Matteo Lancini, Laura Turuani, “Sempre in contatto. Relazioni
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Matteo Lancini, Laura Turuani, “Sempre in contatto. Relazioni
TESTO TRATTO DA: Matteo Lancini, Laura Turuani, “Sempre in contatto. Relazioni virtuali in adolescenza” (Franco Angeli, 2009) Gli adolescenti tecnologici e i compiti evolutivi Matteo Lancini, Laura Turuani Nuove comunicazioni I motivi che hanno promosso la realizzazione di un’indagine intorno ad alcuni dei mezzi tecnologici di comunicazione maggiormente utilizzati dagli adolescenti odierni sono molteplici e non si limitano allo scontato interesse professionale per tutto ciò che riguarda mode, linguaggi, comportamenti e trasformazioni adolescenziali. Il rapido e pervasivo utilizzo di nuove modalità comunicative rese possibili dalla diffusione di massa di sempre più sofisticati ed efficienti strumenti tecnologici coinvolge in modo determinante la quotidianità personale e professionale di tutti noi e non solo l’universo relazionale e culturale giovanile. Mentre cerchiamo di comprendere il significato d’uso di questi strumenti e la loro ricaduta sul percorso evolutivo delle nuove generazioni di adolescenti, siamo costretti, ad esempio, a dover gestire il possibile ingresso di questi strumenti nel setting e nella relazione terapeutica con gli adolescenti, e comunque a prendere decisioni sulla possibilità o meno di offrire una relazione di aiuto caratterizzata da continuità temporale e da immediata reperibilità, impensabile prima dell’avvento del telefonino portatile. In questo quadro appare evidente l’utilità di una lettura psicoanalitica del fenomeno, ancor più importante se ci riferiamo alla complessità che caratterizza lo sviluppo del soggetto in adolescenza. L’universo psicoanalitico deve portare il proprio contributo alla comprensione del sempre più massiccio ricorso a queste forme di comunicazione istantanea da parte degli adolescenti, fornendo una lettura che consenta di cogliere in maniera profonda, e nelle sue molteplici sfaccettature, il senso e il significato di tale utilizzo. E’ fondamentale che la competenza psicoanalitica italiana contribuisca in modo sempre più evidente a questa operazione culturale che altrimenti rischia di essere governata dalla sottocultura massmediatica o, comunque, di rimanere sotto la regia di altri orientamenti psicologici e di altre discipline che non sempre hanno la capacità di cogliere gli aspetti più profondi, articolati e complessi che animano i comportamenti della crescita adolescenziale. Soprattutto in questo momento storico, in cui i gruppi italiani di psicoterapia psicoanalitica dell’adolescenza si sono formalmente associati nell’ AGIPPsA (Associazione Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza), realizzando così un passo importante sulla strada fortemente voluta, avviata e indicata dall’ingegno umano e professionale di Arnaldo Novelletto, è fondamentale che tale associazione consideri come sua funzione peculiare quella di fornire spunti di riflessione teorico-clinica e orientamenti che consentano di meglio comprendere, piuttosto che di generalizzare, banalizzare, sposare in modo seduttivo o condannare troppo precocemente, le manifestazioni adolescenziali più diffuse e di orientare così in modo adeguato anche le politiche d’intervento sociale ed educativo nel nostro paese. E’ evidente allora l’interesse ad approfondire tali novità non solo come facenti parte della cultura giovanile odierna ma anche in prospettiva preventiva, per non commettere alcuni degli errori che, ad esempio, hanno caratterizzato negli anni ottanta gli interventi di prevenzione del consumo di sostanze. Allora, sull’onda dell’allarme sollecitato dal rapido diffondersi in Italia di droghe più o meno leggere e sul loro abuso con conseguenze drammatiche in direzione anti evolutiva, furono realizzate una serie di campagne comunicative e preventive che risultarono spesso poco efficaci, se non fallimentari. Quello che si comprese è che non risultavano adeguate iniziative volte a trasmettere la, pur giustificata, paura degli adulti agli adolescenti, cercando di far leva solo su questo sentimento per scoraggiare i ragazzi e le ragazze ad avvicinarsi all’uso e al consumo di sostanze. La lettura profonda della crescita adolescenziale consente di comprendere come la paura si riveli spesso una “merce” molto ricercata in adolescenza, un’età caratterizzata dalla necessità di sperimentare nuove quote di paura che sostengano la convinzione che era l’ex bambino che si è stati che aveva paura del buio, dei fantasmi, dei mostri e che ora si è in grado di affrontare tale sentimento, senza ricorrere e rincorrere l’abbraccio materno, ma gettandosi semmai a capofitto giù da un ponte abbracciati ad un resistente elastico, o piegando il motorino ai limiti delle possibilità della fisica o cercando altre esperienze che documentino le proprie capacità di rischiare senza morire davvero ma solo di paura. E’ solo conoscendo e riconoscendo le ragioni affettive profonde che spingono nella direzione della sperimentazione di pratiche molto rischiose, a volte letali, che è possibile organizzare e realizzare interventi preventivi di qualche utilità, rivolti alla popolazione adolescenziale. In questi venticinque anni di vita il nostro gruppo di lavoro si è molto impegnato nella realizzazione di interventi scolastici di educazione alla salute, di prevenzione dei comportamenti a rischio e del consumo e abuso di sostanze (Giori, 1998; Giori, Lancini, 2001; Maggiolini, 2003). Queste iniziative preventive sono state spesso effettuate sulla base di dati di ricerca che testimoniassero a noi, e ai nostri interlocutori, quali erano i vissuti e le rappresentazioni degli adolescenti rispetto al rischio e all’assunzione delle diverse sostanze, al fine di poter poi aiutarli a comprendere ed elaborare le ragioni affettive che promuovevano tali comportamenti e consumi e fornire così informazioni e strumenti per intraprendere processi decisionali autonomi in direzione evolutiva. L’allarme che in questi ultimi anni si è diffuso sull’abuso degli strumenti tecnologici giovanili ci ha ricordato e fatto risuonare, con le ovvie differenze, tale fenomeno. La limitata conoscenza di cosa rappresenti nella mente e nel cuore di un adolescente l’utilizzo di tali strumenti, non che il ricorso ad espressioni quali abuso e nuove dipendenze, ci ha portato ad avviare questa ricerca, i cui risultati pensiamo di poter utilizzare a fini preventivi nelle classi scolastiche e nelle comunità giovanili. Come è noto i programmi preventivi rivolti agli adolescenti non possono, infatti, limitarsi all’informazione e alla dissuasione; è più utile porsi come adulti mediatori capaci di riconoscere le esigenze e le motivazioni evolutive dell’adolescente al fine di sostenere il percorso verso la posizione di adulto responsabile (Giori, Maggiolini, Rivolta, 2004). Si tratta di promuovere rappresentazioni più nitide di sé come soggetto alle prese con dei compiti evolutivi fase specifici e di consentire approfondimenti sulle motivazioni psicologiche che possono promuovere comportamenti contro lo “sviluppo” e la crescita, in direzione anti evolutiva. In questo senso, fare prevenzione in adolescenza significa fornire le corrette informazioni ma anche favorire l’elaborazione dei significati affettivi delle esperienze e dei comportamenti, a partire dalle rappresentazioni e dai vissuti dei ragazzi e delle ragazze. Appare quindi quantomai opportuna la raccolta e l’elaborazione di dati qualitativi e quantitativi che consentano la promozione di interventi preventivi nei riguardi dei possibili rischi connessi all’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione a disposizione dell’adolescente. Rischi che, come è noto, sono di due tipi: rischi “esterni”, che derivano dai contatti intrattenuti in rete, dagli interlocutori di età incerta che si incontrano nella navigazione informatica, e rischi “interni”, connessi alla personale esperienza d’uso di questi strumenti, in un modo che può essere funzionale o disfunzionale rispetto allo sviluppo di sé e delle proprie relazioni in adolescenza. L’ambizione di questa ricerca è dunque quella di contribuire, anche se in piccola parte, alla comprensione del variegato e articolato modo di comunicare degli adolescenti odierni ma anche quella di promuovere l’organizzazione di dispositivi preventivi di qualche utilità e di sostenere la realizzazione di interventi educativi adeguati rispetto a i rischi “interni” connessi all’utilizzo di questi strumenti. Compiti evolutivi L’orientamento teorico che ha guidato la realizzazione e la lettura dei dati di ricerca interpreta l’adolescenza come fase di vita individuale caratterizzata dalla complicata necessità di realizzare una serie di compiti evolutivi fase specifici. Si tratta di un approccio psicoanalitico fortemente condizionato dal contributo teorico e clinico di alcuni pionieri della psicoanalisi dell’adolescenza (tra cui Blos ed Erikson) e di altri autori francesi (Jeammet e Cahn) e italiani (Senise e Novelletto) che hanno costituto un riferimento importante nella definizione di questo modello evolutivo. Nella nostra prospettiva teorica e applicativa l’adolescenza rappresenta un periodo di ridefinizione e risimbolizzazione di sé, nel quale il soggetto è chiamato a realizzare dei compiti evolutivi: il processo di separazione-individuazione, la mentalizzazione del corpo, la definizione e la formazione di valori di riferimento, la nascita come soggetto sociale. Separazione-individuazione: l’adolescente è chiamato rendersi progressivamente indipendente sia a livello intellettuale che affettivo dalle figure reali dei genitori e dalle loro rappresentazioni mentali e idealizzate. Questo processo è complesso perché richiede di rinunciare ai vissuti di protezione e di idealizzazione del proprio sé che la presenza onnipotente genitoriale dell’infanzia garantiva. Mentalizzazione del sé corporeo: i cambiamenti innescati dalla pubertà, a partire dal menarca femminile e dalla comparsa del liquido seminale maschile segnalata dalle polluzioni notturne, per poi proseguire con le successive significative trasformazioni corporee (sviluppo progressivo dello scheletro, dei caratteri sessuali secondari, comparsa dei peli pubici e facciali) richiedono di costruire mentalmente e di poter pensare ad una nuova immagine di sé. A partire da uno stato in qualche modo asessuato e onnipotente si è chiamati ad elaborare un delicato passaggio che conduce alla condizione di maschio o femmina sessualmente maturi e potenzialmente generativi. La difficile mentalizzazione del nuovo sé corporeo in adolescenza è un processo che non va comunque esclusivamente interpretato sulla base delle nuove potenzialità erotiche, generative, di necessaria complementarietà con il corpo dell’altro ma anche in termini di trasformazione ed accettazione della propria idea di mortalità. La conoscenza della morte trova infatti nella mentalizzazione del corpo un’occasione ineludibile di avvicinamento ad una nuova prospettiva: il corpo di cui si è dotati ha un limite temporale, morirà. Definizione-formazione di valori: in adolescenza si è chiamati a costruire e perfezionare i valori di riferimento che guidano le azioni individuali. A partire dalla necessità di definire i valori dell’identità di genere maschile o femminile, l’adolescente è chiamato ad individuare un proprio modello valoriale, un proprio senso etico, e a fare propri degli ideali strettamente personali. Questo percorso avviene attraverso l’incontro con altri soggetti, alternativi ai genitori, portatori di altri modelli di riferimento dai quali si assorbe del “nuovo materiale valoriale” che contribuisce alla costruzione dei valori di riferimento che guideranno l’agire giornaliero dell’individuo adulto. Questi “altri” sono individuati sia tra i figli di altre famiglie (e in quanto tali portatori di altri valori di riferimento assorbiti durante l’infanzia), gli amici (in quel percorso che inizia con il legame con l’amico o l’amica del cuore e che prosegue prima con la formazione del gruppo monosessuale e dopo con la formazione del gruppo eterosessuale, la compagnia) sia tra altri adulti di riferimento che si costituiscono come nuovi modelli di identificazione adolescenziale (insegnanti, operatori del privato sociale, parroci, allenatori sportivi, maestri di strumenti musicali, ecc.). Da questo momento l’adolescente è chiamato ad effettuare una sintesi di tutti i processi di identificazione e dei modelli imitativi con i quali entra in contatto, per giungere alla definizione del proprio unico e specifico modello valoriale di riferimento che informerà il suo agire adulto. Nascita sociale: in adolescenza si è chiamati, in modo più significativo rispetto al passato, ad assumersi direttamente la responsabilità di un ruolo socialmente riconosciuto, sia tra i coetanei sia nel contesto allargato, che consenta di progettare e di agire in direzione della possibile realizzazione del proprio percorso futuro. Per quanto concerne l’assunzione di questo ruolo sociale riconosciuto, nel contesto italiano odierno, anche a seguito della scolarizzazione di massa e dell’innalzamento dell’obbligo, la scuola si è costituita come ambito centrale e decisivo. Infatti la scuola è il luogo in cui si rappresenta la prima capacità dell’adolescente di gratificare le proprie esigenze di valorizzazione e successo. Anche se in modo ambivalente è nei riguardi della scuola che l’adolescente esprime tratti importanti del processo di valorizzazione di sé come individuo sociale. Nella realizzazione di questi compiti evolutivi il ragazzo o la ragazza attivano intensi e profondi processi di simbolizzazione e di sviluppo della capacità riflessiva che possono consentirgli di elaborare il lutto per la separazione dagli oggetti primari e dal sé onnipotente infantile, costruire un’immagine mentale del nuovo corpo, individuare i valori di genere ai quali affidare la regia del percorso di crescita, integrare i linguaggi della multiforme popolazione dei sé interiori in una sintesi socialmente presentabile. In questa prospettiva la crisi adolescenziale rappresenta un ritardo, un blocco, uno scacco nella realizzazione dei compiti evolutivi. Gli adolescenti in crisi sono dunque ragazzi e ragazze in stallo nella realizzazione del percorso di crescita, in difficoltà nella realizzazione dei compiti di sviluppo richiesti dal cambiamento adolescenziale. Questo è il modello di riferimento teorico e metodologico che guida gli interventi di consultazione e presa in carico degli adolescenti presso l’Istituto Minotauro, attraverso quella che definiamo teoria dei compiti evolutivi e psicoterapia evolutiva. La psicoterapia evolutiva è una concezione della psicoterapia in cui il cambiamento è concepito più come evoluzione che come cura e si basa sui concetti di simbolizzazione, ruolo affettivo e crisi della cultura affettiva di fronte ai compiti evolutivi fase specifici. Il presupposto, come già accennato, è che la consultazione avvenga in una situazione di scacco evolutivo e di crisi della cultura affettiva dominante, la quale si dimostra inadatta a sostenere la sopravvivenza e lo sviluppo del Sé e a promuovere investimenti oggettuali. In questa prospettiva l’intervento di consultazione e psicoterapeutico prevede la promozione del cambiamento non solo nel soggetto ma anche nel contesto di crescita dell’adolescente, e dunque nei ruoli materno e paterno ma, eventualmente, anche in altri ruoli come quello docente, nonché la possibilità che ad una rappresentazione più nitida di sé e delle proprie difficoltà evolutive si accompagni un cambiamento pratico. L’obiettivo dell’intervento clinico è dunque quello di sostenere un riadattamento nel rapporto attualmente esistente tra compiti di sviluppo e contesto di crescita, al fine di favorire lo sblocco dello scacco e la ripresa evolutiva. In questo quadro, fondamentale è la risimbolizzazione, intesa come cambiamento della rappresentazione del soggetto in relazione all’oggetto e in funzione di un compito. In estrema sintesi, l’obiettivo prioritario della psicoterapia evolutiva è che l’adolescente e il suo contesto di crescita modifichino le rappresentazioni attualmente prevalenti, disfunzionali rispetto ai “lavori in corso” della crescita del ragazzo o della ragazza, in direzione di rappresentazioni di ruolo più adeguate a sostenere la realizzazione dei compiti evolutivi fase specifici dell’adolescente (Maggiolini, Pietropolli Charmet, 2004). Si tratta dunque di un modello teorico che tende ad intercettare ed interpretare la dimensione dello scacco evolutivo in termini semiotici, valutando cioè la qualità delle rappresentazioni del Sé che l’adolescente produce rispetto al proprio sviluppo individuale. In questo modello, la base sulla quale si misura il percorso evolutivo dell’adolescente non risiede esclusivamente nelle prestazioni effettive e nell’acquisizione di competenze sociali reali ma soprattutto nella nitidezza che il soggetto riesce avere di sè impegnato in quella specifica area di sviluppo. Il tentativo di comprendere la natura della crisi transita quindi attraverso la messa a punto di un bilancio evolutivo che trasformi in pensieri e parole quello che l’adolescente da solo fatica a mentalizzare, promuovendo e incrementando la capacità attuale di produrre simboli e rappresentazioni di sé, del proprio corpo e della propria identità di genere. Effettuare un bilancio evolutivo con l’adolescente significa perlustrare le rappresentazioni che lui stesso ha delle varie aree della crescita, all’interno di una vicenda intrapsichica che mette al centro del lavoro clinico il vissuto soggettivo, ovvero il modo in cui il singolo adolescente si rappresenta in quella specifica area del percorso evolutivo e nelle relazioni più significative e coinvolgenti. Nel modello evolutivo la crisi adolescenziale è analizzata prevalentemente nella dimensione intrapsichica del soggetto, ovvero come una questione che ha prevalentemente a che fare con la percezione di una situazione di stallo, di uno scacco, di un ritardo, di una mancata corrispondenza tra ciò che il singolo adolescente si aspetta internamente, o che l’ambiente si attende da lui, piuttosto che dalla percezione di una propria diversità rispetto a quello che il soggetto nota accadergli intorno. Concentrarsi sul percorso evolutivo significa perciò dare importanza a come viene percepita e vissuta la crescita, lo sviluppo delle competenze e delle proprie abilità in ambito sociale e sentimentale ma anche intrapsichico. Questo modello teorico e applicativo è dunque orientato dal tentativo di aiutare l’adolescente ad avere rappresentazioni più nitide di sé, ad intravedere il futuro della propria identità in costruzione, e ad accompagnare lui, e possibilmente i suoi genitori, nell’avventura del mettersi in ascolto della vocazione e del proprio personale e unico talento e nell’allenamento che richiede (Pietropolli Charmet, 1999, 2000, 2006, 2008). Protesi corporee e relazionali o nuove forme di isolamento e dipendenza? La realizzazione di questa ricerca e la lettura dei suoi risultati originano quindi da questi presupposti teorici. In estrema sintesi, siamo stati guidati e sostenuti dal tentativo di comprendere se e come l’utilizzo di alcuni dei più moderni e diffusi mezzi di comunicazione sostengano il percorso di crescita individuale e sociale delle giovani generazioni, costituiscano un ostacolo o una risorsa per la realizzazione dei compiti evolutivi adolescenziali. L’adolescente odierno cresce in un contesto ambientale fortemente caratterizzato dalla presenza di supporti tecnologici che è portato ad utilizzare come estensione personale e che tendono così a costituirsi come vere e proprie forme di prolungamento del sé corporeo adolescenziale. La diffusione e le modalità di utilizzo di questi apparati tecnologici evoca l’utilizzo di altre forme di prolungamento di sé, di altre protesi espressive e comunicative tipicamente adolescenziali: dalla bicicletta al motorino, dallo skate ai roller, dai piercing e i tatuaggi alla bomboletta spray che attraverso il movimento più o meno sinuoso, arrotondato o spigoloso del braccio traccia la propria tag sulla pelle della metropoli o di una carozza su rotaie. Riteniamo che anche l’uso del telefonino e del computer, attraverso sms e Messenger, vada inquadrato e compreso come forma comunicativa ed espressiva di sé ed è importante cercare di comprendere se e come il loro utilizzo sostenga il percorso di crescita, se e come questi strumenti si costituiscano come un ostacolo o come una risorsa, come un limite od un supporto nell’articolato e complesso processo che conduce alla realizzazione di compiti evolutivi adolescenziali. Questi apparati tecnologici, così ordinari ed oramai straordinariamente diffusi, possono essere considerati degli strumenti al servizio dei processi separativi, di individuazione, di mentalizzazione del corpo sessuato e generativo, della nascita come soggetti sociali o piuttosto si frappongono ai compiti fase specifici dell’adolescenza; prevale l’uso evolutivo o quello regressivo e regressivante, dipendente, infantile, fino all’utilizzo patologico tra gli adolescenti odierni, caratterizzati da tratti narcisistici? TESTO TRATTO DA: Patto Educativo di Corresponsabilità tra Scuola e Famiglia, a cura dell’Osservatorio Regionale della Lombardia sul fenomeno del bullismo. Una nuova alleanza educativa tra famiglia e scuola Il tentativo di promuovere e valorizzare la cultura di una più ampia “comunità educante”, come valore fondante sia a livello preventivo sia nell’intercettazione del fenomeno del bullismo, non può che avviarsi e consolidarsi a partire dalla definizione di una nuova alleanza educativa tra l’agenzia familiare e scolastica, che si costituisca in considerazione delle numerose e significative trasformazioni che le hanno coinvolte negli ultimi anni. Una volta individuate e chiarite le ragioni affettive profonde per le quali le due principali agenzie educative sono chiamate e motivate a costituire una nuova alleanza educativa tra ruolo materno, ruolo paterno e ruolo docente è poi possibile, oltreché auspicabile e necessario, prevedere il coinvolgimento di tutte le altre agenzie che presidiano lo sviluppo della crescita dei minori, in direzione di una sempre più ampia diffusione territoriale. Il patto educativo tra scuola e famiglia ha una funzione paradigmatica rispetto all’indispensabile costituzione del nuovo patto educativo tra tutti i ruoli adulti e tutte le istituzioni educative che operano con i bambini e gli adolescenti odierni. Le profonde trasformazioni culturali e sociali intervenute negli ultimi anni, e le conseguenti ricadute sui modelli educativi, hanno contribuito in modo decisivo all’instaurarsi di motivazioni affettive profonde, sia all’interno del nucleo familiare sia nell’istituzione scolastica, che possono promuovere e sostenere nuove forme di accordo educativo. La formulazione di un patto che organizzi e governi una pace conveniente tra la famiglia e la scuola, basata sulla capacità di comprendere e identificarsi con le ragioni dell’altra agenzia educativa, sembra derivare, allo stato attuale, da una motivazione profonda, sostenuta da passioni e sofferenze, che può dunque favorire un’adesione realistica, e non formale ed utopica, al patto. La sofferenza del ruolo educativo promuove in entrambe le agenzie una forte spinta a ricercare una strada per il cambiamento, per superare lo stato di crisi, lungo la quale immediatamente incontrano come partner privilegiato l’altra importante agenzia educativa. La nuova famiglia è animata da numerose e articolate motivazioni che la spingono a rendersi disponibile a sottoscrivere un nuovo patto educativo con la scuola, che a sua volta trova al proprio interno nuove ragioni affettive e istituzionali che la indirizzano verso lo stesso obiettivo. Le ragioni affettive della famiglia derivano dalla condizione di solitudine in cui si trova a seguito della caduta simbolica delle alleanze e reale dei legami con le altre agenzie formative. Come testimoniato da diverse ricerche, i mutamenti sociali e tecnologici hanno reso più incerto il futuro destino dell’individuo e la famiglia si trova a muoversi in una società complessa ed estremamente mutevole, in una condizione di incertezza educativa dove si sperimenta paura per il futuro dei propri figli, in quella che viene definita la società “liquida” e l’epoca delle “passioni tristi”. La crisi dell’autorità paterna e il venir meno di valori assoluti ampiamente condivisi dalla comunità adulta ha trasformato inevitabilmente il modello educativo familiare, passato da un deciso autoritarismo, che sosteneva una matrice comportamentale ben definita, ad una prospettiva di maggiore negoziazione e contrattualità. Si educano i propri figli nel tentativo di fornirgli i prerequisiti necessari a muoversi flessibilmente nell’ambito di una società complessa. La crisi dell’autorità paterna ha dunque favorito la nascita della cosiddetta famiglia affettiva e relazionale, che si orienta ad organizzare regole scollate dai valori sociali assoluti. Si assiste così ad una sorta di familismo morale, nel senso che i valori di riferimento sono definiti e costruiti all’interno della singola famiglia e le regole hanno valore esclusivamente nell’ambito dello specifico microcosmo familiare, per il quale sono state studiate, messe a punto e applicate. Nella famiglia odierna la negoziazione della regola e il tentativo di far comprendere le ragioni educative dei propri interventi sanzionatori hanno sostituito il “tu devi obbedire” e la somministrazione di paura e dolore mentale erogati dalla famiglia tradizionale. Tutto questo avviene in nome di una contrattualità resa necessaria anche dalla permanenza dei figli sulla scena domestica per un periodo di tempo protratto rispetto al passato, in quella che viene definita la famiglia lunga, spesso rappresentata genericamente in senso negativo e limitante, connotata come sarebbe dall’eccedenza di aspetti contenutivi e accuditivi di stampo materno. In questo quadro, la famiglia è inevitabilmente portata a delegare proprio all’istituzione scolastica buona parte della trasmissione dei valori sociali, che sono alla base della convivenza civile, dei quali non si è potuta occupare a tempo pieno, impegnata come era, e come sarà negli anni successivi, a gestire gli affetti, le relazioni e una convivenza generazionale prolungata nel proprio microcosmo. Un’altra motivazione profonda che sostiene la famiglia nella costruzione di un nuovo patto educativo con la scuola è riscontrabile nella forte preoccupazione suscitata dall’ingresso nella fase dell’adolescenza dei propri figli. La famiglia odierna è diventata progressivamente consapevole e ha acquisto competenze sul fatto che il principale fattore di rischio in adolescenza è costituito dall’adolescenza stessa. Tutti gli sforzi fatti per promuovere e sostenere la sana crescita psicofisica del bambino rischiano di essere resi vani dalle novità introdotte dalla seconda nascita del figlio, l’adolescenza appunto, percepita come evento che con i suoi radicali cambiamenti può trasformare le sorti personali e sociali della persona. E’ nota l’esistenza di numerosi fattori di rischio che incidono negativamente sullo sviluppo adolescenziale: la presenza di disturbi e patologie psichiche in ambito familiare, l’essere sottoposto a deprivazioni relazionali e socio-culturali, l’appartenenza ad un contesto territoriale degradato in adolescenza, e molti altri ancora. Tuttavia, il principale fattore di rischio è costituito dall’età stessa, dal fatto che il figlio dell’uomo è chiamato ad affrontare in questo periodo evolutivo alcuni compiti di sviluppo che comportano dei rischi fase specifici. Il processo di separazione-individuazione, la mentalizzazione del corpo, la definizione e la formazione di nuovi valori di riferimento, la nascita come soggetto sociale, rappresentano dei compiti evolutivi ineludibili ma dall’esito incerto. E’ l’adolescenza, come snodo dello sviluppo individuale che richiede una profonda ridefinizione e risimbolizzazione di sé, che costituisce il principale fattore di rischio nella crescita dell’ex bambino in direzione dell’adultità. La famiglia è in cerca di alleanze educative per fare fronte al crescente e sempre più incisivo potere orientativo del gruppo dei pari età, dei mass media e degli innovativi mezzi tecnologici di cui dispongono quotidianamente le nuove generazioni, ma che non sono governati da alcun mandato e obiettivo educativo. La madre e il padre, pur riconoscendo la funzione decisiva dell’amicizia e dell’aggregazione spontanea tra coetanei in età evolutiva, sentono di dovere fornire ancora ai propri figli modelli di identificazione adulti che costituiscano un riferimento e che sostengano la realizzazione dei compiti evolutivi previsti per ogni fase della crescita. Per questo motivo promuovono l’inserimento dei figli in gruppi formali in cui l’aggregrazione con i coetanei è presidiata da adulti significativi in campo sportivo, musicale, espressivo e ricreativo ma soprattutto si rivolgono all’istituzione scolastica come interlocutore privilegiato con il quale costruire un’alleanza orientativa tra adulti, capaci di costituirsi come fronte educativo e identificatorio di riferimento. La diffusione di una cultura massmediatica, dominata dallo strumento televisivo, motiva inoltre la famiglia, spesso impegnata full time nel necessario lavoro extradomestico, ad individuare spazi di intesa con l’istituzione scolastica, riconosciuta come unico contesto informativo-formativo capace di fornire saperi emotivi e cognitivi a contrasto della sottocultura televisiva. Il progressivo ampliamento del dominio tecnologico e informatico in direzione di una possibilità di accesso ad informazioni illimitate e fruizione di esperienze comunicative e virtuali sempre più imprevedibili promuove importanti preoccupazioni educative nella famiglia dei figli tecnologici, che accedono a questi strumenti in età sempre più precoce. L’impossibilità di ostacolare l’accesso a molti di questi strumenti, entrati ormai a far parte della quotidianità relazionale e professionale di tutta la popolazione, sostiene la ricerca di un’alleanza educativa che agisca in termini di riconoscimento del fenomeno, distinguendone però la funzione evolutiva da quella involutiva, l’utilizzo sperimentale da quello dipendente e promuova una cultura preventiva capace di sostenere i soggetti in età evolutiva verso l’acquisizione di strumenti propri che consentano loro di riconoscere e mettersi al riparo dai possibili rischi culturali e relazionali della rete. L’ampliamento a dismisura della potenza di tutti questi competitors e la proliferazione di varie agenzie prive di un mandato educativo istituzionale e istituzionalizzato spinge dunque in direzione di una nuova alleanza e verso la sottoscrizione di un nuovo patto educativo tra le due agenzie educative più importanti. Quando poi la famiglia ha attraversato o sta affrontando crisi importanti originate dal conflitto coniugale di coppia, che sfociano in separazioni e in nuove appartenenze nucleari, è solo all’interno del contesto scolastico, nell’alleanza sul ruolo educativo materno e paterno, che gli ex coniugi possono forse trovare la motivazione che sostiene una ragionevole ricomposizione della funzione genitoriale. Lo stesso fenomeno immigratorio, con le sue articolate e multiformi problematiche economiche, sociali, culturali, relazionali, che coinvolgono la famiglia in delicati e complicati processi di separazione e di ricongiungimento, trova nell’incontro con l’istituzione scolastica il luogo di una possibile alleanza educativa, sostenuta dall’integrazione tra la cultura scolastica e quella familiare. Non bisogna dimenticare che una delle principali motivazioni a sostegno dell’alleanza educativa tra famiglia e scuola origina dalle caratteristiche stesse del funzionamento familiare odierno. La nuova famiglia, in cui spesso entrambi i genitori sono impegnati in attività professionali, ha coinvolto sin dalla primissima infanzia dei figli altre agenzie educative nel presidio della crescita quotidiana. La nuova famiglia ha delegato a delle istituzioni parafamiliari funzioni di accudimento primario, mai delegate in precedenza, istituendo così molto più precocemente che in passato un’alleanza relazionale ed educativa tra l’agenzia familiare e quella scolastica. L’alleanza tra famiglia e scuola nasce dunque implicitamente a partire dai primi passi del bambino, e si costituisce come alleanza fondamentale a sostegno dell’evoluzione e della crescita del cucciolo dell’uomo. Proprio questa precocizzazione delle delega di funzioni primarie favorisce nella famiglia lo sviluppo del sentimento della colpa a cui si accompagna una tendenza a paranoicizzare l’altra agenzia educativa nella sua funzione acccuditiva e nella sua reale capacità di garantire un contenimento primario. Questo meccanismo difensivo è alla base di quel processo di colpevolizzazione della scuola, da parte della famiglia odierna, che origina comunque da uno stato di bisogno e sofferenza che una volta esplicitato, compreso, riconosciuto ed elaborato può evolvere in una risoluzione pacifica del conflitto fondata sulla capacità di comprendere e identificarsi con le ragioni e le difficoltà dell’altra agenzia educativa. Se queste sono le articolate ragioni affettive e relazionali che spingono la famiglia attuale in direzione della sottoscrizione di un nuovo patto educativo, le motivazioni profonde che sostengono la scuola odierna nella stessa direzione non sono certo meno significative. La scuola italiana attuale si caratterizza per la sua autonomia. La scuola dell’autonomia nasce nella prospettiva di una riduzione della dipendenza verticale dal potere centrale per orientarsi in direzione di un investimento sempre più significativo nelle relazioni orizzontali con le agenzie che la circondano e le fanno da cornice. Questo significa rivolgersi alle istituzioni presenti sul territorio per la costruzione di legami e iniziative volte a promuovere il benessere e il successo scolastico dei propri studenti. La scuola dell’autonomia è in estrema sintesi un’istituzione del territorio e come tale cerca sinergie con le imprese e le agenzie che la circondano, investe nella relazione con queste istituzioni e si aspetta di ricevere altrettanta attenzione in virtù della fondamentale funzione educativa e formativa che svolge. La scuola dunque è motivata ad orientarsi verso la costruzione di un’alleanza con il territorio, la cui prima e più importante istituzione educativa è la famiglia. Del resto, la scuola odierna si fa carico anche dei conflitti affettivi individuali e di quelli sociali del territorio, e trova in questo una forte motivazione a costruire un’alleanza con l’agenzia educativa familiare. Negli ultimi anni la scuola è stata progressivamente investita di problematiche che originano altrove, al di fuori del contesto ambientale scolastico, e che vengono esplicitate sullo scenario della scuola, istituita come il territorio sociale dei conflitti. Nella semplificazione e nella sottocultura massmediatica la scuola è spesso accusata di causare danni e conflitti di cui in realtà è il più delle volte vittima. La scuola odierna è stata coinvolta nel processo di “affettivizzazione” da parte dei nuovi utenti, i quali non mettono al centro dell’esperienza scolastica esclusivamente il sistema cognitivo e il ruolo sociale di studente ma anche altre dimensioni che hanno maggiormente a che fare con il ruolo affettivo di adolescente: il corpo, il desiderio, la sessualità, l’espressione di sé. I ragazzi “portano” in ambiente scolastico tutto ciò che riguarda se stessi, la propria persona, e quindi anche la sofferenza individuale e il disagio relazionale. La scuola odierna si è dunque costituita, in modo più evidente e spettacolare rispetto al passato, come uno spazio dove fare transitare i conflitti, i timori e le angosce che inevitabilmente caratterizzano lo sviluppo delle capacità individuali e sociali, soprattutto in adolescenza. In questo quadro, la scuola odierna deve gestire e governare complicate vicende di socializzazione e burrascosi conflitti sociali, attraverso la definizione e la trasmissione di regole volte ad amministrare la giustizia collettiva e tramite eventuali successivi interventi sanzionatori nei riguardi dei trasgressori. Per realizzare questi obiettivi l’istituzione scolastica è inevitabilmente chiamata ad organizzare, strutturare e applicare castighi chiari, spendibili e gestibili in considerazione delle caratteristiche odierne dei soggetti che la frequentano. La scuola ha la necessità di somministrare quote di dolore mentale a soggetti cresciuti in un sistema educativo in cui tale modalità di intervenire non solo non è stata applicata ma non è spesso condivisa. L’istituzione scolastica è impegnata a far capire che la richiesta di affetto e di relazione che proviene dai banchi occupati dai figli della famiglia affettiva è ben accolta e compresa ma che deve essere necessariamente mediata con le esigenze di un gruppo classe che ha il compito di funzionare come un gruppo operativo, di lavoro. La scuola odierna è impegnata in una complicata mission istituzionale che prevede la contemporanea possibilità di offrire occasioni sia per lo sviluppo della singola persona in direzione della propria soggettivazione-individuazione sia per l’acquisizione di competenze relazionali e sociali che tengano conto dell’esigenza-diritto dell’altro e del più ampio obiettivo istituzionale. In questa operazione, la scuola deve tenere conto di non potere più fare leva sulla paura e sul sentimento della colpa che animava gli studenti di epoche precedenti. La trasformazione dei modelli educativi ha favorito la crescita di nuovi adolescenti che non investono più di un significato simbolico ed etico in senso assoluto gli adulti. Destituito simbolicamente il padre e il potere violento delle istituzioni, la scuola è chiamata ad individuare e promuovere nuovi modi di dare senso e significato all’esperienza quotidiana scolastica, promuovendo la soggettivazione personale e la competenza ma non più attraverso il tentativo di fare paura e sentire in colpa. In questa prospettiva acquista un significato particolare il recupero dell’autorevolezza della scuola e degli insegnanti, autorevolezza non certo intesa come autoritarismo fondato sul ricorso alla paura, ma come condizione di un incontro tra studenti e insegnanti costruttivo, fecondo, intriso di dialogo, “luogo” relazionale su cui si radicano le dinamiche motivazionali che alimentano i meccanismi dell’apprendimento e si traducono in crescita umana e culturale. Il recupero dell’autorevolezza così intesa passa anche attraverso la riappropriazione, da parte degli insegnanti, del proprio specifico ruolo formativo e in particolare della didattica, nella rinnovata consapevolezza che l’educazione non è avulsa da tutto ciò che attiene all’insegnamento e all’apprendimento, ma “passa” anche attraverso gli aspetti disciplinari. Del resto il “benessere” dello studente si gioca su una molteplicità di piani, tra i quali particolare significanza assumono le dinamiche motivazionali, l’aspetto relazionale, il ruolo riconosciuto al protagonismo studentesco e, appunto, il rapporto dello studente con i percorsi disciplinari e le strategie di insegnamento e apprendimento: un rapporto tanto più positivo quanto più lo studente ritrova nei percorsi disciplinari un forte aggancio con la propria esperienza quotidiana, con i propri interessi, un rapporto tanto più efficace quanto più l’approccio alle discipline non è avulso dalla vita del ragazzo, dalla forte esigenza di esprimere il “sé”, di realizzare positivamente gli aspetti relazionali e, in questa prospettiva, di aprirsi al dialogo con il territorio, nell’ottica di una sempre più responsabile attenzione ai temi della partecipazione, della cittadinanza, della convivenza civile, della legalità. Là dove l’approccio ad una disciplina è sentito come calato dall’alto, poco legato alle domande di senso, all’esperienza di vita, e pertanto poco motivante, allora viene meno non solo l’efficacia del processo di apprendimento relativo alle specifiche conoscenze e competenze disciplinari, ma risulta svuotato anche l’aspetto educativo che è invece sotteso a qualsiasi percorso disciplinare ed interdisciplinare validamente impostato. Complessivamente siamo dunque in presenza di una forte e articolata motivazione di entrambe le istituzioni – famiglia e scuola – a costruire e consolidare un’alleanza educativa. Per essere efficace tale alleanza deve tradursi in un patto di corresponsabilità coprogettato da docenti, studenti e genitori: un patto di corresponsabilità educativa sottoscritto da famiglia e scuola, ma che poi coinvolga le altre agenzie educative del territorio, ampliandosi in un “patto di comunità” tra gli adulti che educano. Il percorso verso la costruzione di una solida alleanza educativa anzitutto tra famiglia e scuola può avvenire in considerazione delle caratteristiche specifiche dei soggetti in età evolutiva che attualmente si siedono al desco familiare e sui banchi di scuola. I nuovi adolescenti non sono più inquadrabili esclusivamente in termini edipici ma sono individui ai quali è stato insegnato a pensare che è molto importante il Sé, forse più che la relazione di oggetto. Le caratteristiche narcisistiche che li contraddistinguono derivano da un percorso di crescita lungo il quale sono stati sostenuti ad esprimersi piuttosto che a sacrificarsi, in cui era importante non rinunciare alla ricerca del proprio Sé e bisognava stare attenti a non tradire mai se stessi e il proprio valore personale. Per gli adolescenti che frequentano la scuola attuale, non provare ad essere se stessi significa tradire i valori nei quali sono stati cresciuti. Si tratta dunque di comprendere bene come funziona la mente del nuovo adolescente, allevato in questo sistema complessivo di valori, per promuovere le condizioni educative che consentano alla persona di crescere ancora essendo se stesso ma diventando anche capace di partecipare attivamente alla costruzione di una microsocietà dove prevale e regna l’interresse collettivo. Del resto la scuola è chiamata a gestire gruppi e anche le trasgressioni che la coinvolgono riguardano sempre più spesso vicende gruppali, come accade negli stessi episodi di bullismo, che sono avvenimenti tendenzialmente collettivi e come tali necessitano di azioni e risposte educative basate su una concezione sistemica e non esclusivamente individualistica del fenomeno. Genitori e insegnanti non sono ancora del tutto abituati a condividere con i figli-studenti l’importanza del narcisismo nel sistema di crescita personale. In adolescenza tutto ciò ha importanti conseguenze educative poiché gli adulti di riferimento sono a ragione convinti che una qualche forma di etica masochistica e sacrificale sia condizione indispensabile a garanzia del benessere collettivo, mentre i ragazzi pensano di essere stati educati a credere che la realizzazione di sé è il vero valore della crescita e non la sottomissione al volere di altri. Siccome è a scuola che si entra più decisamente a contatto con la trasmissione dei valori e delle norme sociali che governano la convivenza civile, è dall’alleanza tra i valori di stampo paterno prevalentemente rappresentati dall’agenzia scolastica e i valori di stampo materno prevalentemente rappresentati dall’agenzia familiare che nasce il nuovo patto educativo, in un’ottica di ricomposizione dei ruoli genitoriali motivata dalla profonda sofferenza di entrambi. Bibliografia Lancini M., Ascolto a scuola. La consultazione con l’adolescente (Franco Angeli, 2003). Lancini M., Genitori e psicologo. Madri e padri di adolescenti in consultazione (Franco Angeli, 2007). Lancini M., Turuani L., Sempre in contatto. Relazioni virtuali in adolescenza (Franco Angeli, 2009). Pietropolli Charmet G., I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida (Raffaello Cortina, Milano). Pietropolli Charmet G., Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi (Editori Laterza, Roma-Bari, 2008)