Il gioco e la narrazione nella gestione dei conflitti

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Il gioco e la narrazione nella gestione dei conflitti
“Il gioco e la narrazione nella gestione dei conflitti”
“Mentre gioca e forse soltanto mentre gioca il
bambino o l’adulto è libero di essere creativo.”
Nei laboratori di gestione dei conflitti a scuola il gioco ha un ruolo fondamentale, poiché
gran parte delle attività proposte vengono attuate in maniera ludica a partire dall’età dei
bambini cui è rivolto il percorso. Si ritiene che attraverso tale modalità si possa rendere più
accattivante ed efficace il momento di partecipazione e quindi che il raggiungimento degli
obiettivi del progetto ne sia facilitato.
Nella visione del gioco sono impliciti i concetti di tensione ed equilibrio, oscillamento e
scambio di ruoli, contrasto e variazione, problema e soluzione. Con tale termine si evoca
sia il gioco ludico, festoso che il gioco agonistico o di competizione. Il gioco è infatti
immaginare, dare e fare ordine, creare tensione e movimento, dare solennità e fervore e
anche lottare per qualche cosa, gareggiare per scoprire il più bravo.
Il gioco, anche il più semplice, è sempre un evento cognitivo nelle sue molteplici
funzioni e varianti, è capace di creare un ambiente mentale in cui il bambino cresce ed
impara a gestire i cambiamenti.
Nei laboratori di mediazione scolastica o di gestione dei conflitti le attività proposte
attraverso il gioco hanno la finalità di provocare un’esperienza diretta circa il tema che si
sta trattando. Il piacere, o ciò che dà valore al gioco, non sta semplicemente nell’ottenere
qualcosa, ma nel fare qualcosa di diverso dal solito, nel sentirsi liberi da standard di
prestazione, sanzioni o pericoli esterni.
Per la sua natura il gioco è lo stratagemma con cui l’individuo esplora l’universo e mette
in atto un processo di apprendimento; esso contiene un elemento di libertà che permette
agli individui di essere aperti alla curiosità, al nuovo, alla creatività all’immaginazione, di
lasciare spazio mentale alla sorpresa .
Il gioco libera i giocatori dalle conseguenze delle categorie logiche, riduce l’ansia e la
tensione situazionale e permette di fare scelte azzardate, di correre di rischi di commettere
errori, di differenziarsi dalle altre esperienze di vita in cui non si possono sperimentare
nuove soluzioni perché la posta in gioco è alta e non si osa. Il gioco è una struttura che
ammette libertà di mostrare quella parte di sé che non c’è ancora ma che si desidera
sperimentare in un ambiente protetto, per vedere che effetto fa su se e su gli altri.
Durante il laboratorio è possibile sperimentare i conflitti relazionali attraverso il gioco,
senza eccessivi sforzi, proprio perché si sta giocando ad assumere atteggiamenti diversi
nello stesso contesto problematico, in quanto ci sente liberi di gestire il tempo, gli spazi e i
modi del suo agire.
Le regole vengono rispettate con facilità tanto che esse non vengono percepite come
condizionanti o imposte, ma al contrario come necessarie per il buon svolgimento
dell’attività.
Anche il nemico nel gioco assume una veste diversa in quanto come componente del
gruppo ludico risulta indispensabile all’attuazione del gioco stesso: senza la sua
partecipazione svanisce la possibilità di giocare.
Il poter giocare l’aggressività a scuola fa si che ci si possa rapportare ad essa con un
approccio nuovo che consente di vederla smitizzata, depotenziata, sminuzzata fino a farle
perdere la sua peculiarità furiosa e prevaricatrice.
Il laboratorio diventa il contesto privilegiato per dare origine e sperimentare il
cambiamento, per fare emergere la creatività che si trova in chiunque coltivi la curiosità e
sia preparato per la sorpresa.
La storia di “Quando Evaristo si arrabbia…”
Raccontare una storia è un modo di essere collegati e avere qualcosa in comune con
chi narra e chi ascolta, significa aver trovato una motivazione per agire insieme verso un
obiettivo comune.
Attraverso il racconto c’è la possibilità di costruire una relazione empatica tra gli
individui che partecipano all’evento narrativo, poiché attraverso il racconto c’è la vita
intera; tutte le storie sono fatte di materia viva, di umanità, di bambini e bambine, di donne
e uomini, e in questo caso di animali umanizzati che sono tutti animati da passioni,
emozioni, irrazionalità, razionalità, progetti e sogni.
Nelle storie e nei racconti è da sempre stato sancito e legittimato il senso di comunità,
di cooperazione e di gestione dei conflitti, i bambini sanno cogliere questi sentimenti che si
evidenziano simbolicamente nelle vicende narrate perché il linguaggio simbolico è “cosa “
loro, ne sono gli specialisti, vi entrano ed escono come nessun adulto riesce a fare e, così,
percepiscono i significati più profondi del narrare.
Raccontare storie è una competenza comunicativa molto più ampia di quanto possa
sembrare, perché coinvolge livelli di stimolazione differenti: la mente e le sue capacità
immaginative, il corpo e la sua ricchezza percettiva, la relazione e il suo costruire legami
funzionali.
Lo stato di energia del bambino che ascolta, si modifica e si ristruttura attraverso il
viaggio in cui si incontrano tanti “altri” con cui confrontarsi e scontrarsi.
Questa è di fatto l’azione educativa del racconto: una prospettiva multidimensionale
sempre generatrice di uno squilibrio e di una elaborazione che riporti l’equilibrio.
L’esperienza narrativa per i bambini non termina quando si finisce il racconto o la storia;
egli ha ancora dentro tutti gli elementi della storia e qualcuno è ancora da mettere in
ordine. Riprendere la storia, rileggersi la mappa del viaggio appena compiuto è non solo
buona cosa, è prima di tutto un diritto di ogni bambino perché è l’unico modo cha ha per
non perdere quello che ha ascoltato e per farlo entrare a far parte della propria storia.
L’obiettivo del raccontare una storia è quello di dare ai bambini l’occasione di riconoscere
e raccontare la propria storia e collocarla nella realtà in modo funzionale.
. In uno spazio relazionale, condiviso e partecipato, si crea un intreccio tra la propria
storia e quella degli altri, e la conoscenza di se stessi è anche conoscenza dell’altro. Le
storie permettono di condividere emozioni, identificarsi con altri diversi da noi, negoziare
significati, immaginare altre possibili soluzioni ai conflitti che presentano.
“Quando Evaristo si arrabbia…” è una breve storia che racconta come diversi
personaggi si trovino a condividere il tempo di un viaggio e lo spazio su una nave:
momenti esaltanti e divertenti e momenti di tensione, rabbia e insofferenza, senso di
pericolo e di potenziale disgregazione e alla fine ricomposizione e nuova consapevolezza.
Raccontare una storia di conflitti è mettere in parole il potenziale disgregante che c’è
nelle relazioni e spostarlo dal piano dell’azione su un altro per poterlo leggere, guardare,
pensare, elaborare, per avere meno paura e comprendere tante diverse sfumature e
declinazione dei sentimenti e dei comportamenti che li esprimono.
Si tratta di un’esperienza trasformativa che gli animali vivranno e dopo la quale le cose
non saranno più le stesse.
Il messaggio importante di questa storia o esperienza è l’idea di come sia importante
riuscire a esprimere con le parole i sentimenti che stanno dietro ai comportamenti e che
delle emozioni si possa comunque parlare.
E’ dunque un percorso di alfabetizzazione emotiva, che intende far crescere nei
bambini le competenze dell’intelligenza emotiva: saper riconoscere esprimere, ascoltare e
comprendere i sentimenti, a volte anche legati ad aspetti disturbanti dell’esperienza, anche
a situazioni di dolore rispetto alle quali i bambini possono essere sostenuti in un senso
riparativo e ricostruttivo.
La storia narra di un gruppo di animali che intraprenderanno un viaggio su una nave per
un tempo imprecisato. Durante questo viaggio il gruppo di animali imparerà a conoscersi,
a stare insieme e inevitabilmente, causa dello spazio da condividere e a causa dell’essere
in relazione agli uni con gli altri, a litigare per motivi futili o importanti.
Gli animali di questa storia non sono abbandonati a se stessi ma con loro viaggia un
“Capitano”, che li accompagna in questa loro esperienza.
La figura del Capitano rappresenta l’adulto che accompagna i bambini nel percorso che
stanno affrontando. Il Capitano conduce il suo gruppo non solo come guida della nave, ma
la sua sfida è quella di riuscire ad attraversare anche momenti in cui la nave traballa,
sostenendo i suoi passeggeri e mantenendo la fiducia nel cambiamento e nel valore del
dialogo tra i vari protagonisti, esercitando una responsabilità adulta di cura e attenzione,
accompagnata dalla curiosità e dall’essere aperto alla relazione, fattore che permette
anche al capitano di “cambiare”.
Questa storia dà la possibilità ai bambini di poter parlare e raccontare se stessi rispetto
al tema del litigio e della rabbia, proprio perché diventa più semplice identificarsi nei
personaggi e ritrovare in questi atteggiamenti o comportamenti simili ai propri.
Gli animali di questa storia permettono ai bambini di riconoscersi in alcune modalità di
espressione della rabbia. Tramite questi protagonisti diventa più facile parlare di sé senza
sentirsi giudicati per le emozioni che si provano e le proprie reazioni.
La storia diventa strumento nelle mani del gruppo per trasformarsi
in patrimonio
comune e creare un lessico condiviso su questi tema.
Quando ci arrabbiamo siamo come….
(Caruso –Gilli – Rowinski “Quando Evaristo si arrabbia…” I Bulbi dei piccoli – Edizioni Gruppo Abele 2012)
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