Yerevan/Stepanakert - Ai confini dell`ex impero
Transcript
Yerevan/Stepanakert - Ai confini dell`ex impero
Paolo Vettori YEREVAN/STEPANAKERT Ai confini dell’ex impero sovietico Edizioni Helicon ARMENIA E DINTORNI Un viaggio nella storia dimenticata del XX secolo • 13 Agosto 2013 Primo giorno di questo viaggio alla scoperta di un popolo, l’armeno, che ha sempre suscitato in me una istintiva simpatia, per la tenacia con cui ha saputo rimanere fedele alla propria identità culturale e religiosa - per secoli gelosamente custodita nei monasteri abbarbicati sui monti tra il Caucaso Meridionale e il lago di Van - e strenuamente difesa a costo di sacrifici enormi, sino al genocidio del 1915/16, che i politici turchi di ogni tendenza (gli islamisti, oggi al potere ad Ankara, non meno dei loro oppositori laici) continuano ostinatamente a negare. Col tempo si è aggiunto anche l’interesse per le travagliate vicende seguite alla scomparsa improvvisa dell’Unione Sovietica, in particolare il conflitto - 23 - Paolo Vettori ARMENIA E DINTORNI armato con l’Azerbaigian dei primi anni ‘90 per il controllo del Nagorno Karabakh, conclusosi nel ‘94 con una tregua, che regge da oltre 19 anni ma che è stata accompagnata da una insidiosa guerra economica, destinata, alla lunga, a mettere a dura prova un’economia debole come quella armena, su cui pesa non poco la chiusura delle frontiere con Azerbaigian e Turchia, conseguenza di quel conflitto ancora non risolto. E tuttavia questi miei interessi, al pari di tanti altri, sembravano destinati a rimanere lettera morta sino a quando non ho incontrato, il 21 giugno scorso, sull’aereo tra Varsavia e Bergamo, Diana, una bella ragazza di Yerevan che lavora, ormai da anni, nella capitale polacca. Parlando con lei, è spuntata , nella mia testa, l’idea di un viaggio da quelle parti ad agosto, più o meno in concomitanza con le sue vacanze estive a casa dei genitori. Una settimana dopo avevo già in tasca la prenotazione dell’albergo e i biglietti aerei. Fino ad ieri, però, non mi sono preoccupato più di tanto di questo viaggio che si discosta notevolmente dai miei consueti itinerari da un capo all’altro dell’Europa, da Lisbona ad Helsinki, passando per Varsavia o Copenaghen, realtà certo assai diverse ma pur sempre appartenenti alla “casa comune europea”. Stavolta si tratta invece di addentrarsi nel cuore del Caucaso Meridionale, divenuto, dopo il ‘91, una delle aree più instabili, se non del Pianeta, almeno dell’ex Impero Sovietico. Mentre, all’Aeroporto Vaclav Havel di Praga, percorro l’area transiti, diretto al volo della Czech Air per Yerevan, mi assale d’improvviso il timore per ciò che mi aspetta in Armenia, dove comunque me la dovrò cavare da solo, visto che Diana - presa dalle sue vecchie amicizie e dagli impegni familiari - potrà dedicarmi ben poco tempo. Per fortuna i miei timori svaniscono non appena a bordo. Sul piccolo aereo ci saranno una quarantina di persone, giovani per la maggior parte, tutti armeni che rientrano a casa dalle città in cui hanno trovato lavoro, in Germania, in Polonia e nella stessa Cechia. L’atmosfera, molto cordiale e rilassata, mi ricorda quella che si poteva respirare, in questa stagione o anche prima di Natale, sui treni diretti a Napoli e Palermo, trenta e più anni fa. Ascolto in silenzio il suono gioioso e musicale di una lingua a me completamente ignota, che non sembra avere alcuna parentela con nessuna di quelle che mi è capitato di sentire, in tanti anni. - 24 - - 25 - Paolo Vettori ARMENIA E DINTORNI Cullato dal suono melodioso di questa lingua antica, mi lascio dolcemente trasportare nelle braccia di Morfeo. Quando riapro gli occhi, il monitor di fronte a me segna la rotta sul Mar Nero in direzione di Batumi, il grande porto della Georgia Meridionale. “Manca molto?”, mi viene spontaneo chiedere. “J do’nt speak your language” risponde sorridendo la ragazza seduta accanto a me. Ci mettiamo a parlare in Inglese. Maria lavora da un paio di anni vicino Cracovia e sta tornando a trovare la famiglia, i genitori e la sorella minore. “Abitano ad Yerevan?”. “No, a Gyumry, nel Nord”. E così il discorso cade su quella che in epoca sovietica, col nome di Leninakan, era una delle più importanti città industriali non solo dell’Armenia ma dell’intera Transcaucasia, tanto che (sottolinea con orgoglio Maria) era arrivata a contare 250000 abitanti. Poi, in una fredda giornata di dicembre del 1988, era stata messa letteralmente sottosopra da un terribile terremoto, che aveva fatto 25000 vittime e centinaia di migliaia di sfollati. “Ma i numeri - puntualizza lei - non possono rendere l’idea dell’enormità della tragedia. Io ero una bambina di appena nove anni ma non potrò mai dimenticare le scene di terrore che ho vissuto in quei momenti, la gente che si riversava urlando nelle strade mentre i vecchi palazzi del Centro storico, dove abitavo, sembravano sciogliersi come neve al sole”. “Uno o due giorni dopo - non ricordo con esattezza - è venuto anche il nostro presidente di allora, Gorbaciov. Mi è passato accanto, circondato da un codazzo di gerarchi e guardie del corpo. Per un attimo ho incrociato il suo sguardo, in cui pareva riflettersi, come in uno specchio, tutto lo sgomento di quei giorni terribili”. “E della ricostruzione cosa puoi dirmi?” le chiedo, anche per allontanare il suo pensiero dall’incubo del terremoto, che le provoca ancora tanta sofferenza. “Purtroppo - mi risponde - Gyumri non si è più risollevata, anche perchè, un paio di anni dopo, è crollata l’Unione Sovietica e con essa il nostro sistema industriale che, in Armenia, aveva i suoi punti di forza proprio a Gyumri e nella vicina Vanazdor, uno dei gioielli dell’industria chimica sovietica”. “Fra pochi mesi ricorrono esattamente 25 anni da quel terribile 7 dicembre del 1988 ma la ricostruzione, nonostante le promesse del governo, è ancora lontana dall’essere ultimata e soprattutto i giovani, - 26 - - 27 - Paolo Vettori ARMENIA E DINTORNI da noi, sono costretti a cercare lavoro altrove, a Yerevan, quando sono fortunati, oppure in Russia e in Europa, come ho fatto io”. “Comunque - conclude - se vuoi saperne di più, puoi parlare con Ashot Mirzoyan, un architetto di Gyumri che da anni presiede il Centro ricerche della città, un’organizzazione non governativa che si è interessata molto dei problemi sociali ed occupazionali della zona. La sede è vicinissima alla piazza centrale e, se vai a Gyumri, non avrai difficoltà a trovarla”. Intanto il comandante annuncia che è iniziato l’atterraggio. Appena scesi a terra, Maria si affretta verso l’uscita, dove l’attende un suo cugino per condurla in macchina a casa. Superato il controllo passaporti - piuttosto minuzioso, per la verità - mi soffermo a lungo nella sala partenze, già gremita da una folla di viaggiatori assonnati (del resto sono appena le quattro del mattino). All’uscita, una lunga schiera di tassisti, raccolti in piccoli capannelli, è in paziente attesa dei clienti. Sembra di essere in una città mediorientale; e in effetti gli atteggiamenti e gli stessi lineamenti del volto testimoniano l’appartenenza di questo popolo al Medio Oriente o, come si usa dire oggi, più correttamente, al Vicino Oriente. Mi diverto ad intavolare una serrata contrattazione con il tassista di turno. Per portarmi in albergo, chiede 30 euro, poi ridotti a 20. Gliene offro dieci, prendere o lasciare; alla fine, rassegnato di fronte alla mia cocciutaggine, accetta. Un quarto d’ora di corsa veloce sulla strada per Yerevan - ancora deserta - e alle cinque del mattino sono in albergo, dove posso finalmente concedermi qualche ora di sonno. Mi sveglio quando il sole, ormai alto, penetra prepotente nella stanzetta. Manca una decina di minuti alle undici; una rapida doccia e alle undici in punto sono fuori dall’albergo dove un tassista sta ascoltando alla radio una cantilena che ricorda vagamente quelle arabe. Mentre il tassista (un uomo sulla cinquantina, che parla solo armeno e russo) si esibisce in una vera e propria gimkana in mezzo al traffico convulso della capitale, mi guardo attorno. Il panorama è quello tipico di una città sovietica medio - grande, anche se non mancano edifici modernissimi, parecchi dei quali tuttora in costruzione. Man mano che ci si avvicina al centro, la città rivela, però, la sua vera anima;i caffè all’aperto, affollati sin da quest’ora del mattino da gente di ogni età, conferiscono ai boulevards, costruiti in epoca sovietica, i - 28 - - 29 - Paolo Vettori ARMENIA E DINTORNI colori e i profumi di una tipica città mediorientale. Il tassista mi lascia in un grande mercato all’aperto, il “Vernissage”, dove si respira in pieno quest’atmosfera: sulle bancarelle si trovano esposti i prodotti più svariati dell’artigianato locale, ma ci sono anche molti dipinti, di ogni dimensione, che ritraggono paesaggi, nature morte o anche scene di vita quotidiana, tutti ugualmente caratterizzati da colori molto accesi. Mi aggiro senza fretta tra le bancarelle, gustandomi scenette di “mercanteggiamento” tra venditori e potenziali acquirenti, che mi riportano indietro di ben ventiquattro anni, quando, nell’agosto ‘89, avevo visitato il Gran Bazar di Istanbul. Mentre sto per lasciare la piazza, l’occhio mi cade su una bancarella, piena zeppa di vecchi libri, che, al contrario delle altre, appare desolatamente vuota. Nessuno, infatti, presta attenzione ai lamentosi richiami del venditore, un vecchio dai radi capelli ormai completamente imbiancati, due occhi spenti e lo sguardo rassegnato di chi ha smarrito anche la speranza. Mi fermo a consultare quei vecchi libri e un lampo improvviso sembra attraversare il suo sguardo opaco. “Have you guide - books in English or French?”, domando. Il vecchio si affanna a cercare - in mezzo a un mucchio di libri malandati in caratteri cirillici o nei caratteri, ancora più ostici per me, dell’alfabeto armeno - qualcosa che possa corrispondere alla mia richiesta. Finalmente mi porge, con un sorriso di trionfo, un libretto giallo intitolato “Tourist attractions in Armenia”. Lo sfoglio; si tratta di una vecchia edizione del 1989 e infatti la toponomastica è rimasta ferma all’epoca sovietica. La centralissima Piazza della Repubblica è ancora Piazza Lenin e nelle prime pagine compare la famosa statua del leader bolscevico, quella stessa che - stando all’articolo di GianAntonio Stella del 26 giugno scorso sul “Corriere della Sera” - giace ora, decapitata, nel parcheggio interno del Museo di Storia. Decido di acquistarlo e l’uomo, incoraggiato dalla mia disponibilità, mi porge un altro libro, stavolta stampato nel 1987, anche questo, come il precedente, a Mosca. Contiene le foto dei quadri di un certo Sarian, un pittore armeno, vissuto in epoca sovietica, di cui non ho mai sentito parlare. Già che ci sono, decido comunque di comprare pure questo libro, sebbene il mio interesse per la pittura, a maggior ragione per quella sovietica, sia - 30 - - 31 -