Vie d`uscita - Le Montagne Divertenti
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Vie d`uscita - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti N°32 - PRIMAVERA 2015 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Ritorno alla terra Grano saraceno Antonio Boscacci Racconti inediti: "Il bidé della contessa" Personaggi Ettore Castiglioni (1908-1944) Clima 2014 È stato l'anno più caldo di sempre? Traversate Dai Bagni di Màsino a Villa di Chiavenna Valmalenco Alta Via: 3a tappa Alpi Orobie Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) Alta Valtellina Cima di Saoseo (m 3264) Ardenno La camminata dei ci(a)ncètt Valtellinesi nel Mondo GR 20: la traversata della Corsica Natura Gallo forcello Cultura Novità in biblioteca Inoltre Ricette, foto dei lettori, giochi, superconcorso, libri ... Vie d'uscita VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Beno Sono sotto gli occhi di tutti alcuni mali del mondo moderno: stili di vita troppo frenetici e stressanti, la folle rincorsa a chimere create da una società che non distingue gli indicatori economici da quelli del benessere reale, il consumo del territorio, lo spreco dissennato delle risorse, la corruzione e le ingiustizie sociali, la perdita di capacità motorie dovuta a uno stile di vita troppo sedentario, la mancanza di contatto con la natura... Tuttavia ai più sembra impossibile trovare una speranza di cambiamento, anche solo per se stessi. Questo credo dipenda dalla pressione mediatica che spaventa le persone, le fa sentire inadeguate qualora non siano aggiornate e allineate con gli ultimi modelli consumistici che, tra le altre bestialità, bandiscono i momenti di riflessione e di introspezione: bisogna sempre mostrarsi impegnati a fare o a comunicare qualcosa anche qualora non si abbia niente di importante da fare o da raccontare. Questa è la moderna schiavitù. Le catene non sono più di ferro, ma wireless e si manifestano in una totale sudditanza psicologica: sottili e rodati meccanismi di marketing hanno portato all'autoimposizione di comportamenti e abitudini che mantengono e rafforzano lo stato delle cose, emarginando, deridendo e demonizzando chi ha trovato il modo per affrancarsi. In tutto ciò, per di più, si è convinti di essere liberi, in quanto si può scegliere o votare. Poco importa se le alternative offerte conducano tutte nella medesima direzione. Ah, qualcuno mi contesterà: «Lo schiavo non aveva stipendio!» In effetti è vero, ma lo stipendio non è che uno degli aggiornamenti moderni della schiavitù, da spendersi rigorosamente in prodotti che ingrassano ulteriormente il sistema, ma non sfamano il nostro animo. Il ritorno alla terra, ai momenti in cui si ammira la natura volendone essere parte, quando si fa qualcosa solo perché è bello e non per averne in cambio soldi, quando l'etica e il rispetto prevaricano l'opportunismo, quando si è incuriositi e si studia, quando si inizia un percorso di cui a beneficiarne saranno le prossime generazioni: questi sono tutti momenti di vera libertà, il cui sapore mostrerà a tutti un'inaspettata quantità di vie d'uscita. 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Vignetta: Valtellina, proposte 2015 per un turismo intelligente. In copertina: grotta nel ghiacciaio del pizzo Scalino (25 maggio 2014, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). Editoriale LE MONTAGNE DIVERTENTI Ultima di copertina: pian di Spagna e monte Legnone al tramonto (19 novembre 2014, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). 3 O LE MONTAGNE DIVERTENTI S I peciali tinerari d’alpinismo I tinerari d’escursionismo R ubriche Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Direttore Responsabile Enrico Benedetti I Beno Redazione Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Roberto Moiola 10 Realizzazione grafica Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti 78 Alta Via della Valmalenco 108 Ritorno alla terra Grano saraceno 3a tappa Valtellinesi nel mondo GR 20 - Attraverso la Corsica R Beno Andrea Sem e Diana De Gasperi, Andrea Zampatti, Angelo Recalcati, Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Carlo Nani, Denis Bertanzetti, Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Fabio Pusterla, Flavio Casello, Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Giovanni Rovedatti, Giuseppe Fabani, John Harlin, Luca Gianatti, Luciano Bruseghini, Marco Muscogiuri, Marino Amonini, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Nicola Giana, Paolo Sertorelli, Pietro Pellegrini, Raffaele Occhi, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Simone Ronzio,Vittorio Vaninetti. Si ringraziano inoltre A Hanno inoltre collaborato a questo numero: 25 Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380138 Stampa 50 90 62 94 Traversate Dalla val Màsino alla Valchiavenna Approfondimenti Monte Disgrazia e ghiacciai 120 Natura Gallo forcello M Avis Comunale Sondrio, Elena e Piero Lenatti, Lino Saini, Giancarla Maestroni e Patrizio Mazzuchelli, Franco Monteforte, Giorgio Urbani, Giovanna Iacolino, Lorenzo Dotti, Gianfranco Fava, Lorenzo Dotti, Dario Songini e famiglia, Vittorio Toppi, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che abbiamo dimenticato di citare. Personaggi Ettore Castiglioni (1908-1944) 32 Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Racconti inediti Il bidé della contessa Alpi Orobie Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) Approfondimenti Val Sissone 127 Fotografia Gli effetti del tempo Contatti, informazioni e merchandising annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su - www.lemontagnedivertenti.com - oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati in segreteria). Arretrati 38 96 Clima 2014 I record dell'anno trascorso Approfondimenti Zingari degli alpeggi O Abbonamenti per l’Italia M [email protected] www.lemontagnedivertenti.com [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero S 21 giugno 2015 44 Novità in biblioteca Primavera 2015 70 Alta Valtellina Cima di Saoseo (m 3264) LE MONTAGNE DIVERTENTI 100 Versante retico La camminata dei ci(a)ncètt 130 Il miglior fotografo 131 Le foto dei lettori 143 Vincitori e vinti 144 Giochi 146 Le ricette della nonna Taiadìn di Teglio Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers 3062 2115 Mulegns 3279 3378 Cresta St. Moritz Maloja Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 3183 Mera Pizzo Galleggione 3107 CHIAVENNA Prata Camportaccio Somaggia Novate Mezzola 3032 Lago di Como Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Bellagio Introbio Lierna Caiolo Tartano Ornica LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Foppolo Carona Mezzoldo Cùsio Piazzatorre Valtorta Pasturo 6 Colorina Tremenico Premana Cassiglio Olmo al Brembo Brusio Ponte in Valt. Albosaggia Pizzo Campaggio 2503 TIRANO Bianzone Teglio Tresenda Arigna Carona Aprica Còrteno 62 Schilpario Gromo Primavera 2015 Vilminore Colere Villa Pizzo Camino 2492 Monte Carè Alto 3462 Berzo Paisco Concarena 2549 Monte Fumo 3418 Garda 50Traversate Dai Bagni di Màsino a Villa di Chiavenna (Beno) Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) (Luciano Bruseghini) 70 Alta Valtellina Cima di Saoseo (m 3264) (Luciano Bruseghini) 78Valmalenco Alta Via, 3 tappa: dalla Porro a Chiareggio per il rifugio Del Grande - Camerini (Eliana e Nemo Canetta) a 100Versante retico Adamello 3554 Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Passo del Tonale 1883 Edolo Malonno Pizzo di Coca Monte Torena 2911 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo di Redorta Loveno 3039 Monte Gleno Pizzo del Diavolo 2883 Valbondione di Tenda Passo del Vivione 2914 1828 Gandellino Cortenedolo Vione Ponte di Legno Incudine Monno Passo dell'Aprica Pizzo di Rodes 2829 Branzi Roncorbello Adda Vezza d'Oglio Tovo Lovero Sernio Pezzo Pezzo Monte Serottini 2967 Mazzo 100 Corno corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Adda Chiuro T. V enin a Dervio Albaredo Boirolo Tresivio Talamona Bema SONDRIO T. Livrio Monte Legnone 2610 3136 Fumero Sondalo Punta San Matteo 3678 Passo di Gavia 2618 Il bidé della contessa (Antonio Boscacci e Luisa Angelici) 62Orobie Santa Caterina Le Prese Grosotto Monte Masuccio 2816 Fonta na Delébio Rògolo Còsio Regolédo Postalesio Berbenno Castione 3323 Le Prese T. Va l Cevo Bùglio Caspano Ardenno 100 Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO Pizzo Scalino Monte Confinale 3370 Cepina Grosio Vetta di Ron Torre di S. Maria Malghera Poschiavo Monte Cevedale 3769 frana di val Pola Eita Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco 3114 2845 Verceia Primolo Bagni 3678 di Màsino 32 San Martino Corni Bruciati Cima del Desenigo Sasso Nero 2917 Gran Zebrù 3851 San Antonio BORMIO Valdisotto Cima di Saoseo 3264 San Carlo T. Mallero Còlico Pizzo Ligoncio Monte Disgrazia T. Caldenno Lago di Mezzola 3378 50 ra T. Code Chiareggio 78 Cima di Castello o T. Màsin Montemezzo Livo Gera Dosso d. Liro Lario Dongo 3308 La Rösa i od Lag chiavo Pos 2459 Villa di Chiavenna Pizzo Badile San Cassiano San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello Vicosoprano Cima Piazzi 3439 70 4049 Passo del Muretto 2562 Bondo Passo del Bernina 2323 Oga 32 Val Màsino Ortles 3905 Bagni di Bormio Premadio T. Roasco Gordona Soglio Castasegna 50 Prosto Mese Piz Palù Pizzo Bernina 3906 Casaccia Isolaccia Arnoga Forcola di Livigno 2315 Sils T. La nte rna Fraciscio Passo dello Stelvio 2757 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Solda Solda Giogo di Santa Maria 2503 Trepalle Pianazzo Campodolcino 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Livigno 3057 Mera 3209 Cima la Casina Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur Stelvio Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3159 Inn Montechiaro Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Julia Curtegns 1864 Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels Pizzo Tambò Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Saviore Ardenno: la camminata dei ci(a)ncètt (Nicola Giana) Valle Capo di Ponte Làveno LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello 2889 Niardo Niardo © Beno 2013 2011 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Si comincia a doversi proteggere dal freddo e dai ferocissimi ermellini, ma per fortuna il tratto su neve è poco ripido. Occorre estrema abilità per riuscire a perdersi. Itinerario invernale adatto a chi si è appena trasferito in Valtellina da un'isola tropicale e ha visto il ghiaccio solo nei cocktail. Lo spazzaneve per te non ha più misteri e ti senti pronto a nuove esperienze lontane dagli impianti di risalita. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento cronogeografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Carino Assolutamente sicuro Bello Anche per uomini larva Nulla di preoccupante Impegnativo Assolutamente fantastico FATICA Basta stare un po’ attenti Un massacro Sai sciare o sei un manico con le ciaspole, non hai paura del dislivello o di brevi tratti ripidi, ma, se vieni portato al pronto soccorso, preferiresti avere al capezzale l'abominevole uomo delle nevi che tua suocera inferocita perché perderai giorni di lavoro! Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ORE DI PERCORRENZA DISLIVELLO IN SALITA meno di 5 ore meno di 800 metri dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 15 ore oltre i 2500 metri È richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su terreno gelato, gamba sicura su ogni tipo di neve e pendio. È consigliabile una guida. Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. È facile perdersi, incengiarsi o prender notte per contrattempo. Nei momenti di massima tensione arriverai addirittura a sperare di poter presto ascoltare i rimproveri di tua suocera al pronto soccorso. Il tuo sogno è farti lanciar giù dalla nord del Disgrazia incatenato a una slitta, ma non trovi nessuno che ha il coraggio di darti la spinta e così cerchi alternative. Speciali Grano saraceno Viviamo in un territorio montano dalle grandi ricchezze che troppo spesso non vengono valorizzate. Una di queste è la biodiversità delle colture, che i nostri antenati inconsapevolmente ci hanno tramandato di generazione in generazione: segale (séghel), grano saraceno (furmentù) e orzo distico (duméga), che in cinquecento e più anni d’isolamento hanno modificato le loro caratteristiche genetiche e morfologiche per potersi meglio adattare alle avverse condizioni climatico-ambientali della Valtellina. Carlo Nani La raccolta del grano saraceno alla Moia 10 LE MONTAGNE DIVERTENTI di Carona (27 settembre 2014, foto Beno). Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Grano saraceno 11 Ritorno alla terra Speciali SOGNI, COSCIENZA E PRIMI SUDORI i sono accostato all'agricoltura per vie traverse: quattro anni fa non sapevo neppure coltivare una patata e ora sono alle prese con la coltivazione e la tutela dei grani e dei cereali antichi di Valtellina alla Moia, una piccola frazione di Carona di Teglio. Quasi tutti, quando vengono a sapere ciò che ho intrapreso, mi pongono la stessa domanda: “Cosa ti ha spinto a entrare nel mondo dell’agricoltura?” Oppure, vedendo le fatiche cui mi sottopongo, più schiettamente mi chiedono “Chi te lo fa fare?” “L’amore per la mia terra”, rispondo io. Vi racconto com’è andata. ora abbandonati. Per fare ciò avevo bisogno di qualcuno che potesse darmi i giusti consigli per affrontare in maniera corretta la sana fatica che implica l’agricoltura di montagna. Sergio mi ha preso per mano e mi ha aiutato a fare i primi passi: l’avventura era iniziata. Ho dovuto imparare a usare l’aratro, a effettuare la sarchiatura e la rincalzatura, a conoscere i ritmi di accrescimento degli ortaggi e la loro cura per avere un buon raccolto. Banalità per chi ha sempre avuto a che fare coi campi, un po’ meno per chi, come me, ne era quasi completamente estraneo. Tre anni dopo ero pronto a compiere un passo in avanti. M Il mio campo scuola, dove ho iniziato a fare pratica con gli ortaggi (27 giugno 2013, foto C. Nani). I n questi ultimi anni ho assistito al progressivo e costante abbandono della montagna, non quella turistica e folkloristicamente un po’ grottesca; mi riferisco alla montagna vera, quella che una volta costituiva un tutt’uno con i suoi abitanti: l’uomo si prendeva cura della montagna e la montagna si prendeva cura dell’uomo sfamandolo: un equilibrio quasi perfetto! Ora l’uomo ha abbandonato la montagna, come se non fosse più affar suo, e la natura si sta rimpadronendo in maniera disordinata di ciò che un tempo era il coltivo (non senza conseguenze). La cultura locale e il sapere artigianale se ne stanno andando assieme agli ultimi anziani abitanti di queste montagne e in meno di quarant’anni di decadenza siamo riusciti a distruggere quasi tutto ciò che i nostri antenati avevano creato in più di un millennio di fatiche. Mi capitava spesso di sentire tante persone ricordare romanticamente quanto era bello il nostro territorio montano rispetto al triste abbandono dei nostri giorni ed ero stufo di constatare che nessuno cercava di invertire questa tendenza. Nel mio piccolo dovevo provare a fare qualcosa, per mantenere quel poco di terreno rimasto e cercare di tener viva la cultura locale del mio paese. Nel 2011 ho spiegato a un caro amico la mia intenzione di tornare a coltivare alcuni appezzamenti di terra 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI Individuo il terreno per il mio progetto (9 aprile 2014, foto Carlo Nani). Fresiamo il terreno ottenendo un bel campo (18 giugno 2014, foto Carlo Nani). Primavera 2015 SI PARTE! L’EQUIPAGGIAMAMENTO on l’arrivo della primavera aveva preso finalmente forma la mia idea di tornare a coltivare i grani antichi e in particolar modo il grano saraceno autoctono di Teglio. Prima di tutto ho dovuto scegliere dei terreni adeguatamente soleggiati per agevolare la maturazione del grano e abbastanza pianeggianti per non tribolare eccessivamente nel dissodamento. Non avendo una moderna mietitrebbia, il secondo passo da affrontare era quello di recuperare tutti gli attrezzi necessari per le varie lavorazioni, quelli che i nostri antenati hanno usato per secoli: scighèz, fièl, pelòrsce, rac’ e mulinèll1. Dai miei amici di Carona sono riuscito a recuperare 14 vecchi scighèz: alcuni erano arrugginiti, alcuni sbeccati e altri senza manico o poco taglienti. Da bravo appassionato di antiquariato sono riuscito a recuperarli tutti: a quelli privi d’impugnatura ho dovuto rifare il manico in legno, quelli arrugginiti li ho spazzolati e - fatto importante anche ai fini dell’ascesa sociale – ho appreso dal signor Arturo Bonolini l’antica arte di martellare le falci per rifare loro il filo. Tanti affermano, infatti, che “se non sai martellare la falce, che uomo sei?” Il secondo attrezzo che ho recuperato è il fièl, indispensabile per la battitura del grano, costituito dal C 1 - Falce messoria, correggiato, teloni in fibra di canapa, setaccio in legno e ventilabro. I nomi dialettali sono scritti in dialetto tellino o di Carona. LE MONTAGNE DIVERTENTI Spuntano le piantine (23 giugno 2014, foto Carlo Nani). Timidi, sbocciano i primo fiori (16 luglio 2014, foto Carlo Nani). Gli insetti impollinano (15 agosto 2014, foto Beno). Grano saraceno 13 Ritorno alla terra Speciali manabrìl, un lungo e sottile manico di legno collegato con una fettuccia di cuoio a un secondo legno, più corto e grosso, un vero e proprio battente che, con il movimento giusto, perquote e stacca i chicchi di grano dalla pianta. A dire il vero non ho recuperato vecchi fièl ma li ho ricostruiti ex novo! Sono andato nel bosco e armato di rampèla2 mi sono procurato i manici in nocciolo e i battenti in sambuco, larice e acero. Ho scelto il nocciolo perché questo tipo di legno è abbastanza elastico da impedire che si spezzi il lungo manico, mentre per il battente l’essenza ideale è l’acero, visto il suo alto peso specifico. Alcuni poi li ho fatti utilizzando il leggero legno di sambuco (per le numerose ragazze che si strappavano i capelli per potermi aiutare) e infine alcuni interamente in larice perché tradizionalmente a Carona erano fatti così. L’attrezzo la cui realizzazione mi ha dato più filo da torcere è stato il rac', il grande setaccio in legno per separare la paglia dai semi e dalla pula. Il cerchio esterno del rac’ l’avevo già, ma era privo del fondo in legno intrecciato e quindi era inutilizzabile. Così ho dovuto sfruttare le moderne tecnologie e tramite Facebook ho chiesto ai miei amici se qualcuno conosceva un gerlàt (ormai sono pochi) capace di rifare la trama del fondo del setaccio. Sono stato fortunato. Il signor Renato di Teglio, detto Mazuchèl, con mia sorpresa non mi ha rifatto l’attrezzo, bensì mi ha dato le istruzioni per ricostruirlo. Sono andato nel bosco, ho scelto attentamente i còler (noccioli) adatti a fare i scudésci (listelli di legno) e, tornato a casa, mi sono messo al lavoro. Dopo due giorni a fa scudésci e uno per intrecciarli, il setaccio era pronto. Mancava solo il ventilabro che, in sostituzione del val, ha la funzione di pulire il grano. Assieme all’amica Alessandra mi sono dovuto spingere fino in Trentino, in val di Fiemme, per trovarne uno utilizzabile anche come attrezzo, oltre che come pezzo da salotto etnografico. Coltivare il grano saraceno mi ha dato l’opportunità di apprendere alcuni lavori artigianali che stanno cadendo in oblio. In alto si vede Arturo di Carona intento a insegnarmi la tecnica per la martellatura delle falci, un lavoro che, se fatto bene consente di avere degli attrezzi affilatissimi, ma che, altrimenti, compromette irreparabilmente il filo delle lame. Nell'immagine in basso si vede il rac', grande setaccio composto da fascera in legno di larice con il fondo di listelli di nocciolo intrecciati. Fondamentali in questo caso gli insegnamenti di Albino della Moia e di Renato “Mazuchèl” di Teglio (10 settembre 2014, foto Carlo Nani). 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI LA SEMINA Recuperati gli strumenti di lavoro, non mi rimaneva altro che seminare e 2 - Macete. Primavera 2015 curare la crescita del grano, ma i semi dell’antico furmentù di Teglio dove potevo recuperarli? Mi sono rivolto a Patrizio Mazzucchelli che, facendo parte dell’ “Associazione per la tutela del Grano Saraceno e dei grani antichi di Teglio”, ha saputo indirizzarmi dalla famiglia giusta, una di quelle cinque famiglie di Teglio che non ha mai smesso di coltivare il proprio grano, tramandando le sementi di padre in figlio, di generazione in generazione, dal medioevo fino ai giorni nostri. Si tratta di un grano ben diverso sia geneticamente che morfologicamente da quello d’importazione. La semina, effettuata il 18 giugno, è stata la parte più emozionante. Lo spaglio dei chicchi è un gesto antico di millenni e nel ripetere quest’azione mi sembrava di percorrere a ritroso la linea del tempo. Seguendo i consigli degli anziani, prima di seminare ho fatto il segno della croce, sperando in una buona raccolta e pensando a quando, un tempo, la vita dell’uomo dipendeva dall’andamento delle stagioni. Dopo solo cinque giorni (23 giugno) i semi erano germogliati e dove prima c’era la nuda terra ora trionfava il verde. Man mano che trascorrevano i giorni le piante si facevano più rigogliose, finché il 16 luglio sono sbocciati i primi fiorellini bianco-rosati. Ahimè la stagione non è stata benevola con questi nuovi nati, tormentandoli con pioggia, vento e temporali a non finire. Nonostante ciò i fiori si sono trasformati in chicchi e sono maturati incuranti delle condizioni avverse. LA RACCOLTA Il 27 settembre mi sono svegliato presto, in preda all’eccitazione per il grande evento. Ero in attesa dei miei amici che dovevano aiutarmi nella mietitura in qualità di braccianti: il brutto tempo aveva piegato gli steli del grano e quindi la raccolta a mano era d’obbligo. I primi ad arrivare sono stati Beno e Gioia, pantaloni di velluto arancione e giacca del nonno lui, grembiule colorato e fazzoletto in testa lei. Poi è arrivata Alessandra che a detta di molti, vestita com’era, somigliava in tutto e per tutto alla sua ava; sono quindi arrivati Ester, LE MONTAGNE DIVERTENTI Prepariamo le fascine (27 settembre 2014, foto Beno). Stipiamo le fascine sotto il portico della chiesa di Carona (27 settembre 2014, foto Beno). La battitura sul terrazzo della chiesa di Carona (20 ottobre 2014, foto Beno). Grano saraceno 15 Ritorno alla terra Speciali Portiamo il tutto al mulino di Menaglio dove finalmente otteniamo la farina (19 febbraio 2015, foto Beno e Carlo Nani). Svuotiamo i pelòrsc dentro il setaccio e filtriamo il grano dalle pagliuzze più grossolane, quindi lo ventiliamo per levare le impurità più piccole (20 ottobre 2014, foto Beno e Carlo Nani). Simona, Marco, Diletta, Francesca, Sergio e Mario. Per esigenze di documentazione Beno ci ha imposto l’abbigliamento tradizionale. Passato l’imbarazzo iniziale, ci siamo scoperti divertiti da questo carnevale fuori stagione e abbiamo constatato, infine, che maglioni ruvidi e šcusài non sono poi così scomodi. Scesi nel campo, ho dovuto dare dimostrazione pratica di come tagliare e incasellare il grano, raccomandando a tutti di stare ben attenti agli affilati scighèz, perché non volevo nessun loro dito sulla coscienza o nei pizzoccheri. Alla fine l'unico a tagliarsi ripetutamente sono stato io, forse perché ci davo dentro di brutto temendo di non finire in giornata. Il sole aveva raggiunto lo zenit e il caldo stava incominciando a farsi sentire. Anche se si dice che ciò che tiene via il freddo tiene via anche il caldo, i costumi tipici avevano lasciato spazio a magliette e pantaloncini. In quasi cinque ore la mietitura è stata terminata! Dopo un pranzo 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI conviviale preparato dalla signora Rina, siamo tornati nel campo per spostare i covoni e metterli al riparo dalle intemperie a seccare bene prima di essere battuti. LA BATTITURA E LA PULIZIA DEL GRANO Trascorso un mese dalla raccolta, il 22 ottobre abbiamo iniziato la battitura. Un’estate passata ad allenarmi a usare il fièl è bastata per non uccidere nessuno, anche se la squadra di battitori si è presto decimata: il primo giorno eravamo io, Ester, Gioia e Beno; il secondo giorno io, Sergio e Mario, il terzo e il quarto io e Sergio. Per prima cosa abbiamo messo giù piazza, cioè abbiamo steso i pelòrsc sul terreno, sopra un morbido letto di paglia. Sopra i pelòrsc abbiamo adagiato i covoni e a ritmo, due da una parte e due dall’altra, abbiamo incominciato a battere il grano. Per quattro giorni a Carona non si è sentito altro che PIM PUM PIM PUM PIM PUM. Ogni tanto qual- cuno perdeva il ritmo e allora ci si doveva fermare onde evitare spiacevoli incidenti. PIM PUM PIM PUM, su un fièl e giù l’altro, PIM PUM PIM PUM per quattro giorni. Man mano che si battevano i covoni bisognava setacciare e insaccare il grano misto alla pula in attesa della successiva pulitura con il ventilabro. Un tempo per pulire il grano saraceno e la segale veniva utilizzato il val, poi, circa nell’800, comparvero i primi ventilabri meccanici in legno, costituiti da una tramoggia in cui veniva rovesciato il grano e un perno a cui erano ancorate delle palette. Tramite una manopola si faceva ruotare il perno andando a creare una forte corrente d’aria. Un ferro trasformava il moto di rotazione in moto ondulatorio che veniva impresso a una slitta sottostante la tramoggia. Così facendo il grano cadendo dalla tramoggia passava attraverso la corrente d’aria generata dalla “turbina di legno”. La parte più pesante, ovvero i chicchi, precipitavano vertiPrimavera 2015 calmente andando a depositarsi, tramite una slitta, in un recipiente, mentre la parte leggera, costituita da polvere e pagliuzza, veniva soffiata via. Storditi dai colpi che continuavano a rintoccare nella nostra testa, abbiamo portato i sacchi nella masù, dove c’era il mulinèl. Io ero addetto al rovesciamento dei sacchi nella tramoggia, mentre Sergio con una manopola doveva far girare le pale dell’attrezzo. Svuotato il primo sacco e messe in moto le pale del ventilabro, subito abbiamo visto il grano pulito dalla sporcizia che andava ad accumularsi nel catino. In due ore abbiamo mulinato 96 kg di furmentù: l’esito di tre anni di preparazione e di sei mesi di fatiche. Che soddisfazione! Non rimaneva altro che portare il grano, ora pulito, in un luogo asciutto e ben ventilato, lasciarlo seccare bene e infine trasformarlo in preziosa farina. FINALMENTE LA FARINA! Per la macinazione ho portato il mio furmentù nell’antico mulino Menaglio a San Rocco di Teglio, l’unico superstite dei 10 e più mulini un tempo attivi in val Rogna. RistrutLE MONTAGNE DIVERTENTI turato di recente dal Comune di Teglio con il contributo della Fondazione Cariplo, ora è gestito dall’ “Associazione per la tutela del grano Saraceno di Teglio e dei Cereali Tradizionali”. Viene alimentato da un canale deviato dal torrente della val Rogna, la cui acqua, dopo un salto di qualche metro, fa girare la grande ruota di legno che tramite un complesso insieme di ingranaggi mette in moto la pesante macina in pietra. Il mugnaio (Pietro Reghenzani) mi ha spiegato che la migliore qualità della farina macinata a pietra è conseguenza del fatto che questa non subisce il riscaldamento che nei processi industriali degrada le sostanze più nobili contenute nei chicchi. Unica accortezza è quella di trovare la giusta velocità di rotazione del palmento superiore ed effettuare la periodica “rabbigliatura” ovvero la scalpellatura delle pietre per mantenere le asperità indispensabili per macinare le granaglie. Versato il grano nella tramoggia del mulino secondo le indicazioni del bravo mugnaio, abbiamo aperto il canale di acqua per azionare la ruota esterna. Subito ho incominciato a sentire l’inconfondibile rumore della macina e dopo poco Pietro mi ha mostrato con fierezza la farina che, filtrata dal buratto (setaccio cilindricoesagonale rotante), andava a depositarsi nel grande cassone di legno. La soddisfazione da parte di tutti i miei aiutanti nel mangiare i pizzoccheri prodotti con questa farina è stata indescrivibile. Un gusto davvero mai provato prima a detta di tutti, che nonostante l’appetito consumavano ogni boccone con una straordinaria lentezza, quasi a voler rendere eterno il piatto fumante. Ci consideravamo fortunati: eravamo i primi dopo 40 anni a mangiare pizzoccheri prodotti col grano di Carona! La massima felicità però l’ho provata quando ho saputo che altri nella mia zona erano intenzionati a tornare a coltivare la terra. E pensare che solo sei mesi prima molti ridevano della mia idea di coltivare il furmentù a Carona, mentre ora, sono in molti a chiedermi le sementi per tornare a coltivare questo grano antico: una via d'uscita alla perdita d'identità fra i valtellinesi e la loro terra. Grano saraceno 17 Ritorno alla terra Speciali I n t e rv i s ta L a Lino Saini Carlo Nani o conobbi un giorno d'autunno, mentre mi stavo dirigendo verso l’antico mulino Menaglio a San Rocco di Teglio, in val Rogna. Lui era a bordo strada e stava tagliando legna per l’inverno. Nello scambiare quattro parole, mi chiese dove stessi andando. Gli dissi che ero diretto al mulino per macinare il grano saraceno nostrano coltivato a Carona. Una luce si accese nei suoi occhi e mi confessò che la sua famiglia da sempre coltivava i grani antichi. Da sempre, anche quando lavorava come stradino per il comune di Teglio, aveva continuato a mantenere vive le tradizioni di famiglia. Ruttico gomme Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE Lino Saini, con la moglie Tersilia, mostrano le preziose sementi del grano saraceno di Teglio (19 febbraio 2015, foto Beno). Alla pagina seguente: frutti di grano saraceno tradizionale, il fagopirum esculentum moench (31 gennaio 2015, foto Beno). CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO L a sua famiglia ha sempre coltivato il grano saraceno? Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sempre: il mio nonno, il mio papà e ora io con l’aiuto anche dei miei figli e nipoti. Sono contento del desiderio che hanno di imparare le antiche tecniche di coltivazione. Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il periodo della guerra è stato duro, ma la mia famiglia coltivando il grano saraceno, la segale, la duméga (orzo distico) e tenendo una pecora per la lana e qualche mucca per il burro e il formaggio, se l’è sempre cavata e questa grande miseria non l’abbiamo mai patita. Eravamo quasi completamente autosufficienti e ci arrangiavamo: ad esempio per fare i pizzoccheri e la minestra di taiadìn anziché miscelare la farina di grano saraceno con la farina di grano tenero, che non era disponibile, mia mamma mischiava alla farina nera un po’ di farina di segale e orzo macinato. Grano saraceno 19 Ritorno alla terra Speciali nessuno. Non fare del male a nessuno e nessuno farà del male a te! E ricordati che la notte è uguale al giorno, solo che non vedi dove metti il piede.” E così io non ho mai avuto paura. Quanti campi coltivavate? Erano parecchi: a San Giovanni avevamo delle vigne. Tra un filare e l’altro seminavamo in maniera alternata segale e patate. Avevamo campi tutti attorno a San Rocco, a Panaggia e poi su fino a m 1200. Dove andavate a macinare? Un tempo qui a Teglio c’erano ben 10 mulini in funzione, ora rimane solo quello detto “Menaglio”, comprato e ristrutturato dal comune di Teglio con il contributo della Fondazione Cariplo. C’erano periodi in cui si macinava 24 ore su 24 e il mugnaio per riuscire a riposare un po' metteva una campanella che dava la sveglia quando il grano nella tramoggia era quasi finito e doveva essere rabboccato. Come si coltivava il saraceno? Innanzitutto bisogna precisare che a Teglio si praticava (e si pratica tuttora) la doppia coltura. A ottobre si metteva la segale, che veniva raccolta a luglio dell’anno successivo. Quindi il terreno veniva zappato a mano e, dopo il rituale segno della croce, si procedeva con la semina del saraceno, durante la quale i contadini conficcavano nel terreno alcuni paletti in legno che man mano venivano spostati per distinguere l'area già seminata da quella ancora vergine. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la zappa venne rimpiazzata da muli e aratro. Quei pochi che potevano permettersi di mantenere la bestia da soma e possedevano l’aratro in legno, andavano ad arare i campi di chi ne era sprovvisto e che, al momento della mietitura o della battitura, ricambiava il favore prestando la propria manodopera. Dopo 4/6 giorni dalla semina, il grano saraceno era già spuntato; si sciarscelàva1 e si mondava. Dopo circa 90 giorni il furmentùn era maturo e poteva essere raccolto. Importanti per la coltivazione del grano saraceno sono le api. Mio padre, tornato dall’Australia dov'era emigrato per lavoro, aveva preso delle arnie e prima di morire mi aveva detto: “Ricordati Lino, le api sono degli insetti che lavorano per te”. Passando di fiore in fiore, infatti, favoriscono l’impollinazione e quindi fanno aumentare la produzione delle piantine. Una volta tagliato, il grano veniva incasellato nel campo mettendo in piedi i covoni e lì restava per 4/5 giorni, il tempo necessario per seccare. Quindi si andava nel campo e “si metteva giù piazza”, ovvero si 1 - Sarchiatura. 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI La panificazione? stendevano le pelòrsce 2 e sopra si disponevano i covoni per la battitura col fièl 3. Quest’attrezzo mio padre iniziò a farmelo usare già a 10 anni: il trucco è tenere il ritmo. Io per sbaglio una volta colpii in testa mio padre! Il risultato della battitura, un misto di semi e foglie secche sminuzzate, veniva setacciato con il rac' 4 per dividere la paglia dai chicchi e dalla pula e poi ventilato con il mulinèl 5 o con il val 6. Sempre utilizzando il val, con un antico e sapiente movimento del bacino, il grano veniva purificato da sassolini e sabbia. Infine lo si portava al mulino per la macinatura. Coltivazione della segale: come si svolgeva? 2 - Strisce di tessuto ottenuto dalle fibre più grossolane della canapa. 3 - Correggiato. 4 - Grande setaccio a maglie larghe. 5 - Ventilatore in legno. 6 - Ventilabro. Dopo la mietitura del grano saraceno veniva seminata la segale che in circa quindici giorni germogliava. Si creava così il ceppo radicale. Il gelo invernale faceva morire gli steli, ma non le radici da cui, in primavera, ricrescevano le nuove piantine. Il famoso detto “sotto la neve pane” si riferiva al fatto che il manto nevoso andava a proteggere le radici della segale dalle forti gelate. Prima dell’arrivo della neve si faceva pascolare il bestiame che andava a “potare” gli steli e da uno in primavera ne spuntavano due. La maturazione avveniva verso il 9/10 di luglio, al che si mieteva e i bataröli 7 veni- vano appesi nei péndesc 8 e per un mese si lasciavano lì a seccare. Quindi si prendevano i bataröli e li si batteva contro un asse di legno o un lastrone in pietra per separare i chicchi dagli steli. In seguito si procedeva alla ventilazione e alla macinatura. Quando incominciava la giornata nei campi? Con i rintocchi dell’Ave Maria alle 5 del mattino. Un tempo la gente era molto superstiziosa: aveva paura di ciò che l’oscurità poteva celare. I rintocchi dell’Ave Maria erano il segnale che il pericolo di incontrare qualche strano essere era passato. Avevo 10 anni e un giorno mio padre mi abbracciò e mi disse: “Stai tranquillo Lino, non devi avere paura di 8 - Solai dove si possono appendere i mazzi di segale alle travi. 7 - Mazzi di segale. Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Qui a San Rocco di Teglio c’erano due forni che funzionavano per 24 ore su 24 e le famiglie panificavano a turno ogni 15 giorni. C’erano 3 fornaie che facevano i turni e si davano il cambio ogni 8 ore. La gente di molte contrade veniva qua per il pane: da Santa Maria, Panaggia, ca di Scranz, molti da Teglio … Ci si recava al forno con la propria farina e la propria legna. L’ultimo che infornava doveva lasciare un piccolo panetto di impasto che serviva da lievito madre per la prima panificazione del giorno successivo. Per la combustione usavamo legna di betulla, ontano o l’abete. La betulla bruciava velocemente e faceva diventare rapidamente bianco il cielo del forno (segno che indicava il raggiungimento della giusta temperatura). Un antico proverbio di Carona recita: “Quand che 'l finirà 'l furmentù de Téi, la séghel de Carona, 'l fé de Borm, i pra de Ciür e 'l vi de Punt, 'l sarà scià la fi del munt.” L’ho sentito anch’io! Sicuramente la coltivazione d’elezione per noi di Teglio è il grano saraceno ed è anche vero che mia moglie, originaria di Chiuro, mi ha sempre raccontato che era uno spettacolo a luglio vedere la sponda di Carona che biondeggiava dalla sterminata estensione dei campi coltivati a segale. Nella sponda orobica di Teglio, essendo svantaggiata dall’esposizione a nord, si prediligeva la coltura della segale e la si raccoglieva solo a piena maturazione, noi a Teglio invece avevamo fretta di seminare il saraceno e quindi anticipavamo la mietitura ottenendo un grano più povero. Cosa l’ha spinta a non abbandonare la coltivazione del grano saraceno, contribuendo così alla conservazione della biodiversità del grano autoctono di Teglio? La grande passione e la voglia di mangiare genuino. La preservazione del grano antico è venuta di conseguenza. Qualcuno mi chiede che differenza c’è tra il grano nostrano e quello d’importazione, che è macinato dai moderni mulini: io ad essere onesto non lo so! La mia famiglia ha sempre coltivato il grano saraceno dei miei antenati e per i pizzoccheri non abbiamo mai usato altra farina. Fortunatamente i miei campi non sono troppo vicini a quelli coltivati con il grano d’importazione, altrimenti il rischio di ibridazione sarebbe molto alto. In effetti la possibilità di perdere il filone genetico del grano tradizionale è ancora concreta per l'ostinazione che qualcuno ha nel seminare prodotti d'importazione. Come è avvenuto il rilancio della coltura del grano saraceno tradizionale? C’è stato un periodo in cui le coltivazioni di saraceno stavano completamente sparendo: eravamo rimasti io e una manciata di famiglie. Poi gli animi si sono risvegliati, si è incominciato a parlare di biodiversità e qualche mosca bianca ha chiesto alle ultime famiglie custodi del saraceno nostrano un po’ di sementi per tornare a coltivare il grano antico. Recentemente è stata creata un’associazione per la tutela dei grani antichi ed è stato ristrutturato l’antico mulino Menaglio in val Rogna, dove gli associati possono macinare a pietra il loro grano. Grano saraceno 21 Ritorno alla terra Speciali IERI E OGGI, IL GRANO SARACENO IN VALTELLINA Carlo Nani “Q uesto adunque (per quanto io me n'intenda) ne fu portato in Italia d'Africa, però in molti luoghi d’Italia, si chiama saracino, quantunque in altri luoghi lo chiamino formentone. Produce quando nasce le foglie quasi tonde, le quali crescendo diuentano, come d’hedera, ma più molli più appuntate. Fa il gambo fragile, tondo, uacuo, rosso, pieno di foglie, crescendo all'altezza di due gombiti, qualche uolta maggiore. Fa i fiori in cima copiosi, bianchi racemosi, da i quali nasce un seme triangulare, il cui guscio è nero, la midolla bianca. Seminasi il mese d’aprile, ricogliesi maturo il mese di luglio, ne i luoghi caldi, di modo che alle uolte il medesimo anno due uolte si semina, si raccoglie, come so io essere stato fatto in più luoghi d'Italia”. Così Pietro Andrea Mattioli in Historia del saracino e le sue virtù, Venezia 1565. Il grano saraceno - Fagopyrum esculentum moench – è una specie botanica facente parte della famiglia delle Poligonacee originaria dell’Asia Centrosettentrionale che si è propagata in Cina, nella Siberia meridionale e nella Regione Tibetana. La sua comparsa in Valtellina, dov'è nota con il nome di furmentùn, non è facilmente databile, anche se in un’opera del medico e letterato modenese del XVI secolo Ortensio Landi stampata a Venezia nel 1548 si parla di “mangiar formentini, lasagnuole e pinzocheri”. Questa coltivazione si è sviluppata in Valtellina principalmente sul versante solivo retico: in bassa valle fino alla costiera dei Cech, nella media valle (territorio di Ponte, Chiuro e Teglio, quest’ultimo, in passato, maggiore produttore di saraceno), ma anche nelle zone orobiche più soleggiate. La produzione, in declino già da inizio '900, verso il 1970 è giunta al quasi totale abbandono. Alla fine degli anni ottanta l’amministrazione comunale di Teglio ha deciso di incentivarne la coltivazione 22 LE MONTAGNE DIVERTENTI fagopirum argenteum fagopirum esculentum moench (nostrano) saraceno grigio ibrido fagopirum tataricum con gli altri cereali alpini per il mantenimento del seme autoctono e la valorizzazione del territorio nelle aree tradizionalmente agricole. Negli anni ’90, sotto l’impulso della biblioteca di Teglio, del Centro Tellino di Cultura e dei tellini sensibili al tema, è nato un “Comitato per la Salvaguardia e Reintroduzione della coltivazione dei Cereali Alpini Tradizionali” che è trasformato nel 2008 in quella che è ora l’ “Associazione per la coltura del grano saraceno di Teglio e dei cereali alpini tradizionali”, fortemente voluta in particolar modo da Patrizio Mazzucchelli e dalla Primavera 2015 professoressa Giancarla Maestroni. Tra gli scopi dell’associazione c’è quello di “sostenere, salvaguardare e incrementare la produzione di grano saraceno autoctono, dei cereali di montagna, quali segale e orzo, valorizzare e promuovere la diffusione della cultura del mondo rurale legato a tali LE MONTAGNE DIVERTENTI coltivazioni; sensibilizzare alla tutela delle biodiversità e ripristinare tradizionali forme di solidarietà e di lavoro cooperativo tra i coltivatori”. Nel 2000 a Teglio c'erano non più di 7000 m2 seminati a cereali antichi. Da allora, partendo dalle poche famiglie che hanno resistito nella Varie tipologie di grano saraceno (31 gennaio 2015, foto Beno). Dalla ciotola in alto in senso orario: • fagopirum esculentum moench: è il furmentùn che da cinque secoli viene coltivato sugli alti poggi di Teglio e ora anche nei territori di Carona; • fagopirum argenteum, detto grano saraceno francese (è stato importato dalla Francia a inizio '900) o curunìn in quanto forma una specie di corona di semi sugli apici degli steli. Ha una maggiore resa rispetto a quello nostrano; • fagopirum tataricum, meglio noto come ansibaria. Grano resistente alle basse temperature e che cresce perciò a quote più elevate, fu introdotto probabilmente dall’Abate Ignazio Bardea (1736-1815) allo scopo di sfamare i “famelìchi” di Bormio. Non viene più coltivato in quanto la farina ottenuta è più amara. La pianta è un terribile infestante. • saraceno grigio ibrido. Si differenzia dal grano saraceno grigio francese (curunìn) in quanto il seme si sviluppa lungo lo stelo della pianta; coltivazione delle sementi antiche, custodendo i saperi e le competenze legati alla filiera dei cereali alpini, l'attività è rinata. A ciò hanno contribuito il “Presidio Slow Food del Grano Saraceno di Valtellina”, nato nel 2001, e le varie amministrazioni comunali che dal 1988 hanno sostenuto il rilancio di queste coltivazioni prevedendo un finanziamento annuo per pertiche coltivate. Attualmente i coltivi si aggirano attorno ai 10 ettari. L’Associazione sta contribuendo fattivamente alla tutela delle biodiversità territoriali e della cultura alpina, al recupero dei terrazzamenti e del paesaggio finalizzato alle colture di qualità. Dal 2012 L'Associazione gestisce anche il mulino Menaglio di San Rocco, dove ha riattivato la macina azionata ad acqua per metterla a disposizione dei piccoli produttori locali. Nella stessa sede è stato allestito il “Museo dei Cereali Alpini Tradizionali” che offre visite didattiche con itinerari sui campi di cereali.1 1 - Informazioni gentilmente fornite dalla professoressa Giancarla Maestroni e da Patrizio Mazzucchelli. Grano saraceno 23 Più di 30 anni di esperienza al servizio dei clienti Protezione Rischi Persone e Famiglie Ettore Castiglioni Eliana e Nemo Canetta Imprese ed Attività Professionali Mezzi di Trasporto Lavoro - Attività Trasporti Cauzioni Sicurezza Previdenza Tutela Giudiziaria Mezzi di Trasporto Abitazione Salute Tempo Libero Previdenza Investimento Tutela Giudiziaria CASSONI ASSICURAZIONI Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731 [email protected] “I n località passo del Forno - si legge ne Il Popolo Valtellinese del giugno 1944 - a poche centinaia di metri dal confine svizzero, è stato rinvenuto, dopo circa due mesi dalla morte, il cadavere di un uomo di circa 35 anni, in stranissime condizioni di equipaggiamento. A circa 3000 metri lo sconosciuto era ricoperto soltanto da due paia di mutande, senza abiti e a capo scoperto, e si trovava avvolto in una coperta da letto; i piedi, calzati con babbucce, recavano i ramponi da ghiaccio.” LE MONTAGNE DIVERTENTI Ettore Castiglioni (1908-1944) 25 Personaggi Speciali Pizzo Bacone (3244) Cima del Largo (3188) Monte del Forno (3214) Piz Platta (3392) Passo del Forno (2765) Passo del Muretto (2562) L VA VA LL E D EL M U RE TT O A N BO La val Bona e il passo del Forno. Indicato il punto in cui il 3 giugno 1944 fu trovato il corpo di Ettore Castiglioni (12 febbraio 2007, foto Beno). In copertina a questo articolo: Ettore Castiglioni (foto F.lli Pedrotti, archivio CAI sez. di Tregnago). L a splendida conca di Chiareggio è limitata a nord dall’ardita piramide del monte del Forno. Alla base meridionale di questa cima vi è l’omonimo e relativamente agevole passo che forse, anche per la vicinanza del più basso e comodo valico del Muretto, non ha mai avuto rilevanza storico-commerciale. Tuttavia, da quando nelle valli dell’Adda e della Mera si è sviluppato l’alpinismo, il passo del Forno ha assunto un’importanza turistica notevole, sia per i transiti estivi che invernali, poiché di passaggio relativamente agevole anche con gli sci. Un passo facile, quindi, ma che ha visto sul suo versante malenco svolgersi una tragedia i cui contorni, incredibilmente, non sono ancor oggi del tutto chiariti. In effetti 70 anni orsono, nella primavera del 1944, quando ormai il Secondo Conflitto Mondiale stava volgendo al termine, qui fu trovato il corpo senza vita di Ettore Castiglioni, uno dei più forti alpinisti degli anni Trenta, noto scrittore di montagna nonché redattore di alcune delle più apprezzate guide alpinistiche delle nostre Alpi. 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI Perché il fortissimo Castiglioni sia morto sui facili pendii del passo del Forno ha dato adito a infinite discussioni. Alcuni documenti recentemente venuti tra le mani degli studiosi fanno luce sulla vicenda. CHI ERA ETTORE CASTIGLIONI? Ettore Castiglioni, ultimo di 5 figli di un’agiata famiglia lombarda, nacque il 28 agosto 1908 a Ruffré, nell’attuale provincia di Trento, a brevissima distanza dal passo della Mendola, ai tempi luogo di villeggiatura di arciduchi e ricchi borghesi del Tirolo e dell’Austria. Salvo che i suoi diari non ancora del tutto esplorati non smentiscano questa nostra affermazione, pare che la Grande Guerra non avesse lasciato segni particolari sull’animo di Ettore che, quando la pace tornò tra le Dolomiti, iniziò a frequentarle assiduamente con i fratelli Bruno e Manlio, soci dell’importante associazione alpinistica SEM di Milano. Nel 1921, a 13 anni, legato in cordata con la celeberrima guida Tita Piaz, salì le Torri del Vajolet e due anni dopo, nel 1923, con il fratello Bruno, fece la prima ascensione alla parete ovest del Pelmetto. Castiglioni aveva solo 15 anni e questo era il segnale di un buon mattino, che lo portò ad aprire dozzine di vie nuove un po’ su tutte le Alpi anche se, in linea di massima, le Dolomiti restarono le sue preferite. Nel 1925, a soli 17 anni, aprì con i fratelli altre due vie nuove sul Cimerlo (Pale di San Martino) e sul Sass da Mur (Alpi Feltrine). Al diciottesimo compleanno Castiglioni potè iscriversi alla SEM: da statuto, infatti, i giovani non erano accettati. In quell' ambiente, votato da un lato alla propaganda popolare dell’alpinismo, dall’altro a imprese di notevole livello tecnico, si trovò sempre a suo agio e strinse numerose amicizie, tra cui quella con Vitale Bramani1, che fu per lui un importantissimo amico e compagno di cordata. 1 - Vitale Bramani (1900-1970), alpinista di grande fama, è ricordato anche per essere il padre delle suole Vibram (nome che contiene le iniziali dell'inventore), di nuova concezione rispetto alle tradizionali in quanto impermeabili e in grado di adattarsi a vari tipi di terreno. Nel 1937, grazie alle suole da lui stesso ideate, conquistò con Ettore Castiglioni la parete nord-ovest del pizzo Badile. Primavera 2015 Note caratteristiche del soldato Ettore Castiglioni (documento tratto dalle ricerche effettuate da Lorenzo Dotti). IL SERVIZIO MILITARE Nel 1929 fu chiamato per il servizio militare e, come d’uso all’epoca per gli studenti che avevano portato avanti studi relativamente elevati, fu inviato alla Scuola Allievi Ufficiali di Moncalieri nell’Arma di Fanteria. Dopo 6 mesi di corso raggiunse regolarmente il grado di Sottotenente: le sue note caratteristiche del 1930 dimostrano come fosse apprezzato per le sue doti. La parentesi militare non interruppe la sua attività alpinistica, tanto che nel ’29 compì sei prime ascensioni, tra cui la prima assoluta della Torre Conegliano e della Torre Storta nel gruppo del Civetta, e nell'anno successivo ne realizzò altre sei. Nel 1931 si laureò in legge come da volontà dei suoi genitori, ma non fu costretto a una vita da avvocato, in quanto l’agiatezza della famiglia gli permetteva di vivere di rendita. Questo fattore lo differenziò moltissimo da gran parte dei suoi colleghi alpinisti degli stessi anni e, secondo alcuni studiosi, ebbe pure un’importanza di tipo “politico”. In un’eLE MONTAGNE DIVERTENTI poca in cui l’alpinismo era intriso di nazionalismo, non solo in Italia ma in tutta Europa, e le varie imprese specie di largo respiro venivano viste come dei trionfi collettivi di questa o quella nazione, Castiglioni aveva una visione invece del tutto personalistica dell’ascensione e dell’arrampicata. Non solo, ma mentre gli altri alpinisti d'alto livello erano quasi sempre inquadrati, anche per motivi economici, nelle strutture pubbliche, lui poteva permettersi di arrampicare come e dove voleva, senza render conto a nessuno della propria attività. È abbastanza probabile che il suo atteggiamento distaccato, talora negativo verso il regime fascista, abbia potuto svilupparsi anche grazie a questa caratteristica economica della sua famiglia. Al contrario di molti suoi coetanei alpinisti, infatti, Ettore Castiglioni è passato alla storia come contestatore della politica del Ventennio. zarlo verso i lavori legali. Fu uno dei pochissimi periodi della vita di Ettore privo di ascensioni. Sul suo diario scrisse: “…maggio. Vuoto, vuoto, vuoto. E possibile che io debba essere sempre condannato al nulla, a distruggere e reprimere le mie energie, per vegetare in un ozio demolitore e putrefacente? Vengo all’ufficio al mattino e me ne vado alla sera senza aver fatto assolutamente nulla. Poche chiacchiere con Carpenter hanno presto esaurito gli argomenti di conversazione e la lettura di un atto o due di Shakespeare serve a farmi passare un paio d’ore, ma non certo a dare un senso alla mia giornata.” Fatto inspiegabile della parentesi londinese è come Castiglioni non abbia colto l’occasione per entrare in contatto con l’ambiente alpinistico della Gran Bretagna, che in quel periodo era tra i più attivi in Europa. LA CATTIVITÀ LONDINESE Nel 1933 Castiglioni rientrò in Italia e si scatenò in una campagna che lo portò a collezionare una ventina di prime ascensioni, soprat- Nel 1932 Castiglioni fu mandato a Londra nel vano tentativo di indiriz- RITORNO IN ITALIA E GRANDE ALPINISMO Ettore Castiglioni (1908-1944) 27 Personaggi Speciali Congresso del Club Alpino Accademico Italiano ai Bagni di Màsino. Seduti, da dx, Giusto Gervasutti ed Ettore Castiglioni. In piedi, immediatamente a sx (giacca con spilla), è Aldo Bonacossa, mentre il più alto del gruppo è Renato Chabod. Da sx invece si riconoscono Ninì Petrasanta,Vitale Bramani (dietro di lei), e Gabriele Boccalatte, marito e compagno di scalate di Ninì e unico in maglietta a maniche corte (1 settembre 1935, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese di Sondrio, riconoscimento dei personaggi a cura di Raffaele Occhi, Angelo Recalcati e Beno). tutto nel gruppo del Brenta. In Valtellina, in quello stesso anno, aprì tre vie sui Corni Bruciati, cime quasi dimenticate nonostante il loro fiero aspetto: la prima traversata per cresta dalla punta centrale alla punta NE, la prima ascensione per la cresta S alla punta centrale e la prima traversata per la cresta SO, con discesa per la parete O, della punta centrale e della punta NE. Tutte le tre ascensioni, quella della vicina cima dell’Averta e l'apertura di una nuova via sulla parete E del piz Glüschaint vennero effettuate con l’amico Vitale Bramani. Queste scalate, fuori dalle aree da lui normalmente battute, chiariscono un’altra caratteristica di Castiglioni: il desiderio di andare a scoprire luoghi nuovi indipendentemente dalla loro fama alpinistica. Sempre nel 1933 Castiglioni conobbe Bruno Detassis, col quale costituì un sodalizio importante, avendo entrambi un’analoga concezione dell’andar per monti. Il piacere per l'esplorazione ne fece un eccellente autore di guide già in età giovanile, tanto che nel 1935, a soli 27 anni, pubblicò nella celeberrima collana Guida dei monti d’Italia del CAI-TCI il volume Pale di San Martino, gruppo dei Feruc, Alpi Feltrine. Due anni dopo, nel 1937, fu la volta di Odle, Sella, Marmolada. La sua volontà esplorativa non riguardava solo l’estate, ma pure l’inverno; difatti nel 1942 uscì la sua Guida sciistica delle Dolomiti. LA "MEDAGLIA D'ORO" E LE POSIZIONI POLITICHE Nel 1934 la progressione di prime ascensioni continuò costante, molte con Detassis e Bramani. Fu proprio in quell’anno che Angelo Manaresi, presidente del Club Alpino Italiano, ottenne per lui l’assegnazione della “medaglia d’oro al valore atletico”. Castiglioni l’accettò per non apparire inopportuno, specie verso Manaresi e gli altri che avevano appoggiato quel suo riconoscimento, ma appuntò sul suo diario2: “…ora ho anche la secca- In vetta al piz da Cir con Elvezio Bozzoli (1930, foto archivio Bozzoli Parasacchi). 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ettore Castiglioni e Vitale Bramani sulle placconate dei pizzi Gemelli (1937, archivio famiglia Bozzoli Parasacchi). Primavera 2015 2 - Ettore Castigioni (a cura di Marco Albino Ferrari), Il giorno delle Mésules. I diari di un alpinista antifascista, CDA & Vivalda, Torino 1993 LE MONTAGNE DIVERTENTI tura della medaglia per non offendere chi me l’ha assegnata, credendo di farmi piacere e mi toccherà di andare alla cerimonia in mio onore e pigliar le congratulazioni per le mie ascensioni. Cosa centrano tutti loro? Le mie ascensioni le ho fatte per me e per me solo e sono e resteranno soltanto mie e non potranno essere infangate da tutto l’oro del mondo …” In queste righe è evidente il valore molto personale che aveva l’alpinismo per Castiglioni, che perciò ne rinnegava l’aspetto politico-sociale. Molti vi hanno voluto leggere anche un’avversione al fascismo. Non vi è dubbio, infatti, che Castiglioni non fosse un fascista. Non è del tutto chiaro, però, se il suo atteggiamento contrario al regime fosse dovuto a una precisa posizione politica, quanto piuttosto a una repulsione per l’indottrinamento di gruppo che doveva apparire assolutamente sgradevole a una personalità libera come la sua. Alessandro Pastore nel suo Alpinismo e storia d’Italia - dall’Unità alla Resistenza suggerisce, infatti, che la sua non sia stata un'opposizione matura e consapevole al regime. Non bisogna neppure dimenticare che in quell’epoca, in cui il fascismo si impose sul Club Alpino Italiano e lo trasformò in un ente alle dirette dipendenze del segretario politico del partito, Castiglioni divenne uno dei referenti principali della Guida dei Monti d'Italia. Sembra improbabile che, se mai avesse palesato le sue posizioni non allineate al regime, gli sarebbe stata data la possibilità di scrivere libri fondamentali per il CAI. Più chiara è, invece, la sua vena nazionalista, come - ad esempio emerge in conclusione al suo articolo su Le Alpi a proposito di una sua campagna alpinistica in Corsica: “Nessuno finora ci ha ancora dato una monografia alpinistica completa con tutti i dati e le notizie necessarie. Speriamo quindi che gli italiani vogliano ora rimediare al loro troppo lungo silenzio creando questa opera fondamentale e che un volume dedicato alla Corsica possa presto figurare nella collana delle Guide dei Monti d’Italia, come già la Guida della Corsica del CTI3, degnamente completa la serie delle guide delle regioni italiane. E auguriamoci che quando l’isola sarà definitivamente riunita al territorio nazionale ed anche le ultime formalità saranno soppresse, gli alpinisti italiani accorreranno numerosi tra questi monti bellissimi, rispondendo al dovere morale di visitare, studiare e conoscere l’isola italiana che, nonostante la secolare dominazione straniera, ha saputo mantenere intatta la sua italianità.” ATTIVITÀ EXTRAEUROPEA Nel 1937 Castiglioni partecipò a una spedizione che potremmo definire “leggera” sulle Ande patagoniche, condotta da un altro celeberrimo alpinista dell’epoca: il conte Aldo Bonacossa. La spedizione era essenzialmente alpinistica, come lo stesso Castiglioni scrisse nell’articolo sulla Rivista del Centro Alpinistico Italiano4, e consisteva in un tentativo di salita al Fitz Roy, vetta che all’epoca appariva pressoché invincibile. Causa il cattivo tempo i nostri si dovettero “accontentare” del Cerro Doblado (m 2840), prima vetta ad essere salita dall’uomo lungo la catena principale che divide il versante pacifico da quello atlantico della Patagonia. In questa spedizione emersero però degli attriti con Bonacossa e Castiglioni si dimostrò, con la sua visione molto personalistica dell’alpinismo, piuttosto intollerante alle regole di un’azione collettiva quale una spedizione alpinistica extraeuropea. Nel 1938 Castiglioni, con Gabriele Boccalatte e Carletto Negri, organizzò al rifugio Omio il primo “Corso di arrampicamento sul granito”. In questo corso Castiglioni, affermando che si trattava di una vera e propria scuola di alpinismo in cui gli allievi erano portati a conoscere la “vera” montagna, prende le distanze dalle “scuole di palestra”, che gli sembrano un puro sfoggio atletico. 3 - Consociazione Turistica Italiana (in epoca fascista aveva sostituito il Touring Club Italiano). 4 - Nome assunto dal CAI dal 1938. Ettore Castiglioni (1908-1944) 29 Personaggi Speciali LA SECONDA GUERRA MONDIALE Nel 1940 l'Italia entrò in guerra, ma Castiglioni inizialmente non venne richiamato alle armi e potè continuare il proprio percorso, che si fece addirittura ancor più intenso poiché stava lavorando alle guide Dolomiti di Brenta, Alpi Carniche, oltre a quella già citata sciistica delle Dolomiti e a un volume sullo sci nell’area di Madonna di Campiglio, che in realtà copre gran parte del Trentino occidentale. Nel 1941 furono 13 le nuove salite, tra cui la prima assoluta al Torrione Giorgio Graffer, dedicata al noto alpinista accademico trentino Capitano d’aviazione, caduto durante la Campagna di Albania. Nel 1942 le ascensioni nuove furono addirittura 34. Nel 1943 Castiglioni fu richiamato alle armi e inviato come istruttore di alpinismo alla scuola di Aosta. Qui partecipò a due corsi di addestramento: il primo sulle Dolomiti e il secondo in Valpelline (AO). Nel settembre del 1943 l’Italia chiese l’armistizio e, come tutti sappiamo, questo coincise con la divisione in due campi del nostro Paese. Castiglioni non esitò e organizzò - non è chiaro se spinto da ragioni politiche o umanitarie - un gruppo di soldati e ufficiali che, facendo base all’alpeggio di Berio in Valpelline, aiutava militari, esponenti politici ed ebrei ad espatriare in Svizzera. Castiglioni era l’anima di quel gruppo che, sebbene da lui stesso impostato su basi egualitarie, non sopravvisse alla sua mancanza nel periodo della detenzione in Svizzera. Castiglioni, infatti, fu detenuto circa un mese e poi rilasciato con una diffida a proseguire l'illecita attività di espatrio. Proprio questo avvertimento potrebbe spiegare il movente della scelta che decretò la sua tragica fine. Il richiamo dell'alpinismo fu forte anche durante la sua attività umanitaria in Valpelline: ne è la prova la nuova via al monte Berio - l'ultima della sua vita - che aprì il 21 settembre 1943 in cordata con Emilio Macchietto. 30 LE MONTAGNE DIVERTENTI Da sx: Vitale Bramani, Rino Barzaghi, Ettore Castiglioni e Elvezio Bozzoli Parasacchi Montenvers (1937, archivio famiglia Bozzoli Parasacchi). LA MORTE Nel 1944 Castiglioni, chiusa la parentesi dell’alpe Berio, tornò a vivere in Lombardia senza soverchi problemi, partecipando con vari suoi compagni a un corso di sci alpinismo al rifugio Porro in Valmalenco, diretto dall’intimo amico Carletto Negri e in compagnia di Vitale Bramani. L'11 marzo Castiglioni però abbandonò il gruppo, traversò il confine e giunse al passo del Maloja ove, riconosciuto, venne fermato dalla gendarmeria elvetica. Qui iniziò la sua ultima avventura, i cui contorni sono ancora incerti. Una delle prime versioni girate nel mondo alpinistico vuole che Castiglioni stesse svolgendo attività di intelligence tra il CLN, il servizio segreto inglese e gli espatriati in svizzera. Va detto però che tutte le ricerche condotte negli anni successivi non hanno rivelato elementi a sostegno di questa tesi. Sembrerebbe invece che Castiglioni fosse arrivato al Maloja per ragioni personali. C'è chi sostiene che egli avesse raggiunto il valico svizzero per incontrare l'amato nipote e compagno di cordata Saverio Tutino, emigrato per motivi politici. Girava voce addirittura che Castiglioni fosse stato riconosciuto mentre conversava con Saverio, ma anche questa versione è priva di fondamento, in quanto il nipote in quel periodo era sotto custodia a Lugano e sembra proprio che Castiglioni ne fosse a conoscenza. Di recente dall’archivio del CAI di Tregnano5 è stata recuperata da Gianfranco Fava6 una lettera del 12 giugno 1944 di Vitale Bramani che, come sappiamo era un carissimo amico e che partecipava anch’esso al famoso corso di sci alpinismo alla Porro. Vi si legge: “circa due mesi fa alla capanna Porro si svolgeva un corso di sci della SUCAI al quale, con me ed altri amici comuni, si era unito anche Ettore; come voi ben sapete il discesismo con gli sci non era il suo sport preferito per cui, dopo alcuni giorni e come sua inveterata abitudine, si staccò da noi per intraprendere un giro di ispezione verso il gruppo Vazzeda, Cima di Rosso e dei Torrioni, allo scopo di vedere la possibilità di tracciare altre nuove vie e di prendere rilievi da utilizzare per una pubblicazione 5 - Sezione veneta dedicata a Ettore Castiglioni. 6 - Gianfranco Fava è con Marco Albino Ferrari, tra i maggiori esperti della vita e delle opere di Castiglioni. Primavera 2015 Autunno 1943: il gruppo guidato da Ettore Castiglioni fotografato all'alpe Berio (archivio Gino Buscaini). Per approfondimenti si consiglia la lettura di Marco Albino Ferrari, La storia di Ettore Castiglioni. Alpinista, scrittore, partigiano, TEA storica, Milano 2008 attorno alla zona, che aveva in animo di compilare…” Per facilitarlo un allievo svizzero del corso gli aveva prestato il proprio passaporto ma i gendarmi, riconosciuto il falso, lo chiusero in una stanza dell’albergo di Maloja, togliendogli sci, scarponi e pantaloni per impedirgli di fuggire. Castiglioni sapeva di essere diffidato e che questa volta sarebbe finito in reclusione; sicuramente, visto pure il periodo storico, la più parte al suo posto avrebbe accettato tale soluzione che lo avrebbe anche messo al sicuro da eventuali problemi con i tedeschi e le forze della RSI visto l’espatrio clandestino. Ma Castiglioni non la vedeva in questo modo e come dice Fava: “… il suo spirito indomito non si assoggettò alla situazione ed al pericolo di un possibile internamento: durante la notte ricavò dalle lenzuola lunghe strisce che in parte utilizzò per fasciarsi i piedi mentre col resto ottenne un mezzo per calarsi a terra …” E così il mattino del 12 marzo 1944, in mutandoni di tela, con una coperta di lana come mantella, coi piedi fasciati da un paio di ramponi trovati per caso, puntò a ritornare in Valmalenco attraverso il ghiacciaio e il LE MONTAGNE DIVERTENTI passo del Forno. Come se l’attrezzatura precaria non bastasse, si scatenò una bufera furiosa che contribuì a esaurire le sue pur eccezionali forze. Raggiunto il valico si abbassò di qualche centinaio di metri sul versante italiano, poi esausto si fermò su una cengia riparata pare per liberare i piedi dai ramponi che lo ferivano. La sosta gli fu però fatale. Il corpo fu coperto dalla neve e fu ritrovato solo il 3 giugno successivo dal viceprefetto di Sondrio che, da appassionato alpinista qual era, batteva la zona. Anche per interessamento degli amici Bramani, Negri, Oppio e Bozzoli Parasaccchi, Castiglioni fu riconosciuto e tumulato a Chiesa in Valmalenco, riuscendo a evitare indagini che avrebbero potuto creare problemi a chi lo aveva visto partire. Se la versione di Vitale Bramani fosse quella definitiva, si potrebbe quindi pensare che Castiglioni era andato al Maloja per motivi essenzialmente alpinistici, senza escludere peraltro che dal territorio svizzero potesse più facilmente mettersi in contatto col nipote, trattenuto a Lugano. Scoperto sarebbe fuggito non per motivi politico militari, come qualcuno aveva pensato inizialmente, ma perché allergico a qualsiasi reclusione che, nel suo caso, non poteva mancare data la precedente diffida elvetica7. Oggi le spoglie di Ettore Castiglioni riposano a Tregnago (provincia di Verona), in val d’Illasi sui monti Lessini, dove la famiglia possedeva una casa di campagna. Del resto egli aveva scritto sul suo diario poche settimane prima di morire: ”La mia patria è tra i monti, la mia casa a Tregnago, a cui sono legato da tanti affetti e da tanti ricordi; unico punto fermo della mia vita tanto randagia e irrequieta, ove sono certo di potermi sempre ritrovare anche nei momenti di maggior smarrimento.” 7 - Bibliografia e ringraziamenti: Ettore Castiglioni alla Croda dei Toni, a cura di Gianfranco Fava (Jeff), edizione straordinaria del notiziario della SEM La Traccia, stampato in proprio, agosto 2011; Ettore Castiglioni, ricordo nel centenario della nascita (1908-2008), a cura di Gianfranco Fava (Jeff), edizione straordinaria del notiziario della SEM La Traccia, stampato in proprio, aprile 2010; Un Alpinista, tre confini, narrazione corale per Ettore Castiglioni a 70 anni dalla morte, SEM col patrocinio del Comune di Milano, giugno 2014; Ettore Castiglioni, il fuggiasco del Passo del Forno, ricordo del grande alpinista e scrittore a 70 anni dalla morte, SEM, con il contributo e patrocinio delle Sezioni CAI di Tregnago e Valmalenco, Unione Valmalenco, Ecomuseo Valmalenco, Associazione Amici di Chiareggio, estate 2014. Si ringraziano in modo particolare Gianfranco Fava (Jeff) e Lorenzo Dotti, per gli importanti documenti e consigli forniti. Ettore Castiglioni (1908-1944) 31 Racconti Speciali Il bidé della contessa racconti inediti di antonio boscacci I l racconto di questo numero è ambientato al bidé della contessa, quella pozza d’acqua che si incontra percorrendo la val di Mello tra Ca di Carna e Cascina Piana. Non è una pozza qualunque, ma la pozza per eccellenza, di un’acqua color smeraldo e di tutte le sfumature dei blu e degli azzurri, a seconda del colore del cielo e degli occhi che la guardano. La pozza è resa ancora più attraente dalla presenza di un grosso masso di granito, finito lì per caso, o per necessità, che da un tempo indeterminato si lascia accarezzare con infinita pazienza dall’acqua del torrente, in quel punto placidissima. Affiora infine, ed è raggiungibile solo quando la quantità d’acqua del torrente diminuisce, un altro sasso piatto dove spesso le coppie che si amano si fanno ritrarre. Nessuno riesce a resistere alla bellezza del bidé della Contessa; una sosta e una fotografia sono d’obbligo così come un tuffo, soprattutto nei giorni più caldi dell’estate. Introduzione L Val di Mello. Il bidé della Contessa (18 luglio 2012, foto Vittorio Vaninetti). 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 a protagonista del racconto è Martha von Blixen, ovvero Karen Blixen. Antonio ce la presenta come Contessa di Offenstadt o come Renate per gli amici e ce la descrive con due grosse tette. Niente corrisponde al vero, tranne il cognome Blixen e, forse, le tette. Ma chi è Karen Blixen? Si tratta di uno dei molti pseudonimi con cui Karen Christentze Dinesen, baronessa von BlixenFinecke (Rungsted 1885 – Copenaghen 1962) firmava i propri romanzi. “In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. La posizione geografica e l’altezza contribuivano a creare un paesaggio unico al mondo. Nulla che fosse grasso e lussureggiante: era un’Africa distillata lungo tutti i suoi milleottocento metri di altitudine, quasi l’essenza forte e raffinata di un continente. I colori asciutti e arsi parevano colori di terracotta. … il respiro del panorama era immenso.” Così comincia La mia Africa, il romanzo autobiografico più famoso della scrittrice e pittrice danese, pubblicato nel 1937. Noi, forse, più che al romanzo, LE MONTAGNE DIVERTENTI Luisa Angelici ci siamo appassionati al film che da quel libro è stato tratto e diretto da Sydney Pollack nel 1985 e che vinse ben 7 premi Oscar. Chi non ricorda la bellissima interpretazione di Meryl Streep (Karen Blixen), vestita sempre in modo impeccabile, sia che fosse ospite di un lussuoso hotel o a caccia di leoni nel cuore della savana! Abbiamo condiviso con lei prima l’amore e poi il disgusto per un marito infedele, il barone Bror Blixen, con il quale la donna era partita dall’Europa nei primi anni del ‘900 per iniziare una nuova vita in Kenya e dal quale divorziò dopo qualche anno. Abbiamo ammirato i panorami, i colori, gli odori di un’Africa selvaggia, piena di misteri e di soprese, abbiamo conosciuto il suo popolo in una povertà preziosa e dignitosa, ma più di tutto abbiamo trepidato per l’intensa storia d’amore tra Karen e il cacciatore Denys Finch Hatton, interpretato da Robert Redford. Una storia d’amore però finita male: Denys infatti muore in un incidente aereo e Karen lascia l’Africa per tornare in Europa e cominciare una nuova vita, questa volta da scrittrice. Donna intelligente e coraggiosa, diventa una delle autrici più amate del ‘900. La Marta von Blixen del racconto di Antonio non è né Martha, né Renate, non è una contessa e nemmeno una arrampicatrice, non è mai stata in val di Mello, ma questo fa parte dell’arte della narrazione e non deve stupirci. Forse, a pensarci bene, alla fine di questa mia introduzione, non sono più tanto sicura che la protagonista de “Il Bidé della Contessa” a cui Antonio si riferiva, sia davvero Karen Blixen. Anzi, più ci penso più mi rendo conto che la mia è solo una supposizione. Potessi chiedere ad Antonio una conferma, immagino che mi risponderebbe con un sorriso ironico, il solito che sfoggiava quando non voleva dare risposte, quando preferiva lasciare il dubbio. E anche questo non mi stupisce. Quello che invece non finisce mai di sorprendermi è la vena creativa di Antonio che sapeva costruire storie molto gustose e che, soprattutto, le sapeva raccontare così bene da riuscire sempre a farci credere che fossero vere. Il bidé della contessa 33 Racconti Speciali L a prima volta che sentii che era una contessa fu al bar della Monica a San Martino. Stavo giocando a dama con il Roberto Bianchini e lui, come al solito era in vantaggio. Le prime tre o quattro mosse mi venivano quasi sempre abbastanza bene. E così ogni volta speravo di uscire indenne dalla trappola. Perché lui era proprio lì che voleva farmi cascare. In una trappola. Stavo attento. Avevo imparato a moderare la voglia di schizzare avanti. Cercavo anche di non scoprirmi sulla destra, che era il mio punto debole. Ma non c’era niente da fare. Alla decima, undicesima o, al più dodicesima mossa, finivo nel tranello. Cazzo, come mi spiaceva questo fatto. E ogni volta era la stessa cosa. Però adesso arrivavo almeno quasi sempre fino alla decima. Già un bel passo avanti. Non è che il sacrificio di un pedone 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI mi facesse perdere per forza la partita, però dovevo sempre lavorare in perdita e questo non è mai bello. Continuamente a rincorrerlo, sempre a cercare la mossa sui fianchi. Lui era debole sui fianchi, specie sul fianco sinistro, da metà in giù. Comunque non c’era storia. Io avevo vinto quattro volte e lui ventisei, sulle trenta partite che avevamo fatto quell’estate. In ogni caso, fu proprio durante una partita, che Roberto si mise a parlare della contessa. - Non la conosco, gli risposi, questa è la prima volta che la sento nominare. Lui mi guardò come si guarda il vecchio zio tonto che perde le bave e continua a ripeterti le stesse cose. - Non conosci la contessa? - Ti assicuro che io non so chi sia questa contessa. - Impossibile. Questa era una delle cose che mi facevano andare in bestia. Tu dicevi che questo non lo sapevi, che quella non la conoscevi, che lì non eri mai stato e trovavi gente che ti diceva, impossibile. - Impossibile un cazzo. Se io non la conosco, non la conosco. Punto. - Martha von Blixen, contessa di Offenstadt, la conosci anche tu. In quel momento si alzò dal tavolo e cercando di fare una voce in falsetto disse, accompagnandosi con un ampio movimento delle mani, ha due tette così. - Ma nooo? Renate? Risposi trasecolato. - Si, proprio lei. - Non sapevo che fosse una contessa. Men che meno potevo immaginarmi che si chiamasse Martha. Ma perché Renate allora. - Questo non lo so. Chiediglielo? Quasi quasi venivo giù come una pera. Devo riconoscerlo, quando vedo due tette, mi si rizzano le sopracciPrimavera 2015 glia. Questo in condizioni normali. Per esempio una sera ero andato con l’Ivan, lo Jacopo e il Maesescu1 al Bully Frog, un locale di Morbegno dove facevano un po’ di lap dance e all’inizio … beh, all’inizio mi stavano venendo fuori gli occhi dalle orbite. Gli altri si vede che erano più allenati e non ci facevano troppo caso, o almeno così mi pareva. Poi con il passare del tempo ci ho fatto il callo, però non del tutto. Mi restava sempre un sopracciglio un po’ più in tiro dell’altro. Se questo scherzo mi succedeva in pianura, dentro un locale dove facevano la lap dance e le tette in vista erano la regola … Avevo fatto da solo la punta Sertori e attraversando sulla cresta ero arrivato sul pizzo Badile. Niente di difficile per carità, anzi. In cima a questa montagna, che è più che altro un ammasso di sassi grossi e piccoli che sono lì da chissà quanto, c’è sempre un sacco di gente d’estate. La maggior parte sale dal rifugio Gianetti, perché è il modo più facile e gli altri vengono su dalla Svizzera lungo lo spigolo nord. Ce ne sono anche di quelli che arrivano in vetta dopo aver salito la parete nordest percorrendo la via Cassin. Ma non sono tantissimi, così come quelli che scelgono altre vie. Tutto questo per dire che quando arrivai sulla cima del Badile c’era una bella fiera. Corde e zaini dappertutto e gente che vociava. Ce n’erano tre che continuavano a dire “pòta che bello, pòta che non finiva mai, pòta che se c’era la Gianna …” Ho scambiato due parole due con un tipo di Ardenno che conoscevo, ma l’ho lasciato subito perché ho capito che mi voleva attaccare un bottone che non finiva più. Così ho preso il canale di discesa. Dovevo stare attento ai sassi perché c’era un sacco di gente che saliva. Non sapevo nemmeno bene dove andare perché c’erano cordate dappertutto. Scendevo un po’ a caso, spostandomi di qua e di là. Sono arrivato al sentierino che si fa di solito per spostarsi a destra. Lì non c’era nessuno, però sentivo 1 - Ivan Guerini, Jacopo Merizzi e Paolo Masa, protagonisti dell'arrampicata in val di Mello negli anni '70 e '80. LE MONTAGNE DIVERTENTI dalle voci, che c’erano altre cordate in arrivo. Per non intralciare il traffico, mi sono seduto sull’erba all’uscita del camino. Si sentiva chiaramente che era una donna che stava venendo su. Imprecava perché il passaggio era un po’ stretto e si capiva che non riusciva bene a muoversi. Intanto che aspettavo, guardavo giù lungo la val Porcellizzo che respirava in pieno sole, mandando manciate di nebbie verso la costiera del Cavalcorto. Mi sarebbe piaciuto essere un camoscio ritto su quelle rocce. Ecco cosa mi sarebbe piaciuto più di tutto. Pensavo a questo e mi trovai davanti agli occhi due tette. Sì, avete capito bene, erano proprio due tette. E mica delle più piccole in commercio. Vieni, disse al suo compagno di cordata e si girò verso valle per recuperarlo. Adesso la vedevo di schiena. Aveva le scarpe d’arrampicata, delle mutande arancioni e l’imbracatura. Alla cintura gli pendevano un po’ di moschettoni, un mazzo di nuts e tre o quattro friends assortiti. Quando si girò per chiedermi se mancava ancora tanto, notai che tra le due tette, passavano alcuni cordini. Quando vidi arrivare il suo compagno di cordata … Beh, non c’era storia. Era alto, bello, muscoloso: il contrario di me. Non so come io sia riuscito a scenIl bidé della contessa 35 Racconti Speciali dere quell’ultimo tratto della via. Ricordo solo che avevo quelle due tette piantate negli occhi al punto che mi incespicai e fui lì lì per volare di sotto e sfracellarmi sulle gande ai piedi della parete. Quella fu la prima volta che incontrai Renate. Per caso. Un’altra volta invece non fu per caso. Avevo sentito che lei era in giro per la val di Mello e che quella domenica sarebbe andata ad arrampicare sullo Stomaco Peloso. Fu così che decisi di andarci anch’io. Feci due conti e per tenermi largo arrivai ai piedi dello Stomaco Peloso verso le otto e mezzo. Ovviamente non c’era. Visto che avevo tempo, pensai alla strategia. Nascondermi in un cespuglio non mi pareva il caso. 36 LE MONTAGNE DIVERTENTI Prendere il sole sdraiato sulla placca nemmeno. Fingere un improvviso bisogno di assistenza, non era da scartare, ma mi sembrava un po’ debole. E se lei mi si fosse avvicinata e mi avesse chiesto se ero io che avevo fatto per la prima volta Nuova Dimensione? Le avrei risposto che ero proprio io in carne e ossa, ma senza farlo pesare troppo. Poi avrei aggiunto, però è un po’ di tempo che non arrampico, che è una frase che va sempre bene e fa un certo effetto se si vuole stare modesti. Quando arrivò erano ormai le 10.30 e, avendo perso ogni speranza, mi ero addormentato con la testa appoggiata allo zaino. Lei quando camminava era vestita normale, solo quando arrampicava tirava fuori le tette. Non è che sia facile per uno come me, allevato in mezzo ai salesiani che ti facevano fare la doccia con le mutande, mettermi a parlare con due tette davanti agli occhi e mantenere pure la calma. Borbottai qualcosa e per non dare l’impressione che ero lo stupido del villaggio, presi ad arrampicare. Mi accorsi subito che arrampicavo strano. Fossi stato un pavone, avrei fatto la ruota. Andavo su senza girarmi, per paura di incrociare il suo sguardo. A salire mi muovevo bene, ma scendere era la mia specialità. Più era ripido, più mi trovavo a mio agio. La mia concentrazione cresceva di pari passo con le difficoltà. Ma lì era diverso e me ne resi subito conto. Rischiai di volare giù dalla placca. Porca vacca, urlai. Porca vacca, mi rispose lei. Poi mi chiese come facessi a scendere così sicuro. Il ghiaccio era rotto. Mezz’ora dopo le sue tette non mi facevano più né meraviglia, né paura. Erano due tette e basta. Forse esagero un po’ nel dichiarare che diventai immune da quella fascinazione. Sì, decisamente esagero. Perché due tette sono pur sempre due tette, a prescindere. In quelle tre ore che arrampicammo insieme mi sono accorto che era una in gamba, che sapeva quello che voleva, e aveva un bel cervello elastico. Di certo più elastico del mio. Del tipo che c’era con lei non ho parlato, perché non ha detto una parola per tutto il tempo che siamo stati lì. E non ha mai arrampicato. Quando è arrivato, ha preso un libro dallo zaino, si è messo all’ombra di un cespuglio e ha tirato su la testa solo all’una e mezzo per dire, Renate è ora di andare. Dieci minuti dopo erano già spariti. Tolsi le scarpe d’arrampicata e mi sedetti sul prato. IL BIDÉ Renate, cioè Martha von Blixen, contessa di Offenstadt, la incontrai un altro paio di volte. Una volte mentre arrampicava sul Precipizio degli Asteroidi. Facemmo insieme qualche tiro di Oceano Irrazionale. Io la guardavo Primavera 2015 dall’alto mentre saliva. Ragazzi, che intorcigliata. C’era di che precipitare nel vuoto. Un'altra volta la vidi di sfuggita mentre iniziavo il primo tiro di Kundalini e lei era già oltre la fessura del serpente. Lo confesso che mi sarebbe piaciuto arrampicare con lei. C’era stato un periodo, dopo la faccenda dello Stomaco Peloso, che mi ero un po’ intrippato di lei. Alla sera quando andavo a letto, mi vedevo davanti quelle due belle tette. Non è facile superare un momento così difficile. Con questa storia delle tette magari vi sarete fatti una cattiva idea di me. Non ero un sessodipendente, però in quel periodo mi ero un po’ perso di testa. Impiegai un paio di settimane a guarire e, alla fine non ci pensai quasi più. Però. Un giorno di giugno, era il 3 o il 4 del mese ed era giovedì, perché il mercoledì faccio il grosso della spesa dal Ciccio Fiorelli, sentii bussare alla porta della mia baita a Ca di Carna. Erano le nove di sera passate, ma c’era ancora un sacco di luce. - Avanti, dissi. - Sono io. - Io chi? - Renate. Lo stantuffo del cuore ebbe una accelerata improvvisa e il sangue mi arrivò fino ai sopraccigli. Mi affacciai alla porta e vidi subito che lei non stava bene. - Posso entrare? - Certo. A questo punto potrei raccontarvi quante volte disse merda, bastardo, figlio di troia e altre amenità simili, tutte rivolte a un certo Gustav che, mano a mano che la storia si dipanava, compresi che era stato il suo fidanzato per quattro lunghi anni. Proprio quel giorno le aveva detto che lui dell’arrampicata non gli importava un bel niente e di lei meno che meno. Quindi, sintetizzo per non annoiarvi, che andasse a cagare. Mi sono subito reso conto di essere in una situazione strana, ma strana per davvero. Avrei voluto dispiacermi almeno un po’ per lei e dire, poverina. D’altra parte non me ne importava LE MONTAGNE DIVERTENTI un fico secco se il suo Gustav l’aveva lasciata anzi, lo ammetto, ero felice. Non potevo darlo a vedere davanti a lei in modo sfacciato, ma a me che cazzo mi importava se il suo beneamato Gustav l’aveva lasciata? Così, dissi quelle cose di circostanza che si dicono sempre in questi casi di separazioni e lamenti, ma ero talmente poco convincente che perfino al mio orecchio quelle frasi risuonarono false e un po’ stronze. Le diedi un po’ di pane e salame, poi del formaggio. Era ormai mezzanotte. - Posso restare a dormire da te? - Certo. E in quel certo c’era di tutto. Sentii che il mio cervello si era ingolfato di brutto e non sapevo più che cosa fare. Quasi avevo anche difficoltà perfino a parlare. Sediamoci fuori dalla porta. Lo dissi perché proprio non sapevo da dove cominciare. Un cielo così se lo sognano anche i poeti. Lei mi mise una mano sulla spalla. Trattenni il fiato e, se avessi potuto, non avrei più respirato per non rompere l’incantesimo. - Scheisse, disse dopo tre o quattro minuti. Allora capii che la scatola magica si era rotta e non ci restava che tornare dentro. Immagino che i più curiosi tra voi, vorrebbero a questo punto chiedermi che cosa successe durante quelle lunghe ore notturne. Nulla. Russò tutta la notte e questo fu il suo modo di liberarsi del dispiacere per l’abbandono del suo Gustav. Al mattino si alzò, allegra e chiacchierona. - Vuol fare colazione, mia principessa? - Certo, mi andrebbe del caffè lungo con un po’ di latte, due uova e della pancetta. Per le uova e la pancetta non c’erano problemi, il caffè ce l’avevo. Il latte lo rimediai dal Gilio Scamoni, il contadino che mi aveva affittato la baita. Lui aveva due mucche e due vitelli e a quell’ora del mattino, saranno state le nove, aveva già munto sicuramente da un bel pezzo la sua Nanda e la sua Bionda. Me l’aveva già chiesto appena alzata, ma me lo ripeté durante la colazione, se volevo accompagnarla da qualche parte ad arrampicare. Così, intorno alle undici, ci avviammo verso La Piana. Non c’era in giro nessuno. Nemmeno un cane si dice in questi casi. Come tutti sanno, la strada costeggia il torrente per un buon tratto fino a un grosso masso dove l’acqua che scende si espande e forma un laghetto verde smeraldo. C’è anche un grande sasso piatto che affiora o scompare secondo la stagione e la quantità d’acqua che il torrente trascina verso San Martino. - Mi devo fermare un momento, disse Renate, devo farmi il bidé. Tu no? - Già fatto, risposi mentendo spudoratamente. Si tolse tutto ciò che doveva togliersi e fece ciò che doveva fare. Mi passeresti la maglietta che c’è nello zaino? Si asciugò con quella e riprendemmo a camminare. Fu una giornata splendida, della quale però non posso (e non voglio) raccontarvi altro. Due mesi dopo, quando Renate, la contessa Martha von Blixen, era ormai tornata in Baviera a Offenstadt da un paio di settimane, passai di lì con lo Jacopo e il Pilly Masescu. All’inizio non volevano credere alla storia del bidé. Poi si misero a ridanciare, come solo loro sanno fare. - Ci faccia vedere, buon uomo, come si svolsero i fatti, dissero rivolgendosi a me. Volevano a tutti i costi che io mi facessi il bidé, per riprodurre al meglio, anche visivamente, l’elegante esperienza che mi era capitata. Discutemmo una mezz’ora sul tema e alla fine fummo d’accordo che sarebbe stato opportuno apporre una targa ricordo in quel luogo. Qui il giorno (...) fece il bidé Martha von Blixen Contessa di Offenstadt. Che Dio l’abbia in gloria. Il bidé della contessa 37 Speciali Clima 2014 Matteo Gianatti I l 2014 è stato davvero l’anno più caldo di sempre? A livello globale ci sono alcune contraddizioni fra i dati strumentali e quelli rilevati via satellite, ma per quanto riguarda l’Italia l’anno 2014 è risultato effettivamente il più caldo dal 1800. A confermarlo sono i dati dell’ISAC-CNR, secondo cui l’anomalia complessiva sul territorio nazionale è stata di +1.45°C rispetto al trentennio 1971-2000. 38 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Fioritura di Pseudofumaria lutea al lago Rotondo in val Gerola, dove a fine agosto si trovano ancora chiazze di neve Bilancio 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI (24 agosto 2014, foto Roberto Ganassa). 39 Clima Speciali Il 2014 non solo è stato l'anno più caldo dal 1800 in Italia, ma, secondo alcuni gruppi di lavoro indipendenti (Royal Netherlands Meteorological Institute, Università di Oxford e Melbourne, e Australian National University) è stato molto probabilmente l’anno più caldo degli ultimi cinque secoli in Europa, superando il precedente primato del 2007. media annuale di circa +1,0°C dalla norma e precipitazioni abbondanti, si è rivelato altresì uno dei meno soleggiati della storia. Malgrado le nevicate eccezionali dell’inverno, la prima parte dell’anno è risultata complessivamente molto mite, seguita da un estate fresca e uggiosa, mentre l’autunno ha di nuovo portato un periodo particolarmente caldo con precipitazioni in qualche caso da record. Ad eccezione di maggio, tutti i mesi del primo semestre hanno osservato temperature superiori alla media. A Sondrio è stato il sesto semestre più caldo della statistica dal 1926 con un’anomalia di +0,9°C. Valori termici paragonabili sono stati registrati nel 1981, mentre nel primo semestre del 2007, il più caldo di sempre, le temperature sono state sensibilmente più elevate, risultando di ben 2,2°C superiori alla norma. Soltanto la prima metà di giugno si è dimostrata severamente estiva7, con una fase canicolare durata circa una settimana. A seguire, fino ad agosto il tempo è risultato perlopiù piovoso e relativamente fresco, consegnando una delle estati fra le meno soleggiate di sempre. Luglio è stato un mese ricco di precipitazioni che hanno stabilito nuovi primati di piovosità in particolare sulle Prealpi (Varese 309,7 mm). Sondrio - Anomalie termiche mensili nel 2014. Solo i mesi estivi sono stati relativamente freschi, per il resto hanno nettamente prevalso gli eccessi termici, soprattutto a novembre. CONSIDERAZIONI GENERALI Il clima del 2014 in Italia e in buona parte d’Europa è stato segnato dall’anomala persistenza di flussi caldo-umidi oceanici e mediterranei, che hanno determinato frequente nuvolosità, precipitazioni abbondanti, ma anche temperature eccezionalmente elevate. In Italia è stato un anno decisamente piovoso, con uno scarto complessivo dalla norma pari al 16%, e picchi del 100% su alcune aree del centro-nord, mentre scarti negativi si sono registrati limitatamente ad alcune aree di Sicilia e Sardegna. La scorsa estate si è rivelata piovosa e fresca al Nord come non succedeva da decenni, con rare ondate canicolari (solo verso il 10 giugno le temperature hanno raggiunto i 34/37°C), così come poche sono state le irruzioni fredde nordiche, le gelate e le nevicate a bassa quota durante la stagione fredda. L'inverno 2013-14 ha infatti mostrato frequentissime 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI perturbazioni e clima mite, piogge straordinarie e nevicate bibliche sulle Alpi, ma solo sopra i m 10001. PIOVOSITÀ Stante la ricorrenza degli apporti d’aria umida in prevalenza da sudovest, nel 2014 grandi quantità di pioggia sono cadute soprattutto sull’arco ligure-apuano-tirrenico e dalla Lombardia al Triveneto, dove l’anno è risultato tra i più piovosi nelle serie di misura. La piovosità è stata straordinaria dalla Lombardia verso est: 2646 mm a Varese2, 1645 mm a Milano-Lambrate3, 1065 mm a Bolzano4, 2040 mm a Pordenone, 1 - Anche nel dicembre 2014 la neve è rimasta confinata alle quote medio-alte, salvo una fugace comparsa a fine mese sui fondovalle alpini (20 cm a Sondrio). 2 - Anno più piovoso dal 1967. 3 - Quantità mai registrata dal 1778 all’osservatorio di Brera, dove purtroppo le piogge non sono più misurate. 4 - Secondo anno più piovoso dal 1921. 2293 mm a Belluno, per non parlare dei 5400 mm di Musi5 in provincia di Udine. Molta pioggia è però caduta anche in varie zone del sud6. Pure il numero di giorni piovosi è stato eccezionale. Nell’insieme ha piovuto circa un giorno su tre al nord, e in alcuni casi sono stati avvicinati o superati i record precedenti: ad esempio, 135 giorni con almeno 1 mm a Varese (a sole due lunghezze dal primato di 137 giorni del 1972), 129 giorni di pioggia a Sondrio, 109 a Bolzano e 134 a Pordenone (nuovi massimi rispettivamente dal 1926, 1921 e 1917). Eccezionali accumuli nevosi sopra i tetti delle case di Lendine in Valchiavenna (9 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). Il caldo anomalo è quindi ritornato in autunno accompagnato da importanti precipitazioni. Le temperature sono rimaste elevate anche per gran parte di dicembre (a Sondrio il più caldo dal 1926), e l’innevamento non si è spinto al di sotto dei m 1500. A livello nazionale è stato registrato uno scarto dalla media di +2,1°C per il trimestre settembre-novembre, che ha fatto dell’autunno 2014 il più caldo dal 1800. Le anomalie termiche positive si sono ulteriormente intensificate nel mese di novembre, il più caldo degli ultimi due secoli sull’insieme del BILANCIO NELLA REGIONE SUDALPINA Il 2014 è stato un anno costellato di eventi meteorologici estremi. Con una deviazione della temperatura 5 - Musi è la località più piovosa d’Italia, con una media annua di 3300 mm. 6 - 863 mm a Palermo contro una media di 539 mm, quinto anno più bagnato dal 1797. Primavera 2015 AUTUNNO 2014: IL PIÙ CALDO DAL 1800 IN ITALIA, CON PIOGGE ECCEZIONALI AL NORD Mammatus in seno al temporale che ha scavalcato la Valtellina scaricandosi più a sud (13 giugno 2014, foto Matteo Gianatti. LE MONTAGNE DIVERTENTI 7 - L'estate meteorologica differisce da quella astronomica e ha inizio l'1 giugno. Bilancio 2014 41 Clima Speciali Sondrio - Fra i dieci anni più piovosi dal 1926, il 2014 si è piazzato in prima posizione, superando di poco il recente primato del 2000. paese8. Al nord sono state soprattutto le miti temperature minime a contribuire all’eccezionalità dell'autunno appena trascorso: questo a causa dei continuati flussi umidi subtropicali che hanno favorito frequenti notti coperte. Infine, la quasi totale assenza di irruzioni artiche ha determinato circa 20 giorni di ritardo nell'arrivo delle prime gelate significative in pianura Padana. Secondo i dati di Sondrio, con un anomalia di +1,5°C l’autunno 2014 è risultato il terzo più caldo dal 1926, e preceduto di pochissimo soltanto dal 2006 negli ultimi 27 anni. A contribuire a tale risultato sono stati i mesi di ottobre e novembre, con scarti positivi rispettivamente di +1,7°C e +3,0°C dalla media 1981-2010. Diversamente, il mese di settembre è stato appena più fresco del normale con una deviazione di -0,3°C. In autunno ha piovuto il 74% in più della media sull’insieme del territorio nazionale. Al nord il mese di novembre è stato il più ricco di precipitazioni dal 1926 e l'autunno il più piovoso dal 1800. A sud delle Alpi e in Engadina le precipitazioni sono risul8 - +3,3°C, con punte di oltre +4°C al nord-est: deviazioni non lontane da quelle osservate nel feroce agosto 2003. 42 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Mallero infuriato a Sondrio (13 agosto 2014, foto Luca Gianatti). tate pari al 130-190% i valori medi del periodo 1981-2010. Le abbondanti piogge sono state causate da un reiterato massiccio trasporto di aria caldo-umida dai settori meridionali proprio nel mese di novembre, responsabile di numerose alluvioni e dissesti al centro-nord. In particolare a Sondrio e nelle zone limitrofe si sono registrati quantitativi circa tre volte quelli soliti. Con 303 mm complessivi il capoluogo ha archiviato il terzo novembre più Sondrio - Fra i dieci anni più caldi dal 1926, il 2014 ha assunto la quinta posizione, con un'anomalia di +0,6°C. Si noti come nella classifica non vi sia alcun caso anteriore al 1982. Ciò sta a indicare la forte tendenza al riscaldamento osservabile negli ultimi 30/35 anni. Insolita fioritura autunnale di rododendri in val Belviso: i rododendri normalmente fioriscono col gran caldo di inizio estate (23 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). piovoso dal 19269. A causa delle temperature elevate, ha nevicato abbondantemente solo dai m 2000/2500 in su, dove a fine mese il manto nevoso ha raggiunto uno spessore localmente superiore ai 2 metri. Ad altitudini inferiori, invece, la coltre nevosa è risultata molto misera o del tutto assente, causando ritardi nell’avvio della stagione sciistica. 9 -Preceduto dai 373 mm del 2000 e dagli inarrivabili 473 mm del 2002. Primavera 2015 DICEMBRE 2014: CALDO CON PIOGGE QUASI NELLA NORMA Le anomalie pubblicate dal centro di ricerca ISAC-CNR confermano altresì un dicembre molto mite a livello nazionale. Pur con l’ondata di gelo degli ultimi giorni dell’anno, il mese ha registrato una deviazione dalla norma di +1,75°C, che ne ha fatto il terzo più caldo dal 1800. Dal punto di vista pluviometrico LE MONTAGNE DIVERTENTI dicembre ha registrato un surplus del 15%, con precipitazioni generalmente abbondanti al centro-nord e inferiori al sud e in alcune zone delle Alpi. CONSIDERAZIONI L’impronta antropica sull’effetto serra sembra la principale indiziata del caldo record del 2014, mentre al momento è difficile individuare una causa connessa a frequenza e intensità delle precipitazioni. Sicuramente lo sfruttamento sempre più intensivo del suolo, l'abbandono dei coltivi sui versanti, l'incuria dei boschi e la sconsiderata cementificazione hanno reso il territorio più vulnerabile e suscettibile ai danni causati dalle piogge estreme10. 10 - Fonti consultate: ARPA Lombardia, 3B Meteo, La Stampa, MeteoNetwork, MeteoSvizzera e Nimbus. Bilancio 2014 43 N ovità in biblioteca Speciali Berbenno Caspoggio Chiuro Chiuro Montagna Montagna Grosio 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Gioia Zenoni intervista Marco Muscogiuri Illustrazioni Guido Scarabottolo Affrontare una montagna di libri come questa può sembrare, ad alcuni, un'impresa più ardua che scalare un equivalente numero di vette in capo a una vita. Per altri, invece, la lettura è un'attività da praticare nel più completo isolamento, fino a perdere il contatto con chi sta intorno. Agli uni e agli altri, e ad altri ancora, si rivolge il progetto di rinnovamento di alcune biblioteche del Sistema bibliotecario della Valtellina. Tirano Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Biblioteche della Valtellina 45 Speciali L eggere è un piacere accessibile a tutti e la biblioteca è il luogo in cui questa possibilità si concretizza, offrendo libri, riviste, audiovisivi, strumenti di ricerca e, soprattutto, un luogo accogliente in cui vivere e condividere la propria esperienza di lettura, in cui incontrarsi, in cui conoscere e partecipare a iniziative della propria comunità. Sprofondare nella lettura alla biblioteca di Caspoggio (21 ottobre 2014, foto Simone Ronzio). 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Biblioteche della Valtellina 47 Novità Speciali N el 2007, su iniziativa della Provincia di Sondrio, è nato il Sistema bibliotecario della Valtellina, che mette in rete le 20 biblioteche di media valle. Cosa significa in termini pratici? Al già affermato catalogo unico1, che permette agli utenti di prenotare libri, musica e film e di farli recapitare nella biblioteca più comoda per il ritiro, il Sistema ha affiancato servizi sempre migliori, ad esempio ampliando e diversificando l'offerta di libri e materiali multimediali, potenziando le risorse digitali e creando punti di accesso a Internet in tutte le sedi. A fronte di questo enorme potenziale, le statistiche hanno osservato che solo 1 persona su 7 all'interno del bacino d'utenza del sistema sfrutta i servizi della biblioteche. La lungimiranza di Gloria Busi e Isabella Mangili del Servizio Cultura della Provincia di Sondrio ha messo in pista un progetto per lo sviluppo delle biblioteche valtellinesi2. Partendo dall'analisi delle problematiche di ogni singola realtà e dalla redazione di linee guida per il miglioramento della fruizione, grazie ad un bando di cofinanziamento della Fondazione Cariplo, la Provincia e i Comuni hanno realizzato un progetto di rinnovamento che ha coinvolto una selezione di 8 biblioteche: Berbenno di Valtellina, Caspoggio, Chiuro, Grosio, Montagna in Valtellina, Morbegno, Talamona e Tirano. Le attività sono quasi concluse: i più attenti fra voi non si saranno persi le prime inaugurazioni, avviate già nel 2013, mentre entro l'estate saranno portati a compimento i lavori nell'ultima biblioteca, quella di Morbegno. Il rinnovamento ha interessato diversi aspetti: l'architettura, l'arredamento, l'organizzazione concettuale e spaziale delle collezioni, l'immagine coordinata, la tecnologia, la comunicazione, i servizi offerti e la possibilità di ospitare attività di diverso genere. Non intendiamo soffermarci su 1 - http://biblioteche.provinciasondrio.gov.it 2 - Per saperne di più, cercate nelle vostre biblioteche il dossier pubblicato sul numero di aprile 2015 di “Biblioteche oggi”. 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI La biblioteca di Tirano, nella bella sede dei rustici di palazzo Pievani-Arcari, prima (2 maggio 2010, foto Alterstudio partners) e dopo il rinnovo (22 ottobre 2014, foto Simone Ronzio). Non siete finiti nel Paese delle Meraviglie come Alice, ma a Grosio! In basso il totem all'ingresso di villa Visconti Venosta, sede della biblioteca (21 novembre 2014, foto Simone Ronzio). Guido “Bau” Scarabottolo Guido Scarabottolo, nato nel 1947 a Sesto San Giovanni, vive e lavora a Milano. Laureato in architettura al Politecnico di Milano, dal 1973 fa parte dello studio Arcoquattro, specializzato in architettura e comunicazione visiva in ambito editoriale e pubblicitario. Come grafico e illustratore ha lavorato per la RAI e per i più noti editori italiani, tra cui Guanda. Sono celebri i suoi progetti per l'infanzia (ricordiamo Topipittori). Tra le collaborazioni: L'Europeo, Abitare, Internazionale e il domenicale de Il Sole 24 Ore. Le sue opere hanno viaggiato per il mondo in numerose mostre. tutti questi ambiti, ma lasciarvi liberi di scoprirli di persona: vi proponiamo, quindi, solo una sintetica presentazione di quello che ci ha più colpito e che sicuramente stupirà anche voi, cioè la progettazione funzionale e architettonica. A raccontarcela è il suo ideatore, l'architetto Marco Muscogiuri di Alterstudio partners, studio milanese che da anni concentra l'impegno civico e la non comune sensibilità dei suoi soci nella progettazione partecipata di centri culturali, biblioteche, musei e spazi pubblici. Cosa si nota di diverso nelle biblioteche che avete rinnovato? “Più calore, più ordine, più possibilità. Le aree dedicate ai quotidiani, alle riviste e alle novità sono state trasformate in un accogliente salotto dove ci si può sentire come a casa; sono state collocate postazioni multimediali per l'accesso a internet, per gestire da soli il proprio prestito libri e per fruire degli audiovisivi. Lo spazio di lavoro dei bibliotecari è stato razionalizzato; alcune aree sono molto flessibili e possono essere velocemente modificate per ospitare attività collettive. Dove possibile è stata creata un'area silenziosa con tavoli cablati, per studiare con il proprio PC. Nella sezione bambini e ragazzi, che ci è particolarmente cara, ci siamo sbizzarriti con la fantasia per rendere la lettura invitante quanto un gioco, anche grazie alle illustrazioni di Scarabottolo.” Primavera 2015 L'impatto visivo del vostro lavoro è molto forte in tutte le biblioteche. Come l'avete ottenuto? “Un completo ripensamento dei materiali e dei colori di arredi e finiture è stato il primo passo per liberarsi di quell'aspetto da scuola elementare o da ufficio comunale che si riscontrava in molte sedi poste all'interno di edifici costruiti per una diversa destinazione d'uso. Abbiamo attribuito molta importanza a un buon sistema di illuminazione, improntato al risparmio energetico, ma non per questo mortificante: la luce è fondamentale per la lettura e per rendere vivo un ambiente! Inoltre, ognuno potrà sedersi su LE MONTAGNE DIVERTENTI sedie e poltrone di design, belle, comode e colorate, ma non per questo troppo costose. L'arredo e la segnaletica di ogni biblioteca, infine, rispondono a un criterio di coerenza interna, ma anche rispetto alle altre sedi del sistema, per costruire una specifica identità visiva.” Qual è il principio ispiratore della vostra linea progettuale? “La biblioteca è un luogo di crescita culturale, di supporto alla scuola e alla formazione permanente, ma è oggi anche luogo di aggregazione sociale, per l'informazione e l'uso creativo del proprio tempo libero. Per questo è necessario che si configuri come un luogo amichevole, attrattivo e aperto a tutti, più simile a un salotto, a una bella caffetteria o a una bella libreria. La flessibilità degli arredi che abbiamo previsto, inoltre, permette alla biblioteca di ospitare conferenze, presentazioni, corsi, laboratori e incontri di diverso tipo. Siamo convinti, infatti, che oggi le biblioteche pubbliche debbano puntare su ciò che Facebook, Google e Amazon non avranno mai: la fisicità di un bel posto dove andare, dove trovare un contatto umano e uno scambio di esperienze e competenze - con il bibliotecario, un amico, l'esperto di qualsivoglia arte o disciplina.” Il progetto realizzato da Alterstudio Partners è molto articolato. Come è stato possibile dare coerenza ai suoi diversi aspetti? “Innanzitutto attraverso una profonda conoscenza delle realtà in cui abbiamo operato. Il progetto è stato avviato in seguito ad un'analisi sulla qualità degli spazi, delle sedi e degli allestimenti di tutte le biblioteche del Sistema, che ho condotto insieme ad Antonella Agnoli, esperta di biblioteconomia, cioè la disciplina che studia l'organizzazione delle biblioteche. In secondo luogo, attraverso la partecipazione degli attori locali, dai bibliotecari delle varie sedi, agli uffici tecnici comunali, ai professionisti locali che hanno curato la ristrutturazione edilizia di alcune delle sedi (l'arch. Graziano Tognini a Grosio e l'arch. Marco Ghilotti a Morbegno). Fondamentale, infine, il lavoro di squadra. La graphic designer Benedetta De Bartolomeis ha progettato l'identità visiva e la grafica. Guido Scarabottolo, figura poliedrica che sarebbe riduttivo definire solamente illustratore, ha prestato il suo segno inconfondibile per realizzare 25 illustrazioni a tema “libro”, che decorano gli spazi interni, e il totem che è diventato il simbolo del Sistema bibliotecario: una sagoma in lamiera di ferro di un uomo che regge alto un libro aperto, come a mostrarlo, o forse ad afferrarlo mentre si libra in volo.” Biblioteche della Valtellina 49 Alpinismo Traversate Dai Bagni di Màsino a Villa di Chiavenna Beno Due giorni fuori dal mondo in luoghi fantastici e remoti, senza telefonini o diavolerie tecnologiche che ci incatenano: solo i nostri sci e qualche provvista. Così io e Gioia abbiamo deciso di trascorrere gli ultimi 2 giorni di marzo: ingaggiandoci in una lunga traversata di vallate che perlopiù non conoscevamo, dalla val Màsino alla val Bregaglia, per chiudere l'anello coi mezzi pubblici che comodamente ci hanno riportato a Sondrio. 50 LE MONTAGNE DIVERTENTI dell'Averta ai piedi del turrito pizzo dell'Oro settentrionale (30 marzo 2014, foto Beno). Scendendo in valle Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna 51 Alpinismo Val Màsino-Valchiavenna Pizzo della Merdarola (2734) 2762 Cima centrale del Calvo (2967) Pizzo dei Ratti (2919) Cima NO del Calvo (2943) Cima E del Calvo Pizzo della Vedretta (2873) (2907) Pizzo Ligoncio (3033) Sfinge (2802) Pizzo meridionale dell'Oro (2695) Pizzo centrale dell'Oro (2703) Rif. Omio (2100) Casere Ligoncio (1766) Le cime della val Ligoncio e il tracciato che dai Bagni di Màsino porta al passo dell'Oro visti dall'alta val Sione (15 maggio 2010, foto Beno). C BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Bagni di Màsino (m 1172). Itinerario automobilistico: da Morbegno seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato il ponte sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di Ardenno (5 km a E di Morbegno) e seguire la SP 9 della val Màsino fino al suo termine: i Bagni del Màsino (2 km oltre l'abitato di San Martino). Poco prima dell'impianto termale vi è sulla sx uno spiazzo sterrato in cui si può lasciare l'auto. Itinerario sintetico: 1° giorno: Bagni di Màsino (m 1172) - rifugio Omio (m 2100) - passo dell'Oro (m 2526) - valle dell'Averta - rifugio Brasca (m 1304); 2° giorno: Bagni di Màsino (m 1172) Coeder - alpe Sivigia (m 1920) - Il Cantaccio (m 2799) bocchetta della Tegiola (m 2490) - Foppate (m 1387) - Tabiadascio (m 1190) - San Barnaba (m 673) Villa di Chiavenna (m 647). Tempo per l'intero giro: 2 giorni (6+8 ore). Attrezzatura richiesta: attrezzatura da 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI scialpinismo, ramponi e piccozza (utili), kit antivalanga. Provviste per 2 giorni, vestiti di ricambio, pelli di scorta e rampanti. Si consigliano sacco a pelo pesante, materassino ed eventualmente una tenda leggera perchè il rifugio Brasca non offre alcun locale invernale. Difficoltà/dislivello 1400 m + 1600 m. in salita: 4 su 6 / Dettagli: OSA. Bellissima gita di scialpinismo esplorativo attraverso ambienti selvaggi e isolati, un po' ripido l'ultimo tratto per il Cantaccio (>45°), altrimenti non si superano i 40°. Occorre ottimo orientamento, capacità di valutazione dei pendii e dei tracciati migliori, oltre che, naturalmente, neve perfettamente assestata. Mappe: - Val Màsino - carta escursionistica, 1:30000; - CNS n.268 e n.278, 1:50000; - Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000. Primavera 2015 osa spinge a fare lunghe traversate in luoghi remoti? Sicuramente la ricerca di pace, di un momento per noi stessi a contatto ed in balia della natura. Se si rinucia alla reperibilità, le traversate sono una fuga dal quotidiano, momenti di svago autentico in cui si è costretti a riflettere. Purtroppo vedo la gente schiava delle telecomunicazioni, incapace di godersi il presente con la scusa e la condanna autoinflitta di dover condividere ogni istante della propria vita con chi non è presente. Una gita come questa offre una via d'uscita da quel mondo per riprendere un più sano senso della realtà, del vivere lento. GIORNO 1 - DOMENICA 30 MARZO 2014 - BAGNI DI MÀSINO - RIFUGIO BRASCA Dopo una parca colazione alle 5 di mattina alla Brace, attorniati da baldi giovanotti stremati dalle significative prestazioni alcoliche del sabato sera e sognanti il letargo domenicale, lasciamo la macchina al parcheggio dei Bagni e alla luce dei frontalini LE MONTAGNE DIVERTENTI Sulla valanga ai piedi del Medaccio e il passaggio per uscire sui ripiani superiori della val Ligoncio (30 marzo 2014, foto Beno). partiamo già con gli sci ai piedi. La neve è copiosa e bagnaticcia. Stiamo sulla dx idrografica del Màsino, senza attraversare lo stabilimento termale, e costeggiando il torrente siamo alla radura dalla quale si ammira la valle del Ligoncio, sospesa sopra una barra di rocce con appiccicate qua e là cascate di ghiaccio, e tutta la corona di monti che presto andremo a sfiorare. Quanta neve! Insistiamo nel fondovalle dapprima a ONO, poi O, quindi SO lungo quella traccia estiva che, se non la si conosce bene, sarebbe impresa ardua trovare. Il valangone che s'abbatte dalle pendici della cima centrale del Calvo e del Medaccio ha già colmato la valle. È stato levigato dalle ultime nevicate e indurito dalla serenata notturna: il Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna 53 Alpinismo Val Màsino-Valchiavenna Cima del Barbacan (2738) Punta Milano (2610) Passo dell'Oro (2526) Rifugio Omio (2100) Quanta neve sul tetto della Omio (30 marzo 2014, foto Beno). Dopo una lunga traversata da S a N della val Ligoncio si arriva prima alla Omio, poi al passo dell'Oro (30 marzo 2014, foto Beno). fondo è come quello di un biliardo e comodamente inanelliamo una rapida e fitta serie di inversioni che ci portano a m 1580 ca., dove pieghiamo a dx in un boschetto di larici sorretto da un gradino roccioso. Traversiamo (NO poi N) alcune vallette e ci portiamo nel centro del vasto anfiteatro della val Ligoncio. La Omio, ben visibile davanti a noi, è la nostra stella polare. Chi fosse miope e non riuscisse a scorgere il rifugio, potrebbe prendere di mira il dente roccioso della punta Milano, inconfondibile dente di granito che affianca il passo dell'Oro. Muniti di rampanti, graffiamo la crosta indurita dal rigelo e, con pendenza costante, superiamo 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI varie vallecole il cui solco offre una porzione di vista sul gruppo del Ligoncio. Gioia ha gli sci nuovi, gli scarponi nuovi, gli attacchi nuovi, i bastoncini nuovi e sta testando le nuove pelli senza colla. Una follia direte voi. Come si può partire per una gita del genere con attrezzatura mai provata prima? In realtà ieri pomeriggio siamo stati sul monte delle Scale dal lago delle Scale, facendo 600 metri di bei pendii che ci hanno rassicurato che fino a 2 ore di salita tutto funziona! Anche io ho preso le pelli senza colla e per ora va tutto bene, anche se per sicurezza ho messo quelle vecchie nello zaino. Punta Milano e passo dell'Oro dall'alta valle dell'Averta (30 marzo 2014, foto Beno). Gli sci di Gioia, i Polvere, sono larghi. Visto che lei, preferendo il giogo dello studio al divertimento, è alla terza uscita questa stagione, rimediamo alla sua scarsa preparazione facendo cambio di attrezzi: le do i miei Maestro, facilissimi e leggerissimi in salita, e mi esercito un po' a fare i traversi gelati coi suoi larghi. Del resto quando si va in giro in due l'unico successo è se ci si gode entrambi la gita, per cui finché uno ne ha d'avanzo deve aiutare in tutti modi l'altro e alleggerirlo. La mia spalla destra, ascoltato questo pensiero magnanimo, mi manda a quel paese perchè il peso dello zaino la sta oltremodo provando. Primavera 2015 Pensando in silenzio e guardandoci in giro con gli occhi colmi di meraviglia, la gita scorre serena, baciata dopo le 8 anche dai raggi del sole che riscaldano l'aria tersa del mattino. Troviamo il rifugio Omio (m 2100, ore 3:30)1 con un vistoso berretto di neve che ne rende l'aspetto piuttosto grazioso. Riprendiamo la traversata della val Ligoncio e in un'oretta siamo ai piedi della punta Milano. Qui ci sono due possibilità per svalicare e finire in val Codera: la sella a dx o quella a sx del dente. Noi scegliamo la seconda, che, stando alle mappe, ci risparmia ben 1 - Il rifugio Omio, di proprietà della SEM, ha locale invernale situato nel sempre aperto e adiacente bivacco Silvio Saglio. LE MONTAGNE DIVERTENTI 20 metri di dislivello sotto il sole che azzanna i polpacci! Siamo così al passo dell'Oro (m 2526, ore 1:15) e davanti a noi, oltre un ripido corridoio tra le rocce, si apre la valle dell'Averta, laterale sx della val Codera. Entrarci è un vero salto nel vuoto perchè giù di qui non mi sono mai spinto con le assi. In alto c'è un ampio e tranquillo palco semicircolare, ma sotto, dove sulla cartina si accavallano le isoipse, chissà dov'è il passaggio. I sentieri estivi d'inverno spesso non sono percorribili, quindi non li prendiamo nemmeno in considerazione e decidiamo di inventarci una via diversa da quella suggerita dalle mappe. Ci buttiamo giù, osservati dai dirimpettai monte Gruf e monte Conco e dal solco rettilineo della valle Piana che li divide. Gioia torna coi suoi sci larghi e si diverte a far curvoni seguendo me che con un po' di diffidenza affronto questi sconosciuti scenari. Fino a m 2200 la neve è bellissima, poi, nella zona più ampia della valle diventa crosta. Siamo nel mezzo di un gigantesco anfiteatro dominato dai pizzi dell'Oro e del Barbacan che, a m 1900, si risolve in un claustrofobico canyon circondato da balze di roccia. Si passerà? La rischiamo e ci immergiamo nel corridoio, una trappola in caso di distacchi. Qui la neve torna polve- Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna 55 Alpinismo Val Màsino-Valchiavenna Nel claustrofobico canyon della valle dell'Averta (30 marzo 2014, foto Beno). rosa, alternando però tratti con grossi blocchi di ghiaccio da evitare. A m 1600 c'è pure una cascata gonfia di acqua che disegna un bell' arcobaleno mentre si getta dalla scarpata orientale nel solco e scompare sotto la neve, ma il terrore che dietro all'acqua prima o poi arrivi una valanga, mi fa desistere dal fotografarla. Il canyon termina a m 1500. Proseguiamo nel letto del torrente tra neve fradicia e sassi affioranti fino ad incrociare la strada della val Codera proprio di fronte allo sbocco della valle Piana. Qui mangiamo, per poi ripellare e dirigerci al bivacco Pedroni, nostro obbiettivo di giornata. Giovanni, che ieri era stato al pizzo Porcellizzo, mi ha girato le foto. “La scatola rossa del bivacco emerge dalla neve - ho concluso. Non avremo problemi a trovarla.” Così abbiamo lasciato ingenuamente a casa i materassini e i sacchi a pelo pesanti, necessari solo in caso di bivacco all'aperto. Sono le 13 e il caldo è davvero insopportabile. Incontriamo anche un alpinista solitario senza sci che sta battendo ritirata da dove noi vorremmo andare. Mai avrei scommesso di trovare qualcuno in alta val Codera in questa stagione! In fondo al pianone, mentre il 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sfinge, Ligoncio e val d'Arnasca da Coeder (30 marzo 2014, foto Beno). Il rifugio Brasca, aperto nei soli mesi estivi - tel. 0343 62075 (30 marzo 2014, foto Beno). Tutto a stendere: certo che siamo ben carichi! (30 marzo 2014, foto Beno) Cima della Teggiola Bocch. della Teggiola Pizzi dei Vanni Bocch. dei Vanni Il Cantaccio (2799) Pian della Scala Prima dell'alba, uno sguardo verso la nostra meta in alta val Codera (31 marzo 2014, foto Beno). Maestro chef cucina minestrone in Polvere (30 marzo 2014, foto Gioia Zenoni). Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI sentiero estivo passa su una dorsale che divide due vallecole parallele, la via più logica pare il canale di dx. Alziamo la testa: sta venendo giù roba da tutte le parti, per cui desistiamo pure noi dal salire e ripieghiamo all'alpe Coeder, dove si trova il rifugio Brasca. È chiuso, ma la facciata O è sgombra dalla neve. Così ci mettiamo lì in mutande e ci gustiamo tutto il sole del pomeriggio. La scelta si rivela ottima, perchè riusciamo a fare asciugare i vestiti e anche gli scarponi, oltre che a godere dell'acqua fresca che sgorga dalla vicina fontana (su al Pedroni avremmo dovuto sciogliere neve per ogni nostra esigenza). Ceniamo con minestrone liofilizzato ascoltando hit come Valanga bagnata o Crollo di cascata trasmessi a ripetizione da Radio Slavina, un'emittente della val d'Arnasca. Per fortuna ci troviamo in una piana tranquilla e circondata dal bosco che ci fa sentire al riparo da ogni evento naturale. Andiamo a dormire2 presto perchè domani c'è la levataccia! 2 - Il rifugio Brasca fu inaugurato nel 1933, distruttio nel 1944 e ricostruito nel 1946. Appartiene alla sez. di Milano del CAI ed è intitolato a Luigi Brasca (1882-1929), coautore della celebre Guida delle Alpi Retiche Occidentali del 1911. Il rifugio non offre locale invernale e apre solo d'estate: per la notte si deve bivaccare all'addiàccio o in tenda nei paraggi, cercando magari uno spiazzo sgombro dalla neve. Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna 57 Alpinismo Val Màsino-Valchiavenna Pizzo Badile (3308) GIORNO 2 - LUNEDÌ 31 MARZO 2014 - RIFUGIO BRASCA IL CANTACCIO - VILLA DI CHIAVENNA Sveglia alle 5, colazione con tè caldo e quel che troviamo nel sacchetto del cibo, dai savoiardi sbriciolati, al salame di capra del Crapella, al mango disidratato, al pane secco intriso del succo di un arancio che si è spappolato lungo il viaggio. Dopo 24 ore in montagna, vi assicuro, tutto ciò che è commestibile diventa appetibile! Risaliamo tutto il lungo pianone (N) già tracciato ieri con la strana sensazione che in 12 ore e dopo una notte non proprio comodissima gli spazi si siano dilatati. Passiamo accanto agli sbocchi delle selvagge valle del Conco e valle Canina (sx), mentre sulla dx sono i contrafforti del pizzo Sceroia a farla da padroni. A m 1700 ecco il gradone che interrompe la valle. Ci armiamo da guerra con ramponi, corda e piccozza e vediamo di superarlo per il canale che sale all'estrema dx. La neve non porta, così ad ogni passo vado giù fino oltre il ginocchio. La pendenza cresce fino ai 45°, ma la paura non è tanto quella di cadere, quanto quella di annegare. Dopo 70 metri non ci son più altre tracce di bipedi e dopo 150 metri di sofferenza il solco spiana. Mettiam via corda e piccozza che sono state quanto mai inutili. Siamo completamente soli in ampi spazi vergini. Unica compagnia sono alcuni camosci che scorazzano alla ricerca dei ciuffi d'erba selvatica sui versanti svalangati. Usciti dall'imbuto (m 1830 ca.), traversiamo a sx (N) su neve crostosa e non portante intercalata con fastidiose liste di ghiaccio. Attraversato un primo vallone lisciato dalle valanghe3, passiamo nei pressi della sommersa alpe Sivigia (m 1920). Segue una seconda comba i cui fianchi sono piuttosto scoscesi e che si biforca poco sopra (ENE), in corrispondenza di una barra rocciosa. Sempre a piedi ci issiamo su per il 3 - Valle dei Valloni su CNS. 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Cantaccio (2799) Il tracciato per il Cantaccio visto dal più alto dei pizzi dei Vanni (13 marzo 2014, foto Ganassa). Salendo il canale per l'alpe Sivigia (31 marzo 2014, foto Beno). Bocch. della Teggiola (2490) Bivacco Pedroni (2592) L'alta val Codera dal Pizzo Porcellizzo (29 marzo 2014, foto Giovanni Rovedatti). Insolita prospettiva sulla scura parete NO del pizzo Badile (13 marzo 2014, foto Roberto Ganassa). Pizzo or. dei Vanni (2774) Bocch. della Teggiola (2490) Nel vallone ai piedi di Cantaccio. In secondo piano, a sx della bocchetta della Teggiola, le cime del Vallon (13 marzo 2014, foto Roberto Ganassa). Primavera 2015 Il Cantaccio (2799) Pizzo Badile (3305) Sguardo sul vallone dei Vanni dalla bocchetta della Teggiola (31 marzo 2014, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI vallone che s'abbassa dalla bocchetta della Teggiola, dove provvidenziali recenti valanghe hanno compattato il fondo e ci permettono di galleggiare fino a m 2100. A questa quota ci dà il benvenuto il sole e ci punisce rompendo i legami tra le molecole di acqua. Rimettiamo gli sci per non annegare e raggiungiamo la conca ai piedi della bocchetta e del circo racchiuso tra i pizzi dei Vanni ed Il Cantaccio. Gioia è stanca, così la lascio arrostire al sole su una chiazza d'erba con tanto di sassi a mo' di sdraio. Io mi addentro (NO) toccando tre ripiani glaciali, poi punto a dx (S) e guadagno la spalla SO del Cantaccio. I pendii sono piuttosto sostenuti e la neve è gelata. Per cresta, con gli sci nello zaino e facendo attenzione a cornici e precipizi, tocco la vetta, segnalata con uno striminzito bastone di legno (Il Cantaccio, m 2799, ore 4:30). A ripensarci bene non è andato tutto poi così liscio: una spaccata (II+) su terreno molto esposto a 3 metri dalla sommità merita una nota di terrore. Il panorama è stupendo, specialmente sullo scuro versante occidentale del Badile e sull'alta val Codera, dove studio tutte le possibili vie di discesa per future avventure. Pure la bocchetta della Trubinasca pare sciabile su entrambi i versanti, quando d'estate lì sono roccette e catene a farla da padrone. Dritto a SE s'ergono invece il pizzo Porcellizzo e la punta Torelli, ai cui piedi si trova il ghiacciaio di Sivigia Nord-Est, il più vasto del MàsinoCodera. A fine anni '80 misurava ben 45 ettari, che in un ventennio si sono ridotti a 25,5 ettari (2007). Nel 2005 la vedretta si è per di più divisa in due apparati, superiore e inferiore, separati da una barra rocciosa trasversale4. Un elicottero continua a girare sulle creste che dividono la val Codera dalla val Bregaglia italiana. È lo stesso che abbiamo notato pure ieri mentre eravamo a Coeder. Qui gli son più vicino e distinguo chiaramente che non si tratta dell'elisoccorso, bensì 4 - Fonte: AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, Editore Hoepli, Milano 2012 Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna 59 Alpinismo Val Màsino-Valchiavenna In discesa dalla bocchetta della Teggiola. Si noti la finestra di roccia (31 marzo 2014, foto Beno). Tabi adas cio Foppate Alta val Casnaggina, prima di entrare nel solco del torrente (31 marzo 2014, foto Beno). Cima della Teggiola (2574) Bocch. della Teggiola (2490) Una discesa mozzafiato da quasi m 2500 fino a m 1650, dove i radi larici ci indicano che è meglio iniziare a spostarsi verso O per raggiungere Foppate (31 marzo 2014, foto Beno). 60 LE MONTAGNE DIVERTENTI dell'eliski che ha infestato anche la val Bregaglia italiana. Tornato a valle della breccia che mi ha fatto tribolare, inforco subito le assi e mi butto giù per il pendio, raggiungendo Gioia in pochi minuti. Il caldo ora ci attanaglia. Sono piuttosto sfiduciato: ho paura di trovare neve pessima nella discesa verso Villa di Chiavenna. Ripelliamo e 100 metri di sudore intenso ci consegnano la bocchetta della Teggiola (m 2490, ore 0:45), stretta breccia rocciosa tra le cime del Vallon e la cima della Teggiola. Sul versante di Villa è caratterizzata da una bizzarra finestra di roccia ben visibile già pochi metri sotto il valico. Varcato lo spartiacque sembra di aver aperto la porta del freezer, tant'è che non perdiamo tempo nel rivestirci. La neve sul versante N è farinosa, un piacevolissimo imprevisto. Giù a tutta per i pendii. Un primo tratto ripido chiuso tra le rocce anticipa il larghissimo anfiteatro superiore della val Casnaggina. Poi, come accaduto in valle dell'Averta, finiamo dentro un canale, questa volta meno incassato (sembra quasi una pista di half-pipe) e colmo di neve polverosa. Qui corre anche il confine di stato italo-svizzero. A m 1650 iniziamo a virare a NO e ci immergiamo in un fitto bosco dentro cui non è affatto semplice orientarsi se non si trova già una traccia sulla neve. Dopo qualche incengiata, raggiungiamo gli alpeggi di Foppate e di Tabiadascio (m 1190), che già avevamo riconosciuto dalla bocchetta della Teggiola. Dai tetti cola acqua di scioglimento: ne approfittiamo per bere. Ventiliamo l'ipotesi di stare in giro ancora un giorno, fermandoci qui a dormire sul terrazzo di qualche baita - ma devo dare da mangiare alle capre e non posso! La neve diminuisce di spessore, ma ci permette di sciare lungo la carrozzabile fino a circa m 1000. Quando non ci sono più speranze, leviamo sci e scarponi, calziamo le scarpe da ginnastica e, intercettato il vecchio sentiero segnalato, caliamo lungo la stupenda via selciata che alterna scalinate e alpeggi. Di tanto in tanto ci voltiamo ad ammirare la val Casnaggina appena scesa, poi dopo Primavera 2015 una botta di troppo il mio zaino si apre in due. Che sfiga! Ma a tutto c'è rimedio: prendo quello di Gioia e ci carico entrambe le paia di sci e di scarponi. Quanto pesa, ma meglio che scendere con la roba in mano! Approdiamo alla diga di Villa di Chiavenna (m 647, ore 1:30 - 3:30 a seconda dell'innevamento), quindi sulla strada del Maloja, che seguiamo in direzione di Chiavenna. La prima fermata dell'autobus che incontriamo riporta solo gli sconfortanti orari della linea italiana: una corsa ogni morte di Papa (solo nel caso di lunghi pontificati), per cui ci avviamo a piedi verso Chiavenna. Ma nel centro di Villa ecco una seconda fermata, coperta oltre che dai bus nostrani, anche dal Postale svizzero. Facciamo appena a tempo a fare il biglietto5 e ne passa già uno! Velocemente siamo a Chiavenna, dove subito parte la coincidenza per Sondrio, che raggiungiamo alle 20:30. Spesa totale 7 euro e spiccioli a testa. Lodevole la velocità delle coincidenze, ma appunto per questo, noi che stavamo morendo di sete, non abbiamo neppure trovato il tempo di bere fino a Sondrio! “Sondrio, stazione di Sondrio”, annuncia l'autoparlante della stazione, mentre mi aggiro invano alla ricerca di una cabina del telefono. Niente da fare, le hanno eliminate tutte: evidentemente nel capoluogo è stato decretato che tutti devono possedere il cellulare. Allora Gioia va dalla sua amica Laura - che abita lì vicino - e si atteggia da reduce della Campagna di Russia, così che Lele - marito di Laura - mosso a comp assione si offre di scarrozzarci a Montagna. Lì rubiamo la macchina a mio papà e torniamo ai Bagni per raccattare il mio Panda. Giornata lunga, ma a mezzanotte siamo già sotto le coperte sognando di non aver trovato la via d'uscita da quei luoghi incantati e perciò di esser condannati a sciare in neve polverosa per un altro giorno ancora! 5 - Quando si prende il Postale in Italia vengono applicate le più popolari tariffe dei trasposrti pubblici del nostro Paese. LE MONTAGNE DIVERTENTI Baita a m 1600 in val Casnaggina sotterrata dalla neve (31 marzo 2014, foto Beno). Tabiadascio (31 marzo 2014, foto Beno). Bocch. della Teggiola (2490) Da Tabiadascio uno sguardo verso la costiera che dal monte Gruf raggiunge i pizzi del Vanni e determina l'orografica dx della val Codera (31 marzo 2014, foto Beno). Dai Bagni di Masino a Villa di Chiavenna 61 Alpinismo Alpi Orobie Pizzo del Diavolo di Malgina La salita lungo il canalone della Malgina fin sulla vetta del Diavolo di Malgina non è sicuramente un percorso per chi ama salite comode e discese su ampi pendii perfettamente innevati. È invece un itinerario per avventurieri in cerca di emozioni forti, in ambiente selvaggio, dove è raro incontrare anima viva. È una di quelle classiche che non dovrebbe mancare nel palmares degli appassionati scialpinisti. Il lungo e incassato canale che solca la parte alta della vallata raccoglie tutte le slavine che scivolano dai ripidi costoni che lo delimitano. Per questo motivo la gita è consigliabile solo in tarda primavera o ad inizio estate, quando ormai il pericolo valanghe è assai basso. Luciano Bruseghini 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il pizzo del Diavolo di Malgina (6 febbraio 2014, foto Fabio Pusterla). Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) 63 Alpinismo Alpi Orobie BELLEZZA Cime di Cagamei Pizzo del Diavolo di (2912-2913) Malgina Cima di Valmorta (2926) (2865) Passo di Malgina (2693) FATICA Pizzo di Coca (3050) Cima di Cantonlongo (2826) Dente di Coca (2925) Passo di Coca (2649) PERICOLOSITÀ Ca na lo ne de lla M alg in a Partenza: Paiosa (m 687) - frazione di Castello dell'Acqua. Itinerario automobilistico: dalla rotonda alla fine della tangenziale di Sondrio (E), proseguire in direzione Tirano. Dopo 11 km, in località San Giacomo di Teglio, prendere a dx e attraversare il fiume Adda, proseguire per 100 metri e svoltare a dx (indicazioni per Castello dell’Acqua). Insistere sulla strada principale che dopo 1,5 km dal ponte di San Giacomo incomincia a salire. Superate alcune contrade, nel punto in cui la carrozzabile si congiunge con quella proveniente da Chiuro (cimitero), svoltare a sx seguendo le indicazioni per “Val Malgina”. Percorrere la stradina fino a Paiosa, dove si trova un’edicola del parco delle Orobie e parcheggio (6,2 km dal ponte di San Giacomo,17,2 km da Sondrio). Itinerario sintetico: Paiosa (m 687) - baite Carro (m 826) - baite Campo (m 974) baite Colombini (m 1016) - baita/bivacco La Valle (m 1176) - baita Paltani (1215) piano della Valle - briglia sul torrente Malgina (m 1350 circa) - canalone della Malgina - pianoro sotto il passo dell'Omo di Malgina (m 2550 ca.) - passo della Malgina (m 2693) - pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926). Tempo previsto: 6/7 ore per la vetta. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da scialpinismo con rampanti, piccozza, ramponi e kit antivalanghe. Difficoltà/dislivello: 4- su 6 / circa 2300 m. Dettagli: BSA+. Itinerario molto lungo con pendii fino a 40° e da affrontarsi solo con neve del tutto assestata per il pericolo di scariche dagli scoscesi declivi che circondano il canalone. Mappe: Kompass n.104 - Foppolo - Valle Seriana, 1:50000 Bibliografia consigliata: Vittorio Toppi, La val Malgina, in Guido Combi ( a cura di), Alpi Orobie Valtellinesi. Montagne da conoscere, Fondazione Luigi Bombardieri, Sondrio 2011 http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/ 64 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 VA L VA L D 'A RI G N A Piano della Valle M AD RE Paierone Baite Colombini Piazzola (1122) La val Malgina ripresa di notte dal monte Brione (15 gennaio 2014, foto Beno). I l pizzo del Diavolo di Malgina1 (m 2926), sesta vetta delle Orobie in ordine d'altezza, è l'elegante vetta conica formata da argille e arenarie 2 compatte e ben stratificate, che s'erge in fondo all'omonima vallata, una delle meno frequentate del versante bacio valtellinese. È ben visibile anche dalla SS38 all'altezza di Chiuro, ma da lì è ancora molto lontano da raggiungere in quanto si trova sul confine tra le province di Sondrio e di Bergamo. La massima depressione della cresta E della montagna è detta passo del'Omo di Malgina per il grosso obelisco di roccia che la caratterizza. A NO del valico scende per oltre 1300 metri di dislivello un selvaggio canalone che le valanghe colman di neve, rendendolo - per usare le parole di Douglas William Freshfield - “propizio alle scivolate”. 1 - La prima ascensione fu effettuata nel lontano 1876 dalla guida alpina Antonio Baroni con il bergamasco Emilio Torri. 2 - Sono rocce di chiara origine marina. LE MONTAGNE DIVERTENTI Attacchiamo il pizzo del Diavolo di Malgina il 13 giugno 2013, per festeggiare l’imminente arrivo dell’estate! Lasciamo l'auto a Paiosa (m 687). I lazzaroni su 4x4 possono proseguire per l’angusto sterrato (è necessario il permesso) che si inoltra in val Malgina per diversi chilometri fino alle baite Colombini (m 1016), risparmiando così tempo e fatica. I puri di cuore come noi invece se la fanno tutta a piedi! Partiamo alle 5:30; albeggia. Con gli sci sullo zaino e gli scarponi già incernierati negli attacchi, ci avviamo lungo la carrareccia che si sviluppa sulla sx idrografica della vallata. Ci aspetta una interminabile marcia in un labirinto verde di latifoglie che rendono ancora più scuro il cammino. Iniziamo piacevolmente in discesa, poi pianeggiamo speditamente fino ad affrontare la salita. Da piccole radure vediamo il sole dorare coi suoi primi raggi il pizzo del Diavolo e le cime di Valmorta e dei Cagamei che sorgono alla sua dx. Finalmente arriviamo nei pressi di un minuscolo alpeggio, baite Carro3 (m 840, ore 0:40), da cui scorgiamo molto bene la parte alta del canalone e la cima. Poco oltre la via si discosta un po' dal torrente e tocca le baite Campo4 (m 974, ore 0:35), nei cui paraggi il pastore Ercole Bernoi, detto "il Pensa", aveva trovato anni fa una cucciola di capriolo in fin di vita. Raccolta, l'aveva curata e allevata nella sua proprietà di Castello dell'Acqua come fosse un animale domestico. Nel dicembre 2007 la polizia locale, venuta a conoscenza della strana convivenza, aveva sequestrato l'ungulato a Ercole, per poi vedersi costretta a restituirglielo pochi mesi dopo in quanto Luigi (questo il nome datogli da Ercole) versava in cattive condizioni di salute al centro per la selvaggina di Ponte in cui era stato rinchiuso e solo riportarlo 3 - Il toponimo locale è al Car. Sulla facciata di una baita, proprio a ridosso della strada, si trova un grande affresco della Sacra Famiglia con Cristo pantocratore e due apostoli. 4 - Il toponimo locale è Camp. Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) 65 Alpinismo nell'ambiente in cui era cresciuto l'avrebbe potuto salvare. Rientrato a casa, il capriolo era stato accolto da Ercole con un piatto di pasta che, difficile a credersi, era il suo alimento preferito! Avanziamo sullo sterrato fino al suo termine dove un breve slargo è più che sufficiente per ospitare le poche vetture dei temerari scialpinisti che ambiscono alla nostra stessa meta. Un ripido sentiero sale tra frondosi abeti, per addolcirsi prima di inoltrarsi verso la testata della valle. Poco dopo il bivacco-baita La Valle5 (m 1176) dobbiamo attraversare il torrente per portarci sulla dx idrografica, ma il ponte in legno è parzialmente crollato6. Non fidandoci dell’unica trave rimasta, decidiamo di guadare direttamente il corso d’acqua saltando sui massi sparsi nel greto. Sfiorata la baita Paltani (m 1215), raggiungiamo la grande radura del piano della Valle (m 1300 ca., ore 1:15) dove, in corrispondenza delle opere di presa che prosciugano il torrente, ha inizio il canalone della Malgina. Da qui partiamo all’avventura su per l’angusto canyon che, fino a m 2000 ca., non presenta altri punti d'accesso. In basso troviamo solo una pietraia, niente neve, per cui brancoliamo a piedi, scavalcando grossi massi e facendo attenzione a non finire a mollo nell’acqua scaricata dal disgelo. Finalmente, a circa m 1600, appare la neve, anche se grigiastra e cosparsa di rottami che le valanghe hanno trascinato a valle. Stufi di portarci in spalla l’oneroso carico, decidiamo di calzare gli scarponi e di inforcare gli sci. Con diverse inversioni, sia per vincere il ripido pendio che per evitare i numerosi ostacoli, guadagniamo quota in un ambiente surreale. Siamo circondati da incombenti pareti rocciose, sormontate da una florida vegetazione, da cui di tanto in tanto rimbalzano delle piccole cascatelle d’acqua che vanno poi a scomparire sotto lo spesso manto nevoso che ricopre tutto il vallone. Tratti ripidi si alternato ad altri con pendenze più accettabili fino a raggiungere una strozzatura (attorno ai m 1900/1950) 5 - Di proprietà del Comune di Castello dell'Acqua, sempre aperta, può essere utile posto di ricovero. 6 - Il ponte è stato ripreistinato nell'estate 2014. 66 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie Pizzo del Diavolo di Malgina (2926) L'ultimo tratto della salita al pizzo del Diavolo di Malgina visto dalla cima di Bondone (5 marzo 2014, foto Giacomo Meneghello). La ripida cresta per la vetta del pizzo del Diavolo di Malgina (13 giugno 2013, foto Luciano Bruseghini). I pendii sommitali sopra il passo della Malgina (13 giugno 2013, foto Luciano Bruseghini). Quasi in vetta (13 giungo 2013, foto Luciano Bruseghini). Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI dove la forte pendenza (35°) mette a dura prova la tenuta delle nostre pelli di foca. Oltre, il canalone si amplia e l’inclinazione si attenua considerevolmente. Da qui in avanti pure la coltre bianca si purifica ed è ben sciabile. Alzando lo sguardo vediamo il passo dell’Omo della Malgina, che conclude il vallone con il suo gendarme di roccia e divide la valle della Malgina abduana da quella seriana. Riprendiamo la nostra marcia con diagonali molto più ampie fino a toccare un dolce pianoro (m 2550 circa) illuminato dal sole, appena un centinaio di metri sotto il passo dell'Omo della Malgina. Pieghiamo a dx (O), usciamo dal canale su ripidi pendii. La neve non è più dura e compatta, ma molle e pesante e fatichiamo parecchio nel tracciare la via verso la cresta E della montagna. Anche il caldo comincia a farsi sentire e grondiamo sudore a ogni passo, mentre risaliamo l’ampio declivio nevoso e puntiamo all’evidente selletta posta tra due grossi blocchi rocciosi e che prende il nome di passo della Malgina (m 2673). Più elevato del passo dell'Omo della Malgina, è altresì di più agevole traversata. È di qui che la gente di Castello transitava un tempo, sia per motivi commerciali, che per recarsi in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Ardesio con una trasferta di circa una settimana. Proseguiamo, sempre con gli sci ai piedi, sul versante bergamasco, meno erto di quello valtellinese. Purtroppo questo lato della montagna è riscaldato dal sole da parecchie ore, per cui la neve diventa ben presto inconsistente e le pelli di foca non riescono più a fare presa. Allora decidiamo di mettere le assi sullo zaino e di vincere l’ultimo arduo tratto a piedi. Siamo allo stremo delle forze per la fatica, ma soprattutto per il gran caldo. Fortunatamente, ogni volta che alziamo la testa, la croce di vetta si fa sempre più vicina e ci stimola a proseguire. Alle undici, dopo 2300 metri di dislivello, siamo sulla vetta del Diavolo della Malgina (m 2926, ore 4:15) e possiamo suonare la piccola e allegra campanella appesa alla croce sommitale! Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) 67 Alpinismo Alpi Orobie Panorama dalla vetta del pizzo del Diavolo di Malgina (12 aprile 2014, foto G. Meneghello). Sui ripidi pendii sotto la vetta. Sullo sfondo il pizzo Recastello (12 aprile 2014, foto Meneghello). Stanchi, spossati, ma soprattutto felici e soddisfatti per aver raggiunto un traguardo così prestigioso. Riposati e rifocillati, diamo uno sguardo all’ambiente che ci circonda: subito ci colpisce il contrasto tra il verde della rigogliosa vegetazione che ricopre tutta la Valtellina e il poco bianco ancora aggrappato alle vette più alte. Verso N si rileva quasi completamente il nostro itinerario: dall’alto sembra ancora più lungo! Recuperate un po’ le forze, iniziamo la discesa prima che il caldo renda la neve troppo flaccida. Partiamo con gli sci ai piedi direttamente dalla vetta lungo il ripido versante E: la pendenza è sostenuta (40°), ma la neve è splen- dida e permette di compiere divertenti evoluzioni in tutta sicurezza. Raggiunto il canale, notiamo che il fondo è ancora duro e che nemmeno i caldi raggi del sole estivo sono riusciti a scalfire più di tanto il compatto manto nevoso. La parte alta del vallone ci regala una fantastica volata su neve pulita: solo un po’ di attenzione a vecchie slavine che occupano parzialmente il percorso. Arrivati alla strozzatura, intorno ai m 1950, la situazione cambia: la neve è tutta a blocchi, sebbene ancora sciabile; ci sono parecchi ostacoli, bisogna armarsi di pazienza e zigzagare tra sassi e pezzi legno. Purtroppo a m 1600 non c'è più neve e ci tocca fare canyoning fino alla briglia: rispetto a questa mattina la portata del torrente è notevolmente aumentata e dobbiamo impegnarci assai in alcuni passaggi per evitare un tuffo nelle gelide acque del Malgina. Approdati al pian della Valle, proseguiamo il rientro lungo il sentiero calcato in mattinata. Al ponte di legno semicrollato, troviamo un’amara sorpresa: il corso d’acqua è talmente gonfio che è impossibile attraversarlo saltando da un masso all’altro. Siamo quindi obbligati a fidarci di ciò che resta della vecchia passerella: un’unica trave in precario equilibrio sulle onde tumultuose. Facendoci coraggio a vicenda e scherzando sul fatto che mal che vada ci aspetta un tuffo refrigerante, uno alla volta traghettiamo: miracolosamente tutto va liscio e chiudiamo la nostra avventura a Paiosa7. Nella parte alta del canalone della Malgina. Sullo sfondo si vede il passo dell'Omo di Malgina (13 giugno, foto Luciano Bruseghini). 7 - Si ringrazia Vittorio Toppo per le puntualizzazioni sulla toponomastica. 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Il canalone della Malgina (13 giugno, foto Luciano Bruseghini). Il ponte semicrollato nei pressi della baita la Valle (13 giugno, foto Luciano Bruseghini). Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) 69 Alpinismo Alta Valtellina Cima di Saoseo La cima di Saoseo (m 3264) si alza massiccia lungo la cresta di confine tra il passo di Sacco e il passo di Dosdé, alla confluenza di quattro vallate: l'elvetica val di Campo e le italiane valle di Sacco, valle di Avedo e val Cantone di Dosdè. Proprio percorrendo quest’ultima, laterale della val Viola Bormina, se ne raggiunge la vetta con gli sci per un itinerario piuttosto lungo ma senza particolari difficoltà. Scendendo dalla vetta della cima di Saoseo. Sullo sfondo da dx: la cima Viola, la cima settentrionale di Lago Spalmo, la cima Piazzi e il pizzo di Dosdé maggio 2013, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). MONTAGNE DIVERTENTI 70 (5LE Primavera 2015 Luciano Bruseghini LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima di Saoseo (m 3264) 71 Alta Valtellina Alpinismo Cima Viola (3374) Cima Piazzi (3439) Pizzo di Dosdé (3280) Corno di Dosdé (3232) Cima di Lago Spalmo settentrionale (3362) Punta Dügüral (3097) Cima di Saoseo (3264) Passo di Sacco (2730) Rifugio Federico (2133) Le cime della val Viola riprese da La Pala in val di Campo (10 marzo 2013, foto Giacomo Meneghello). BELLEZZA Partenza: parcheggio Altumeria (m 2070 ca.). Con strada ingombra da neve si può dover partire sci ai piedi direttamente da Arnoga. FATICA PERICOLOSITÀ Itinerario automobilistico: da Bormio, prendere la SP 301 in direzione di Livigno e passo del Foscagno. Dopo circa 20 km si raggiunge Arnoga. Al tornante destrorso (chilometro 15 della strada del passo del Foscagno) si stacca sulla sx la stradina asfaltata della val Viola Bormina. Inoltrarsi nella vallata fino a raggiungere, dopo 5 km il parcheggio di Altumeira. Itinerario sintetico: parcheggio Altumeria (m 2070 ca.) - Caricc (m 1980) - rifugio Federico all'alpe Dosdé (m 2130) - baita del Pastore 72 LE MONTAGNE DIVERTENTI (m 2368) - cima di Saoseo (m 3264). Tempo previsto: 4 ore per la vetta. Attrezzatura richiesta: attrezzatura da scialpinismo con rampanti, kit antivalanghe. Potrebbero tornare utili piccozza e ramponi. Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / circa 1300 m. Dettagli: BS. Qualche tratto ripido nella parte finale, per cui da affrontare solo con neve perfettamente assestata. Mappe: - Kompass n. 72 - Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50000 - CNS n.1278 - La Rösa, 1:25000 Primavera 2015 er chi percorre l'alta val Viola Bormina, la maggior ambizione è quella di toccare la cima Viola (m 3374). Ma limitando le proprie ambizioni a 100 metri di quota in meno e al voler guardare la Viola da uno dei suoi profili più emozionanti, ci si può interessare alla panoramicissima e più agevole cima di Saoseo. La cima di Saoseo fu scalata per la prima volta già nel lontano 1894 da Carl Blodig e Ludwig Purtscheller per la cresta orientale. Poi, nel 1906, Bruno Galli-Valerio in compagnia di J. Rochaz e della guida Pietro Rinaldi raccolse l'invito di Giorgio Sinigaglia1 e ne esplorò il versante NE, un bel pendio glaciale, che, dopo essere stato sciato nel 1923 dal pioniere Aldo Bonacossa, divenne una classica dello scialpinismo. Cima di Lago Spalmo orientale (3291) Cima Viola (3374) Cima di Lago Spalmo sett. (3362) Pizzo Matto (2993) Passo Dosdé (2824) Val Ca nt o P é osd iD d ne A ffrontiamo l’ascesa il 17 maggio 2014 sfruttando la rotabile della val Viola pulita e parcheggiamo presso Altumeria (P4). Prendiamo la carrabile in discesa2, incontrata poco 1 - Giorgio Sinigaglia (1875-1898), come titola il volume a lui dedicato dal Centro di Studi Alpini di Isolaccia (1998), fu alpinista, esploratore e cantore della montagna. Morì di tifo a soli 23 anni, ma nel poco tempo concessogli dalla vita, riuscì a compiere una sistematica esplorazione delle cime della val Grosina, tanto da legare indissolubilmente il suo nome a quelle vette. 2 - Un'alternativa, da valutare a seconda dell'inneva- LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpe Dosdé (2129) Caricc (1980) La val Cantone di Dosdé e le cime di lago Spalmo viste dalle pendici del monte Forcellina (17 aprile 2011, foto Giacomo Meneghello). Cima di Saoseo (m 3264) 73 Alta Valtellina Alpinismo Punta Dügüral (3097) Passo di Dosdé (2824) La linea di salita alla cima di Saoseo dal pianone a circa m 2500 (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello). Il primo tratto ripido per il Saoseo si trova oltre la piana a m 2500 ca. (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello). prima del parcheggio, che ci porta dopo un tratto in piano al ponte sul torrente Viola. Passati in dx idrografica, calziamo subito gli sci e proseguiamo in direzione SSO lungo morbidi pascoli ricoperti da un esiguo strato di neve, appena sufficiente per non rovinare le pelli di foca. Dall'altra parte del torrente vediamo l'agriturismo Caricc3, nei pressi del quale parte un altro sentiero che va a ricongiungersi a quello che stiamo percorrendo. Il tracciato inizia a salire in un fitto bosco per poi immettersi nella val Cantone di Dosdè. Man mano che saliamo lo spessore del manto nevoso fortunatamente aumenta. Con diverse inversioni prendiamo quota e in poco tempo raggiungiamo la vasta radura occupata dall’alpe Dosdè (m 2130, ore 0:30). Balza subito agli occhi una baita, molto più grande e curata delle altre. Si tratta del rifugio intitolato a Federico Valgoi, di proprietà del CAI di Bormio e gestito dalla famiglia della guida alpina, nonché campione di sci alpinismo e corsa, Adriano Greco. Aperto solamente nei mesi estivi, dispone di un comodo bivacco invernale con una ventina di posti letto. Ci abbassiamo a dx e, oltrepassato il torrente che divide in due l’alpe, insistiamo in direzione S superando alcuni dossi. Davanti a noi si para l’ampia vedretta di Dosdè che conduce alla cima di Lago Spalmo Orientale. Man mano avanziamo, la vallata piega dolcemente verso SO e i radi alberi pionieri scompaiono. Superato un breve pendio, perveniamo ad una larga spianata: qui sorgono i resti di una casupola, nota come baita del Pastore (m 2368); spero non venga più utilizzata, altrimenti il povero occupante sarà alla mercé degli spifferi che si rincorrono tra le feritoie delle fatiscenti pareti. Sfruttando un ponte di neve, mento, è quella di raggiungere l'alpe Dosdé continuando a piedi o con gli sci (SO) lungo la strada della val Viola, che da Altumeira in poi è a transito limitato. Dopo circa 15' di salita, si prende a sx la pista che s'abbassa e con un arco verso sx raggiunge l'imbocco della valle Cantone di Dosdé, dove si trova l'alpe Dosdé. In fondo alla piana dell'alpe (S) questa variante si ricongiunge all'itinerario descritto nel testo. 3 - L' Agriturismo Baita Caricc è gestito dalla famiglia Lazzeri. In bassa stagione apre nei fine settimana solo su prenotazione (389.29.36.189 / www.agriturismobaitacaricc.com) e offre anche la possibilità di pernottamento. 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Verso la cresta E della cima di Saoseo (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello). Gli ultimi metri per la vetta della cima di Saoseo (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello). Cima di Saoseo (m 3264) 75 Alta Valtellina Alpinismo Panorama dalla cima di Saoseo (5 maggio 2013, foto Giacomo Meneghello). guadiamo il torrentello e ritorniamo sulla dx idrografica per affrontare il lungo e noioso altipiano. Da qui è ben visibile il percorso che ci resta da compiere, ma non scorgiamo la vetta vera e propria. In fondo alla piana (m 2500 ca.) risaliamo un erto pendio4, sulla dx, che ci porta ai piedi della punta Dügüral. Sudiamo e fatichiamo anche per il forte irraggiamento solare. Guadagnati 200 metri di dislivello, pieghiamo decisamente a sx e affrontiamo un facile traverso che ci guida ad una vallettina delimitata sulla dx da una piccola fascia rocciosa. La seguiamo brevemente verso SO. Appena scorgiamo un valico, ci alziamo con stretti zig-zag e scolliniamo nella conca parallela occupata dal ghiacciaio di Val Viola Est. La vedretta dal 1990 al 2007 ha evidenziato il maggiore regresso tra le 20 censite nell'area Dosdé-Piazzi, passando da 22,5 ettari a soli 8,5 ettari (-62,2%)5. Con numerose inversioni lungo il vasto tavolato bianco, risaliamo fino a rimontare la cresta spartiacque con la val Grosina occidentale (m 3150 ca.). Percorrendo la dorsale verso N, in un attimo siamo in vetta alla cima di Saoseo (m 3264, ore 3:30). Il grandioso panorama spazia a 4 - Qui la val Cantone di Dosdé piega a sx e raggiunge il passo di Dosdé, dove si trova la capanna Dosdé (m 2824). Si tratta di un bivacco in muratura costruito nel 1890 dalla sezione di Milano del CAI e inaugurato l'anno successivo. Più volte distrutta e ripristinata in seguito agli eventi bellici, la capanna fu acquisita dalla sezione di Bormio del CAI e ricostruita nel 1982. Piuttosto spartana, offre cucina, 12 posti letto e acqua nelle vicinanze. Si presta ad essere utilizzata da chi volesse spezzare in 2 giorni la gita alla cima di Saoseo. 5 - Fonte: AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, Editore Hoepli, Milano 2012 76 LE MONTAGNE DIVERTENTI 360°, tanto da far girare la testa. Da questa prospettiva un’enorme delusione ce la riserva il pizzo Scalino: non più l’elegante piramide che caratterizza la Valmalenco, ma una montagna senza particolari tratti salienti e che si mimetizza fra le altre. Assai invitante invece è la cima Viola che sorge dall'altro lato della valle Cantone di Dosdé. La terremo in considerazione per un futuro raid, del resto già il reverendo Coolidge a fine '800 consigliava di salire sia Saoseo che Viola per godere della bella vista reciproca che offrono le due montagne Per il rientro seguiamo in parte la comoda dorsale verso E, ma dopo un breve tratto optiamo per il ripido pendio a NE. Nonostante la forte inclinazione (40°), il buon fondo ci consente di disegnare serpentine perfette e di raggiungere facilmente la conca occupata dalla vedretta di Val Viola Est. Ricalcando fedelmente il tracciato dell’andata, perdiamo rapidamente quota con una divertente sciata su neve trasformata fino a toccare il lungo pianone. A forza di spinte e scivolate in stile sci di fondo, approdiamo alla baita del Pastore. Un’altra avvincente picchiata sulle pendici del Corno di Dosdè ed eccoci al rifugio Federico, dove ad attenderci troviamo un ospite inatteso: una bella vipera appena uscita dal lungo letargo invernale che si sta godendo i caldi raggi solari e che, infastidita dai numerosi paparazzi, piano piano si ritira e scompare fra i massi. Per il sentierino nel bosco, chiudiamo la nostra gita nel fondovalle trapuntato di crochi che preannunciano la chiusura della stagione sciistica. In picchiata verso la val Cantone di Dosdé (17 maggio 2014, foto Luciano Bruseghini). Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima di Saoseo (m 3264) 77 Escursionismo 3 Alta Via della Valmalenco 3 tappa a Dai rifugi Gerli-Porro e Ventina a Chiareggio, passando per la val Sissone e il rifugio Del Grande-Camerini. Protagonista di giornata: il monte Disgrazia. Eliana e Nemo Canetta 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'alta val Sissone con, da sx, monte Disgrazia, monte Pioda, passo di Mello e cima meridionale e centrale di Chiareggio (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). Alta Via della Valmalenco (III tappa) 79 Escursionismo Valmalenco Tappa di estremo interesse per la grandiosità dell’ambiente naturale e per le caratteristiche geologico-petrografiche della zona. Il percorso è privo di vere difficoltà, ma a causa della sua complessità è da intraprendere in buone condizioni di visibilità. Cima di Rósso (3366) Monte del Fórno Cima di Vazzéda (3214) (3301) Cima di Val Bóna (3033) Passo del Fórno (2775) Punta Baróni (3204) Monte Sissóne Cima Centrale di (3331) Chiaréggio Passo del Murètto (2562) Rif. Del GrandeCamerìni A. Sissóne A. Vazzéda sup. VAL LE S ISSÓ NE A. dell'Òro A. Vazzéda inf. Laresìn Forbesìna NA NTÌ E V VAL Il tracciato della III tappa dell'Alta Via della Valmalenco visto dal Torrione Porro (1 novembre 2011, foto Roberto Ganassa). Viene indicata anche la corretta pronuncia dei toponimi. BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: rifugio Gerli-Porro (m 1960). Variante di accesso: per chi non si trova già alla Porro, si consiglia di raggiungere il rifugio partendo da Chiareggio con la possibilità di compiere un anello.Dalla piazza del paese, si scende verso il torrente Mallero, che si attraversa su un ampio ponte. Si segue quindi la mulattiera per il rifugio Porro, che si abbandona in val Ventina in corrispondenza del primo tornante sinistrorso (m 1862, ore 0:30, indicazioni per "alpe Forbicina" sulla dx). Itinerario sintetico: rifugio Gerli-Porro (m 1960) - Forbesìna (m 1563) - Laresìn (m 1705) passo della Corna del Sissone di Dentro (m 2438) bocchetta del Ciatel di Vazzeda - rifugio Del Grande - Camerini (m 2550) - alpe Vazzeda superiore (m 2033) - alpe Vazzeda inferiore (m 1833) - ciàn de la Loppa (m 1657) - Chiareggio (m 1612). Tempo D previsto: 6:30 ore. al rifugio Gerli-Porro (m 1960) seguiamo il sentiero per Chiareggio fino ai due tornanti dove si trasforma in carrareccia. Al secondo pieghiamo a sx (indicazioni) per imboccare la vecchia mulattiera che, dopo un ripido tratto in discesa, porta sul fondo della val Ventina. La percorriamo fino al termine e attraver- 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 900 m in salita e 1260 in discesa (sviluppo 13 km). Dettagli: E. Escursione su sentieri segnalati (n.301-305) da bandierine bianco-rosse e dai triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. Breve tratto con catene per raggiungere il rifugio Del Grande-Camerini. La variante che porta in Longoni passando per l'alpe dell'Oro presenta invece tratti con sentieri un po' incerti (EE). Mappe: - Comunità Montana Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000; - Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco, 1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne Divertenti. siamo il corso principale del torrente su di un ponte. Superato con un guado un successivo ramo secondario, ci lasciamo guidare dalla traccia che, tra le sassaie, porta alle baite di Forbesìna1 (m 1663, ore 0:30), dove intercettiamo la carrareccia prove1 - CTR e segnaletica recente italianizzano il toponimo in “Forbicina”. niente da Chiareggio. A Forbesìna prendiamo a sx e con una breve salita entriamo nel solco della val Sissone nei pressi delle baite di Laresìn (m 1705). Ignoriamo a dx, prima un tratturo che sale al soprastante rifugio Tartaglione Crispo e successivamente, dopo esserci alzati per superare una strettoia Alta Via della Valmalenco (III tappa) 81 Escursionismo Valmalenco Fioritura di epilobio nei pressi delle vecchie baite di Forbesìna (3 agosto 2013, foto Luciano Bruseghini). Salendo la bassa val Sissone tra boschi e vaste pietraie (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). Rimontando la morena sx della val Sissone si giunge alla placida conca della Zuchéta (28 settembre 2014, foto Beno). Sguardo dalla Zuchéta verso Sassa di Fora e il gruppo delle Tremogge. A dx Cresta Güzza e pizzo d'Argento (28 settembre 2014, foto Beno). Nei pressi del guado del torrente che scende dal ghiacciaio della cima di Rosso (28 settembre 2014, foto Beno). Al passo della Corna del Sissone di Dentro. Sullo sfondo pizzo delle Tremogge, pizzo Malenco e Sassa d'Entova (28 settembre 2014, foto Beno). della valle, un altro sentiero (dx) che porta direttamente all’alpe Sissone. Il nostro itinerario prosegue in discesa ed entra nel grande bacino mediano della val Sissone, sconvolto più volte dalle alluvioni2. La traccia serpeggiando tra i 2 - Tra le grandi calamità che hanno colpito la val Sissone, oltre all'alluvione del 1987, si ricorda quella del 15 settembre 1950, quando le grandi precipitazioni e lo scioglimento dei ghiacciai causarono l'esplosione di un lago proglaciale e un'enorme frana che fu ben descritta dal professor Giuseppe Nange- 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI detriti, ora in piano, ora in lieve salita, si accosta al fianco settentrionale della valle, chiuso da un'alta parete rocciosa. Superati una serie di alvei entriamo in una zona relativamente pianeggiante, un tempo dominata dalla seraccata della vedretta del Disgrazia. Poco oltre pieghiamo a dx e, facendo attenzione ai segnavia, vinciamo con una roni nel volume La frana di Val Sissone. serie di tornanti il ripido pendio della morena laterale sx della val Sissone e ne raggiungiamo la sommità in corrispondenza di un pianoro3 chiuso a monte da una cascatella e localmente noto come Zuchéta (m 2100 ca.)4. È 3 - Qui si trova il trivio Chiareggio, rifugio Del Grande-Camerini, passo di Mello. Davvero inadeguate le indicazioni pressofuse in alluminio per il passo Sissone, valico disagevole e pericolosissimo da raggiungere dal versante malenco. 4 - Sul margine meridionale della conca si trovano i Alta Via della Valmalenco (III tappa) 83 Escursionismo Valmalenco Al passo della Corna del Sissone di Dentro. In secondo piano la cresta che corre tra il monte dell'Oro e la Sassa di Fora, di cui si vede l'anticima di quota m 3300 (28 settembre 2014, foto Beno). Nella vallecola tra le creste SE ed E della cima di Vazzeda (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). quanto mai pittoresco nella sua tranquillità che contrasta col selvaggio ambiente d’alta montagna circostante, dominato dalla parete nord e dai ghiacciai del monte Disgrazia. A occidente invece l'orizzonte è chiuso dalle tre cime di Chiareggio, tra cui spicca a N la punta Baroni (m 3204), con la sua forma conica e il lungo e affilato spigolo E, meta ambita dagli ruderi di un baitello. Qui erano portate al pascolo le mucche da chi caricava l'alpe Sissone. 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'elegante e possente versante SE della calcarea cima di Vazzeda (28 settembre 2014, foto Beno). arrampicatori. Dalla conca imbocchiamo la traccia sulla costa di dx (ENE) che, dopo una traversa, immette in un marcato valloncello. Lo percorriamo per metà della sua lunghezza per uscirne sulla sx e ci portiamo sul filo di un piatto crestone, sul quale guadagniamo quota lentamente. A questo punto iniziamo una lunga diagonale verso dx in lieve salita e intercettiamo il grosso torrente che scende dal ghiacciaio della cima di Rosso e che, in giornate ed in ore calde, può presentare difficoltà di guado. Sull’opposto lato della valletta è visibile la prosecuzione del nostro sentiero, che supera in costa un terroso cordone morenico, si immette in una seconda valletta per salire con qualche tornante alla sella detta localmente passo della Corna del Sissone di Dentro (m 2438, ore 2:30). Sulla dorsale dirimpetto è già visibile il rifugio Del Grande-Camerini, posto Primavera 2015 Il rifugio Del Grande-Camerini appena ultimato (settembre 1936, foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). poco sopra una lieve depressione all'inizio della grandiosa cresta orientale della cima di Vazzeda. Caliamo sul versante opposto grazie alla mulattiera aggrappata alle bastionate rocciose che fu costruita per consentire il passaggio delle mandrie. Attraversiamo la parte superiore della valletta, dominata dalla biancheggiante cima di Vazzeda, e incrociamo (indicazioni) il sentiero che dall’alpe Sissone porta direttamente al rifugio LE MONTAGNE DIVERTENTI Il bivacco del Grande - Camerini e la mole biancastra della cima di Vazzeda (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). Del Grande-Camerini. Ci uniamo a questa direttrice piegando a sx, sino alla breve paretina che difende l’intaglio della bocchetta dei Ciatté di Vazzeda. Dopo una breve arrampicata (I grado, catene fisse), risaliamo il facile crestone che ci porta al rifugio Del Grande-Camerini5 (m 2550, ore 1), una piccola struttura ottenuta 5 - Per il 2015 l'apertura è prevista dal 27 giugno al 13 settembre. Per info: tel. 0342/556010 - sezione@ caisovico.it. dall'accostamento di vari parallelepipedi con pietra a vista e con simpatiche finestrelle dagli infissi rossi. Il rifugio fu costruito dal CAI sez. di Milano nel 1936 in ricordo di Mario Del Grande, perito sulla punta Rasica nel 1936, e di Remo Camerini, precipitato nel 1926 dal Sigaro in Grigna. Offre uno splendido panorama sull'alta Valmalenco, sopratutto sulla parete N e sul ghiacciaio del monte Disgrazia, attorniato dal pizzo Alta Via della Valmalenco (III tappa) 85 Escursionismo Valmalenco Scendendo verso N dal rifugio Del Grande - Camerini si attraversano numerosi ruscelli che scendono dai Ciatté di Vazzeda (28 settembre 2014, foto Beno). Ventina e dal monte Pioda. Più volte ripristinato in seguito ad atti di vandalismo e al naturale deterioramento, il rifugio è stato recentemente acquisito dal CAI sez. di Sovico (2001) che lo ha ampliato e messo a norma (20042005), infine dotato di bivacco invernale con 4 posti letto (2012). Dal rifugio, seguendo i segnavia, ci abbassiamo rapidamente per la linea di massima pendenza, poi effettuiamo un lungo traverso (sx) guadando le numerose vallette che scendono dai ciatté Poco sopra l'alpe Vazzeda superiore, il sentiero, che correva tra i ginepri e rododendri che foderano l'antica morena, entra in un bel bosco di larici (28 settembre 2014, foto Beno). di Vazzeda. All’altezza del cordone morenico che fa da spartiacque fra il bacino di Vazzeda e la val Bona, il sentiero divalla (dx) con una serie di svolte che penetrano in un bel bosco di larici. Presto sbuchiamo nell'abbandonata e fatiscente alpe Vazzeda superiore (m 2033, ore 1)6. Un pugno di piccole baite a S del sentiero 6 - Qui un trivio: a O è il sentiero per il rifugio Del Grande Camerini; a N il sentiero che presto si divide in due rami, uno per il passo del Forno e l'altro per l'alpe Monterosso inferiore; a SE è invece la via per Chiareggio. che facevano capo ad una più grande posta a N e recentemente crollata, per un totale di 14 edifici nel 1816, diminuiti a 10 a metà del '900. L'ultimo a trascorrere stabilmente l'estate all'alpe Vazzeda superiore fu Vittorio Moroni di Mossini, detto Murunìn, che qui monticò il bestiame fino al 19987. Attraversiamo i pascoli inselvatichiti da NE a SO, per scendere un gradino roccioso e imboccare (dx, S) 7 - Vedi: Luciano Bruseghini, Alpe Vazzeda superiore, LMD n.28 - Primavera 2014, pagg. 79-81. Presso i ruderi dell'alpe Vazzeda superiore. Sulla sx si vede l'alpe dell'Oro, mentre in lontananza, a sx del monte di Senevedo, è la lontana piramide del pizzo Scalino (28 settembre 2014, foto Beno). un valloncello tra due rocce montonate. Non molta strada e ci affacciamo al canale percorso dal torrente Vazzeda. Pieghiamo a sx lungo il crinale che porta ai pascoli dell’alpe Vazzeda inferiore (m 1832)8. Qui sale ancora il bestiame e il paesaggio è così Chiareggio visto dal suo margine orientale. In alto svetta la cima di Vazzeda e, indicata, si nota la posizione del rifugio Del Grande - Camerini (28 settembre 2014, foto Beno). molto più dolce. Senza raggiungere le baite dell'alpe, prendiamo a dx e attraversiamo il torrente, il cui alveo è stato spazzato nei primi mesi del 2014 da una poderosa valanga. Il sentiero prosegue nel fitto del bosco, prima pianeggiante, poi con pendenza più accentuata, e giunge al ponte sul torrente Mallero allo sbocco della valle del Muretto, dove si trova la carrareccia che unisce Chiareggio con Forbesìna. Oltre il ponte insistiamo sulla pista sterrata che dopo circa un 8 - L'alpe Vazzeda inferiore viene pascolata dalle 30 mucche dall'Azienda Agricola Fratelli Lenatti, la cui famiglia è detta Urä. Il latte, munto in loco, viene trasportato al ciàn de la Loppa per la lavorazione. Con lo stesso bestiame vengono brucati anche i pascoli dell'alpe Sentieri, della Zocca, di Laresìn e di Forbesìna (informazioni sugli alpeggi a cura di Andrea Sem e Diana De Gasperi). Sassa di Fura (3363) Cima di val Bona (3033) Ciattè di Vazzeda Passo delle Tremògge (3015) Passo del Murètto (2562) Fura de Dint Alpe dell'Òro V. D EL MU RÈ T TO CO AS EV N Alpe Vazzéda inf. Ciàz de Fura Rif. Longoni L VA Alpe Monte Rosso inf. Piani dell'Òro O SC RA FO Alpe Monte Rosso sup. Alpe Vazzéda sup. Sassa d'Éntova (3331) L VA VA LB ON A Pizzo Malénco (3438) Monte Murètto (3104) Passo del Fórno (2775) 9 - “Pian del Lupo” su cartelli e mappe in seguito a un'errata italianizzazione del toponimo. Pizzo delle Tremògge (3441) Monte dell'Òro (3155) Monte del Fórno (3214) chilometro risale a sx e si immette sulla carrozzabile che da Chiareggio conduce all’alpe dell’Oro. La seguiamo verso E e in breve siamo prima all’abitato del Ciàn de la Loppa9, poi a Chiareggio (m 1612, ore 1:30), dove è possibile trovare comoda ospitalità in vari alberghi. Alpe Fura Panoramica sulla variante della III tappa dell'Alta Via della Valmalenco ripresa dal monte di Senevedo (31 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini). 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (III tappa) 87 Escursionismo Valmalenco Lungo questo tratto non si manchi di notare qualche bell’esemplare di Pino cembro, poco diffuso in Valmalenco e che spicca per la sua caratteristica forma conica e per il vivace colore verde intenso. Dall’alpe si inizia un lunghissimo mezza costa nel bosco, su traccia non sempre ben evidente, che consente, tenendosi alti rispetto a Chiareggio, di percorrere le pendici meridionali della costiera monte dell’Oro - Sassa di Fora. Attraversato il vallone del torrente Nevasco, foriero di grandi valanghe, entriamo in piano per pascoli nella conca che ospita l'alpe Fora14 (m 2053, ore 1:30). Lasciate a sx le baite dell’alpe, iniziamo a salire in direzione N a sx di un alta bastionata rocciosa. Con strette risvolte guadagniamo quota e, valicato il torrente Forasco, ci troviamo a oltre m 2200 nell'ampio ripiano erboso dei Ciàz de Fura. In direzione ENE attraversiamo la bella conca, spesso su terreno paludoso, puntando alle caratteristiche cascate che intagliano scure balze rocciose. Dopo averle costeggiate, pieghiamo a ESE fino al quadrivio San Giuseppe - Longoni - passo delle Tremogge Ciàz de Fura, da cui in pochi minuti siamo sul poggio panoramico della cresta SO della Sassa d'Entova che ospita il rifugio Longoni15 (m 2430, ore 1:15). VARIANTE DALL' ALPE VAZZEDA SUPERIORE AL RIFUGIO LONGONI Q uesta variante (sentieri n.326, n.308 e n.301) è consigliabile a chi volesse compiere l'intero tragitto dell'Alta Via dormendo sempre in alta quota. Per fare ciò dal rifugio Del GrandeCamerini ci portiamo al rifugio Longoni senza scendere a Chiareggio. La variante, di grande respiro ambientale, aggiunge alla III tappa dell'Alta Via altri 500 m di dislivello in salita (1400 m in totale) e circa 2 ore in più di cammino (8 ore in totale). Al trivio dell'alpe Vazzeda superiore (m 2033), andiamo a N. Troviamo indicazioni per il passo del Forno e per l'alpe Monte Rosso10 inferiore / alpe dell'Oro. Penetrati nel bosco raggiungiamo in breve i ruderi della baita isolata a m 2070 ca. Qui ci separiamo dalla via per il passo del Forno e prendiamo la traccia (dx) che discende verso la confluenza tra la val Bona e la valle del Muretto. Il sentierino supera uno degli emissari del ghiacciaio di Vazzeda e subito dopo, non sempre pulito ma assai segnalato, scende ripidamente sin nei pressi dell'alpe Monte Rosso inferiore11 (m 1944), poche baite al margine di una pietraia ai piedi di un'alta rupe. Superiamo il torrente della val Bona su una passerella, ci abbassiamo ancora qualche decina di metri e un più ampio ponticello ci porta in sx idrografica della valle del Muretto. Da qui il tracciato, con belle vedute sulla val Ventina, si alza a mezza costa sino a raggiungere la strada del passo del Muretto, quindi l’alpe dell’Oro (m 2027, ore 1:10)12, terrazzo panoramico che si affaccia sul monte Disgrazia. Il toponimo pare non abbia nulla a che vedere col metallo, anche perché qui di più prezioso vi sono certamente i fertili pascoli che permettono di produrre ottimi formaggi13. 10 - Libri e mappe riportano indistintamente la grafia Monte Rosso e Monterosso. L'alpe non viene più monticata da molti anni. 11 - Vedi: Luciano Bruseghini, Monterosso, LMD n.31 - Inverno 2014, pagg. 64-65. 12 - In un punto dell'alpe quotato m 2010 è posto il cartello che dà la Longoni a 3 ore. 13 - L'alpe dell'Oro negli anni '40 era sfruttata da 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'alpe dell'Oro è posta su un terrazzo panoramico che si affaccia sul Disgrazia (9 maggio 2013, foto Roberto Moiola). Ai piedi delle cascate che ornano i Ciàz de Fura (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). Primavera 2015 Il rifugio Longoni (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). LE MONTAGNE DIVERTENTI ben 5 famiglie che vi salivano con oltre 80 mucche. Ora viene caricata dal patriarca Arnaldo Lenatti coi figli Claudio e Alberto e i nipoti Riccardo e Michele. Circa 30 capi, di cui 23 da latte, vengono fatti pascolare dai primi di luglio al 25 di agosto nei prati dell'alpe, oltre che ai piani dell'Oro. L'alpeggio è storicamente di proprietà della loro famiglia, detta i Bracièi. A fine stagione, scendendo a valle, si fermano anche a cian Làzzer e ca Novi. Le coste erbose della valle del Muretto vengono invece brucate dalla “vacche delle Highlander” di proprietà del Bianco (Giancarlo Lenatti) e di Fausto e Maicol Pedrolini. 14 - Fora deriva dall'italianizzazione del toponimo locale Fura. All'alpe si incontra il sentiero principale proveniente da Chiareggio (IV tappa dell’Alta Via) che si segue fino al rifugio Longoni. Nel periodo 1952-1966 nel circondario erano caricati 150 capi bovini (molti in affitto), di cui 100 - suddivisi tra 6 famiglie - pascolavano i prati di Fura de Dint e 50 - gestiti da altre 4 famiglie - sfruttavano i ciàz de Fura. Dagli anni '80 gli alpeggi, che erano entrambi privati, sono stati uniti e nelle ultime stagioni vi salgono i soli Tommaso e Rodolfo Lenatti, detti i Tumasìn, con circa 20 capi. 15 - Gestito dalla guida alpina Elia Negrini, ha oltre 37 posti letto ed è aperto dai primi di giugno a metà settembre. Di proprietà del CAI di Seregno, fu costruito nel 1938 e dedicato ai fratelli Elia ed Antonio Longoni, caduti nella Prima Guerra Mondiale. Tel. 0342 451120 - 348 3110010 [email protected]. Alta Via della Valmalenco (III tappa) 89 Monte Disgrazia Escursionismo e ghiacciai P Il versante settentrionale del monte Disgrazia si alza imponente sopra la cresta SE della cima di Vazzeda (24 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).DIVERTENTI LE MONTAGNE 90 rotagonista indiscusso della III tappa dell'Alta Via della Valmalenco è il monte Disgrazia (m 3678), la vetta più alta che si alza nel settore retico tra i passi del San Gottardo, del Maloja e del Muretto. Infatti anche le elevate e celeberrime creste che dividono la vicina val Màsino dalla val Bregaglia - con i pizzi Badile e Cengalo, il monte Sissone e la cima di Castello - non superano i m 3400. Sul Disgrazia tuttavia, nonostante la sua importanza, non è stata fatta passare la linea di confine italo-elvetico che invece transita alquanto più a nord. Mentre il suo versante nord orientale è interamente di pertinenza del Comune di Chiesa Valmalenco, quello sud occidentale è diviso tra i Comuni di Val Màsino, Buglio in Monte e Torre di Santa Maria. Si tratta quindi di una cima interamente in territorio italiano. La sua fama è altissima, forse anche perché è una delle cime più visibili delle Retiche centrali. Contrariamente al Bernina, più elevato ma col versante meridionale alquanto nascosto, il monte Disgrazia si può osservare da tutta l’alta Valmalenco, da gran parte delle cime circostanti, dalle lontane Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Disgrazia e ghiacciai 91 Escursionismo Approfondimenti Valmalenco Il versante settentrionale del monte Disgrazia con il vasto e crepacciato ghiacciaio che ancora scendeva in val Sissone occupando la parte alta della valle. Immagine ripresa dai pascoli dell'alpe dell'Oro (agosto 1912, foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). Il circo-pendio con esposizione NO e compreso tra il monte Sissone e il Disgrazia è coperto da un vasto e corrucciato lenzuolo di ghiacciaio, il ghiacciaio del Disgrazia, che attualmente raggiunge i m 2400 di quota ed ha una superficie di 263 ettari, la maggiore del massiccio. Dal 1992 al 2007 ha perso il 31% della sua superficie pur restando molto potente nella sua parte più elevata, mentre nelle ultime stagioni la sua evoluzione è apparsa piuttosto stabile evidenziando un rallentamento dei ritmi di regresso. Queste immagini, scattate dalla cima di Vazzeda rispettivamente da Alfredo Corti il 28 settembre 1940 (www.archiviocorti.it) e da John Harlin il 31 luglio 2011, mostrano il drammatico ritiro avvenuto in poco più di 70 anni (fonte SGL - Riccardo Scotti). Le cime della conca di Chiareggio nel luglio 1926 (foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese) e l'8 agosto 2010 (foto Beno). Si notino, da sx, le importanti perdite di superficie dei ghiacciai di Punta Baroni (1- separatosi negli anni '40 da quello del Disgrazia), Passo di Chiareggio (2), Sissone (3), Cima di Rosso (4 - poco visibile da questa angolazione) e di Vazzeda (5). Nel solo periodo 1990-2007 hanno subito un regresso complessivo attorno al 40%. 1 2 3 5 4 Prealpi Lombarde e chiaramente anche dalla SS 38 mentre si attraversa Morbegno: è infatti un importante punto trigonometrico. La prima ascensione1 fu per la cresta NO ad appannaggio degli inglesi Edward Shirley Kennedy, Leslie Stephen, con la guida svizzera Melchior Anderegg e il collaboratore Thomas Cox il 24 agosto 1862, dopo che gli stessi, quattro giorni prima, avevano fatto un tentativo dalla Valmalenco giungendo a quella sorta di grande anticima che è il monte Pioda. Se pensiamo che all’epoca non esistevano nelle valli di Màsino e Malenco rifugi e tanto meno alberghi, che non vi erano sentieri segnalati né guide alpine che potessero offrire informazioni, ben si comprende quale impresa fosse al tempo conquistare il Monte Disgrazia. Altra impresa di rilievo e grande eco fu la prima salita della glaciale parete nord, 700 metri con pendenze che toccano i 60°, vinta da Antonio Lucchetti Albertini e Giacomo Schenatti il 10 luglio del 1934, dopo che altri importanti tentativi si erano arenati nella strozzatura centrale. Ancora nel 1975 Aldo Bonacossa in Guida dei monti d'Italia. Màsino Bregaglia Disgrazia, CAI/TCI la definiva “una delle massime imprese per parete della regione.” Poco a E della vetta maggiore, è stata posata la scatola di metallo del bivacco Rauzi che dispone di 9 posti letto. In un certo senso è l’erede della vecchia capanna Maria che a fine '800 fu eretta dai topografi poco a SO della cima per avere maggiore comodità nell'effettuare i rilievi a una quota tanto inospitale. Chi ascende al Disgrazia lo fa principalmente per due vie: quella che si svolge dal rifugio Ponti in alta valle di Predarossa (val Màsino) per la Sella di Pioda (PD) e la cresta NO; e quella che dal rifugio Gerli-Porro tocca i bivacchi Taveggia e Oggioni, per infine cavalcare la cresta N, meglio conosciuta come “Corda molla” (AD). 1 - Una monografia completa e dettagliata sul monte Disgrazia - coi contributi di Mario Sertori, Beno, Antonio Boscacci, Franco Benetti, Riccardo Scotti, Eliana e Nemo Canetta e Luciano Bruseghini - è presente sul n.13 de LMD - Estate 2009. Il numero è esaurito, ma scaricabile gratuitamente in formato PDF dal sito www.lemontagnedivertenti.com. 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Disgrazia e ghiacciai 93 Approfondimenti Valmalenco Val Sissone Minerali geologia e glaciologia a cielo aperto 1920 1941 1954 2014 avvertenze per i raccoglitori La val Sissone con il ghiacciaio del Disgrazia in costante e inesorabile ritiro. Nelle prima immagine siamo agli inizi del '900 (cartolina archivio Maurizio Cittarini), quindi nel 1941. Si noti nella terza immagine, datata 1954, l'impressionante ritiro dei ghiacci e lo sconvolgimento della valle in seguito all'alluvione del 1950 (foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). Infine un'immagine del 2014 (foto Luciano Bruseghini). L a val Sissone, con i suoi fianchi dirupati e in gran parte privi di copertura vegetale, costituisce in vari punti una sezione geologica naturale di estremo interesse. Nella prima parte della valle, esaminando con attenzione le rocce, possiamo osservare il passaggio tra le rocce scistose della falda Margna (di aspetto marrone grigiastro) alle anfiboliti del monte del Forno, rocce di eccezionale interesse che secondo i più recenti studi geologici corrisponderebbero a brandelli del mantello superiore della Terra coinvolti nell’urto tra il continente euro-asiatico e quello africano, urto che diede origine alle Alpi. Le anfiboliti di colore verde bluastro sono ben riconoscibili rispetto al serizzo, roccia granitoide grigio chiaro 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI che si trova più ad O. Sia le anfiboliti che il serizzo sono poi traversati, in ogni direzione, da filoni di quarzo e feldspato di origine magmatica, le cosiddette apliti. Il contatto tra le anfiboliti e il serizzo costituisce il visibile incontro tra le rocce delle falde alpine (anfiboliti) ed il massiccio intrusivo Màsino-Bregaglia (serizzo). Dal punto di vista morfologico è facile osservare come, tutto attorno alla valle, ad una quota compresa tra i m 2200 e i m 2400 vi siano dei terrazzi sospesi, talora a picco, sul fondovalle. Si tratta di antichi fondovalle, probabilmente preglaciali, successivamente profondamente erosi dalla fiumana di ghiacci quaternari che scendeva verso Chiareggio. Un esempio di questo i n va l fenomeno è la “valle sospesa” dell’alpe Sissone, il cui torrente è costretto in una profonda forra a raccordarsi col fondovalle 300 m più in basso. Da ultimo osserviamo che la val Sissone, contrariamente alle vicine valli del Muretto e val Ventina, ha il fondovalle completamente devastato da frane e alluvioni. In effetti in essa la natura ha sovente esercitato la sua mano possente, talora con avvenimenti catastrofici come quando negli anni ’50 si svuotò di colpo un probabile lago sottoglaciale, provocando un’alluvione i cui effetti si fecero sentire sino a San Giuseppe. Il relativo assestamento successivo fu nuovamente fortemente rovinato dall’alluvione del 1987, che danneggiò in più punti anche il tracciato dell’Alta Via. Primavera 2015 Sissone Gita guidata in val Sissone organizzata tutti gli anni dall' Istituto Valtellinese di Mineralogia. Per informazioni: www.ivmminerals.org (24 agosto 2013, foto Franco Benetti). S ovente si sente affermare che la Valmalenco sia una delle valli retiche più ricche di minerali. In effetti è proprio così ed alcuni studiosi, tra cui il Sigismund ed il Grazioli, fecero nelle valli del Mallero e del Lanterna ricchissime raccolte trovando anche nuove specie minerali. Certo i tempi sono cambiati e forse la ricerca e il ritrovamento non sono più così facili sebbene il costante ritiro dei ghiacci permette ancor oggi interessanti scoperte. Purtroppo vi è chi, anche con “mezzi pesanti” saccheggia e ha saccheggiato questi depositi per fini commerciali. Il raccoglitore sappia che tali mezzi richiedono apposite autorizzazioni poiché si tratta di un’attività di LE MONTAGNE DIVERTENTI estrazione mineraria; inoltre si tenga presente che le attuali leggi regionali in materia sono oltremodo severe. Si eviti poi in ogni modo ed in ogni caso di danneggiare ciò che non si può raccogliere. I minerali per riformarsi non richiedono una stagione come i fiori, ma milioni di anni! In val Sissone troviamo tantissime specie minerali: elencarle tutte sarebbe impossibile, ne citeremo solo alcune. La tremolite, silicato complesso di aspetto bianco fibroso, che, pur assomigliando all’amianto, è di questo assai più duro. I granati, altri silicati, qui in genere rossi (tipo almandino) di facile riconoscimento per il colore e della forma di cristallizzazione sferoidale con facce a forma rombica. Ancora l’epidoto altro silicato complesso di aspetto prismatico color verde intenso, la tormalina, comune in aciculi nerastri nei filoni. La calcite dalla tipica sfaldatura romboedrica biancastra ma che assume talora colorazioni diverse a causa di inclusioni di altri minerali. Gli anfiboli (come l’orneblenda) talora in cristalli giganteschi verde nerastri, gli spinelli neri, ossidi metallici talora ben cristallizzati in ottaedri. Il berillo in prismi azzurrastri, la titanite in piccoli cristalli di aspetto giallastro1. 1 - Per approfondimenti: Franco Benetti, Guida mineralogica della Valmalenco, Ed. Nordpress, Chiari (BS) 1994. Il libro può essere ordinato da www.lemontagnedivertenti.com. Val Sissone 95 Approfondimenti Z i n' gSa r i verso l alpe issone Valmalenco degli alpeggi Luciano Bruseghini Escursionisti all'alpe Sissone (settembre 1928, foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). L'alpeggio, oggi completamente abbandonato e in rovina, si trova sulla sponda sx della val Sissone, dirimpetto al versante N del monte Disgrazia. I ruderi dell'alpe Sissone. Sullo sfondo, da sx, la punta Baroni, il monte Sissone e le cime di Rosso e di Vazzeda (3 agosto 2013, foto Luciano Bruseghini). L’ alpe Sissone (m 2290), in alta Valmalenco, è un alpeggio assai particolare, sia per la sua posizione isolata e non facilmente raggiungibile, sia perchè offre solo magri pascoli dovuti all’alta quota e alla morfologia del territorio. Ormai abbandonato da diversi anni, in passato fu sfruttato da numerose famiglie che, come confermano testimonianze orali, qui monticavano fin dal diciottesimo secolo. I fratelli Elena e Piero Lenatti mi svelano i loro ricordi di gioventù quando vi si recavano a far pascolare le mucche. Figli di Gildo Lenatti (classe 1915) e Celestina Sem (classe 1918), insieme alle loro sorelle Gilda e Luciana, trascorrevano la maggior parte dell’anno fra vari alpeggi della Valmalenco. Normalmente solo da 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI gennaio ad aprile sostavano in paese a Chiesa. Poi salivano sopra la frazione di San Giuseppe alla località pra di Cabéi, e alla fine di maggio si trasferivano a Sabbionaccio, sempre nel circondario. Nel mese di luglio si spostavano al Laresìn sopra Chiareggio. La transumanza in quota avveniva all’incirca il giorno di sant’Anna, protettrice di Chiareggio festeggiata il 26 luglio, e anche questo accadeva per gradi: seguendo la val Sissone sostavano un paio di giorni al Gerùn (località scomparsa nel 1987 quando la furia delle acque del torrente Mallero la ricoprì di detriti), quindi si alzavano alla Zuchéta per altri due giorni1. 1 - Questo sito esiste ancora oggi (vi si trovano i ruderi di un baitello) e si trova lungo il sentiero dell’Alta Via a oltre m 2100, nei pressi di una bella Dalla Zuchéta si portavano al Sissone di Dentro (m 2300 ca.)2, dove si fermavano una settimana prima di proseguire per il passo della Corna di Sissone di Dentro (m 2438) e trasferirsi all’alpe Sissone (m 2290) vera e propria per sfruttare la poca erba di questi alti pascoli. In linea di massima trascorrevano dai 15 ai 20 giorni in quota (in un anno particolarmente difficile per il clima, raccontano che vi dimorarono solamente per 9 giorni). Verso ferragosto scendevano in basso passando per il sentiero diretto: un tracciato più breve, ma in alcuni punti assai cascata, là dove dal tracciato che porta dal fondo della val Sissone al rifugio Del Grande - Camerini si stacca la deviazione per il passo di Mello 2 - Zona di magri pascoli priva di ricoveri. Primavera 2015 impervio, tant'è che nei tratti più pericolosi le mucche venivano fatte passare a due o tre alla volta, con andatura lenta in modo che non si urtassero fra di loro. Capitava pure che il giro della val Sissone avvenisse al contrario, in base alle condizioni della strada e ai residui di valanga. Tornati a valle non sostavano a Laresìn, ma ritornavano direttamente a Sabbionaccio per tutto settembre, a far brucare i pascoli della zona. Non paghi del lungo girovagare, all’inizio di ottobre ritornavano a Chiareggio e tenevano gli animali nella stalla a consumare il fieno accumulato durante l’estate. Col cambio del mese riprendevano la marcia verso il pra di Cabéi, anche qui per esaurire LE MONTAGNE DIVERTENTI lo sfalcio estivo. In base alla disponibilità delle scorte vi soggiornavano fino a Natale o all’Epifania. Con un ultimo trasferimento completavano il giro e ritornavano a Chiesa in attesa della primavera. L’ ALPE SISSONE N egli anni sessanta erano ancora quattro le famiglie che la caricavano: quelle di Giacinto Lenatti, Andrea e Franco Lenatti, Ottavia Lenatti e - ovviamente - quella di Gildo Lenatti. L’omonimia dei cognomi sta a significare una certa parentela: infatti questi è un alpeggio privato, tramandato da padre in figlio. Piero è stato l’ultimo a salirvi con le mucche nel 1977, poi più nessuno ha sfruttato quei territori. Gildo e Piero accudivano circa venticinque bestie, la metà delle quali era affidata loro da vari proprietari. In totale una sessantina di capi girovagava per quei pascoli alla ricerca di qualche buon ciuffo d’erba da brucare. Inoltre ogni famiglia aveva dei maiali che nutriva con gli scarti della lavorazione del latte, ma essendo questi animali pigri, dovevano essere “convinti” con la minaccia del bastone ad incedere su per gli impervi tracciati, mettendo a dura prova la pazienza degli accompagnatori. Fino agli anni sessanta venivano monticate anche le capre, poi non vennero più considerate perché poco redditizie e per di più di indole ribelle. Le bestie pascolavano liberamente, Alpe Sissone 97 Escursionismo Approfondimenti Valmalenco Primo a sx Gildo Lenatti, poi i giovani Giovanni e Franco con il padre Andrea Lenatti. La ragazzina a dx è Gilda Lenatti, figlia di Gildo (fine anni '50, foto archivio famiglia Lenatti). controllate a vista dai ragazzi ai quali veniva data un po’ di polenta preparata la mattina e che doveva servire come nutrimento fino alla sera quando rientravano alla baita. Qui li attendeva un bel piatto di minestra calda servita nel ciapèl di legno e poi subito a nanna. Sopra la stalla si trovava il dormitorio il cui pavimento era costituito da una base di pali di legno allineati, ricoperti da fascine di rami di ontano; sopra di essi venivano distesi mazzetti di erba selvatica (scignùn) che rendeva più morbido il tutto. Come lenzuolo e coperta avevano un polòt, telo di lana pesante che pungeva dappertutto, e per cuscino gli abiti indossati durante il giorno, ben ripiegati, in modo da trovarli stirati al risveglio. L’acqua del vicino ruscello non era potabile in quanto gli animali pascolavano appena a monte, per cui si approvvigionavano presso una piccola sorgente poco distante soprannominata l’acqua de la nona. Il burro veniva portato saltua- 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI riamente a Chiareggio per essere venduto; anche i formaggi, man mano che erano pronti, venivano spostati a Laresìn dove vi era un’ottima cantina di stagionatura. Nel risalire, lungo il tragitto, raccoglievano la legna per alimentare il fuoco poiché al Sissone non crescevano alberi, causa l’altitudine. Alcuni attrezzi per la lavorazione del latte, soprattutto i più pesanti ed ingombranti (culdéra e penàia), venivano lasciati all’alpe, altri meno voluminosi, li portavano sempre con sé nei loro spostamenti. Gli attrezzi e le provviste venivano movimentate a spalla o grazie ad un asino che fece una brutta fine. Bisogna sapere che l’alpeggio è posizionato su un balcone prativo, parzialmente attorniato da lati dirupati ai quali bisogna prestare molta attenzione. Una notte, l’asino in questione, per mangiare l’erba tralasciata dalle mucche, si avvicinò troppo al pericolo e scivolò. Il mattino seguente, non vedendolo, si misero tutti alla sua ricerca, lo trovarono solamente a tarda sera in fondo al precipizio privo di vita. Oltre alla perdita di un instancabile lavoratore, questa disgrazia significava doppio lavoro per gli uomini nel trasportare le masserizie avanti ed indietro. In caso di forte maltempo anche le mucche tendevano a scendere a valle avvicinandosi pericolosamente al bordo; allora dovevano intervenire per fermarle e serrarle nella stalla. Piero narra un episodio accaduto nel 1972. Stava giocando col suo amico Graziano Dell’Andrino (detto Stampèla), facevano rotolare delle pietre. Ad un certo punto Graziano perse l’equilibrio e scivolò giù per un’impervia scarpata finendo la sua corsa decine di metri più in basso. Pietro, spaventatissimo, scese in volata e recuperò il giovane ferito riportandolo a spalla fino alle baite. Costatata la frattura di una gamba, lo caricarono su una barella improvvisata fatta Primavera 2015 Le sorelle Elena e Luciana Lenatti all'interno della baita a Laresìn (agosto 1971, foto archivio famiglia Lenatti). con il gerlo per la grasa, lo trasportarono velocemente a Chiareggio e quindi all’ospedale di Sondrio. Quella sera Piero non riuscì a mungere le mucche, perciò la mattina seguente le mammelle scoppiavano di latte. Durante l’inverno e all’inizio della primavera sovente scendevano delle valanghe nei pressi delle baite, per cui prima di transumare, toglievano e mettevano al sicuro le lamiere che fungevano da tetto onde evitare che venissero trascinate via. Quando rientravano in estate, le ricollocavano al loro posto dopo aver rabberciato eventuali danni provocati ai muri diroccati delle primitive abitazioni. Tra le curiosità emerse durante il colloquio vi è la storia di Livio Lenatti (classe 1900) che, portato al Sissone ancora piccolino, veniva adagiato in una culla formata da strisce di stoffa appese ai legni del tetto per tenerlo sollevato da terra così che non fosse morso dalle vipere che lì abbondavano. LE MONTAGNE DIVERTENTI Elena rammenta l’ultima volta in cui vi ha soggiornato, quando l’alpe era ancora in attività: nell’estate del 1976 era salita col marito Ignazio e il piccolo Giacomo di appena due anni seguendo il sentiero diretto; in alcuni tratti l’erba selvatica era più alta del bambino. Ad aspettarla c’era suo padre che si coccolò il piccolo sulle ginocchia e lo nutrì con dei piccoli pezzettini di burro appena prodotto. Tra i suoi ricordi più cari vi sono le cene che gustava in solitudine all’aperto, ammirando l’imponente parete nord del Disgrazia, mentre gli ultimi raggi del sole la salutavano augurandole la buona notte. Non essendoci ancora i cellulari, all’imbrunire comunicavano in un modo estremamente più romantico con i pastori della dirimpettaia alpe Sentieri: con una piccola pila facevano segnali intermittenti e si scambiavano la buona notte. I figli ricordano che Gildo era un gran lavoratore e appena aveva un po’ di tempo libero dagli impegni agricoli si occupava con gran sudore di pala e piccone di tener pulito e in ordine il sentiero che percorreva la val Sissone in modo che gli animali potessero transitare senza troppi pericoli. C he cosa spingeva quei pastori ad una vita così difficoltosa e sacrificata? Solo la sopravvivenza? Non credo. Penso che alla base di tutto ci fosse un grande desiderio di libertà, l’amore e il rispetto per il proprio ambiente, l’orgoglio di tramandare ai discendenti uno stile di vita autentico, in simbiosi con la natura: cosa che oggigiorno stiamo dimenticando, incalzati dalla frenesia delle “finte esigenze” che ci rendono schiavi della rincorsa a possedere di più. Forse un andare più lento sarebbe la giusta via d'uscita che ci farebbe gustare con maggior consapevolezza gli anni che ci sono stati donati. Alpe Sissone 99 Escursionismo Versante retico La camminata dei ci(a)ncètt Un' escursione lungo i sentieri che collegano il piano alle contrade alte di Ardenno, sino al recente passato utilizzati quotidianamente per attendere alle attività agricole e puntinati di cincètt (o ciancètt come chiamati nelle contrade alte), cappellette votive affrescate erette in luoghi significativi (passaggi pericolosi, incroci, zone di sosta) per volontà di singoli o della collettività a ricordo di eventi eccezionali, scampati pericoli, per difesa contro calamità o epidemie, a protezione dei viandanti o semplicemente in memoria dei morti. Nicola Giana 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 La camminata dei Ci(a)ncètt LE MONTAGNE DIVERTENTI Pioda, frazione di Ardenno. Sullo sfondo le Alpi Orobie, tra cui, ultimo a dx il monte Legnone (3 novembre 2010, foto Roberto Ganassa). 101 Escursionismo Versante retico P omeriggio di sole e foschia in questo caldo mese di febbraio. Lasciamo l’auto accanto al centro sportivo in via Europa e partiamo decisi1 imboccando via don Gusmeroli diretti verso il centro (O). All’incrocio con via Cavour voltiamo a sx e ci dirigiamo verso monte. Presto Beno cerca di immortalarci, ma la macchina è senza scheda. Passiamo in municipio da Maria Grazia per rimediare un prestito, ma non c’è d’aiuto e ci tocca attendere le 15 per comperarne una. Non male! orniamo sui nostri passi e mentre iniziamo la salita rimiriamo i palazzi nobili di via Cavour. Costeggiamo palazzo ParraviciniSabini, uno dei meglio conservati in paese. Un alto muro di cinta racchiude tutto il complesso di edifici e giardini, mentre prospicienti alla via sono i rustici e la cappella privata. All’incrocio con via Indipendenza non manchiamo di notare l’ex Caneva Vescovile, residenza degli agenti del vescovo di Como, e il palazzo Parravicini-Zaccaria col suo pesante portone di legno con borchie e sedute in pietra addossate alle pareti. Sicuramente questa parte del nucleo storico merita una visita approfondita, ma lasciamo al lettore la facoltà della scelta. In cima a via Cavour prendiamo a dx via Magiasca sino a incrociare il tornante di via 25 Aprile (strada per il Gaggio). Ne percorriamo un breve tratto e poco prima della bella fontana monolitica di granito del 1856 imbocchiamo sulla sx il sentiero acciottolato che incassato tra muretti in pietra a secco si snoda tra le case e i rispettivi orti. Incrociamo nuovamente la strada per Gaggio, poi sbuchiamo in contrada Cavallari giusto di fronte al cincètt de Cavalee2 il cui dipinto principale è costituito dalla Madonna con Gesù assisa su un trono. La contrada è molto antica, e in origine era detta contrada del Castello per la probabile stretta relazione col sopra- T Ardenno, Màsino e il tracciato dell'escursione visti dal Crap del Mesdì (15 maggio 2011, foto Roberto Ganassa). BELLEZZA Partenza: Ardenno, parcheggio del centro sportivo in via Europa. Itinerario FATICA PERICOLOSITÀ - automobilistico: salendo da Morbegno verso Sondrio, giunti all’altezza della stazione FS di Ardenno, lasciare la SS 38 dello Stelvio e svoltare in direzione del centro (sx). Alla rotonda in cima al rettilineo, svoltare a sx in via Merlina. Prendere la prima svolta a dx (via Europa), e lasciare l’auto nell’ampio parcheggio. Itinerario sintetico: Ardenno, parcheggio di via Europa (m 260) - contrada Cavallari - contrada Masun - San Lucio (m 425) - Bör - Mottallo (ca Bianca) - Piazzalunga (m 676) - bacino di Pioda (m 729) - Pioda (m 694) - Biolo (m 608) - Scheneno (m 510) - Valmala - Ardenno. Tempo previsto: 2 ore e 45' (9 km circa di sviluppo). Attrezzatura richiesta: scarpe adatte ai percorsi acciottolati; consigliati i bastoncini. Difficoltà/dislivello: 1 su 6; 430 m circa. Dettagli: T. Semplice scursione su strade, mulattiere e sentieri in parte segnalati. Approfondimenti: - Cooperativa L’Involt, Ardenno strade e contrade, Bonazzi Grafica, Sondrio 1993; - Mario Gianasso, Guida Turistica della Provincia di Sondrio, BPS II Edizione, Bonazzi Grafica, Sondrio 2000; - Giuseppe Songini, L’energia elettrica in provincia di Sondrio 1883-2002, Bonazzi Grafica, Sondrio 2004; - G. Azzalini e M. Innocenti, Le voci della Memoria. Vita ad Ardenno e frazioni dall’inizio del Novecento al Secondo Dopoguerra, Tipografia Ignizio, 2014; - AAVV, La strada dei Cincett, Tipografia Polaris, Sondrio 2000. 1 - Il percorso della manifestazione podistica "La camminata dei cincett" è segnato con frecce e piccoli bolli bianchi abbastanza facili da seguire, se non per il fatto che il tracciato negli anni ha subito alcune modifiche e ancora sono presenti le fuorvianti vecchie indicazioni. In ogni caso, per lunghi tratti si sovrappone al circuito “Arte, Cultura e Paesaggio tra le vigne di Ardenno”. 2 - Per la descrizione completa e dettagliata di ciascuna cappelletta rimandiamo a La strada dei cincètt (op. cit.). 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Vista la grande densità di strade carrozzabili, per una maggiore pulizia grafica sono state indicate schematicamente solo le principali. Ardenno in una cartolina viaggiata negli anni '30 (archivio Maurizio Cittarini). Ardenno oggi. Trovate le 10 piccole differenze (23 febbraio 2015, foto Roberto Ganassa). La camminata dei Ci(a)ncètt 103 Escursionismo stante castello di San Lucio. Il suo nome deriva da quello di una famiglia proveniente da Piazzalunga e qui stabilitasi sin dal 1484 per la coltivazione dei terreni. Interessanti, oltre al cincètt, la disposizione e le strutture delle case che denunciano chiari segni di origine medioevale. Con Carlo indugio nella ricerca di particolari architettonici mentre Beno si sforza di trovare improbabili inquadrature, ma l’ora tarda e la spessa foschia non lasciano speranze. Usciamo in cima alla contrada sulla strada in corrispondenza delle enormi briglie selettive della val Venduno. Procediamo sino alle case di Masùn nei pressi di un tornante dov’è un evidente complesso dell’A.N.A. (bacheca con mappa del circuito “Arte, Cultura e Paesaggio tra le vigne di Ardenno”). Ci infiliamo (sx) tra le case sul sentiero che guadato la valle Vilasca sale tra svettanti castagni sino al piccolo nucleo di San Lucio (m 425, ore 0:30). Nell’ascesa ci accompagna l’intenso profumo dei castagni da poco tagliati e accatastati per consentire all’acqua piovana di asportare il tannino. All'ingresso del nucleo ci accoglie la piccola chiesa in posizione panoramica, in passato limite tra i vigneti e l’inizio della boscaglia. Dai documenti antichi risulta che il borgo avesse addirittura due chiese, ma oggi rimane visibile solo quella dedicata a San Lucio, mentre della seconda, dedicata a San Leonardo, se n’è persa traccia da tempo. Pare abbia subito una variazione d’uso e il rinvenimento di resti di affreschi cinquecenteschi in un edificio avvalorerebbe questa ipotesi. Anche del castello non vi sono più tracce, ma da antichi documenti si evince che il maniero fu demolito e le pietre utilizzate, dopo aver diradato il bosco, per edificare le prime abitazioni permanenti. Il piccolo borgo è subito visitato, e dopo aver beneficiato del panorama su Orobie e fondovalle, riprendiamo il sentiero in piano (O) che porta alla strada e la seguiamo (O) per 300 m sino al suo termine presso le case di Bör3. Qui ricomincia la mulattiera vicinale del Mottallo. Il bosco ha invaso i terrazzamenti e le 3 - Ci è stato detto che questa via asfaltata dovrebbe proseguire fini ai prati di Bioggio, dove ne giunge già un'altra dalla strada che sale a Bioggio. 104 LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante retico Il palazzo secentesco Parravicini-Sabini (8 febbraio 2015, foto Nicola Giana). Piazzalunga e la chiesa di Sant'Abbondio (12 febbraio 2015, foto Beno). Il cincètt del Cavalee, fatto costruire nel 1887 da Pomoli Pietro e dal figlio Giacomo in via Cavallari, è il primo che si incontra nell'escursione (12 febbraio 2015, foto Beno). L'affresco della Madonna delle Grazie, copia di un quadro di Roma, si trova all'interno del ciancètt del Corda, posto sul sentiero Biolo-Baffo (12 febbraio 2015, foto Beno). Le chiesette di San Lucio e di Valmala (8 febbraio 2015, foto Nicola Giana). Biolo in veste invernale (16 gennaio 2013, foto Roberto Ganassa). Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI case sono in stato di degrado avanzato. Il sentiero sale dolcemente, poi s’impenna in prossimità del cincètt del Müt4, dove si trova un dipinto molto deteriorato che ha come tema la Madonna del Rosario. Quello che sorprende è sapere che la zona, ora invasa dal bosco e dalle spine, grazie alla buona posizione, era ricca di vigneti, orti e alberi da frutto, certamente una risorsa per i tempi passati. Usciamo dal bosco passando a monte del nucleo di baite del Mutàl e in vista del rudere della ca Bianca. A questo punto il percorso abbandona il sentiero per attraversare un incolto. La cosa ci par strana, ma la freccia parla chiaro, girare a sx. E mentre avanziamo perplessi cercando una spiegazione, giunge un signore col quale scambiamo qualche parola. Ci racconta che la casa è così chiamata perché intonacata con calce bianca e che un incendio appiccato dai fascisti durante la II Guerra Mondiale l’ha ridotta a un rudere pericolante. Questo è il motivo della breve deviazione. Aggiunge che questa zona era, in passato, intensamente coltivata a vigneto, campi e frutteti, tant’è che la chiamavano l’èra (zona buona per coltivi). Ora la casa ha una proprietaria che vive in Svizzera e che l’estate scorsa è venuta a tagliare un po’ di infestanti. Ci congediamo ringraziandolo per le preziose informazioni e alla richiesta del suo nome risponde: “me ciàmi Arnaldo, de Ardèn, quel senza l’öc'.” Il sentiero porta a uno dei tanti ponti che scavalcano la condotta forzata che serve la centrale di Ardenno5 e un centinaio di metri dopo incontriamo il cincètt dela Mort. Il riferimento alla morte rimanda sia al dipinto centrale con scena della Madonna addolorata che regge il corpo di Gesù morto, deposto dalla croce, sia alla fragilità della condizione umana che alla precarietà della vita. Il sentiero compie due tornanti poi riduce la pendenza e uscendo dal castagneto giunge al cincètt dei Gianoo. Fu edificato come ringraziamento per una scampata 4 - Era così chiamato per il fatto che nei pressi abitava un signore muto trasferitosi qui da Piazzalunga. 5 - L’impianto fu iniziato nel 1962 e completato nel 1968. Utilizza le acque derivate, in val Màsino, dai torrenti Bagni, Mello e Sasso Bisolo e raccolte nel serbatoio di Prati di Lotto. La camminata dei Ci(a)ncètt 105 Escursionismo Versante retico Passaggio a Pioda dei concorrenti della "Camminata dei cincett" (19 ottobre 2014, foto Giuseppe Fabani - www.podistivaltellinesi.it). I ruderi della chiesa di Scheneno. Sullo sfondo il culmén di Tartano (2 febbraio 2014, foto Paolo Sertorelli). disgrazia. Caso insolito, al suo interno non vi sono dipinti ma solo un crocefisso ligneo con il corpo di Gesù di gesso. Proseguiamo dritti verso O (sx) evitando di prendere il sentiero a dx (giusto davanti al cincètt)6 e con ampio e comodo giro tra il limite del bosco e i prati, saliamo alla chiesa di Piazzalunga (m 676) dedicata a Sant' Abbondio. Poco prima di fare ingresso tra le case rasentiamo un lavatoio che immaginiamo non veda anima viva da tempo immemore. Piazzalunga deve il nome, con tutta probabilità, al fatto che il suo territorio si estende su una stretta striscia longitudinale che dal promontorio di San Lucio arriva sino al crinale della ValMàsino, una sorta di terrazza a metà montagna. Ma nonostante la felice posizione, anche questo borgo ha subito inesorabile l’abbandono dei suoi abitanti in cerca di miglior vita, e nemmeno la costruzione della strada ha invertito questa tendenza. Così, vagando senza meta tra le case semi abbandonate, ristrutturate o raffazzonate alla bell’e meglio in cerca di segni del passato, si avverte quel senso di disordine misto a malin- di Biolo (S, sx). Sempre sorprendenti e degni di nota i muri di pietre a secco che accompagnano il nostro cammino. All’incrocio successivo incontriamo il ciancètt Selve ai Pree, pare edificato nel 1900 dopo la costruzione della strada che da Biolo scende alla chiesetta, da qui poco distante, di San Rocco. Lo passiamo sulla dx e intersecata poco dopo la strada di cui abbiamo appena parlato, in breve raggiungiamo l’estremità occidentale delle case di Biolo. Dopo aver attraversato il nucleo, ci abbassiamo sulla strada asfaltata che porta al campo sportivo di Biolo (m 608, ore 1:15), dove ha termine la manifestazione podistica10 e da cui seguiremo il tragitto che molti dei partecipanti compiono per tornare ad Ardenno. Il campo sportivo è nella parte inferiore di Biolo, le cui origini risalgono al 1400. La chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria Assunta, che sovrasta le nostre teste, fu consa- crata nella metà del ‘500. Prima di emigrare verso centri più redditizi, i residenti vivevano del ricavato dei campi, della coltura delle vigne, della lavorazione del legno e della produzione di carbone. Anche l’architettura rurale merita senz’altro una visita tra le ripide vie acciottolate per scoprire l’abilità nell’uso della pietra e del legno. Capiterà anche d’imbattersi in gente dall’accento romano, discendenti degli emigrati a Roma tornati in cerca delle loro radici11. Scendiamo (E) sullo stradone sino al parcheggio del cimitero dove nei pressi della bacheca imbocchiamo il risc che s'abbassa rapido sino al ciancètt dela Campagna12. Svoltiamo a dx sulla strada asfaltata che seguiamo sino a riprendere al termine della recinzione di un giardino l’imbocco del sentiero (sx). In prossimità di un dosso evitiamo la deviazione a sx e continuiamo verso O (dx) sino a incrociare la strada comunale Biolo vecchia nei pressi della chiesa dei 10 - “La Camminata dei cicett”, che nel 2015 compirà 16 anni, si svolge a ottobre, generalmente la domenica prima del Trofeo Vanoni. Organizzata dall'A.D.S. Ardenno Sportiva, prevede un tracciato unico per tutti i concorrenti di 5,5 km. Per info: http://www.ardennosportiva.it. 11 - La famiglia Ciampini, che lasciò legato il suo nome a Ciampino, era originaria di Biolo. 12 - Edificato nel 1801, fu così denominato per il fatto di trovarsi all’inizio di una strada di grande transito per i lavori agricoli. 6 - Qui vi è una freccia bianca fuorviante che manda a dx sul vecchio tracciato della gara. 106 LE MONTAGNE DIVERTENTI conia che non lascia intravvedere un possibile riscatto di questi luoghi che videro anche tanta fame e povertà, ma sicuramente non lo stress tipico dei giorni odierni. Dal campanile prendiamo verso N la via acciottolata che sale tra le ultime case (sentiero per il bacino di Pioda), poi continua nel bosco di castagni e in breve siamo al cincètt dal Praa7. Al bivio poco avanti ci teniamo a sx e passando tra grossi castagni sbuchiamo sulla strada asfaltata che seguiamo sino al nucleo di Pioda. La strada passa nei pressi del bacino artificiale (m 729)8 posto sopra un dosso dal quale si gode un panorama che va dal Legnone al gruppo del Baitone, quest’ultimo inconfondibile sopra il passo dell’Aprica. Il nucleo di Pioda (m 694) ci appare compatto, con i tetti rigorosamente in piode. Alle prime case, nei pressi della fontana, troviamo il ciancètt dela Pioda9 dedi7 - Dal soprannome della famiglia Gianoli, detta “Quei dal Praa”; Martino Gianoli lo fece edificare nel 1885 per essere miracolosamente sopravvissuto alla caduta dal tetto di una casa in costruzione. 8 - Bacino di accumulo delle acque del Màsino che alimentano la centrale di Màsino costruita nel 1912. La capacità di carico è di 18000 m2, mentre il salto è di 427,80 m. 9 - I dialetti cambiano da contrada a contrada: da cato alla Beata Vergine del Carmine. Prendiamo a dx il viottolo (indicazione "Via per il Baffo" sul cantone di una casa) che passando tra antichi edifici immette nel sentiero per la val Màsino (N). Con pendenza moderata camminiamo spediti rasentando muretti ancora in buono stato affiancati da enormi castagni da frutto. Un ruscelletto denuncia la presenza di un lavatoio nel bel mezzo di questi castagneti, anch’esso in completo oblio. Chissà, erano forse tenuti distanti dalle case per non lordare l’acqua? Il successivo ciancètt del Corda pare disposto a segnare il cambio di pendenza, mentre tra i rami spogli fa capolino, sul versante opposto, il nucleo di Cevo. Nella parete di fondo è riprodotta la Madonna che allatta il Bambino, copia di un quadro che si trovava a Roma, ulteriore testimonianza dei legami esistenti tra queste zone e la capitale che accolse numerosi abitanti in cerca di fortuna. Proseguiamo sino ad incrociare la grossa mulattiera che porta da Biolo in val Màsino, esattamente al Baffo. Ci immettiamo su questa in direzione Pioda in avanti le cappellette votive mutano il loro nome da ciancètt in cincètt. Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Santi Bernardo, Sebastiano e Rocco di Scheneno (XVII sec.), abbandonata e lasciata cadere in rovina. Ripresa la via, ora cementata, planiamo verso Ardenno (E), dapprima tra boschi e poi tra vigneti impervi, tipico esempio di “viticoltura eroica”. Una targa ci avvisa di quattro cippi miliari di origine romana, ma li cerchiamo invano. Passiamo la condotta forzata che scende da Pioda, quindi le case di Valmala con la chiesetta di San Giovanni. Nella seicentesca cappella dedicata a San Giovanni Battista è conservata una tela con il battesimo di Gesù. La strada scende ripida e termina al piano in un nucleo di case che attraversiamo imboccando a sx la via Calchera Alta13 (seguire freccia gialla della Via Valtellina n. 30). Percorriamo questa pedemontana che, passando sul retro della centrale idroelettrica di Ardenno14, ci riporta al parcheggio del centro sportivo. 13 - Il nome della contrada deriva da esperti “calgheroli”, ossia produttori di calce, provenienti da Gaggio e qui trasferitisi. 14 - La centrale, costruita nel 1968 e di proprietà dell'ENEL, sfrutta un salto di 697 metri ed è in grado di generare una potenza di 56,7 MW. La camminata dei Ci(a)ncètt 107 Rubriche GR 20 attraverso la Corsica Pietro Pellegrini Sui sentieri del Gran Randonnée 20, uno dei percorsi a tappe più famosi e impegnativi d'Europa, che taglia da nord a sud la Corsica e ne fa scoprire l'anima multiforme. Concepito da Michel Fabrikant nel 1970, si sviluppa su 180 km, oltre 11000 m di dislivello suddivisi in 15 tappe, tra valichi di montagna che superano i m 2000, picchi selvaggi, foreste secolari, radure erbose ed estensioni di macchia mediterranea. E all'orizzonte, il mare. 108 In vetta alla Paglia Orba, la più bella vetta della Corsica, raggiungibile con una divagazione alpinistica nella VI tappa del GR 20. SulloDIVERTENTI sfondo il Capu LE MONTAGNE Tafunato, bizzarra montagna con un buco nel centro (7 ottobre 2008, foto Beno). Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - attraverso la Corsica 109 Rubriche Valtellinesi nel mondo Il GR 20: un sogno per gli appassionati di escursionismo, un obbiettivo che richiede allenamento e capacità di adattamento. I sentieri sono impervi, non sempre si trova acqua e i rifugi sono davvero essenziali, non gli alberghetti d'alta quota che spesso si trovano sulle Alpi. Anche la logistica non è facile da organizzare, né scegliere quando partire. Di sicuro autunno e primavera, stagioni abbastanza miti e lontane dalla ressa estiva, sono i periodi migliori per godersi appieno il gran viaggio tra le montagne dell'isola più grande di Francia. Tappa Durata D+ D- 1 Calenzana → Ref. d'Ortu di u Piobbu 6 h 30 1360 m 80 m 2 Ref. d'Ortu di u Piobbu → Ref. de Carrozzu 7h 780 m 930 m 3 Ref. de Carrozzu → Ref. d'Ascu Stagnu 6 h 10 790 m 680 m 4 Ref. d'Ascu Stagnu → Ref. de Tighiettu 6h 1060 m 800 m 5 Ref. de Tighiettu → Ref. Ciottulu di i Mori 4h 620 m 150 m 6 Ref. Ciottulu di i Mori → Ref. de Manganu 8h 650 m 1100 m 7 Ref. de Manganu → Ref. de Petra Piana 6 h 30 830 m 600 m 8 Ref. de Petra Piana → Ref. de l'Onda 4 h 50 490 m 910 m 9 Ref. de l'Onda → Vizzavona 6h5 720 m 1250 m 10 Vizzavona → Ref. de Capannelle 5 h 15 890 m 250 m 11 Ref. de Capannelle → Ref. de Prati 6 h 10 890 m 600 m 12 Ref. de Prati → Ref. d'Usciolu 5 h 45 700 m 770 m 13 Ref. D'Usciolu → Ref. de Matalza 4 h 25 380 m 650 m 14 Ref. de Matalza → Ref. d'Asinau 4 h 15 650 m 550 m 15 Ref. D'Asinau → Ref. de Paliri 7h 430 m 950 m 16 Ref. de Paliri → Conca 5h 160 m 1050 m Il traghetto sbarca a Bastia, la “capitale” della Corsica che si trova nella parte nord-orientale dell'isola. Il GR 20 ha invece inizio a nordovest, dal paese di Calenzana, e per raggiungerlo si deve usare la storica ferrovia corsa. Il treno a gasolio, che viaggia lentamente su binari a scartamento ridotto, da Bastia si porta nel cuore dell'isola. Dalla costa tirrenica si va nell'entroterra, in luoghi meno turistici e con paesaggi via via più aspri. A Ponte Leccia vi è lo scambio: abbandonato il tronco per Ajaccio, ci si imbarca sulla linea per Calvi, che corre sinuosa tra le montagne. Sembra quasi il trenino rosso del Bernina, solo che i prezzi sono più popolari, i vagoni ben più spartani (come lo sono anche tutti i rifugi lungo il percorso) e, particolare non da poco, siamo su un'isola in mezzo al mare. Dopo circa 4 ore di viaggio, oltre Ile-Rousse, mare a vista, vi è la fermata “Dolce-Vita-GR 20”, capolinea degli escursionisti che ambiscono a compiere la grande traversata della Corsica. 8 noiosi chilometri a margine di una strada sempre dritta e trafficata sono il tappeto su cui versare le gocce di sudore necessarie a raggiungere la partenza del GR 20. Certo, non tutti fanno così: a Calenzana ci si arriva anche su 4 ruote. GIORNO 1 Il sole è alto sopra l'orizzonte, quasi a perpendicolo sopra la mia testa. Devo decidermi a fermarmi per togliere il cappello dallo zaino e ripararmi dal forte irraggiamento. Aspetto di raggiungere un punto panoramico da dove scattare qualche fotografia, in modo da raddoppiare l'utilità della fastidiosa operazione di interrompere la marcia e frugare nello zaino. Il sentiero segnalato fa guadagnare quota più lentamente di quanto non desideri in questa conca di macchia mediterranea, mentre alle mie spalle un leggero strato di nubi e umidità 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - I tappa. Calenzana dalle pendici del Capu Revalente (15 ottobre 2008, foto Beno). GR 20 - attraverso la Corsica 111 Rubriche Valtellinesi nel mondo GR 20 - I tappa. Ai piedi del Capu Revalente, verso la Bocca u Corsu (3 ottobre 2008, foto Beno). GR 20 - I tappa. Il Refuge de l'Ortu di u Piobbu che offre 32 posti letto (27 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). GR 20 - III tappa. Su una punta panoramica nei pressi della Bocca di Stagnu (5 ottobre 2008, foto Beno). GR 20 - IV tappa. La discesa nel Circo della Solitudine dalla Bocca Tumasginesca (28 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). GR 20 - II tappa. Bufera di neve al Col d'Avartoli. Sullo sfondo il golfo di Calvi (4 ottobre 2008, foto Beno). GR 20 - III tappa. La passerella sospesa non lontano dal Refuge de Carrozzu (5 ottobre 2008, foto Beno). GR 20 - VI tappa. Il Capu Tafunato e, a dx, la Paglia Orba - versante S viste scendendo dal Refuge Ciuttulu di i Mori (foto Pietro Pellegrini). GR 20 - VI tappa. Ha inizio la Foret Demaniale de Valdu Niellu (28 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). sfuma il blu del mare nell'azzurro più chiaro del cielo. Mare, un concetto così lontano da quello di montagna da esserne semanticamente all'opposto, ma che su quest'isola trova il modo di fondersi con esso per diventare entità complementari e indissociabili. Calenzana (m 250)1 scompare dietro la montagna. Compaiono i primi alberi d'alto fusto e il paesaggio acquista gradualmente una morfologia alpina, con sollievo dalla calura mediterranea, sebbene questa prima tappa sia in tutta la sua lunghezza priva di acqua. Nei pressi della Bocca u Corsu (m 581) mi divido dal sentiero Tra mare e monti, altro famoso percorso a tappe corso, decisamente meno impegnativo del GR 20 e che da Calenzana raggiunge Cargese senza mai allontanarsi troppo dalla costa. Raggiunta la Bocca u Saltu (m 1250), un lungo traverso porta all'arrivo della prima delle 16 tappe, il Refuge de l'Ortu di 1 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée 4149 OT, Calvi-Cirque de Bonifatu, 1:25000. 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI u Piobbu (m 1570)2. Come in ogni punto di tappa la struttura del rifugio è circondata dalle tende dei numerosi escursionisti impegnati sul percorso3, essendo espressamente vietati il bivacco e il campeggio su tutto il tracciato del GR 20. Rinvigorisco le riserve d'acqua e proseguo. È piacevole camminare nella morbida luce del tardo pomeriggio, tanto più che il sentiero attraversa numerosi ruscelli in cui mi posso rinfrescare. Abbandonata la foresta, l'ambiente si fa più brullo e le prime cime innevate compaiono all'orizzonte. Al col d'Avartoli (m 1898) i profili aguzzi delle più alte e impegnative montagne corse fanno capolino davanti a me, il mare alle mie spalle. Una ripida discesa conduce al Refuge de Carrozzu (m 1270), meta di giornata. 2 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée 4250 OT, Corte-Monte Cinto, 1:25000. 3 - In media solo 1 escursionista su 4 riesce a completare l'intero tracciato. GIORNO 2 Una passerella sospesa attraversa il torrente Spasimata, affluente del Figherella, fiumiciattolo che serpeggia tra gli enormi pini marittimi e i larici del Cirque de Bonifatu. Risalgo il versante opposto della valle lentamente per risvegliare il metabolismo sopito dalla notte. Passo accanto al minuscolo lac de la Muvrela, e, poco oltre, raggiungo alcuni camminatori partiti di buon'ora. Il percoso si snoda tra verticali pareti rossastre, il paesaggio è decisamente di alta montagna. Alla Bocca di Stagnu (m 2010) la vista si apre verso S e si scontra con la Grande Barrière, la più importante dorsale montuosa dell'isola, che mostra - tra le altre - la sua massima elevazione: il monte Cinto (m 2706). Incrocio altri che percorrono la tappa in senso opposto. Mi stupisce la quantità di persone, in maggioranza francesi ma anche inglesi, spagnoli, tedeschi e italiani. Molti sono carichi all'inverosimile e non posso che rallePrimavera 2015 grarmi per la mia sobria attrezzatura che mi permette di viaggiare più leggero, anche se al costo di qualche rinuncia alimentare e di comfort notturno. La mia intenzione è di viaggiare al ritmo di 2-3 tappe al giorno, riducendo di conseguenza i tempi di percorrenza e in proporzione il bagaglio. Certo è che il GR 20 dimostra che perché un sentiero a tappe sia ambìto non occorre alcun comfort, ma semplicemente promettere un ambiente naturale integro e selvaggio. Chissà se questo messaggio verrà prima o poi recepito anche da chi si occupa di turismo e di territorio sulle Alpi. Una picchiata mi porta al Refuge Asco-Stagnu (m 1422), capolinea della terza tappa. Mi trovo in una ex località sciistica dove arriva anche la tortuosa e aerea carrozzabile proveniente da Ponte Leccia. Proseguo per l'ampia vallata che sale alla Bocca Tumasginesca (m 2183). Incrocio le prime lingue di neve e mi concedo un bagno in un laghetto che LE MONTAGNE DIVERTENTI raccoglie le acque di scioglimento. Sopra la mia testa c'è l'imponente Pic Von Cube (m 2247), o punta Rossa, toponimo che evidentemente deriva dal colore delle sue rocce. Alla bocchetta ha inizio un tratto di parete dove il sentiero è attrezzato con catene. Scendo così per 200 metri in un anfiteatro granitico chiamato Cirque de la Solitude, ovvero Circo della Solitudine, il luogo più selvaggio del GR 20. Per uscirne, salgo la dirimpettaia faccia rocciosa attrezzata che mi conduce alla Bocca Minuta (m 2218). Ora la via scende al Refuge Tighiettu (m 1683), bizzarra struttura a palafitta e arrivo della quarta tappa. Qui non è raro avvistare degli esemplari di muflone corso, specie endemica che probabilmente discende da una capra inselvatichita portata sull'isola nel neolitico e che ha mantenuto i suoi tratti genetici salienti: robusta come uno stambecco, pelo come un capriolo e corna arrotolate come un ariete. Perdo circa 400 metri di dislivello tra i radi e maestosi esemplari di Pino Laricio di Corsica, quindi piego a destra e, contornando le pendici meridionali della Paglia Orba (m 2525), vinco gli 800 metri di dislivello positivo per la Bocca di Foggiale (m 1962) e il vicino Refuge Ciuttulu di i Mori (m 1991, arrivo della quinta tappa). Sono ai piedi di Paglia Orba, la montagna più bella della Corsica, e Capu Tafunato (m 2335), una pala rocciosa con un grande foro a forma di occhio nel centro (35 m di lunghezza per circa 10 m di altezza massima). Punto in direzione opposta alle due cime, esattamente a S, e, dopo le dolci praterie d'alta quota, divallo dolcemente verso Castellu di Vergio, piccola stazione sciistica a metà della sesta tappa, dove pernotto. Qui passa la D84, strada che percorre chi va da Porto a Corte e che tocca il Col de Vergio (m 1477)4, il passo automobilistico più elevato dell'isola. 4 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée 4251 OT, Monte d'Oro-Monte Rotondo, 1:25000. GR 20 - attraverso la Corsica 113 Rubriche 114 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - attraverso la Corsica Cavalli al pascolo nella zona umida del Lac de Nino (29 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). 115 Rubriche Valtellinesi nel mondo GR 20 - VI tappa. La Bergeries de Vaccaghia (29 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). GIORNO 3 Comoda partenza attraversando la Foret Demaniale de Valdu Niellu. Il forte isolamento e la bassa densità abitativa dell'entroterra corso hanno permesso lo sviluppo di foreste secolari, con incredibili esemplari di faggio e pino laricio resi asimmetrici dall'azione del vento. La mulattiera sale alla Bocca San Pedru (m 1452), da cui si ha una emozionante vista sulla costa occidentale della Corsica da Porto al Colle di San Bastiano (poco a N di Ajaccio). Circa 4 km ed eccomi alla Bocca a Reta (m 1883), accesso alla meravigliosa zona umida del Lac de Nino (m 1743). Alcuni cavalli pascolano liberamente tra le anse del Tavignano, secondo fiume della Corsica, che nasce proprio da questo specchio d'acqua. Passo accanto alla Bergeries de Vaccaghia (m 1621), piccola fattoria di montagna composta da qualche baita costruita a secco. Oltre una grande piana, raggiungo il Refuge de Manganu (m 1601), arrivo della sesta tappa, la più lunga del GR 20 con quasi 23 km di sviluppo. Il sentiero torna a salire tra le mucche che pascolano poco distanti dalle lingue di neve che scendono dalla Breche de Capitello. Si apre un ampio panorama sui sottostanti Lac di Capitello, rinserrato tra cupe pareti rocciose, e Lac de Melo. Un tratto attrezzato traversa sotto cresta fino alla Bocca Muzzella e al Refuge de Petra Piana (m 1842, arrivo della settima tappa), posto a S del monte Rotondo, che coi suoi m 2622 è la seconda vetta dell'isola. Qui abbandono il tracciato classico del GR 20 per la prima delle 4 varianti alpine. Contrassegnata da bolli gialli anziché da segnavia biancorossi come il GR 20, cavalca le facili e dirette creste della Serra Bianca e Serra di Tenda fino al minuscolo Refuge de l'Onda (m 1430, arrivo dell'ottava tappa), riducendo di molto lo sviluppo rispetto al tracciato classico. GR 20 - aperitivo della VII tappa. Sguardo sul sud della Corsica dal monte Rotondo (9 ottobre 2008, foto Beno). 116 LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - VII tappa. Mucche al pascolo salendo alla Breche de Capitello (29 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). GIORNO 4 La tappa parte in salita, con nebbia e un forte vento da O. Sempre per cresta raggiungo la Pointe Muratello (m 1921) e in pochi minuti l'innesto della variante alpina che porta in vetta al monte d'Oro (m 2389). La nebbia crea un "effetto Orobie" alquanto familiare. In vetta mi trovo sopra al mare di nebbie che arriva da O e si dissolve sul lato orientale della montagna, lasciando intravedere il mare e un'isola rocciosa all'orizzonte. Una lunga discesa porta a Vizzavona (m 920, arrivo della nona tappa), agglomerato di poche case e attività commerciali raggruppate attorno alla stazione ferroviaria (linea Bastia - Ajaccio). Qui termina il cosiddetto GR 20 Nord e inizia il GR 20 Sud5, più facile del settore appena percorso. Volendo fare un paragone si può dire che il GR 20 Nord ha carat5 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée 4252 OT, Monte Renoso-Bastelica, 1:25000. GR 20 - VII tappa. Lac di Capitello e Lac de Melo dalla Breche de Capitello (29 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). Primavera 2015 GR 20 - VIII tappa. La cresta che dal Refuge de Petra Piana porta al Refuge de l'Onda (9 ottobre 2008, foto Beno). teristiche alpine, mentre il GR 20 Sud è più di tipo appenninico e presenta meno passaggi tecnici. Una fresca salita nel bosco di faggi, la Foret Demaniale de Vizzavona, conduce alla Bocca Palmente (m 1640). Un lungo tratto in costa e sono al Refuge de Capannelle (m 1586, arrivo della decima tappa), nei pressi di alcuni impianti sciistici. GIORNO 5 La variante alpinistica dell'undicesima tappa permette di salire al monte Renoso (m 2352), punto panoramico da dove si scorge il mare che lambisce sia la costa orientale che quella occidentale. Il sottostante Lac de Bastani raccoglie le acque che ancora si stanno sciogliendo sui versanti della montagna. Mi abbasso alla Bergeries des Pozzi (m 1783) tra ampie praterie con mucche e cavalli che pascolano allo stato brado. Due bambini si divertono a costruire per i passanti origi- nali papaveri in origami. La variante si ricongiunge al GR 20 poco prima del Col de Verde (m 1289), da cui riprende l'ascesa verso la Bocca d'Oru e il vicino Refuge de Prati (m 1820, arrivo dell'undicesima tappa). Spingo con forza con i bastoncini mentre gocce di sudore rigano le lenti scure degli occhiali. Fatico a ordinare in modo coerente la sequenza di tappe, montagne, colli, rifugi, persone ed emozioni che si sono alternate in questi giorni. La dodicesima tappa6 è un percorso sotto cresta, attraversando il Col de Rapari e la Bocca di Laparo, fino al Refuge d'Usciolu (m 1750, arrivo della dodicesima tappa). Ancora uno sforzo per guadagnare la Bocca di l'Usciolu, poi una lunga discesa mi allontana dalle creste rocciose per abbracciare i boschi, le radure e i pascoli di bassa quota della Bergeries 6 - Mappa di riferimento: IGN, Carte de randonnée 4253 ET ,Aiguilles de Bavella-Solenzara, 1:25000. GR 20 - X tappa. Il Refuge de Capanelle (30 giugno 2014, foto Pietro Pellegrini). LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - variante IX tappa. In vetta al monte d'Oro (10 ottobre 2008, foto Andrea Sem). de Bassetta. Alle ultime luci del giorno sono al Refuge Matalza (m 1410, arrivo della tredicesima tappa). GIORNO 6 Una strada bianca accompagna il primo tratto di salita verso il monte Incudine (m 2135), il più alto del sud della Corsica. Da una guida francese apprendo che questa zona era sede del bacino glaciale più a sud d'Europa. Le alte vette che si intravedono a N si contrappongono ai tozzi panettoni che segnano il paesaggio a sud-ovest, mentre a sud-est il profilo aspro ed irregolare delle Aiguilles de Bavella, paradiso degli arrampicatori, e una rapida occhiata alla mappa mi suggeriscono che le fatiche non sono finite. Valico su lisce placche granitiche e in breve sono al Refuge Asinau (m 1530, arrivo della quattordicesima tappa). Il sentiero scende, attraversa il torrente e si immerge nella pineta. Un bivio segnala l'ultima variante alpina, GR 20 -X tappa. L' isolamento dell'entroterra corso ha permesso lo sviluppo di alberi secolari, in prevalenza faggi e pino laricio di Corsica. GR 20 - attraverso la Corsica 117 Rubriche Valtellinesi nel mondo 3,5 cm 0169 WIND CHIME PAN 14-4002 TPX 0741 ORANGE.COM PAN 18-1561 TPX 8,3 cm 3,5 cm 1806 LIME PUNCH PAN 13-0550 TPX GR20 - XIV tappa. Valicando la Bocca di Chiralba Verso il Rifugio Asinau, al cospetto del monte Incudine (2 luglio 2014, foto Pietro Pellegrini). 2,9 cm 2 cm 8 cm che sale alla bocca Pargulù e con alcuni saliscendi e un breve passaggio attrezzato attraversa le Aiguilles fino al Col de Bavella (m 1218). Il mio francese si è perfezionato soltanto nella parola “bonjour”, che scambio decine di volte al giorno con le persone che incrocio. Banchetto con melone e albicocche e mi addormento su di un prato non lontano dalla strada. Ancora assonnato mi rimetto 2043 MYKONOS BLUE PAN 18-4434 TPX in cammino sulla via per il Refuge de Paliri (m 1055, arrivo della quindicesima tappa), dato a 2 ore. Imbocco la mulatteria contrassegnata dai segnavia e ne affronto i saliscendi protetto dall'ombra rinfrescante della foresta. Qualche foto nei pressi del rifugio e mi incammino verso Conca, capolinea del GR 20. Il sentiero corre largo tra i pini e le felci. Guglie e pinnacoli di roccia rossastra emergono in angoli remoti di foresta. Incontro un paio di escursionisti ormai giunti alla fine della prima tappa del GR 20 percorso da S a N. Scruto l'orizzonte per cogliere il mare e inizio a correre sui sassi, la terra battuta e le placche rocciose. Il sentiero scende gradualmente, a tratti risale e taglia a mezza costa, senza svelare la via d'uscita a questa foresta dal fascino primordiale. Il torrente rumoreggia sul fondovalle, creando pozze cristalline. Accelero, nelle ultime luci del giorno, fino a che il profilo di un campanile sbuca tra le cime degli alberi. Incrocio una strada asfaltata e in qualche centinaio di metri sono in paese: CONCA Arrivée du "G.R.20" Vous voici au terme de vôtre odysée. Vous avez parcouru environ 180 km. Bravo! GR20 - XVI tappa. Attraverso la grande foresta che dal Refuge de Paliri conduce a Conca (2 luglio 2014, foto Pietro Pellegrini). 118 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI GR 20 - attraverso la Corsica 119 Gf Rubriche allo orcello Lek, si va in scena! Alessandra Morgillo Un canto d’amore risuona alle prime luci dell’alba nell’aria ancora gelida di fine aprile. Lassù, tra i boschi radi d’alta montagna, un maschio di gallo forcello (Lyrurus tetrix), detto anche fagiano di monte, dà inizio alla sua esibizione. 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Gallo forcello (26 aprile 2012, foto Andrea Zampatti - www.flickr.com/photos/zampa_natureview ) forcello Gallo LE MONTAGNE DIVERTENTI 121 Rubriche Sfidanti a duello. Le elaborate parate nuziali, costituite da posture e atteggiamenti ritualizzati, possono sfociare in combattimenti anche molto violenti, finalizzati a stabilire una gerarchia tra i maschi che determina la loro posizione all’interno del lek (nome tecnico per definire l’arena di canto). Il punto più ricercato è il centro dell’area, dove i maschi dominanti più anziani hanno maggiore probabilità di attrarre le femmine, che qui si sentono più sicure perché il rischio di predazione è minimo. Queste ultime sono più piccole e dal piumaggio molto differente dai maschi: il loro abito mimetico di color rosso-ruggine fittamente barrato di nero, le nasconde agli occhi dei predatori quando si dedicano alla costruzione del nido, una semplice depressione scavata nel terreno, spesso nascosta tra i cespugli di rododendro o ginepro, dove si occupano da sole della cova e della cura della prole (2 aprile 2013, foto Andrea Zampatti). LE MONTAGNE DIVERTENTI 122 Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Gallo forcello 123 Fauna Rubriche Andrea Zampatti in azione nel capanno (26 aprile 2012, foto Denis Bertanzetti). I l misterioso fascino che avvolge i galli forcelli, uccelli appartenenti alla famiglia dei Tetraonidi, deriva soprattutto dal loro appariscente comportamento riproduttivo: sul finire dell’inverno i maschi escono allo scoperto e si portano nelle arene di canto, che sono aree aperte non molto ampie, dette lek o balz, dove mettono in scena spettacolari danze, parate e vigorosi combattimenti per sedurre le femmine. I loro rituali così particolarmente elaborati stupiscono e incuriosiscono anche l’uomo, specialmente se è sensibile alla natura e ancor più se ha scelto come professione e per passione di documentare gli animali selvatici, svelandone i loro segreti più profondi. È il 26 aprile e Andrea, fotografo della natura, sa che in questo periodo ogni mattina è quella giusta. Qualche tempo fa i guardiacaccia gli avevano indicato con precisione la posizione di un lek nel Parco del Brenta e i galli, se indisturbati, si servono delle stesse aree anche per decenni. Andrea conosce bene i galli, è andato più volte a fotografarli, ma non ha mai visitato quell’arena che adesso è ancora sicuramente coperta di neve e decide di tentare. Il suo amico Denis, animato dalla stessa passione, accetta di buon grado di fargli compagnia e i due preparano tutto l’occorrente per un’avventura “into the wild”. Quando la spedizione ha inizio il sole del primo pomeriggio è tiepido e riscalda il morale dei due ragazzi che si apprestano a superare a piedi qualche centinaio di metri di dislivello. La neve caduta copiosa nei 124 LE MONTAGNE DIVERTENTI Gallo forcello alla luce dell'alba (26 aprile 2012, foto Andrea Zampatti). giorni scorsi, tuttavia, si rivela un bell’impaccio che rallenta subito la marcia. I due avanzano sempre più faticosamente in circa un metro e mezzo di neve fresca e ad ogni passo, nonostante le ciaspole, sprofondano per tutta la lunghezza della gamba sotto il peso dello zaino di 15 chili. Solo dopo tre ore e mezza, più del doppio del previsto, Andrea e Denis finalmente raggiungono una radura a m 2000 che dovrebbe essere proprio quella cercata. Ad accoglierli un vento fortissimo che trasforma in un’ardua impresa anche montare il capanno. È ormai il tramonto e devono fare in fretta, ma la neve è così farinosa che li obbliga a spalare una buca di almeno un metro prima di trovare un substrato abbastanza stabile da sostenere la tenda, che assicurano precauzionalmente con dei sassi per non farla volar via. Dopo aver sistemato meticolosamente tutta l’attrezzatura fotografica all’interno del capanno mimetico, Andrea e Denis, stanchi e decisamente affamati, al buio tornano indietro, verso la vicina capanna dei cacciatori, un riparo accogliente e più adatto a consumare la cena. Quando giungono davanti all’ingresso, una nuova sorpresa li fa immediatamente rammaricare di aver lasciato la pala al capanno: la neve aveva sommerso quasi completamente la porta! All’una e mezza di notte, rifocillati, lasciano il confortevole rifugio e tornano all’arena. Non c’è la luna e per ritrovare il percorso devono illuminare con la torcia frontale le proprie orme impresse in precedenza. Tutto è avvolto nel silenzio ovattato, la temperatura è scesa a -15°C e per fortuna il vento si è placato. All’interno del capanno si cerca di ingannare il freddo e la lunga attesa leggendo un buon libro. Finalmente giunge l’alba, ma non un’alba qualunque: uno spettacolo raro. Il Brenta, nitido e imponente, di fronte ai loro occhi si veste di rosa e irradia una magica e surreale luce soffusa che tinge di vita ogni molecola di quell’aria gelida e pungente. Nello stesso momento il mondo naturale si risveglia e in lontananza si sentono i versi dei primi galli. Ogni fotografo spera in cuor suo che il proprio ambito soggetto si manifesti proprio in quel momento, avvolto dalla fantastica atmosfera effimera che l’aurora regala. Forse quella mattina Andrea ci ha sperato così intensamente che un gallo è arrivato proprio in quell’istante e si è posato su un larice vicino all’arena, a 30 metri dal capanno. Inizia ad emettere i tipici rugolìi, simili ai gorgoglìi dei columbidi, accompagnati da caratteristici soffi. È troppo lontano persino per il teleobbiettivo e i due fotografi continuano a sperare, nel silenzio di quei minuti interminabili in cui avrebbero voluto fermare il sole. Finalmente il gallo si avvicina, guadagna saltellando una posizione insperata davanti a loro nel centro dell’arena, a soli 6 metri dall’obiettivo! Spicca nella neve l’abito nero-blu brillante con la coda a forma Primavera 2015 di lira, significato letterale del nome scientifico latino Lyrurus, per via delle timoniere esterne molto più lunghe di quelle centrali e ripiegate verso l’esterno, in contrasto con le piume del sottocoda bianchissime e la vistosa escrescenza rossa, detta caruncola, che rimarca l’occhio. Sarebbe un’inquadratura perfetta se non fosse per un rametto, l’unico in tutta l’arena, che si erge proprio tra i fotografi e il tetraonide. Adesso che si trova solo al centro della scena, il gallo dà sfoggio di sé, si pavoneggia rivolgendosi verso i fotografi, che riescono, loro malgrado, a vedere bene solo qualche penna della coda e il vapore che esce dal becco e si innalza nell’aria ancora piena di luce rosa. Dopo cinque minuti di soffocata disperazione, Andrea, sconsolato, solleva il dito dall’otturatore: quel ramo maledetto lascia solo intuire a metà lo splendore della scena. Inutile scattare ancora. Ma appena ci rinuncia il gallo si sposta tutto a sinistra e si concede per intero per un solo scatto, appena in tempo prima di spiccare il volo e posarsi molto lontano. Non sempre lo scatto sognato è quello che si immagina in anticipo, perché ora, proprio lì, fuori dalla portata di un bel primo piano, Andrea vede qualcosa che non aveva previsto. Il dosso esposto disegna curve sinuose piene di neve e il larice che spunta appena contrasta esile sullo sfondo omogeneo ripreso insolitamente da un punto di osservazione più basso. Sono tutti elementi che compongono una scenografia perfetta, proprio quella che il fotografo stava cercando, ma che egli stesso non avrebbe saputo individuare se non si fosse manifestata davanti ai suoi occhi. Il gallo si è messo in posa su quel palcoscenico e si è esibito per un’ora. Alle 9.30 si allontana definitivamente nel bosco e i due ragazzi possono uscire allo scoperto e smontare il capanno. Tutt’intorno notano tracce di lepre variabile (Lepus timidus), che non c’erano la sera prima. Una bellissima sensazione inebria i loro cuori pervasi dalla consapevolezza di essere stati parte integrante della natura, ma nel ruolo di discreti spettatori, totalmente invisibili ai suoi abitanti. Nessuna femmina è apparsa quella mattina, non è stata una giornata fortunata per il gallo, ma Andrea e il suo amico tornano a casa con l’animo ricolmo di emozioni e la scheda della macchina fotografica, scrigno di un prezioso contenuto ancora tutto da svelare. Al termine di questo racconto non ho potuto non chiedere al mio amico che cosa effettivamente spinga i fotografi come lui a vivere esperienze di questo tipo. Passare la notte al freddo nell’incertezza di vedere effettivamente gli animali non è da tutti e spesso si torna casa a mani vuote senza aver scattato nemmeno una foto. So che non è solo l’ambizione di realizzare un buono scatto, sono convinta ci sia dietro molto di più; infatti la risposta che mi ha dato Andrea ha dato conferma alle mie supposizioni: “i galli sono animali stranissimi e incredibili, i loro rituali di seduzione sembrano diretti da uno scenografo e quando ho la fortuna di assistere ai loro vivaci combattimenti è come vedere due sfidanti sul ring: puoi scommettere su di loro, c’è la curiosità, la sorpresa, il dubbio, perché nulla è scontato e fino a pochi istanti prima dello scontro non puoi immaginare chi sia il più forte. Ma la cosa più straordinaria è che si assiste a tutto questo senza che gli animali si accorgano di te, sei presente, respiri la stessa tensione, partecipi in diretta, vivi con loro quel momento, ma allo stesso tempo sei completamente fuori dalla scena. Sono talmente concentrati nella loro esibizione che non avvertono la presenza dell’uomo se rimane immobile all’interno del capanno mimetico. È incredibile sentirsi parte della Natura selvatica col privilegio di non arrecarvi alcun disturbo, senza che la tua presenza sia percepita e non possa quindi interferire in alcun modo con lo svolgimento degli eventi. Questa per me è la vera wild photography, ovvero vivere esperienze in prima fila e poterle documentare nel rispetto totale della natura che amo così com’è, assolutamente intatta.” È vero, dunque, che dietro ad ogni fotografia c’è una storia e ogni storia svela la prorompente volontà della natura di manifestare tutta la sua bellezza attraverso gli occhi non soltanto di chi ha la fortuna di viverla direttamente, ma anche e soprattutto di chi è in grado di coglierla attraverso la poesia di un’immagine. Maschio di gallo forcello in abito nuziale. In questa stagione sono molto evidenti le caruncole, escrescenze di color rossovivo poste sopra gli occhi (26 aprile 2012, foto Andra Zampatti). LE MONTAGNE DIVERTENTI Gallo forcello 125 L'arte della fotografia Testi e foto Vittorio Vaninetti LE MONTAGNE DIVERTENTI Val di Zocca (27 2014, f/16 - ISO 50 - 127 150s). Gliluglio effetti del tempo L'arte della fotografia Rubriche “Quella fotografia sembra finta! Perché l’acqua è così strana e il treno ha quella scia di movimento?” Sono queste solitamente le prime impressioni del poco esperto di fotografia quando si trova ad osservare scatti eseguiti con tempi lunghi. A sx: il fiume Adda. Uno scatto al tramonto con tempi lunghi per realizzare una sfocatura creativa (26 aprile 2012, f/16 - ISO 200, 8 s). A dx: il trenino rosso del Bernina. Tempo lungo per trasformare le luci in scie artistiche (11 novembre 2014, f/16 - ISO 400, 2 s). I Val Màsino. Tempi lunghi per creare l'effetto "lattigginoso" dell'acqua (1 novembre 2013, ISO 100 - 1,3DIVERTENTI s). LE -MONTAGNE 128 f/16 l tempo di scatto viene modificato solitamente per controllare l’esposizione, ma può anche essere usato in modo creativo per sfocare i soggetti in movimento con l'effetto di dare maggior senso di compiutezza all'azione o tracciare delle traiettorie. Allungare il tempo di scatto quando c’è molta luce è difficilissimo, se non impossibile senza l’ausilio di filtri scurenti (filtro a densità neutra o filtro ND). Questi filtri sono studiati per diminuire la luce che colpisce il sensore. Arrivano addirittura a consentire di allungare di 1000 volte i tempi, così da poter realizzare, in giornate di sole pieno, anche scatti da 30 secondi. Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Quando pensiamo all’esposizione dobbiamo sempre considerare anche il diaframma e gli ISO. Il livello ISO serve per controllare la sensibilità del sensore alla luce, il diaframma, invece, gestisce quella che entra nell’obbiettivo, il tempo di scatto, infine, determina semplicemente la durata dell’esposizione. Queste impostazioni sono legate strettamente tra loro. Se cambiamo uno di questi parametri dobbiamo regolare almeno uno degli altri due per mantenere l’esposizione corretta. Se vogliamo realizzare uno scatto dal tempo lungo dobbiamo chiudere il diaframma (il che significa aumentare il valore numerico di f ) e tenere il levello degli ISO il più basso possibile. Per poter eseguire queste riprese è ovviamente obbligatorio l’utilizzo di un treppiede. Allungando il tempo, possiamo creare così effetti particolari, come l’acqua o le nubi “lattiginose” o la scia degli oggetti in movimento. La difficoltà di questa tipologia di scatti sta nel controllare perfettamente l’esposizione; infatti un errore molto comune è quello di sovraesporre le aree soggette a grandi movimenti, ad esempio l’acqua di un torrente, che rischia così di risultare bruciata. Gli effetti del tempo 129 IL MIGLIOR FOTOGRAFO LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 1 Fioriture a Sernio (23 aprile 2014, foto Giorgio Gemmi). Recensione (a cura di Beno) Il fotografo - Giorgio Gemmi La primavera è la stagione delle fioriture, ma anche quella di transizione dal freddo inverno, caratterizzato da neve e paesaggi brulli, alla verdeggiante estate. L'azzeccata composizione di questa immagine viene a ricordarcelo: in primo piano un prato del fondovalle a Sernio e sullo sfondo le vette ancora innevate. L'alternarsi di fiori di tarassaco all'apice del colore con altri che attendono il soffio del vento che ne porti via le sementi muove la scena. La brusca interruzione creata da staccionata, meleti, pini e alberi d'alto fusto, infine, accentua la distanza sia fisica che cromatica tra il terzo superiore e la restante parte dell'immagine. Ho il piacere di bloccare in immagini quello che vedo dal lontano 1974, cioè da quando ho iniziato a lavorare e ho potuto ricomprarmi lo strumento necessario che mi era stato sequestrato dopo un anno dal primo acquisto perchè avevo immortalato una "colonna della Celere". Amo fotografare ma non mi considero un fotografo. MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: - una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected]. - una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Non si accettano fotomontaggi. 2 3 1 ➣ Macherio - Anche Edoardo e Pitulina covano la passione per "Le Montagne Divertenti" (8 gennaio 2015). 2 ➣ USA - Il ranger Sandy con Flavio, Christian e Marco al Mesa Verde National Park in Colorado (12 novembre 2014). 3 ➣ Spagna - Cristina e Sara in visita a Valencia, città delle arti e delle scienze (22 ottobre 2014). 130 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 131 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 4 5 9 6 7 8 11 10 4 ➣ 5 ➣ 6 ➣ 7 ➣ 8 ➣ 132 Lurago d'Erba - Giulia con il piccolo Andrea (5 dicembre 2014). Portogallo - Atleti e simpatizzanti della Rupe Magna di Grosio alla maratona di Porto (2 novembre 2014). Orobie - Da Erve a Fonte San Carlo, gli alpini del gruppo Monza centro rifocillano i viandanti (7 febbraio 2014). Orobie - Valter sul monte Lago, sotto di lui un lago di nebbia (28 settembre 2014). Australia - Roberta, Lella e Nello: tre Caspoggini sulla Sydney Tower (3 novembre 2014). LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 9 ➣ Prealpi comasche - Il nutrito gruppo escursionistico barzaghese "Mai sècch" in vetta al monte Palanzone (11 gennaio 2015). 10 ➣Media Valtellina - Dimitri, Fabrizio, Elisa e Francesco hanno scelto il nuovo rifugio Alpe Granda (4 gennaio 2015). 11 ➣Croazia - Marika, Stefano, Patrizia e Angelo davanti alla pittoresca chiesa di San Marco a Zagabria (26 agosto 2014). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 133 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 13 17 12 14 18 15 16 12 ➣Val Màsino - Giulia e Ismaele, piccoli scalatori crescono al sasso Remenno (14 agosto 2014). 13 ➣Montenegro - Olga ed Anna sui monti balcanici (maggio 2014). 14 ➣Orobie - Claudio, Stefano, Mauro, Giampy, Marco, Selena, Stefania, Luca e il pastore australiano Anouk a Santo Stefano (21 settembre 2014). 15 ➣Svizzera - La famiglia Bonini alle cascate di Trident, nel paradiso degli orologi a cucù (14 dicembre 2014). 16 ➣Campo Tartano - Carlo, Lucia, Luciano e Dilvo al doss de la Crus (8 gennaio 2015). 134 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 19 20 17 ➣Tartano - Gli amici della val Tartano nei pressi del famoso Presepe (3 gennaio 2015). 18 ➣India - Dario, Chiara e Angela dopo una rappresentazione di Katakali, ballo tipico dello stato del Kerala (30 novembre 2014). 19 ➣Alta Valtellina - Franz insieme a Mykla e Remy a Pugnalt, nella val Grosina orientale (6 gennaio 2015). 20 ➣Australia - Roberto e Martina durante il loro viaggio di nozze all'Ayers rock (30 settembre 2014). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 135 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 22 26 21 24 23 25 27 28 21 ➣Creta - Nelle gole di Samaria (16 ottobre 2014). 22 ➣Olanda - Nella fredda Amsterdam, Piera, Raffaele, Cinzia e Ivo hanno iniziato il loro 2015 (3 gennaio 2015). 23 ➣Nepal - Claudio, Mariella, Arianna, Simona, Ornella e Gian al Kalapathar (19 novembre 2014). 24 ➣Liguria - Elena, Patrick, Paola, Sergio, Renzo, Barbara, Luca, Tiziana, Elisabetta ormeggiano a Savona (21 settembre 2014). 25 ➣Umbria - Chiara, Renzo, Giancarlo e Laura reduci dalla marcia Perugia-Assisi (19 ottobre 2014). 26 ➣Valchiavenna - Maria, Angelo, Beppe, Edy, Ugo, Roberto, Maria, Concetta, Angelo, Rosanna, Rita, Emy, i due Franco, Carmen e il fotografo Imre ricordano il 50° del CAI Nembro presso la diga di Lei (26 ottobre 2014). 27 ➣Bolivia - Valentina e Andrea allo sconfinato Salar de Uyuni (12 gennaio 2014). 28 ➣Orobie - Giorgia e Giulia portano LMD a Sostila, in val Fabiòlo (2 novembre 2014). 136 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Le foto dei lettori 137 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 30 34 35 36 37 38 39 29 31 32 33 29 ➣Tunisia - Edoardo e Lucia in piazza della Rivoluzione a Tunisi (28 settembre 2014). 30 ➣Liguria - Gli alunni di V della scuola primaria "Camilla Cederna" di Montagna Piano a Monterosso (27 maggio 2014). 31 ➣Francia - Filippo, Pio, Romina, Alessandra, Manuela, Lorenzo, Bruno e Adele in visita a Colmar (6 dicembre 2014). 32 ➣India - Simo, Elena, Antonella e Ilaria nel Rajasthan, davanti al Taj Mahal ad Agra (5 luglio 2014). 33 ➣Salento - I coscritti classe 1954 di Sondalo festeggiano i 60 anni presso l'hotel "Torre del Parco" di Lecce (9 novembre 2014). 34 ➣Sicilia - Il gruppo CAI-sezione Andrea Oggioni sul monte Etna (29 ottobre 2014). 35 ➣Engadina - Maurizio a spasso, presso il Lagh dal Lunghin (giugno 2014). 36 ➣Olanda - Fortissimi maratoneti, malenchi purosangue e adottati, con gli amici alla maratona di Amsterdam (19 ottobre 2014). 37 ➣Sardegna - La Madonna dei Venti sulla cima Cannone nell'isola di Tavolara regge la rivista a un lettore timido (26 ottobre 2014). 38 ➣Valmalenco - Le famiglie Chirico e Formica col piccolo Francesco, di soli 50 giorni (2 novembre 2014). 39 ➣Valcamonica - Alessandra e Tomas, la mamma Loretta e il folletto rosso Donatella al rifugio Valmalza (18 agosto 2014). 138 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Le foto dei lettori 139 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 40 ➣Caspoggio - Papà Ettore e nonna Liliana con il piccolo Giovanni (25 dicembre 2014). 41 ➣Russia - Alda, Mario, Andrea, Marco e Luca a Mosca, in barca sul fiume Moscova davanti al Cremlino (23 novembre 2014). 42 ➣Turchia - Giuliano, Patrizia, Mariangela, Elena, Silvio e Severino al Tempio di Apollo a Side (2014). 43 ➣Tenerife - Claudio e Laura sul vulcano Teide (7 agosto 2014). 44 ➣Orobie - Gigi, Sandro, Valerio, Raffaele, Giuseppe e Marco salendo al Meriggio (24 gennaio 2015). 45 ➣Austria - I malenchi Luca, Silvano, Davide, Stefano, Francesca, Simona ed Enrico alla Streif di Kitzbuhel (24 gennaio 2015). 46 ➣Sicilia - La "Sinferie viaggi" di Sondrio in vacanza a Sciacca. 47 ➣Media Valtellina - Giampy e Francesco sulla vetta di Ron (28 settembre 2014). 48 ➣Varese - I "ragazzi" della quinta ragioneria sezione A dell'Istituto Tecnico "De Simoni" di Sondrio festeggiano il 55° del loro diploma ad Angera (29 maggio 2014). 49 ➣Spagna - Stefania e Paolo al Camp Nou di Barcellona (4 gennaio 2015). 140 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Le foto dei lettori 141 LE FOTO DEI LETTORI soluzioni del n.31 Vincitori e vinti 50 Che scimma i-è? 51 Questa volta non è stato per niente facile indovinare. In primo piano si vede il Castello (m 2633), grosso corpo roccioso che si alza sopra l'alpe Sasso Nero in Valmalenco. Nella sella a sx del Castello è indicata la punta settentrionale della Corna Brutana (m 3057), la più elevata delle tre cime che costituiscono l'edificio sommitale della montagna. Questo è quanto bastava capire per contendersi i premi, mentre per soddisfare gli appassionati più curiosi, vi dico che a sx della Corna Brutana si intravede il primo dei tre Campanili della vetta di Ron, mentre immediatamente a dx del Castello si scorge la Corna Nera (m 2926), quindi la cima di Rogneda (m 2918), da cui si stacca verso N la cresta che divide il buco 52 del Cacciatore dalla valle della Lavigìólla, laterali sx della val di Togno. Ultima cima di rilievo è la Corna Rossa (m 2916), che si erge alle spalle del monte di Cavaglia (m 2728). I vincitori sono: 1. Sara Mossini 2. Simone Nonini di Sorico 3. Chicco Gottifredi di Delebio 4. Antonietta Parolo di Torre 5. Enzo Andreoli Hanno inoltre indovinato: Angel, Stefano, Giulia Presazzi. Ma ch'el? L'oggetto misterioso è un vecchio stampo per le ostie rimediato in quel di Carona. Ha lunghi manici per non scottarsi mentre si tiene la forma sul fuoco per la cottura. Sulle piastre si può leggere la simbologia religiosa, con la scritta IHS, abbreviazione di Ieosus, antico nome di Gesù. I vincitori sono: 54 53 50 ➣Croazia - Il CAI di Chiavenna a spasso in bici a Zara (15 ottobre 2014). 51 ➣Valmalenco - Renata con la sua gallina ovaiola Matilda (15 novembre 2014). 52 ➣Valmalenco - Nicoletta, Romano, Genny, Omar, Simona, Ilaria, Alessandro e Nicole al rifugio Palù (2 novembre 2014). 53 ➣Creta - Il vecchio lupo di mare Nicola fa il pediluvio nelle acque di Creta (14 ottobre 2014). 54 ➣Malta - Federica, Flavia, Piera e Paolo (beato tra le donne) a Marsaxlokk (16 novembre 2014). 142 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 1. Angela Vanotti di Torre 2. Simone Nonini di Sorico 3. Chicco Gottifredi di Delebio 4. Alan Muscetti di Sondalo 5. Carlo Gianoli di Chiesa inValmalenco Hanno inoltre indovinato: Frenzy, Flavia Passini, Laura, Sergio Proh, Giorgio, Antonietta, Franco, Simone Civati, Bricalli Alessandro, Silvia, Ivan Andreoli, Andrea Bettinelli, Nadia, Stefano, LE MONTAGNE DIVERTENTI Nicola Braga, Morellini Michela, Francesco, Mari, Attilio Tartarini, Gianni, Ivano, Romi, Elena, Rina, Marco Serventi, Ermanno Mossini, Aurelia, Paola, Ida, Paoletta, Paola Civati, Marina Berta, Morellini Giovanni Paolo. Giochi 143 Superconcorso Giochi sci Skitrab Freedom 2014/2015 con attacco TR2 + pelli Skitrab In palio: sci Skitrab Freedom 2014/2015 con attacco TR2 e pelli! Gli sci sono disponibili in varie lunghezze. Pelli e attacchi verranno regolati su misura per il vincitore. Chi può partecipare: tutti quelli che entro domenica 5 aprile 2015 avranno dato la soluzione esatta di entrambi i concorsi alla pagina a fianco. Nel caso in cui meno di 5 concorrenti fossero riusciti ad indovinare entrambi i quesiti, verranno ripescati anche coloro i quali hanno dato solamente una risposta esatta. L'elenco dei semi-finalisti verrà messo on-line lunedì 6 aprile. Foto con la rivista: per accedere alla finale, entro venerdì 10 aprile alle ore 21 ogni concorrente dovrà aver inviato a [email protected] 2 immagini: una in cui il concorrente stesso è ritratto con la rivista accanto a un monumento simbolo del proprio paese e una seconda in cui la rivista è tenuta in mano da un personaggio rappresentativo della propria comunità. Entrambe le fotografie andranno corredate con didascalie in cui si spiegano le motivazioni che hanno portato a scegliere monumento e persona. Per chiarezza riportiamo un esempio - Carlo concorrente di Carona: Che scimma i-è? Beh, se non indovinate credo dobbiate proprio rivolgervi a un ottimo oculista: che cima (indicata con la freccia) e che alpeggio sono ritratti in questa immagine? I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 3 aprile 2015 riceveranno questa foto stampata su tela, con telaio e supporti (70 cm lato lungo) + il nuovo CD ”Fieno” di Davide Taloni in edizione speciale e con dedica del cantautore. Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le ore 22 verranno estratti 3 fortunati a cui andranno la berretta LMD + il volume "Il Versante retico. Da Cima di Granda al Monte Combolo". Scrivete le vostre risposte su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ 'N gh'el? Che chiesa è ritratta in questa immagine? I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 2 aprile 2015 riceveranno maglietta + berretta + abbonamento annuale a LMD + il nuovo CD ”Fieno” di Davide Taloni in edizione speciale e con dedica del cantautore. Tra tutti quelli che avranno indovinato entro le ore 22 verranno estratti altri 3 fortunati a cui andrà la maglietta LMD + il volume "Il Versante retico. Da Cima di Granda al Monte Combolo". Scrivete le vostre risposte su www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi/ Carlo mostra il numero 1 de LMD davanti al portone di ingresso dell’antica chiesa di Sant’Omobono, ex parrocchiale e simbolo di Carona (10 febbraio 2015). ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE 144 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 Albino Pedroli, 92 anni, memoria storica della Moia di Carona dove tutt’ora vive in completa autonomia. Nella sua vita è stato capo delle guardie nella riserva di Belviso (20 dicembre 2014). + Caccia al tesoro: venerdì 10 aprile entro le ore 24 verrà inviata a tutti i finalisti una email con la mappa e le indicazioni per la caccia al tesoro. Questo sarà nascosto lungo uno degli itinerari descritti all'interno di questo numero. Vincerà il concorso il primo che riuscirà a trovare la bottiglietta col buono, grazie al quale potrà recarsi da Skitrab in via Battaglion Tirano, 6 a Bormio (SO) per ritirare la sua nuova attrezzatura da sci! In caso di meteo particolarmente avverso, sebbene la bottiglietta non sia ubicata in un luogo impervio, l'invio della email con la mappa verrà posticipato al primo giorno in cui il pericolo valanghe tornerà moderato. Le immagini inviate dai finalisti troveranno spazio nel numero estivo de LMD. LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 145 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA Taiadìn di Teglio Testi e foto Carlo Nani In una Valtellina impegnata nella rincorsa al turismo facile, si sta perdendo non solo la memoria dei luoghi più autentici, ma anche di molte ricette della vera cucina povera locale. Perchè ciò non accada vi presentiamo un piatto dai sapori antichi, tipico della mensa dei contadini di Teglio: i taiadìn. Si tratta di una “minestra di pizzoccheri” ricca di proteine nobili e fibre vegetali, una pietanza cucinata non certo per appagare la vista, bensì il palato! Ingredienti per 6 persone: • 200 ml acqua tiepida • 250 g farina di grano saraceno nostrano di Teglio • 50 g farina tipo “00” • 2 foglie di verza tagliate grossolanamente • 1 patata di media dimensione • 1 noce di burro • sale • 3 l di brodo di carne In un recipiente unite la farina di grano saraceno con la farina “00”, un pizzico di sale; lentamente versate nel recipiente l’acqua tiepida impastando con le mani fino a ottenere un salsicciotto della giusta consistenza. Tagliatelo a rondelle grossolane. Aiutandovi con un mattarello stendete le rondelle d’impasto ottenendo dei dischi dello spessore di 3 mm circa. Tagliate i dischi a strisce larghe 6 cm e sormontatele infarinandole, tagliatele in modo tale da ottenere delle tagliatelle larghe 5 mm e mettetele in un vassoio. Nel frattempo portare a ebollizione, in una pentola, del brodo di carne con la patata tagliata finemente e le foglie di verza spezzettate grossolanamente. Quando bolle, buttate nel brodo i pizzoccheri e mescolate per circa 15 minuti. A cottura ultimata, dopo aver aggiunto la noce di burro, impiattate inserendo del formaggio di grana e un po' di formaggio che fila. 146 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2015 L'uomo più forte non è colui che sa dominare il mondo, ma colui che sa dominare se stesso. Ettore Castiglioni (1908-1944), alpinista LE MONTAGNE DIVERTENTI 149