Associazione per una Libera Università delle Donne

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Associazione per una Libera Università delle Donne
Associazione per una
Libera Università delle Donne - onlus
Milano, 11 aprile 2002
Largo Cairoli - Piazza San Fedele
VEGLIA PER LA PALESTINA
CONTRO L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA
Promosso da: Libera Università delle Donne – Milano, Action for Peace,
Donne in Nero – Milano, Guerre & pace
Stampato in proprio – Maggio 2002 – Milano
Associazione per una
Libera Università delle Donne - onlus
Milano, 11 aprile 2002
Largo Cairoli - Piazza San Fedele
VEGLIA PER LA PALESTINA
CONTRO L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA
TESTI / LETTERE / DOCUMENTI
a cura di
Maria Nadotti e Paola Redaelli
Stampato in proprio – Maggio 2002 – Milano
Sommario
In forma di introduzione
Documento di invito
Appello di 125 intellettuali e personalità palestinesi, novembre 2000
“Carta d’identità”, di Mahmoud Darwish
“L’odio”, di Wislawa Szymborska
“Sette livelli di disperazione”, di John Berger
“Nel mio paese la Morte ha dominio”, di Nurit Peled
“I loro nomi”
Appello dei militari israeliani obiettori di coscienza, gennaio 2002
“Cosa ne sanno gli uomini della vita? Il Medio Oriente”, di Robin Morgan
“Preghiera”, di Feisal Husseini
“Volete la sicurezza? Date la libertà ai palestinesi”, di Marwan Barghuti
“L’amante”, di Mahmoud Darwish
“C’è dolore…”, di Mariangela Gualtieri
“Arrancame”, di Eric Fraj
Prima della manifestazione. Adesioni
Dopo la manifestazione. Lettere
Le curatrici ringraziano la Libera università delle donne di Milano per l’ospitalità concessa alle
promotrici e ai promotori del corteo funebre e della veglia e per aver fatto stampare a sue spese questo
opuscolo, e Samuele Pellecchia - TamTam, per la foto che compare in copertina.
In forma di introduzione
Ci troviamo in quattro, in un bar di via Moscova, in una notte di pioggia di fine marzo,
dopo un incontro sull’Iran alla Libera università delle donne. Fumo e molti ragazzi
intorno che parlano a voce alta. L’operazione Muraglia di difesa non è ancora scattata,
ma le notizie provenienti dal Medio Oriente sono ogni giorno più terribili.
Sedute a un tavolino, Anita, che ci ha convocato perché “bisogna fare qualcosa”,
Caterina, Maria e io cerchiamo di capire come mai nessuno si muova, nessuno manifesti
spontaneamente il suo sdegno nelle piazze per quello che sta succedendo nei Territori
occupati e in quelli assegnati all’amministrazione dell’Anp in seguito agli accordi di
Oslo. Perché la sinistra istituzionale se ne lavi sostanzialmente le mani, trincerata nella
ripetizione del salomonico slogan “due popoli-due stati” di cui da anni si serve per
mascherare la sua inerzia rispetto a ciò che realmente è accaduto, a partire dalla morte di
Rabin, in Israele e nei Territori. Perché abbia continuato a mentire, affermando che
esisteva in Israele “una maggioranza pacifista”, a dar credito a un uomo come Peres…
Perché si ostini a mettere sullo stesso piano i disperati attentati suicidi palestinesi in
Israele e la politica deliberatamente portata avanti dal governo, dai coloni e dalle forze
armate israeliani nei confronti di una popolazione senza stato e senza esercito: uccisioni
continue di civili, assassini mirati di esponenti politici, distruzione di case,
infrastrutture, scuole, ospedali, umiliazione quotidiana ai posti di blocco, espropri,
affamamento, riduzione dei villaggi, dei campi profughi e delle città a grandi prigioni a
cielo aperto. Perché non dica a chiare lettere che l’occupazione militare e coloniale
israeliana dei Territori uccide tutti: i palestinesi innanzitutto, da cinqua nt’anni, e ora
inevitabilmente anche gli israeliani.
Io e Maria cerchiamo di rispondere ad Anita che si chiede come mai la società
italiana sia così cambiata e i giovani di oggi non si indignino come accadeva un tempo
contro la guerra americana in Vietnam. Come mai in Europa ci si rifiuti di sentirsi
responsabili delle conseguenze drammatiche che una delle pagine peggiori della nostra
storia, l’Olocausto, ha prodotto per i palestinesi e non si abbia il coraggio di chiedere
con forza a Israele di rispettare il diritto internazionale, i diritti umani, di fermarsi.
Come mai le nostre amiche femministe, che in momenti meno tragici si sono impegnate
per tenere aperto il dialogo tra donne palestinesi e donne israeliane, ora tacciano.
Ci diciamo che le immagini trasmesse dai media non sconvolgono più nessuno, che
solo chi è stato nei Territori occupati torna con la certezza delle atrocità che là stanno
succedendo e che, paradossalmente, nell’era dell’informazione in diretta, “andare a
vedere”, per convincersi della “realtà” di ciò che avviene altrove, sembra più necessario
di prima. La discussione si fa sempre più complicata, e noi stiamo per essere sopraffatte
dall’impotenza. Anita ripete “dobbiamo fare qualcosa”. Va bene, ma cosa facciamo?
Una discussione alla Libera università? No. Nessuna di noi vuole discutere in
questo momento. Vogliamo poter esprimere pubblicamente il nostro stato di angoscia
profonda, esprimere il dolore per ciò che sta succedendo, dire che nelle vittime
dell’occupazione israeliana noi riconosciamo una parte di noi e della nostra stessa
umanità ferita.
Una delle solite manifestazioni? No. Dobbiamo sottrarre la tragedia palestinese ai
riti dell’urlo, agli slogan arrabbiati con cui a migliaia di chilometri dai luoghi dei
massacri spesso si crede di liberarsi della propria impotenza. Dobbiamo ricreare qui a
Milano una situazione che emotivamente coinvolga chi vi partecipa e che gli faccia
vivere in prima persona, anche se in minima parte, il dolore, la sofferenza, la
disperazione, lo smarrimento che ogni giorno provano migliaia di donne e di uomini.
Dobbiamo restituire un nome alle persone che ogni giorno la televisione chiama
“palestinesi morti”, e con il nome ricordare la vita che ciascuna di loro ha vissuto.
Facciamo un corteo funebre, dice Maria. E la proposta è subito accolta. Ma non
solo: organizziamo un corteo funebre e una veglia in una piazza di Milano. Noi
possiamo permetterci il tempo del lutto, loro no.
Per un momento ci guardiamo in faccia in silenzio, rendendoci conto di essere solo
in quattro… Ci chiediamo quante persone ciascuna di noi possa coinvolgere, perché nel
frattempo abbiamo deciso: costruiremo cento feretri coperti ciascuno da una bandiera
palestinese e ci vorranno almeno quattrocento persone per portarli; scriveremo un
documento sul quale chiederemo adesioni; stamperemo cinquemila adesivi da
distribuire in tutta Milano; sceglieremo dei testi politici e letterari da leggere durante la
veglia; chiederemo ad alcuni attori di dar loro voce e corpo; raccoglieremo in un
fascicolo i nomi delle donne e degli uomini palestinesi vittime dell’occupazione
israeliana durante la seconda Intifada. Il corteo che faremo per ricordarli dovrà essere
assolutamente silenzioso, perché ognuno possa riflettere e pensare.
Intanto fissiamo una data provvisoria per la manifestazione, in aprile, perché tra
poco ci sarà Pasqua, le vacanze, e poi un foltissimo gruppo di milanesi sta partendo per
i Territori a fare “interposizione pacifica”. Ci dividiamo i compiti più urgenti. Maria e
Caterina si occuperanno della veglia in piazza e faranno da “ufficio stampa”. Anita
penserà a feretri e bandiere. Io raccoglierò tutti i dati possibili sulle vittime palestinesi e
stamperò gli adesivi. Andiamo a casa molto tardi, con la vaga idea di aver osato troppo.
A dispetto delle peggiori previsioni, non rimaniamo a lungo sole. Anita trova un
gruppo di donne che si appassionano all’idea di cucire le bandiere palestinesi: sono
quelle del Comitato Salute-Territorio della Zona 2, più Fiorangela, Natalina, Carla e
Anna. Un’altra Maria si presterà più tardi a farne alcune israeliane. Una vecchia amica,
Lucia, e suo marito ci prestano le tavole di legno per i feretri; Lodovica, da Palermo, mi
aiuterà a tradurre e redigere il fascicolo che raccoglie 1.161 nomi di donne e uomini
palestinesi uccisi tra la fine di settembre 2000 e il 26 marzo 2002; Orietta confezionerà
gli striscioni. Maria, dopo che il documento è stato steso, contatta attrici e attori che si
dichiarano disponibili a leggere durante la ve glia i testi che proporremo loro o che ci
proporranno. Milli assicura che anche Lella Costa sarà con noi. Caterina e Anita trovano
addirittura due amici cineasti, Pierluigi e Gisella, che verranno a riprendere tutta la
manifestazione e ne faranno un video. Lorenzo, un altro amico di Anita, sarà disponibile
a montare in piazza San Fedele, per un prezzo contenuto, tutte le attrezzature necessarie
per dar voce agli attori. Adriana ci garantisce che Action for Peace non potrà che essere
al nostro fianco.
Intanto, l’operazione Muraglia di difesa è iniziata. Organizziamo una riunione di
tutti coloro che si sono detti in linea di massima d’accordo a promuovere il corteo e la
veglia: la Libera università delle donne, Action for Peace, le Donne in nero, la rivista
“Pace & Guerre”. La riunione all’inizio appare un po’ burrascosa. Prese dall’ansia che
non tutto marci per il verso giusto, noi quattro tendiamo a mettere le cose
“sull’organizzativo”. Gli altri invece, e a ragione, vogliono discutere. Già da qualche
giorno Caterina e Paolo ci hanno fatto notare che sarebbe proprio sbagliato non portare
anche dei feretri coperti da bandiere israeliane per ricordare i civili vittime di attentati in
Israele e non hanno fatto fatica a conquistarci alla loro proposta, perché sia mo davvero
convinte che “l’occupazione uccide tutti”. Abbiamo interpellato anche i nostri amici
palestinesi in Italia e anche loro sono d’accordo. Ma, ora, alla riunione, è l’idea stessa
del corteo funebre a suscitare perplessità, e per i motivi più vari. A Stefano, che ha
aderito con Giorgio e Valeria, dicendo che sarebbero venuti con uno striscione “ebrei
contro l’occupazione”, in realtà non piace affatto: dice che la politica si fa per i vivi e
non per i morti. Giorgio addirittura odia tutte le bandiere, compresa quella di Israele.
Milli teme che pochi feretri coperti dalle bandiere israeliane in mezzo a tanti coperti
dalle bandiere palestinesi possano suonare come un insulto. Maria Giulia è preoccupata
che la gente possa pensare che noi piangiamo anche i militari e i coloni israeliani morti.
Maddalena e Anna Maria ci fanno sapere che la cosa è “troppo funerea” e che loro al
corteo non verranno. Marinella e Roberta si lamentano del nostro “dirigismo”, anche se
poi saranno loro a rivelarsi indispensabili. Piero, Adriana, Vincenzo e Mariagrazia
appoggiano incondizionatamente. Alla fine, a sera tarda, si decide che, anche se non
tutti sono d’accordo su tutto, il corteo e la veglia si faranno, l’11 aprile. Ci si
distribuisce i testi proposti da Maria, da tradurre e “ridurre” per la veglia.
Cerchiamo l’adesione della Cgil e dei Ds, che non arriverà mai. In compenso
aderiscono tantissimi altri, singoli e organizzazioni, via e-mail, scrivendo all’indirizzo
internet aperto per la manifestazione. Sono molte anche le persone che ci dicono
addirittura quante altre porteranno con loro, rispondendo a una richiesta precisa
formulata da Maria, che dall’inizio si distingue per le sue capacità di regia e di
coordinamento delle cose grandi e piccole. Alla fine di questo opuscolo abbiamo
raccolto una selezione dei messaggi di adesione al corteo e alla veglia di cui i mittenti
hanno saputo attraverso i canali più strani. I quotidiani, a parte il “Corriere della sera” e
“il Manifesto”, si sono ben guardati dal darne persino l’annuncio. Del resto, la censura
più assoluta colpirà anche la notizia del corteo a cose fatte: a parte un fedele articolo
pubblicato da “Liberazione”, e poche righe negligenti comparse sempre su “il
Manifesto”. Solo Radio Popolare, e in particolare Cecilia, si è occupata di noi con
entusiasmo. Cecilia, anzi, è stata a tutti gli effetti con noi.
L’11 aprile piove di nuovo, a catinelle. Laura, che è venuta apposta da Bologna,
osserva che solo la pioggia potrebbe accompagnare un evento così triste. Il corteo,
incredibilmente più grande di quanto mai avremmo immaginato, preceduto dalla Banda
degli ottoni, sfila in silenzio da piazza Cairoli a piazza San Fedele, aperto dallo
striscione “Palestina libera. No all’occupazione” e chiuso dall’altro “L’occupazione
uccide tutti”. In piazza San Fedele, attorno ai feretri deposti per terra, si tiene la lunga
veglia. Gli amici attori Isabella Carloni, Giuseppe Cederna, Lella Costa, Claudia
Dulitchi, Mariangela Gualtieri, Andrea Lupo, Maria Grazia Mandruzzato, Marco
Paolini, Paolo Rossi, che hanno voluto essere insieme a noi, restituiscono ai testi che
abbiamo scelto con tanta cura, l’intensità, l’intelligenza, la passione, la convinzione, lo
strazio con cui sono stati scritti; ci sorprendono e ci commuovono perché ciò che alcuni
di loro hanno deciso di leggere o cantare in alternativa è in assoluta sintonia con lo
spirito con cui abbiamo pensato la veglia. Per un’ora e mezzo inframmezza le loro voci
il suono della viola da gamba di Jean-Raymond Gelis, che generosamente è venuto
apposta dalla Francia. La lettura che Lorella De Luca e Fabrizio De Giovanni fanno dei
nomi e delle circostanze in cui sono stati uccisi alcune donne e uomini palestinesi
ribadisce il motivo per cui ci siamo raccolti in piazza San Fedele. Corteo e veglia sono
descritti in modo assolutamente personale in una lettera scritta da Cat a un amico che
non ha potuto partecipare. La riproduciamo qui insieme ad alcune altre che ci sono
giunte dopo la manifestazione.
Non so se un corteo e una veglia possano contribuire ad aiutare i nostri amici in
Palestina: certo quel corteo e quella veglia hanno cambiato qualcosa in chi li ha
preparati e nei tanti che ne sono stati protagonisti.
Paola Redaelli
Documento di invito
Care amiche e cari amici,
l’11 aprile 2002, alle ore 18.00, ci troveremo in Largo Cairoli a Milano per dire a gran
voce che l’occupazione militare e coloniale dei territori palestinesi da parte di Israele sta
seminando la morte in Medio Oriente e uccidendo l’umanità in tutte/i noi.
Ecco perché abbiamo scelto di dare alla nostra iniziativa la forma di un corteo e di una veglia
funebri.
Ecco perché la nostra manifestazione, le cui parole d’ordine sono “Palestina libera: No
all’occupazione” e “L’occupazione uccide tutti”, non sarà una generica presa di posizione a
favore della pace in Medio Oriente.
Convinte/i che la pace non vada invocata, bensì praticata e costruita giorno per giorno da tutte/i
– in Medio Oriente come in Europa e negli Stati Uniti –, individuando le cause che scatenano e
alimentano il conflitto e lavorando a eliminarle, vogliamo rimarcare che ciò che sta disegnando
d’orrore e ingiustizia lo scenario mediorientale non è un’antica inimicizia tra due popoli, bensì
l’occupazione militare e coloniale israeliana.
Non possiamo e non vogliamo rimanere in silenzio di fronte al massacro che si sta consumando
in Medio Oriente.
Se le istituzioni politiche e diplomatiche occidentali, indifferenti alle risoluzioni dell’ONU,
appoggiano o assistono inerti all’attuazione del piano Sharon, noi – società civile – ripetiamo
con fermezza:
L’OCCUPAZIONE UCCIDE TUTTI
Il corteo vedrà sfilare cento feretri, ciascuno coperto da una bandiera – 92 palestinesi, 1
della pace listata a lutto, 7 israeliane, perché per noi anche i civili israeliani di Tel Aviv e
Haifa uccisi negli attentati o gli stranieri caduti nei Territori sono vittime dell’occupazione
israeliana.
Partiremo alle 18.00 da Largo Cairoli per raggiungere Piazza San Fedele.
Lì i feretri verranno deposti a terra. Gli attori Isabella Carloni, Giuseppe Cederna, Lella Costa,
Claudia Dulitchi, Mariangela Gualtieri, Andrea Lupo, Maria Grazia Mandruzzato, Marco
Paolini, Paolo Rossi, Lorella De Luca e Fabrizio De Giovanni del Gruppo teatrale “Itineraria”,
accompagnati dalla viola da gamba di Jean-Raymond Gelis, daranno lettura a testi – lettere,
scritture private, documenti, appelli – giuntici dalla Palestina, dal campo della pace israeliano e
di altri paesi.
RIPRENDIAMOCI IL TEMPO DEL LUTTO E DELLA RIFLESSIONE
RIPRENDIAMOCI IL TEMPO DEL PENSIERO E DELLA COMPASSIONE
MALATE/I DI GUERRA, DICIAMO NO ALL’OCCUPAZIONE
L’OCCUPAZIONE UMILIA, DISTRUGGE, UCCIDE, SPINGE AL SUICIDIO, SEMINA ODIO,
CANCELLA LA NOSTRA COMUNE UMANITÀ
L’iniziativa è promossa da: LIBERA UNIVERSITÀ
P EACE, DONNE IN NERO, GUERRE&P ACE
DELLE
DONNE – MILANO, ACTION FOR
Aderiscono: OSSERVATORIO SUL LAVORO DELLE DONNE DI MILANO, MARCIA MONDIALE
DELLE DONNE-GRUPPO DONNE CONTRO LE GUERRE, FORUM DELLE DONNE DI RIFONDAZIONE
COMUNISTA, SOLETERRE-STRATEGIE DI PACE, COOPERATIVA CRINALI DONNE PER UN MONDO
NUOVO , SALAAM RAGAZZI DELL’OLIVO -COMITATO DI MILANO, "PER TORNARE A VINCERE "
(DS MILANO), ASSOCIAZIONE STOMBAL – STRADELLA (PV), REDAZIONE “LO STRANIERO”,
ASSOCIAZIONE PER LA P ACE – MILANO, ARCI LOMBARDIA -MILANO, COOP . SOCIALE
TERRENUOVE – MILANO, CENTRO DI P SICOLOGIA E ANALISI TRANSAZIONALE – MILANO,
SANDRO ANTONIAZZI, YA BASTA , CENTRO SOCIALE LEONCAVALLO , UNIONE FEMMINILE
NAZIONALE, ALTRIMONDI, IL CONSIGLIO DEL CIRCUITO LOMBARDO DELLE CHIESE
EVANGELICHE VALDESI E METODISTE, GRUPPO ABELE – MILANO, ASSOCIAZIONE “CRINALI”,
MAURO BORROMEO CONSIGLIERE ZONA CENTRO STORICO – GRUPPO RIFONDAZIONE,
ASSOCIAZIONE DI AMICIZIA ITALIA P ALESTINA, TRIO MILONGA , CRIC (CENTRO REGIONALE
D’INTERVENTO PER LA COOPERAZIONE), CONFRATERNITA SUFI JERRAHI-HALVETI IN ITALIA,
COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE RSU, RETE UNIVERSITARIA MILANESE, T ERRE DES
HOMMES-ITALIA, ANNA MARIA CRISPINO DIRETTORE DI “LEGGENDARIA”, MARISA FUGAZZA
SEGR. CGIL LOMBARDIA, CIRCOLO CULTURALE P RIMO LEVI DI BUSTO ARSIZIO, CASA DELLA
CULTURA ISLAMICA – MILANO , ATTAC, CIRCOLO ANARCHICO PONTE DELLA GHISOLFA –
MILANO, S.IN.COBAS, M° MARTINHO LUTHERO – DIRETTORE DEL CORO CANTOSOSPESO ,
ACEA ONLUS (AGENZIASTAMPA PER I CONSUMI ETICI E ALTERNATIVI ), CENTRO CULTURALE
KURDISTAN ITALIA, AZAD PER LA LIBERTÀ DEL POPOLO KURDO , ASSOCIAZIONE JEMANJA’,
“UN P ONTE PER…– SEDE DI MILANO, MAMA ALMA, ASSOCIAZIONE DONNE MUSULMANE IN
ITALIA, ASSOCIAZIONE SVILUPPO UMANO O.N.L.U.S., ISTITUTO P EDAGOGICO DELLA
RESISTENZA, A.I.CO.S – MILANO, COMMISSIONE INTERNAZIONALE NORD -EST MILANO DI
BUSSERO, GATAM (GRUPPO AUTOAIUTO TEMPORANEAMENTE A MILANO ), MIRACOLO A
MILANO, VERDI DI MILANO
Per adesioni: [email protected]
Per il successo dell’iniziativa, dobbiamo poter contare sulla partecipazione di un certo numero
di persone. Vi preghiamo pertanto di confermare al più presto la vostra presenza a
[email protected] e di indicare in quante/i parteciperete.
Appello all’opinione pubblica israeliana*
Nel febbraio del 2000, noi, un gruppo di accademici e attivisti palestinesi, rivolgemmo
un appello urgente all’opinione pubblica israeliana, in cui esprimevamo il nostro
fondato timore che il modo in cui, negli ultimi sette anni, si era evoluto il processo di
pace iniziato a Oslo nel 1993 stava inevitabilmente portando a ulteriori conflitti, forse
addirittura a guerre, piuttosto che alla meta da noi sospirata: una riconciliazione storica
e definitiva che consentisse ai nostri due popoli di vivere in pace, con dignità umana e
con relazioni di buon vicinato.
In quell’appello esprimevamo la nostra preoccupazione che gli accordi di Oslo
erano stati utilizzati da Israele, nonostante le smentite, per creare un’espansione senza
precedenti degli insediamenti coloniali, la cui popolazione in questi anni è quasi
raddoppiata, e per continuare l’espropriazione della terra palestinese. La libertà di
movimento per i palestinesi è stata seriamente limitata mentre la violenza dei coloni
contro le nostre comunità è continuata senza tregua. In questo contesto, la popolazione
palestinese non ha usufruito di alcuna protezione fisica, legale o politica. L’occupazione
militare, una realtà palpabile che ci ha condizionato e condiziona ogni giorno, è stata
mascherata da un uso pretestuoso degli accordi di Oslo, in modo da eludere la legge
internazionale e la protezione che essa potrebbe consentire per le popolazioni civili
palestinesi.
[…] Secondo la logica distorta che ha dominato i negoziati di pace e le ultime
proposte del governo israeliano, il solo modo per l’Autorità nazionale palestinese di
ampliare [i fazzoletti di territorio scollegati tra loro che essa amministra], sarebbe quella
di fare concessioni che legittimerebbero un certo numero di richieste israeliane che
violano in ogni senso il diritto internazionale: per concederci i nostri diritti nazionali su
Gerusalemme est, ci chiedono di consentire al mantenimento degli insediamenti
coloniali nei territori occupati e di rinunciare al diritto al rimpatrio dei profughi
palestinesi.
[…] I governi israeliani, fossero essi capeggiati dal Likud o dal partito laburista,
hanno continuato a immaginarsi che, grazie alla pesante supremazia militare di Israele,
avrebbe potuto imporre all’Autorità palestinese la loro iniqua visione dell’assetto
definitivo della regione, fingendo agli occhi del mondo che essa costituisse una
risoluzione del conflitto. L’illusione che un accordo profondamente ingiusto possa
essere raggiunta tra Israele e il presidente Yasser Arafat da solo, il quale dovrebbe poi
costringere il suo popolo ad accettarlo, è profondamente miope e ha inevitabilmente
condotto alla situazione che oggi, nell’ottobre del 2000, ci troviamo a fronteggiare.
Molti di noi sono stati nelle strade negli ultimi tempi, senza fucili né pietre.
Avevamo con noi candele per commemorare la morte dei nostri studenti, dei nostri
vicini e dei nostri parenti, che avevano cercato di far sentire al mondo con le loro vite
quello che noi non siamo stati capaci di fare sentire con le nostre parole. L’idea ingenua
e pericolosa che i palestinesi siano scesi in piazza seguendo un ordine di Arafat non è
solo un insulto alla nostra intelligenza, ma anche un segno di scarsa comprensione della
realtà in cui viviamo.
Siamo profondamente preoccupati del fatto che il conflitto sia a volte degenerato in un
confronto etnico-religioso, come si è visto con i veri e propri pogrom effettuati contro i
cittadini arabi di Nazareth, con il linciaggio dei soldati israeliani a Ramallah, e con i
numerosi attentati alle sinagoghe e alle moschee. […]
I militari possono porre un freno all’ondata di proteste in corso al prezzo immediato
di molte vite, ma nel lungo termine non possono pensare di sradicare il desiderio di un
popolo alla ricerca del proprio posto nel mondo al quale ha diritto. Tutto ciò ci
condannerà a vedere questa crisi ripetersi, ripetersi e peggiorare nel tempo.
Siamo tutti fermamente convinti della necessità di una pace equa e giusta tra
israeliani e palestinesi che riconosca il diritto del popolo palestinese
all’autodeterminazione. Anche noi, però, come tutta la nostra comunità, abbiamo ormai
perso la speranza di poter risolvere le ingiustizie profonde che caratterizzano la
situazione attuale nella cornice degli accordi di Oslo e attribuendo unicamente agli
americani la funzione di mediazione tra israeliani e palestinesi. Crediamo che le
trattative per raggiungere la pace vadano riprese sulla base dei seguenti principi:
1. Tutte le terre occupate da Israele nel 1967 sono di fatto territori occupati, e la pace
potrà essere raggiunta solo con la fine dell’occupazione di questi territori e
restituendo in questo modo ai palestinesi il diritto di sovranità e di
autodeterminazione.
2. Gerusalemme Est è parte dei territori occupati da Israele nel 1967. Di conseguenza,
un accordo definitivo deve comprendere la sovranità palestinese su Gerusalemme
Est, e l’impegno al riconoscimento di Gerusalemme come capitale dei due stati.
3. È necessari che Israele riconosca la sua responsabilità nell’aver creato, nel 1948,
centinaia di migliaia di profughi palestinesi. Questa è una condizione indispensabile
per poter trovare una soluzione giusta e durevole del problema dei profughi, in
accordo con la risoluzione 194 dell’ONU.
4. Israeliani e palestinesi devono riconoscere le affinità spirituali e storiche di
entrambi con i luoghi santi che si trovano all’interno dei rispettivi confini. Le due
parti devono stabilire che l’accesso a questi luoghi è garantito per tutti e ciascuna di
esse deve assicurare protezione a chiunque si voglia recare a pregare e a visitarli. In
nessun caso l’esistenza dei luoghi santi deve poter essere usata per avanzare pretese
di extraterritorialità sui luoghi santi situati entro i confini dell’altra parte.
[…].
* Sottoscritto da 125 intellettuali e personalità palestinesi nel novembre 2000, all’inizio della seconda
Intifada, e pubblicato sul quotidiano israeliano “Ha’aretz” il 10 novembre 2000. Letto da Isabella Carloni.
Carta d’identità
di Mahmoud Darwish
Prendete nota
Sono un arabo
E la mia carta d’identità è la numero
cinquantamila
Ho otto figli
E il nono è in arrivo dopo l’estate
Andrete in collera?
Prendete nota!
Sono un arabo
Lavoro con altri compagni in una cava
Ho otto figli
Gli assicuro pane
Abiti e libri
Con le pietre.
Non imploro carità alle vostre porte
Né mi inginocchio alla soglia delle vostre sale
Dunque andrete in collera?
Prendete nota!
Sono un arabo
Ho un nome privo di titolo
Paziente in un paese
Dove la gente è in collera
Le mie radici
Presero terra prima del nascere del tempo
E prima dell’inizio delle ere
Prima dei pini, e degli ulivi
E prima che l’erba crescesse
Mio padre – discende dalla famiglia dell’aratro
Non da una classe privilegiata
E mio nonno – era un contadino
Né beneducato, né di buona famiglia!
Mi insegna l’orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere
E la mia casa è come la capanna del guardiano
Fatta di rami e canne
Siete soddisfatti del mio grado?
Ho un nome privo di titolo!
Prendete nota!
Sono un arabo
Avete rubato i giardini dei miei antenati
E la terra che ho coltivato
Insieme ai miei figli
E per noi nulla avete lasciato
Tranne queste pietre…
E così lo Stato se le prenderà
Come hanno detto?!
Perciò!
Registrate in alto alla prima pagina:
Non odio nessuno
Né usurpo
Ma se vengo ridotto alla fame
La carne dell’usurpatore sarà il mio cibo
Attenti…
Attenti…
Alla mia fame
E alla mia collera!
Mahmoud Darwish è il massimo poeta palestinese vivente. La poesia è stata letta da Paolo Rossi.
L’odio
di Wislawa Szymborska
Guardate com’è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilità supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.
Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.
Religione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via.
Patria o no –
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verità:
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
È un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
– lui solo.
In Vista con granello di sabbia, tr. it. Adelphi Edizioni, Milano 1998, pagg. 188-189. Poesia proposta e
letta da Marco Paolini.
Sette livelli di disperazione
di John Berger
Vorrei – da semplice narratore – aggiungere qualche breve osservazione alla
discussione in corso.
Essere la sola Super-Potenza mina l’intelligenza militare della strategia. Per pensare in
modo strategico bisogna immaginarsi al posto del nemico. Solo allora è possibile
prevedere, fare finte, cogliere di sorpresa, prendere in contropiede, ecc. Fraintendere il
nemico può portare, sul lungo periodo, alla sconfitta. È così che, a volte, cade un
impero.
Oggi la domanda cruciale è: cosa produce un terrorista internazionale e, estremizzando,
cosa produce un martire suicida? (Parlo dei volontari senza nome: i Leader del Terrore
sono un’altra cosa. E parlo dei terroristi internazionali, distinguendoli dai terroristi
locali, perché questi ultimi – in Irlanda, nei Paesi baschi, in Sri Lanka – sono di solito
parte di una storia vecchia di secoli). Ciò che in questo momento produce un terrorista
internazionale è, innanzitutto, una forma di disperazione. O, per essere più precisi, un
modo di trascendere una forma di disperazione, facendo dono della propria vita.
Ecco perché il termine suicida è in qualche modo inadeguato: la trascendenza dà infatti
al martire un senso di trionfo. Trionfo su chi si suppone egli odi? Ne dubito. Il trionfo è
sulla passività, l’amarezza, il senso di assurdità che emanano da un certo grado di
disperazione.
È difficile per il Primo Mondo immaginare una tale disperazione. Non tanto a causa
della sua relativa ricchezza (la ricchezza produce una sua propria disperazione), ma
perché il Primo Mondo viene distratto di continuo e la sua attenzione deviata. La
disperazione di cui parlo si crea in coloro il cui stato di sofferenza costringe a pensare a
una sola cosa. Decenni vissuti in un campo profughi, per esempio.
In cosa consiste questa disperazione? Nella sensazione che la tua vita e la vita delle
persone che hai accanto non contino nulla. E lo si sente su tanti piani diversi, tanto da
diventare totale. Vale a dire, come per il totalitarismo, senza appello.
Cercare ogni mattina
quel poco
che ti fa sopravvivere un altro giorno.
Sapere quando ti svegli
che in questa giungla legale
non esistono diritti.
Scoprire negli anni
che niente migliora
solo peggiora.
L’umiliazione di non essere in grado
di cambiare quasi nulla,
e di afferrarti a quel quasi
che presto porta a un altro punto morto.
Ascoltare le mille promesse
che passano inesorabilmente
accanto a te e ai tuoi.
L’esempio di chi resiste
ridotto in polvere dalle bombe.
Il peso degli uccisi tra la tua gente
un peso che spegne
l’innocenza per sempre
perché sono molti.
Questi sono i sette livelli di disperazione – uno per ogni giorno della settimana – che
portano, per i più coraggiosi, alla rivelazione che offrire la propria vita per combattere le
forze che hanno spinto il mondo al punto in cui è, è il solo modo di invocare un tutto,
che è più grande di quello della disperazione.
Qualsiasi strategia elaborata da leader politici a cui tale disperazione risulti
inimmaginabile fallirà e recluterà sempre nuovi nemici.
L’inglese John Berger è scrittore e critico dell’arte. Il testo è stato letto da Marco Paolini.
Nel mio paese la Morte ha dominio
di Nurit Peled
Vi ringrazio di avermi invitata a condividere con voi la lotta per la pace che stiamo
portando avanti nel mio paese. Dico il mio paese, ma non so davvero più se questo
termine sia corretto. Cosa è veramente mio in questo paese dipende in larga misura da
ciò con cui mi identifico, e oggi per me è molto difficile dirlo, perché è faticoso
identificarsi con qualcosa in un luogo che ha permesso alla Morte di imporgli il proprio
dominio. E nel luogo da cui vengo la Morte ha dominio. Ed è la Morte che mi ha dato
una nuova identità e una voce nuova, una voce nuova che è antica come il mondo stesso
– la voce della nostra madre biblica – Rachele, che piange per i propri figli, rifiutando di
essere confortata perché essi non possono avere conforto. Questa nuova identità e
questa nuova voce trascendono nazionalità e religioni e persino il tempo e mettono in
ombra tutte le altre identità e ammutoliscono tutte le altre voci che mi sono state date
dalla vita.
La mia bambina è stata uccisa solo perché era nata in Israele. È stata uccisa da un
ragazzo che si sentiva così disperato da assassinare e uccidersi solo perché era nato
palestinese. Dopo la morte di mia figlia una cronista mi ha chiesto come potevo
accettare le condoglianze della parte avversa. Molto spontaneamente le ho detto che io
non accetto le condoglianze della parte avversa. E, quando il sindaco di Gerusalemme è
venuto a porgermi le sue, mi sono chiusa nella mia stanza, perché non volevo parlargli
né stringergli la mano. Perché per me, la parte avversa non sono i palestinesi, e sono
convinta che dividere la popolazione in due fronti nemici, palestinesi e israeliani, sia
una divisione sbagliata e criminale. Per me la popolazione della zona e del mondo si è
sempre divisa in due gruppi distinti: chi ama la pace e chi ama la guerra. Ma oggi so che
in Israele esiste anche un’altra divisione: in una terra dove da trentaquattro anni chi si
definisce leader si è guadagnato con mezzi democratici il diritto di uccidere e
distruggere ed essere vile e corrotto come e quanto vuole, affinché dei ragazzi si
trasformino in esperti assassini, in nome di Dio, per il bene della nazione, o in nome
dell’onore e del coraggio, il regno del male domina incontrastato.
Questa gente malvagia ha creato anche un altro regno, un regno glorioso che
fiorisce e diventa ogni giorno più vasto – un regno che vive e respira sotto i nostri piedi,
sotto la terra su cui camminiamo. È lì che abita la mia bambina, fianco a fianco dei
bambini palestinesi, ed è lì che io abito fianco a fianco dei genitori palestinesi che, nella
maggior parte dei casi, non hanno mai impugnato una pistola e non hanno mai obbedito
all’ordine di uccidere. Lì lei abita, insieme al suo assassino, il cui sangue si confonde
col suo sulle pietre di Gerusalemme, che da tempo è diventata indifferente al sangue
umano.
Lì giacciono, l’una e l’altro, entrambi ingannati. Ingannato lui, perché il suo gesto
di assassino e suicida non ha cambiato niente, non ha messo fine alla crudele
occupazione israeliana, non lo ha portato in paradiso e perché coloro che gli hanno
promesso che il suo gesto avrebbe significato qualcosa continuano a vivere come se lui
non fosse mai esistito. Ingannata la mia ragazzina, perché credeva che la sua vita fosse
sicura, che i suoi genitori e il suo paese la stessero proteggendo dal male e che niente di
brutto possa succedere a una ragazzina buona e gentile che va per le strade della sua
città, diretta a una lezione di danza. Ingannati entrambi, perché il mondo va avanti a
vivere come se il loro sangue non fosse mai stato versato. Vittime entrambi dei loro
cosiddetti leader. E quei cosiddetti leader continuano a divertirsi a giocare ai loro giochi
assassini, usando i nostri bambini come se fossero le loro marionette, e il nostro dolore
un incentivo a andare avanti con i loro scherzi vendicativi. Per loro i bambini sono
entità astratte, numeri, e il dolore uno strumento politico. Sanno bene che, per attirare
nelle loro schiere un numero sempre maggiore di piccoli soldati giovani e entusiasti,
non devono fare altro che trovare un Dio che ordini di uccidere. E ciascuno di loro Lo
trova nella propria bibbia, nelle proprie private mitologie. Essi commettono i loro
crimini nel nome del Dio ebraico e in nome del Dio mus ulmano, mentre in Irlanda e
nell’Europa orientale la gente si uccide per diverse versioni del proprio Dio cristiano. E
adesso gli illuminati leader occidentali uccidono nel nome del Dio della Libertà. Ma di
fatto ognuno di loro arruola nelle proprie file divinità prodotte dall’uomo – il Dio del
razzismo e il Dio dell’avidità e della megalomania. Non è un fatto nuovo nella storia
degli uomini. La gente ha sempre usato Dio come pretesto per i propri crimini. I nostri
figli, fin dalla più tenera età, fanno la conoscenza di Joshua, l’incensato leader che
assassinò l’intera popolazione di Gerico in nome di Dio. Poi fanno la conoscenza del
profeta Eliyahu che uccise 450 sacerdoti del Baal, perché praticavano una religione
diversa dalla sua, poi fanno la conoscenza di Elisha, discepolo di Eliyahu, che con
l’aiuto di Dio dette la morte a 42 bambini che lo deridevano dandogli del calvo. Per non
parlare dell’adorato re David e delle sue terribili gesta. Nella nostra cultura che ammette
l’omicidio come mezzo per risolve re i problemi sociali e religiosi, e dove gli individui si
identificano con gli eroi biblici e si considerano loro discendenti, tutte queste storie
vengono esaltate e mettono in ombra la storia del Dio che disse “Non levare la mano sul
bambino”.
Ma i bambini possono fare la conoscenza anche del Dio che disse “Avrò
misericordia di colei che non ha ottenuto misericordia e dirò a coloro che non fanno
parte del mio popolo Tu sei il mio popolo”.
Credo con molta forza che, solo insegnando ai nostri figli che uccidere un
innocente, affamare un innocente, umiliare un innocente sono crimini imperdonabili,
possiamo salvarli dall’unirsi alle forze del male che cercano di attirarli nelle loro file. Le
forze del male di Israele e le forze del male dei palestinesi. La sola differenza è che
Israele, attraverso un’occupazione lunga e crudele, sta rendendo molto facile ai giovani
palestinesi volgersi verso la strada del terrorismo. Ma il terrorismo domina entrambe le
forze. Un esercito organizzato che terrorizza un’intera popolazione non è meno, bensì
più criminale di qualsiasi gruppo di guerriglia.
Un illuminato governo del primo mondo che ordina di uccidere degli innocenti è
malvagio quanto un qualsiasi capo guerriglia del terzo mondo, di cui sappiamo poco e
che non abbiamo mai visto. Non esistono gli omicidi illuminati e gli omicidi barbarici,
esistono solo gli omicidi criminali. Per me Sadam Hussein e Arik Sharon, Bush padre e
figlio sono tutti una sola cosa, perché tutti hanno inflitto sofferenza e morte a
popolazioni innocenti. Se non diciamo ai nostri figli che questi uomini sono dei
criminali senza scrupoli non avremo mai persone capaci di escludere in partenza che la
nostra morte possa dare soluzione ai problemi sociali e politici.
Oggi, quando in Israele non esiste opposizione, sinistra o destra non hanno più
significato perché tutti hanno dato il loro consenso alle atrocità che proseguono nel
paese. Credo dunque che la condanna europea di questi atti e di chi li compie sia di
grande importanza. È ora di dire al mondo che parole come eroismo, coraggio e virilità
possono uccidere e che la morte di un bambino – qualsiasi bambino, serbo, albanese,
iracheno o israeliano non fa differenza – è la morte del mondo intero, del suo passato e
del suo futuro. Che non c’è vendetta per la morte di un bambino, perché dopo la morte
di un bambino non c’è altra morte – perché non c’è più vita. E dove non c’è più vita non
rimangono più parole con cui amare o odiare, e il solo suono che riecheggia in questa
arena di morte è il grido disperato dei bambini che muoiono e delle madri che ne restano
orfane. È un grido che non è mai, mai stato ascoltato da politici e generali, soprattutto
non a Gerusalemme che tutti pensano sia fatta d’oro, ma che in realtà è fatta di pietre,
ferro e piombo. È ora che questo grido venga ascoltato sopra ogni altro, perché questa è
la sola voce che resta dopo la violenza, e che comprende davvero il significato della fine
di tutte le cose, incluse le guerre.
È la voce che comprende ciò che oggi è compreso solo nel regno sotterraneo dei
bambini assassinati, cioè che ogni sangue è uguale all’altro sangue e che ci vuole così
poco a uccidere una bambina e così tanto a farla vivere. Essa comprende che mettere
fine alla guerra significa adottare un approccio dialogico al negoziato e non un
approccio da astuto affarista, e capire che si dovrebbe parlare non per mettere in
ginocchio l’interlocutore e avere la meglio nella discussione, ma per trovare un punto
d’accordo. Mettere fine alla guerra significa che non mi importa quale bandiera verrà
messa in cima alla montagna, che non mi importa chi guarda in quale direzione quando
prega, che niente è più importante che garantire a una ragazzina di poter andare serena
alla sua lezione di danza.
Vorrei rivolgermi a tutti i genitori che non hanno ancora perso i loro figli, e a tutti
quelli che stanno per perderli: se non teniamo testa ai politici insegnando ai nostri figli a
non seguire le loro pratiche assassine, se non diamo ascolto alla voce di pace che viene
da sottoterra, ben presto non resterà più nulla da dire, nulla da scrivere o leggere o
ascoltare se non il grido incessante del lutto. Vi prego, salvate i bambini.
Intervento della pacifista israeliana Nurit Peled al Convegno “L’Italia e l’Europa per la pace in Medio
Oriente”, Bologna, 9 ottobre 2001. Letto da Maria Grazia Mandruzzato.
I loro nomi*
6. Mohammed Jamal El- Durreh, 12 anni, di Al- Boreij.
Morto il 30 settembre 2000.
Ucciso da vari proiettili sparatigli al collo e all’addome a Netzarim.
8. Bassam Fayez El-Bilbaisi, 48 anni, di Gaza.
Morto il 30 settembre 2000.
Ucciso da un proiettile al petto, mentre stava facendo il suo lavoro a Netzarim.
Autista di ambulanza.
9. Maher Rajab ‘Obeid, 23 anni, di Jabalia.
Morto il 30 settembre 2000.
Ucciso da tre proiettili alla schiena a Netzarim.
25. Sara ‘Abdel- Azhim Hassan, 1 anno e 6 mesi, di Nablus.
Morta l’1 ottobre 2000.
Uccisa da un proiettile alla testa sparatole da un colono.
82. ‘Essam Joudeh Hamad, 36 anni, di Um Safa, Ramallah.
Morto l’8 ottobre 2000.
Ucciso e mutilato con strumenti acuminati nei pressi della colonia di Halmish.
93. Mu’ayyad Ussama El-Jawarish, 13 anni, di Betlemme.
Morto il 16 ottobre 2000.
Ucciso da un proiettile alla testa.
104. Tha’er ‘Ali Daoud Mu’alla, 19 anni, di Al- Am’ari, Ramallah.
Morto il 20 ottobre 2000.
Ucciso da un proiettile alla testa.
110. Majed Ibrahim Hawamdeh, 15 anni, di Al- Tira, Ramallah.
Morto il 21 ottobre 2000.
Ucciso da un proiettile alla testa.
119. ‘Abdel-‘Azziz Abu Sneineh, 55 anni, di Eb ron.
Morto il 23 ottobre 2000.
Ucciso da una cannonata, sparata contro la sua casa.
140. Mohammed Ibrahim Hajjaj, 14 anni, di Al-Shojaeya, Gaza.
Morto l’1 novembre 2000.
Ucciso da un proiettile alla testa.
141. Ahmed Suleiman Abu Tayeh, 14 anni, di Al-Shati, Gaza.
Morto l’1 novembre 2000.
Ucciso da un proiettile alla testa.
142. Ibrahim Rezeq ‘Omar, 15 anni, di Al-Shati, Gaza.
Morto l’1 novembre 2000.
Ucciso da un proiettile al petto.
161. Fares Fa’eq ‘Oudeh, 14 anni, di Al-Zaytoun, Gaza.
Morto l’8 novembre 2000.
Ucciso da un proiettile al collo a Al-Mentar.
166. Hussein Mohammed ‘Ebayyat, 37 anni, di Al- Ta’amra, Betlemme.
Morto il 9 novembre 2000.
Ucciso da tre missili che hanno colpito la sua macchina a Beit Sahour.
191. Mustafa Mahmoud ‘Oleyan, 54 anni, di ‘Askar, Nablus.
Morto il 14 novembre 2000.
Ucciso da una grossa pietra al petto, scagliatagli da vicino da un colono.
229. Maram ‘Emad Hassouna, 3 anni, di Ramallah.
Morta il 23 novembre 2000.
Uccisa dall’inalazione di una grande quantità di gas lacrimogeno.
231. Ghassan Majed Qar’an, 20 anni, di Qalqilya.
Morto il 24 novembre 2000.
Ucciso da un proiettile al cuore.
254. Shadi Ahmed Za’oul, 14 anni, di Housan, Betlemme.
Morto il 30 novembre 2000.
Ucciso da un colono che lo ha investito deliberatamente con la sua macchina.
275. Ahmed ‘Ali El-Qawasmi, 14 anni, di Ebron.
Morto l’11 dicembre 2000.
Ucciso da un proiettile alla testa, sparatogli da un colono, dopo essere stato catturato e
costretto a sdraiarsi per terra.
218. Hussein Mohammed Barad’eya, 35 anni, di Sourif, Ebron.
Morto il 21 novembre 2000.
Ucciso da gravissime ferite infertegli da coloni il 15 novembre mentre stava andando a
lavorare.
260. Shehadeh Mousa El-Ja’fari, 27 anni, di Bitunia, Ramallah.
Morto il 2 dicembre 2000.
Ucciso da un proiettile al collo e uno al cuore mentre stava lavorando in un edificio nei
pressi dell’ingresso settentrionale di Al- Bireh.
314. ‘Abdel- Hamid Ahmed El-Khoratti, 34 anni, di Al-Moghraqa, nella zona
meridionale di Gaza City.
Morto il 7 gennaio 2001.
Ucciso da vari proiettili nell’addome, al petto, all’inguine, alle gambe e alle braccia,
all’incrocio Al-Shuhada’, Netzarim. È stato lasciato morire di dissanguamento per terra
317. Ibrahim Hassan Abu Moghassib, 70 anni, di Wadi El-Slaqa, Deir El-Balah.
Morto il 9 gennaio 2001.
Ucciso da un proiettile all’addome, vicino alla linea di frontiera orientale di Deir ElBalah, mentre stava coltivando la sua terra a circa 100 m dal confine.
351. ‘Aaida Doud Fatiha, 42 anni, di Al-Bireh, Ramallah.
Morta il 3 marzo 2001.
Uccisa da un proiettile, entrato dall’ascella destra e uscito dal petto, nel corso di un
cannoneggiamento dalla colonia di Psagot.
381. Eyad Mohammed Hardan, 26 anni, di ‘Arrabeh, Jenin.
Morto il 5 aprile 2001.
Assassinato dall’esplosione del telefono che stava usando.
445. Tayseer Ismail ‘Awadh El-‘Ar’ eir, 30 anni, di Al-Shojaeya, Gaza.
Morto il 19 maggio 2001.
Ucciso da quattro proiettili al collo e al petto mentre si trovava nella sua fattoria a circa
200 m dal confine orientale della Striscia di Gaza.
450. Shadi Kamal Ahmed Siam, 18 anni, di Rafah.
Ucciso da un proiettile al petto sparato da soldati israeliani posizionati alla frontiera con
l’Egitto.
Sordomuto.
458. Selmia Omar Ghanem El-Malalha, 37 anni, di Al-Moghraqa, Gaza.
Morta il 9 giugno 2001.
Uccisa da schegge di una granata sparata da un carro armato israeliano contro la sua
tenda.
481. Radwan Dhib Eshtayeh, 38 anni, di Salem, Nablus.
Morto il 2 luglio 2001.
Ucciso da sei proiettili al collo, al rene e alle gambe.
Conducente di taxi.
485. Rasmia Joudeh Subeih Jabarin, 38 anni, di Zhahereya, Ebron.
Morta l’11 luglio 2001.
Uccisa da un proiettile alla testa mentre si recava al lavoro in Israele.
495. Dhia’ Marwan Helmi Tumeizi, 3 mesi, di Ebron.
Morto il 19 luglio 2001.
Ucciso da proiettili sparati da coloni israeliani contro l’auto della sua famiglia.
515. ‘Ali Ibrahim El-Joulani, 30 anni, di Qalandya, Gerusalemme.
Morto il 5 agosto 2001.
Picchiato a morte dopo esser stato colpito da due proiettili alla testa nel corso di scontri
armati presso l’edificio in cui risiede il ministro della Difesa.
516. Mahdi Mohammed Mezyed, 26 anni, di ‘Anabta, Tulkarem.
Morto il 5 agosto 2001.
Picchiato a morte dopo essere stato colpito da due proiettili al petto e alla gamba destra
nel corso di scontri armati presso il villaggio di Ramin.
547. Daoud Saleh Fahmawi, 32 anni, di Tulkarem.
Morto il 30 agosto 2001.
Ucciso da un proiettile alla testa durante un’incursione israeliana nel campo profughi di
Tulkarem.
570. Balqis Ahmed El-‘Aarda, 14 anni, di ‘Arrabeh.
Morta il 12 settembre 2001.
Assassinata da un proiettile di grosso calibro al collo.
688. ‘Eid Zayed Abu Sharekh, 31 anni, di Al-Shati, Gaza.
Morto il 26 ottobre 2001.
Ucciso da un proiettile alla testa vicino alla frontiera orientale della Striscia di Gaza
mentre andava a caccia di uccelli.
* I nomi (e le circostanze della morte) di questi uomini e donne palestinesi sono stati scelti tra i 1.161
raccolti nel fascicolo, curato dalle promotrici e dai promotori della manifestazione di Milano dell’11
aprile 2002, I loro nomi. Donne e uomini palestinesi vittime dell’occupazione israeliana durante la
seconda Intifada, 29 settembre 2000-26 marzo 2002. Sono stati letti da Lorella De Luca e Fabrizio De
Giovanni.
53 militari israeliani rifiutano di combattere
per Sharon e per le colonie*
Noi ufficiali e soldati combattenti di riserva di Tzahal, che siamo stati educati nel
grembo del sionismo e del sacrificio per lo Stato di Israele, che abbiamo sempre servito
in prima linea, che siamo stati i primi, per ogni compito, facile o difficile che fosse, a
difendere lo stato di Israele e a rafforzarlo
Noi ufficiali e soldati combattenti che serviamo lo stato di Israele durante lunghe
settimane ogni anno, nonostante l’alto prezzo personale che abbiamo pagato
Noi che siamo stati in servizio di riserva in tutti i territori e che abbiamo ricevuto ordini
ed istruzioni che non hanno niente a che fare con l’ordine e la sicurezza dello Stato, e il
cui unico obiettivo è la dominazione del popolo palestinese
Noi che con i nostri occhi abbiamo visto il prezzo di sangue che l’occupazione impone
su entrambe le parti di questa divisione
Noi che abbiamo sentito come gli ordini che ricevevamo stavano distruggendo tutti i
valori di questo paese
Noi che abbiamo capito che l’occupazione è la perdita dell’immagine umana di Tzahal e
la corruzione dell’intera società israeliana
Noi che sappiamo che i territori occupati non sono Israele e che tutte le colonie sono
destinate ad essere rimosse
Noi dichiariamo che non continueremo a combattere in questa guerra per la pace delle
colonie, che non continueremo a combattere oltre la linea verde per dominare espellere
affamare e umiliare un intero popolo
Noi dichiariamo che continueremo a servire Tzahal in qualsiasi obiettivo che serva la
difesa dello stato di Israele
L’occupazione e la repressione non hanno questo obiettivo. E noi non vi parteciperemo.
* L’appello dei soldati e riservisti israeliani obiettori di coscienza è stato pubblicato nel gennaio 2002 sul
quotidiano israeliano “Ha’aretz”. È stato letto da Andrea Lupo.
“Cosa ne sanno gli uomini della vita?” Il Medio Oriente
di Robin Morgan
La baracca è stata appena rasa al suolo a colpi di ruspa. Si crede che il figlio di Inam, un
bambino di nove anni, sia tra i ragazzi che hanno scagliato dei sassi contro un convoglio
di camion e carri armati israeliani. Spesso, in casi come questo, la risposta consiste nel
punire la famiglia: tempo un’ora da quando viene annunciato e l’abitazione è distrutta.
Inam è vedova e ha quindici figli da crescere.… Adesso sta ad occhi asciutti in mezzo
alle macerie di quella che era la sua casa. I vicini, stretti attorno a lei, guardano e
bisbigliano. L’orto è un cumulo di piante contorte, foglie e petali schiacciati sotto i
blocchi di cemento. Gli utensili da cucina sono sparsi ovunque, i panni sparpagliati,
laceri e sporchi, nella sabbia. Una delle figlie cerca di recuperare una casa delle
bambole fatta di lattine di coca cola vuote e di scatole di fiammiferi. I bimbi più piccoli
si spingono aggrappandosi alla sua gonna. Adesso sarà costretta a dividere la famiglia, a
sistemare qualcuno dei figli presso i parenti in questo e in altri campi. La politica di
Israele è di non permettere alla UNRWA di ricostruire la casa, perché i campi sono già
sin troppo affollati e hanno bisogno di “spazio”. Inam non ha un posto dove andare. Si
aggira tra le macerie, raccoglie una piccola targa di plastica che porta una scritta in
arabo. Chiedo che mi venga tradotta: “Se non puoi essere una stella in cielo, sii la
lampada che illumina la stanza”. La libera dalla polvere e prende a ammonticchiare le
sue cose.
________
Rada ha appena compiuto trent’anni. Vive in Giordania, in uno dei campi più antichi, di
cui non farò il nome. Ha perso il braccio destro; le è stato portato via da una granata.
Ero una guerrigliera, dice. Conosce un po’ d’inglese e mi chiede di parlare da sole,
senza l’interprete. Oggi lavora come assistente in un centro sanitario e spera di riuscire a
completare gli studi e a conseguire una laurea in medicina. Vuole curare la gente. La
sua storia è semplice e la racconta senza enfasi.
“Avevo diciott’anni. Tre dei miei fratelli erano morti combattendo come guerriglieri
in operazioni lungo il confine. Un altro era in carcere qui in Giordania. Mia madre
passava il tempo a piangere. Mio padre aveva organizzato il mio matrimonio, ma io non
amavo l’uomo che mi aveva scelto. Ero innamorata di uno degli amici di mio fratello,
un altro guerrigliero. Quando ho fatto quel che ho fatto, io... è stato un modo di
vendicare i miei fratelli, di combattere per il mio popolo, e di sfidare mio padre, tutte
queste cose insieme. Poi ho visto che l’azione a cui stavo partecipando aveva ferito un
bambino. Ma toccava a me – l’uomo che amavo, fu lui a gridarmi di lanciarla, lancia
quella granata, lanciala. Lo amavo più della mia stessa vita. Ma forse non più di quanto
amassi la vita di quel bambino. Non riuscii a lanciarla. Esplose. Scappammo, ma da
allora lui non mi ha più rivolto la parola. Lo avevo svergognato di fronte ai suoi
compagni. Fu così che lo perdetti. Alcune sembrano capaci di farcela, ma io – io sono
come la maggior parte delle donne, che devono trovare una strada diversa. Mi
piacerebbe fare il chirurgo”. Ride. “Una rifugiata palestinese monca di un braccio
chirurgo, si è mai sentita una cosa del genere? Troverò qualche altro sistema. Mi
piacerebbe curare la mia gente, curare tutta la gente. Mi pia cerebbe curare”.
________
Tahrir ha solo quindici anni, ed è tra i profughi che hanno dovuto evacuare il campo di
Burj el-Barajneh. È fiera del suo inglese e dei suoi splendidi voti alla scuola della
UNRWA. Pensa di avere ottime possibilità di ottenere una delle borse di studio per
l’università fornite dall’organizzazione. “Voglio insegnare”, dice, “e anche scrivere libri
e viaggiare”. È bellissima, una giovane donna in boccio che trabocca d’energia.
“Aiuterò a mettere fine alle uccisioni e a cominciare a vivere. Odio la morte. Odio
che le persone siano crudeli”. Quando le chiedo, come ho fatto con tante altre, quale sia
il messaggio che più ci tiene a mandare alle donne nel resto del mondo, ci pensa su a
lungo in silenzio.
Le risposte a questa domanda hanno finito per formare un motivo. Le donne messe
in posizioni di potere dagli uomini dicono: “Uno stato palestinese”. Le donne arrivate
alla leadership attraverso i movimenti di base dicono: “Autodeterminazione”. Le donne
che lavorano nelle strutture UNRWA dicono: “Aiutateci. Non vogliamo gettare in mare
nessuno. Abbiamo soltanto bisogno di spazio per respirare, di cibo, medicine,
istruzione, dignità”. Le rifugiate dei campi dicono: “Aiutateci a non fare altri figli;
aiutateci a salvare noi stesse insieme ai figli che abbiamo già avuto”.
In un modo o nell’altro, tutte stanno dicendo, “Di’ loro che esistiamo”.
E Tahrir, gli occhi raggianti d’intelligenza, un sorriso che sprizza ottimismo, ha una
risposta tutta sua: “Di’ loro”, dice scegliendo con cura le parole, “quello che mia nonna
e mia madre mi hanno sempre detto – che è compito delle donne salvare il mondo. A
modo nostro, che non è il modo degli uomini. Di’ loro che ogni volta che una donna
combatte per se stessa, in qualsiasi parte del mondo, combatte per me. Il mio nome,
Tahrir, significa ‘libertà’”.
Bahibbik ya ukhti, “ti voglio bene, sorella”.
Più tardi saprò che quello stesso giorno, dopo avermi affidato il suo messaggio,
Tahrir è stata uccisa da una granata.
________
Il mio corpo non è una fabbrica di armi.
Non ne posso più di essere madre di martiri!
Mi piacerebbe curare.
La donna che mette al mondo se stessa è libera di aiutare il mondo.
Cosa ne sanno gli uomini della vita?
Non sono frutto della mia immaginazione.
Ogni volta che una donna combatte per se stessa, combatte per me.
Il mio nome significa libertà.
Di' loro che esisto.
Bahibbik ya ukhti. Lei siamo noi.
Stralci dal capitolo 7 de Il demone amante, tr. it. La Tartaruga Edizioni, Milano 1998.
Newyorkese, ebrea laica, femminista, la scrittrice Robin Morgan ha passato lunghi periodi nei Territori
occupati e nei campi profughi del Medio Oriente. Il testo è stato letto da Lella Costa.
Preghiera
di Feisal Husseini
O Dio, il petto è pieno di amarezza, non volgerla in rancore
O Dio, il cuore è pieno di dolore, non volgerlo in vendetta
O Dio, il corpo è debole non volgere la stanchezza in disperazione
il tuo servitore sta reggendo braci. Aiutami a restar saldo
la fede è amore. O Dio, la fede è perdono. O Dio, la fede è certezza
non spegnere la fiamma dell’amore nel mio cuore
O Dio, la volevamo bianca per l'intifada, proteggila ti prego
volevamo libertà per il nostro popolo, non schiavitù per gli altri
volevamo un focolare per il nostro popolo che vi stesse raccolto, non
la distruzione di paesi e focolari altrui
O Dio, il nostro popolo è spoglio di ogni cosa fuorché della fede nei
diritti
il nostro popolo è debole fuorché della fede nella sua vittoria.
O Dio, donaci certezza, clemenza e tolleranza, non permettere conflitti fra
di noi
muta il sangue versato in luce che ci guidi e rinsaldi
le nostre braccia, e non alimenti l’odio e la vendetta
aiutaci ad affrontare il nemico perché noi lo si aiuti ad affrontare
se stesso
O Dio, questa è la mia preghiera. Ascoltala, accogli la nostra supplica e
guidaci per il sentiero giusto.
Feisal Husseini, morto nel luglio del 2001, era membro del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la
liberazione della Palestina e ministro dell'Autorità nazionale palestinese per Gerusalemme.
Il 31 dicembre 2001 questa preghiera è stata letta da Sari Nuseibeh davanti alla Chiesa di S. Anna, a
Gerusalemme. L’11 aprile è stata letta da Isabella Carloni.
Volete la sicurezza? Date la libertà ai palestinesi
di Marwan Barghuti
[…] L’unico modo che gli israeliani hanno per raggiungere la sicurezza è
semplicemente di cessare un’occupazione dei territori palestinesi che dura da
trentacinque anni. Gli israeliani devono abbandonare il mito secondo cui è possibile
avere contemporaneamente pace e occupazione, che una coesistenza pacifica sia
possibile tra schiavo e padrone.
L’assenza di sicurezza degli israeliani nasce dall’assenza di libertà dei palestinesi.
Israele avrà sicurezza solo dopo la fine dell’occupazione, non prima.
Una volta che Israele e il resto del mondo capiranno questa verità fondamentale, la
strada da percorrere diventerà chiara. La fine dell’occupazione permetterà ai palestinesi
di vivere in libertà e a Israele e Palestina, stati vicini, indipendenti e uguali, di negoziare
un futuro di pace con stretti legami economici e culturali.
Non dimentichiamolo, noi palestinesi abbiamo riconosciuto Israele sul 78 per cento
della Palestina storica. È Israele che rifiuta il diritto della Palestina a esistere sul
rimanente 22 per cento, occupato nel 1967. Eppure sono i palestinesi a essere accusati di
non scendere a compromessi, di perdere delle opportunità. Francamente, siamo stanchi
di assumerci la colpa dell’intransigenza israeliana quando tutto quel che cerchiamo è
l’applicazione del diritto internazionale.
[…] Se Israele si riserva il diritto di bombardarci con gli F16 e gli elicotteri da
guerra, non dovrebbe meravigliarsi quando i palestinesi cercano armi difensive per
abbattere quei velivoli. E mentre io e il movimento Fatah al quale appartengo ci
opponiamo fortemente agli attacchi e agli attentati contro obiettivi civili in Israele,
nostro futuro vicino, mi riservo il diritto di proteggermi, di resistere all’occupazione
israeliana del mio paese e di combattere per la mia libertà.
Se ci si aspetta che i palestinesi negozino sotto l’occupazione, allora ci si deve
aspettare che Israele negozi mentre noi resistiamo a quell’occupazione.
Non sono un terrorista, ma non sono neanche un pacifista. Sono semplicemente una
persona normale, cresciuta nelle strade palestinesi, che difende ciò che tutti gli oppressi
difendono: il diritto di proteggersi in mancanza di aiuti dall’esterno.
Questo principio può benissimo condurre al mio assassinio.
Così lasciatemi chiarire la mia posizione, affinché la mia morte non sia
semplicemente un dato statistico in più in quella che gli israeliani chiamano “guerra al
terrorismo”.
Per sei anni sono stato rinchiuso come prigioniero politico in un carcere israeliano,
dove sono stato torturato, dove sono stato appeso, bendato, mentre un israeliano colpiva
i miei genitali con un bastone.
Ma dal 1994, quando credevo che Israele volesse seriamente porre fine
all’occupazione, sono stato un instancabile difensore di una pace basata sull’equità e
sulla giustizia. Ho guidato delegazioni di palestinesi durante incontri con parlamentari
israeliani per promuovere la cooperazione e la reciproca comprensione.
Cerco ancora una coesistenza pacifica tra gli Stati uguali e indipendenti di Israele e
Palestina, una coesistenza basata sul pieno ritiro dai territori palestinesi occupati nel
1967 e su una giusta soluzione al problema dei profughi palestinesi, in base alle
risoluzioni ONU.
Non voglio distruggere Israele, solo che finisca la sua occupazione del mio paese.
Il testo di Marwan Barghuti, segretario del Comitato direttivo del Movimento al-Fatah in Cisgiordania, è
stato pubblicato il 30 gennaio scorso dal settimanale egiziano “Al-Ahram” e ripreso dal quotidiano
nordamericano “Washington Post”. Barghuti è stato arrestato dall’esercito israeliano durante
l’occupazione militare di Ramallah, il 15 aprile 2002. Letto da Giuseppe Cederna.
L’amante
di Mahmoud Darwish
I suoi occhi e il tatuaggio sulle sue mani sono
palestinesi,
Il suo nome, palestinese,
I suoi sogni e la pena, palestinesi,
Il suo fazzoletto, i piedi, il corpo,
palestinesi,
Le sue parole e il suo silenzio, palestinesi
La sua voce, palestinese,
La sua nascita e la sua morte, palestinesi.
La poesia è stata letta da Giuseppe Cederna.
C’è dolore
di Mariangela Gualtieri
C’è dolore. Bussa alla mia porta entra
da tutte le mie fessure mi movimenta
dentro la pietà. Mi confonde. Non accetto.
Non mi consegno a questa solfa di morti.
C’è un assedio di corpi
che lo so lo so sono tutti miei.
Se adesso io inchiodo il pensiero a quell’atto
voglio entrare lì dentro a quel pianto
se voglio capire la mano che raschia
e sconvolge la meccanica sacra di
un vivo, lo scassa lo incendia lo
schiaccia lo affoga con slancio convinto
con tecnica esatta fa male fa male fa così
male, se piango anch’io se vorrei prenderli
in braccio e portarli nel campo dove
c’è una pace di ombra e di pozzo
se non prego nessuno, se io non invoco, se
l’angelo, se le antiche madri, se se se
Spiegami tu, con pazienza, spiega tu se
puoi, se vuoi, se hai un mistico
modo, se ti è concesso, se parli una
sola delle lingue umane, se
hai modo, se hai la risposta
se sai, se stai fuori del tempo, se vedi
se hai ira o pietà se tremi di pena se
sei lì che fremi per dire, se non vedi
l’ora, se, se, se
Avessi la formula degli antichi miracoli
avessi le parole, avessi il canto de la guarigione
avessi le miracolate mani
avessi voce che solo col canto scancella
ogni strappo, ogni spina, ogni ordine
di distruzione. Avessi io o tu, non importa
la parola, una, immensa di tregua, di
bacio, di pane, di figliolino, di notte di
luna, di dormire vicino.
Io non ho questa voce – e tu?
Fate piano. Fate piano – per ogni
goccia, per ogni delicato dito
per ogni tavola partita da un porto
rudimentale, antico. Fate piano.
ch’è delicato tutto nel suo esile
canto d’esserci,
fate piano, per carità, fate piano
c’è uno spintone sgarbato sulle
venature d’ogni colore, c’è un
passo pestatore che fa
lo schianto delle primavere.
Dire per nome tutto, fare grande
battesimo allora, benedire
voglio. Che il male che facciamo e
non vogliamo, che il male che facciamo
ci ritorni centuplicato in bene. Centuplicato
in bene. In bene. In bene centuplicato.
A noi tutti torni.
da Chioma di Mariangela Gualtieri, ed. Teatro della Valdoca, 2001. Letto da Mariangela Gualtieri.
Arrancame
di Eric Fraj
Strappami via il male che mi fora il petto,
vieni, vieni con la tua mano a far schizzare questo aceto.
Vieni, vieni, apri questa carne e sradica questo vuoto,
vieni, vieni e ammazza l’amaro di questo cuore che fa male.
Strappami via l’oscuro che mi brucia da dentro,
vieni, portami la luce della lama che guarisce.
Vieni dentro alla nuda nerezza e cava fuori l’oblio.
Vieni al patimento puro di questo nome che non risuona.
Strappami via il nulla che annoda il mio dolore
Vieni, sciogli il peso che affonda il mio disastro.
Vieni e spegni l’inferno di un mondo fuori parole,
entra nella delizia bestiale di questo pozzo senza fondo.
Canzone occitana. Musica di Eric Fraj e Jean-Raymond Gelis. Cantata da Claudia Dulitchi.
Adesioni
Date:
10/04/2002 17.46
RE:
Adesione manifestazione
Associazione donne musulmane in Italia
Parteciperemo in circa 50 persone.
Distinti saluti
Aderiamo all’iniziativa di domani, convinti che l’occupazione dei territori da parte israeliana sia la più
grave responsabilità della situazione conflittuale in Medio Oriente. Per questo motivo una (piccola)
delegazione di Mama Alma sarà presente domani.
L’Associazione di Amicizia Italia Palestina aderisce alla vostra iniziativa.
Ciao e buon lavoro.
Cara Maria,
purtroppo non potremo essere presenti all’iniziativa dell’11 aprile perché una parte di noi è bloccata a
Ravenna per le prove della nuova produzione che debutterà a giugno a Venezia. Si tratta dell’ultima tappa
del nostro Cantiere Orlando. Sarà una riscrittura sullo Shakespeare innamorato e furioso del “Sogno di
una notte di mezza estate”.
Una parte di noi, precisamente Ermanna, è a Lisbona con lo spettacolo “L’isola di Alcina”.
Possiamo solo esserci in “spirito” a questa “necessaria” “veglia”.
Un abbraccio forte,
Marcella Nonni e tutto il Teatro delle Albe
Aderisco alla manifestazione per non cancellare la dignità dell’uomo.
Cordiali saluti,
Fulvio Spelta
Carissime, vi siamo grate per aver organizzato una iniziativa di pace per la Palestina. Mettiamo a
disposizione lo spazio del nostro sito
http://www.ecn.org/reds/donne.html
per ogni comunicazione che riteniate utile diffondere anche attraverso questo canale, e per documentare
l’evento con articoli e foto.
Un abbraccio,
per l’Associazione Iemanja’,
Gabriella Gagliardo
ADERISCO CON PASSIONE, MALGRADO AHIMÉ NON POSSA ESSERE PRESENTE .
Mi farò rappresentare da Cristina Martellosio.
Auguri di successo per la manifestazione e ovviamente per la pace in Palestina.
M° Martinho Lutero – direttore del Coro Cantosospeso
Berlino, il 9 di aprile,
un saluto da parte di un’artista francese che vive a Berlino e che è insieme a Voi con tutto il suo cuore per
quanto riguarda la manifestazione prevista l’11 di aprile, in solidarietà con il popolo palestinese,
Anne-Marie Chatelier
Carissima Maria, a me sembra straordinario che abbiate messo insieme tanti artisti; e, purtroppo, la
manifestazione è tragicamente urgente: cosa non scontata quando l’avete pensata, visto che in molti non
ci aspettavamo che Sharon fosse inarrestabile. Il problema che si è posto a Roma, inoltre, non dovrebbe
porsi a Milano, visto che le donne hanno sempre lavorato sui due fronti. Claudio ed io arriveremo alla
stazione alle 17 circa: prima non è possibile per precedenti impegni. Poi penso si arrivi rapidamente
all’appuntamento. Maria, rassegnati: cerchi le avventure faticose ed è tardi per smettere, è anche il tuo
bello. E in questo caso – comunque vada, ma andrà benissimo, ne sono sicura – c’è di mezzo la guerra, la
storia. Qualcosa che va oltre noi stessi e che è importante fare.
Un bacio, Laura
salve Maria,
sono Gigi della banda degli ottoni
Vinni ci ha detto che vorreste che fosse la banda ad aprire il corteo di giovedì
ieri sera alle prove ne abbiamo parlato ma a dire il vero non ne è venuta fuori una decisione
ci dovremmo essere, quasi sicuramente in un buon numero, questo sì, ma dire ora cosa faremo forse non è
ancora possibile
pensiamo potrebbe essere meglio organizzarci sul momento, e vedere gli animi cosa ci dicono...
allora a giovedì,
Gigi
Cari amici,
desideriamo comunicarVi la nostra intenzione di promuovere e prendere parte alla manifestazione dell’11
aprile prossimo.
Nell’occasione Vi ringraziamo sinceramente per tutti gli sforzi che state facendo.
Casa della Cultura Islamica
via Padova 144 – Milano
Cara Nadia,
non ti conosco ma condivido con te la disperazione per il massacro che si sta perpetrando in Palestina.
Giovedì verrò sicuramente e cercherò di portare le mie amiche. Un abbraccio,
Rosella Angelotti
ciao maria, sto facendo girare la comunicazione, ho anche fatto un invio a radio e tv e amici giornalisti,
tutto fa brodo. sono ovviamente a disposizione per quel pomeriggio, dimmi se e dove devo venire e a che
ore, insomma cosa serve che faccia.
bacio
silvia
Anch’io ci sarò stasera insieme a un’amica. Ho fatto girare la voce nella mia università Scuola per
Interpreti e Traduttori e spero che vengano tante altre persone. Mi auguro che il nostro grido contro la
guerra venga ascoltato.
Ciao,
Ambra
Grazie, mi sembra sempre di più una gran bella iniziativa. Adriana
Cara Maria, ieri con Fernanda siamo andate alla presentazione di un libro sulle donne immigrate a Torino,
all’Alma Mater, non so se la conosci, è un centro interculturale delle donne. Ne abbiamo approfittato per
distribuire il volantino della manifestazione dell’11 aprile, l’ultimo che tu ci hai mandato, del quale
avevamo stampato diverse copie. Speriamo che serva.
Allora ci vediamo l’11, io e Fernanda veniamo in macchina, poi la lasciamo dalla parti di San Siro e
proseguiamo in metropolitana. Comunque ci teniamo in contatto con i cellulari. Ti abbraccio, Antonietta.
Cara Maria, grazie per tutto quello che mi mandi. Andrò alla manifestazione qui a Roma, domani. Ti
prego, se puoi, di mandare tutte le notizie di iniziative (in tempo utile, cioè come minimo una decina di
giorni prima) anche a [email protected] per la pubblicazione.
Ti abbraccio. Mi sento molto vicina a te in questo periodo.
Lidia
Cari amici e amiche,
la vostra iniziativa appassionata e responsabile per cooperare a costruire la pace tra i popoli palestinese e
israeliano è un segno di speranza per tutta la città. Avete scelto di ascoltare la voce del cuore e della
ragione per contribuire a superare l’indurimento degli animi, il desiderio di vendetta, l’impiego della
violenza che annienta, la prepotenza elevata a politica di Stato.
Questa è una via vera, povera e disarmata. È vera in quanto non reclama una retorica pace tra i popoli ma
distingue tra vittima e aggressore, secondo il principio che non c’è pace senza giustizia; essa è povera
perché si appella alla sola coscienza responsabile e solidale; è disarmata perché crede alla potenza della
parola condivisa e alla forza degli organismi democratici.
Siamo felici di aderire alla manifestazione perché essa risponde alle nostre esigenze di condivisione del
soccorso alle vittime e di costruzione di un futuro pacificato nella regione. Ci uniremo anche con le nostre
invocazioni al Dio della pace e della misericordia che ci insegna, nella via del crocifisso risorto, a non
disperare.
Ringraziandovi inviamo un caro saluto e l’augurio di un buon lavoro.
Per Il Consiglio del Circuito lombardo delle Chiese evangeliche valdesi e metodiste
Sovrintendente Gigi Ranzani
Cara Maria,
sono tristissima, oltre che per quello che sta succedendo, anche perché l’11 non potrò essere a Milano.
Cercherò comunque di mandare questo invito a amiche/amici che possano sostenere l’iniziativa.
Vi penserò,
Paola Tomai
Carissime/i tutte e tutti,
grazie di cuore per tutto quello che state facendo a favore del popolo palestinese e della sua lotta per la
pace, la liberazione e l’indipendenza. L’occupazione israeliana, con il sostegno militare e politico degli
Stati Uniti e il silenzio dell’Europa, sta massacrando un popolo che aspetta da 54 anni l’applicazione della
legalità internazionale.
Non posso essere con voi alla manifestazione dell’11 aprile, per ragioni di distanze chilometriche (vivo in
Sicilia), ma sono con voi idealmente. Farò conoscere l’iniziativa a molti amici.
Cordialmente.
Farid Adly
direttore ANBAMED, notizie dal Mediterraneo
Sabato 6 aprile 2002
Aderiamo all’iniziativa dell’11 aprile. Distribuirò la notizia mercoledì durante il nostro dhikr. Sarà
presente il mio vice (io ho una conferenza in pari tempo; ma oggi alle mie conferenze non tralascio di
esprimere l’opinione su Sharon, Audhu bilLahi min asSharon arRajimi. Sessant’anni or sono la Germania
di Hitler portava guerra e distruzione in Europa. Oggi la Germania fa parte dell’Europa unita. Non è la
stessa Germania, e Hitler è esecrato giustamente da “tutti”. Mi auguro che tra sessant’anni ci sia un Medio
Oriente unito, ne faccia parte Israele così come oggi la Germania fa parte dell’Europa unita, e che Sharon
sia esecrato giustamente da “tutti”.
A nome della Confraternita sufi Jerrahi-Ha lveti in Italia, il Vicario generale prof. Dott. Gabriel Mandel
Khân.
beh la mia presenza assolutamente sì (ho anche confermato disciplinatamente all’e-mail indicata) poi
sicuramente anche di altri amici, quando mando in giro le cose si spandono a macchia d’olio,
inesorabilmente.
un abbraccio,
Silvia
Aderiamo all’iniziativa.
Grazie,
Sergio Segio, Gruppo Abele – Milano
4 aprile 2002
Desidero assicurare la mia partecipazione alla manifestazione dell’11 aprile.
Per il momento sono da sola, ma conto di coinvolgere qualcun’altra/o, di cui darò eventualmente
conferma.
A presto,
Vanda Dalle Molle
cara Maria
l’11 pomeriggio ho una lezione – fissata da mesi – in un corso di specializzazione UE, per editors and
translators […]. Perciò non potrò essere a Milano, mi dispiace perché sarei venuta di corsa.
Oggi pomeriggio andrò almeno per un’ora al presidio delle donne in nero – Torino social forum. Un
ulteriore elemento di impotenza mi viene dal fatto che nelle nostre vite questi momenti di... non so come
definirli, diciamo momenti di politica, sono come compressi dentro le vite che cerchiamo e anche
dobbiamo condurre normali. In questo le mie amiche indiane sembrano avere un’abitudine più pacificata
a vite in equilibrio tra attivismo e produzione intellettuale – e privilegio, dolente ma pur sempre tale. Sono
perfettamente consapevole del fatto che la fedeltà a progetti degni è forse l’unica arma vera di
opposizione che ci rimane, ma non mi basta, perlomeno non basta ai miei sentimenti...
Ma la vostra idea è buona buonissima. Proprio questo fecero dopo l’11 settembre a Delhi e in altre città,
leggere ad alta voce nei parchi cittadini, parole di pace […].
Anna
Date:
03/04/2002 0.38
RE:
11 aprile
Flash: forse si potrebbe completare lo slogan “l’occupazione uccide tutti” con un “liberiamoci”.
Aggiungerei qualcosa che annunci senza svelarla la proposta nascosta nella rappresentazione.
Mi viene in mente “liberiamoci”, perché sono la parola (detta, ascoltata, meditata, capita...), la verità, la
cultura che fanno l’uomo libero e la nostra serata si conclude, appunto, con la lettura di brani significativi.
E non penso solo che la parola non detta, mal detta, non compresa, negata, taciuta, ecc sia un problema
esclusivo del conflitto israeliano/palestinese. Lo faccio mio, lo faccio nostro: parola ignorata, storpiata,
rifiutata che alimenta il pregiudizio, il razzismo, l’ingiustizia ecc.
Mi fermo qui, è tardi per entrambe. Vedi tu. Grazie per la bella proposta dell’11 aprile.
Baci
Anna Rota
Care tutte e cari tutti,
vi segnalo una manifestazione importantissima e particolarmente interessante: l’11 aprile a Milano si
svolgeranno un corteo e una veglia, funebri, per i morti di questi giorni in Palestina. 450 persone
sfileranno portando delle bare, e durante la notte attori di teatro giornalisti fumettisti leggeranno testi di
autori palestinesi israeliani e di ogni dove […] per riflettere assieme sul genocidio che si sta compiendo
nei territori occupati e per informare il più possibile quelli che come noi stanno al sicuro. L’obiettivo è
proprio far capire a quelli che sono andati in gita a Pasqua, che nei luoghi in cui è nato quello a cui hanno
fatto la festa si sta consumando uno spaventoso massacro nella più completa indifferenza. Questo può
indurre a delle riflessioni sul concetto di guerra umanitaria, sulla differenza fra Kosovo e Palestina,
sull’umiliazione e sull’annullamento della propria umanità che l’esercito israeliano sta praticando sui
civili palestinesi (come quando si blocca un’ambulanza che porta in ospedale una donna incinta
costringendola a partorire in strada e causando la morte del bambino: è accaduto oggi, 2 aprile, a
Ramallah). La riflessione deve però essere duplice: anche sul terrorismo dei kamikaze, e sulla loro
disperata determinazione a colpire degli innocenti. Perciò ci saranno anche alcune, poche in verità, bare
israeliane. Il problema è che per far pensare occorre creare un’occasione, altrimenti si accetta la logica
televisiva del buono/cattivo o del presente senza passato. Questa veglia vuole creare questa occasione:
forse è l’unica cosa che possiamo fare qui.
L’evento è organizzato, fra gli altri, dalla giornalista Maria Nadotti (“Lo Straniero”). Servono però
almeno altre 200 persone per trasportare le bare e una diffusione massiccia dell’appuntamento che
ovviamente è quanto di più antitelevisivo e semplicistico si possa fare. Per questo sono io a chiedervi di
partecipare e diffondere la notizia come se fosse una vostra iniziativa.
Per qualunque chiarimento informazione scrivete direttamente al mio indirizzo: […]
Credo che i “corsari” ci siano tutti nella lista, ma se mancasse qualcuno, cara Anna, puoi pensarci tu?
Con la speranza di incontrarci a Milano,
Grazie
Pierluigi
Carissima,
mi avevi già mandato il documento che ho provveduto a divulgare. Farò il possibile per esserci e spero,
nel frattempo, che qualcuno si mobiliti anche in altre città. Mi colpisce la sordità nei confronti delle
gravità enormi che stanno accadendo nei territori. È grave, gravissimo, terribile ...
Grazie ancora
Un abbraccio,
Francesca
Cara Maria, il mio più intenso desiderio in queste ore è di essere personalmente a Ramallah o Bethlemme,
a dare una testimonianza di interposizione di pace che non è sostituibile da nessuna parola. Quello che
adesso si deve fare è – potendolo – andare lì e interporre i propri corpi alle traiettorie dei fucili e carri
armati.
Sono molto grata agli amici che lo stanno facendo e credo che il loro esempio e testimonianza abbiano già
e avranno in futuro un ruolo decisivo. Purtroppo mia madre sta molto male. Sono lì con tutto il mio senso
morale e civico, e qui con il mio senso di affezione filiale.
Mi occupo, come forse sai, di gestione creativa dei conflitti e sono stata nei territori occupati un paio di
volte, recentemente.
Sulle cose da leggere alla manifestazione. Quelle più importanti devono mettere ben in chiaro che
l’errore, fin dall’inizio è stato considerare i rapporti fra Stato di Israele e Palestinesi come “cosa loro”,
qualcosa che devono sbrigarsi fra loro con qualche mediazione esterna. Invece fin dalla nascita dello
Stato di Israele lì si gioca il senso della nostra civiltà, cultura, responsabilità, umanità, intelligenza.
Si gioca la capacità della cultura europea di trasformarsi da cultura etnocentrica e razionalista in una
cultura capace di saggezza e di accoglienza dell’altro. Si gioca la fine in avanti del colonialismo oppure
l’abbandono alle sue degenerazioni.
In particolare gli europei, che hanno “finto” di non vedere l’olocausto mentre veniva preparato e attuato,
avevano il dovere di garantire sia la sicurezza dello Stato di Israele che la nascita dello Stato palestinese e
il suo sviluppo anche economico, non fosse altro che come risarcimento per le ingiustizie e violenze
subite dai palestinesi, che hanno pagato i prezzi della nostra codardia.
Certamente non era facile e non era “comprabile” una soluzione del genere, ma bisognava lavorarci con
costanza , senso di urgenza e di giustizia.
Il linguaggio della interposizione di pace fra due parti ridotte ormai a vedere unicamente nella
eliminazione reciproca la propria salvezza, non è principalmente un linguaggio verbale, ma di segnali e
azioni che cambiano il contesto. Azioni simboliche forti, che mettono in primo piano dei corpi e creano
spazi “altri” nei quali tutti coloro che già stanno lavorando per la pace e una difficile accoglienza
reciproca e coloro che desiderano farlo, possano entrare e far sentire la propria presenza.
Le invocazioni di Tavoli di Trattativa e di iniziative diplomatiche sono in questo momento come minimo
premature e fuorvianti. E completamente fuori luogo sono le indicazioni su “di chi è la colpa”, qual è la
mano più criminale. C’è una letteratura molto interessante (di cui si sono occupati da John Galtung ad
Anna Bravo..) sulle iniziative capaci di mettere allo scoperto e offrire vie d’uscita dalla spirale della
“banalità del male”.
Forse in futuro potremmo occuparcene. Che ne dici? Comunque i nostri “delegati” all’opera sul fronte in
questo momento ce ne stanno dando una dimostrazione.
Ci vuole coraggio, coraggio fisico guidato da una idea di saggezza.
Cioè: intelligenza.
L’11 aprile sarò fra voi, anche se a sera devo partire per Foggia dove il giorno dopo vado a fare una
conferenza su Gregory Bateson, il quale comunque non è fuori tema.
Ciao, Marianella
Cara Maria, vorrei essere dei vostri, sì, e farò di tutto perché questo accada. Ho un impegno il 10 e uno il
12 e debbo capire come poter volare lì l’undici.
Ti anticipo che saremo a Milano con PREDICA AI PESCI il 23 e 24 aprile: ségnalo e tieniti libera perché
se non ci sarai ci dispiacerà troppo.
Un abbraccio,
Mariangela
Cara Maria,
sono d’accordo con il vostro progetto e ci sarò.
La situazione è allucinante!
Spero che tu stia bene. Io con la primavera comincio a svegliarmi.
Assia mi ha mandato un suo testo che le avevo chiesto. È stata molto gentile.
Un caro saluto,
Grazia
[...] che piacere leggerti, (anche se il momento è veramente pessimo).
Condivido l’iniziativa, non so se potrò essere presente, per stanchezza, lavoro, salute...
auguri laici di Buona Pasqua
Tea
io ci sarò!
monica meraldi
associazione Stombal – Stradella (PV)
e cercherò di portare quanti amici possibile!
Monica
Chère Maria,
Tu peux compter sur moi pour le Jeudi 11 Avril.
à bientôt
Jean-Ray
Cara Maria,
non verrò alla veglia, ma informerò le amiche milanesi. Non esiste un’iniziativa parallela a Roma? […]
A presto, spero,
D.
Lettere
Cara Anita,
il corteo di ieri a tratti è stato davvero emozionante, specie quando calava il silenzio e sembrava strano
d’essere in pieno centro di città, e accompagnava, da lontano, la musica della banda degli ottoni.
Insomma un momento di raccoglimento e riflessione. Mia figlia Chiara ha detto che le era piaciuta
moltissimo e che era orgogliosa di aver partecipato. È andata bene anche se dio sembra stare davvero coi
potenti. Vado a letto, domani cerca di riposarti al caldo. A presto e un abbraccio,
Anna
***
Quando arrivo in largo Cairoli le bandiere sono già predisposte per terra in file da tre. Con un’amica ne
prendo, un po’ titubante, una israeliana.
Avevo letto i comunicati che spiegavano e annunciavano l’iniziativa e avevo deciso di partecipare, perché
mi convinceva l’invito a manifestare per la pace con una posizione che oltrepassa gli schieramenti, nella
convinzione che quando viene colpita la vita soprattutto di civili e di intellettuali occorre fare
testimonianza.
Durante il percorso del corteo sento il peso del simbolo, penso che le bandiere non mi sono mai piaciute,
forse per l’incertezza del mio senso di appartenenza, forse perché la mia ignoranza appanna le origini e le
ragioni dello loro esistenza.
Quando vengono sventolate di solito indicano o stabiliscono distinzioni, differenze, confini che non mi
aiutano a capirne e a condividerne la necessità.
Cerco comunque di concentrarmi sul significato delle bandiere in quel corteo funebre, penso a chi ha
voluto che ci fosse anche quella che porto, mi chiedo se chi l’ha preparata, cucita, legata, è presente, mi
sento in sintonia con coloro che le usano per coprire chi non appartiene più a nessuno se non li sostiene la
memoria, sono addolorata.
Quando in piazza San Fedele la deposito di nuovo per terra, la sua vicinanza alle altre mi fa capire che
quei simboli inequivocabili e duri possono anche essere usati per rendere limpide le idee. Così durante la
lettura dei testi. Le parole definiscono con precisione situazioni, sentimenti, azioni, distinguono e non
escludono, prevedono la responsabilità e la libertà di interpretare, invitano a un pensiero che individua in
se stessi l’altro.
Per tutto questo ringrazio chi ha pensato, organizzato, reso possibile manifestare dimostrando quanto è
importante, difficile, in pericolo il tempo della riflessione.
Fernanda
Torino, 13 aprile 2002
***
Cara Maria,
ti invio le foto della manifestazione dell’11 aprile. Fammi sapere se le hai ricevute,
Marisa Erbani
***
Cara Maria,
grazie a te per averci coinvolti in questa iniziativa dandoci la possibilità di contribuire, nel nostro piccolo,
ad una causa tanto importante.
Mi ha molto colpito la serenità con cui hai diretto ogni particolare organizzativo della manifestazione e
ancor più l’attenzione che hai prestato a tutti i collaboratori ed a ciascuno in particolare.
Cercherò di tenere a mente questa sensazione in modo da averla chiara quando mi troverò, come spesso
accade, a dover coinvolgere, e poi coordinare, altre persone in attività di questo tipo.
Ciao e grazie ancora,
Fabrizio De Giovanni/ITINERARIA
***
Cara Maria,
grazie per la piccola cronaca e per i testi che erano meravigliosi.
Sono ossessionata da questo conflitto e soprattutto dalla mia incapacità di prendere una posizione netta, al
di là dell’ovvia condanna alle azioni del governo Sharon. Forse questo è il prima caso in cui – proprio io
che rimprovero ai miei connazionali di avere rinunciato a un pensiero politico (qualunque, perché no?) in
cambio di un egocentrismo assoluto – non riesco a pensare politicamente, appunto. Mi viene da chiedermi
come deve essere la vita di una che manda i figli a scuola e si chiede se ritorneranno o se qualcuno farà
saltare lo scuolabus. E ancora se, tornando vivi, la troveranno a casa oppure nell’elenco delle vittime
cadute in un supermercato devastato. E contemporaneamente provo a immaginare quanta disperazione
spinga uno a fare il kamikaze, oppure se i bambini dell’altra parte, anche loro, siano sempre sicuri di
ritornare a casa. Insomma non riesco a uscire da una specie di contorta visione proiettiva (la stessa che
rimprovero ai miei connazionali). E non mi bastano i luoghi comuni del tipo hanno torto tutti (ma uno di
più, e questo è incontestabile). Non riesco a esprimere bene quello che penso, dato che sono confusa assai
e quindi non esprimo altro che confusione. E invece avrei voglia di fare ordine perché mi sembra che ci
stiamo facendo passare sulla testa troppe cose.
Mi viene da pensare che sto cedendo alla paura e che è questo a confondermi le idee.
Un abbraccio e a presto,
Antonella
***
Chère Maria,
à bientôt et encore bravo pour l’organisation de l’émouvant évènement que nous avons tous vécu.
Je t’embrasse,
Jean-Ray Gelis
***
Cara Maria,
La nostra “azione” è stata insieme una partecipatissima commemorazione funebre alla vittime di laggiù e
insieme un grande colpo di teatro. Quella piazzetta cosparsa di feretri inzuppati di pioggia e quelle
sconvolgenti e umanissime parole dette che inchiodavano l’attenzione e l’emozione dei presenti mi
resterà nella memoria come alcune scene della “Classe morta” di Kantor.
Vorrei tentare di rilanciare almeno la lettura intercalata dagli ottoni in uno spazio teatrale […].
Ciao,
Milli
***
Cara Maria,
che dire? Moltissimo e silenziosamente ma non solo.
Un po’ di magone, drammatica solidarietà, condivisione di solitudini, belle facce di donne, nomi, corpi,
qualche lacrima sul ciglio, molte dentro, bandiere bagnate, bellissime parole per vite appassionate e
segnate.
[…] Ti prego, mandami la poesia di Darwish sull’Identità, altre cose sull’identità e sull’odio, quella di
Paolini e sull’amore anche.
A presto,
Giuseppe
***
Care amiche,
ringrazio al contrario voi per la vostra continua presenza accanto al popolo palestinese.
Mai come ora c’è bisogno di gente come voi.
Ciao
A presto
Khader
***
Maria mi hai commosso, sono felice che la manifestazione sia riuscita nonostante la giornata infame e mi
rimane il dispiacere di non essere riuscita a raggiungervi... un grande abbraccio e mi raccomando
continuate il vostro duro lavoro,
Cecilia
***
LETTERA A UN AMICO LO NTANO
“La pioggia... testarda, impertinente...
h. 16.30
A Piazza San Fedele convinciamo i tecnici del furgone-fonica ad allestire una sorta di tettoia, un telo
verde copre il microfono e la viola da gamba [...]
A Largo Cairoli arrivano i primi infreddoliti coraggiosi. Pigi riveste la sua cinepresa con una busta della
spesa, un ombrello appena comperato finisce nelle mani di Andrea che segue i passi e gli scatti di Pigi
come un paggetto il suo cavaliere... tra i pochi che diventano tanti, tante.
h. 17.30
Arriva il furgone con le bandiere-feretro, che cominciamo a deporre in file di tre lungo via Dante... in
silenzio, augurandoci che smetta di piovere, che la gente arrivi... che ci siano abbastanza spalle,
abbastanza occhi... piedi…
quasi le 18
Largo Cairoli è circondato da divise discrete, da forze dell’ordine che non osano interferire... qualcuno
solleva il proprio feretro, si allinea dietro al primo striscione… altri fanno lo stesso... tutti, imitando il
vicino, obbediscono a una regia timida ma precisa, silenziosa, studiatissima.
Gli ottoni arrivano alla spicciolata, sembra non siano un numero sufficiente, ma poi no, sono 7, no 8,
forse 10... aprono il corteo con il loro lamento.…
Pino sembra un direttore d’orchestra... allarga, allunga, modula il corteo che muove i primi passi.…
h.18.20
Magicamente ci sono tutti... tutti i 100 feretri sono sulle spalle di tutti/e... e ancora altri seguono e
circondano... la polizia ferma il traffico, libera le strade....
Pino occhi attenti rivolti verso il corteo cammina come un gambero... accanto, attorno… indietro,
svolazzo anch’io....
Cederna segue il corteo... anche Paolini… e Mariagrazia Mandruzzato... Isabella Carloni...
Ferni e Antonietta sorreggono un feretro israeliano.
Andrea segue come un furetto il nostro cameraman che danza tra ombrelli e pozzanghere..
18.40… Maria si commuove... la musica, il silenzio composto… le 50 donne musulmane che hanno
aderito… e portano il loro feretro... ma sono molti i visi rigati di pioggia, e lacrime...
19.00 circa... la piazza…
io e Maria siamo già al furgone, la viola da gamba fa qualche prova… io provo i microfoni... arrivano...
Pino dà forma al corteo... che deve superare la statua di Manzoni... silenzio... la viola da gamba si
annuncia da sé... lentissimamente
ciascuno depone le bare... allineate vicine a una distanza perfetta, voluta… è un movimento lento, muto....
Il passaparola è che dopo aver deposto la bara ci si metta attorno... gli attori si dispongono accanto al
furgone... osservano il corteo che si scioglie e si ricompone a terra, cimitero perfetto.…
19.20..
Paolo Rossi ammalato arriva, ma riesce a leggere solo un pezzo, Isabella Carloni lo sostituisce... e apre la
veglia... un po’ lunga ma regge..
e poi Paolini, Mandruzzato che strappa un applauso... mentre continua a piovere piovere...
incessantemente... siamo zuppi ma insensibili... e ancora, Andrea da ombrellifero è diventato attore, con il
suo appello dei Refusenik… e poi la viola da gamba mentre si alternano Lella Costa e Cederna, che
improvvisamente è Marwan Barghuti, forte e coraggioso,… e Gualtieri e la sua voce….
Intanto Paolino Rossi se ne deve andare... un taxi… sì, abbiamo prenotato… sì… ma alle 19.40... (dove
sei??)... chiamo l’8585... arriva un altro taxi... (l’hai chiamato tu?)… perfetto, se ne va... c’è ancora tanta
gente... bagnata, attenta.
Un bambino “gioca” con una spada fra i feretri... corre e torna dalla mamma lanciando la sua stupida
arma... ecco, assurdo, no??
Faccio il giro del furgone, mi accovaccio accanto alla madre... gentile, civile... (ho imparato la lezione di
corso Buenos Aires??) le dico che quelle non sono solo bandiere, sono simboli, sono feretri... e che quel
giocattolo come lo chiama lei, è un’arma... sì, certo è un bambino... ma non per sempre… e lei come
Peled, è una madre... che… glielo dica cosa fa quel “giocattolo rabbioso”!!! Mi guarda incredula... ma
tiene il suo bimbo con sé... la spada nella sua piccola mano “innocente”.
Paolini se ne va.
Ancora musica quella di Khaled e Noah che cantano “Imagine”… la piazza, vicina, fiduciosa, si saluta…
viene verso di noi... c’è anche Mariani con consorte... che mi bacia, riconoscente per l’emozione... ci
invita presto per tanti racconti...
Rimaniamo ancora un po’ sotto la pioggia, testarda... testardi/e noi.. tutte tutti a ringraziare, salutare…
Pigi ha finito la seconda cassetta... speriamo non si siano inumidite troppo…
Ferni, Antonietta... festanti come bambine... Andrea e Pino riavvolgono il lungo telo-lenzuolo come in
una cerimonia del bucato... i feretri tornano bandiere avvoltolate... bagnate, trasparenti come veli…
Ultimi saluti, abbracci… partenze, gli occhi grati, i sorrisi pieni....
Arriva persino Marco Maroni... a cose già fatte… il traffico, sì… però voleva esserci...
Fa freddo, freddissimo, abbiamo le ossa inzuppate, ce ne accorgiamo solo ora…
Qualcosa di caldo… una pizza!!
Sì, al Pavillon… tavolo per sei.… a raccontarci tutto, ogni metro, ogni faccia, ogni gesto... persino di un
carabiniere spilungone che si è commosso...
e... ancora tanto… di quelle parole che sono passate... entrate... che hanno scosso, provocato, disturbato,
forse…
mancavi solo tu, a tutte, a tutti, sai???
beh, non è tutto ma quasi...
sono ancora un po’ stordita...
Cat
***
Mi spiace solo che la banda sia arrivata un po’ alla spicciolata, ma d’altra parte c’è chi è riuscito a
liberarsi solo un po’ dopo dal lavoro
anche a noi ha fatto piacere esserci
alla prossima,
Gigi (il flauto che se ne stava tutto a sinistra...)
***
Carissime,
complimenti per la manifestazione secondo me riuscita molto bene.
Il ginocchietto destro era molto provato dallo stop and go e soprattutto dallo stop in piazza San Fedele,
quindi ho dovuto allontanarmi per metterlo a riposo.
Vorrei sapere come si è concluso l’evento e ragionare anche sulle nostre responsabilità di europee/i che
richiederebbero, tra le molte altre cose, autocritica e magari un esplicito sostegno al buon lavoro di
Morgantini a Strasburgo e alle buone prese di posizione del liberale Watson.
Perché la bandiera della pace non è calpestata dal solo Sharon e non solo gli ebrei (che l’hanno fatto in
gran parte) hanno titolo per prendere posizione politicamente in modo esplicito rispetto alle loro stesse
responsabilità.
Cari saluti
Mariagrazia Campari
***
Ciao Maria, ieri sera poi a un certo punto me ne sono andata prima della fine. Sono arrivata a sentire il
documento degli israeliani obiettori poi surgelata e senza più l’uso delle mani mi sono incamminata verso
casa anche perché l’anziano papà, 82 anni, cominciava a sentire male alle ginocchia.
Dicevano che saremo stati duemila. Duemila eroi aggiungo io, certo che “gott mit uns”, cazzo, sta quasi
sempre dall’altra parte...!
Ciò detto ti saluto, per adesso,
Silvia
***
Gentile Signora Nadotti,
volevo farle sapere che c’ero, anche se di lato, per capire esattamente cos’era questo corteo.
Ne ho osservato con grande rispetto la sobrietà e la sensibilità al dramma, e sono stato coinvolto
dall’atmosfera di lutto trasversale, anche se io non condivido l’opzione interpretativa che nel testo di
convocazione cita solo l’occupazione Israeliana, come elemento distruttivo nel Medio Oriente.
L’occupazione deve finire, gli israeliani devono andarsene, ma lo storico rifiuto di molti paesi arabi, la
scelta degli attentati contro i civili di una parte consistente dei militanti palestinesi, pongono problemi,
anche a noi che difenderemo sempre il diritto dei palestinesi ad avere un loro stato autonomo, vicino ad
uno stato di Israele sicuro.
Di certo la ricetta di Sharon non è la mia.
Le segnalo questi due articoli di oggi, che descrivono molto bene uno stato d’animo anche mio; a presto,
Emanuele Fiano
http://www.dsmilano.it/att2002/mi2_0411_non-da-una-parte-sola.htm
http://www.ilfoglio.it/articolo.php?idoggetto=2595
***
Abbiamo ricevuto i testi che già avevamo tanto apprezzato nella veglia dell’11 aprile scorso.
Vi ringraziamo molto per il vostro impegno e chiediamo che Dio vi benedica e vi ricompensi.
Casa della Cultura Islamica
via Padova, 144
Milano