La grande tragedia dell`esilio a Babilonia. I molti perché di un

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La grande tragedia dell`esilio a Babilonia. I molti perché di un
Lectio divina mensile al Centro Giovanile Antonianum
6° incontro (16.03.2008)
La grande tragedia dell’esilio a Babilonia.
I molti perché di un disastro annunciato.
1. Il contesto storico: dal 609 al 587. Il declino dell’Assiria e le alterne vicende dell’Egitto. I nuovi signori
del Medio Oriente: i Babilonesi.
2. Tre piste di riflessione:
a. Uno sguardo di fede sulla storia complessiva di un popolo. Lo spazio per le scelte dei singoli.
b. Nello sfacelo totale, ancora la mano di Dio.
c. Prendere sul serio la storia del regno davidico per entrare nel mistero della Chiesa e del Regno
di Dio.
Storia
(F.ROSSI de GASPERIS Prendi il libro e mangia. II. Dai Giudici alla fine del Regno. EDB, Bologna 1999, 254–256)
Ioacaz, chiamato anche Sallum, figlio (non primogenito) di Giosia, è messo sul trono dal popolo, probabilmente
perché il partito anti-egiziano desidera il proseguimento della politica del padre. Egli, però, regna solo tre mesi, e
non rimane fedele alla riforma religiosa jahwista. Detronizzato e imprigionato da Necao, muore in Egitto. C’è
contro di lui un oracolo di Geremia (Ger 22,10-12).
Eliakim, figlio primogenito di Giosia, viene fatto re da Necao – ancora molto influente in Palestina –, il quale gli
cambia il nome in Ioiakim, e lo rende vassallo dell’Egitto. Non segue lo jahwismo del padre. Sottomesso a
Nabucodonosor per tre anni (604-601), gli si rivolta e Giuda è devastato da bande armate di popolazioni
favorevoli ai babilonesi. Ger 22,13-19 ha un oracolo severo contro Ioiakim, che muore forse assassinato e resta
per un certo tempo insepolto (cf. Ger 36,30-31).
Ioiachin, chiamato anche Conia o Ieconia, figlio di Ioiakim, regna per soli tre mesi e dieci giorni e continua il
comportamento empio del padre. Insieme a tutta la sua corte, per salvare la vita e la città, si consegna come
ostaggio a Nabucodonosor in persona, il quale assedia Gerusalemme. Ha luogo così un primo saccheggio della
città e una prima deportazione a Babilonia dei giudei notabili e più qualificati (597; cf. Ger 52,28. Più tardi, EvilMerodach, successo a Nabucodonosor sul trono di Babilonia nel 562, libera Ioiachin dalla prigione, ma lo
trattiene a Babilonia trattandolo come un vassallo di rango, ultimo re davidico sopravvissuto in esilio (2Re
25,27-30; cf. Ger 52,31-34). Su di lui Geremia pronuncia un oracolo accorato (Ger 22,20-30).
Mattania, messo sul trono di Giuda da Nabucodonosor nel 597 e rinominato Sedecia, è un figlio di Giosia e lo
zio di Ioiachin. Insediandosi a Gerusalemme egli presta al re di Babilonia, nel nome di JHWH, un giuramento di
fedeltà, che tradirà a più riprese fino alla sua totale rovina (1) Anch’egli fa ciò che dispiace al Signore, come
aveva fatto Ioiakim.
Nel 594-593, con il partito favorevole all’Egitto, appoggiandosi al faraone Psammetico II, cerca di organizzare
una coalizione anti-babilonese insieme a Edom, Moab, Ammon, Tiro e Sidone. Tale coalizione viene condannata
energicamente da Geremia, che gira per Gerusalemme con un giogo da buoi sulle spalle, per esortare a rimanere
sottomessi a Babilonia, e affronta uno scontro drammatico con un altro “profeta”, Anania, che viene smentito dal
Signore (Ger 27–28). Geremia scrive poi una famosa lettera ai giudei che sono stati deportati a Babilonia con
Ioiachin, esortandoli a rimanervi in pace, a pregare per il paese del loro esilio e a cercare il suo benessere, senza
dar retta a profeti menzogneri. Solo il Signore a suo tempo avrà misericordia di loro, li visiterà e li ricondurrà nel
loro paese, dove vivranno in pace. Questa lettera di Geremia darà occasione a una dura polemica tra vero e falsi
profeti (Ger 29).
Nel 589-588, sotto l’influsso del faraone Ofra (o Cofra), successore di Necao, Sedecia si ribella apertamente a
Nabucodonosor confidando nell’appoggio dell’Egitto. Il re di Babilonia marcia contro Gerusalemme e l’assedia;
l’esercito egiziano accorso in aiuto dei giudei è sbaragliato dai caldei: l’Egitto è solo una canna fessa (Ger 37,511; Ez 29,1-16; cf. Lam 4,17) (2). Tornati poi con maggiore accanimento contro la città affamata, i babilonesi la
espugnano nel nono giorno del quarto mese dell’undicesimo anno del re Sedecia (probabilmente nel giugnoluglio 587/586). Questi, in fuga verso Moab e Ammon, abbandonato dal suo esercito, viene catturato dai soldati
caldei nelle steppe di Gerico. Condotto da Nabucodonosor, è fatto accecare, dopo averlo fatto assistere
all’uccisione dei suoi figli, e poi portato a Babilonia in catene.
1 Cf. la parabola-enigma delle due grandi aquile (= Babilonia ed Egitto), in cui Ezechiele (c. 17), a pochi mesi di distanza dalla caduta di
Gerusalemme assediata dai caldei, riassume le vicende di Gerusalemme dal 597 (deportazione di Ioiachin) al 587-586 (deportazione di
Sedecia).
2 Cf. già Is 30,1-5; 39,6. Geremia prevederà la morte del faraone Ofra, il quale morirà assassinato da Amasis, principe della Libia. A essa
farà seguito l’invasione dell’Egitto da parte di Nabucodonosor, nel 568-567 (Ger 44,30 e 43,8-13).
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Gerusalemme è messa a sacco da Nabuzardan, capo delle guardie del corpo di Nabucodonosor, il tempio è
devastato e gli oggetti del culto vengono asportati, le mura della città sono demolite, la popolazione più agiata è
deportata a Babilonia, solo i contadini più poveri vengono lasciati nel paese. Molti funzionari reali sono uccisi, e
finalmente la città con il suo tempio è data alle fiamme (2Re 25,1-21; 2Cr 36,17-21; Ger 39,1-10; 52,1-30).
La Giudea viene ridotta a provincia dell’impero caldeo sotto un governatore, Godolia, nipote di Safan, il
segretario di stato di Giosia (2Re 22; 2Cr 34), appartenente a una famiglia amica di Geremia (3). A Mizpa, però,
dove il governo risiede, Godolia viene ucciso da una banda di rivoltosi intransigenti anti-babilonesi, appartenenti
al partito pro-egiziano (2Re 25,22-26; Ger 40,7–41,18). La repressione babilonese non si fa attendere, e nel
582/581 viene segnalata una nuova deportazione della popolazione della Giudea (Ger 52,28-30).
Dal 586 a.C. fino a oggi nessun re davidico ha più regnato a Gerusalemme. La distruzione del Primo Tempio, e
soprattutto la fine della monarchia davidica nel regno del sud, rimane una ferita aperta nelle carni d’Israele, che
riemerge ogni anno nella memoria del popolo di Dio con il lutto e il digiuno del 9° giorno del mese di Av
(Tish‘ah be-’av) (4).
Testi biblici
Ger 46,1–24; 2Re 23,29–25,30; Ger 36,1–45,4; Sal 74;79; Il libro delle Lamentazioni (costituito da 5 poemi
pone al centro il dolore per la distruzione di Gerusalemme, dovuta, secondo l’autore, al peccato del popolo.. Il
testo, composto poco tempo dopo i fatti, da qualcuno che ne era stato diretto testimone, fa ben comprendere lo
stato d’animo degli abitanti della Giudea di fronte a questa terribile catastrofe nazionale. Nel grido al Signore la
possibilità del perdono divino).
Alcune domande
La monarchia (XI secolo a.C.) – come visto – è nata in modo travagliato: non doveva essere come quelle
idolatriche dei cananei, rinnegando la signoria di Dio, l’unico vero Re di Israele. Bisognava creare un regno in
questo mondo e incarnato nella storia degli uomini – e dunque con tutte le strutture adeguate – ma secondo una
logica nuova.
Il primo re, Saul, vive una vicenda contraddittoria e cupa, non priva di una sua grandezza, ma certo non è l’uomo
“secondo il cuore di Dio”.
Davide, nella coscienza d’Israele, viene riconosciuto come il Re per sempre, perché egli è prima di tutto e
soprattutto l’uomo del Signore. Ma i suoi peccati mostrano che il regno degli uomini di Dio sulla terra rimane
costantemente esposto alla tentazione, un sogno di un momento, che rapidamente scompare lasciando il posto
alla pesantezza tipica dei poteri mondani.
“Salomone – un figlio ben distante culturalmente dalla semplicità pastorizia del padre, il quale danza davanti
all’arca di JHWH – mostra quanto presto e quanto facilmente il regno–sacramento della regalità del Signore
ceda alla tentazione di acquistare una corposità e un’obesità mondana, di cui le ricchezze, la fama, il potere e le
molte donne sono il segno di come, in pochi anni, ci si possa allontanare dal vero Dio” (RdG).
Lo scisma tra regno del nord e del sud, l’avvicendarsi dei re d’Israele e di Giuda spesso in lotta tra loro, la
distanza tra obbedienza ai comandamenti, culto, doveri di giustizia sociale… e vita reale di ogni giorno, è una
delle costanti quasi di ogni generazione. Così come gli abusi del potere regio, per cui la fede e la religione sono
interpretate come uno strumento del potere politico. Il sincretismo religioso, nella reggia, nelle città e nei
villaggi del popolo di Dio si diffonde sotto gli occhi dei profeti: baalismo e idoatria cananea (sidoniana, moabita,
ammonita, assira…), sacrifici umani, prostituzione sacra, divinazione, magìa, incantesimi, stregoneria,
negromanzia, ecc. credono di poter andare a braccetto con la religione del Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe. Nei
vari templi (a Betel, a Dan e a Samaria), ma anche sulle colline intorno a Gerusalemme con Salomone, e con
Acaz nello stesso tempio di JHWH, dove Manasse trasforma una cella in stalla per i cavalli del carro del sole,
destinati al culto solare.
Mai sono mancati i profeti del Signore e i servitori della sua parola, noti e anonimi, grandi e piccoli, scrittori e
predicatori, uomini e donne, confessori e martiri. Profeti che non hanno avuto paura di denunciare, di
condannare e di sfidare persino gli imperialismi delle grandi potenze del tempo, rivelando che anch’essi erano
attraversati dal giudizio e dal disegno ultimo di Dio, unico vero Signore della storia.
Dopo circa cinque secoli, la maggior parte delle dieci tribù del nord è dispersa nel calderone dell’esilio assiro,
mentre la migliore parte di Giuda e di Beniamino è deportata a Babilonia.
3 Cf. Ger 26,24; 39,11-14; 40,5-6.
4 In questo giorno la liturgia giudaica ricorda la distruzione del primo e del secondo tempio, e anche la quella di Betar, ultimo baluardo
giudaico nella seconda guerra giudaica contro Roma, al tempo di Bar Kokhba, nel 135 d.C. La liturgia sinagogale manifesta lutto e
tristezza, in questa occasione, specialmente con la proclamazione delle Lamentazioni di Geremia.
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“L’impossibile è avvenuto: Gerusalemme, la città santa, la città in cui Dio abita, è stata presa dai pagani, gli
incirconcisi sono entrati nel tempio e lo hanno profanato, distrutto, il popolo è deportato, alcuni riusciranno a
farsi una posizione con i nuovi padroni, quindi si crea anche una spaccatura nel popolo. Tutte le promesse di Dio
sono radicalmente smentite: Dio sembra aver perso la sua battaglia, o forse, chissà, Dio ha ingannato il suo
popolo. Così incomincia la crisi: non solo di essere senza patria o deportati, o senza terra, ma la terribile crisi di
chi si interroga su ciò che è avvenuto, che cerca un senso e non lo riesce a trovare. La coscienza d’Israele era di
essere popolo di Giacobbe, figlio di Abramo, portatore di una elezione particolare di Dio, di un rapporto unico
tra Israele e il Signore, a tal punto da pensare a un rapporto paterno o di tipo sponsale fra il popolo e il Signore.
Tutto questo è finito. I segni dell’alleanza non ci sono più; la relazione di totale abbandono di Israele in Dio è
sparita. L’elezione non c’è più: Israele è diventato un popolo come gli altri, perché è stato anche lui deportato. Il
dono della terra, promessa fatta ad Abramo, la terra segno del rapporto privilegiato con Dio, la terra che vuol
dire per sempre vivere secondo la santità di Dio in obbedienza alla sua legge, non c’è più; anche questa era una
promessa che Dio aveva fatto e che evidentemente si è rimangiato. A Babilonia le tracce della presenza di Dio
sono perse. In Gerusalemme Dio aveva fatto una solenne promessa, aveva dato Davide, colui che avrebbe dovuto
regnare per sempre, che è la manifestazione della benevolenza di Dio, anche questo è finito. Ormai la dinastia
davidica non si vede più. Infine c’era il tempio, il culmine di tutte le promesse, dove Dio aveva accettato di
abitare, nella sua immanenza pur essendo assolutamente trascendente: ora neppure esso c’è più. Il tempio che
racchiudeva il mistero di una trascendenza che si fa presenza… non c’è più. Dio se n’è andato, se n’è andato in
esilio pure lui. Tutto quello che Dio aveva promesso è bruciato insieme a Gerusalemme.
Qui Israele si chiede allora che cosa sta succedendo. Era abituato alle vittorie sui popoli perché Dio combatteva
al suo fianco, ma ora è stato vinto dai suoi nemici. E chi vince la guerra è nel giusto: allora sono i Babilonesi a
essere nel giusto, sono loro ad avere il Dio più forte. Il Signore, il più grande, l’unico Dio che c’è, viene
ridicolizzato dal dio pagano; o forse, e questo sarebbe ancora peggio, il Signore ha deciso questa volta di non
combattere per il suo popolo, anzi, peggio, di combattere contro. Ma allora dove è finita l’alleanza, le sue
promesse? Come ci si può ancora fidare di lui? C’è la sensazione che tutto sia stato solo uno spaventoso inganno.
Si può sintetizzare questo con una frase di Geremia (4,10): «Ahi, Signore Iddio, davvero tu hai completamente
ingannato questo popolo e Gerusalemme quando dicevi: Voi avrete pace, mentre una spada giunge fino alla
gola». Questa è la crisi dell’esilio, è l’accusa di Israele a Dio” (B. COSTACURTA, L’esilio e la consolazione, pro
manuscripto, 2).
“È questo, dunque, il modo con cui il Signore è con il suo popolo, «l’Emmanuele»? Dove è finito il sogno di
Davide? Dove è andata a finire, soprattutto, la promessa fattagli da JHWH di rendere la sua casa e il suo regno
saldi davanti a lui, e il suo trono stabile per sempre?” (RdG).
Sussidio n° 1
(C.WESTERMANN, Mille anni e un giorno, EDB Bologna 1993, 128–9,131)
Il popolo è come un masso alpino che si è staccato dalla base su cui poggiava: lentamente esso comincia a
scivolare verso la valle; nella sua massa si producono progressivamente crepe e fenditure, finché alla fine va in
frantumi e tutto precipita rumorosamente nell'abisso sottostante. I profeti, l'uno dopo l'altro si trovano presi m
mezzo a questo lento scivolamento del masso verso il basso, dal momento in cui appaiono le prime crepe fino
all'ultimo stadio della sua rovina Essi non possono e non devono tenersi in disparte, lontano dal masso che
scivola verso l'abisso; ne fanno parte, per cui sono costretti a scivolare e a precipitare insieme a esso, nonostante
siano i soli a non aver perso il collegamento con la base da cui il masso si è staccato. Tutto il loro sforzo sembra
inutile. Non riescono a cambiare lo stato delle cose e neppure a rallentare lo scivolamento del masso. Giudicando
con i nostri parametri, essi non hanno alcun successo. A turno, ognuno di loro appare sulla scena e lancia il suo
grido d'allarme, ma il grido risuona nel vuoto. Quello che viene dopo non ha maggior successo di quello che lo
ha preceduto. E così avanti per duecento anni o, volendo tener conto anche della preistoria della profezia, per
quattrocento anni. Volgendo indietro lo sguardo su questa storia della profezia uno di loro constata amaramente:
«Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze» (Is 49,4).
Il senso di questi duecento o quattrocento anni di storia della profezia si trova solo in Dio. Con questo intendo
dire che non è possibile spiegare, ponendosi da un punto di vista puramente umano, il fatto che, per un periodo
così lungo, si siano avuti, a turno, uomini che sono entrati in scena per parlare, ammonire, soffrire, disperarsi e
poi tacere. Da un punto di vista puramente umano queste continue comparse di profeti, che non sono mai riusciti
a portare il popolo nel suo insieme alla conversione, sono una cosa senza senso. A che scopo dunque? Se la
montagna aveva già cominciato a franare, a che cosa sarebbero potute servire tutte le parole dei profeti? Non
erano forse un segno dell'impotenza di Dio di fronte alla pesantezza immanente nella storia stessa? Perché Dio
non poté bloccare quel lento scivolamento verso il basso, dato che a scivolare in quel modo era proprio il suo
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popolo? Perché la storia di queste persone impotenti che alzavano la loro voce ammonitrice, senza riuscire, in fin
dei conti, a cambiare nulla?
Se c'è un luogo dove il mistero, l'insondabile mistero della maestà di Dio come Signore della storia, si erge come
una massa opaca dentro la nostra vita di uomini, è senza dubbio questo della storia della profezia. Questo mistero
ha trovato una eco molto evidente nella profezia, la quale, come fenomeno spirituale e storico-religioso, resta
inspiegabile e sfugge assolutamente ai nostri parametri e alle nostre categorie abituali. Non ci è possibile
utilizzare in questo caso lo schema a noi familiare di nascita, crescita, apogeo, espansione, effetti, di cui ci
serviamo normalmente per inquadrare movimenti del genere. Sul versante degli uomini, i diversi interventi fatti
da un profeta dal momento della sua comparsa non producono alcuna traiettoria. Ogni profeta si trova alla fine
esattamente dove si trovava all'inizio, e il suo successore deve ricominciare tutto da capo. La storia della profezia
non rappresenta alcun movimento in controtendenza rispetto allo scivolamento del masso e che quindi sia in
grado di arrestarlo. Alla fine della serie dei profeti, aperta esemplarmente dal lamento di Elia sull'Oreb, troviamo
Geremia, un uomo solo, sconfitto, che ha condiviso con il popolo l'ultima catastrofe e che, impotente e contro la
sua volontà, viene trascinato via dagli scampati nella loro ultima fuga verso l'Egitto. Quello che stupisce
veramente è la serie dei profeti, questo terribile paradosso dell'azione salvifica di Dio, nascosta in questo
continuo invio, apparentemente senza successo, di sempre nuovi messaggeri del giudizio. Considerata in se
stessa e con i parametri di cui disponiamo, questa storia non ha alcun senso. Al riguardo si può solo ripetere
quello che il servo di JHWH dice di tutto il suo affaticarsi che egli giudica fatto invano.
Fra tutti gli scritti dell'Antico Testamento sono soprattutto i libri profetici a rinviare, al di sopra e al di là di se
stessi, verso qualcosa di nuovo. Il masso è scivolato ed è stato inghiottito nell'abisso, ma non per questo è stata
posta la parola fine. Dalle ceneri della grande catastrofe è spuntato qualcosa di nuovo e le sue radici affondano
proprio nell'annuncio dei profeti. I profeti, l'uno dopo l'altro, hanno taciuto, senza essere riusciti a portare il
popolo di Dio alla conversione. E tuttavia le loro parole sono diventate un seme, dal quale è spuntato il nuovo,
come afferma il profeta dell'esilio a proposito della parola di Dio rivolta agli uomini:
«... non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero,
senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,11).
/…/
Non può essere un puro caso che nello svolgimento della profezia di Israele si rispecchino le date essenziali della
storia del Vicino Oriente, dagli inizi del regno assiro, passando per quello babilonese e giungendo fino a quello
persiano; quel regno persiano che costituisce poi il ponte di collegamento fra i grandi imperi orientali e gli
imperi mondiali dell'occidente. Dietro al dramma che si svolge in uno spazio ristretto e insignificante, dietro al
dramma che si gioca fra il Dio di Israele e il suo popolo infedele sul piccolo e misero territorio della Palestina,
sentiamo il dramma di uno spazio molto più vasto, il dramma della storia del mondo. Una storia del mondo i cui
alti e bassi, i cui successi e le cui catastrofi, si iscrivono anch'essi nei disegni e nel raggio di azione di quel Dio
che, servendosi del piccolo popolo di Israele, ha realizzato questa storia particolare che va dalla vocazione di
Abramo fino alla venuta di Cristo. La storia della profezia mostra una volta per tutte che Dio è unico, lo stesso
che opera nelle cose più piccole come in quelle più grandi, e che è quest'unico Dio a guidare la storia e a
intervenire in essa. Come nelle parole dei profeti si incontrano Assur e Babilonia, l'Egitto, la Persia e la Siria, i
loro re e i loro generali, le loro forme di culto e la loro cultura, come nella storia di Cristo intervengono Ponzio
Filato, Cirino, Augusto, Erode e Antipa, così avviene in ogni epoca della storia della chiesa. Quello che succede
nella chiesa e nelle comunità cristiane non costituisce mai tutta l'azione di Dio. Essa va ben oltre i confini della
chiesa e abbraccia tutto quello che avviene nella storia. Ma sempre resta questo contrasto, per noi sconcertante,
fra il minuscolo, ristretto spazio della chiesa da una parte, e l'immensità del mondo con i suoi avvenimenti di
portata planetaria e le grandi realizzazioni dell'uomo dall'altra. Nella chiesa, una piccola manciata di uomini
ascolta la parola di Dio, lo invoca e lo loda, mentre il vasto mondo resta fuori e non appare evidente che l'azione
di Dio riguardi e abbracci tutta la realtà: tutto il mondo, tutta l'umanità, tutto il campo della storia. Ma, cogliendo
la lezione che ci viene della storia della profezia, dobbiamo continuare a ripetere a noi stessi che fra quello che
succede nel popolo di Dio, spesso così meschino e povero, e gli alti e bassi della storia del mondo, che a noi
sembrano così enormi, esistono delle relazioni che abitualmente siamo assolutamente incapaci di vedere, ma che
talvolta risplendono all'improvviso, come avviene appunto qui nella profezia, e mostrano che Dio è il Signore
dell'universo.
Seconda riunione pellegrinaggio in Terra Santa 16–30 agosto 2008
mercoledì 9 aprile ore 21.00
Indispensabile la presenza di tutti
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