Contraccezione

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Contraccezione
CARLO FLAMIGNI - ANNA POMPILI
Contraccezione
IL MITO DI CURA
Collana a cura di Carlo Flamigni
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Contraccezione
“L’ignoranza è prolifica”
(Alieto Tibuzzi)
Carlo Flamigni
Anna Pompili
Contraccezione
© 2011 L’Asino d’oro edizioni s.r.l.
Via Saturnia 14, 00183 Roma
www.lasinodoroedizioni.it
email: [email protected]
ISBN 978-88-6443-056-0
ISBN ePub 978-88-6443-121-5
ISBN pdf 978-88-6443-122-2
Copertina: disegno di Massimo Fagioli
Indice
Prefazione di Carlo
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Prefazione di Anna
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Introduzione
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Capitolo 1. Valutazione dell’efficacia e della sicurezza
dei contraccettivi
1.1 Come si valuta l’efficacia di un contraccettivo
1.2 La sicurezza dei metodi contraccettivi
1.3 La pianificazione familiare
Capitolo 2. Fisiologia della riproduzione umana
2.1 Cosa succede nell’organismo femminile: ovulazione,
fecondazione, mestruazione
2.2 Cosa succede nell’organismo maschile:
la spermatogenesi
2.3 La fecondazione
2.4 Il controllo della fertilità
Capitolo 3. La pillola contraccettiva compie 50 anni
3.1
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3.8
3.9
Una storia non sempre adamantina
Come funziona
La pillola o “le” pillole?
Come agisce sul nostro organismo
Come si prende la pillola
La sicurezza
Gli effetti collaterali
Gli effetti avversi
Nuove vie di somministrazione: il cerotto
e l’anello vaginale
3.10 Quanto costano
3.11 Vantaggi non contraccettivi della pillola
Capitolo 4. La contraccezione con soli progestinici
4.1 La minipillola
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4.2 I preparati “deposito”
4.3 I microimpianti
4.4 La spirale medicata
Capitolo 5. La spirale
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
5.6
Come funziona
L’inserimento
La sicurezza
Le complicazioni e gli effetti collaterali
La spirale nella contraccezione di emergenza
Quanto costa
Capitolo 6. Il preservativo maschile, o condom
6.1
6.2
6.3
6.4
6.5
Come si usa
La sicurezza
Gli effetti collaterali
Vantaggi e svantaggi
Quanto costa
Capitolo 7. Il preservativo femminile
7.1
7.2
7.3
7.4
Come si usa
La sicurezza
Vantaggi e svantaggi
Quanto costa
Capitolo 8. Il diaframma, il cappuccio cervicale,
le spugne
8.1
8.2
8.3
8.4
8.5
8.6
8.7
8.8
Chi non può usare il diaframma
Come si usa
Le complicazioni
Vantaggi e svantaggi
La sicurezza
Quanto costa
Il cappuccio cervicale
Le spugne
Capitolo 9. Gli spermicidi
9.1 Meccanismo d’azione e modalità d’uso
9.2 La sicurezza
9.3 Vantaggi e svantaggi
Capitolo 10. Il coito interrotto
10.1 La sicurezza
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10.2 Gli effetti collaterali
Capitolo 11. I metodi naturali: metodi speciali
per persone speciali
11.1
11.2
11.3
11.4
Come funzionano
Quali donne non possono utilizzare i metodi naturali?
La sicurezza
Vantaggi e svantaggi
Capitolo 12. La contraccezione di emergenza
12.1
12.2
12.3
12.4
12.5
12.6
12.7
12.8
12.9
Metodi utilizzati per la contraccezione di emergenza
Come funziona
Come si usa
La sicurezza
Gli effetti collaterali
Quando tornano le mestruazioni?
Se la contraccezione di emergenza fallisce
Se il medico si rifiuta di prescriverla
La contraccezione di emergenza nelle adolescenti
Capitolo 13. La contraccezione definitiva:
le sterilizzazioni
13.1 La sterilizzazione femminile
13.2 La sterilizzazione maschile
Capitolo 14. Scegliere un contraccettivo:
alcuni aspetti particolari
14.1
14.2
14.3
14.4
14.5
La contraccezione nelle adolescenti
La contraccezione nelle donne obese
La contraccezione nel post partum
La contraccezione nel post aborto
La contraccezione nelle donne con trombofilia
ereditaria
Capitolo 15. Caratteristiche e costi dei contraccettivi
15.1 Contraccettivi estroprogestinici
15.2 Contraccettivi con solo progestinico
15.3 Dispositivi intrauterini (spirali)
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Prefazione di Carlo
Nei primi anni della mia vita di assistente universitario,
a Bologna, mi sono sempre occupato di una sola cosa, i
problemi metabolici delle donne gravide, un problema noiosissimo, che interessava a pochissima gente, ma che a noi
sembrava molto interessante, miracoli delle monomanie.
Alla fine degli anni Sessanta, mentre in Europa tutti gli
uomini che, come me, lavoravano nelle Università pensavano alla rivoluzione culturale, io me ne andai a lavorare
in Inghilterra con una borsa di studio dell’OMS, nel più
famoso Istituto di endocrinologia di Londra; mentre tutti
discutevano di politica e di filosofia, io imparavo a memoria le formule di struttura degli steroidi e cercavo di capire
cosa se ne fa la pelle di un feto umano di tutti quegli androgeni che le arrivano. Potete anche pensare che siano
fesserie, per me è stata l’unica occasione di lasciare un piccolo segno nel progresso delle conoscenze e mi sembrava
anche che fosse l’unica cosa importante nel mondo. Penso
a quegli anni con molta tenerezza e un po’ di autocompassione, ma non mi dispiace di averli passati così, studiando
14 ore al giorno quando andava bene e con l’impressione
che le giornate non fossero abbastanza lunghe. Debbo riconoscere che sono molto testardo (zuccone? Forse, è
l’origine contadina) e che ho guardato di lato solo raramente, la mia visione del mondo era fissa davanti a me.
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La ricerca di laboratorio è lunga e noiosa, ci vuole pazienza e passione. Così, nei momenti in cui dovevo aspettare che una cromatografia finisse di correre, per non stare con le mani in mano, chiesi di poter frequentare gli
ambulatori dell’Istituto e scoprii che trattavano soprattutto due cose, la contraccezione e la sterilità. Ne sapevo
poco, ma imparai e riuscii persino a dare una mano, anche se so per certo che a molti miei colleghi non piacevo,
parlavo poco con loro e troppo con le pazienti. Ho un
ricordo ambivalente della medicina inglese, molto pragmatica ma poco umana: alcuni miei colleghi spiegavano
le probabilità di successo di una terapia solo agli uomini
perché, dicevano, “giocano spesso alle corse dei cani e
capiscono la statistica”, alle donne no perché, poverine,
“si mettono da sole dalla parte vincente e magari sono
addolorate per le altre”.
Quando tornai a Bologna ebbi una straordinaria occasione, il direttore dell’Istituto mi incaricò di organizzare il laboratorio di endocrinologia ginecologica, che fu
il primo (e per molto tempo l’unico) in Italia e per molti
anni uno dei migliori d’Europa.
Di tanto in tanto, però, qualcuno mi invitava a raccontare le mie esperienze inglesi e questo, a dire il vero,
non mi dispiaceva. Venne ad ascoltarmi, in una occasione che non ricordo, la signora Diana Franceschi Orlandi,
che dirigeva con polso fermissimo l’UDI* di Bologna, e
mi chiese di ripetere alcune delle cose che avevo raccontato alle donne della sua associazione. Accettai, per poi
scoprire che si trattava di una cosa un po’ diversa da
quanto avevo immaginato, dovevo parlare alle operaie
di una fabbrica occupata. L’esperienza è, molto onestamente, da dimenticare: come un cretino feci alle sventurate ragazze che mi ascoltavano una lezione accademica,
Prefazione
durante la quale temo di aver detto più volte la parola
“ciclopentanoperidrofenantrene”, la formula di struttura
degli steroidi. La discussione andò un po’ meglio, meglio
ancora il secondo incontro, e il terzo e il quarto... Per
l’UDI ne feci complessivamente più di 300, prima a Bologna, poi in provincia, infine in Regione. Gli argomenti
erano sempre gli stessi, la pillola, la menopausa, la sessualità, l’aborto. Mi accorsi che le cose andavano molto
bene perché ebbi la prova dell’irritazione di molti, l’Ordine dei medici, la stessa Università.
A questo punto, più o meno un anno e mezzo dopo il
mio ritorno, Diana mi fece una nuova proposta: aprire,
con i miei collaboratori, due consultori, nel quartiere
Murri e nel quartiere Mazzini. Era il 1972, di consultori
si cominciava a parlare con cautela, non era nemmeno
chiaro che compito si dovesse assegnare loro. Ci furono
molte resistenze, alcune cattive, altre ingenue e comprensibili. Poi cominciammo e la nostra idea del consultorio
ci sembra ancor oggi molto saggia.
Andavamo negli ambulatori appena avevamo terminato il lavoro in ospedale e la nostra attività riguardava gli
stessi temi che erano oggetto di “promozione culturale”
nei colloqui con le donne di Bologna: ma per tutti noi erano molto più importanti questi incontri, che venivano organizzati con una frequenza disumana dalle compagne
dell’UDI, perché eravamo convinti (e personalmente lo
sono ancora) che la cosa fondamentale fosse la conoscenza
e che questo fosse il compito del medico, mettere le donne
nelle condizioni di decidere da sole. Fu una bella stagione,
le donne bolognesi che allora avevano venti o trent’anni
la ricorderanno, fare medicina in modo corretto e virtuoso
significa fare politica, alla fine di quella stagione ne eravamo tutti convinti e ne eravamo tutti contenti.
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La stagione, purtroppo, durò solo qualche anno. Venne approvata la legge sui consultori e cominciò la lunga
lotta per snaturarli, per fare sì che cessassero di essere
degli erogatori di cultura per diventare ambulatori come
gli altri, magari, chissà, peggiori degli altri. Non hanno
ancora vinto, ma non c’è motivo di essere allegri, il mondo sembra diventare ogni giorno più cattivo, nessuno
sembra più capace di indignarsi, anche i laici sono in ginocchio, forse sono alla ricerca della dignità che pare abbiano smarrito. Ma quella stagione c’è stata e, chissà, potrebbe anche tornare. Siamo abituati a vivere in un perenne autunno, non dimentichiamoci che esiste la primavera.
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*
Unione Donne Italiane.
Ho deciso che mi sarei dedicata alla medicina delle
donne ai tempi del liceo, quando l’UDI portava in una fabbrica occupata un professore dell’Università di Bologna, e
nella mia scuola nascevano i “collettivi delle studentesse”.
In quelle aule occupate, dove leggevamo Noi e il nostro corpo (Feltrinelli, Milano 1966), ho provato l’ebbrezza
di immaginare una possibile trasformazione della società
partendo non dalle idee o dalle teorie lette sui libri, neanche dalla gloriosa storia della nostra Resistenza, né dalla
lotta di liberazione dei popoli di altri Paesi – era il 1975,
il Vietnam era finalmente libero – ma dall’esperienza, seppure così giovane, di ciascuna di noi.
Quei primi anni Settanta furono una stagione davvero
felice: un referendum popolare aveva battuto chi voleva
abolire la legge sul divorzio, nasceva il nuovo diritto di famiglia, nascevano i consultori, e quei consultori entravano
nelle scuole, vi portavano strumenti nuovi di conoscenza
e di consapevolezza. Attraverso quell’esperienza, attraverso l’esempio del lavoro di un ginecologo appassionato che
oggi non c’è più, Gaspare Coreno, ho maturato l’idea che
potevo dare al mio studio e al mio lavoro un significato
nuovo, una diversa profondità, un altro valore, che travalicasse quello del lavoro intellettuale, della “professione”.
Non è stato facile: la medicina che si insegnava negli
anni Ottanta nelle Università era tutt’altro, spesso passava
Prefazione
Prefazione di Anna
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il modello di chi subisce e allo stesso tempo esercita o
aspira a esercitare un potere, controllando il corpo e le
paure altrui. Non c’era certo spazio per un’idea diversa
della medicina, certo non c’era spazio per le donne.
Devo la laurea in medicina alla mia testardaggine, che
mi ha imposto di andare avanti nonostante il senso di
estraneità, il disagio, il senso di inutilità; devo le conoscenze scientifiche ai professori che me le hanno trasmesse;
devo le conoscenze e la pratica ostetrica alle ostetriche
dell’ospedale nel quale ho lavorato e con le quali ho vissuto l’ebbrezza della sala parto; devo la mia idea di medicina all’esempio di persone come Carlo Flamigni, che dalla inarrivabilità di una cattedra universitaria hanno saputo
parlare di ciclopentanoperidrofenantrene, ma anche di
sessualità, contraccezione, aborto, menopausa, alle operaie di una fabbrica occupata.
In una stagione in cui il fare politica in maniera disinteressata non andava più di moda, in cui lo sforzo, l’impegno a pensare una società diversa sembrava pura follia,
ho capito che fare medicina per le donne, diffondere conoscenze, creare consapevolezza e spazi di libertà era per
me l’unico modo di fare politica e allo stesso tempo di fare
il medico. E negli anni di lavoro in ospedale e nei consultori le donne mi hanno insegnato la profondità e la forza
di attrazione di quel mondo interiore, che non ha nulla a
che vedere con la rassicurante anima dei cristiani. Mi hanno insegnato che attraverso quel mondo potevo comunicare, stabilire un contatto non verbale, potevo “curare”,
e che curare in quel modo era un atto politico. Lo sforzo,
da allora, è sempre stato quello di diffondere conoscenza,
di dare consapevolezza, di aprire spazi di libertà. Di guardare con un sorriso alle gemme sui rami degli alberi, che
annunciano la primavera.
Introduzione
Può servire, oggi, a cinquant’anni dalla commercializzazione della prima pillola, un nuovo libro sui metodi contraccettivi? Certo, in questi cinquant’anni la società e il
senso comune sono notevolmente cambiati: se nel 1966
gli studenti del Liceo Parini che avevano osato scrivere di
sessualità e contraccezione sul periodico della scuola “La
Zanzara” venivano denunciati e obbligati a spogliarsi per
“verificare la presenza di tare fisiche o ereditarie”, oggi è
normale che si faccia educazione sessuale nelle scuole. Eppure, in un’epoca in cui la circolazione delle informazioni
sembra essere assolutamente libera e accessibile a tutti,
assistiamo alla diffusione di informazioni non corrette o
addirittura false, col chiaro intento di creare confusione,
di infondere paura e di demonizzare le scelte contraccettive. Da un lato si guarda scandalizzati al crescente utilizzo
della contraccezione di emergenza, soprattutto tra le ragazze molto giovani, dall’altro non si fa praticamente nulla
per promuovere una sessualità consapevole e responsabile, perché ciò imporrebbe l’accettazione dell’idea che la
sessualità può essere davvero sganciata dalla funzione riproduttiva e che uomini e donne possono pensare al sesso
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liberi da paure e sensi di colpa. Un’idea assolutamente intollerabile nel nostro Paese.
Mentre scriviamo, in questa fine del 2010, i mezzi di
comunicazione di massa ci consegnano immagini di donne belle e libere, che hanno facile accesso al potere: non
abbiamo mai avuto tante donne ministro o impegnate ai
vertici dei partiti, ma la realtà è che l’attacco alla libertà e
all’autonomia delle donne è sempre più feroce, gli spazi
di libertà si restringono sempre più. La Legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita equipara i diritti della
donna a quelli di un embrione di poche cellule indifferenziate; gli attacchi alla Legge 194 non si contano, nella Regione Lazio si sta discutendo una legge di riforma dei consultori che ne vanifica le funzioni di promozione della salute riproduttiva in nome di un principio assoluto di “tutela della vita nascente”. Mentre si cerca di far passare immagini di donne affermate e realizzate – nel mondo dello
spettacolo o in politica ha poca importanza, in fondo non
c’è gran differenza – la disoccupazione femminile tocca
punte del 45%, si chiudono gli asili nido, lo stato sociale,
che è fondamentale per la libertà e l’autonomia delle donne, viene smantellato.
Perché, dunque, in questo panorama, un libro sui metodi contraccettivi? Perché siamo convinti che la corretta
informazione e la conoscenza siano la premessa irrinunciabile per essere liberi.
La pillola ha rappresentato, per le ragazze di cinquant’anni fa, un’occasione di libertà sconvolgente. Ha
cambiato la storia e le vite personali di milioni di donne e
uomini. Questo libro è un omaggio a quella storia, a
quell’anelito di libertà che viene oltraggiato da informazioni false e distorte, da preconcetti e bugie.
Da lì cominciamo, per raccontare di tutti i metodi con-