monte Etna (29 ottobre 2014).
35 ➣Engadina - Maurizio a spasso, presso il Lagh dal Lunghin (giugno 2014).
36 ➣Olanda - Fortissimi maratoneti, malenchi purosangue e adottati, con gli amici alla maratona di Amsterdam (19 ottobre 2014).
37 ➣Sardegna - La Madonna dei Venti sulla cima Cannone nell'isola di Tavolara regge la rivista a un lettore timido (26 ottobre 2014).
38 ➣Valmalenco - Le famiglie Chirico e Formica col piccolo Francesco, di soli 50 giorni (2 novembre 2014).
39 ➣Valcamonica - Alessandra e Tomas, la mamma Loretta e il folletto rosso Donatella al rifugio Valmalza (18 agosto 2014).
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40 ➣Caspoggio - Papà Ettore e nonna Liliana con il piccolo Giovanni (25 dicembre 2014).
41 ➣Russia - Alda, Mario, Andrea, Marco e Luca a Mosca, in barca sul fiume Moscova davanti al Cremlino (23 novembre 2014).
42 ➣Turchia - Giuliano, Patrizia, Mariangela, Elena, Silvio e Severino al Tempio di Apollo a Side (2014).
43 ➣Tenerife - Claudio e Laura sul vulcano Teide (7 agosto 2014).
44 ➣Orobie - Gigi, Sandro, Valerio, Raffaele, Giuseppe e Marco salendo al Meriggio (24 gennaio 2015).
45 ➣Austria - I malenchi Luca, Silvano, Davide, Stefano, Francesca, Simona ed Enrico alla Streif di Kitzbuhel (24 gennaio 2015).
46 ➣Sicilia - La "Sinferie viaggi" di Sondrio in vacanza a Sciacca.
47 ➣Media Valtellina - Giampy e Francesco sulla vetta di Ron (28 settembre 2014).
48 ➣Varese - I "ragazzi" della quinta ragioneria sezione A dell'Istituto Tecnico "De Simoni" di Sondrio festeggiano il 55° del loro diploma ad Angera (29 maggio 2014).
49 ➣Spagna - Stefania e Paolo al Camp Nou di Barcellona (4 gennaio 2015).
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soluzioni del n.31
Vincitori e
vinti
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Che scimma i-è?
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Questa volta non è stato per niente facile indovinare. In primo
piano si vede il Castello (m 2633), grosso corpo roccioso che si
alza sopra l'alpe Sasso Nero in Valmalenco. Nella sella a sx del
Castello è indicata la punta settentrionale della Corna Brutana
(m 3057), la più elevata delle tre cime che costituiscono l'edificio sommitale della montagna.
Questo è quanto bastava capire per contendersi i premi,
mentre per soddisfare gli appassionati più curiosi, vi dico che a
sx della Corna Brutana si intravede il primo dei tre Campanili
della vetta di Ron, mentre immediatamente a dx del Castello
si scorge la Corna Nera (m 2926), quindi la cima di Rogneda
(m 2918), da cui si stacca verso N la cresta che divide il buco
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del Cacciatore dalla valle della Lavigìólla, laterali sx della val di
Togno. Ultima cima di rilievo è la Corna Rossa (m 2916), che
si erge alle spalle del monte di Cavaglia (m 2728).
I vincitori sono:
1. Sara Mossini
2. Simone Nonini di Sorico
3. Chicco Gottifredi di Delebio
4. Antonietta Parolo di Torre
5. Enzo Andreoli
Hanno inoltre indovinato: Angel, Stefano, Giulia Presazzi.
Ma ch'el?
L'oggetto misterioso è un vecchio stampo per le ostie rimediato
in quel di Carona. Ha lunghi manici per non scottarsi mentre
si tiene la forma sul fuoco per la cottura. Sulle piastre si può
leggere la simbologia religiosa, con la scritta IHS, abbreviazione
di Ieosus, antico nome di Gesù.
I vincitori sono:
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50 ➣Croazia - Il CAI di Chiavenna a spasso in bici a Zara (15 ottobre 2014).
51 ➣Valmalenco - Renata con la sua gallina ovaiola Matilda (15 novembre 2014).
52 ➣Valmalenco - Nicoletta, Romano, Genny, Omar, Simona, Ilaria, Alessandro e Nicole al rifugio Palù (2 novembre 2014).
53 ➣Creta - Il vecchio lupo di mare Nicola fa il pediluvio nelle acque di Creta (14 ottobre 2014).
54 ➣Malta - Federica, Flavia, Piera e Paolo (beato tra le donne) a Marsaxlokk (16 novembre 2014).
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1. Angela Vanotti di Torre
2. Simone Nonini di Sorico
3. Chicco Gottifredi di Delebio
4. Alan Muscetti di Sondalo
5. Carlo Gianoli di Chiesa inValmalenco
Hanno inoltre indovinato: Frenzy, Flavia Passini, Laura, Sergio
Proh, Giorgio, Antonietta, Franco, Simone Civati, Bricalli Alessandro, Silvia, Ivan Andreoli, Andrea Bettinelli, Nadia, Stefano,
LE MONTAGNE DIVERTENTI Nicola Braga, Morellini Michela, Francesco, Mari, Attilio
Tartarini, Gianni, Ivano, Romi, Elena, Rina, Marco Serventi,
Ermanno Mossini, Aurelia, Paola, Ida, Paoletta, Paola Civati,
Marina Berta, Morellini Giovanni Paolo.
Giochi
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Superconcorso
Giochi
sci Skitrab Freedom 2014/2015 con attacco TR2 + pelli Skitrab
In palio: sci Skitrab Freedom 2014/2015 con attacco TR2 e pelli! Gli sci sono disponibili in varie lunghezze. Pelli e attacchi verranno regolati su misura per il vincitore.
Chi può partecipare: tutti quelli che entro domenica 5 aprile 2015 avranno dato la
soluzione esatta di entrambi i concorsi alla pagina a fianco. Nel caso in cui meno di 5
concorrenti fossero riusciti ad indovinare entrambi i quesiti, verranno ripescati anche
coloro i quali hanno dato solamente una risposta esatta. L'elenco dei semi-finalisti verrà
messo on-line lunedì 6 aprile.
Foto con la rivista: per accedere alla finale, entro venerdì 10 aprile alle ore 21 ogni
concorrente dovrà aver inviato a [email protected] 2 immagini: una
in cui il concorrente stesso è ritratto con la rivista accanto a un monumento simbolo
del proprio paese e una seconda in cui la rivista è tenuta in mano da un personaggio
rappresentativo della propria comunità. Entrambe le fotografie andranno corredate con
didascalie in cui si spiegano le motivazioni che hanno portato a scegliere monumento e
persona. Per chiarezza riportiamo un esempio - Carlo concorrente di Carona:
Che scimma i-è?
Beh,
se non indovinate credo dobbiate proprio rivolgervi a un ottimo oculista:
che cima (indicata con la freccia) e che alpeggio sono ritratti in questa
immagine?
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 3 aprile 2015 riceveranno questa foto stampata su tela, con telaio e supporti (70 cm lato lungo) + il nuovo CD ”Fieno” di
Davide Taloni in edizione speciale e con dedica del cantautore.
Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le ore 22 verranno estratti
3 fortunati a cui andranno la berretta LMD + il volume "Il Versante retico. Da
Cima di Granda al Monte Combolo". Scrivete le vostre risposte su
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
'N gh'el?
Che chiesa è ritratta in questa immagine?
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 2 aprile
2015 riceveranno maglietta + berretta
+ abbonamento annuale a LMD + il nuovo
CD ”Fieno” di Davide Taloni in edizione
speciale e con dedica del cantautore.
Tra tutti quelli che avranno indovinato
entro le ore 22 verranno estratti altri 3
fortunati a cui andrà la maglietta LMD +
il volume "Il Versante retico. Da Cima di
Granda al Monte Combolo".
Scrivete le vostre risposte su
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi/
Carlo mostra il numero 1 de LMD davanti
al portone di ingresso dell’antica chiesa di
Sant’Omobono, ex parrocchiale e simbolo di
Carona (10 febbraio 2015).
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
Albino Pedroli, 92 anni, memoria storica della
Moia di Carona dove tutt’ora vive in completa
autonomia. Nella sua vita è stato capo delle guardie
nella riserva di Belviso (20 dicembre 2014).
+
Caccia al tesoro: venerdì 10 aprile entro le ore 24 verrà inviata a tutti i finalisti una
email con la mappa e le indicazioni per la caccia al tesoro. Questo sarà nascosto lungo
uno degli itinerari descritti all'interno di questo numero. Vincerà il concorso il primo
che riuscirà a trovare la bottiglietta col buono, grazie al quale potrà recarsi da Skitrab
in via Battaglion Tirano, 6 a Bormio (SO) per ritirare la sua nuova attrezzatura da sci!
In caso di meteo particolarmente avverso, sebbene la bottiglietta non sia ubicata in
un luogo impervio, l'invio della email con la mappa verrà posticipato al primo giorno
in cui il pericolo valanghe tornerà moderato.
Le immagini inviate dai finalisti troveranno spazio nel numero estivo de LMD.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
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Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
Taiadìn di Teglio
Testi e foto Carlo Nani
In una Valtellina impegnata nella rincorsa al turismo facile, si sta perdendo non solo la memoria dei luoghi più
autentici, ma anche di molte ricette della vera cucina povera locale.
Perchè ciò non accada vi presentiamo un piatto dai sapori antichi, tipico della mensa dei contadini di Teglio: i
taiadìn. Si tratta di una “minestra di pizzoccheri” ricca di proteine nobili e fibre vegetali, una pietanza cucinata
non certo per appagare la vista, bensì il palato!
Ingredienti per 6 persone:
• 200 ml acqua tiepida
• 250 g farina di grano saraceno nostrano
di Teglio
• 50 g farina tipo “00”
• 2 foglie di verza tagliate grossolanamente
• 1 patata di media dimensione
• 1 noce di burro
• sale
• 3 l di brodo di carne
In un recipiente unite la farina di grano saraceno con la farina “00”, un pizzico di sale; lentamente versate nel recipiente l’acqua tiepida
impastando con le mani fino a ottenere un
salsicciotto della giusta consistenza. Tagliatelo a
rondelle grossolane. Aiutandovi con un mattarello stendete le rondelle d’impasto ottenendo
dei dischi dello spessore di 3 mm circa. Tagliate i
dischi a strisce larghe 6 cm e sormontatele infarinandole, tagliatele in modo tale da ottenere delle
tagliatelle larghe 5 mm e mettetele in un vassoio.
Nel frattempo portare a ebollizione, in una
pentola, del brodo di carne con la patata tagliata
finemente e le foglie di verza spezzettate grossolanamente. Quando bolle, buttate nel brodo
i pizzoccheri e mescolate per circa 15 minuti.
A cottura ultimata, dopo aver aggiunto la noce
di burro, impiattate inserendo del formaggio di
grana e un po' di formaggio che fila.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015
L'uomo più forte non è colui
che sa dominare il mondo,
ma colui che sa dominare se stesso.
Ettore Castiglioni (1908-1944), alpinista
LE MONTAGNE DIVERTENTI 149