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pubblicazioni
Implicazioni assistenziali e culturali
nella morte dell’utente straniero
Maria Cristina Manca, Etnologa e Antropologa Sociale
INTRODUZIONE
L
a morte è un argomento generalmente
rimosso e difficile da affrontare, non si può
mentalmente rappresentare o immaginare, non
si può definire, si può conoscere solo “dall’esterno” (Macho, Thomas 2002: 71), a differenza di altri momenti della vita, oppure di altre
situazioni alle quali possiamo attivamente partecipare, riconoscendole come parte del nostro
vissuto.
La morte è un’esperienza fondamentale dell’uomo in quanto individuo, ma riguarda tutto
il gruppo e acquisisce una profonda valenza
sociale e collettiva. Essendo inspiegabile, provoca angoscia e terrore, ma è anche un “fatto
sociale”, un avvenimento che determina una
crisi e destabilizza il gruppo familiare e, in
modo più ampio, la stirpe e la comunità.
Il ruolo che assume il morto per i vivi è ambiguo e duplice: da una parte esiste l'affetto e il
rimpianto, dall'altra il terrore per questa nuova
e inspiegabile condizione del membro della
comunità. Il morto, al di là della perdita affettiva, incarna una potenziale aggressività, un’emergenza a rischio per la vita che continua, che
esige un re-orientamento della vita e delle relazioni all’interno della famiglia e del gruppo.
Le diverse pratiche che vengono realizzate nel
caso di un decesso sono forme per diminuire
la carica negativa della morte e collocare il
defunto in uno spazio e tempo ben delimitati.
Sono fondamentali per dare ai vivi la possibilità di elaborare il lutto - e tornare alla vita -,
per imparare a convivere con una grossa perdita, per assegnare al morto una collocazione
definitiva, per riunire gruppi che si incontrano
poco - ritrovando e rinsaldando così radici
comuni - e spesso queste cerimonie hanno
anche il ruolo di risolvere conflitti tra le fami12
glie o tra i gruppi. Il momento del “trapasso”
da una vita a un’altra - punto centrale di molte
culture - ripropone l’aggregazione, il ricordo di
Paesi lontani, di riti pubblici, dove il dolore si
supera attraverso cerimonie che sono anche
un reincontrarsi ricco di una profonda valenza
sociale, che rinsaldano la coesione del gruppo
e consentono così di superare l’evento di cesura costituito dalla morte. La cultura di appartenenza diventa un importante strumento collettivo che, riproponendo il proprio radicamento,
aiuta a superare la perdita.
Ed è proprio dal rispetto verso i morti e dalle
esequie che sono loro dovute, così come dalla
garanzia di un buon svolgimento dei processi
del lutto, che dipende la possibilita di mantenere o ristabilire delicati equilibri e relazioni di
pace e di ordine sociale all’interno delle famiglie, tra i gruppi e la collettività.
Al di là dell’immensa varietà dei riti funerari e quindi dell’impossibilità di generalizzare - la
percezione delle morte e le pratiche legate ad
essa esprimono sempre una cultura precisa: se
questa non si conosce è estremamente difficile comprenderne le pratiche. Però questi riti
variano anche all’interno di ogni cultura:
dipende dalle circostanze sociali, economiche,
personali, dalla famiglia, dal tipo di status della
persona morta, dalla realtà locale, dal contesto
in quel momento preciso. Anche i modi di reagire alla morte sono innumerevoli e sono condizionati non solo dalla cultura di appartenenza, ma anche dalla storia personale e dalle
soluzioni che il gruppo propone all’individuo.
La morte è spesso l’avvenimento cruciale della
vita ed è fondamentale dare a tutti la possibilità di viverlo secondo la propria cultura e le
proprie pratiche rituali, per evitare di mettere
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in pericolo i vivi, i morti e le relazioni che esistono tra di loro. Non rispettare le pratiche
funerarie è un modo di “uccidere” la morte,
negando al defunto un’ipotetica vita post-mortem, che può trasformarlo in un cattivo spirito
che ossessionerà i vivi (Yvan Droz, 2002).
C’è da aggiungere anche la stretta correlazione
vita-morte - e di conseguenza la percezione
salute-malattia-cura - che caratterizza molte
culture, e specialmente quelle africane. Vivere
e morire fanno parte di un ciclo ininterrotto,
considerati come uno stesso passaggio effettuato però in senso inverso, in quanto l’uno è
un andare, l’altro un ritornare. Solo per fare un
esempio (Balsamo, E. 2002: 105), presso i
Dagara del Burkina Faso una donna in gravidanza è “abitata” da una nuova anima. Tra i
vari rituali che vengono realizzati in questo
periodo, c’è quello dell’ascolto: gli anziani
interrogano il bambino nell’utero per scoprire
il motivo della sua venuta sulla terra e individuarne il nome che sarà destinato a portare.
Molti problemi che possono avere i neonati e
i bambini vengono legati a “cattive morti” o a
pratiche funerarie non realizzate ad un defunto, a mancanze di rispetto per un morto, specialmente se il/la bambino/a ne porta il nome.
La natura del bambino è legata all’avo, uno
squilibrio - fisico/psichico - puó essere il
segno di un conflitto tra il mondo degli antenati e quello dei vivi1.
LA RICERCA
Le riflessioni che presento in questa relazione
sono parte dei risultati2 di una ricerca che ho
realizzato per l’Assessorato al Lavoro e
all’Immigrazione del Comune di Firenze tra
dicembre 2001 e giugno 2002. Il principale
obiettivo di questa prima ricerca specifica in
Italia era conoscere i riti funebri in altre culture e in un contesto migratorio, con una pro1
Il tema è estremamente complesso per essere affrontato
in modo adeguato in questa sede. Per approfondire: i
lavori di psicoterapia interculturale, etnopsichiatria e etnopedagogia di Marie Rose Moro, Tobie Nathan, di Natale
Losi, Piero Coppo e Roberto Beneduce, tra i vari.
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La ricerca completa, “L'eterno fluire. Le cerimonie funebri
come riti di passaggio tra gruppi di immigrati nell'area fiorentina”, verrà pubblicata da FrancoAngeli.
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spettiva antropologica e fondamentalmente
dinamista.
Basandomi quasi esclusivamente sulle interviste, ho ricostruito la percezione della morte
che detta i riti preliminari alla sepoltura o alla
cremazione tra i gruppi dell’Islam, della Cina e
dello Sri Lanka - e alcune differenze al loro
interno -, i procedimenti di preparazione della
salma, la sepoltura o cremazione, l’esumazione, le cerimonie post-mortem, per poter disegnare insieme agli stessi immigrati delle reali
strategie e punti d’incontro affinché il momento della morte e i riti funebri possano realizzarsi nel rispetto delle culture e delle normative.
COSA SUCCEDE IN OSPEDALE? 3
Nelle pagine precedenti ho sottolineato come
il momento del trapasso sia fondamentale per
ogni cultura e per ogni essere umano e come
le forme di risposta - pratiche e/o emozionali all’annuncio di una morte siano innumerevoli.
Al di là di accettare l’impossibilità di conoscerle tutte, una riflessione fondamentamentale
che tutti dovremmo fare è che, spesso, noi crediamo che l’altro pensi come noi. Ma l’altro,
anche se può assomigliarci fisicamente, ha
invece i propri riferimenti culturali, i propri
codici e le proprie credenze, che frequentemente sono differenti dalle nostre.
La maggior parte degli immigrati che ho intervistato durante varie ricerche ha sostenuto che
il loro desiderio non è di voler ricreare
un’Italia a immagine e somiglianza del loro
Paese, ma trovare interlocutori all’interno delle
strutture disposti a spiegare, ascoltare, conoscere e, nei limiti del possibile, permettere di
conservare le loro pratiche rituali: prendiamolo tutti come un suggerimento.
Nelle pagine che seguono non pretendo assolutamente dare ricette preconfezionate sui
modi di intervenire, o quando intervenire.
Per le pagine che seguono ho consultato le interviste realizzate nel corso del progetto. Tra parentesi c’è il numero
dell’intervista anonima e il numero delle righe di riferimento secondo il programma di analisi di testi ethnograph
V4.0. Un testo che mi è stato utilissimo per molte informazioni pratiche: Droz, Yvan (2002) Processus de deuil et
commémorations. Etude-Rapport et recommandations,
CICR.
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Nonostante tutte le difficoltà inerenti lo studio
di un tema così complesso e rimosso, le varie
correlazioni alle quali è legato, l’impossibilita
di generalizzare e la poca informazione che c’è
al riguardo, nelle pagine che seguono ho cercato di sottolineare alcuni punti e momenti
importanti della morte di uno straniero in Italia
che possono essere causa di difficoltà, incomprensioni e crisi con il personale medico e
le/gli operatori/trici.
Gli ultimi momenti
Dare la possibilità a familiari, amici, conoscenti di circondare il morente nei suoi ultimi istanti di vita: in molte culture morire soli è spesso
considerata la più grave delle sventure.
I musulmani e gli indù hanno la proibizione di
utilizzare insulina se proviene da bue o maiale. Esistono molte altre prescrizioni in merito a
trattamenti medici, trasfusioni (non raccomandate assolutamente per le culture latino-americane o per i Testimoni di Gehovà), medicine e
tipo di alimenti considerati “pericolosi” o al
contrario “puri” (Helman, Cecil 2001: 32-49).
Se possibile, permettere ai familiari di spostare
il corpo del morente: per i musulmani con i
piedi verso La Mecca e le braccia lungo il
corpo, per i cinesi in questi momenti si ascoltano i consigli degli esperti di geomanzia4, “...
parlando dei cinesi che sono in Italia, l’unica
cosa che loro vogliono è seguire gli orientamenti, secondo il sole, i punti cardinali... ci
sono degli esperti che sanno di queste cose...
un buon feng-shui influisce sulla prosperità e tranquillità anche di tutta la parentela”
(interv. 14: 45-49 e 61-64)
Annunciare la morte
Al momento dell’entrata in ospedale dell’utente straniero essere il più possibile precisi nel
registrarne nome, cognome, indirizzo e persoLa geomanzia è considerata l’arte e la disciplina che, attraverso l’osservazione e l’interpretazione dei segni sul territorio (montagne, colline, corsi d’acqua, forme della natura,... ), consente di mettere in armonia l’uomo con il suo
ambiente. Il geomante, nell’antica Cina, ricercava e individuava originariamente siti adatti alla sepoltura dei defunti.
Oggi esamina e prepara, tra le varie situazioni, anche le
sedi più adatte per le varie tipologie edilizie. Il feng-shui
è l'arte di equilibrare, armonizzare e aumentare il flusso
delle energie, di vivere consapevolmente sulla terra
(www.feng-shui).
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ne di riferimento: saranno informazioni preziose nel caso di un decesso improvviso.
Se sono presenti altre persone, è meglio dare
la notizia del decesso prima ad un uomo. In
molte culture sono gli uomini che in questi
momenti si fanno carico di risolvere i problemi pratici e di dare la notizia alle donne con le
parole giuste.
Cercare di contattare immediatamente
un’Associazione di riferimento, perchè possa
aiutare la famiglia del defunto e fare da ponte
con l’ospedale.
L’importantissima figura del/la mediatore/trice
linguistico-culturale assume in questo momento un ruolo fondamentale per poter spiegare ai
familiari le cause del decesso, le cure prestate,
l’iter burocratico da risolvere.
Avere la pazienza di rispondere anche a
domande che possono sembrare “strane”.
Evitare, nel limite del possibile, di toccare il
corpo: aspettate indicazioni dei familiari o
delle Associazioni.
Le morti eccezionali (incidenti, suicidi, omicidi, etc.) per molte culture vengono spesso
considerate come una maledizione e quindi
possono richiedere dei rituali speciali.
Una riflessione a parte merita il tema dei corpi
che, per varie ragioni (per esempio a causa di
incidenti), sono mutilati o in pessime condizioni:
ogni cultura risponderà a suo modo, decidendo
se e a chi mostrare il corpo e in che modo.
Un problema importante, del quale poco si
parla, riguarda le salme non identificate.
Quanti stranieri muoiono in ospedale senza
documenti, senza essere riconosciuti dal proprio gruppo, o perchè clandestini o senza
famiglia o senza status sociale che potrebbe
permettere loro le spese di un degno funerale?
Non si conoscono i dati statistici dei morti
senza identità e mi domando quanti tra questi
siano gli immigrati che non sono stati inclusi
nei registri ufficiali e che ad una vita senza
volto, invisibile, hanno aggiunto anche una
morte senza nome, fuori dalle statistiche.
Dopo il decesso
Non in tutte le religioni il corpo deve essere
preparato e vestito accuratamente per essere
presentato.
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Per i musulmani, la sepoltura deve avvenire
entro 24 ore dalla morte, o comunque molto
velocemente: “Il rispetto che proviamo per il
morto è di lavarlo al più presto e di seppellirlo subito. Certo, se c’è un caso in cui devono
studiare la causa di morte è un’altra cosa, però
quando le cose sono normali allora è preferibile seppellire nello stesso giorno della morte.
Però purtroppo ci sono state delle persone che
sono rimaste in ospedale per quattro giorni,
hanno reclamato molto ma non hanno potuto
fare nulla. Noi non abbiamo quel potere di
andare in ospedale, ci vuole una legge che ci
assista” (interv. 12: 575-586).
Il lavaggio della salma è un’operazione fondamentale e veloce, che va realizzata quanto
prima possibile e da praticanti musulmani. Nel
caso che la persona morta sia una donna, è
preferibile che il lavaggio sia praticato da una
donna, nel caso sia un uomo, da un uomo.
Per il luogo del lavaggio, non ci sono molte
pretese: una stanza con dell’acqua, con una
doccia o anche solamente con un sifone, l’importante è che non sia usata anche come
bagno.
Alcuni intervistati mi hanno commentato che
in diversi ospedali di Firenze il momento del
lavaggio è stato risolto perchè la struttura ha
messo a disposizione un luogo idoneo quando
ce n’è stato bisogno. È importante aggiungere
che bisogna comunque considerare spazi e
tempi affinchè si possa lavare (in senso di
purificare) chi ha il compito del lavaggio della
salma. Alcuni problemi che mi sono stati
segnalati da vari intervistati, riguardano la
“paura del morto straniero” - possibile veicolo
di malattie particolari - e la consuetudine itaIO INFERMIERE - N.3 /2004
liana di vestire il defunto e soprattutto di incrociargli le braccia. “E poi quando qualcuno
muore in ospedale per malattie infettive,
muore di tubercolosi, c’è che loro (personale
medico) devono subito sigillare, non può
rimanere, c’è anche molta ignoranza: ma questo è morto per malattie infettive, non aveva
mica una malattia trasmissibile! Mettono
comunque lo zinco, zincano tutto, non lo
lasciano lavare, mi è successo qualche anno fa,
ho dovuto chiamare il direttore sanitario di X,
manca un pò di flessibilità, di rispetto per il
morto. Poi ti chiamano quando hanno già
messo le mani incrociate ed è troppo tardi per
metterle vicino ai fianchi, già sono rigide, a
volte lo vestono anche...” (interv. 4: 91-101.
Medico somalo) Il rito del lavaggio dura pochi
minuti, durante i quali la salma, per una questione di profondo rispetto, non deve essere
assolutamente guardata da nessuno, viene poi
asciugata, profumata con essenze particolari
della zona d’origine, avvolta in un lungo telo
bianco, poggiata su di una sorta di panca e
coperta con un enorme panno. Quando si usa
il feretro, il corpo verrà comunque lavato, profumato e avvolto nel telo bianco e sarà la bara
a essere coperta da questo grande drappo.
Intorno alla salma purificata e avvolta nel telo
- oppure già chiusa nel feretro - si riuniscono
pochi uomini per la preghiera più importante
di tutta la cerimonia. La salma non può più
essere toccata, baciata, guardata o avvicinata.
Le donne sono escluse da questo momento
rituale esclusivamente maschile. Le preghiere
che vengono realizzate in questo momento
sono molti veloci, non presuppongono un
luogo particolare e si realizzano in piedi e
senza nessun tipo di movimento: “La cosa più
impellente secondo me è ritagliare un piccolo
spazio all’interno degli ospedali, chiaramente
non si può fare in ogni ospedale, magari in
quello che ha più spazio. Un piccolo spazio
per lavare il morto perchè bisogna lavare il
morto subito, in un modo un pò particolare e
avere anche la possibilità di fargli subito una
piccola preghiera” (interv. 6: 44-49 e 13-16).
Un’altra situazione difficile che si è verificata
in ospedale è stata la mancata restituzione del
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feto morto. Per la religione islamica, il feto
che ha superato i quattro mesi di vita possiede un’anima, e quindi è a tutti gli effetti un
essere umano, che in caso di morte dev’essere lavato, pregato e sepolto, con la stessa
cerimonia utilizzata per qualunque musulmano: “... sì, ci sono sempre dei problemi, per
come si interrano noi i nostri morti, c’è differenza con i cristiani, non è un problema tanto
grave, solo uno deve capire i principi della
nostra religione, è questo... io le recito un
esempio... quando una donna è incinta e ha
passato i quattro mesi, il bambino, è recitato
nel Corano, che ha già l’anima, se muore
pazienza, come si dice, muore e viene interrato.
È successo che qui all’ospedale (a Firenze), il
dottore non voleva dare questo bambino,
questo feto e l’hanno messo in una bottiglia,
questo ragazzo insisteva “io lo voglio a tutti i
costi, è mio figlio e va interrato”. Anche il
dottore era sorpreso, “non è nulla” diceva, ma
per noi conta, se ha l’anima va interrato. C’è
voluto quasi un anno per averlo... voglio dire,
questo va bene per la burocrazia, non siamo
contro, sono due strade un pò diverse, noi
guardiamo la religione cosa ci dice e si fa in
quella maniera... quando vai a chiedere ti
dice che tu stai nel nostro paese, tu stai sotto
le nostre regole, sì, quello è giusto, però io
non posso lasciargli lì il mio bambino...”
(Interv.16: 7-23).
Tra i cinesi, “Alla morte di un parente, ogni
membro della famiglia entra in uno stato di
prostrazione regolato dal costume, secondo il
grado di parentela col defunto. Ci si veste di
tela grezza e ci si vieta ogni divertimento. Le
cerimonie funebri scacciano le impurità causate dalla morte, e nello stesso tempo esaltano il defunto, trasformandolo in antenato, e
con ciò stesso ristabiliscono il prestigio familiare compromesso dal lutto”5.
Genet (1983), La vita quotidiana in Cina alla vigilia dell'invasione mongola, 1250-1276, BUR Milano, in: Centro
Servizi Integrato per immigrati nel Quartiere 5,
Coordinamento di Massimo Colombo, Rapporto di ricerca
2001 del Comune di Firenze Assessorato alle Politiche del
lavoro, Immigrazione, Organizzazione servizi comunali e
della Fondazione Giovanni Michelucci.
5
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Un aspetto molto importante delle pratiche
funerarie cinesi che ritroviamo anche in Italia
è lo studio dei giorni propizi. I vari riti non
possono essere realizzati in qualunque giorno
dell’anno: bisogna aspettare una data auspicabile che viene scelta dagli esperti di “geomanzia”6, una tecnica divinatoria legata soprattutto
alle religioni popolari che studia anche la collocazione delle dimore, non solo dei vivi ma
anche dei morti, individuando il posto
migliore per ognuno (OLTRE-Periodico
dell’Imprenditoria funeraria e cimiteriale, febbraio 2001). Nel momento della morte la vicinanza dei familiari è fondamentale, e la loro
prostrazione visibile e pubblica: il dolore viene
apertamente mostrato per manifestare l’affetto
che legava alla persona morta. Morire lontani
dalla famiglia significa non aver nessuno che si
preoccupi della cerimonia e di conseguenza
una enorme perdita di prestigio sociale anche
per tutti i discendenti, che si somma, nel caso
dei buddhisti, alla mancanza di intercessioni
per migliorare la futura reincarnazione.
In Italia il lavaggio della salma viene realizzato dagli incaricati delle pompe funebri prescelte: generalmente la salma viene vestita con
abiti particolari che spesso sono stati decisi
dalla persona quando era ancora in vita.
Possono essere di colore nero, giallo, oppure
blu e spesso sono di seta; è molto importante
che siano nuovi. La salma viene poi truccata,
“imbellita”, perchè sarà esposta a lungo e visitata da molte persone. La tradizione vuole che
la salma sia vegliata per vari giorni, aspettando
la data propizia alla sepoltura o cremazione.
Durante questo periodo viene visitata giorno e
notte da parenti e conoscenti, vengono posti
degli alimenti vicino alla salma e vengono
offerti cibo e bevande a tutti coloro che condividono questo momento. Se il decesso avviene in ospedale, la salma dovrebbe essere
riportata nella casa del defunto o dei familiari
più vicini per essere vegliata e pregata da
parenti e amici e dai monaci, figure molto
importanti per i buddhisti, perchè in questi
momenti saranno loro che - attraverso partico6
Vedi nota 4
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lari preghiere e letture - aiuteranno l’anima del
morto a pulirsi dai karma e a poter avere una
vita migliore di quella appena trascorsa.
In questi giorni il ruolo delle donne è fondamentale. Non si allontanano mai dal feretro
finché verrà sepolto: la vicinanza di una donna
in veste di “accompagnatrice” - socialmente
riconosciuta - dell’anima fino al cielo, significa
spesso la tranquillità del morto nel lasciare la
terra.
Nello Sri Lanka, “La morte è solo un passaggio,
noi lasciamo nella vita terrena il nostro corpo,
però portiamo tra di noi la coscienza di ogni
vita. Nel buddhismo nessuno muore, perchè
ogni vita, quando si rinasce si porta la nostra
coscienza, quindi noi non dobbiamo piangere,
perchè noi sappiamo che questa persona
nascerà da un’altra parte, si continua a rinascere fino alla fine dei desideri...” (interv. 17:
253-261).
La vita religiosa degli immigrati dello Sri Lanka
a Firenze ruota intorno al tempio buddhista,
dove un giovane monaco Pali7 della tradizione
buddhista Theravada8 si occupa di questo
importante, seppur abbastanza precario, spazio cerimoniale.
Le cerimonie funebri sono estremamente
importanti in quanto sono considerate l’estremo tentativo e l’ultima possibilità di aiutare la
persona morta a reincarnarsi favorevolmente.
Si ritiene infatti che il distacco dell’anima dal
corpo sia un processo graduale e che, finché il
cadavere è ancora integro (ossia, prima della
cremazione), sia possibile intervenire sul
karma9 dell’anima del morto con l’assistenza
dei vivi. Per questo è usanza diffusa recitare
testi sacri e insegnamenti religiosi in
presenza del defunto.
7
Il Pali e il Sanscrito sono le due lingue in cui sono stati
scritti i testi sacri del buddhismo.
8
Letteralmente: “scuola degli antichi”, insegnamento o
dottrina degli Anziani- ad avere maggior forza. A Firenze
la comunità di Sri Lanka pratica il buddhismo theravada: si
tratta del buddismo delle origini, che sussiste ancora allo
stato puro in alcuni Paesi come la Birmania, lo Sri Lanka
(Ceylon), il Laos, la Cambogia (almeno prima degli ultimi
avvenimenti) e la Thailandia.
9
Per i buddhisti il karma “è già scritto”, quindi l'intervento che
si può realizzare è sempre molto relativo, ma può aiutare per
rendere più sereno il viaggio dell’anima del defunto.
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Il momento della morte, quello in cui si esala
l'ultimo respiro, è fondamentale per questo
gruppo, poichè la persona rivede tutta la sua
vita e, dipendendo dall’ultimo pensiero che
avrà - se cioè il suo ultimo ricordo sarà legato
a un evento positivo o negativo - verrà
influenzata la prossima vita. È estremamente
importante la vicinanza della famiglia e a volte
dei monaci, che attraverso le preghiere possono aiutare chi è appena spirato a concentrarsi
su pensieri positivi. Il corpo non va quindi
toccato o spostato subito, per dare allo spirito
questo momento di riflessione e la possibilità
di uscire tranquillamente dal corpo.
Passato questo corto periodo, il corpo viene
lavato, profumato e vestito con abiti nuovi e
soprattutto con delle particolari scarpe che gli
rendano meno faticoso il cammino che dovrà
intraprendere. Dal luogo di morte, se il decesso non è avvenuto in casa, la salma sarà preferibilmente riportata nell’abitazione della
famiglia, vegliata - dai tre ai sette giorni - da
tutti gli affetti10: “... per sette giorni tutti stanno
senza dormire, senza cucinare, noi non dormiamo, stiamo sempre alzati, tutte le finestre
sono aperte... non si può cucinare e i vicini
portano il pranzo, la colazione... solo se c'è
stata una malattia grave allora no, non si aspetta, se il dottore dice fai la cerimonia fra due
giorni, noi facciamo così” (interv. 7: 48-70).
Gli intervistati hanno sottolineato che in caso di malattie
infettive o per accertare la causa di morte, ovviamente i
tempi sono diversi.
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Per i buddhisti lo spirito di chi è morto rimane intorno alla casa per una settimana: “... lui
guarda cosa facciamo noi per lui” (interv. 7:
280-281) e in questo periodo - nel cielo - viene
sottoposto a una sorta di “giudizio” dove si
valutano le azioni positive e quelle negative
che ha realizzato nella sua vita, per poi decidere la sua prossima reincarnazione. Questo
periodo di veglia e di preghiere di tutto il
gruppo è quindi estremamente importante per
sostenere lo spirito del morto in questo difficile momento di separazione dalla vita e di “giudizio” e per aiutarlo a “pulire” parte dei karma
accumulati durante la vita appena trascorsa.
Secondo i buddhisti, per 49 giorni dopo la
morte l’individuo va errando tra il mondo dei
morti e quello dei vivi; dopodiché il meccanismo del karma decide in quale corpo si reincarnerà. Come per gli induisti, l’obiettivo ultimo dei buddhisti è di porre fine al ciclo ininterrotto delle rinascite per raggiungere l’estinzione delle sofferenze, o nirvana.
RIFLESSIONI FINALI
“Vivere con la religione aiuta molto a vivere
bene, a prendere fiducia, ad amare, ad accettare, no ad essere così chiusi, ma a guardare.
Questa è la cosa più importante, accettare e
non giudicare mai, la religione mi ha insegnato queste cose” (interv. 10 C: 174-179).
Oramai molti studi - soprattutto quelli appartenenti al filone dell’etnospichiatria - hanno analizzato la difficoltà di vivere tra più mondi e
culture, sottolineando come sia possibile raggiungere un equilibrio emozionale nel Paese
18
ospite solamente se la cultura di appartenenza
è molto solida e se si ha la possibilità di riproporla spesso (Manca, M.C. e Koller, P.M. 2003).
Dare la possibilità ai tanti stranieri che risiedono nel nostro territorio di realizzare le proprie
cerimonie funebri secondo la loro cultura
significa anche aiutarli a riprodurre la propria
storia e a conservare le proprie radici e la propria appartenenza, importantissimo passo
verso una società aperta e dinamica e realmente interculturale. Ma significa anche riuscire a considerare le differenze come una sorgente di ricchezza e completezza e nella loro
valorizzazione evidenziare le analogie che ci
uniscono - o potrebbero unire - come gruppi
diversi, nell’unicità della funzione dietro la
molteplicità delle forme che il fenomeno assume11. La morte è un momento che tutti dobbiamo affrontare, e sicuramente è un terreno
di confronto e di importante scambio tra culture: la nostra, dove la morte è stata allontanata, rimossa, quasi rifiutata e il lutto deritualizzato, e altre, che la vedono per sua natura
immanente alla vita, una presenza costante fin
dall'inizio e durante tutto il corso dell'esistenza, e vivono la ritualità come un momento fondamentale e di aggregazione per elaborare il
lutto e collocare il defunto nello spazio che gli
appartiene.
Indubbiamente, l’incontro con l’altro ci mette
in “crisi”. A questo proposito ci ricorda Elena
Balsamo (2002:157) che il termine cinese per
“crisi” (wei-ji) è costituito da due caratteri che
significano “pericolo” e “opportunità”.
Noi occidentali siamo abituati a prendere in
considerazione solo il primo di questi due
aspetti, dimenticandoci del secondo e cosí
vediamo la diversità come un pericolo, più che
come un’opportunità per crescere e migliorare.
La sfida che oggi ci attende è invece proprio
riuscire a creare un nuovo sapere “meticcio”
che sintetizzi e valorizzi gli aspetti positivi di
ogni cultura.
La bibliografia dell’articolo è presente sul sito internet (www.ipasvimi.it), nella sezione rivista.
11
Il funzionalismo di Emile Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse, 1912.
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