Libia inedita. Paralipomeni della Tirannomiomachia
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Libia inedita. Paralipomeni della Tirannomiomachia
I ATELL BRUGN NDO VERMO Libia ita ined ia ach m io om n n ira T a l del i n e om p i l ra Pa SPALL 0 primepagine_Layout 1 17/07/12 14.58 Pagina i I SAGGETTI 3 Libia inedita Paralipomeni della Tirannomiomachia Vermondo Brugnatelli Libia inedita Paralipomeni della Tirannomiomachia © 2012 L’Asino d’oro edizioni s.r.l. Via Saturnia 14, 00183 Roma www.lasinodoroedizioni.it e-mail: [email protected] ISBN 978-88-6443-077-5 ISBN ePub 978-88-6443-084-3 ISBN pdf 978-88-6443-085-0 Copertina: disegno di Massimo Fagioli Indice A mo’ di introduzione Antefatti lontani Laurea ad honorem I Berberi di Gheddafi I fratelli Buzakhar Ricapitolazione della situazione in Libia Centenario della guerra di Libia: il ruolo della cultura Richiesta di scuse «De Corato e Gheddafi uniti nella lotta» Berberi a L’Infedele (1) La manifestazione davanti al consolato libico Drammatiche notizie sui due Berberi arrestati in Libia Berberi a L’Infedele (2) Se parli berbero sei una spia del Mossad 17 febbraio 2011: inizia la lotta a Gheddafi Casini in Libia «Non macchiatemi il vestito!» Lo scandalo Frattini Le tribù libiche La parola ‘libertà’ La Libia come volontà e rappresentazione Libia: non si può solo stare a guardare! Inesattezze sulla Libia Trattereste con Hitler? 7 15 16 18 21 23 26 29 31 33 36 40 41 43 47 48 49 50 51 53 55 61 62 66 Disinformazione sulla Libia La Libia e la nostra storia Rettifica sulle bombe a grappolo Libia: in cerca della verità La guerra scatenata da Gheddafi Atrocità di Gheddafi Asini, cavalli e Gheddafi «9+9 fa zero»? Il punto di vista sbagliato dei media italiani Libia 20-21 agosto 2011: cade Tripoli La nuova Libia Il popolo libico, questo sconosciuto «Nato segreta» Cardini si sbaglia Rivoltosi o rivoluzionari? La Libia riparte da zero Illusioni sulla guerra in Libia Lealtà tribali Libere elezioni in Libia Servi antropologici Quando l’Italia aiuta a capire la Libia 20 ottobre 2011: muore il tiranno La parola ‘pace’ Libici senza complessi Cinque pagine esemplari Gli orfani di Gheddafi Manifestazione a Tripoli 67 68 72 74 78 79 82 84 85 91 93 95 98 99 103 105 107 110 113 114 116 120 127 129 131 138 144 144 A mo’ di conclusione 147 Il manuale del dittatore arabo alle prese con una rivoluzione 163 A mo’ di introduzione Quando, nel febbraio del 2011, la Libia è insorta contro Gheddafi inaugurando una nuova e sofferta pagina della ‘rivoluzione araba’, mi sono stupito vedendo quanto l’evento cogliesse di sorpresa non soltanto l’opinione pubblica ‘generica’, che di norma non si occupa dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, ma anche il pubblico dei cosiddetti ‘addetti ai lavori’. Benché il mio interesse per il Nordafrica sia soprattutto di ordine linguistico e culturale, e rivolto in particolare al mondo berbero, non trascuro di tenermi aggiornato sui problemi legati alle condizioni di vita quotidiana in queste regioni e sulle vicende anche politiche di questi paesi. Così, il caso ha voluto che per motivi personali (cercavo di tenermi informato sulle vicende di un collega e amico finito senza processo nelle carceri di Gheddafi) mi sia trovato a seguire abbastanza da vicino, sia con contatti telefonici sia sulla rete, quello che è avvenuto in Libia già prima del fatidico 17 febbraio. A quanto sembra in Italia ero l’unico a prevedere che intorno a quella data il popolo libico avrebbe dato uno scossone al dittatore che lo terrorizzava da 42 anni, e per diverso tempo ho 7 LIBIA INEDITA avuto l’impressione di essere l’unico ad avere un’idea di quello che stava succedendo. Non lo dico per vantarmi, ma per esternare il senso di scoramento provato quando mi sono reso conto che anche coloro che ci governano e dovrebbero avere le idee chiare sul mondo che ci circonda in realtà brancolavano nel buio e non sapevano da che parte girarsi per trovare chiavi interpretative di un fenomeno per loro tanto sorprendente e inatteso. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, sul “Corriere della Sera” del 17 gennaio, a meno di un mese dallo scoppio della rivoluzione in Libia, in un articolointervista intitolato «Arginare il fondamentalismo. È questa la priorità dell’Europa» dichiarava: 8 Faccio l’esempio di Gheddafi. Ha realizzato una riforma che chiama «dei Congressi provinciali del popolo»: distretto per distretto si riuniscono assemblee di tribù e potentati locali, discutono e avanzano richieste al governo e al leader. Cercando una via tra un sistema parlamentare, che non è quello che abbiamo in testa noi, e uno in cui lo sfogatoio della base popolare non esisteva, come in Tunisia. Ogni settimana Gheddafi va lì e ascolta. Per me sono segnali positivi. Questo articolo rappresenta più di una semplice gaffe. È un po’ il paradigma di come i politici italiani (e non solo) concepissero, e in gran parte ancora concepiscono, le tematiche nordafricane. Non c’è solo il grossolano errore di scambiare i «Congressi del popolo» di Gheddafi per delle autentiche strutture di democrazia diretta invece di quello che erano, cioè le articolazioni periferiche di un regime di spietato controllo poliziesco su tutto e su tutti («non c’era una gallina che deponesse un uovo in Libia senza che Gheddafi lo venisse a sapere»: un’efficace descrizione letta sulla rete). In questa intervista emergono due altre gravi distorsioni ideologiche che li- A mo’ di introduzione mitano fortemente la capacità di cogliere la natura e la portata degli eventi. La prima è la fissazione paranoica della lotta al ‘fondamentalismo’. In nome di questa lotta senza quartiere a un nemico difficile da definire e individuare, l’Occidente ha giustificato e sostenuto per anni i peggiori regimi, non solo in Nordafrica ma in ogni parte del mondo. E i dittatori e i regimi più liberticidi, che si sono ben accorti di questo tallone d’Achille del mondo occidentale, lo sfruttano spregiudicatamente presentandosi come i campioni della lotta al terrorismo: d’altra parte, si sa, in questa lotta qualche strappo ai diritti umani viene sempre giustificato dalle superiori esigenze di sicurezza. L’esempio più clamoroso di questo ricatto ‘o noi o i terroristi’ è costituito, in Nordafrica, dal regime algerino. A tal punto l’esistenza dei terroristi è strumentale alla conservazione del potere da parte della casta dominante che non pochi si chiedono quali rapporti vi siano in realtà tra terroristi e governanti, col dubbio che questi ultimi più che combatterli li tengano ‘sotto controllo’, minacciando perennemente di ‘abbassare la guardia’ (o dare loro via libera) non appena venga messo in discussione il sistema di potere di Bouteflika e dei militari. L’espressione più evidente di questo ambiguo rapporto è la serie di ‘condoni’ concessi ai ‘pentiti’ nel corso degli anni, che ha avuto la stessa sorte dei condoni fiscali italiani: chi non ha aderito all’ultimo aspetta condizioni più favorevoli nel prossimo, che immancabilmente prima o poi arriverà. Questo ricatto è riuscito perfettamente nel 2001 quando una sollevazione in tutto e per tutto simile a quelle del 2011, con la richiesta di libertà, giustizia e democrazia, venne soffocata nel sangue con più di 100 morti: la cosiddetta Primavera nera. Alzi la mano chi ne ha sentito 9 LIBIA INEDITA 10 parlare! E sì che per mesi vi furono manifestazioni con i gendarmi che sparavano sulla folla e il 14 giugno 2001 le piazze di Algeri videro manifestare oltre un milione di persone, la dimostrazione più massiccia dalla fine della guerra di indipendenza. Ma governi e media occidentali, ostinandosi contro l’evidenza a tenere viva l’idea che i soli possibili oppositori alla casta di governo fossero i ‘fondamentalisti’ islamici, si girarono dall’altra parte e ignorarono completamente questo movimento laico e democratico, lasciandolo solo a confrontarsi con un potere che, con le buone o con le cattive, ha finito per averne ragione. Il secondo errore di prospettiva consiste nell’approccio ancora sostanzialmente coloniale che nei popoli del Nordafrica vede non cittadini che rivendicano dei diritti bensì masse di primitivi (l’uso ossessivo del termine ‘tribù’ nelle dichiarazioni dei politici non è casuale) la cui mentalità sarebbe oggettivamente e ontologicamente diversa dalla ‘nostra’ («non è quello che abbiamo in testa noi»), ovviamente inferiore e perciò stesso manipolabile da qualunque agente esterno – un dittatore, i paesi europei o gli Usa –, ma non in grado di concepire ed esprimere autonomamente concetti quali libertà e democrazia. Questo approccio è evidente non solo nei comportamenti dei politici ma anche nell’atteggiamento degli organi di informazione. Per l’intera durata della rivoluzione, si può dire che tutta la stampa italiana ha trattato le vicende attraverso uno spesso filtro ‘orientalista’. E questo sia ‘da destra’, sia ‘da sinistra’. A differenza di altri paesi, che hanno mandato in Libia troupe e inviati che hanno cercato di descrivere le vicende ‘dall’interno’, spesso con grave rischio per la loro stessa vita (tra tutti, mi piace ricordare la giornalista televisiva Alex Craw- A mo’ di introduzione ford, che ci ha trasmesso le immagini di Zawia sotto assedio strisciando anche lei come i combattenti tra le macerie per sfuggire ai proiettili), i nostri giornalisti si sono perlopiù limitati a trasmettere i comunicati stampa del dittatore oppure le opinioni e i commenti di politici e militari europei o americani. Rarissime le inchieste sul posto, le interviste con la gente, soprattutto nelle zone liberate, e addirittura inesistente la copertura su tutto ciò che avveniva nel fronte occidentale, sul Gebel Nefusa: questa regione di lingua berbera è di rara vivacità intellettuale e culturale, ma è un mondo che a tutt’oggi mi risulta essere completamente ignoto a politici e giornalisti di casa nostra. In mancanza di una informazione ‘sana’, il grosso di coloro che hanno scritto e parlato di Libia in questi mesi ha attinto a piene mani da vecchi stereotipi e pregiudizi. A destra, si sottolineava soprattutto la ‘primitività’ degli indigeni, presentati come divisi in tribù ostili tra loro, e anzi come due entità, la Tripolitania e la Cirenaica, mai amalgamate e sicuramente prossime alla rottura. Corollario di questa primitività, l’adesione all’Islam, vista in definitiva come un appoggio ad al-Qaeda, foriero di fosche minacce all’Europa e alla civiltà. A sinistra, dopo un primo periodo di sostanziale disorientamento (se va bene, tra gli intellettuali di sinistra qualcuno che conosca la situazione in Medio Oriente lo si trova, ma sul Nordafrica c’è un’ignoranza totale), l’entrata in scena della Nato ha fornito la bussola e dettato la linea: la guerra non può essere altro che una macchinazione dell’Occidente per arraffare il petrolio libico, e tutto si risolve nel discettare su chi tragga maggiori vantaggi e quali scenari dietrologici siano i più accattivanti. Sempre, comunque, escludendo da ogni considerazione il popolo libico, evi- 11 LIBIA INEDITA 12 dentemente non considerato capace di aver scelto di testa propria di liberarsi di una dittatura ultraquarantennale... In questi mesi ne ho lette e sentite tante, e in infinite occasioni mi sono anche sinceramente risentito vedendo trattare in modo così distratto e superficiale, quando non completamente falsato, le vicende drammatiche di un popolo a noi così vicino. Per questo motivo, ho dedicato tempo ed energie a informarmi e a cercare di segnalare le maggiori manchevolezze o errori. Da una parte, ho seguito si può dire giorno per giorno, e in certi casi ora per ora, la situazione sul terreno, grazie soprattutto a Twitter, uno strumento che prima ignoravo e che si è rivelato impareggiabile sia per avere notizie in tempo reale e segnalazioni di filmati in rete, sia per registrare reazioni e impressioni a caldo, direttamente dalla Libia o attraverso libici residenti all’estero e in contatto nei modi più svariati con le famiglie e i villaggi. Quando la rete telefonica e internet me lo hanno permesso, ho anche potuto avere contatti, telefonici o via posta elettronica e Facebook, con dei conoscenti nel Gebel Nefusa, o con loro corrispondenti nella vicina Tunisia. Dall’altra parte, quando più stridente era il contrasto tra le informazioni in mio possesso e ciò che veniva descritto, ho cercato di contattare gli organi di informazione e di stimolarli a svolgere più seriamente il loro mestiere, con una serie nutrita di lettere e messaggi. Solo raramente questi miei appelli sono stati ascoltati. Al di là della solidarietà personale di qualche giornalista, la maggior parte dei miei messaggi sono finiti direttamente nel cestino. La riluttanza a pubblicare voci diverse dai rassicuranti luoghi comuni in cui le redazioni e i loro lettori si erano adagiati si è rivelata bipartisan, equamente condivisa da testate di ogni area politica. A mo’ di introduzione Il contenuto di questo volumetto è per la maggior parte costituito da questi miei pezzi inediti, raccolti e ordinati più o meno cronologicamente, accompagnati, quando ne ho ravvisato la necessità, da qualche nota esplicativa del contesto in cui sono stati composti. Ho pensato che fosse l’unico modo per trasmettere in modo organico tutte le mie impressioni e complementi di informazione (paralipomeni) riguardo al conflitto libico, dalle sue premesse, con lo scoppio della contestazione, fino alla guerra civile vera e propria e alla fine del regime di Gheddafi (il tiranno che definiva ‘ratti’ i suoi avversari: di qui il termine Tirannomiomachia). Ho ritenuto utile lasciare al testo finale la struttura semi-epistolare dei miei interventi – a volte con repliche e brevi dibattiti – per conservare l’immediatezza della situazione in cui sono stati di volta in volta concepiti, anche a costo di qualche inevitabile ripetizione e inorganicità. È sempre allo scopo di mantenere il clima dei vari momenti compositivi che ho cercato di modificare il meno possibile il testo nel passaggio dalle e-mail alla forma attuale, anche in diversi casi in cui ero tentato di smorzare a posteriori alcune punte polemiche, peraltro sempre derivate da intenti costruttivi e mai semplice invettiva. In fondo, il senso di questa pubblicazione non è solo quello di mostrare aspetti della rivoluzione libica che il pubblico italiano non conosce, ma anche quello di documentare come sono andate le cose sul ‘fronte italiano’ dell’informazione (non dimentichiamo che il deposto leader era all’avanguardia non solo nell’arsenale bellico, ma anche nel manovrare e manipolare a suo favore l’arma della propaganda). Come si vedrà, i miei interlocutori appartengono a diverse testate, delle più svariate tendenze politiche e ideo- 13 LIBIA INEDITA 14 logiche. Se il “Corriere della Sera” è il quotidiano cui più spesso mi sono rivolto (e che ho più bersagliato di critiche, ricevendone peraltro anche il maggior numero di cestinature), ciò è dovuto al banale fatto che questo è il quotidiano che mi ritrovo tutte le mattine davanti alla porta. Non sono uso sfogliare le mazzette dei giornali come un politico, ed è quindi probabile che molti altri interventi su parecchi altri organi di stampa avrebbero meritato le stesse e altre correzioni e precisazioni. Ma, come ho detto, ho l’impressione che il livello scadente dell’informazione sulla Libia sia un dato nazionale che accomuna un po’ tutte le testate. In qualche caso è successo che i miei interventi siano stati pubblicati, e ringrazio le redazioni di “alfabeta2”, di “left” e di “Lettera43” per avermi concesso di riprodurli in questa sede. Un ringraziamento particolare va alla casa editrice e ad Annamaria Zesi, che hanno preso a cuore questi miei interventi e mi hanno incoraggiato a tirarli fuori dal cestino.