A mani aperte

Transcript

A mani aperte
A mani aperte
______________________________________
"Il vero donare è quando chi dona è felice come chi riceve, è quando il confine tra
donare e ricevere svanisce. Chi dona senza aspettarsi di essere ricambiato, ha sempre
tra le mani il fiore della gioia. Ciò che si fa per amore non si perde, ma rimane e si
moltiplica". Don Enzo la pensava così in merito all’amore che si visibilizza nel dono di
sé all’altro. In un dono gratuito, che non attende riscontri, che ha già la sua
ricompensa nella gioia che sgorga dal solo voler bene.
C’è chi ha parlato di teologia delle mani vuote. È un’immagine bella per simbolizzare il
dono e la disponibilità, la vittoria sull’egoismo e sul possesso dei beni, ma può
nascondere una certa ambiguità. Perché le mani vuote, indipendentemente dal non
contenere nulla, possono essere mani strette su se stesse, sintomo di ripiegamento e
di chiusura. Anche se ugualmente vuote, non significherebbero certo una carità
operosa, un servizio incondizionato. Forse, allora, è meglio parlare di “mani aperte”,
dove il fatto che siano vuote o piene diviene secondario. Basta che siano allargate,
dispiegate, disponibili per essere capaci di aiuto, di accoglienza, di condivisione, di
bene vero, di affetto sincero e profondo.
Don Enzo era così: con le mani aperte rivolte contemporaneamente al cielo e ad ogni
fratello o sorella che incontrava. Rivolte al cielo, prima di tutto, perché da Dio
attendeva tutto: aspettava che fossero riempite dall’Amore provvidente verso ogni
uomo per divenire dono per gli altri. E chi passava accanto a lui poteva sperare di
trovare qualcosa per la propria vita. Perché per vivere autenticamente è necessario
assumere l’atteggiamento di accoglienza e insieme di offerta.
In fondo, le mani aperte non sono mai vuote, solo per il fatto di essere in un
atteggiamento di servizio. Possono anche non arrivare a soddisfare tutti i bisogni
materiali di chi si trova nella necessità, ma hanno sempre qualcosa da donare perché
saranno sempre canali di grazia dell’amore misericordioso di Dio, della sua
compassione, della sua tenerezze, della sua prossimità all’uomo.
La carità di servizio, che le mani aperte esprimono e simboleggiano, un amore
pienamente gratuito ed incondizionato, può sembrare “inarrivabile”, ma non è così. A
condizione di vivere in un rapporto profondo e costante con Cristo.
Lo testimonia il Don, che afferma: "dobbiamo vivere la contemplazione come pienezza
di vita, come tentativo di rapporto personale con Cristo”. E sottolinea che non
"esistono dei dualismi per cui facciamo un discorso di fede solo in certi luoghi e in certi
momenti", ma che "dovremmo arrivare alla contemplazione sulla strada che significa
rendere sociale, umano e presente Gesù Cristo, la carità, nel luogo in cui mi trovo!”
(Donarsi nel servizio,1989, p. 37).
Deve essere perciò coltivato un "rapporto personale con Cristo" perché, "per la nostra
vita di servizio e di frontiera, non è sufficiente una vita spirituale qualsiasi, con una
preghiera e un rapporto qualsiasi, ma dobbiamo tendere ad una vera contemplazione,
che significa un anelito, una sete insaziabile di possedere Gesù" (Aggiornamento del
Direttorio, 1991, p. 85 - Sotto il segno della speranza, 1993, p. 11); “senza questa tensione di
contemplazione nelle situazioni più scomode e disparate, non potremmo mai rendere
credibile Gesù Cristo e il nostro servizio di amore-condivisione: è la forte vita
interiore, preghiera ed unione con il Signore, che ci fa essere perfetta letizia e
combattenti silenziosi ed umili per le grandi cause degli emarginati, che dobbiamo
amare con la massima delicatezza” (Aggiornamento del Direttorio, 1991, p. 85).
Ricorda un sacerdote: “Ciò che subito mi colpì profondamente lasciandomi senza
argomenti e con un senso di gioia intensa (la gioia della verità), fu la metodologia del
suo lavoro pedagogico di ricupero dalla tossicodipendenza. La sua convinzione era
semplice, limpida e corredata dai fatti: Gesù Cristo è il `Salvatore', il Vangelo è la
strada dell'uomo, specialmente dell'uomo devastato da qualsivoglia specie o
conseguenza di peccato: dunque il ricupero doveva passare di lì, dall'incontro vero con
Gesù Cristo senza ambiguità o toni sbiaditi”.
•
Spinto dalla carità
Chi realizza la contemplazione entra sempre più in comunione con Dio-amore e
avverte la necessità di amare i propri fratelli con gesti concreti.
"Preghiera e servizio, per un cristiano, sono rami di uno stesso albero che si nutre con
le radici della Carità, dono dello Spirito del Signore. Tutta la nostra vita, nella
complessità delle sue espressioni, deve lasciarsi informare, istruire da questo Spirito e
allora impareremo ad agire, a pregare, a respirare, a vivere alla presenza del Signore.
In questo modo conosceremo l'essenza di ogni cosa e di ogni gesto e la verità dei
paradossi cristiani: parole che generano silenzio e silenzio che genera comunicazione;
il lavoro che insegna e alimenta la contemplazione e questa che ci muove verso
l'attività; la forte ricerca di felicità, che incontra e fa sua la sofferenza, trasformandola
in gioia; l'amore e la croce come via che sconfigge la morte" (Con Gesù sulla strada, 1995,
p. 27).
La vita di don Enzo è stata spesa nell’amore e per amore. Un uomo di Dio “spinto”
dalla carità. "Non ricordo bene come l'ho incontrato per la prima volta – questa è la
testimonianza di un sacerdote - ma credo sia stato quando lui mi ha telefonato per
venire a predicare gli esercizi. Da allora venni in comunità per qualche ritiro. Ho
avvertito subito che era un prete bruciato dall'amore del Signore per gli ultimi ed i
fragili. I servizi nati dal suo carisma si moltiplicarono, avviene per ogni grazia a caro
prezzo. Il carisma si è svelato attraverso l'incontro con le nuove povertà di oggi che
egli ha avvertito con l'intuito dell'amore; come è sempre avvenuto per i santi della
carità. `Caritas Christi urget nos'”.
Un tratto che colpisce, così come emerge dai ricordi di chi lo ha conosciuto, è la sua
continua disponibilità verso l'altro: "non faceva nessuna differenza tra minimo e
massimo. Se una cosa era possibile o impossibile lo era tanto per il ricco che per il
povero", senza limiti di orario e di tempo. Prima di tutto, venivano i ragazzi e le
persone, poi tutto il resto. Le testimonianze parlano chiaro: "Magari aveva degli
appuntamenti e non arrivava. Io telefonavo e lui mi diceva che aveva altro da fare,
magari doveva parlare con un ragazzo, e per lui era più importante. Giustamente.
Quindi il suo appuntamento doveva aspettare. Doveva venire in ufficio, incontrava una
persona che lo fermava per un consiglio e lui non si rifiutava mai. Per lui la puntualità
non esisteva o quanto meno veniva dopo le persone". Una sua collaboratrice ha detto:
"Per lui non esisteva l'assistenza. Fare l'elemosina non era per lui carità. Per lui carità
era darsi. Un impegno di Vita".
La strada verso gli altri e la via per entrare in comunione con loro, non stanno
nell'uscire da se stessi, ma nello scendere in profondità. Una profondità abitata da
Dio: non un “vuoto”, ma una esperienza "piena" di un incontro. Nel profondo di noi,
c'è un posto riservato a Dio, ed è li che bisogna sempre scendere per attingere alle
sorgenti della vita e parteciparla. Dal fatto che l'anima si ritrova in Dio e Dio
nell'anima, è Dio il punto di incontro più vero e più pieno delle persone tra di loro.
Vivere uniti a lui, come i tralci alla vita, costituisce la via più diritta e più vera per
andare agli altri, per occuparsi degli altri, per donare ed essere solidali con tutti. Si
fonda qui la mistica del servizio, inteso come esercizio e al contempo comunicazione
della stessa carità di Dio. Di quel Dio che è Amore. Trova qui il senso più vero della
ginnastica del cuore dell’uomo, chiamato quotidianamente a rinunciare almeno ad una
goccia del proprio egoismo per divenire capace – per grazia – a saper amare col cuore
stesso di Dio.
Le testimonianze sono chiare: “Ora noi vediamo chiaramente che la sua vita si è
consumata, sì, ma nel servizio e per amore, in un modo così persuasivo ed eloquente
che tutti quanti lo abbiamo conosciuto non possiamo fare a meno di pensare che Dio
ci ha donato un santo come maestro ed amico”.
•
Carità di servizio
È la forte unione con Dio che spinge l'uomo al di fuori di sé e lo fa essere
contemplativo nel servizio; libero e liberante; in comunione con la Chiesa; imitatore di
Cristo nella perfezione e santità.
La carità, per don Enzo, è stata sempre più la forma della fede che condivide con gli
altri, che si impegna per gli altri e con gli altri, che tende a fare comunione nel senso
più vero della parola. Non si è limitata ad essere una comunione di beni, ma è
divenuta una comunione di vita: con i ragazzi, con i poveri, con gli ultimi, con i fratelli
e le sorelle della sua comunità.
Forte della sua esperienza poteva così affermare che la “carità di servizio” è possibile
se è il frutto di una comunione tra i fratelli e con Dio. "La carità di servizio è prima di
tutto il frutto naturale e soprannaturale della comunione tra di noi e con il Signore.
Questa comunione deve essere rinnovata ed arricchita ogni giorno, perché la comunità
e il servizio non abbiano a degenerare in attivismo" (Direttorio, 1984, p. 49). Comunione
che è sempre scelta libera, che ha bisogno quotidianamente di essere voluta, cercata
e rinnovata.
Carità di servizio che è l’espressione ed il frutto della carità fraterna, vissuta e donata
ai poveri. "La carità di servizio è amore, dono di Dio che passa attraverso la nostra
esperienza di fraternità per giungere, purificata, al povero che per noi è Gesù Cristo.
Come Gesù è la roccia della nostra salvezza, così la fratellanza e carità a livello
comunitario è l'indiscussa garanzia per il nostro servizio" (Direttorio, 1984, p. 49).
Sembra che per don Enzo il lasciarsi "usare" dai fratelli non abbia un limite: "Aiutare,
vivere con i fratelli poveri, morire per loro, se Gesù lo vuole. E questo penso sia la
nostra meravigliosa condanna. Per amore di Gesù ci condanniamo, da uomini nuovi e
risorti, a vivere con i poveri e per i poveri, non a parole, ma alla pari e con i fatti".
Stare con i poveri e gli ultimi, condividere con loro la vita è rendersi conto davvero
che c’è una realtà profonda che accomuna tutti gli uomini: il bisogno che tutti
abbiamo di Dio e del fratello, il dovere dell’amore e della solidarietà ad oltranza.
La carità di servizio in ogni sua espressione, è la sola capace di rivelare al mondo il
volto del vero Dio: di quel Dio che Gesù ci ha mostrato e descritto nella sua esistenza
terrena. Ed è autentica quando “il rapporto che viviamo con il fratello povero non è
diverso da quello che abbiamo con Gesù nel momento della preghieracontemplazione" (L'alternativa, 1984, p. 123). "Il vero servizio esige la ricerca
impaziente e appassionata di Dio per diventare dei veri innamorati di Lui, il massimo
bene" (Aggiornamento del direttorio, 1991, p. 84).
Don Enzo ci ha insegnato più con l’esempio che con le parole, che la densità della vita
dipende dalla modalità con cui la si accoglie e dalla disponibilità che si ha ad offrirla.
Come lui, ogni persona ha da scegliere se restare tutta la vita centrata su se stessa,
con le mani sia vuote che piene, ma chiuse; oppure crescere nell’atteggiamento di
gratuità, di dono, in quella carità di servizio che mette in moto dinamiche eterne,
perché rivela Dio e comunica il suo amore.
Possiamo verificare se la nostra carità di servizio è autentica guardando le nostre
mani, se sono aperte o chiuse. Se il bene che compiamo resta centrato su se stesso e
si considera principio dei doni che offre, e necessariamente esige riconoscimenti dagli
altri, non nasce certo da mani aperte. Invece che generare gratuità, nasconde ricatti
sottesi e trasmette messaggi ambigui. Se, al contrario, operiamo “a mani aperte”,
lasciandoci condurre dallo Spirito, saremo capaci di relazioni diverse, sperimenteremo
una qualità nuova di amore che è la carità vera. Un amore in grado di alimentare tutte
le dimensioni della vita, fino alle dimensioni più profonde, e di conferire un carattere
trascendente alle opere compiute.
Don Enzo prima che le aiutare a risolvere i problemi materiali, ha offerto amore, è
stato testimone autentico di amore: ha amato col cuore di Dio ogni persona che ha
incontrato sul suo cammino. Il suo amore appassionato a Dio possa contagiarci, possa
essere il vero tesoro della nostra vita, così da poter sentire vere per noi queste sue
parole di augurio: “Alla sera della vita io vi auguro di cuore che possiate dire di essere
stati buoni seminatori della Parola di Dio, Allora, la vera grande consolazione, il
conforto, la speranza sarà proprio questa: saper di essere stato il servo che si è
sforzato di essere un’anima di ascolto per amare: di essersi lasciato determinare dalla
Parola di Dio e non da quella del mondo”. Se lo saranno alla sera di ogni nostra
giornata, lo diverranno anche al tramonto della nostra intera esistenza, che si
spalancherà nella beatitudine eterna dell’Amore.