Associazione per una Libera Università delle Donne
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Associazione per una Libera Università delle Donne
Associazione per una Libera Università delle Donne - onlus Milano, 11 aprile 2002 Largo Cairoli - Piazza San Fedele VEGLIA PER LA PALESTINA CONTRO L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA Promosso da: Libera Università delle Donne – Milano, Action for Peace, Donne in Nero – Milano, Guerre & pace Stampato in proprio – Maggio 2002 – Milano Associazione per una Libera Università delle Donne - onlus Milano, 11 aprile 2002 Largo Cairoli - Piazza San Fedele VEGLIA PER LA PALESTINA CONTRO L’OCCUPAZIONE ISRAELIANA TESTI / LETTERE / DOCUMENTI a cura di Maria Nadotti e Paola Redaelli Stampato in proprio – Maggio 2002 – Milano Sommario In forma di introduzione Documento di invito Appello di 125 intellettuali e personalità palestinesi, novembre 2000 “Carta d’identità”, di Mahmoud Darwish “L’odio”, di Wislawa Szymborska “Sette livelli di disperazione”, di John Berger “Nel mio paese la Morte ha dominio”, di Nurit Peled “I loro nomi” Appello dei militari israeliani obiettori di coscienza, gennaio 2002 “Cosa ne sanno gli uomini della vita? Il Medio Oriente”, di Robin Morgan “Preghiera”, di Feisal Husseini “Volete la sicurezza? Date la libertà ai palestinesi”, di Marwan Barghuti “L’amante”, di Mahmoud Darwish “C’è dolore…”, di Mariangela Gualtieri “Arrancame”, di Eric Fraj Prima della manifestazione. Adesioni Dopo la manifestazione. Lettere Le curatrici ringraziano la Libera università delle donne di Milano per l’ospitalità concessa alle promotrici e ai promotori del corteo funebre e della veglia e per aver fatto stampare a sue spese questo opuscolo, e Samuele Pellecchia - TamTam, per la foto che compare in copertina. In forma di introduzione Ci troviamo in quattro, in un bar di via Moscova, in una notte di pioggia di fine marzo, dopo un incontro sull’Iran alla Libera università delle donne. Fumo e molti ragazzi intorno che parlano a voce alta. L’operazione Muraglia di difesa non è ancora scattata, ma le notizie provenienti dal Medio Oriente sono ogni giorno più terribili. Sedute a un tavolino, Anita, che ci ha convocato perché “bisogna fare qualcosa”, Caterina, Maria e io cerchiamo di capire come mai nessuno si muova, nessuno manifesti spontaneamente il suo sdegno nelle piazze per quello che sta succedendo nei Territori occupati e in quelli assegnati all’amministrazione dell’Anp in seguito agli accordi di Oslo. Perché la sinistra istituzionale se ne lavi sostanzialmente le mani, trincerata nella ripetizione del salomonico slogan “due popoli-due stati” di cui da anni si serve per mascherare la sua inerzia rispetto a ciò che realmente è accaduto, a partire dalla morte di Rabin, in Israele e nei Territori. Perché abbia continuato a mentire, affermando che esisteva in Israele “una maggioranza pacifista”, a dar credito a un uomo come Peres… Perché si ostini a mettere sullo stesso piano i disperati attentati suicidi palestinesi in Israele e la politica deliberatamente portata avanti dal governo, dai coloni e dalle forze armate israeliani nei confronti di una popolazione senza stato e senza esercito: uccisioni continue di civili, assassini mirati di esponenti politici, distruzione di case, infrastrutture, scuole, ospedali, umiliazione quotidiana ai posti di blocco, espropri, affamamento, riduzione dei villaggi, dei campi profughi e delle città a grandi prigioni a cielo aperto. Perché non dica a chiare lettere che l’occupazione militare e coloniale israeliana dei Territori uccide tutti: i palestinesi innanzitutto, da cinqua nt’anni, e ora inevitabilmente anche gli israeliani. Io e Maria cerchiamo di rispondere ad Anita che si chiede come mai la società italiana sia così cambiata e i giovani di oggi non si indignino come accadeva un tempo contro la guerra americana in Vietnam. Come mai in Europa ci si rifiuti di sentirsi responsabili delle conseguenze drammatiche che una delle pagine peggiori della nostra storia, l’Olocausto, ha prodotto per i palestinesi e non si abbia il coraggio di chiedere con forza a Israele di rispettare il diritto internazionale, i diritti umani, di fermarsi. Come mai le nostre amiche femministe, che in momenti meno tragici si sono impegnate per tenere aperto il dialogo tra donne palestinesi e donne israeliane, ora tacciano. Ci diciamo che le immagini trasmesse dai media non sconvolgono più nessuno, che solo chi è stato nei Territori occupati torna con la certezza delle atrocità che là stanno succedendo e che, paradossalmente, nell’era dell’informazione in diretta, “andare a vedere”, per convincersi della “realtà” di ciò che avviene altrove, sembra più necessario di prima. La discussione si fa sempre più complicata, e noi stiamo per essere sopraffatte dall’impotenza. Anita ripete “dobbiamo fare qualcosa”. Va bene, ma cosa facciamo? Una discussione alla Libera università? No. Nessuna di noi vuole discutere in questo momento. Vogliamo poter esprimere pubblicamente il nostro stato di angoscia profonda, esprimere il dolore per ciò che sta succedendo, dire che nelle vittime dell’occupazione israeliana noi riconosciamo una parte di noi e della nostra stessa umanità ferita. Una delle solite manifestazioni? No. Dobbiamo sottrarre la tragedia palestinese ai riti dell’urlo, agli slogan arrabbiati con cui a migliaia di chilometri dai luoghi dei massacri spesso si crede di liberarsi della propria impotenza. Dobbiamo ricreare qui a Milano una situazione che emotivamente coinvolga chi vi partecipa e che gli faccia vivere in prima persona, anche se in minima parte, il dolore, la sofferenza, la disperazione, lo smarrimento che ogni giorno provano migliaia di donne e di uomini. Dobbiamo restituire un nome alle persone che ogni giorno la televisione chiama “palestinesi morti”, e con il nome ricordare la vita che ciascuna di loro ha vissuto. Facciamo un corteo funebre, dice Maria. E la proposta è subito accolta. Ma non solo: organizziamo un corteo funebre e una veglia in una piazza di Milano. Noi possiamo permetterci il tempo del lutto, loro no. Per un momento ci guardiamo in faccia in silenzio, rendendoci conto di essere solo in quattro… Ci chiediamo quante persone ciascuna di noi possa coinvolgere, perché nel frattempo abbiamo deciso: costruiremo cento feretri coperti ciascuno da una bandiera palestinese e ci vorranno almeno quattrocento persone per portarli; scriveremo un documento sul quale chiederemo adesioni; stamperemo cinquemila adesivi da distribuire in tutta Milano; sceglieremo dei testi politici e letterari da leggere durante la veglia; chiederemo ad alcuni attori di dar loro voce e corpo; raccoglieremo in un fascicolo i nomi delle donne e degli uomini palestinesi vittime dell’occupazione israeliana durante la seconda Intifada. Il corteo che faremo per ricordarli dovrà essere assolutamente silenzioso, perché ognuno possa riflettere e pensare. Intanto fissiamo una data provvisoria per la manifestazione, in aprile, perché tra poco ci sarà Pasqua, le vacanze, e poi un foltissimo gruppo di milanesi sta partendo per i Territori a fare “interposizione pacifica”. Ci dividiamo i compiti più urgenti. Maria e Caterina si occuperanno della veglia in piazza e faranno da “ufficio stampa”. Anita penserà a feretri e bandiere. Io raccoglierò tutti i dati possibili sulle vittime palestinesi e stamperò gli adesivi. Andiamo a casa molto tardi, con la vaga idea di aver osato troppo. A dispetto delle peggiori previsioni, non rimaniamo a lungo sole. Anita trova un gruppo di donne che si appassionano all’idea di cucire le bandiere palestinesi: sono quelle del Comitato Salute-Territorio della Zona 2, più Fiorangela, Natalina, Carla e Anna. Un’altra Maria si presterà più tardi a farne alcune israeliane. Una vecchia amica, Lucia, e suo marito ci prestano le tavole di legno per i feretri; Lodovica, da Palermo, mi aiuterà a tradurre e redigere il fascicolo che raccoglie 1.161 nomi di donne e uomini palestinesi uccisi tra la fine di settembre 2000 e il 26 marzo 2002; Orietta confezionerà gli striscioni. Maria, dopo che il documento è stato steso, contatta attrici e attori che si dichiarano disponibili a leggere durante la ve glia i testi che proporremo loro o che ci proporranno. Milli assicura che anche Lella Costa sarà con noi. Caterina e Anita trovano addirittura due amici cineasti, Pierluigi e Gisella, che verranno a riprendere tutta la manifestazione e ne faranno un video. Lorenzo, un altro amico di Anita, sarà disponibile a montare in piazza San Fedele, per un prezzo contenuto, tutte le attrezzature necessarie per dar voce agli attori. Adriana ci garantisce che Action for Peace non potrà che essere al nostro fianco. Intanto, l’operazione Muraglia di difesa è iniziata. Organizziamo una riunione di tutti coloro che si sono detti in linea di massima d’accordo a promuovere il corteo e la veglia: la Libera università delle donne, Action for Peace, le Donne in nero, la rivista “Pace & Guerre”. La riunione all’inizio appare un po’ burrascosa. Prese dall’ansia che non tutto marci per il verso giusto, noi quattro tendiamo a mettere le cose “sull’organizzativo”. Gli altri invece, e a ragione, vogliono discutere. Già da qualche giorno Caterina e Paolo ci hanno fatto notare che sarebbe proprio sbagliato non portare anche dei feretri coperti da bandiere israeliane per ricordare i civili vittime di attentati in Israele e non hanno fatto fatica a conquistarci alla loro proposta, perché sia mo davvero convinte che “l’occupazione uccide tutti”. Abbiamo interpellato anche i nostri amici palestinesi in Italia e anche loro sono d’accordo. Ma, ora, alla riunione, è l’idea stessa del corteo funebre a suscitare perplessità, e per i motivi più vari. A Stefano, che ha aderito con Giorgio e Valeria, dicendo che sarebbero venuti con uno striscione “ebrei contro l’occupazione”, in realtà non piace affatto: dice che la politica si fa per i vivi e non per i morti. Giorgio addirittura odia tutte le bandiere, compresa quella di Israele. Milli teme che pochi feretri coperti dalle bandiere israeliane in mezzo a tanti coperti dalle bandiere palestinesi possano suonare come un insulto. Maria Giulia è preoccupata che la gente possa pensare che noi piangiamo anche i militari e i coloni israeliani morti. Maddalena e Anna Maria ci fanno sapere che la cosa è “troppo funerea” e che loro al corteo non verranno. Marinella e Roberta si lamentano del nostro “dirigismo”, anche se poi saranno loro a rivelarsi indispensabili. Piero, Adriana, Vincenzo e Mariagrazia appoggiano incondizionatamente. Alla fine, a sera tarda, si decide che, anche se non tutti sono d’accordo su tutto, il corteo e la veglia si faranno, l’11 aprile. Ci si distribuisce i testi proposti da Maria, da tradurre e “ridurre” per la veglia. Cerchiamo l’adesione della Cgil e dei Ds, che non arriverà mai. In compenso aderiscono tantissimi altri, singoli e organizzazioni, via e-mail, scrivendo all’indirizzo internet aperto per la manifestazione. Sono molte anche le persone che ci dicono addirittura quante altre porteranno con loro, rispondendo a una richiesta precisa formulata da Maria, che dall’inizio si distingue per le sue capacità di regia e di coordinamento delle cose grandi e piccole. Alla fine di questo opuscolo abbiamo raccolto una selezione dei messaggi di adesione al corteo e alla veglia di cui i mittenti hanno saputo attraverso i canali più strani. I quotidiani, a parte il “Corriere della sera” e “il Manifesto”, si sono ben guardati dal darne persino l’annuncio. Del resto, la censura più assoluta colpirà anche la notizia del corteo a cose fatte: a parte un fedele articolo pubblicato da “Liberazione”, e poche righe negligenti comparse sempre su “il Manifesto”. Solo Radio Popolare, e in particolare Cecilia, si è occupata di noi con entusiasmo. Cecilia, anzi, è stata a tutti gli effetti con noi. L’11 aprile piove di nuovo, a catinelle. Laura, che è venuta apposta da Bologna, osserva che solo la pioggia potrebbe accompagnare un evento così triste. Il corteo, incredibilmente più grande di quanto mai avremmo immaginato, preceduto dalla Banda degli ottoni, sfila in silenzio da piazza Cairoli a piazza San Fedele, aperto dallo striscione “Palestina libera. No all’occupazione” e chiuso dall’altro “L’occupazione uccide tutti”. In piazza San Fedele, attorno ai feretri deposti per terra, si tiene la lunga veglia. Gli amici attori Isabella Carloni, Giuseppe Cederna, Lella Costa, Claudia Dulitchi, Mariangela Gualtieri, Andrea Lupo, Maria Grazia Mandruzzato, Marco Paolini, Paolo Rossi, che hanno voluto essere insieme a noi, restituiscono ai testi che abbiamo scelto con tanta cura, l’intensità, l’intelligenza, la passione, la convinzione, lo strazio con cui sono stati scritti; ci sorprendono e ci commuovono perché ciò che alcuni di loro hanno deciso di leggere o cantare in alternativa è in assoluta sintonia con lo spirito con cui abbiamo pensato la veglia. Per un’ora e mezzo inframmezza le loro voci il suono della viola da gamba di Jean-Raymond Gelis, che generosamente è venuto apposta dalla Francia. La lettura che Lorella De Luca e Fabrizio De Giovanni fanno dei nomi e delle circostanze in cui sono stati uccisi alcune donne e uomini palestinesi ribadisce il motivo per cui ci siamo raccolti in piazza San Fedele. Corteo e veglia sono descritti in modo assolutamente personale in una lettera scritta da Cat a un amico che non ha potuto partecipare. La riproduciamo qui insieme ad alcune altre che ci sono giunte dopo la manifestazione. Non so se un corteo e una veglia possano contribuire ad aiutare i nostri amici in Palestina: certo quel corteo e quella veglia hanno cambiato qualcosa in chi li ha preparati e nei tanti che ne sono stati protagonisti. Paola Redaelli Documento di invito Care amiche e cari amici, l’11 aprile 2002, alle ore 18.00, ci troveremo in Largo Cairoli a Milano per dire a gran voce che l’occupazione militare e coloniale dei territori palestinesi da parte di Israele sta seminando la morte in Medio Oriente e uccidendo l’umanità in tutte/i noi. Ecco perché abbiamo scelto di dare alla nostra iniziativa la forma di un corteo e di una veglia funebri. Ecco perché la nostra manifestazione, le cui parole d’ordine sono “Palestina libera: No all’occupazione” e “L’occupazione uccide tutti”, non sarà una generica presa di posizione a favore della pace in Medio Oriente. Convinte/i che la pace non vada invocata, bensì praticata e costruita giorno per giorno da tutte/i – in Medio Oriente come in Europa e negli Stati Uniti –, individuando le cause che scatenano e alimentano il conflitto e lavorando a eliminarle, vogliamo rimarcare che ciò che sta disegnando d’orrore e ingiustizia lo scenario mediorientale non è un’antica inimicizia tra due popoli, bensì l’occupazione militare e coloniale israeliana. Non possiamo e non vogliamo rimanere in silenzio di fronte al massacro che si sta consumando in Medio Oriente. Se le istituzioni politiche e diplomatiche occidentali, indifferenti alle risoluzioni dell’ONU, appoggiano o assistono inerti all’attuazione del piano Sharon, noi – società civile – ripetiamo con fermezza: L’OCCUPAZIONE UCCIDE TUTTI Il corteo vedrà sfilare cento feretri, ciascuno coperto da una bandiera – 92 palestinesi, 1 della pace listata a lutto, 7 israeliane, perché per noi anche i civili israeliani di Tel Aviv e Haifa uccisi negli attentati o gli stranieri caduti nei Territori sono vittime dell’occupazione israeliana. Partiremo alle 18.00 da Largo Cairoli per raggiungere Piazza San Fedele. Lì i feretri verranno deposti a terra. Gli attori Isabella Carloni, Giuseppe Cederna, Lella Costa, Claudia Dulitchi, Mariangela Gualtieri, Andrea Lupo, Maria Grazia Mandruzzato, Marco Paolini, Paolo Rossi, Lorella De Luca e Fabrizio De Giovanni del Gruppo teatrale “Itineraria”, accompagnati dalla viola da gamba di Jean-Raymond Gelis, daranno lettura a testi – lettere, scritture private, documenti, appelli – giuntici dalla Palestina, dal campo della pace israeliano e di altri paesi. RIPRENDIAMOCI IL TEMPO DEL LUTTO E DELLA RIFLESSIONE RIPRENDIAMOCI IL TEMPO DEL PENSIERO E DELLA COMPASSIONE MALATE/I DI GUERRA, DICIAMO NO ALL’OCCUPAZIONE L’OCCUPAZIONE UMILIA, DISTRUGGE, UCCIDE, SPINGE AL SUICIDIO, SEMINA ODIO, CANCELLA LA NOSTRA COMUNE UMANITÀ L’iniziativa è promossa da: LIBERA UNIVERSITÀ P EACE, DONNE IN NERO, GUERRE&P ACE DELLE DONNE – MILANO, ACTION FOR Aderiscono: OSSERVATORIO SUL LAVORO DELLE DONNE DI MILANO, MARCIA MONDIALE DELLE DONNE-GRUPPO DONNE CONTRO LE GUERRE, FORUM DELLE DONNE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA, SOLETERRE-STRATEGIE DI PACE, COOPERATIVA CRINALI DONNE PER UN MONDO NUOVO , SALAAM RAGAZZI DELL’OLIVO -COMITATO DI MILANO, "PER TORNARE A VINCERE " (DS MILANO), ASSOCIAZIONE STOMBAL – STRADELLA (PV), REDAZIONE “LO STRANIERO”, ASSOCIAZIONE PER LA P ACE – MILANO, ARCI LOMBARDIA -MILANO, COOP . SOCIALE TERRENUOVE – MILANO, CENTRO DI P SICOLOGIA E ANALISI TRANSAZIONALE – MILANO, SANDRO ANTONIAZZI, YA BASTA , CENTRO SOCIALE LEONCAVALLO , UNIONE FEMMINILE NAZIONALE, ALTRIMONDI, IL CONSIGLIO DEL CIRCUITO LOMBARDO DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE, GRUPPO ABELE – MILANO, ASSOCIAZIONE “CRINALI”, MAURO BORROMEO CONSIGLIERE ZONA CENTRO STORICO – GRUPPO RIFONDAZIONE, ASSOCIAZIONE DI AMICIZIA ITALIA P ALESTINA, TRIO MILONGA , CRIC (CENTRO REGIONALE D’INTERVENTO PER LA COOPERAZIONE), CONFRATERNITA SUFI JERRAHI-HALVETI IN ITALIA, COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE RSU, RETE UNIVERSITARIA MILANESE, T ERRE DES HOMMES-ITALIA, ANNA MARIA CRISPINO DIRETTORE DI “LEGGENDARIA”, MARISA FUGAZZA SEGR. CGIL LOMBARDIA, CIRCOLO CULTURALE P RIMO LEVI DI BUSTO ARSIZIO, CASA DELLA CULTURA ISLAMICA – MILANO , ATTAC, CIRCOLO ANARCHICO PONTE DELLA GHISOLFA – MILANO, S.IN.COBAS, M° MARTINHO LUTHERO – DIRETTORE DEL CORO CANTOSOSPESO , ACEA ONLUS (AGENZIASTAMPA PER I CONSUMI ETICI E ALTERNATIVI ), CENTRO CULTURALE KURDISTAN ITALIA, AZAD PER LA LIBERTÀ DEL POPOLO KURDO , ASSOCIAZIONE JEMANJA’, “UN P ONTE PER…– SEDE DI MILANO, MAMA ALMA, ASSOCIAZIONE DONNE MUSULMANE IN ITALIA, ASSOCIAZIONE SVILUPPO UMANO O.N.L.U.S., ISTITUTO P EDAGOGICO DELLA RESISTENZA, A.I.CO.S – MILANO, COMMISSIONE INTERNAZIONALE NORD -EST MILANO DI BUSSERO, GATAM (GRUPPO AUTOAIUTO TEMPORANEAMENTE A MILANO ), MIRACOLO A MILANO, VERDI DI MILANO Per adesioni: [email protected] Per il successo dell’iniziativa, dobbiamo poter contare sulla partecipazione di un certo numero di persone. Vi preghiamo pertanto di confermare al più presto la vostra presenza a [email protected] e di indicare in quante/i parteciperete. Appello all’opinione pubblica israeliana* Nel febbraio del 2000, noi, un gruppo di accademici e attivisti palestinesi, rivolgemmo un appello urgente all’opinione pubblica israeliana, in cui esprimevamo il nostro fondato timore che il modo in cui, negli ultimi sette anni, si era evoluto il processo di pace iniziato a Oslo nel 1993 stava inevitabilmente portando a ulteriori conflitti, forse addirittura a guerre, piuttosto che alla meta da noi sospirata: una riconciliazione storica e definitiva che consentisse ai nostri due popoli di vivere in pace, con dignità umana e con relazioni di buon vicinato. In quell’appello esprimevamo la nostra preoccupazione che gli accordi di Oslo erano stati utilizzati da Israele, nonostante le smentite, per creare un’espansione senza precedenti degli insediamenti coloniali, la cui popolazione in questi anni è quasi raddoppiata, e per continuare l’espropriazione della terra palestinese. La libertà di movimento per i palestinesi è stata seriamente limitata mentre la violenza dei coloni contro le nostre comunità è continuata senza tregua. In questo contesto, la popolazione palestinese non ha usufruito di alcuna protezione fisica, legale o politica. L’occupazione militare, una realtà palpabile che ci ha condizionato e condiziona ogni giorno, è stata mascherata da un uso pretestuoso degli accordi di Oslo, in modo da eludere la legge internazionale e la protezione che essa potrebbe consentire per le popolazioni civili palestinesi. […] Secondo la logica distorta che ha dominato i negoziati di pace e le ultime proposte del governo israeliano, il solo modo per l’Autorità nazionale palestinese di ampliare [i fazzoletti di territorio scollegati tra loro che essa amministra], sarebbe quella di fare concessioni che legittimerebbero un certo numero di richieste israeliane che violano in ogni senso il diritto internazionale: per concederci i nostri diritti nazionali su Gerusalemme est, ci chiedono di consentire al mantenimento degli insediamenti coloniali nei territori occupati e di rinunciare al diritto al rimpatrio dei profughi palestinesi. […] I governi israeliani, fossero essi capeggiati dal Likud o dal partito laburista, hanno continuato a immaginarsi che, grazie alla pesante supremazia militare di Israele, avrebbe potuto imporre all’Autorità palestinese la loro iniqua visione dell’assetto definitivo della regione, fingendo agli occhi del mondo che essa costituisse una risoluzione del conflitto. L’illusione che un accordo profondamente ingiusto possa essere raggiunta tra Israele e il presidente Yasser Arafat da solo, il quale dovrebbe poi costringere il suo popolo ad accettarlo, è profondamente miope e ha inevitabilmente condotto alla situazione che oggi, nell’ottobre del 2000, ci troviamo a fronteggiare. Molti di noi sono stati nelle strade negli ultimi tempi, senza fucili né pietre. Avevamo con noi candele per commemorare la morte dei nostri studenti, dei nostri vicini e dei nostri parenti, che avevano cercato di far sentire al mondo con le loro vite quello che noi non siamo stati capaci di fare sentire con le nostre parole. L’idea ingenua e pericolosa che i palestinesi siano scesi in piazza seguendo un ordine di Arafat non è solo un insulto alla nostra intelligenza, ma anche un segno di scarsa comprensione della realtà in cui viviamo. Siamo profondamente preoccupati del fatto che il conflitto sia a volte degenerato in un confronto etnico-religioso, come si è visto con i veri e propri pogrom effettuati contro i cittadini arabi di Nazareth, con il linciaggio dei soldati israeliani a Ramallah, e con i numerosi attentati alle sinagoghe e alle moschee. […] I militari possono porre un freno all’ondata di proteste in corso al prezzo immediato di molte vite, ma nel lungo termine non possono pensare di sradicare il desiderio di un popolo alla ricerca del proprio posto nel mondo al quale ha diritto. Tutto ciò ci condannerà a vedere questa crisi ripetersi, ripetersi e peggiorare nel tempo. Siamo tutti fermamente convinti della necessità di una pace equa e giusta tra israeliani e palestinesi che riconosca il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Anche noi, però, come tutta la nostra comunità, abbiamo ormai perso la speranza di poter risolvere le ingiustizie profonde che caratterizzano la situazione attuale nella cornice degli accordi di Oslo e attribuendo unicamente agli americani la funzione di mediazione tra israeliani e palestinesi. Crediamo che le trattative per raggiungere la pace vadano riprese sulla base dei seguenti principi: 1. Tutte le terre occupate da Israele nel 1967 sono di fatto territori occupati, e la pace potrà essere raggiunta solo con la fine dell’occupazione di questi territori e restituendo in questo modo ai palestinesi il diritto di sovranità e di autodeterminazione. 2. Gerusalemme Est è parte dei territori occupati da Israele nel 1967. Di conseguenza, un accordo definitivo deve comprendere la sovranità palestinese su Gerusalemme Est, e l’impegno al riconoscimento di Gerusalemme come capitale dei due stati. 3. È necessari che Israele riconosca la sua responsabilità nell’aver creato, nel 1948, centinaia di migliaia di profughi palestinesi. Questa è una condizione indispensabile per poter trovare una soluzione giusta e durevole del problema dei profughi, in accordo con la risoluzione 194 dell’ONU. 4. Israeliani e palestinesi devono riconoscere le affinità spirituali e storiche di entrambi con i luoghi santi che si trovano all’interno dei rispettivi confini. Le due parti devono stabilire che l’accesso a questi luoghi è garantito per tutti e ciascuna di esse deve assicurare protezione a chiunque si voglia recare a pregare e a visitarli. In nessun caso l’esistenza dei luoghi santi deve poter essere usata per avanzare pretese di extraterritorialità sui luoghi santi situati entro i confini dell’altra parte. […]. * Sottoscritto da 125 intellettuali e personalità palestinesi nel novembre 2000, all’inizio della seconda Intifada, e pubblicato sul quotidiano israeliano “Ha’aretz” il 10 novembre 2000. Letto da Isabella Carloni. Carta d’identità di Mahmoud Darwish Prendete nota Sono un arabo E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila Ho otto figli E il nono è in arrivo dopo l’estate Andrete in collera? Prendete nota! Sono un arabo Lavoro con altri compagni in una cava Ho otto figli Gli assicuro pane Abiti e libri Con le pietre. Non imploro carità alle vostre porte Né mi inginocchio alla soglia delle vostre sale Dunque andrete in collera? Prendete nota! Sono un arabo Ho un nome privo di titolo Paziente in un paese Dove la gente è in collera Le mie radici Presero terra prima del nascere del tempo E prima dell’inizio delle ere Prima dei pini, e degli ulivi E prima che l’erba crescesse Mio padre – discende dalla famiglia dell’aratro Non da una classe privilegiata E mio nonno – era un contadino Né beneducato, né di buona famiglia! Mi insegna l’orgoglio del sole Prima di insegnarmi a leggere E la mia casa è come la capanna del guardiano Fatta di rami e canne Siete soddisfatti del mio grado? Ho un nome privo di titolo! Prendete nota! Sono un arabo Avete rubato i giardini dei miei antenati E la terra che ho coltivato Insieme ai miei figli E per noi nulla avete lasciato Tranne queste pietre… E così lo Stato se le prenderà Come hanno detto?! Perciò! Registrate in alto alla prima pagina: Non odio nessuno Né usurpo Ma se vengo ridotto alla fame La carne dell’usurpatore sarà il mio cibo Attenti… Attenti… Alla mia fame E alla mia collera! Mahmoud Darwish è il massimo poeta palestinese vivente. La poesia è stata letta da Paolo Rossi. L’odio di Wislawa Szymborska Guardate com’è sempre efficiente, come si mantiene in forma nel nostro secolo l’odio. Con quanta facilità supera gli ostacoli. Come gli è facile avventarsi, agguantare. Non è come gli altri sentimenti. Insieme più vecchio e più giovane di loro. Da solo genera le cause che lo fanno nascere. Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno. L’insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza. Religione o non religione – purché ci si inginocchi per il via. Patria o no – purché si scatti alla partenza. Anche la giustizia va bene all’inizio. Poi corre tutto solo. L’odio. L’odio. Una smorfia di estasi amorosa gli deforma il viso. Oh, quegli altri sentimenti – malaticci e fiacchi. Da quando la fratellanza può contare sulle folle? La compassione è mai giunta prima al traguardo? Il dubbio quanti volenterosi trascina? Lui solo trascina, che sa il fatto suo. Capace, sveglio, molto laborioso. Occorre dire quante canzoni ha composto? Quante pagine ha scritto nei libri di storia? Quanti tappeti umani ha disteso su quante piazze, stadi? Diciamoci la verità: sa creare bellezza. Splendidi i suoi bagliori nella notte nera. Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata. Innegabile è il pathos delle rovine e l’umorismo grasso della colonna che vigorosa le sovrasta. È un maestro del contrasto tra fracasso e silenzio, tra sangue rosso e neve bianca. E soprattutto non lo annoia mai il motivo del lindo carnefice sopra la vittima insozzata. In ogni istante è pronto a nuovi compiti. Se deve aspettare, aspetterà. Lo dicono cieco. Cieco? Ha la vista acuta del cecchino e guarda risoluto al futuro – lui solo. In Vista con granello di sabbia, tr. it. Adelphi Edizioni, Milano 1998, pagg. 188-189. Poesia proposta e letta da Marco Paolini. Sette livelli di disperazione di John Berger Vorrei – da semplice narratore – aggiungere qualche breve osservazione alla discussione in corso. Essere la sola Super-Potenza mina l’intelligenza militare della strategia. Per pensare in modo strategico bisogna immaginarsi al posto del nemico. Solo allora è possibile prevedere, fare finte, cogliere di sorpresa, prendere in contropiede, ecc. Fraintendere il nemico può portare, sul lungo periodo, alla sconfitta. È così che, a volte, cade un impero. Oggi la domanda cruciale è: cosa produce un terrorista internazionale e, estremizzando, cosa produce un martire suicida? (Parlo dei volontari senza nome: i Leader del Terrore sono un’altra cosa. E parlo dei terroristi internazionali, distinguendoli dai terroristi locali, perché questi ultimi – in Irlanda, nei Paesi baschi, in Sri Lanka – sono di solito parte di una storia vecchia di secoli). Ciò che in questo momento produce un terrorista internazionale è, innanzitutto, una forma di disperazione. O, per essere più precisi, un modo di trascendere una forma di disperazione, facendo dono della propria vita. Ecco perché il termine suicida è in qualche modo inadeguato: la trascendenza dà infatti al martire un senso di trionfo. Trionfo su chi si suppone egli odi? Ne dubito. Il trionfo è sulla passività, l’amarezza, il senso di assurdità che emanano da un certo grado di disperazione. È difficile per il Primo Mondo immaginare una tale disperazione. Non tanto a causa della sua relativa ricchezza (la ricchezza produce una sua propria disperazione), ma perché il Primo Mondo viene distratto di continuo e la sua attenzione deviata. La disperazione di cui parlo si crea in coloro il cui stato di sofferenza costringe a pensare a una sola cosa. Decenni vissuti in un campo profughi, per esempio. In cosa consiste questa disperazione? Nella sensazione che la tua vita e la vita delle persone che hai accanto non contino nulla. E lo si sente su tanti piani diversi, tanto da diventare totale. Vale a dire, come per il totalitarismo, senza appello. Cercare ogni mattina quel poco che ti fa sopravvivere un altro giorno. Sapere quando ti svegli che in questa giungla legale non esistono diritti. Scoprire negli anni che niente migliora solo peggiora. L’umiliazione di non essere in grado di cambiare quasi nulla, e di afferrarti a quel quasi che presto porta a un altro punto morto. Ascoltare le mille promesse che passano inesorabilmente accanto a te e ai tuoi. L’esempio di chi resiste ridotto in polvere dalle bombe. Il peso degli uccisi tra la tua gente un peso che spegne l’innocenza per sempre perché sono molti. Questi sono i sette livelli di disperazione – uno per ogni giorno della settimana – che portano, per i più coraggiosi, alla rivelazione che offrire la propria vita per combattere le forze che hanno spinto il mondo al punto in cui è, è il solo modo di invocare un tutto, che è più grande di quello della disperazione. Qualsiasi strategia elaborata da leader politici a cui tale disperazione risulti inimmaginabile fallirà e recluterà sempre nuovi nemici. L’inglese John Berger è scrittore e critico dell’arte. Il testo è stato letto da Marco Paolini. Nel mio paese la Morte ha dominio di Nurit Peled Vi ringrazio di avermi invitata a condividere con voi la lotta per la pace che stiamo portando avanti nel mio paese. Dico il mio paese, ma non so davvero più se questo termine sia corretto. Cosa è veramente mio in questo paese dipende in larga misura da ciò con cui mi identifico, e oggi per me è molto difficile dirlo, perché è faticoso identificarsi con qualcosa in un luogo che ha permesso alla Morte di imporgli il proprio dominio. E nel luogo da cui vengo la Morte ha dominio. Ed è la Morte che mi ha dato una nuova identità e una voce nuova, una voce nuova che è antica come il mondo stesso – la voce della nostra madre biblica – Rachele, che piange per i propri figli, rifiutando di essere confortata perché essi non possono avere conforto. Questa nuova identità e questa nuova voce trascendono nazionalità e religioni e persino il tempo e mettono in ombra tutte le altre identità e ammutoliscono tutte le altre voci che mi sono state date dalla vita. La mia bambina è stata uccisa solo perché era nata in Israele. È stata uccisa da un ragazzo che si sentiva così disperato da assassinare e uccidersi solo perché era nato palestinese. Dopo la morte di mia figlia una cronista mi ha chiesto come potevo accettare le condoglianze della parte avversa. Molto spontaneamente le ho detto che io non accetto le condoglianze della parte avversa. E, quando il sindaco di Gerusalemme è venuto a porgermi le sue, mi sono chiusa nella mia stanza, perché non volevo parlargli né stringergli la mano. Perché per me, la parte avversa non sono i palestinesi, e sono convinta che dividere la popolazione in due fronti nemici, palestinesi e israeliani, sia una divisione sbagliata e criminale. Per me la popolazione della zona e del mondo si è sempre divisa in due gruppi distinti: chi ama la pace e chi ama la guerra. Ma oggi so che in Israele esiste anche un’altra divisione: in una terra dove da trentaquattro anni chi si definisce leader si è guadagnato con mezzi democratici il diritto di uccidere e distruggere ed essere vile e corrotto come e quanto vuole, affinché dei ragazzi si trasformino in esperti assassini, in nome di Dio, per il bene della nazione, o in nome dell’onore e del coraggio, il regno del male domina incontrastato. Questa gente malvagia ha creato anche un altro regno, un regno glorioso che fiorisce e diventa ogni giorno più vasto – un regno che vive e respira sotto i nostri piedi, sotto la terra su cui camminiamo. È lì che abita la mia bambina, fianco a fianco dei bambini palestinesi, ed è lì che io abito fianco a fianco dei genitori palestinesi che, nella maggior parte dei casi, non hanno mai impugnato una pistola e non hanno mai obbedito all’ordine di uccidere. Lì lei abita, insieme al suo assassino, il cui sangue si confonde col suo sulle pietre di Gerusalemme, che da tempo è diventata indifferente al sangue umano. Lì giacciono, l’una e l’altro, entrambi ingannati. Ingannato lui, perché il suo gesto di assassino e suicida non ha cambiato niente, non ha messo fine alla crudele occupazione israeliana, non lo ha portato in paradiso e perché coloro che gli hanno promesso che il suo gesto avrebbe significato qualcosa continuano a vivere come se lui non fosse mai esistito. Ingannata la mia ragazzina, perché credeva che la sua vita fosse sicura, che i suoi genitori e il suo paese la stessero proteggendo dal male e che niente di brutto possa succedere a una ragazzina buona e gentile che va per le strade della sua città, diretta a una lezione di danza. Ingannati entrambi, perché il mondo va avanti a vivere come se il loro sangue non fosse mai stato versato. Vittime entrambi dei loro cosiddetti leader. E quei cosiddetti leader continuano a divertirsi a giocare ai loro giochi assassini, usando i nostri bambini come se fossero le loro marionette, e il nostro dolore un incentivo a andare avanti con i loro scherzi vendicativi. Per loro i bambini sono entità astratte, numeri, e il dolore uno strumento politico. Sanno bene che, per attirare nelle loro schiere un numero sempre maggiore di piccoli soldati giovani e entusiasti, non devono fare altro che trovare un Dio che ordini di uccidere. E ciascuno di loro Lo trova nella propria bibbia, nelle proprie private mitologie. Essi commettono i loro crimini nel nome del Dio ebraico e in nome del Dio mus ulmano, mentre in Irlanda e nell’Europa orientale la gente si uccide per diverse versioni del proprio Dio cristiano. E adesso gli illuminati leader occidentali uccidono nel nome del Dio della Libertà. Ma di fatto ognuno di loro arruola nelle proprie file divinità prodotte dall’uomo – il Dio del razzismo e il Dio dell’avidità e della megalomania. Non è un fatto nuovo nella storia degli uomini. La gente ha sempre usato Dio come pretesto per i propri crimini. I nostri figli, fin dalla più tenera età, fanno la conoscenza di Joshua, l’incensato leader che assassinò l’intera popolazione di Gerico in nome di Dio. Poi fanno la conoscenza del profeta Eliyahu che uccise 450 sacerdoti del Baal, perché praticavano una religione diversa dalla sua, poi fanno la conoscenza di Elisha, discepolo di Eliyahu, che con l’aiuto di Dio dette la morte a 42 bambini che lo deridevano dandogli del calvo. Per non parlare dell’adorato re David e delle sue terribili gesta. Nella nostra cultura che ammette l’omicidio come mezzo per risolve re i problemi sociali e religiosi, e dove gli individui si identificano con gli eroi biblici e si considerano loro discendenti, tutte queste storie vengono esaltate e mettono in ombra la storia del Dio che disse “Non levare la mano sul bambino”. Ma i bambini possono fare la conoscenza anche del Dio che disse “Avrò misericordia di colei che non ha ottenuto misericordia e dirò a coloro che non fanno parte del mio popolo Tu sei il mio popolo”. Credo con molta forza che, solo insegnando ai nostri figli che uccidere un innocente, affamare un innocente, umiliare un innocente sono crimini imperdonabili, possiamo salvarli dall’unirsi alle forze del male che cercano di attirarli nelle loro file. Le forze del male di Israele e le forze del male dei palestinesi. La sola differenza è che Israele, attraverso un’occupazione lunga e crudele, sta rendendo molto facile ai giovani palestinesi volgersi verso la strada del terrorismo. Ma il terrorismo domina entrambe le forze. Un esercito organizzato che terrorizza un’intera popolazione non è meno, bensì più criminale di qualsiasi gruppo di guerriglia. Un illuminato governo del primo mondo che ordina di uccidere degli innocenti è malvagio quanto un qualsiasi capo guerriglia del terzo mondo, di cui sappiamo poco e che non abbiamo mai visto. Non esistono gli omicidi illuminati e gli omicidi barbarici, esistono solo gli omicidi criminali. Per me Sadam Hussein e Arik Sharon, Bush padre e figlio sono tutti una sola cosa, perché tutti hanno inflitto sofferenza e morte a popolazioni innocenti. Se non diciamo ai nostri figli che questi uomini sono dei criminali senza scrupoli non avremo mai persone capaci di escludere in partenza che la nostra morte possa dare soluzione ai problemi sociali e politici. Oggi, quando in Israele non esiste opposizione, sinistra o destra non hanno più significato perché tutti hanno dato il loro consenso alle atrocità che proseguono nel paese. Credo dunque che la condanna europea di questi atti e di chi li compie sia di grande importanza. È ora di dire al mondo che parole come eroismo, coraggio e virilità possono uccidere e che la morte di un bambino – qualsiasi bambino, serbo, albanese, iracheno o israeliano non fa differenza – è la morte del mondo intero, del suo passato e del suo futuro. Che non c’è vendetta per la morte di un bambino, perché dopo la morte di un bambino non c’è altra morte – perché non c’è più vita. E dove non c’è più vita non rimangono più parole con cui amare o odiare, e il solo suono che riecheggia in questa arena di morte è il grido disperato dei bambini che muoiono e delle madri che ne restano orfane. È un grido che non è mai, mai stato ascoltato da politici e generali, soprattutto non a Gerusalemme che tutti pensano sia fatta d’oro, ma che in realtà è fatta di pietre, ferro e piombo. È ora che questo grido venga ascoltato sopra ogni altro, perché questa è la sola voce che resta dopo la violenza, e che comprende davvero il significato della fine di tutte le cose, incluse le guerre. È la voce che comprende ciò che oggi è compreso solo nel regno sotterraneo dei bambini assassinati, cioè che ogni sangue è uguale all’altro sangue e che ci vuole così poco a uccidere una bambina e così tanto a farla vivere. Essa comprende che mettere fine alla guerra significa adottare un approccio dialogico al negoziato e non un approccio da astuto affarista, e capire che si dovrebbe parlare non per mettere in ginocchio l’interlocutore e avere la meglio nella discussione, ma per trovare un punto d’accordo. Mettere fine alla guerra significa che non mi importa quale bandiera verrà messa in cima alla montagna, che non mi importa chi guarda in quale direzione quando prega, che niente è più importante che garantire a una ragazzina di poter andare serena alla sua lezione di danza. Vorrei rivolgermi a tutti i genitori che non hanno ancora perso i loro figli, e a tutti quelli che stanno per perderli: se non teniamo testa ai politici insegnando ai nostri figli a non seguire le loro pratiche assassine, se non diamo ascolto alla voce di pace che viene da sottoterra, ben presto non resterà più nulla da dire, nulla da scrivere o leggere o ascoltare se non il grido incessante del lutto. Vi prego, salvate i bambini. Intervento della pacifista israeliana Nurit Peled al Convegno “L’Italia e l’Europa per la pace in Medio Oriente”, Bologna, 9 ottobre 2001. Letto da Maria Grazia Mandruzzato. I loro nomi* 6. Mohammed Jamal El- Durreh, 12 anni, di Al- Boreij. Morto il 30 settembre 2000. Ucciso da vari proiettili sparatigli al collo e all’addome a Netzarim. 8. Bassam Fayez El-Bilbaisi, 48 anni, di Gaza. Morto il 30 settembre 2000. Ucciso da un proiettile al petto, mentre stava facendo il suo lavoro a Netzarim. Autista di ambulanza. 9. Maher Rajab ‘Obeid, 23 anni, di Jabalia. Morto il 30 settembre 2000. Ucciso da tre proiettili alla schiena a Netzarim. 25. Sara ‘Abdel- Azhim Hassan, 1 anno e 6 mesi, di Nablus. Morta l’1 ottobre 2000. Uccisa da un proiettile alla testa sparatole da un colono. 82. ‘Essam Joudeh Hamad, 36 anni, di Um Safa, Ramallah. Morto l’8 ottobre 2000. Ucciso e mutilato con strumenti acuminati nei pressi della colonia di Halmish. 93. Mu’ayyad Ussama El-Jawarish, 13 anni, di Betlemme. Morto il 16 ottobre 2000. Ucciso da un proiettile alla testa. 104. Tha’er ‘Ali Daoud Mu’alla, 19 anni, di Al- Am’ari, Ramallah. Morto il 20 ottobre 2000. Ucciso da un proiettile alla testa. 110. Majed Ibrahim Hawamdeh, 15 anni, di Al- Tira, Ramallah. Morto il 21 ottobre 2000. Ucciso da un proiettile alla testa. 119. ‘Abdel-‘Azziz Abu Sneineh, 55 anni, di Eb ron. Morto il 23 ottobre 2000. Ucciso da una cannonata, sparata contro la sua casa. 140. Mohammed Ibrahim Hajjaj, 14 anni, di Al-Shojaeya, Gaza. Morto l’1 novembre 2000. Ucciso da un proiettile alla testa. 141. Ahmed Suleiman Abu Tayeh, 14 anni, di Al-Shati, Gaza. Morto l’1 novembre 2000. Ucciso da un proiettile alla testa. 142. Ibrahim Rezeq ‘Omar, 15 anni, di Al-Shati, Gaza. Morto l’1 novembre 2000. Ucciso da un proiettile al petto. 161. Fares Fa’eq ‘Oudeh, 14 anni, di Al-Zaytoun, Gaza. Morto l’8 novembre 2000. Ucciso da un proiettile al collo a Al-Mentar. 166. Hussein Mohammed ‘Ebayyat, 37 anni, di Al- Ta’amra, Betlemme. Morto il 9 novembre 2000. Ucciso da tre missili che hanno colpito la sua macchina a Beit Sahour. 191. Mustafa Mahmoud ‘Oleyan, 54 anni, di ‘Askar, Nablus. Morto il 14 novembre 2000. Ucciso da una grossa pietra al petto, scagliatagli da vicino da un colono. 229. Maram ‘Emad Hassouna, 3 anni, di Ramallah. Morta il 23 novembre 2000. Uccisa dall’inalazione di una grande quantità di gas lacrimogeno. 231. Ghassan Majed Qar’an, 20 anni, di Qalqilya. Morto il 24 novembre 2000. Ucciso da un proiettile al cuore. 254. Shadi Ahmed Za’oul, 14 anni, di Housan, Betlemme. Morto il 30 novembre 2000. Ucciso da un colono che lo ha investito deliberatamente con la sua macchina. 275. Ahmed ‘Ali El-Qawasmi, 14 anni, di Ebron. Morto l’11 dicembre 2000. Ucciso da un proiettile alla testa, sparatogli da un colono, dopo essere stato catturato e costretto a sdraiarsi per terra. 218. Hussein Mohammed Barad’eya, 35 anni, di Sourif, Ebron. Morto il 21 novembre 2000. Ucciso da gravissime ferite infertegli da coloni il 15 novembre mentre stava andando a lavorare. 260. Shehadeh Mousa El-Ja’fari, 27 anni, di Bitunia, Ramallah. Morto il 2 dicembre 2000. Ucciso da un proiettile al collo e uno al cuore mentre stava lavorando in un edificio nei pressi dell’ingresso settentrionale di Al- Bireh. 314. ‘Abdel- Hamid Ahmed El-Khoratti, 34 anni, di Al-Moghraqa, nella zona meridionale di Gaza City. Morto il 7 gennaio 2001. Ucciso da vari proiettili nell’addome, al petto, all’inguine, alle gambe e alle braccia, all’incrocio Al-Shuhada’, Netzarim. È stato lasciato morire di dissanguamento per terra 317. Ibrahim Hassan Abu Moghassib, 70 anni, di Wadi El-Slaqa, Deir El-Balah. Morto il 9 gennaio 2001. Ucciso da un proiettile all’addome, vicino alla linea di frontiera orientale di Deir ElBalah, mentre stava coltivando la sua terra a circa 100 m dal confine. 351. ‘Aaida Doud Fatiha, 42 anni, di Al-Bireh, Ramallah. Morta il 3 marzo 2001. Uccisa da un proiettile, entrato dall’ascella destra e uscito dal petto, nel corso di un cannoneggiamento dalla colonia di Psagot. 381. Eyad Mohammed Hardan, 26 anni, di ‘Arrabeh, Jenin. Morto il 5 aprile 2001. Assassinato dall’esplosione del telefono che stava usando. 445. Tayseer Ismail ‘Awadh El-‘Ar’ eir, 30 anni, di Al-Shojaeya, Gaza. Morto il 19 maggio 2001. Ucciso da quattro proiettili al collo e al petto mentre si trovava nella sua fattoria a circa 200 m dal confine orientale della Striscia di Gaza. 450. Shadi Kamal Ahmed Siam, 18 anni, di Rafah. Ucciso da un proiettile al petto sparato da soldati israeliani posizionati alla frontiera con l’Egitto. Sordomuto. 458. Selmia Omar Ghanem El-Malalha, 37 anni, di Al-Moghraqa, Gaza. Morta il 9 giugno 2001. Uccisa da schegge di una granata sparata da un carro armato israeliano contro la sua tenda. 481. Radwan Dhib Eshtayeh, 38 anni, di Salem, Nablus. Morto il 2 luglio 2001. Ucciso da sei proiettili al collo, al rene e alle gambe. Conducente di taxi. 485. Rasmia Joudeh Subeih Jabarin, 38 anni, di Zhahereya, Ebron. Morta l’11 luglio 2001. Uccisa da un proiettile alla testa mentre si recava al lavoro in Israele. 495. Dhia’ Marwan Helmi Tumeizi, 3 mesi, di Ebron. Morto il 19 luglio 2001. Ucciso da proiettili sparati da coloni israeliani contro l’auto della sua famiglia. 515. ‘Ali Ibrahim El-Joulani, 30 anni, di Qalandya, Gerusalemme. Morto il 5 agosto 2001. Picchiato a morte dopo esser stato colpito da due proiettili alla testa nel corso di scontri armati presso l’edificio in cui risiede il ministro della Difesa. 516. Mahdi Mohammed Mezyed, 26 anni, di ‘Anabta, Tulkarem. Morto il 5 agosto 2001. Picchiato a morte dopo essere stato colpito da due proiettili al petto e alla gamba destra nel corso di scontri armati presso il villaggio di Ramin. 547. Daoud Saleh Fahmawi, 32 anni, di Tulkarem. Morto il 30 agosto 2001. Ucciso da un proiettile alla testa durante un’incursione israeliana nel campo profughi di Tulkarem. 570. Balqis Ahmed El-‘Aarda, 14 anni, di ‘Arrabeh. Morta il 12 settembre 2001. Assassinata da un proiettile di grosso calibro al collo. 688. ‘Eid Zayed Abu Sharekh, 31 anni, di Al-Shati, Gaza. Morto il 26 ottobre 2001. Ucciso da un proiettile alla testa vicino alla frontiera orientale della Striscia di Gaza mentre andava a caccia di uccelli. * I nomi (e le circostanze della morte) di questi uomini e donne palestinesi sono stati scelti tra i 1.161 raccolti nel fascicolo, curato dalle promotrici e dai promotori della manifestazione di Milano dell’11 aprile 2002, I loro nomi. Donne e uomini palestinesi vittime dell’occupazione israeliana durante la seconda Intifada, 29 settembre 2000-26 marzo 2002. Sono stati letti da Lorella De Luca e Fabrizio De Giovanni. 53 militari israeliani rifiutano di combattere per Sharon e per le colonie* Noi ufficiali e soldati combattenti di riserva di Tzahal, che siamo stati educati nel grembo del sionismo e del sacrificio per lo Stato di Israele, che abbiamo sempre servito in prima linea, che siamo stati i primi, per ogni compito, facile o difficile che fosse, a difendere lo stato di Israele e a rafforzarlo Noi ufficiali e soldati combattenti che serviamo lo stato di Israele durante lunghe settimane ogni anno, nonostante l’alto prezzo personale che abbiamo pagato Noi che siamo stati in servizio di riserva in tutti i territori e che abbiamo ricevuto ordini ed istruzioni che non hanno niente a che fare con l’ordine e la sicurezza dello Stato, e il cui unico obiettivo è la dominazione del popolo palestinese Noi che con i nostri occhi abbiamo visto il prezzo di sangue che l’occupazione impone su entrambe le parti di questa divisione Noi che abbiamo sentito come gli ordini che ricevevamo stavano distruggendo tutti i valori di questo paese Noi che abbiamo capito che l’occupazione è la perdita dell’immagine umana di Tzahal e la corruzione dell’intera società israeliana Noi che sappiamo che i territori occupati non sono Israele e che tutte le colonie sono destinate ad essere rimosse Noi dichiariamo che non continueremo a combattere in questa guerra per la pace delle colonie, che non continueremo a combattere oltre la linea verde per dominare espellere affamare e umiliare un intero popolo Noi dichiariamo che continueremo a servire Tzahal in qualsiasi obiettivo che serva la difesa dello stato di Israele L’occupazione e la repressione non hanno questo obiettivo. E noi non vi parteciperemo. * L’appello dei soldati e riservisti israeliani obiettori di coscienza è stato pubblicato nel gennaio 2002 sul quotidiano israeliano “Ha’aretz”. È stato letto da Andrea Lupo. “Cosa ne sanno gli uomini della vita?” Il Medio Oriente di Robin Morgan La baracca è stata appena rasa al suolo a colpi di ruspa. Si crede che il figlio di Inam, un bambino di nove anni, sia tra i ragazzi che hanno scagliato dei sassi contro un convoglio di camion e carri armati israeliani. Spesso, in casi come questo, la risposta consiste nel punire la famiglia: tempo un’ora da quando viene annunciato e l’abitazione è distrutta. Inam è vedova e ha quindici figli da crescere.… Adesso sta ad occhi asciutti in mezzo alle macerie di quella che era la sua casa. I vicini, stretti attorno a lei, guardano e bisbigliano. L’orto è un cumulo di piante contorte, foglie e petali schiacciati sotto i blocchi di cemento. Gli utensili da cucina sono sparsi ovunque, i panni sparpagliati, laceri e sporchi, nella sabbia. Una delle figlie cerca di recuperare una casa delle bambole fatta di lattine di coca cola vuote e di scatole di fiammiferi. I bimbi più piccoli si spingono aggrappandosi alla sua gonna. Adesso sarà costretta a dividere la famiglia, a sistemare qualcuno dei figli presso i parenti in questo e in altri campi. La politica di Israele è di non permettere alla UNRWA di ricostruire la casa, perché i campi sono già sin troppo affollati e hanno bisogno di “spazio”. Inam non ha un posto dove andare. Si aggira tra le macerie, raccoglie una piccola targa di plastica che porta una scritta in arabo. Chiedo che mi venga tradotta: “Se non puoi essere una stella in cielo, sii la lampada che illumina la stanza”. La libera dalla polvere e prende a ammonticchiare le sue cose. ________ Rada ha appena compiuto trent’anni. Vive in Giordania, in uno dei campi più antichi, di cui non farò il nome. Ha perso il braccio destro; le è stato portato via da una granata. Ero una guerrigliera, dice. Conosce un po’ d’inglese e mi chiede di parlare da sole, senza l’interprete. Oggi lavora come assistente in un centro sanitario e spera di riuscire a completare gli studi e a conseguire una laurea in medicina. Vuole curare la gente. La sua storia è semplice e la racconta senza enfasi. “Avevo diciott’anni. Tre dei miei fratelli erano morti combattendo come guerriglieri in operazioni lungo il confine. Un altro era in carcere qui in Giordania. Mia madre passava il tempo a piangere. Mio padre aveva organizzato il mio matrimonio, ma io non amavo l’uomo che mi aveva scelto. Ero innamorata di uno degli amici di mio fratello, un altro guerrigliero. Quando ho fatto quel che ho fatto, io... è stato un modo di vendicare i miei fratelli, di combattere per il mio popolo, e di sfidare mio padre, tutte queste cose insieme. Poi ho visto che l’azione a cui stavo partecipando aveva ferito un bambino. Ma toccava a me – l’uomo che amavo, fu lui a gridarmi di lanciarla, lancia quella granata, lanciala. Lo amavo più della mia stessa vita. Ma forse non più di quanto amassi la vita di quel bambino. Non riuscii a lanciarla. Esplose. Scappammo, ma da allora lui non mi ha più rivolto la parola. Lo avevo svergognato di fronte ai suoi compagni. Fu così che lo perdetti. Alcune sembrano capaci di farcela, ma io – io sono come la maggior parte delle donne, che devono trovare una strada diversa. Mi piacerebbe fare il chirurgo”. Ride. “Una rifugiata palestinese monca di un braccio chirurgo, si è mai sentita una cosa del genere? Troverò qualche altro sistema. Mi piacerebbe curare la mia gente, curare tutta la gente. Mi pia cerebbe curare”. ________ Tahrir ha solo quindici anni, ed è tra i profughi che hanno dovuto evacuare il campo di Burj el-Barajneh. È fiera del suo inglese e dei suoi splendidi voti alla scuola della UNRWA. Pensa di avere ottime possibilità di ottenere una delle borse di studio per l’università fornite dall’organizzazione. “Voglio insegnare”, dice, “e anche scrivere libri e viaggiare”. È bellissima, una giovane donna in boccio che trabocca d’energia. “Aiuterò a mettere fine alle uccisioni e a cominciare a vivere. Odio la morte. Odio che le persone siano crudeli”. Quando le chiedo, come ho fatto con tante altre, quale sia il messaggio che più ci tiene a mandare alle donne nel resto del mondo, ci pensa su a lungo in silenzio. Le risposte a questa domanda hanno finito per formare un motivo. Le donne messe in posizioni di potere dagli uomini dicono: “Uno stato palestinese”. Le donne arrivate alla leadership attraverso i movimenti di base dicono: “Autodeterminazione”. Le donne che lavorano nelle strutture UNRWA dicono: “Aiutateci. Non vogliamo gettare in mare nessuno. Abbiamo soltanto bisogno di spazio per respirare, di cibo, medicine, istruzione, dignità”. Le rifugiate dei campi dicono: “Aiutateci a non fare altri figli; aiutateci a salvare noi stesse insieme ai figli che abbiamo già avuto”. In un modo o nell’altro, tutte stanno dicendo, “Di’ loro che esistiamo”. E Tahrir, gli occhi raggianti d’intelligenza, un sorriso che sprizza ottimismo, ha una risposta tutta sua: “Di’ loro”, dice scegliendo con cura le parole, “quello che mia nonna e mia madre mi hanno sempre detto – che è compito delle donne salvare il mondo. A modo nostro, che non è il modo degli uomini. Di’ loro che ogni volta che una donna combatte per se stessa, in qualsiasi parte del mondo, combatte per me. Il mio nome, Tahrir, significa ‘libertà’”. Bahibbik ya ukhti, “ti voglio bene, sorella”. Più tardi saprò che quello stesso giorno, dopo avermi affidato il suo messaggio, Tahrir è stata uccisa da una granata. ________ Il mio corpo non è una fabbrica di armi. Non ne posso più di essere madre di martiri! Mi piacerebbe curare. La donna che mette al mondo se stessa è libera di aiutare il mondo. Cosa ne sanno gli uomini della vita? Non sono frutto della mia immaginazione. Ogni volta che una donna combatte per se stessa, combatte per me. Il mio nome significa libertà. Di' loro che esisto. Bahibbik ya ukhti. Lei siamo noi. Stralci dal capitolo 7 de Il demone amante, tr. it. La Tartaruga Edizioni, Milano 1998. Newyorkese, ebrea laica, femminista, la scrittrice Robin Morgan ha passato lunghi periodi nei Territori occupati e nei campi profughi del Medio Oriente. Il testo è stato letto da Lella Costa. Preghiera di Feisal Husseini O Dio, il petto è pieno di amarezza, non volgerla in rancore O Dio, il cuore è pieno di dolore, non volgerlo in vendetta O Dio, il corpo è debole non volgere la stanchezza in disperazione il tuo servitore sta reggendo braci. Aiutami a restar saldo la fede è amore. O Dio, la fede è perdono. O Dio, la fede è certezza non spegnere la fiamma dell’amore nel mio cuore O Dio, la volevamo bianca per l'intifada, proteggila ti prego volevamo libertà per il nostro popolo, non schiavitù per gli altri volevamo un focolare per il nostro popolo che vi stesse raccolto, non la distruzione di paesi e focolari altrui O Dio, il nostro popolo è spoglio di ogni cosa fuorché della fede nei diritti il nostro popolo è debole fuorché della fede nella sua vittoria. O Dio, donaci certezza, clemenza e tolleranza, non permettere conflitti fra di noi muta il sangue versato in luce che ci guidi e rinsaldi le nostre braccia, e non alimenti l’odio e la vendetta aiutaci ad affrontare il nemico perché noi lo si aiuti ad affrontare se stesso O Dio, questa è la mia preghiera. Ascoltala, accogli la nostra supplica e guidaci per il sentiero giusto. Feisal Husseini, morto nel luglio del 2001, era membro del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina e ministro dell'Autorità nazionale palestinese per Gerusalemme. Il 31 dicembre 2001 questa preghiera è stata letta da Sari Nuseibeh davanti alla Chiesa di S. Anna, a Gerusalemme. L’11 aprile è stata letta da Isabella Carloni. Volete la sicurezza? Date la libertà ai palestinesi di Marwan Barghuti […] L’unico modo che gli israeliani hanno per raggiungere la sicurezza è semplicemente di cessare un’occupazione dei territori palestinesi che dura da trentacinque anni. Gli israeliani devono abbandonare il mito secondo cui è possibile avere contemporaneamente pace e occupazione, che una coesistenza pacifica sia possibile tra schiavo e padrone. L’assenza di sicurezza degli israeliani nasce dall’assenza di libertà dei palestinesi. Israele avrà sicurezza solo dopo la fine dell’occupazione, non prima. Una volta che Israele e il resto del mondo capiranno questa verità fondamentale, la strada da percorrere diventerà chiara. La fine dell’occupazione permetterà ai palestinesi di vivere in libertà e a Israele e Palestina, stati vicini, indipendenti e uguali, di negoziare un futuro di pace con stretti legami economici e culturali. Non dimentichiamolo, noi palestinesi abbiamo riconosciuto Israele sul 78 per cento della Palestina storica. È Israele che rifiuta il diritto della Palestina a esistere sul rimanente 22 per cento, occupato nel 1967. Eppure sono i palestinesi a essere accusati di non scendere a compromessi, di perdere delle opportunità. Francamente, siamo stanchi di assumerci la colpa dell’intransigenza israeliana quando tutto quel che cerchiamo è l’applicazione del diritto internazionale. […] Se Israele si riserva il diritto di bombardarci con gli F16 e gli elicotteri da guerra, non dovrebbe meravigliarsi quando i palestinesi cercano armi difensive per abbattere quei velivoli. E mentre io e il movimento Fatah al quale appartengo ci opponiamo fortemente agli attacchi e agli attentati contro obiettivi civili in Israele, nostro futuro vicino, mi riservo il diritto di proteggermi, di resistere all’occupazione israeliana del mio paese e di combattere per la mia libertà. Se ci si aspetta che i palestinesi negozino sotto l’occupazione, allora ci si deve aspettare che Israele negozi mentre noi resistiamo a quell’occupazione. Non sono un terrorista, ma non sono neanche un pacifista. Sono semplicemente una persona normale, cresciuta nelle strade palestinesi, che difende ciò che tutti gli oppressi difendono: il diritto di proteggersi in mancanza di aiuti dall’esterno. Questo principio può benissimo condurre al mio assassinio. Così lasciatemi chiarire la mia posizione, affinché la mia morte non sia semplicemente un dato statistico in più in quella che gli israeliani chiamano “guerra al terrorismo”. Per sei anni sono stato rinchiuso come prigioniero politico in un carcere israeliano, dove sono stato torturato, dove sono stato appeso, bendato, mentre un israeliano colpiva i miei genitali con un bastone. Ma dal 1994, quando credevo che Israele volesse seriamente porre fine all’occupazione, sono stato un instancabile difensore di una pace basata sull’equità e sulla giustizia. Ho guidato delegazioni di palestinesi durante incontri con parlamentari israeliani per promuovere la cooperazione e la reciproca comprensione. Cerco ancora una coesistenza pacifica tra gli Stati uguali e indipendenti di Israele e Palestina, una coesistenza basata sul pieno ritiro dai territori palestinesi occupati nel 1967 e su una giusta soluzione al problema dei profughi palestinesi, in base alle risoluzioni ONU. Non voglio distruggere Israele, solo che finisca la sua occupazione del mio paese. Il testo di Marwan Barghuti, segretario del Comitato direttivo del Movimento al-Fatah in Cisgiordania, è stato pubblicato il 30 gennaio scorso dal settimanale egiziano “Al-Ahram” e ripreso dal quotidiano nordamericano “Washington Post”. Barghuti è stato arrestato dall’esercito israeliano durante l’occupazione militare di Ramallah, il 15 aprile 2002. Letto da Giuseppe Cederna. L’amante di Mahmoud Darwish I suoi occhi e il tatuaggio sulle sue mani sono palestinesi, Il suo nome, palestinese, I suoi sogni e la pena, palestinesi, Il suo fazzoletto, i piedi, il corpo, palestinesi, Le sue parole e il suo silenzio, palestinesi La sua voce, palestinese, La sua nascita e la sua morte, palestinesi. La poesia è stata letta da Giuseppe Cederna. C’è dolore di Mariangela Gualtieri C’è dolore. Bussa alla mia porta entra da tutte le mie fessure mi movimenta dentro la pietà. Mi confonde. Non accetto. Non mi consegno a questa solfa di morti. C’è un assedio di corpi che lo so lo so sono tutti miei. Se adesso io inchiodo il pensiero a quell’atto voglio entrare lì dentro a quel pianto se voglio capire la mano che raschia e sconvolge la meccanica sacra di un vivo, lo scassa lo incendia lo schiaccia lo affoga con slancio convinto con tecnica esatta fa male fa male fa così male, se piango anch’io se vorrei prenderli in braccio e portarli nel campo dove c’è una pace di ombra e di pozzo se non prego nessuno, se io non invoco, se l’angelo, se le antiche madri, se se se Spiegami tu, con pazienza, spiega tu se puoi, se vuoi, se hai un mistico modo, se ti è concesso, se parli una sola delle lingue umane, se hai modo, se hai la risposta se sai, se stai fuori del tempo, se vedi se hai ira o pietà se tremi di pena se sei lì che fremi per dire, se non vedi l’ora, se, se, se Avessi la formula degli antichi miracoli avessi le parole, avessi il canto de la guarigione avessi le miracolate mani avessi voce che solo col canto scancella ogni strappo, ogni spina, ogni ordine di distruzione. Avessi io o tu, non importa la parola, una, immensa di tregua, di bacio, di pane, di figliolino, di notte di luna, di dormire vicino. Io non ho questa voce – e tu? Fate piano. Fate piano – per ogni goccia, per ogni delicato dito per ogni tavola partita da un porto rudimentale, antico. Fate piano. ch’è delicato tutto nel suo esile canto d’esserci, fate piano, per carità, fate piano c’è uno spintone sgarbato sulle venature d’ogni colore, c’è un passo pestatore che fa lo schianto delle primavere. Dire per nome tutto, fare grande battesimo allora, benedire voglio. Che il male che facciamo e non vogliamo, che il male che facciamo ci ritorni centuplicato in bene. Centuplicato in bene. In bene. In bene centuplicato. A noi tutti torni. da Chioma di Mariangela Gualtieri, ed. Teatro della Valdoca, 2001. Letto da Mariangela Gualtieri. Arrancame di Eric Fraj Strappami via il male che mi fora il petto, vieni, vieni con la tua mano a far schizzare questo aceto. Vieni, vieni, apri questa carne e sradica questo vuoto, vieni, vieni e ammazza l’amaro di questo cuore che fa male. Strappami via l’oscuro che mi brucia da dentro, vieni, portami la luce della lama che guarisce. Vieni dentro alla nuda nerezza e cava fuori l’oblio. Vieni al patimento puro di questo nome che non risuona. Strappami via il nulla che annoda il mio dolore Vieni, sciogli il peso che affonda il mio disastro. Vieni e spegni l’inferno di un mondo fuori parole, entra nella delizia bestiale di questo pozzo senza fondo. Canzone occitana. Musica di Eric Fraj e Jean-Raymond Gelis. Cantata da Claudia Dulitchi. Adesioni Date: 10/04/2002 17.46 RE: Adesione manifestazione Associazione donne musulmane in Italia Parteciperemo in circa 50 persone. Distinti saluti Aderiamo all’iniziativa di domani, convinti che l’occupazione dei territori da parte israeliana sia la più grave responsabilità della situazione conflittuale in Medio Oriente. Per questo motivo una (piccola) delegazione di Mama Alma sarà presente domani. L’Associazione di Amicizia Italia Palestina aderisce alla vostra iniziativa. Ciao e buon lavoro. Cara Maria, purtroppo non potremo essere presenti all’iniziativa dell’11 aprile perché una parte di noi è bloccata a Ravenna per le prove della nuova produzione che debutterà a giugno a Venezia. Si tratta dell’ultima tappa del nostro Cantiere Orlando. Sarà una riscrittura sullo Shakespeare innamorato e furioso del “Sogno di una notte di mezza estate”. Una parte di noi, precisamente Ermanna, è a Lisbona con lo spettacolo “L’isola di Alcina”. Possiamo solo esserci in “spirito” a questa “necessaria” “veglia”. Un abbraccio forte, Marcella Nonni e tutto il Teatro delle Albe Aderisco alla manifestazione per non cancellare la dignità dell’uomo. Cordiali saluti, Fulvio Spelta Carissime, vi siamo grate per aver organizzato una iniziativa di pace per la Palestina. Mettiamo a disposizione lo spazio del nostro sito http://www.ecn.org/reds/donne.html per ogni comunicazione che riteniate utile diffondere anche attraverso questo canale, e per documentare l’evento con articoli e foto. Un abbraccio, per l’Associazione Iemanja’, Gabriella Gagliardo ADERISCO CON PASSIONE, MALGRADO AHIMÉ NON POSSA ESSERE PRESENTE . Mi farò rappresentare da Cristina Martellosio. Auguri di successo per la manifestazione e ovviamente per la pace in Palestina. M° Martinho Lutero – direttore del Coro Cantosospeso Berlino, il 9 di aprile, un saluto da parte di un’artista francese che vive a Berlino e che è insieme a Voi con tutto il suo cuore per quanto riguarda la manifestazione prevista l’11 di aprile, in solidarietà con il popolo palestinese, Anne-Marie Chatelier Carissima Maria, a me sembra straordinario che abbiate messo insieme tanti artisti; e, purtroppo, la manifestazione è tragicamente urgente: cosa non scontata quando l’avete pensata, visto che in molti non ci aspettavamo che Sharon fosse inarrestabile. Il problema che si è posto a Roma, inoltre, non dovrebbe porsi a Milano, visto che le donne hanno sempre lavorato sui due fronti. Claudio ed io arriveremo alla stazione alle 17 circa: prima non è possibile per precedenti impegni. Poi penso si arrivi rapidamente all’appuntamento. Maria, rassegnati: cerchi le avventure faticose ed è tardi per smettere, è anche il tuo bello. E in questo caso – comunque vada, ma andrà benissimo, ne sono sicura – c’è di mezzo la guerra, la storia. Qualcosa che va oltre noi stessi e che è importante fare. Un bacio, Laura salve Maria, sono Gigi della banda degli ottoni Vinni ci ha detto che vorreste che fosse la banda ad aprire il corteo di giovedì ieri sera alle prove ne abbiamo parlato ma a dire il vero non ne è venuta fuori una decisione ci dovremmo essere, quasi sicuramente in un buon numero, questo sì, ma dire ora cosa faremo forse non è ancora possibile pensiamo potrebbe essere meglio organizzarci sul momento, e vedere gli animi cosa ci dicono... allora a giovedì, Gigi Cari amici, desideriamo comunicarVi la nostra intenzione di promuovere e prendere parte alla manifestazione dell’11 aprile prossimo. Nell’occasione Vi ringraziamo sinceramente per tutti gli sforzi che state facendo. Casa della Cultura Islamica via Padova 144 – Milano Cara Nadia, non ti conosco ma condivido con te la disperazione per il massacro che si sta perpetrando in Palestina. Giovedì verrò sicuramente e cercherò di portare le mie amiche. Un abbraccio, Rosella Angelotti ciao maria, sto facendo girare la comunicazione, ho anche fatto un invio a radio e tv e amici giornalisti, tutto fa brodo. sono ovviamente a disposizione per quel pomeriggio, dimmi se e dove devo venire e a che ore, insomma cosa serve che faccia. bacio silvia Anch’io ci sarò stasera insieme a un’amica. Ho fatto girare la voce nella mia università Scuola per Interpreti e Traduttori e spero che vengano tante altre persone. Mi auguro che il nostro grido contro la guerra venga ascoltato. Ciao, Ambra Grazie, mi sembra sempre di più una gran bella iniziativa. Adriana Cara Maria, ieri con Fernanda siamo andate alla presentazione di un libro sulle donne immigrate a Torino, all’Alma Mater, non so se la conosci, è un centro interculturale delle donne. Ne abbiamo approfittato per distribuire il volantino della manifestazione dell’11 aprile, l’ultimo che tu ci hai mandato, del quale avevamo stampato diverse copie. Speriamo che serva. Allora ci vediamo l’11, io e Fernanda veniamo in macchina, poi la lasciamo dalla parti di San Siro e proseguiamo in metropolitana. Comunque ci teniamo in contatto con i cellulari. Ti abbraccio, Antonietta. Cara Maria, grazie per tutto quello che mi mandi. Andrò alla manifestazione qui a Roma, domani. Ti prego, se puoi, di mandare tutte le notizie di iniziative (in tempo utile, cioè come minimo una decina di giorni prima) anche a [email protected] per la pubblicazione. Ti abbraccio. Mi sento molto vicina a te in questo periodo. Lidia Cari amici e amiche, la vostra iniziativa appassionata e responsabile per cooperare a costruire la pace tra i popoli palestinese e israeliano è un segno di speranza per tutta la città. Avete scelto di ascoltare la voce del cuore e della ragione per contribuire a superare l’indurimento degli animi, il desiderio di vendetta, l’impiego della violenza che annienta, la prepotenza elevata a politica di Stato. Questa è una via vera, povera e disarmata. È vera in quanto non reclama una retorica pace tra i popoli ma distingue tra vittima e aggressore, secondo il principio che non c’è pace senza giustizia; essa è povera perché si appella alla sola coscienza responsabile e solidale; è disarmata perché crede alla potenza della parola condivisa e alla forza degli organismi democratici. Siamo felici di aderire alla manifestazione perché essa risponde alle nostre esigenze di condivisione del soccorso alle vittime e di costruzione di un futuro pacificato nella regione. Ci uniremo anche con le nostre invocazioni al Dio della pace e della misericordia che ci insegna, nella via del crocifisso risorto, a non disperare. Ringraziandovi inviamo un caro saluto e l’augurio di un buon lavoro. Per Il Consiglio del Circuito lombardo delle Chiese evangeliche valdesi e metodiste Sovrintendente Gigi Ranzani Cara Maria, sono tristissima, oltre che per quello che sta succedendo, anche perché l’11 non potrò essere a Milano. Cercherò comunque di mandare questo invito a amiche/amici che possano sostenere l’iniziativa. Vi penserò, Paola Tomai Carissime/i tutte e tutti, grazie di cuore per tutto quello che state facendo a favore del popolo palestinese e della sua lotta per la pace, la liberazione e l’indipendenza. L’occupazione israeliana, con il sostegno militare e politico degli Stati Uniti e il silenzio dell’Europa, sta massacrando un popolo che aspetta da 54 anni l’applicazione della legalità internazionale. Non posso essere con voi alla manifestazione dell’11 aprile, per ragioni di distanze chilometriche (vivo in Sicilia), ma sono con voi idealmente. Farò conoscere l’iniziativa a molti amici. Cordialmente. Farid Adly direttore ANBAMED, notizie dal Mediterraneo Sabato 6 aprile 2002 Aderiamo all’iniziativa dell’11 aprile. Distribuirò la notizia mercoledì durante il nostro dhikr. Sarà presente il mio vice (io ho una conferenza in pari tempo; ma oggi alle mie conferenze non tralascio di esprimere l’opinione su Sharon, Audhu bilLahi min asSharon arRajimi. Sessant’anni or sono la Germania di Hitler portava guerra e distruzione in Europa. Oggi la Germania fa parte dell’Europa unita. Non è la stessa Germania, e Hitler è esecrato giustamente da “tutti”. Mi auguro che tra sessant’anni ci sia un Medio Oriente unito, ne faccia parte Israele così come oggi la Germania fa parte dell’Europa unita, e che Sharon sia esecrato giustamente da “tutti”. A nome della Confraternita sufi Jerrahi-Ha lveti in Italia, il Vicario generale prof. Dott. Gabriel Mandel Khân. beh la mia presenza assolutamente sì (ho anche confermato disciplinatamente all’e-mail indicata) poi sicuramente anche di altri amici, quando mando in giro le cose si spandono a macchia d’olio, inesorabilmente. un abbraccio, Silvia Aderiamo all’iniziativa. Grazie, Sergio Segio, Gruppo Abele – Milano 4 aprile 2002 Desidero assicurare la mia partecipazione alla manifestazione dell’11 aprile. Per il momento sono da sola, ma conto di coinvolgere qualcun’altra/o, di cui darò eventualmente conferma. A presto, Vanda Dalle Molle cara Maria l’11 pomeriggio ho una lezione – fissata da mesi – in un corso di specializzazione UE, per editors and translators […]. Perciò non potrò essere a Milano, mi dispiace perché sarei venuta di corsa. Oggi pomeriggio andrò almeno per un’ora al presidio delle donne in nero – Torino social forum. Un ulteriore elemento di impotenza mi viene dal fatto che nelle nostre vite questi momenti di... non so come definirli, diciamo momenti di politica, sono come compressi dentro le vite che cerchiamo e anche dobbiamo condurre normali. In questo le mie amiche indiane sembrano avere un’abitudine più pacificata a vite in equilibrio tra attivismo e produzione intellettuale – e privilegio, dolente ma pur sempre tale. Sono perfettamente consapevole del fatto che la fedeltà a progetti degni è forse l’unica arma vera di opposizione che ci rimane, ma non mi basta, perlomeno non basta ai miei sentimenti... Ma la vostra idea è buona buonissima. Proprio questo fecero dopo l’11 settembre a Delhi e in altre città, leggere ad alta voce nei parchi cittadini, parole di pace […]. Anna Date: 03/04/2002 0.38 RE: 11 aprile Flash: forse si potrebbe completare lo slogan “l’occupazione uccide tutti” con un “liberiamoci”. Aggiungerei qualcosa che annunci senza svelarla la proposta nascosta nella rappresentazione. Mi viene in mente “liberiamoci”, perché sono la parola (detta, ascoltata, meditata, capita...), la verità, la cultura che fanno l’uomo libero e la nostra serata si conclude, appunto, con la lettura di brani significativi. E non penso solo che la parola non detta, mal detta, non compresa, negata, taciuta, ecc sia un problema esclusivo del conflitto israeliano/palestinese. Lo faccio mio, lo faccio nostro: parola ignorata, storpiata, rifiutata che alimenta il pregiudizio, il razzismo, l’ingiustizia ecc. Mi fermo qui, è tardi per entrambe. Vedi tu. Grazie per la bella proposta dell’11 aprile. Baci Anna Rota Care tutte e cari tutti, vi segnalo una manifestazione importantissima e particolarmente interessante: l’11 aprile a Milano si svolgeranno un corteo e una veglia, funebri, per i morti di questi giorni in Palestina. 450 persone sfileranno portando delle bare, e durante la notte attori di teatro giornalisti fumettisti leggeranno testi di autori palestinesi israeliani e di ogni dove […] per riflettere assieme sul genocidio che si sta compiendo nei territori occupati e per informare il più possibile quelli che come noi stanno al sicuro. L’obiettivo è proprio far capire a quelli che sono andati in gita a Pasqua, che nei luoghi in cui è nato quello a cui hanno fatto la festa si sta consumando uno spaventoso massacro nella più completa indifferenza. Questo può indurre a delle riflessioni sul concetto di guerra umanitaria, sulla differenza fra Kosovo e Palestina, sull’umiliazione e sull’annullamento della propria umanità che l’esercito israeliano sta praticando sui civili palestinesi (come quando si blocca un’ambulanza che porta in ospedale una donna incinta costringendola a partorire in strada e causando la morte del bambino: è accaduto oggi, 2 aprile, a Ramallah). La riflessione deve però essere duplice: anche sul terrorismo dei kamikaze, e sulla loro disperata determinazione a colpire degli innocenti. Perciò ci saranno anche alcune, poche in verità, bare israeliane. Il problema è che per far pensare occorre creare un’occasione, altrimenti si accetta la logica televisiva del buono/cattivo o del presente senza passato. Questa veglia vuole creare questa occasione: forse è l’unica cosa che possiamo fare qui. L’evento è organizzato, fra gli altri, dalla giornalista Maria Nadotti (“Lo Straniero”). Servono però almeno altre 200 persone per trasportare le bare e una diffusione massiccia dell’appuntamento che ovviamente è quanto di più antitelevisivo e semplicistico si possa fare. Per questo sono io a chiedervi di partecipare e diffondere la notizia come se fosse una vostra iniziativa. Per qualunque chiarimento informazione scrivete direttamente al mio indirizzo: […] Credo che i “corsari” ci siano tutti nella lista, ma se mancasse qualcuno, cara Anna, puoi pensarci tu? Con la speranza di incontrarci a Milano, Grazie Pierluigi Carissima, mi avevi già mandato il documento che ho provveduto a divulgare. Farò il possibile per esserci e spero, nel frattempo, che qualcuno si mobiliti anche in altre città. Mi colpisce la sordità nei confronti delle gravità enormi che stanno accadendo nei territori. È grave, gravissimo, terribile ... Grazie ancora Un abbraccio, Francesca Cara Maria, il mio più intenso desiderio in queste ore è di essere personalmente a Ramallah o Bethlemme, a dare una testimonianza di interposizione di pace che non è sostituibile da nessuna parola. Quello che adesso si deve fare è – potendolo – andare lì e interporre i propri corpi alle traiettorie dei fucili e carri armati. Sono molto grata agli amici che lo stanno facendo e credo che il loro esempio e testimonianza abbiano già e avranno in futuro un ruolo decisivo. Purtroppo mia madre sta molto male. Sono lì con tutto il mio senso morale e civico, e qui con il mio senso di affezione filiale. Mi occupo, come forse sai, di gestione creativa dei conflitti e sono stata nei territori occupati un paio di volte, recentemente. Sulle cose da leggere alla manifestazione. Quelle più importanti devono mettere ben in chiaro che l’errore, fin dall’inizio è stato considerare i rapporti fra Stato di Israele e Palestinesi come “cosa loro”, qualcosa che devono sbrigarsi fra loro con qualche mediazione esterna. Invece fin dalla nascita dello Stato di Israele lì si gioca il senso della nostra civiltà, cultura, responsabilità, umanità, intelligenza. Si gioca la capacità della cultura europea di trasformarsi da cultura etnocentrica e razionalista in una cultura capace di saggezza e di accoglienza dell’altro. Si gioca la fine in avanti del colonialismo oppure l’abbandono alle sue degenerazioni. In particolare gli europei, che hanno “finto” di non vedere l’olocausto mentre veniva preparato e attuato, avevano il dovere di garantire sia la sicurezza dello Stato di Israele che la nascita dello Stato palestinese e il suo sviluppo anche economico, non fosse altro che come risarcimento per le ingiustizie e violenze subite dai palestinesi, che hanno pagato i prezzi della nostra codardia. Certamente non era facile e non era “comprabile” una soluzione del genere, ma bisognava lavorarci con costanza , senso di urgenza e di giustizia. Il linguaggio della interposizione di pace fra due parti ridotte ormai a vedere unicamente nella eliminazione reciproca la propria salvezza, non è principalmente un linguaggio verbale, ma di segnali e azioni che cambiano il contesto. Azioni simboliche forti, che mettono in primo piano dei corpi e creano spazi “altri” nei quali tutti coloro che già stanno lavorando per la pace e una difficile accoglienza reciproca e coloro che desiderano farlo, possano entrare e far sentire la propria presenza. Le invocazioni di Tavoli di Trattativa e di iniziative diplomatiche sono in questo momento come minimo premature e fuorvianti. E completamente fuori luogo sono le indicazioni su “di chi è la colpa”, qual è la mano più criminale. C’è una letteratura molto interessante (di cui si sono occupati da John Galtung ad Anna Bravo..) sulle iniziative capaci di mettere allo scoperto e offrire vie d’uscita dalla spirale della “banalità del male”. Forse in futuro potremmo occuparcene. Che ne dici? Comunque i nostri “delegati” all’opera sul fronte in questo momento ce ne stanno dando una dimostrazione. Ci vuole coraggio, coraggio fisico guidato da una idea di saggezza. Cioè: intelligenza. L’11 aprile sarò fra voi, anche se a sera devo partire per Foggia dove il giorno dopo vado a fare una conferenza su Gregory Bateson, il quale comunque non è fuori tema. Ciao, Marianella Cara Maria, vorrei essere dei vostri, sì, e farò di tutto perché questo accada. Ho un impegno il 10 e uno il 12 e debbo capire come poter volare lì l’undici. Ti anticipo che saremo a Milano con PREDICA AI PESCI il 23 e 24 aprile: ségnalo e tieniti libera perché se non ci sarai ci dispiacerà troppo. Un abbraccio, Mariangela Cara Maria, sono d’accordo con il vostro progetto e ci sarò. La situazione è allucinante! Spero che tu stia bene. Io con la primavera comincio a svegliarmi. Assia mi ha mandato un suo testo che le avevo chiesto. È stata molto gentile. Un caro saluto, Grazia [...] che piacere leggerti, (anche se il momento è veramente pessimo). Condivido l’iniziativa, non so se potrò essere presente, per stanchezza, lavoro, salute... auguri laici di Buona Pasqua Tea io ci sarò! monica meraldi associazione Stombal – Stradella (PV) e cercherò di portare quanti amici possibile! Monica Chère Maria, Tu peux compter sur moi pour le Jeudi 11 Avril. à bientôt Jean-Ray Cara Maria, non verrò alla veglia, ma informerò le amiche milanesi. Non esiste un’iniziativa parallela a Roma? […] A presto, spero, D. Lettere Cara Anita, il corteo di ieri a tratti è stato davvero emozionante, specie quando calava il silenzio e sembrava strano d’essere in pieno centro di città, e accompagnava, da lontano, la musica della banda degli ottoni. Insomma un momento di raccoglimento e riflessione. Mia figlia Chiara ha detto che le era piaciuta moltissimo e che era orgogliosa di aver partecipato. È andata bene anche se dio sembra stare davvero coi potenti. Vado a letto, domani cerca di riposarti al caldo. A presto e un abbraccio, Anna *** Quando arrivo in largo Cairoli le bandiere sono già predisposte per terra in file da tre. Con un’amica ne prendo, un po’ titubante, una israeliana. Avevo letto i comunicati che spiegavano e annunciavano l’iniziativa e avevo deciso di partecipare, perché mi convinceva l’invito a manifestare per la pace con una posizione che oltrepassa gli schieramenti, nella convinzione che quando viene colpita la vita soprattutto di civili e di intellettuali occorre fare testimonianza. Durante il percorso del corteo sento il peso del simbolo, penso che le bandiere non mi sono mai piaciute, forse per l’incertezza del mio senso di appartenenza, forse perché la mia ignoranza appanna le origini e le ragioni dello loro esistenza. Quando vengono sventolate di solito indicano o stabiliscono distinzioni, differenze, confini che non mi aiutano a capirne e a condividerne la necessità. Cerco comunque di concentrarmi sul significato delle bandiere in quel corteo funebre, penso a chi ha voluto che ci fosse anche quella che porto, mi chiedo se chi l’ha preparata, cucita, legata, è presente, mi sento in sintonia con coloro che le usano per coprire chi non appartiene più a nessuno se non li sostiene la memoria, sono addolorata. Quando in piazza San Fedele la deposito di nuovo per terra, la sua vicinanza alle altre mi fa capire che quei simboli inequivocabili e duri possono anche essere usati per rendere limpide le idee. Così durante la lettura dei testi. Le parole definiscono con precisione situazioni, sentimenti, azioni, distinguono e non escludono, prevedono la responsabilità e la libertà di interpretare, invitano a un pensiero che individua in se stessi l’altro. Per tutto questo ringrazio chi ha pensato, organizzato, reso possibile manifestare dimostrando quanto è importante, difficile, in pericolo il tempo della riflessione. Fernanda Torino, 13 aprile 2002 *** Cara Maria, ti invio le foto della manifestazione dell’11 aprile. Fammi sapere se le hai ricevute, Marisa Erbani *** Cara Maria, grazie a te per averci coinvolti in questa iniziativa dandoci la possibilità di contribuire, nel nostro piccolo, ad una causa tanto importante. Mi ha molto colpito la serenità con cui hai diretto ogni particolare organizzativo della manifestazione e ancor più l’attenzione che hai prestato a tutti i collaboratori ed a ciascuno in particolare. Cercherò di tenere a mente questa sensazione in modo da averla chiara quando mi troverò, come spesso accade, a dover coinvolgere, e poi coordinare, altre persone in attività di questo tipo. Ciao e grazie ancora, Fabrizio De Giovanni/ITINERARIA *** Cara Maria, grazie per la piccola cronaca e per i testi che erano meravigliosi. Sono ossessionata da questo conflitto e soprattutto dalla mia incapacità di prendere una posizione netta, al di là dell’ovvia condanna alle azioni del governo Sharon. Forse questo è il prima caso in cui – proprio io che rimprovero ai miei connazionali di avere rinunciato a un pensiero politico (qualunque, perché no?) in cambio di un egocentrismo assoluto – non riesco a pensare politicamente, appunto. Mi viene da chiedermi come deve essere la vita di una che manda i figli a scuola e si chiede se ritorneranno o se qualcuno farà saltare lo scuolabus. E ancora se, tornando vivi, la troveranno a casa oppure nell’elenco delle vittime cadute in un supermercato devastato. E contemporaneamente provo a immaginare quanta disperazione spinga uno a fare il kamikaze, oppure se i bambini dell’altra parte, anche loro, siano sempre sicuri di ritornare a casa. Insomma non riesco a uscire da una specie di contorta visione proiettiva (la stessa che rimprovero ai miei connazionali). E non mi bastano i luoghi comuni del tipo hanno torto tutti (ma uno di più, e questo è incontestabile). Non riesco a esprimere bene quello che penso, dato che sono confusa assai e quindi non esprimo altro che confusione. E invece avrei voglia di fare ordine perché mi sembra che ci stiamo facendo passare sulla testa troppe cose. Mi viene da pensare che sto cedendo alla paura e che è questo a confondermi le idee. Un abbraccio e a presto, Antonella *** Chère Maria, à bientôt et encore bravo pour l’organisation de l’émouvant évènement que nous avons tous vécu. Je t’embrasse, Jean-Ray Gelis *** Cara Maria, La nostra “azione” è stata insieme una partecipatissima commemorazione funebre alla vittime di laggiù e insieme un grande colpo di teatro. Quella piazzetta cosparsa di feretri inzuppati di pioggia e quelle sconvolgenti e umanissime parole dette che inchiodavano l’attenzione e l’emozione dei presenti mi resterà nella memoria come alcune scene della “Classe morta” di Kantor. Vorrei tentare di rilanciare almeno la lettura intercalata dagli ottoni in uno spazio teatrale […]. Ciao, Milli *** Cara Maria, che dire? Moltissimo e silenziosamente ma non solo. Un po’ di magone, drammatica solidarietà, condivisione di solitudini, belle facce di donne, nomi, corpi, qualche lacrima sul ciglio, molte dentro, bandiere bagnate, bellissime parole per vite appassionate e segnate. […] Ti prego, mandami la poesia di Darwish sull’Identità, altre cose sull’identità e sull’odio, quella di Paolini e sull’amore anche. A presto, Giuseppe *** Care amiche, ringrazio al contrario voi per la vostra continua presenza accanto al popolo palestinese. Mai come ora c’è bisogno di gente come voi. Ciao A presto Khader *** Maria mi hai commosso, sono felice che la manifestazione sia riuscita nonostante la giornata infame e mi rimane il dispiacere di non essere riuscita a raggiungervi... un grande abbraccio e mi raccomando continuate il vostro duro lavoro, Cecilia *** LETTERA A UN AMICO LO NTANO “La pioggia... testarda, impertinente... h. 16.30 A Piazza San Fedele convinciamo i tecnici del furgone-fonica ad allestire una sorta di tettoia, un telo verde copre il microfono e la viola da gamba [...] A Largo Cairoli arrivano i primi infreddoliti coraggiosi. Pigi riveste la sua cinepresa con una busta della spesa, un ombrello appena comperato finisce nelle mani di Andrea che segue i passi e gli scatti di Pigi come un paggetto il suo cavaliere... tra i pochi che diventano tanti, tante. h. 17.30 Arriva il furgone con le bandiere-feretro, che cominciamo a deporre in file di tre lungo via Dante... in silenzio, augurandoci che smetta di piovere, che la gente arrivi... che ci siano abbastanza spalle, abbastanza occhi... piedi… quasi le 18 Largo Cairoli è circondato da divise discrete, da forze dell’ordine che non osano interferire... qualcuno solleva il proprio feretro, si allinea dietro al primo striscione… altri fanno lo stesso... tutti, imitando il vicino, obbediscono a una regia timida ma precisa, silenziosa, studiatissima. Gli ottoni arrivano alla spicciolata, sembra non siano un numero sufficiente, ma poi no, sono 7, no 8, forse 10... aprono il corteo con il loro lamento.… Pino sembra un direttore d’orchestra... allarga, allunga, modula il corteo che muove i primi passi.… h.18.20 Magicamente ci sono tutti... tutti i 100 feretri sono sulle spalle di tutti/e... e ancora altri seguono e circondano... la polizia ferma il traffico, libera le strade.... Pino occhi attenti rivolti verso il corteo cammina come un gambero... accanto, attorno… indietro, svolazzo anch’io.... Cederna segue il corteo... anche Paolini… e Mariagrazia Mandruzzato... Isabella Carloni... Ferni e Antonietta sorreggono un feretro israeliano. Andrea segue come un furetto il nostro cameraman che danza tra ombrelli e pozzanghere.. 18.40… Maria si commuove... la musica, il silenzio composto… le 50 donne musulmane che hanno aderito… e portano il loro feretro... ma sono molti i visi rigati di pioggia, e lacrime... 19.00 circa... la piazza… io e Maria siamo già al furgone, la viola da gamba fa qualche prova… io provo i microfoni... arrivano... Pino dà forma al corteo... che deve superare la statua di Manzoni... silenzio... la viola da gamba si annuncia da sé... lentissimamente ciascuno depone le bare... allineate vicine a una distanza perfetta, voluta… è un movimento lento, muto.... Il passaparola è che dopo aver deposto la bara ci si metta attorno... gli attori si dispongono accanto al furgone... osservano il corteo che si scioglie e si ricompone a terra, cimitero perfetto.… 19.20.. Paolo Rossi ammalato arriva, ma riesce a leggere solo un pezzo, Isabella Carloni lo sostituisce... e apre la veglia... un po’ lunga ma regge.. e poi Paolini, Mandruzzato che strappa un applauso... mentre continua a piovere piovere... incessantemente... siamo zuppi ma insensibili... e ancora, Andrea da ombrellifero è diventato attore, con il suo appello dei Refusenik… e poi la viola da gamba mentre si alternano Lella Costa e Cederna, che improvvisamente è Marwan Barghuti, forte e coraggioso,… e Gualtieri e la sua voce…. Intanto Paolino Rossi se ne deve andare... un taxi… sì, abbiamo prenotato… sì… ma alle 19.40... (dove sei??)... chiamo l’8585... arriva un altro taxi... (l’hai chiamato tu?)… perfetto, se ne va... c’è ancora tanta gente... bagnata, attenta. Un bambino “gioca” con una spada fra i feretri... corre e torna dalla mamma lanciando la sua stupida arma... ecco, assurdo, no?? Faccio il giro del furgone, mi accovaccio accanto alla madre... gentile, civile... (ho imparato la lezione di corso Buenos Aires??) le dico che quelle non sono solo bandiere, sono simboli, sono feretri... e che quel giocattolo come lo chiama lei, è un’arma... sì, certo è un bambino... ma non per sempre… e lei come Peled, è una madre... che… glielo dica cosa fa quel “giocattolo rabbioso”!!! Mi guarda incredula... ma tiene il suo bimbo con sé... la spada nella sua piccola mano “innocente”. Paolini se ne va. Ancora musica quella di Khaled e Noah che cantano “Imagine”… la piazza, vicina, fiduciosa, si saluta… viene verso di noi... c’è anche Mariani con consorte... che mi bacia, riconoscente per l’emozione... ci invita presto per tanti racconti... Rimaniamo ancora un po’ sotto la pioggia, testarda... testardi/e noi.. tutte tutti a ringraziare, salutare… Pigi ha finito la seconda cassetta... speriamo non si siano inumidite troppo… Ferni, Antonietta... festanti come bambine... Andrea e Pino riavvolgono il lungo telo-lenzuolo come in una cerimonia del bucato... i feretri tornano bandiere avvoltolate... bagnate, trasparenti come veli… Ultimi saluti, abbracci… partenze, gli occhi grati, i sorrisi pieni.... Arriva persino Marco Maroni... a cose già fatte… il traffico, sì… però voleva esserci... Fa freddo, freddissimo, abbiamo le ossa inzuppate, ce ne accorgiamo solo ora… Qualcosa di caldo… una pizza!! Sì, al Pavillon… tavolo per sei.… a raccontarci tutto, ogni metro, ogni faccia, ogni gesto... persino di un carabiniere spilungone che si è commosso... e... ancora tanto… di quelle parole che sono passate... entrate... che hanno scosso, provocato, disturbato, forse… mancavi solo tu, a tutte, a tutti, sai??? beh, non è tutto ma quasi... sono ancora un po’ stordita... Cat *** Mi spiace solo che la banda sia arrivata un po’ alla spicciolata, ma d’altra parte c’è chi è riuscito a liberarsi solo un po’ dopo dal lavoro anche a noi ha fatto piacere esserci alla prossima, Gigi (il flauto che se ne stava tutto a sinistra...) *** Carissime, complimenti per la manifestazione secondo me riuscita molto bene. Il ginocchietto destro era molto provato dallo stop and go e soprattutto dallo stop in piazza San Fedele, quindi ho dovuto allontanarmi per metterlo a riposo. Vorrei sapere come si è concluso l’evento e ragionare anche sulle nostre responsabilità di europee/i che richiederebbero, tra le molte altre cose, autocritica e magari un esplicito sostegno al buon lavoro di Morgantini a Strasburgo e alle buone prese di posizione del liberale Watson. Perché la bandiera della pace non è calpestata dal solo Sharon e non solo gli ebrei (che l’hanno fatto in gran parte) hanno titolo per prendere posizione politicamente in modo esplicito rispetto alle loro stesse responsabilità. Cari saluti Mariagrazia Campari *** Ciao Maria, ieri sera poi a un certo punto me ne sono andata prima della fine. Sono arrivata a sentire il documento degli israeliani obiettori poi surgelata e senza più l’uso delle mani mi sono incamminata verso casa anche perché l’anziano papà, 82 anni, cominciava a sentire male alle ginocchia. Dicevano che saremo stati duemila. Duemila eroi aggiungo io, certo che “gott mit uns”, cazzo, sta quasi sempre dall’altra parte...! Ciò detto ti saluto, per adesso, Silvia *** Gentile Signora Nadotti, volevo farle sapere che c’ero, anche se di lato, per capire esattamente cos’era questo corteo. Ne ho osservato con grande rispetto la sobrietà e la sensibilità al dramma, e sono stato coinvolto dall’atmosfera di lutto trasversale, anche se io non condivido l’opzione interpretativa che nel testo di convocazione cita solo l’occupazione Israeliana, come elemento distruttivo nel Medio Oriente. L’occupazione deve finire, gli israeliani devono andarsene, ma lo storico rifiuto di molti paesi arabi, la scelta degli attentati contro i civili di una parte consistente dei militanti palestinesi, pongono problemi, anche a noi che difenderemo sempre il diritto dei palestinesi ad avere un loro stato autonomo, vicino ad uno stato di Israele sicuro. Di certo la ricetta di Sharon non è la mia. Le segnalo questi due articoli di oggi, che descrivono molto bene uno stato d’animo anche mio; a presto, Emanuele Fiano http://www.dsmilano.it/att2002/mi2_0411_non-da-una-parte-sola.htm http://www.ilfoglio.it/articolo.php?idoggetto=2595 *** Abbiamo ricevuto i testi che già avevamo tanto apprezzato nella veglia dell’11 aprile scorso. Vi ringraziamo molto per il vostro impegno e chiediamo che Dio vi benedica e vi ricompensi. Casa della Cultura Islamica via Padova, 144 Milano