Leggi il diario di Marco Renzi

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Leggi il diario di Marco Renzi
ISTANTANEE
DA MANAUS
2013
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Quando ero giovane si diffuse veloce la notizia che stavano arrivando dall’america delle macchine
fotografiche che permettevano di vedere immediatamente le foto che erano state scattate.
Non era più necessario finire il rullino e portarlo a sviluppare, scatto e foto erano immediati.
Dopo qualche tempo quel miracolo si materializzò in una strana macchina di plastica chiamata
polaroid, armata in alto con una fila piccole lampade flash, come proiettili di una mitragliatrice.
Scattavi, tiravi fuori un lembo di carta sotto la macchina, agitavi nell’aria e pian piano sul rettangolo
bianco si materializzavano le immagini.
Era l’istantanea per eccellenza, quella in grado di fissare l’attimo e subito dopo restituirlo.
A Manaus, causa problemi di salute, ho dovuto sostituire nel lavoro di documentazione Ennio Brilli,
cercando di fare il meglio che una persona digiuna di fotografia e video potesse fare.
Il risultato di questo sforzo è ora nelle mani esperte di Brilli che forse riuscirà a tirarci fuori persino
qualcosa, almeno spero.
Fuori dal dovere ho scattato istantanee con una macchina che conosco appena un poco di più. Ve le
restituisco così come sono nate, senza manomissioni successive, con solo qualche errore di battitura
corretto.
Scattate per fissare emozioni, immagini, ricordi e condividerli con amici, null’altro.
Marco Renzi
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8 settembre domenica – 1° giorno
Domenica mattina mi sono svegliato presto per andare, insieme ad altri della casa, alla messa nella
chiesa di questo quartiere all'estrema periferia di Manaus. Intorno una distesa di piccole case non
finite e mezze rotte, c'è una vaga somiglianza con l'Etiopia; miseria su miseria. Strade dissestate
ovunque, bambini scalzi, gente che ti sorride e ti saluta. La Chiesa è un piccolo capannone con otto
ventilatori a pala fissati sul tetto di lamiera, officia la messa un prete laico, in jeans, i preti veri sono
pochi e possono passare solo una volta al mese. Indossa una strano paramento, una sorta si ampia
casacca chiara, con bordi del collo e delle maniche colorati a vistosa fantasia, il richiamo alle messe
afroamericane nei quartieri di new york viene immediato.
La messa è allegra, con tanti canti e la gente che batte il ritmo con le mani, un'atmosfera serena,
povera ma dignitosa.
C’è anche una sezione musicale specifica, con chitarra e diverse voci.
Alla fine sono stato chiamato sull'altare per un saluto all'ospite. Non ho capito nulla di quello che
diceva il prete laico ma dopo le sue parole abbiamo cantato e battuto le mani.
Fa quel caldo che aspettavo, molto umido, intorno piante di banane e di ogni altra specie vegetale,
sembra che tutto cresca e che le cose possano essere ingoiate da un momento all'altro dalla
vegetazione.
Ho passato bene la notte, la stanza è piccola con 4 letti a castello, stanotte ero da solo, da domani
saremo in tre, per fortuna c’è l'aria condizionata, altrimenti sarebbe impossibile dormire, l'impianto
è obsoleto, fa molto rumore ma assolve bene la sua funzione.
L'altra sera, appena arrivato, andando con il pulmino dall’aeroporto a casa, abbiamo camminato per
una mezz'ora buona tra strade deserte e poco rassicuranti, tutte le finestre delle case (chiamiamole
così) hanno inferriate a protezione, la sera fa paura.
C'è tanta povertà, la si respira, ti entra nella pelle e nel cervello.
9 settembre lunedì
Ieri (domenica) siamo andati a visitare un quartiere molto periferico e degradato, troppo a dire il
vero. Una frotta di bambini festanti, sporchi e mezzi vestiti ci è piombata addosso, molti già
avevano fatto lo spettacolo lo scorso anno ed avevano stampata la felicità sul volto nel vederci.
Intorno il nulla, catapecchie fatte di foratelle grezze, dentro cinque\sei persone in uno spazio totale
di 4 x 3 e non di più, ti chiedi come facciano a viverci e non sai trovare risposte.
I degrado è ovunque, ti avvolge, ti prende per mano e ti accompagna.
Una cascata di poveracci che non hanno nulla e intorno ancora il nulla e nulla nel futuro.
Sono tanti, ovunque.
Eppure in questo mare di disperazione c'è un gruppo di giovani che si adopera per far leggere i
ragazzi, per aiutarli a crescere, per migliorarli e strapparli ad un destino di malavita o prostituzione.
Questo mi colpisce.
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E' come trovarsi di fronte ad una montagna che è franata sopra una strada ed avere le sole mani a
disposizione per liberarla. E' un'impresa impossibile, eppure c'è qualcuno che si rimbocca le
maniche e comincia, senza guardare la montagna, concentrandosi sulle pietre che ha davanti.
Mi hanno detto che l'anno scorso sono passati casa per casa per invitare i genitori allo spettacolo dei
loro figli, convincendo persone che non erano mai entrate in un teatro a farlo. All'inizio non
volevano andare, si vergognavano. Poi l'associazione che ci ospita (Ler Para Crescer\Leggere per
Crescere) ha affittato due pullman e li ha portati a vedere i loro figli che stavano su un palcoscenico.
Dicono che sia stato un momento molto forte che tutti ancora ricordano.
Domenica siamo stati senza acqua, è andata via e non è più tornata. In casa c'è una montagna di
piatti da fare.
Una delle cose che mi hanno colpito è che non esistono le targhe con i nomi delle vie, da nessuna
parte.
Come faranno i postini a portare le lettere.
Poi rifletti e capisci che a quei poveracci che lettere arriveranno mai.
La città è piena di Chiese: evangeliche, del settimo cielo, della settima luna, di questo e quel
predicatore, sono gli unici spazi ben messi e rifiniti che si possono incontrare, il resto è una cascata
informe di mattoni e lamiere.
Dicono che funziona così, uno taglia degli alberi e fa la sua dimora, senza dire niente a nessuno.
Più precisamente le chiamano “invasioni”, si mettono d’accordo, in più persone, vanno in punto,
tagliano alberi, allineano foratelle e tirano su la casa, le fondamenta non servono, la zona non è
sismica, almeno così dicono. Passano degli anni e pian piano arriva la linea elettrica e la vita va
avanti.
Le case dei poveri sono piccolissime, spesso una sola stanza. Non esistono le fogne, si scava un
pozzo di raccolta e tutto finisce lì. I quartieri sono popolati da decine di migliaia di esseri umani,
stanno ovunque, come formiche.
La città fa due milioni di anime, si stende a perdita d'occhio perdendosi tra la vegetazione. Per
andare da una parte all'altra ci vuole oltre un'ora di pulmino.
Le strade sono videogame, piene di buche, pazzesche.
Anche qui però, come in Etiopia, la gente sembra allegra, disposta alla vita, sempre con il sorriso
sulle labbra.
I bambini non hanno nulla di nulla, sorridono e corrono.
Non riuscivamo a ripartire perchè si erano attaccati dietro al pulmino, ridevano come matti.
Ce n'era uno piccolo piccolo tutto nudo, l'ho fotografato.
10 settembre martedì
Non pensavo di trovare questa situazione, credevo che l'Africa avesse una sorta di esclusiva per la
miseria ed il degrado, mi sono dovuto ricredere. Sarà la vegetazione così rigogliosa ma davvero si
somigliano.
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Uno che conosce questi alberi ha staccato da un ramo un grande baccello, come un lunghissimo
fagiolo, lo ha aperto, c'erano dei semi neri e giganti avvolti da uno strato bianco e spugnoso, quello
strato si mangia è dolciastro e piacevole.
La mia ciabatta ha schiacciato una specie di scarafaggio, molto più grande di quelli che
conosciamo, che stava davanti alla porta della camera.
Anche stamattina non c'è acqua e questo è pesante.
Ieri tornando dal laboratorio teatrale ci siamo fermati su uno dei tanti locali lungo la strada, c'era
un'orchestrina che suonava samba, è stato piacevole, quasi quanto la birra.
Ci sono diverse strade principali che hanno un assetto quasi normale, si vedono negozi, insegne,
gente che cammina sui marciapiedi, si percepisce uno sgarrupamento generale ma nulla di più.
Fuori da queste strade, ovunque vai, è miseria nera.
Quando vai al bar e chiedi una birra ti portano un secchiello grande di plastica, del tipo di quelli che
si usano per lo straccio a casa, è pieno di ghiaccio e di lattine, tante quante ne hai ordinate, ognuno
prende la sua sminestrando nel secchio, così può trovarla sempre ghiacciata.
I bambini vanno a scuola tutti con una maglietta che fornisce loro lo Stato dell'Amazzonia, sono di
diversi colori, asseconda della scuola che frequentano, ne ho viste bianche, blu, azzurre e celesti.
Così almeno non si distinguono i ricchi dai poveri.
Ci sono talmente tanti bambini che alcune scuole fanno anche il triplo turno, il doppio è cosa
normale e lo fanno tutti.
Nelle strade della città ci sono buche ovunque, sembra che ci sia passato cent'anni fa il Signore ad
asfaltare e poi se ne sia dimenticato per l'eternità. Ieri su una strada neanche tanto secondaria, c'era
una buca così grande che i mezzi si dovevano fermare per passare uno alla volta.
Una buca del genere da noi farebbe saltare qualsiasi giunta comunale.
Cresce l'erba, crescono gli alberi, cresce tutto, intorno si percepisce una vegetazione onnivora, sono
sicuro che un giorno o l'altro questa città verrà sommersa nuovamente dalla foresta, gli alberi sono
ovunque e pronti al riscatto.
La cosa che più mi pesa è che non possiamo uscire di sera, siamo così alla periferia che sarebbe
impossibile ritrovare la casa senza qualcuno di loro che ci vive, le strade inoltre sono pericolose,
senti tensione, minaccia, i poveri fanno sempre paura soprattutto se non li conosci. La periferia è
una landa immensa, fatta di strade tutte uguali, di buche e baracche tutte uguali, senza un cartello di
una via, senza nulla, un vero labirinto.
Ho visto finalmente delle case tipo europeo, palazzine di tre piani con l'intonaco, i balconi, le
finestre e tutto il resto, sono costruite a gruppi di una decina, l'insieme è chiuso dentro un
gigantesco recinto che somiglia a quello delle nostre carceri, molto alto, invalicabile, per entrare c'è
una guardia armata e un posto di blocco. I ricchi si difendono dai poveri, è sempre la stessa storia
che torna.
Ieri nel cortile della chiesetta, dov'eravamo per iniziare il Laboratorio, si sono adunati un nuvolo di
bambini, tutti scalzi e tutti felici. Un cortile così pieno di sporco che da noi il solo pensare di farci
giocare dei piccoli ti porterebbe già in galera.
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Alcune bambine hanno preso 4 sedie e le hanno messe a croce, poi in 5 giocavano a "chi tardi
arriva male alloggia", chi non conquistava la sedia veniva eliminato ma continuava a cantare la
filastrocca dal di fuori, ad un certo punto ho notato che una delle sedie aveva solo tre piedi. Usano
tutto, fino alla polverizzazione totale e finale dell'oggetto e lo fanno con tutta la normalità
dell'universo, se fossi andato lì e avessi tolto quella sedia mi avrebbero guardato come un ufo.
I bambini sono davvero uguali ovunque, giocano e ridono quando ne hanno la possibilità. Hanno
portato un pallone da calcio che sarebbe da solo un monumento pop, un pallone di cuoio senza il
cuoio sopra, si era consumato, finito, restava solo un gomitolo di arruffati peli, con quello ci vanno
avanti fino a che scoppia e si disintegra.
ancora 10 settembre martedì
Stamattina andando verso il centro di questa immensa città siamo passati davanti al nuovo stadio
che stanno costruendo per i mondiali di calcio, è una gigantesca cattedrale dove lavorano circa mille
operai, giorno e notte.
Sono sparite le baracche e al loro posto palazzi e palazzine, tutte recintate e soprattutto vigilate.
Appena fuori dal centro siamo arrivati ad un normale ponte di uno dei mille fiumiciattoli che
attraversano l’abitato, abbiamo lasciato il pulmino e siamo scesi sotto, a piedi.
E’ stato come scendere all'inferno.
In un altro mondo.
Un mare di spazzatura dove vivono una ventina di ragazzi dai 10 ai 25 anni, sono i cosiddetti
ragazzi di strada, gente che non ha nessuno, scappati da storie tristi di famiglie che l'hanno
abbandonati o dalle quali sono fuggiti, ciascuno con la sua bottiglina di plastica piena di colla
nascosta sotto la maglia, la respirano in continuazione e si stordiscono.
Intorno uno squallore e un degrado che mai avevo visto in tutta la mia vita, una puzza che ho ancora
dentro e che non mi lascia un istante. Un cazzotto nello stomaco.
Alcuni di loro, una decina, sono venuti con noi nella casa che ci ospita, si sono lavati, hanno
cambiato i vestiti, mangiato e dopo un pò sono tornati ragazzi come gli altri, a parte i denti che non
hanno più a forza di annusare quella robaccia chimica che oltre a stordirli, lentamente li ucciderà.
A casa hanno ballato, si sono divertiti, hanno giocato a pallone, dimenticando, fosse anche per un
solo giorno, di essere rifiuti umani, perchè vederli sotto quel ponte, quello sono, rifiuti tra i rifiuti,
una vergogna per il mondo intero.
Non credevo che potesse esistere un luogo così, la discesa verso quel ponte la ricorderò a lungo, è
stata davvero uno scendere nel gradino più basso a cui il genere umano può arrivare.
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12 settembre giovedì
Ieri ho respirato un pò di normalità e visitato il Teatro Amazonas.
E’ una struttura molto europea, teatro classico, all'italiana, d'opera, molto bello, se poi uno lo
contestualizza e pensa che sta in mezzo ad una foresta grande cinque volte l'Italia, allora qualche
pensiero gli viene e tornano le immagini del FITZCARRALDO di Herzog.
Scendendo dal teatro si arriva al porto di Manaus, passando dentro un mercato che non ha fine,
bancarelle da ogni parte volgi lo sguardo, un clima simile ai mercati che ho visto in nord africa o a
Palermo, una fioritura di attività umane di ogni genere. Ci sono dei sandali infradito che hanno
come suola il copertone delle automobili, così li fanno in Africa e così li facevano cento anni fa
anche a Porto Sant’Elpidio, iniziando quell’attività che avrebbe poi trasformato un piccolo villaggio
di pescatori in un distretto industriale.
La gente a Manaus fuma poco, trovare sigarette non è facile, per strada o nei locali difficilmente
vedi qualcuno che si accende una sigaretta, anche per terra non se ne vedono, in compenso bevono,
birra, molta, sempre, ovunque.
Le bottiglie di vetro sono da 1 litro, più grandi delle nostre, le lattine sono anch'esse un pò più
capienti 370 anzichè 330.
Diciamo che uno\una seduto\a al tavolo, parlando, beve minimo 4-5 lattine.
Le servono dentro a un secchio pieno di ghiaccio, una alla volta escono, educatamente si vuotano e
restano come trofei sul tavolo.
Il porto è sul Rio Negro, guardandolo non puoi sbagliare sulle origini del nome. L'acqua è scura,
quasi nera.
Il fiume è pieno di barche di ogni genere, traghetti, chiatte, grandi navi, piccole imbarcazioni, c'è di
tutto e di più, è l'unica autostrada che collega Manaus al resto del mondo, eccezione fatta per la
strada di duemila Km che unisce la città a Caracas, in Venezuela, e che i pullman percorrono in
poco più di un giorno senza mai fermarsi.
Tolta quella strada, il resto è fiume, da lì partono e arrivano merci, uomini, automobili, camion,
container, tutto.
Ci sono molte grandi industrie a Manaus, soprattutto di elettronica, c'è la Samsung, la Pioneer, la
3M, la Coca Cola, con giganteschi capannoni e migliaia di dipendenti. Puoi vedere queste cattedrali
passando sulle vie di grande comunicazione, le puoi vedere comodamente, perchè queste vie sono
sempre intasate, il tempo di uno spostamento è mediamente superiore all'ora.
Ieri, verso sera, c'è stato un violento temporale, il traffico è andato più a tilt di quello che
normalmente è. Nell'asfalto si sono aperte delle buche che non si possono descrivere, roba da
fantascienza. Per attraversarne una siamo scesi dalla macchina e, centimetro su centimetro,
l'abbiamo guadata. Ho visto un pullman pieno di gente inchinarsi su un lato e riemergere dalla buca
come un possente dinosauro sbuffante. Sono immagini che da noi nessuno ha mai avuto l'occasione
di vedere. Una cosa del genere e dieci minuti dopo ci sarebbero stati vigili, polizia, protezione
civile, luci intermittenti, fiaccole accese, sirene, corpi speciali dello stato, di tutto. Qui è la
normalità , il traffico rallenta ma va avanti.
Oggi, giovedì, nella casa è una giornata importante, stamattina arrivano i ragazzi che vivono sotto al
ponte, i rifiuti di questo mondo e che questo mondo ha posizionato nella spazzatura.
Arriveranno, si laveranno, si cambieranno e torneranno alle sembianze umane, poi verrà il vescovo
di Manaus e starà a pranzo con tutti, ci sarà da dire una preghiera prima, una durante e una dopo
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ogni cosa. Le preghiere per me sono sempre un momento speciale, mi alzo e sto zitto. Rispetto chi
le dice e spero che lo stesso rispetto lo abbiano loro per chi non risponde, ho sempre creduto nella
diversità come ricchezza.
L'altra sera a cena, stavo vicino ad un prete molto simpatico, tale Padre Gerardo, ha detto la
preghiera, credo un Padre Nostro in portoghese. I cristiani come questi mi piacciono, sono gente che
si sporca le mani, e anche altro a dire il vero, persone che danno tutto quello che possono, a loro va
la mia più grande ammirazione.
Tommaso ed Elaine, responsabili di “Ler Para Crescer”, stanno ora costruendo nel giardino della
propria casa delle piccole strutture, loro le chiamano con molto entusiasmo CASE, sono locali di tre
per tre, dove metteranno 2 letti a castello, il bagno è fuori, comunitario.
Sono fatte di foratelle, come tutte quelle che si vedono nelle periferie. Proveranno a strappare i
ragazzi della colla al loro destino di morte, per ridarli alla vita, come è giusto che sia. Già ce ne
sono due con noi, uno è rimasto dall'ultimo incontro di Martedì. Non è facile riprenderli, è un
percorso lungo, la dipendenza è un animale ossessivo, spesso tornano al ponte.
Quando vedo questi cristiani provo stima e simpatia, mi viene quasi voglia di fare la loro tessera.
Poi mi passa e penso che le tessere non sono fatte per il mio approccio alla vita.
Il lavoro teatrale procede spedito, il team è affiatato, alcune cose che fanno mi piacciono, altre
meno, non dico nulla perchè il tempo è poco e non si può divagare, ciascuno ha il suo metodo ed è
giusto non rompere.
La vita nella casa scorre in tutta la sua scomodità, la mia stanza è piccola, ci dormiamo in tre, tutto è
lontano da quello che chiamiamo confort. Per oggi basta, vado a fare il bucato.
13 settembre venerdì
Stamattina sono partito per un giro in barca con Alice, volontaria ALOE.
Prendere il biglietto non è stato facile, il porto è una babele scatenata, tutti parlano, tutti vogliono
venderti qualcosa e non si capisce nulla, alla fine lo abbiamo comperato da uno che aveva la faccia
simpatica, solo per questo, nessun altro elemento a suo favore. Sono persino riuscito a contrattare
sul prezzo, la richiesta era 160 riais (circa 55 euro), l'ho spuntata a 120 (circa 40 euro). La sua barca
non è grande come quelle della linea "Amazonas Express", quelle sono a due piani e somigliano
alle omologhe del Mississipi, equipaggiate con la grande ruota laterale. La sua era piccolina, 15
posti al massimo, ha detto che questo era un vantaggio, che poteva andare anche dove quelle grandi
non sarebbero potute passare, col senno di poi posso dire che aveva ragione.
Il Rio Negro è enorme, praticamente un mare, le acque hanno la stessa increspatura di quelle che
vedo tutti i giorni dalla mia casa a Porto San Giorgio, identiche, solo il colore è diverso, queste sono
molto scure, da qui il nome del fiume. Da una riva all'altra credo che ci siano 5\6Km di distanza, è
la grande via dell'Amazzonia, dove passa di tutto, dalla canoa alle grandi navi container, c'è molto
movimento.
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La prima cosa che mi ha colpito sono stati gli “autogrill” in mezzo all'acqua, ce ne sono una decina,
a distanza di circa mezzo chilometro uno dall'altro, sono pompe di benzina galleggianti, con l'uomo
in tuta, il negozio, le cose da bere e da mangiare. Le imbarcazioni si avvicinano, l'uomo riempie i
serbatoi, i passeggeri scendono e si rifocillano, è davvero una cosa buffa e insolita da vedere.
Fatto il pieno la banca è partita a missile, lasciando dietro di se una bella scia di acqua marrone
scuro.
La prima tappa è stato l'incontro delle acque, uno spettacolo della natura davvero particolare. Dopo
circa mezz'ora di navigazione, lasciate le baracche e i grattacieli di Manaus alle spalle, ci si trova in
un punto del fiume diviso in due parti molto distinte, da un lato le acque scure del Rio Negro e
dall'altro quelle sempre marroni, ma molto più chiare, di un altro fiume, insieme formano il Rio
delle Amazzoni. La particolarità nasce dal fatto che i due fiumi che si incrociano hanno acque così
diverse tra loro che prima di mescolarsi impiegano circa 7 Km, il fenomeno è dovuto alla diversa
temperatura, densità e velocità con cui arrivano, sono così diverse che prima di abbracciarsi e
fondersi hanno bisogno di conoscersi per un lungo tratto.
La zona dove si incontrano è ovviamente il punto dove i colori sono più marcatamente differenti.
Lasciate le acque bilingue siamo andati nei fiordi che il fiume forma, tantissimi, anche grandi, fiumi
paralleli pieni di vita e non solo pesci, coccodrilli ed altro, ma anche di insediamenti umani. Ogni
tanto si incontrano villaggi di palafitte o di case galleggianti sorrette da grossi tronchi sotto. Mi ha
colpito una barca gialla con la scritta ESCOLAS, è lo scuola-bus del posto, quello che fa il giro e
porta alla scuola, anch'essa galleggiante, i bambini che lì vivono.
Siamo arrivati quindi ad un luogo che non saprei geograficamente collocare, il fiume forma un vero
e proprio labirinto di vie e viuzze dove solo loro sanno orientarsi. Alla fine di una profonda
insenatura abbiamo trovato una casa galleggiante con tanto di moglie, marito e quattro figli ad
altezza scalare, si procurano da vivere facendo vedere i loro animali ai turisti, hanno un bradipo,
un'anaconda e un coccodrillo, veri e vivi, te li fanno toccare e prendere in braccio per le foto di rito.
Il più buffo di tutti è il bradipo, non lo avevo mai visto, è una cosa folle, ti si aggrappa addosso
come un bambino e ti guarda con la faccia più felice dell'universo, sembra dirti continuamente che
ti ama, più precisamente sembra uno che si è fumato uno spinello dieci secondi prima e che ha
trovato l'uomo della sua vita. Staccarlo non è facile, ha delle unghie molto lunghe, quelle che usa
per stare attaccato ore e ore sui rami e mangiare foglie. Gli altri animali non reggono il confronto.
Da lì, ancora per un labirinto di vie d'acqua siamo arrivati ad un villaggio più grande e più
attrezzato, una lunghissima passerella ci ha portato dentro la foresta dove c'è stato l'assalto delle
scimmie, tantissime, sembrava che piovessero dal cielo, si muovevano tra gli alti alberi come saette,
saltando da un ramo all'altro. Quando una del gruppo ha avuto la sventurata idea di tirare fuori un
pacco di biscotti è stata la fine, l'assalto si è materializzato e alla poveretta non è restato che mollare
il malloppo e darsi alla fuga. Impressionante una scimmia mamma con il piccolo aggrappato dietro,
i loro sguardi erano umani e c'hanno messo davanti, ancora una volta, a una delle possibili verità
sulla nostra origine.
Dopo l'uragano delle scimmie la dolce visione delle ninfee, grandi foglie adagiate sul fiume,
medaglioni finemente ricamati. Il signore che ci accompagnava ci ha spiegato che quello sfarzo
dura circa tre mesi, poi la foglia si sgretola e dai tanti piccoli pezzetti se ne rigenerano delle altre
nuove. Il solito gioco di prestigio della natura.
Un bel pranzo sul ristorante galleggiante ha chiuso la prima parte della giornata.
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Ricco buffet con ogni ben di Dio, dove si poteva passare ogni volta che si voleva, da segnalare il
pesce di fiume, la banana fritta, il mango, il cocomero, l'ananas, verdure varie, riso e spaghetti.
Proprio così, in Brasile usano molto gli spaghetti, come pane che accompagna ogni pasto, il fatto è
che usano una pasta diversa dalla nostra, fatta con l'uovo ed è molto più pesante, nei supermercati
trovi anche "Barilla" ma costa troppo per le loro tasche, stipendio medio circa 300\400 euro al
mese.
Dopo pranzo la piccola barca si è spinta fin dentro i luoghi più suggestivi della foresta, in posti
davvero belli e lì sono tornate le parole dell'uomo simpatico, altre barche non ci sarebbero mai
passate. Una stretta, quasi un cunicolo, una galleria di alberi dentro la quale si scorre lentamente e
dove piante anche grandi nascono sull'acqua stessa. Un luogo profondo, meraviglioso ed
inquietante.
Poi ancora oltre e siamo tornati al letto principale del fiume, alla grande autostrada dell'Amazzonia,
per fermarci su una riva lontana, in un luogo simile alle cartoline caraibiche, ampie spiagge di
sabbia bianca e fina, palme, banani e altri alberi tutti intorno, l'unica differenza è l'acqua marrone e
non cristallina e azzurra dei caraibi.
Dopo una passeggiata nel fitto della foresta si arriva ad una gigantesca capanna, la "maloca", rifatta
come quella che costruivano gli indios del posto, loro non avevano tende per ogni nucleo familiare
ma ne costruivano una unica e grande per tutti, ciascuna famiglia ne occupava una parte.
Siamo stati accolti da un gruppo di indios redivivi, uomini e donne, in costume, anzi, le donne
senza, a tette al vento.
Una cosa che sa tanto di gardaland ma che abbiamo, credo tutti, accettato di vivere con spirito
allegro.
Alla fine tarallucci, vino, foto e vendita di souvenir.
Ultima tappa ancora una palafitta solitaria in fondo ad un fiordo, attracchiamo, si può fare il bagno,
molti lo fanno, io non ci sono riuscito, l'acqua era ovviamente caldissima, ma il suo colore e l'odore
non erano invitanti.
Sorpresa e botto finale, arriva una signora traccagnotta, la moglie della famiglia, entra in acqua , il
marito gli passa un cestino con dei pesci, lei ne prende uno, lo agita e come per miracolo, compare
un grande delfino bianco, uguale a quelli che conosciamo ma più brutto in faccia, è il BOTO, così
lo chiamano e vive nel Rio delle Amazzoni. Il delfino è evidentemente abituato, si lascia toccare da
tutti in cambio del premio\pesce. Intorno intanto ne sono arrivati altri, li si vede uscire dall'acqua e
rientrare, come in una danza.
Fine del giro.
15 settembre domenica
Ieri sera siamo usciti con Leva e Capone, gli altri dormivano, ci siamo buttati nel sabato sera delle
periferie di Manaus. Il primo posto dove ci siamo fermati, scelto per una lampadina accesa
all’esterno, è qualcosa che per comodità definiamo bar. Una tavola di legno posta in orizzontale
davanti ad una casetta mezza rotta fungeva da banco, dietro un uomo diroccato con cappello da
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muratore cucinava degli spiedini di pollo in un instabile barbecue, sedute intorno due ragazze grasse
e tozze, le show girls del locale, e quattro giovani bulli, tutti con la birra in mano, più un ubriaco
che voleva parlare a tutti i costi con me, e parlava, parlava, parlava, con grande ostinazione e al
quale ho elargito diversi segni di apprezzamento con la testa, condividendo il suo discorso appieno.
Abbiamo preso una birra, l'uomo del banco ci ha offerto uno spiedino che nessuno ha avuto il
coraggio di mangiare, il tutto in una luce fioca e uno stereo appoggiato su una sedia che mandava
musica a volumi stellari, distorcendo ogni nota possibile ed anche immaginabile. Una cosa del
genere è difficile da vedersi e più ancora da descriversi, una sorta di bar degli inferi, un luogo fuori
da ogni mondo e da ogni tempo, sospeso nel nulla di una sterminata periferia. Non mi avrebbe
meravigliato vedere Lucifero arrivare con qualche suo amico e farsi una cerveza. Volendo trovare
un riferimento cinematografico, direi il bar di guerre stellari.
Poi abbiamo deciso di salire verso un anello un po’ più largo, nel girone successivo, avanzando
verso il centro città, in luoghi più somiglianti a quelli terrestri. Dopo un bel pò di furgone, tra strade
che salgono e scendono, su asfalti che davvero nessuno riuscirebbe a spalmare neanche con il
massimo degli impegni, in una continua gimkana attorno a buche, crepacci, gobbe e ogni altro
genere di fenomeni si arriva ad una strada di grande scorrimento, una 4 corsie.
La cosa più bella delle strade della periferia è che oltre ad essere totalmente devastate, ogni tanto
sono arricchite da dossi di rallentamento e canali di scorrimento per le acque, una festa della
creatività urbana e dell'inverosimile.
Sulla strada di grande comunicazione abbiamo trovato un posto pieno di gente, soprattutto giovani e
giovanissimi.
Un luogo di ritrovo inventato in mezzo ad una strada che da quella principale si diparte.
Hanno messo tavoli, sedie ed occupato la carreggiata, lasciando nel mezzo un corridoio giusto per
far passare una macchina alla volta, roba da non credersi neanche raccontandola. Ai lati
dello spazio inventato hanno messo quattro barbecue e via ad arrostire, e giù birre a scorrere come il
fiume che da la vita a questa città. Ogni tanto passa la macchina della polizia, con i vetri scuri e
sempre alzati, non ho ancora mai visto un poliziotto scendere da quei suv toyota, secondo me hanno
paura.
Musica anche qui sempre al massimo del volume, ragazze tutte in shorts o minigonne, su cento ce
ne fosse una che il buon Dio non avesse accessoriato con un enorme posteriore, e giovani il cui
modello incontrastato è il bullo di quartiere, in questo molto simili ai nostri giovani, niente di nuovo
sotto la luce del sole.
Le macchine passano con il volume dello stereo al massimo, girano lente tra i tavoli, seguite da
moto di ogni genere e sorta, in un vociare continuo che si mescola alla musica e che fa di questo
sabato il sabato del villaggio globale.
L'insieme è paragonabile forse al loro Carnevale che non ho mai visto ma che mi hanno raccontato.
Mi è rimasta l'immagine di sette\otto ragazzini, sui 15\16 anni, stavano appoggiati ad una Fiat Uno
nera, ad un certo punto sono entrati tutti macchina e via, sgommata e partenza, la patente è un
opzional, se ce l'hai va bene, altrimenti fa lo stesso.
Un ricordo, al mattino siamo stati in centro per trovare cose utili allo spettacolo, c'era un’intera via
con negozi monotematici che vendevano costumi e maschere del carnevale, tutti pieni di roba di
hallowen. Ogni mondo è paese e il villaggio comune esiste sul serio.
Questo il sabato sera estremamente periferico ma anche globale che ho vissuto. Ora vado a
prepararmi per il BARCO, tra poco si va in barca nella foresta e si incontrano comunità indios,
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fosse la volta buona che ci mangiano, così si risolvono un poco di problemi.
A presto.
16 settembre lunedì
L'acqua, come l'elettricità e come tutte le altre cose, qui sono fenomeni che hanno poco a che fare
con le regole, l'acqua va e viene, non si capisce seguendo quali logiche, eppure ne hanno a
valanghe, tutto è acqua intorno, sono circondati da un mare\fiume che allarga le sue vene fin dentro
l’immensa foresta , quasi volesse succhiare l'essenza stessa degli alberi, o, se lo leggiamo al
contrario, portare loro la vita. Piove tutti i giorni o quasi, e questa non è la stagione delle piogge,
eppure dai rubinetti ne esce poca e intermittente, mi piacerebbe sapere se è una caratteristica della
città o un difetto della casa in cui siamo. L'elettricità è ancor più teatrale e si manifesta in un
groviglio di fili tipico di alcune zone del mondo, ho visto cose analoghe in Etiopia, nei centri urbani
ovviamente, e anche in televisione, quando fanno vedere immagini della striscia di Gaza o di grandi
città medieorientali come Il Cairo, Bagdad, Islamabad ecc. Accumulare fili e pali è evidentemente
più economico che fare scavi, il risultato, almeno qui, è esplosivo, pali che quasi soffocano
e scompaiono sotto le matasse di fili che nel tempo si sono accumulati, intrecci psichedelici,
sculture post moderne che alla biennale di Venezia avrebbero avuto un loro senso.
Siamo all'inizio della settimana finale. Questo mi da aria. La casa è un cumulo di persone, siamo in
11 in condizioni normali, dentro un solo bagno, fuori altri due, il bidè ovviamente non esiste.
Martedì e Giovedì arrivano i ragazzi del ponte, i dimenticati da Dio e dal Mondo, quanti ne
vengono nessuno può prevederlo e diventiamo un popolo.
I ragazzi del ponte, quelli della colla, sono buffi, ti viene voglia di abbracciarli tutti, poi di prendere
un megafono grande come una casa, di avvicinarlo alle loro orecchie ed urlare forte MA CHE
ANNUSATE, NON VEDETE CHE A 18 ANNI SIETE GIA' TUTTI SENZA DENTI.
Stare con loro mette allegria, appena arrivano hanno un immediato picco energetico, chi gioca a
ping pong, chi a pallone, tutti si lavano, mangiano che è un piacere vederli, poi pian piano è come
se l’energia venisse meno. Dopo pranzo è una strage, tutti a terra, dove capita, e giù dormono che è
un piacere vederli, dove si trovano schiantano.
Le condizioni igieniche con cui arrivano sono estreme, tanto per usare un termine educato, poi pian
piano l'acqua toglie loro quel vestito di tristezza che indossavano e li restituisce alla momentanea
normalità, i loro indumenti finiscono nella lavatrice e vengono sostituiti da una fioritura di maglie
provenienti da ogni parte d'Italia. L'ultima volta portavano tutti la una t-shirt della
Contrada Molini Girola del Palio di Fermo, maglie che Alice ha portato con se, un'altra volta
sono sbocciate casacche a scacchi gialle\rosse di una squadra (credo di rugby) di un quartiere di
Torino, città di Tommaso.
Ieri siamo stati ospiti tutta la giornata del grande fiume, o meglio, dei grandi fiumi, perchè ne sono
tanti, da quello principale si spande una rete che Dedalo neanche avrebbe osato immaginare, si gira,
si va dentro un fiordo, si svolta, si accelera e ancora un grande fiume parallelo, poi un altro, un altro
e ancora un altro, non finisce mai. Se infatti guadate la carta geografica potete vedere come il fiume,
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quando arriva a Manaus, non è rappresentato da una linea azzurra ma da un vasto debordamento
della stessa.
Abbiamo visitato alcuni villaggi che sorgono lungo le rive di questo monumento all'acqua, piccoli
insediamenti, tutti su palafitte, abbiamo incontrato il leader di uno di questi villaggi, ci ha spiegato
che l'acqua del fiume a volte cresce e inonda tutto, ci ha mostrato il livello raggiunto l'anno scorso,
circa due metri da terra, ecco perchè sono sulle palafitte, non per ragioni estetiche, ma molto più
pratiche. Il leader viene eletto ogni 4 anni. Gli abitanti della comunità, che può estendersi anche su
un ampio territorio, normalmente 40\50 famiglie, si riuniscono e votano per una persona, questa
diventa una sorta di sindaco che quelle persone rappresenta, cerca di migliorare la vita di tutti
e di essere utile. Sono riusciti da poco ad avere l'elettricità ma adesso arrivano anche le bollette e
pagarle non è facile, non è come in città che qualsiasi persona attacca due fili alla rete e la vita
continua, perchè così fanno, soprattutto nelle periferie, prendono dei lunghi fili di metallo, gli
fanno un gancio in cima, li appoggiano alla rete e prendono corrente. Lì è impossibile farlo, sono
pochi, nessuna casa è vicino ad un altra, minimo ci sono trenta metri, verrebbero scoperti
immediatamente. Al momento stanno studiando la possibilità di dotarsi di grandi surgelatori per il
pesce. C'è una stagione in cui questo abbonda e tutti pescano, è anche il momento in cui il prezzo
scende, poi quando viene la magra il prezzo sale ma il pesce diventa raro. Se potessero surgelarlo
avrebbero più continuità. Ho visto come pescano, usano delle lunghe canoe, non si allontanano
molto dalla riva, una decina di metri, anche perchè l'acqua è subito profonda, remano piano piano
con un solo remo corto, buttano la rete, poi raccolgono e portano a riva. I pesci sono buffi, hanno
tutti dei grandi baffi, sembrano gatti, alcuni sono molto grandi e li esibiscono con vanto. E'
simpatico il metodo che usano per attraccare, la riva è fatta di terra molle, bagnata, loro ci puntano
diritti e senza rallentare incagliano la punta della canoa o della barca nel terreno, quindi scendono.
Semplice e pratico.
Gli abitanti di queste comunità sono indios completamente urbanizzati, non immaginate di trovare
alcun segno del loro glorioso passato, bevono birra, vestono in jeans e maglie colorate, non fumano
però, le donne vestono occidentali senza fregi etnici addosso. C'era il compleanno di una bambina,
hanno chiamato un cantante del posto accompagnato da uno alla tastiera, decibel diffusi come
consuetudine con grande generosità, volumi insopportabili, dal fiume ogni tanto arrivava una canoa
con dentro un gruppetto di persone e un vistoso pacco regalo. La festeggiata era vestita di rosa,
addirittura con le calze, fatto unico e irripetibile. Avevano apparecchiato dei tavoli per gli ospiti con
tovaglie celesti e rosa, c'è un senso del kitch molto sviluppato che ha raggiunto vette
inimmaginabile quando sono arrivate delle bambine con stivali bullonati, dico stivali, si moriva dal
caldo.
Per oggi è tutto.
17 settembre martedì
Fa caldo, tanto caldo, ogni giorni è ferragosto, ieri sera, di notte, tornavamo a casa, il termometro
segnava 28 gradi, di giorno arriva a 40 (su facebook hanno pubblicato la foto che mostra un
termometro segnare 44 gradi, era di ieri) l'umidità è al top e soddisfatta celebra il suo trionfo
quotidiano. Ovunque vai, anche nel negozio più sfigato, c'è l'aria condizionata a palla, taxi in prima
fila, l'escursione termica tra dentro e fuori i supermercati è da brivido, poi ci rifletti e convieni che
qui tutto è esagerato: il fiume, gli alberi, gli animali, persino gli scarafaggi che girano in casa, sono
almeno il doppio di quelli italiani, unica soddisfazione e il rumore della ciabattata che gli dai.
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Non ci sono le fogne, questo m'ha colpito, dicono che sia così in tutto il Brasile, ogni casa ha un
pozzo, una buca scavata nella terra, dove tutto confluisce e si disperde.
Non ci sono i treni, ne esiste una rete ferroviaria nel paese, a San Paolo o altre grandi megalopoli ci
sono metropolitane ma solo in servizio urbano.
Camminando di giorno in strada, dopo un pò qualche spia comincia a lampeggiare, senti la
disidratazione, la guardi in faccia. Ieri sono dovuto entrare in un supermercato, cercare qualcosa da
bere, ho afferrato due succhi di frutta freschi e prima della cassa li ho polverizzati.
Adesso vi lascio, vado al ponte, scendo all'ultimo gradino del degrado umano.
E' dura essere quello che non sei, ogni mattina mi guardo allo specchio e ripeto convinto tre volte,
sono Ennio Brilli, sono Ennio Brilli, sono Ennio Brilli. Nella furia documentativa da cui sono
pervaso cerco di immortalare ogni cosa che mi circonda. Stanotte ho lascato la telecamera accesa
per registrare il sonno nella nostra stanza, ho intervistato il gatto di casa, leader di un gruppo più
numeroso. Cerco nell'aria segni premonitori. Ho vibrazioni sciamaniche.
Non sono certo di poter restituire la telecamera a Brilli, oramai siamo in osmosi completa.
Mi sto trasformando, son in play di giorno e in off di notte.
Aiutatemi.
17 settembre martedì
COMUNICATO STAMPA PER SPETTACOLO FINALE
Si concluderà sabato 21 Settembre, a Manaus, capitale dell'Amazzonia, in Brasile, la XXIV
edizione de I TEATRI DEL MONDO con la rappresentazione dello spettacolo PINOCCHIO, che
andrà in scena alle ore 19 nel Teatro Istallaciao.
Siamo così giunti al termine di un lungo percorso iniziato il 3 di Luglio a Perugia, proseguito dal 12
al 21 Luglio a Porto Sant'Elpidio, ed infine a Manaus dal 7 al 21 Settembre, un cammino al quale
hanno preso parte circa settanta compagnie provenienti da varie parti del mondo insieme a decine
di migliaia di spettatori e che oggi a pieno titolo può ben dirsi la più grande e longeva
manifestazione italiana dedicata al teatro per l'infanzia e la gioventù nel mondo.
A Manaus è stato realizzato un doppio e parallelo laboratorio teatrale, da una parte 25 ragazzi delle
periferie più povere della città hanno allestito il grosso del racconto di Pinocchio, favola
conosciutissima anche in Brasile, dall'altro una decina di ragazzi più grandi, di strada, si sono
inseriti curando un luogo specifico del racconto, quello del "paese dei balocchi". E' stato un
esperimento difficile, i margini di rischio erano davvero tanti, ma alla fine l'integrazione è riuscita e
la soddisfazione è stata grande.
Parlare di cosa significa essere un ragazzo delle periferie in questa immensa capitale che si è fatta
largo strappando terre su terre alla foresta non è facile, ma d'altra parte tutta la città non è facile da
raccontare. Due milioni di persone su un territorio vastissimo, nessuna strada che arriva e
che esce, l'unica che c'è collega l'Amazzonia a Caracas (Venezuela), il resto passa attraverso il
fiume o via aereo. Un centro città tipo europeo ma molto più disordinato e mal messo, dove spicca
come unico monumento il Teatro Amazonas, bell'esempio di Teatro all'Italiana la cui costruzione il
regista Herzog narrò nell'indimenticabile "Fitzcarraldo", attorno sterminate periferie che
man mano ci sia allontana diventano accozzaglie di baracche, una sull'altra, con strade che definirle
tali potrebbe sembrare un abuso della parola. In queste zone dimenticate da Dio e dal mondo vivono
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centinaia di migliaia di persone, in case che non si possono descrivere, nella povertà più totale e
assoluta, dove prosperano violenza e droga e dove i diritti dei minori, anche i più semplici: diritto
all'istruzione, al gioco, alla salute, sono ancora lontani.
I ragazzi di strada di Manaus sono invece l'ultimo gradino del degrado umano, una vergogna che
nessuno dovrebbe mai ricordare, sono gruppi di ragazzi dai 10 ai 18 ani circa, che per varie ragioni
non hanno più una casa, perchè i loro genitori li hanno abbandonati o perchè le condizioni erano
impossibili e se ne sono andati. Vivono sotto i ponti in condizioni che non si
possono descrivere, spazzatura nella spazzatura, hanno tutti una bottiglia in mano con della
colla dentro e dal mattino alla sera si stordiscono respirando le micidiali esalazioni che il prodotto
emana. Solo storditi possono accettare di vivere in quelle condizioni e andarli a trovare è
un'esperienza che difficilmente si dimentica.
Con questi ragazzi lavorano un manipolo di persone che fanno capo a diverse associazioni
umanitarie. LER PARA CRESCER è quella a cui ci siamo appoggiati e che insieme ad ALOE ha
reso possibile questo progetto per due anni consecutivi. Sono persone coraggiose, verso le quali non
possiamo che avere il massimo rispetto, per la forza che mettono in campo e per la determinazione
con cui si muovono su un campo a dir poco difficile. Nella loro casa, dove siamo stati ospiti, hanno
accolto recentemente un ragazzo strappandolo alla strada, sembra poco, in realtà è una vittoria
enorme, la dipendenza dalla colla è devastante e non riescono a staccarsi.
Con il nostro teatro abbiamo messo in connessione questi due mondi, regalato tanti sorrisi, fatto
un'esperienza che ci ha arricchito, spetterà a chi vive sul campo valutarne appieno i significati e la
valenza. Ci sembra però di poter dire che qualche seme è germogliato. Ragazzi della locale
Università, sezione spettacolo, sono stati coinvolti nel progetto, grazie anche alla sensibilità di una
loro Insegnante hanno seguito il lavoro e promesso che lo proseguiranno già nei giorni a venire.
Sabato due pullman verranno noleggiati, porteranno i genitori dei ragazzi dalle baraccopoli al
teatro, il secondo, dopo l'Amazonas, della Città, in un luogo dove non sono mai stati in tutta la loro
vita, si metteranno i vestiti delle grandi occasioni, guarderanno i loro figli in una luce diversa, sarà
una festa, un momento che tutti ci porteremo dentro a lungo.
I ragazzi di strada non avranno alcun genitore a vederli, molti non li hanno mai conosciuti e
neanche sanno la data esatta in cui sono nati, per loro ci saranno tutti gli operatori e probabilmente
anche il vescovo di Manus, persona discreta e gentile, che tra l'altro è stato un giorno intero con il
gruppo dei ragazzi di strada e ha assistito anche alle loro prove.
Poi ci saranno i saluti, come lo scorso anno qualche lacrima scenderà e un lungo volo ci riporterà in
Italia, durante quel volo i ricordi si faranno strada, questi ragazzi e gli operatori che a loro si
dedicano, non saranno più quelli che vivono dall'altra parte del mondo, ma molto più
semplicemente gli amici della porta accanto.
19 settembre giovedì
Cominciamo con il dire che sto inviando delle istantanee a delle persone che vivono in una
dimensione diversa dalla mia, qui è mercoledì e da voi adesso è giovedì, siete nel futuro, dunque
alieni, di conseguenza brutti.
Oggi ho fatto pranzo in un piccolo ristorante vicino al Porto, pieno centro di Manaus, ho mangiato
con poco più di sei euro il tambachì, un grosso pesce che il Rio Negro elargisce con generosità e
che a terra cucinano in diverse maniere. Vicino al mio tavolo tre signore hanno ugualmente fatto il
loro pranzo, alla fine hanno pagato e se ne sono andate. A quel punto un tranquillo signore che stava
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seduto su una panchina poco distante, si è alzato, si è seduto al loro tavolo, ha messo tutti gli avanzi
in un unico piatto e se li è mangiati con grande appetito, si è quindi pulito la bocca, stuzzicato i
denti con un palito e se n'è tornato alla panchina. A quel punto il personale ha liberato il tavolo
preparandolo per un nuovo avventore. Il tutto con la massima tranquillità, come se fosse la cosa più
normale di questo mondo.
Una lattina di birra, skol per essere precisi, servita ben fredda al tavolo del bar del porto, costa poco
più di un euro.
Quando a Manaus piove sembra che l'asfalto si sciolga come cioccolato, nuove buche si aggiungono
alle vecchie e le strade diventano una festa. Ho chiesto ragioni in merito e questo strano fenomeno,
dicono che le ditte incaricate invece di fare uno strato di due cm lo fanno di uno, qualche soldo
finisce nelle tasche di qualcuno e le macchine cambiano gli ammortizzatori. La vita è una giostra.
Quello che ogni volta mi lascia allibito è come riesca tutta questa gente a muoversi a proprio agio in
una bolla di oltre 40°, portando jeans e scarpe. Gli addetti che puliscono le strade sopra ai vestiti da
lavoro portano il giaccone arancione a maniche lunghe e indossano anche i guanti, saranno pure
abituati ma quando ti senti mancare le forze, con una canottiera zuppa di sudore solo stando fermo,
e vedi loro lavorare così vestiti, un brivido elettrico attraversa il cervello.
L'autista che guidava il pullman oggi aveva i guanti.
La costruzione del gigantesco stadio dell'Amazzonia, quello che a Giugno ospiterà alcune partite
del Mondiale di Calcio, domina lo skyline di questa città, è davvero impressionante, con nuvoli di
operai ad altezze incredibili, adesso stanno lavorando alla copertura. Poi pensi, come faranno a
correre con queste temperature. Considerando che le ragioni televisive imporranno di giocare di
pomeriggio, per farcelo vedere di sera in Europa, chi sopravviverà?
Caro Brilli, oggi ho trascinato la tua telecamera fin dentro il Teatro Amazonas, sfidando gli
ammonimenti di Tommaso e le sue indicazioni lapidarie: “nel caso qualcuno ti dovesse chiedere lo
zaino, consegnalo senza opporre alcuna resistenza”.
Ho riportato tutto a casa, avrai le immagini interne di questo edificio in tutta la sua magnificenza.
Ovviamente anche l'esterno. Vedrai i marmi di Carrara, i vetri di Murano, intarsi di legni pregiati,
ori e stucchi di quello che fu il periodo d'oro di Manaus, quando il caucciù portava soldi e lavoro.
Poi gli inglesi hanno piantato il caucciù in Asia, dove è cresciuto benissimo e addio sogni di gloria.
Fortuna che è rimasto questo teatro. Nel foyer ci sono esposte le foto di quando era in costruzione,
intorno non c'era nulla, un’autentica follia come Herzog ha descritto nel suo Fitzcarraldo.
Le donne di Manaus, discendenti degli indios, sono basse, more e con ampi sederi, quelle che
vedete in tv e che hanno reso famoso il Brasile ed i suoi carnevali, sono al sud, a Rio, a San Paolo,
qui non c'è traccia.
Oggi sono andato da solo in centro con l’autobus, sia all'andata che al ritorno.
E stata un'esperienza mistica.
Alla prossima.
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ancora 19 settembre giovedì
Iei sera c'è stata una festa bellissima, ci voleva proprio, una cena tutta a base di creps, dall'antipasto
alla frutta e al dolce, giuro non avevo mai mangiato tante creps in vita mia, ne ho messe nel
portagioie almeno 18, una più buona dell'altra, poi non ce l'ho fatta più e ho saltato il dolce che
dicono fosse meraviglioso. Il cuoco le preparava espresse davanti a noi, era vestito di tutto punto,
con tanto di cappello, due allegri camerieri in papillon le portavano a tavola. Bevande di ogni tipo e
genere, tutte alla frutta tropicale (niente alcol, neanche birra, in casa ci sono due ragazzi
strappati al ponte e nessun cedimento in tal senso è permesso) hanno accompagnato la serata.
Non so come faceva a fare quelle cose così buone, ma erano davvero tante, leggere e di sapori
incredibili, non erano quelle creps grandi e pesanti che siamo abituati a vedere, ma leggere, molto
leggere e piene di cose buonissime.
Hanno anche portato fiori freschi, musica francese e immagini della Torre Eiffel. E' una ditta di
giovani di Manaus che organizza catering a tema francese, hanno aperto da poco la loro attività e
dicono che hanno molta richiesta, ovviamente solo nei quartieri ricchi della città.
Che vi devo dire, un'immersione nelle cose buone mi ha fatto bene e messo di buon umore, tanto
che poi abbiamo cantato e suonato la chitarra.
Oggi è giovedì, in Italia si mangiano gli gnocchi, siamo veramente in vista del traguardo.
Oggi si torna al ponte a prendere i dannati della terra, poi di pomeriggio prove.
Adesso che stiamo arrivando al termine, sento che dei legami si sono creati e che quando ce ne
andremo, qualche sussulto emotivo ci sarà, in tutti.
Sono le sette del mattino, ho già cambiato la seconda maglia, e guardo già la terza.
20 settembre venerdì
Ieri sera, al ritorno dal laboratorio, ci siamo fermati in un punto indefinibile di questa sterminata
periferia, dovevamo aspettare che Mancini ed Elaine facessero una riunione nel quartiere, Mancini
con manzioni tecniche, più esattamente come erogatore video.
Parcheggiato il Conbi (wolkswagen), a proposito, non avevo mai visto tanti Combi in vita mia,
questi furgoni in Italia sono fuori produzione da oltre vent'anni, qui spopolano, sono piccoli,
scattanti, economici (quello che hanno e che è stato donato da ALOE l'hanno pagato circa 15.000
euro), con nove posti legali ma si sale anche in 12\15, nessuno dice nulla, è cosa normale. I Combi
sono gli eroi incontrastati del traffico di Manaus, ansimano come muli mentre scalano le ripide
salite che collegano i vari quartieri, come pure procedono attenti nelle discese che tanto ricordano i
trampolini di lancio di Cortina d'Ampezzo.
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Non ho capito come è fatta questa città, tanto è simile a un cumulo disordinato di cose. Ci sono
delle grandi strade a quattro corsie che tagliano lo spazio grande, sono strade in pianura e portano al
centro, da queste si dipartono centinaia di altre arterie, a destra e a sinistra, che vanno nei quartieri,
e qui cominciano le montagne russe, su e giù, su e giù, buche, dossi, gente, baracche, sporco,
motorini, moto taxi, musica.
I moto taxi, lo dice la parola stessa, sono un servizio taxi fatto con la moto, li vedi subito perchè
indossano delle maglie con scritto grosso MOTO TAXI, e portano in giro i vari clienti, spesso più
di uno.
Parcheggiato il mitico Combi, ci siamo trovati in una via secondaria rispetto alle altre (gia di loro
ampiamente secondarie), vicino a un baretto con tavoli di plastica fuori verso il quale ci siamo
avvicinati. La strada era un tracciato di asfalto, ornato da buche di varia fattezza, con due canali ai
lati pieni di ogni ben di dio: bottiglie, bicchieri, sporcizia varia. Arricchiva il panorama qualche
cane alla ricerca disperata di cose da mangiare e una fila su ambo i lati e a perdita d'occhio di
baracche, una sull'altra, senza fine, con annessa ragnatela di fili elettrici che sono un elemento
costante del panorama urbano.
Su tutto regna un'ida di precarietà e di caos, eppure dopo un pò che ci sei, capisci che in quella
confusione ciascuno ha la sua traiettoria, i suoi punti di riferimento e pian piano cominci a percepire
una vena di allegria che scorre sotto al caos delle cose.
Un signore dormiva a terra poco distante dal bar, su un marciapiede che un giorno fu di color
cemento e che ora era lercio, stava buttato come la cosa più normale di questo pianeta. Poco
distante un baracchino arrostiva spiedini, anzi spiedoni, mi sono avvicinato perchè avevo fame e ne
ho comperato uno, erano di pollo, o meglio di Frango, come lo chiamano qui. L'uomo che li
vendeva si è speso in mille parole per convincermi a prendere altre cose di cui disponeva, poi se n'è
fatta una ragione e senza perdere smalto ed allegria mi ha dato il resto. Dall'altro lato della strada
una donna, con un altro baracchino di succhi di frutta, allattava il suo bambino. Di fronte al nostro
tavolo, sempre dall'altra parte della strada, un biliardo teneva l'attenzione di un piccolo gruppo.
Sono andato a vedere anche io la partita. Una signora sulla quarantina e un uomo più o meno della
stessa età, erano alle prese con stecche e palline su un piano che anch'esso un giorno fu verde.
Quattro bottiglie di birra (da 1 litro ciascuna) erano poggiate su un ripiano vicino, segno che la
partita era cominciata da qualche tempo e una moto parcheggiata impediva su un lato di sfoderare in
tutta la sua estensione la stecca. Ovviamente nessuno si è sognato di spostare quella moto, piuttosto
i giocatori facevano manovre di precisione infilando il legno tra gli spazi vuoti lasciati dal mezzo
meccanico. Da noi una lunga sequenza di bestemmioni avrebbe accompagnato il motociclista in
spazi più consoni.
Il bar, tutto di colore celeste, almeno un tempo di quel colore certamente è stato, come testimoniava
ancora il soffitto, ora sudicio e all'esterno più nero che del colore originale, era ricavato in un
piccolo box garage, dentro tre surgelatori, di cui uno fungeva da banco distribuzione. Il barista era
enorme, entrava giusto per altezza e dominava la scena in tutta la sua possenza. Al tavolo vicino al
nostro una giovane ragazza beveva birra, quando siamo andati via aveva allineato 5 bottilgie da
0,75 (ce ne sono sia da 1 lt che da 0,75) con l'aria di chi ancora deve completare il suo cammino
quotidiano. Guardandola capivi come quel cammino l'avesse portata ad essere enorme. La gran
parte delle donne qui sono dilatate, pance e culi abbondano, il fatto di bere così tanto certamente
contribuisce, il resto lo fa una dieta a base di pasta, pane e fagioli, priva completamente di verdure.
Su un altro tavolo vicino, natura morta con gruppo di donne, anch'esse debordanti, si nota un
numero elevato di lattine e bottiglie, numero diventato incalcolabile quando sono arrivati i vari
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fidanzati o amici.
Bevono, bevono, bevono e bevono. Birra, birra, birra e birra.
Ogni tanto rompono lo schema con il loro liquore tipico, il cui nome mi sfugge,
che somiglia lontanamente al nostro mistrà, un distillato molto alcolico.
L'immenso barista aveva collegato la televisione ad una cassa esterna amplificata, il normale
volume dell'apparecchio evidentemente non soddisfa la richiesta di decibel degli avventori, anche in
questo luogo quindi distorsioni a volontà.
In questo maremoto che ha messo insieme uomini, baracche, animali, motorini, asfalto, buche e
ogni altro elemento che il buon Dio poteva inventarsi, alla fine un segno emerge. Come la linea che
chiude un lungo elenco di numeri, anche qui un risultato finale si può trovare. C'è una vena di
allegria, almeno apparente, che scorre sotto le cose e le persone, una sorta di pratica filosofia
dell'esistenza, per cui se c'è musica e birra, tutto il resto può attendere.
Sarà sbagliato, sarà giusto, chi può dirlo, chi può battere il martelletto e leggere la sentenza.
Personalmente non ho gli strumenti per farlo, forse c'è da capire meglio, comunque funziona, musi
lunghi se ne vedono pochi, partite iva ancora meno.
Avessero ragione loro?
21 settembre sabato
Siamo finalmente giugni all'ultima istantanea, adesso sono le 5,32 del mattino di sabato 21 luglio,
oggi si conclude ufficialmente la XXIV edizione de I TEATRI DEL MONDO, una lunga galoppata
iniziata il 3 Luglio ultimo scorso a Perugia.
Sono tanto contento di essere arrivato alla conclusione, è stata davvero dura, ho dormito 15 giorni
nelle stesse lenzuola, trovando un pò di privacy solo nelle ore dell'alba, ho visto il lavoro crescere
giorno dopo giorno, ridisegnato il progetto per il futuro, fatto riflessioni, vissuto in un agglomerato
ai confini della realtà, anzi, in molteplici e varie città.
Manaus è come una matrioska, ne contiene tante al suo interno ed anche molto differenti tra loro,
tante che si rischia di smarrire l'originale.
Ieri siamo andati nella sede di una grossa tv, "Record", che trasmette sia nello stato del'Amazzonia
che in tutta la Federazione del Brasile, è un grande complesso in un punto di questa immensa
capitale, comunque nelle zone del centro, dove le baracche scompaiono lasciando posto a palazzi
che siamo più abituati a vedere, tutti recintati e difesi da guardie armate.
Oltre il posto di blocco si entra in una Manaus che non c'è, o forse quella c'è ed il resto è di cartone.
Temperature dolomitiche che mi hanno permesso finalmente di sentire freddo, donne alte e snelle in
bilico su tacchi, tutti belli e tutti ganzi.
Uno studio così grande non l'avevo mai visto.
Siamo andati in diretta durante una trasmissione delle 11 del mattino.
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Nei camerini di questa Manaus scintillante ho incontrato gli amici dark queen di cui avete ricevuto
dettagliata immagine in una mail precedente.
Stasera (Sabato) al sambodromo di Manaus, c'è un raduno gay importante, non ho capito se si tratta
di un gaypride nazionale o solo di questo stato,comunque si ritrovano e fanno festa, la tv li ospita
per un approfondimento e nei camerini ci siamo fotografati.
Il nano trans non lo avevo mai visto prima, anche perchè nel nostro immaginario i nani sono
sinonimo di grandi "attrezzi", vederli in una veste completamente diversa in qualche modo colpisce.
Se non lo avevate capito, quello in basso non è uno in ginocchio, ma un'avvenente donna nana.
L'ultima istantanea è stata scattata ieri sera in un locale anch'esso ai confini del mondo,
non mi ricordo il nome, mi sembra "cao ciao estrella" ma non è esattamente così.
Un pezzo di Cuba nel centro di Manaus.
Cominciamo con il dire che apre solo il venerdì sera, un giorno alla settimana, ho chiesto ad un
signore che ci portava da bere il motivo, dice che loro hanno tutti un altro lavoro, che tengono in
vita il locale perchè è un pezzo della famiglia. Effettivamente il posto è un museo naturale.
Siamo in una casa piena fino all'inverosimile di oggetti e soprattutto di LP al vinile, segno che si
masticava molta musica. Una casa fatta di legno, direi FINALMENTE FATTA DI LEGNO.
In una città che ha alberi da vendere al mondo intero, le case, anche le baracche, sono fatte di
foratelle e gli infissi, quando ci sono, in ferro. E' una delle tante cose che non si riesce a capire, c'è
ferro ovunque, è la materia prima che ti salta subito all'occhio, ferro e foratelle.
Vedere una casa in legno pertanto già colpisce.
I musicisti che suonano sono attorno ad un tavolo, come fossero a casa loro, in un interno, bevono,
ridono e danno fondo alla voglia di musica che questo popolo ha nel cervello.
Due chitarre, un mandolino, un cembalo e un tamburo, sono l'incredibile formazione che diffonde
suoni in tutto il locale. Dal soffitto, attaccato ad un neon, scende il filo del microfono
e lì si alternano vari cantanti decisamente d'altri tempi. La gente siede nei tavoli del soggiorno e,
siccome sono pochi, gli altri stanno in strada, cioè davanti alla casa.
Ieri sera ad un certo punto ha cominciato a piovere, nessuno è scappato, nel tempo di un pi-stop
(quello della formula 1) hanno steso un telo lungo e lo hanno ancorato con delle corde, il tutto un pò
traballante, ma alla fine ha funzionato, del resto qui è tutto traballante.
Nelle periferie gli impianti dell'acqua si fanno con tubi di plastica e colla, i fili elettrici si attaccano
come capita, tutto è incerto e tutto può disintegrarsi da un momento all'altro.
E' questa idea di precarietà che emerge su ogni cosa, una gigantesca città nata come nel gioco del
castello delle carte. A maggior ragione stacca dal contesto la mole esagerata del nuovo stadio del
mundial, una colata di cemento e ferro da brividi.
Tornando al locale cubano, lo associo all'isola di Fidel perchè è nell'iconografia che conosciamo di
quei posti, mancano solo sigari e fumo e la sovrapposizione sarebbe stata perfetta.
Il colpo finale è l'ingresso della divina, lei è arrivata tardi, verso le 23, quando il gruppo (età media
70 anni) era già caldo, preceduta da diversi cantanti spalla. Ha attraversato i tavoli della strada e poi
la sala, come si conviene ad una stella, anche se decaduta.
Lei è Maria Celeste, cantante di circa 75 anni, vestito nero lungo con fondo schiena a vista totale,
tacco nero, qualche tonnellata di bracciali e anelli, una collana monumentale, trucco, orecchini e
quant'altro una femmina può mettersi addosso. Si muove da prima donna, raggiunge il palco
(chiamiamolo così), sul tavolo ha un suo bicchiere, diverso dagli altri, impreziosito da una
collana intrecciata attorno al gambo del calice, beve, parla, saluta. Dopo un pò l’ultimo cantante
spalla gli cede il microfono e lei comincia a cantare.
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Siamo altrove, quarant'anni indietro, forse di più, forse di meno, comunque altrove.
Altri mondi.
La voce è provata, gli anni si sentono, ma la band gira, il fluido scorre. La gente si alza e scatta foto.
Maria Celesta canta per una mezz'ora, poi si ferma, scende tra il suo popolo con in mano un
mazzetto di CD, vende sue incisioni come fossero fiori, la gente compera, si fa la foto ricordo,
sorrisi attraversano l'aria e così si andrà avanti nel tempo, fino a che lei e la giovane band avranno
benzina in corpo, d'altra parte queste persone tra qualche mese non esisteranno più nella realtà
delle cose, popoleranno il nostro immaginario, insieme alle tante cose belle che ci portiamo dentro.
Vi saluto ora, oggi è giornata di grandi impegni, c'è lo spettacolo, i preparativi fervono ovunque,
siamo tutti un pò emozionati.
E' stato un piacere fotografare per voi.
22 settembre domenica
Cari amici che avete generosamente rinnovato l'abbonamentro al club esclusivo "amici di Marco
Renzi" e pertanto spettanti di tutti gli aggiornamenti, vi giunga questa istantanea extra e davvero
finale.
Oggi si è ufficialmente concluso il festival 2013 e credo di poter aggiungere anche nella migliore
delle maniere. Gli amici di LER PARA CRESCER hanno davvero lavorato bene ed organizzato
tutto sin nei minimi dettagli. Il secondo teatro di Manaus a disposizione sin dal mattino, tecnici
inclusi, anche se sui tecnici andrebbe scritto un libro a parte. Hanno la logica del vecchio teatro di
stato degli ex paesi comunisti, tanti per fare poco e ciascuno che si intende solo di una parte di ciò
che serve. Per cui prima ne arrivano due per l'assetto del palco, spostare le quinte, il fondale ecc,
poi tre per le luci, infine altri per la fonica e microfoni. In sostanza un lavoro che si sarebbe fatto in
due ore e con due persone è durato fino alle cinque del pomeriggio e con sette addetti. Si vede che
hanno ancora i soldi del caucciù.
Tecnici a parte, il teatro era pieno, le famiglie sono venute con i pullman noleggiati appositamente.
I ragazzi sembravano usciti dalla lavatrice, passati in una stiratrice, lucidati, profumati e lindi, così i
loro genitori, tutti col vestito della festa.
Anche i ragazzi del ponte erano ben messi, Tommaso & Friends (Ler Para Crescer) li ha portati a
casa e restaurati come sempre con grande amore. Privi dei loro abiti lerci si sono immediatamente
mescolati tra la folla e guardarli era un piacere, quasi che il mondo avesse messo la testa a posto.
Lo spettacolo è stato preceduto dalla proiezione del film di Ennio sul lavoro dello scorso anno,
Tommaso lo ha smagrito di brutto, 50 minuti erano troppi, lo ha fatto durare venti.
Tranquillo Brilli, il lavoro non ha perso il suo fascino.
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Poi, dopo un'ampia presentazione, perchè qui a queste cose ci tengono, lo si capisce subito,
lo spettacolo di PINOCCHIO ha avuto inizio.
Il trio Cesanelli\Leva\Capone (con il supporto tecnico di Mancini) ha lavorato bene, non era facile
gestire 25 ragazzi periferici e un manipolo indefinito di quelli di strada, il racconto che hanno messo
in campo è stato robusto e ha retto l'impatto. Se valutiamo il prodotto dal punto di vista teatrale
certo di difetti ne troviamo sei miliardi al secondo, ma il valore vero di questo spettacolo è
certamente altrove, chi non riesce a capirlo ha smarrito la strada.
I ragazzi del ponte, o di strada come li chiamano loro, o della colla come li chiamo io, sono stati
commoventi. Uno di loro in particolare, che faceva il Pinocchio del momento, è stato incredibile.
Di Pinocchi ce n'erano tanti, il ruolo veniva passato da uno all'altro ad ogni cambio di scena e si
materializzava con il "rito" della consegna del naso.
Via finalmente i vestiti di carta crespa, che odio in modo particolare, e tutti con una semplicissima
maglia nera, jeans e scalzi, ma questo qui non fa notizia perchè ci vanno sempre.
Gian, il Pinocchio della colla, è un ragazzo minuto, taciturno e silenzioso, con lui sono entrato
subito in grande sintonia, ci siamo piaciuti. All'inizio era schivo e non voleva fare nulla, poi pian
piano il personaggio di Pinocchio lo ha motivato e ha tirato fuori un suo modo di essere di legno
davvero esemplare, ha strappato un'ovazione e vederlo sul palco, insieme agli altri, inventare e
creare è stato un momento pieno di gioia.
Pari alla tristezza che è sopraggiunta alla fine, quando sono saliti sul furgone per tornare sotto a quel
ponte dove ogni cosa si spegne.
Dopo lo spettacolo, ringraziamenti a non finire per tutti, una gigantesca torta con l'immagine del
manifesto dello spettacolo sopra, un bel rinfresco, musica e da bere per tutti.
Ora è silenzio, sono a casa, gli altri dormono sfiniti, cerco una sintesi difficile, forse dovrò
aspettare. Alcune idee sono nella testa, altre ne verranno, i giorni fermenteranno visi, situazioni,
emozioni, e come il buon vino qualcosa resterà.
E' ovvio che il forte di questa esperienza sono stati i ragazzi della colla, hanno messo un pò in
ombra gli altri per evidenti ragioni, anche se i bambini della periferia non erano certo boy scout in
vacanza.
C'è un'immagine che mi porterò dietro molto a lungo, un pomeriggio assolato stavamo facendo le
prove all'aperto con i ragazzi della colla, in un piccolo complesso gestito dall'associazione che ci
ospita. Sono andato al bagno che era dentro, aperta la porta ho trovato uno dei ragazzi che stava
armeggiando con qualcosa, non si è neanche voltato, sono rimasto fermo a guardare, eravamo in
una stanza dove c'erano degli scatoloni con vecchi giocattoli, li usano per il gruppo dei bambini più
piccoli. Questo ragazzo di 18 anni era seduto su uno sgangherato cavallo a dondolo, tirava fuori
dallo scatolone qualche giocattolo e lo muoveva, in silenzio, assorto.
Ho pensato che forse in quel momento cercava l'infanzia che non aveva mai avuto.
Non sono più andato al bagno e in silenzio sono uscito.
E' stato forse un attimo o forse un secolo, di certo un'immagine sospesa e potente,
più forte anche delle bottigliette piene di colla che annusano in continuazione.
Ammiro questa famiglia dove siamo, che ha aperto la sua casa rendendola comunitaria, ammiro il
loro lavoro, la forza che mettono in campo, la tenacia con la quale cercano di ridare alla vita questi
giovani che dalla stessa non hanno avuto nulla. Ci vuole tanto coraggio, soprattutto quando poi
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arrivano le delusioni. Il mostro contro cui combattono è subdolo, a volte sembra sconfitto, ferito
mortalmente, distrutto, ma così non è, quando meno te l'aspetti rialza la testa e colpisce ancor più
duramente.
Una prova l'abbiamo avuta proprio oggi. A pranzo hanno (noi eravamo in teatro) festeggiato a casa i
30 giorni che Damiano (un ragazzo di 18 anni) aveva lasciato il ponte. Era uno di famiglia oramai,
perfettamente integrato, andava due volte a settimana dall'Anonima Alcolisti, sembrava salvo.
Alla fine della festa in teatro non si è più trovato, lo abbiamo cercato ovunque, sparito. Tutti hanno
capito che era tornato al ponte e alla colla, che non ce l'aveva fatta.
E' stato un colpo duro e un vento di malinconia ha avvolto ogni cosa.
Domani un aereo ci riporterà a casa, volerà sopra quel ponte, sopra la foresta, sopra a tanti pensieri.
Abbiamo regalato sorrisi e fatto vivere a molte famiglie un momento di gioia, abbiamo seminato
nell'aria e nel millennio, qualcuno ha sentito la forza che il teatro porta ancora con se e che nessun
web potrà mai eliminare, speriamo che qualcosa nasca.
Loro, "Ler Para Crescer", sono molto contenti, io continuo a pormi tante domande, a cercare
risposte, a capire qualcosa che forse è poco definibile, e che in sintesi può chiudersi nella domanda:
stiamo facendo un lavoro che ha senso?
Cerchiamo le ragioni profonde di quella pratica\professione che chiamiamo teatro o lo sforzo si
rivolge agli altri?
Non mi servono le facili risposte, la realtà è complessa, il mondo ancor di più.
Chi non si pone domande si è fermato, preferisco procedere con mille dubbi.
Grazie dell'ascolto.
Fine delle trasmissioni.
Ci vediamo dall'altra parte del mondo e non solo geograficamente.
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