SICOI - Modulo Form
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GESTIONE DELL’ALVEOLO POST-ESTRATTIVO Razionale terapeutico per il mantenimento dei tessuti duri e molli. Revisione della letteratura. SICOI: Società Italiana di Chirurgia Orale e Implantologia Pietro Fusari, Maurizio Boisco Indice 1 Introduzione.............................................................................................................2 2 Materiali e Metodi ...................................................................................................5 2.1 L’alveolo Post-estrattivo....................................................................................7 2.2 Metodi di Preservazione del Sito Post-Estrattivo ..............................................9 2.3 Biomateriali .......................................................................................................9 3 Risultati..................................................................................................................10 3.1 Materiali da innesto a confronto ......................................................................12 3.2 Modalità di chiusura della ferita ......................................................................12 3.3 Posizionamento Implantare .............................................................................13 3.4 Qualità del tessuto neoformato ........................................................................15 4 Conclusioni ............................................................................................................17 5 Bibliografia ............................................................................................................19 1 Introduzione Secondo gli attuali concetti dell’implantologia moderna il successo della terapia implantare non può più essere valutato basandosi sulla sola sopravvivenza dell’impianto, ma considerando tutti i parametri funzionali ed estetici associati. Il corretto posizionamento implantare gioca sicuramente un ruolo fondamentale per l’ottenimento di un buon risultato ma il piano di trattamento implantologico, deve essere considerato solo una parte del piano di trattamento protesico e non viceversa. Momento fondamentale per poter prevedere il risultato finale con buona approssimazione, diventa così la corretta interpretazione dell’anatomia residua in termini di tessuti duri e molli presenti. L’anatomia del tessuto osseo ha un’influenza sulla posizione dei tessuti molli sovrastanti. Sappiamo, infatti, come il contorno dei tessuti duri e quello dei tessuti molli mantengano rapporti piuttosto costanti (Amler et al. 1960) ed è proprio questo rapporto a condizionare i risultati estetici nei pazienti che si devono sottoporre a riabilitazioni implanto-protesiche. Particolarmente importanti sono ad esempio l'altezza e lo spessore della parete ossea vestibolare e l'altezza dell'osso alveolare a livello interprossimale. Lo scorretto posizionamento implantare può comportare numerosi problemi. In alcuni casi le difficoltà possono essere facilmente gestibili con più o meno elaborati accorgimenti protesici in altri casi il compromesso è tale da complicare la mantenibilità del risultato raggiunto mettendo in discussione il successo implantare nel tempo fino ad arrivare all’impossibiltà di ottenere il risultato inizialmente ipotizzato. Un impianto posizionato troppo vestibolarmente aumenta il rischio di avere una recessione gengivale. Al contrario un impianto posizionato troppo palatalmente può portare ad un profilo emergente scarso o addirittura alla necessità di un sovracontorno del restauro protesico. In senso mesio-distale, una posizione implantare scorretta potrebbe influenzare la forma e la dimensione della papilla, fino a determinarne la completa scomparsa. Il malposizionamento corono-apicale potrebbe infine causare complicanze biologiche e/o estetiche. Se l'impianto viene posizionato troppo profondamente, avremmo una maggiore difficoltà ad una corretta igiene dell’impianto, difficoltà nella rimozione del cemento di fissaggio della corona protesica in caso di riabilitazione cementata, forma e profilo emergente difficilmente ottimali. In caso di impianto posizionato troppo coronalmente invece, possiamo avere una maggiore probabilità di esposizione di spire implatari oltre che complicanze estetiche nel momento in cui il metallo della spalla implantare fosse visibile. Nei casi estremi di posizionamento troppo coronale, potrebbe anche essere necessario ricorrere ad overlapping del restauro per mascherare il malposizionamento, generando una soluzione impossibile da detergere con le comuni manovre di igiene orale. Oltre ad un corretto posizionamento tridimensionale dell’impianto, il risultato estetico può essere influenzato dalla quantità di osso disponibile nell’area edentula. Come risulta ormai evidente dall’ampia documentazione disponibile il processo alveolare subisce una drastica riduzione dimensionale dopo l’estrazione dentale. In seguito alla perdita di un elemento dentario infatti, la cresta alveolare residua va incontro ad un processo di rimodellamento più o meno accentuato a causa di numerosi fattori. I principali processi di modellamento e rimodellamento del tessuto sono stati ben documentati sia in studi animali (Aimetti et al. 2009), sia in studi condotti sull'uomo (Amler et al.1960; Araujo e Lindhe 2005). Il riassorbimento osseo orizzontale vestibolare può raggiungere il 56%, quello linguale il 30% (Artzi et al. 2000) e la riduzione complessiva della larghezza della cresta orizzontale può arrivare fino al 50% (Barone et al. 2008). Questo tipo di riassorbimento porta la cresta alveolare residua a trovarsi in una posizione più palatale o linguale, con possibili effetti negativi sull'estetica, sulla fonetica e sulla funzione. Sebbene il riassorbimento osseo continui nel tempo, la perdita di tessuto più significativa si verifica durante il primo mese dopo l'estrazione del dente e può arrivare in media fino a 3-5 mm di larghezza nei primi 6 mesi. (Nemcovsky CE et al. 2000) Nella loro revisione della letteratura, Tan e coll. hanno valutato l’entità della variazione dimensionale dei tessuti duri e molli fino a 12 mesi dopo l’estrazione degli elementi dentari: dai dati emersi nei 20 studi considerati, gli autori hanno concluso che la perdita ossea orizzontale può variare dal 29% al 63%, mentre quella verticale dal 11% al 22% a soli 6 mesi di distanza (Tan et al. 2012) per poi gradualmente stabilizzarsi nel periodo successivo. Il posizionamento dell'impianto in siti post-estrattivi di solito può essere gestito con procedure di aumento osseo con elevata predicibilità, a condizione che almeno due pareti ossee siano intatte (Nemcovsky CE et al. 1999 e 2000). Più passa tempo tra l'estrazione dell’elemento perso e l’inserimento dell’impianto, più importante diventa il progressivo riassorbimento della cresta alveolare fino al punto da rendere assai complesso se non addirittura sconsigliato procedere all’inserimento dell’impianto ed alla contestuale ricostruzione/rigenerazione del difetto osseo presente (Zitzmann NU et al. 1999). Una attenta valutazione preoperatoria del sito dovrà essere condotta per indagare l'anatomia della cresta alveolare e permettere di intercettare eventuali carenze in senso orizzontale o verticale. Sicuramente più preoccupanti saranno i difetti ossei verticali, in quanto la difficoltà tecnica e la predicibilità delle tecniche rigenerative sono inferiori (Simion M et al. 1994 e 2001). Una serie di studi su modello animale (Amler 1960, Cardaropoli 2003), ci ha permesso di capire i processi di guarigione nei siti post-estrattivi dopo il posizionamento immediato di un impianto. Altri autori hanno invece indagato nel dettaglio i cambiamenti dimensionali del processo alveolare che seguono al posizionamento dell’impianto (Botticelli D et al. 2004) trovando un sostanziale riassorbimento osseo crestale dall’esterno nel periodo immediatamente successivo alla chirurgia implantare. Araujo e coll. (Araujo MG et al. 2005) hanno mostrato inoltre come gli impianti non impediscano il rimodellamento osseo dell’alveolo estrattivo. Araujo e Lindhe (Araujo MG et al. 2005) hanno ipotizzato che il maggior riassorbimento osseo che si verifica a livello vestibolare della cresta alveolare - paragonato con il riassorbimento linguale/palatale – sia dovuto alla maggior quantità di bundle bone o osso “dente-derivato” presente a livello vestibolare. Recentemente, impianti posizionati in alveoli post-estrattivi hanno dimostrato di non prevenire la perdita della dimensione della cresta ossea residua, specialmente a livello vestibolare e questo ha portato ad una perdita marginale di osteointegrazione (Araujo MG et al.2006) Fickl e coll. (Fickl S et al. 2008) hanno dimostrato che l’elevazione di un lembo mucoperiosteo comporta una perdita più marcata della dimensione della cresta rispetto al non innalzamento del lembo. Sulla base di quanto detto sulla guarigione nei siti post-estrattivi, la prevenzione del riassorbimento della cresta alveolare che segue all'estrazione del dente sembra essere importante, particolarmente se il posizionamento dell'impianto deve essere ritardato per 6 mesi o più. Le cause di una riabilitazione implantare differita possono infatti essere molteplici, e contemplare sia condizioni locali non favorevoli sia situazioni sistemiche o economiche non ottimali. Tra le prime elenchiamo diverse cause di perdita del tessuto osseo o anatomia non favorevole: pareti alveolari e siti post estrattivi con altezza dell'osso limitata (ad esempio in seguito a malattia parodontale e grandi difetti apicali, iperpneumatizzazione del seno mascellare) e più in generale morfologia ossea che impedisce l’inserimento dell'impianto in una posizione ideale. Tra le seconde consideriamo pazienti giovani in fase attiva di crescita o che ancora deve avvenire, problemi economici del paziente, pazienti in cui il posizionamento implantare è momentaneamente controindicato da problemi di salute generale. In tutti questi casi, sarebbe utile individuare e attuare tecniche che potenzialmente siano in grado di contrastare questo processo di riassorbimento, in modo tale da ridurre la necessità di ulteriori procedure di aumento e semplificando la successiva fase implantare. 2 Materiali e Metodi Secondo i comuni criteri d’indagine della letteratura medica è stata condotta una ricerca elettronica degli studi pubblicati e indicizzati sui principali motori di ricerca dedicati (Medline e Pubmed) inserendo le seguenti parole chiave: dental implants, socket preservation, extraction socket, ridge preservation, implants-ridge preservation, ridge-socket, ridge alteration, and ridge preservation-extraction. Sono state in seguito selezionate le principali revisioni della letteratura pubblicate tra il 1999 ed il febbraio 2013 e da queste sono stati poi estrapolati gli studi in lingua inglese citati nelle rispettive bibliografie al fine di individuare i lavori più appropriati. Inoltre, è stata eseguita una ricerca sui siti web delle seguenti riviste: Journal of Periodontology, Clinical Oral Implants Research, International Journal of Oral & Maxillofacial Implants, e Journal of Clinical Periodontology. Sono stati inclusi trial clinici randomizzati, studi clinici controllati e studi prospettici / retrospettivi con un minimo di cinque pazienti. Sulla base delle considerazioni fatte in precedenza sono stati selezionati e successivamente analizzati 163 abstracts dai quali si è proceduto poi ad identificare e esaminare 55 articoli portando a 29 gli studi che soddisfacevano i criteri di ricerca. Questi ultimi sono stati quindi utilizzati in questa revisione. I lavori su animali nel numero di 5 sono stati presi solo in considerazione solo quando strettamente correlati all’argomento. Dalla lettura delle pubblicazioni selezionate sono state registrate le seguenti informazioni: • numero di pazienti e siti trattati • metodi di preservazione del sito post-estrattivo adottati per i gruppi studio e controllo • materiali impiegati • modalità di chiusura dei tessuti molli • il periodo di osservazione • eventuali complicanze. Si è proseguito poi alla suddivisione dei risultati registrati sulla base delle tecniche e dei biomateriali impiegati ponendo l’attenzione sulla variazione della dimensione crestale (espressa sia in mm che in %), la sopravvivenza ed il successo implantare. Durante l’analisi dei lavori selezionati è stato possibile identificare una molteplicità di termini usati per indicare la conservazione delle dimensioni del processo alveolare nel tempo quali “socket preservation”, “site preservation”, “ridge preservation”. La definizione “ridge preservation” è stata considerata in questo lavoro quella più precisa per indicare quella tecnica o insieme di tecniche che si pone come obiettivo il ridurre le alterazioni morfologiche crestali in senso verticale e/o orizzontale che seguono alla perdita dell’elemento dentario nel sito post estrattivo. 2.1 L’alveolo Post-estrattivo Le alterazioni che seguono la perdita dell’elemento dentario meglio definite come processo di guarigione, coinvolgono l’alveolo post-estrattivo a più livelli. E’ infatti possibile distinguere cambiamenti interni che portano alla formazione di osso nell’alveolo e cambiamenti esterni che portano alla perdita di spessore ed altezza della cresta alveolare. (Schropp L et al. 2003) Dopo l'estrazione di un dente si osserva la formazione di un coagulo che riempie l’intero alveolo. Il sanguinamento prodotto dall’interruzione dei vasi che alimentano il parodonto è il fattore che innesca la successiva catena di eventi che portano alla neo-formazione di tessuto osseo (Amler MH et al. 1960). La reazione infiammatoria concomitante stimola il reclutamento di cellule per la formazione del tessuto di granulazione. Il coagulo, tra le 48 e le 72 ore, inizia a riassorbirsi mentre alla base ed alla periferia dell'alveolo, il tessuto di granulazione comincia a infiltrare lo stesso. A distanza di 4 giorni, l'epitelio prolifera lungo la periferia dell’alveolo, ed è presente tessuto connettivo immaturo. Dopo circa 7 giorni, il tessuto di granulazione ha completamente sostituito il coagulo. In questa fase, è presente tessuto osteoide alla base dell'alveolo, sotto forma di spicole ossee non calcificate. Nelle seguenti 2 / 3 settimane il tessuto inizia a mineralizzarsi dalla base dell’alveolo fino alla porzione più coronale. Questa fase è accompagnata da una riepitelizzazione, che ricopre completamente l'alveolo entro 6 settimane dopo l'estrazione. Si avrà poi un’ulteriore formazione di tessuto osseo che raggiungerà la massima densità radiografica a circa 100 giorni. Vi sono diversi fattori che possono influenzare la guarigione dell'alveolo postestrattivo. Gli alveoli più ampi richiedono più tempo per colmare il difetto di quelli con dimensioni ridotte. Le creste con perdita ossea orizzontale possono guarire più in fretta, poiché il ridotto livello della cresta alveolare comporta una minore richiesta di riempimento. L’osso non rigenera ad un livello più coronale rispetto al livello della cresta ossea o al livello dei denti adiacenti; non si ha il riempimento del 100% dell’alveolo. Aruaco e Lindhe (Araujo MG et al. 2005) in uno studio condotto su modello animale hanno dimostrato come nelle prime 8 settimane dopo l'estrazione dell’elemento dentario vi sia una marcata attività osteoclastica responsabile di un evidente riassorbimento delle pareti ossee vestibolari e linguali della cresta edentula. La riduzione dell’altezza, secondo quanto sottolineato nel lavoro, appare più pronunciata sul versante vestibolare e si accompagna ad un riassorbimento orizzontale di entrambi i versanti vestibolare e linguale. Qualsiasi interferenza in una di queste prime fasi del processo riparativo può tradursi in dolore e compromissione del riempimento osseo. Le sequele possono variare da emorragia, alveolite secca, osteite suppurativa o necrotizzante fino alla guarigione con tessuto fibroso. Il risultato finale è sempre la mancata formazione di tessuto osseo in misura proporzionale al momento dell'interruzione del processo riparativo. Una notevole infiammazione può provocare non solo la perdita ossea, ma anche un sequestro. Il manifestarsi di queste circostanze impedisce molto spesso di posizionare l’impianto secondo criteri funzionali ed estetici (Amler 1999). Una guarigione in difetto è molto spesso conseguenza di deficienze presenti nella morfologia dell’alveolo post-estrattivo che riducono la necessaria stabilità del coagulo. In particolare deiscenze e fenestrazioni possono derivare da patologie periapicali, frattura dei denti trattati endodonticamente, rimozione di osso vestibolare durante l'estrazione, o rimozione di radici in anchilosi (Adriaens PA et al. 1999) hanno più probabilità di essere riempiti da tessuto fibroso che da tessuto osseo fino ad occupare uno spazio considerevole nella cresta stessa. La loro presenza, soprattutto lungo le pareti vestibolare e linguale, porta a una riduzione considerevole del volume osseo e difficoltà nell’inserimento dell'impianto nella posizione ideale. 2.2 Metodi di Preservazione del Sito Post-Estrattivo L’analisi delle pubblicazioni selezionate ha permesso di individuare nove diverse procedure chirurgiche che vengono raggruppate sotto la generica definizione di “Ridge Preservation Tecnique”. Il metodo più diffuso consiste nel posizionare un biomateriale nell’alveolo postestrattivo e nel procedere successivamente alla sua ricopertura con membrana riassorbibile per eseguire da ultimo la chiusura parziale o completa dei tessuti molli circostanti. (Smukler 1999, Babbush 2003, Froum 2004, Norton 2002) Un’altra procedura comunemente utilizzata prevede l’innesto di un biomateriale e la sua successiva ricopertura attraverso i tessuti molli circostanti per mezzo di un lembo avanzato coronalmente oppure ruotato senza l’impiego di membrane (Froum 2002, Vasilic 2003, Nevins 2006, Artzi 2007 Guarnieri 2004). La terza tecnica prevede l’utilizzo della sola membrana collocata a copertura dell'alveolo e sormontata dai tessuti molli in modo da ottenere una copertura parziale o totale della stessa (Carmagnola 2003, Kfir 2007). Altri metodi investigati includono il solo posizionamento dell'innesto (Camargo 2000), la copertura dell’innesto nell’alveolo con la sola membrana, utilizzo della membrana senza alcun innesto (Luczyszyn 2005), utilizzo di un innesto coperto con una medicazione in collagene (Wang 2008), utilizzo di una spugna nell’alveolo senza alcuna copertura (Serino 2008, Neiva 2008) o una spugna con la copertura dei tessuti molli (Fiorellini 2005). L’allestimento di un lembo è richiesto per tutte le tecniche che comportino l’utilizzo di una membrana, ma non è stato impiegato in tutte le procedure in cui è stato impiegato un innesto o una spugna. 2.3 Biomateriali Il numero e la tipologia dei materiali impiegati nella tecnica di preservazione delle creste ossee è alquanto folto e rispecchia la varietà dei materiali comunemente utilizzati per le procedure di incremento dei tessuti duri e molli. I materiali utilizzati negli studi esaminati sono i seguenti: • Osso demineralizzato congelato- liofilizzato (DFDBA) (Amler 1999, Simon 2000) • Osso bovino deproteinizzato mineralizzato (DBBM) (Dies 1996,Tal 1999, Vance 2004, Molly L 2008) • Osso autologo (Becker 1994, Becker 1996, Pinho 2006), • Vetro bioattivo (Froum 2002, Yilmaz 1998, Norton 2002), • Idrossiapatite, (Froum 2004, Luczyszyn 2005,Nemcovsky1996), • Solfato di calcio (CMC/CaS) (Guarnieri 2004) • Biocoralli. (Molly 2008, Sandor 2003) • Membrane in politetrafluoroetilene espanso (e-PTFE) (Brugnami 1996, Molly 2008,Wang 2008), • Membrane di collagene (Iasella 2003, Simon 2000, Carmagnola 2003, Vasilic 2003, Norton 2003), • Membrane in acido poliglicolico polilattico (Lekovic 1998, Simon 2000). • Membrane con rinforzo in titanio (Kfir 2007), • Innesto di matrice dermica acellulare (ADMG) (Froum 2004, Luczyszyn 2005). • Spugne di acido polilattico/poliglicolico (PL/PG) (Serino 2003 e 2008), • Spugne di collagene (Scar 1999, Molly 2008, Howell 1997). Le spugne di collagene hanno agito come un vettore per fattori di crescita come la recombinant human bone morphogenetic protein 2 (rhBMP-2) (Fiorellini 2005) o il synthetic cell-binding peptide P-15 (Neiva 2008). 3 Risultati Schropp e collaboratori (Schropp 2003) hanno effettuato uno studio sulla guarigione degli alveoli post-estrattivi in premolari e molari dove hanno osservato come i due terzi del riassorbimento osseo complessivo della cresta che segue alla perdita degli elementi dentari avvenga nei primi tre mesi. Il processo subisce poi un sostanziale rallentamento fino a stabilizzarsi a circa 12 mesi di distanza. Dai dati raccolti i due ricercatori hanno registrato una riduzione dello spessore della cresta alveolare del 50% rispetto alle dimensioni iniziali, con un range variabile tra i 12 e i 6,1 millimetri. La perdita di altezza è invece meno consistente ed ha luogo quasi integralmente nei primi 3 mesi. Gli autori infine ipotizzano come a dettare il livello della guarigione della cresta sia l’altezza ossea residua dopo l’estrazione piuttosto che il livello osseo dei denti adiacenti. In un ridotto numero di studi (6) è stato effettuato un confronto tra i siti sottoposti a “ridge preservation tecnique” ed alveoli privi di innesto, guariti normalmente. In tutti gli studi tranne uno, la preservazione della cresta ha determinato una maggiore altezza e larghezza tale da risultare statisticamente significativa. Utilizzando un innesto alloplastico con vetro bioattivo, Yilmaz e coll. (Yilmaz 1998) hanno riportato una larghezza media dei siti di studio da 5.7 (± 1.2) mm rispetto a 3,9 (± 0,8) mm nei siti di controllo. Le dimensioni dell'altezza della cresta sono state 8,0 (± 1,6) mm per i siti di studio e 7 (± 0,5) mm per i siti di controllo. Tre di questi studi hanno utilizzato una metodologia simile, permettendo un confronto diretto. Tutti hanno dimostrato un migliore e significativo mantenimento dello spessore della cresta utilizzando la ridge preservation rispetto al solo coagulo. Iasella e coll. (Iasella 2003) hanno anche riportato un cambiamento minore nello spessore dei tessuti molli nei siti di studio rispetto ai siti di controllo. Lekovic, (Lekovic 1997, 1998) prima e Camargo e coll.(Camargo 2000) dopo hanno impiegato la stessa tecnica di riempimento degli alveoli con vetro bioattivo e solfato di calcio. Sulla base di questi lavori gli autori hanno riportato che gli alveoli non riempiti raggiungono risultati leggermente migliori. L’impiego di spugne di acido polilattico/poliglicolico nell'alveolo estrattivo indagato da Serino e coll. (Serino 2003) ha riportato che a 6 mesi la distanza media tra la cresta e i punti di riferimento era aumentata di 0,2 (± 1,5) mm per i siti di studio e di e diminuita di 0.7 (± 1.2 ) mm per i siti di controllo. 3.1 Materiali da innesto a confronto Negli studi selezionati viene di rado effettuato un confronto tra i differenti materiali da innesto. In tre delle 29 pubblicazioni prese in esame vengono messi a confronto materiali differenti tra loro impedendo così di incrociare i dati ottenuti dai al fine di verificarne la congruità. Luczyszyn e coll. (Luczyszyn 2005) hanno utilizzato un innesto di matrice dermica acellulare (ADMG) in associazione o meno ad idrossiapatite (HA) per verificare quale procedura permettesse la minore contrazione crestale. Gli autori hanno riportato come il solo innesto connettivale conservi meglio la larghezza crestale, mentre l’uso di idrossiapatite consenta un aumento dell’ampiezza del tessuto cheratinizzato. Uno studio condotto da Vance e coll. (Vance 2004) ha confrontato una miscela di solfato tricalcico (CMC/CaS) e osso demineralizzato liofilizzato (DFDBA) rispetto all’associazione di osso bovino deproteinizzato (DBBM) con una membrana in collagene senza trovare differenze significative tra i gruppi. Neiva e coll. (Neiva 2008) hanno studiato il posizionamento di una medicazione in collagene con e senza Putty/P15 (osso bovino deproteinizzato associato alla proteina morfogenetica P15), e hanno dimostrato come l'aggiunta del P15 abbia portato ad una minore perdita di altezza. Dalla lettura di questi lavori emerge in maniera evidente come non sia possibile registrare differenze apprezzabili tra i diversi tipi di materiali da innesto, tutti ugualmente utili. La ridotta dimensione dei campioni e l’impossibilità di incrociare i dati di studi differenti, troppo diversi per tecnica, materiali e timing, limitino le procedure di inferenza statistica e la possibilità di fornire indicazioni più precise. 3.2 Modalità di chiusura della ferita Le tecniche utilizzate variavano dal semplice posizionamento dell'innesto nel sito estrattivo (Howell 1997), al sollevamento e riposizionamento di un lembo (Luczyszyn 2005) con o senza una membrana esposta al cavo orale (Vance 2004, Camargo 200053, Serino 2008). Sia Yilmaz e coll (Yilmaz 1998) e Babbush (Babbush 2003) hanno proceduto alla chiusura parziale della ferita senza l'uso di alcuna membrana. Iasella e coll. (Iasella 2003) e Carmagnola e coll. (Carmagnola 2003) hanno ottenuto una chiusura solo parziale ma hanno coperto l’alveolo/innesto esposto con una membrana di collagene, mentre Froum e coll. (Froum 2004) hanno lasciato membrane e-PTFE o ADMG esposte, consigliando i pazienti di utilizzare la clorexidina per un periodo di tempo prolungato. Solo il lavoro di Tall e al. (Tal 1999) ha riportato l'uso di un innesto di tessuto molle per chiudere completamente l’alveolo. La questione se i siti post-estrattivi richiedano una copertura completa dei tessuti molli non è stata affrontata direttamente. Tuttavia, la maggior parte degli studi ha riportato la chiusura primaria della ferita, che fosse un lembo ad avanzamento coronale a coprire l'innesto o il solo alveolo (Froum 2002, Vasilic 2003, Fiorellini 2005) o la copertura della membrana (Brugnami 1999,Pinho 2006, Serino 2003) o un lembo palatale di rotazione a copertura dell’innesto (Artzi 2000). Anche in questo caso la diversità delle procedure rende difficile asserire se la chiusura primaria della ferita sia necessaria o meno. La sovrapponibilità dei risultati raggiunti sembra quindi lasciar propendere per una non fondamentale guarigione per prima intenzione della ferita sebbene venga considerata essenziale la stabilizzazione dell’innesto all’interno dell’alveolo post estrattivo in maniera tale che l’eventuale particolato osseo non venga parzialmente dislocato. 3.3 Posizionamento Implantare La tecnica di preservazione crestale si pone come obiettivo la possibilità di posizionare un impianto osteointegrato di dimensioni appropriate all’elemento dentale da sostituire e nella posizione desiderata. Alcuni degli studi considerati sembrano aver smarrito lo scopo della procedura concentrandosi sulla quantità e qualità di osso formato o la differenza dimensionale tra metodi di aumento ed omettendo i dati relativi alla finalizzazione della procedura implantare. Molti articoli hanno segnalato l’inserimento implantare finale (Froum 2003, Babbush 2003, Froum 2004, Molly 2008, Kfir 2007) senza però segnalare la dimensione degli impianti inseriti o il loro inserimento nella posizione ideale. Dies e coll. (Dies 1996) hanno riportato che a solo 8 dei 12 pazienti sono stati inseriti gli impianti, senza indicare il motivo per cui non potevano essere inseriti nei rimanenti 4. Sandor e coll (Sandor 2003) hanno innestato alveoli nel mascellare anteriore, immediatamente dopo un trauma, rilevando che solo il 17,6% dei siti non richiedeva ulteriore innesto al momento del posizionamento dell'impianto. Qualora gli studi abbiano utilizzato un sito di controllo riempito di solo coagulo, molto spesso gli impianti sono stati inseriti senza problemi (Lekovic 1998, Fiorellini 2005). Inoltre, Fiorellini e coll. (Fiorellini 2005) hanno rilevato che il 55% di alveoli guariti con il solo coagulo di sangue hanno richiesto un successivo incremento, mentre questo è accaduto molto meno nei siti di studio. Molly e coll. (Molly 2008) hanno riportato che 27 dei 36 siti trattati con ridge preservation avevano impianti posizionati mentre nei restanti 9 non è stato possibile procedere al loro inserimento per motivi estetici o bio-meccanici. L'evidenza suggerisce che gli impianti possono essere collocati sia nei siti di studio (preservati), sia nei siti di controllo (non preservati), ma i siti guariti con il solo coagulo possono richiedere procedure di incremento aggiuntive. Per quanto riguarda la sopravvivenza dell'impianto, solo quattro lavori hanno riportato dei dati. In alveoli innestati con vetro bioattivo, Norton e Wilson (Norton 2002) hanno mostrato un tasso di successo cumulativo del 90% a 1 anno e il 88,6% a 18 mesi. Nei siti innestati con osso bovino deproteinizzato (DBBM), Norton e coll. (Norton 2003) hanno mostrato un tasso di sopravvivenza del 97% al tempo del posizionamento del manufatto protesico, che è stato 13-33 settimane dopo l’inserimento implantare. Nella loro coorte di bambini/giovani adulti, Sandor e coll. (Sandor 2003) riportano un successo implantare del 93,7% a 3-7 anni. Infine, in uno studio retrospettivo, Sclar (Sclar 1999) ha riportato un tasso di sopravvivenza del 94% per impianti posizionati in 248 siti preservati, con controlli di 6-73 mesi utilizzando la tecnica Bio-Col. Vi è una mancanza di informazioni sulla longevità a lungo termine delle creste preservate e sulla sopravvivenza/successo degli impianti posizionati. Non vi è quasi nessuna informazione su una tecnica o materiale che possa garantire un risultato più stabile a lungo termine. Gli Autori non raccomandano quindi una particolare tecnica fino a quando questa informazione non sarà disponibile. 3.4 Qualità e quantità del tessuto neoformato La quantità e il tipo di tessuto osseo che si forma all’interno di un alveolo postestrattivo è stato l'obiettivo principale di molti studi sulla Ridge Preservation. La guarigione di un alveolo segue lo schema descritto in precedenza, e la quantità di osso formato dipende dalla fase del processo di guarigione nel quale il contenuto dell’alveolo viene esaminato (Norton 2002). Esistono varie tecniche per valutare la quantità o la proporzione di osso neoformato negli alveoli, il che rende problematico un confronto diretto. Tuttavia, nella maggior parte degli studi c'era del nuovo tessuto osseo formato. L’osso demineralizzato congelato e liofilizzato (DFDBA) sembra essere ben incorporato nella nuova formazione ossea alveolare, risultando compreso tra il 35% e il 62% del contenuto dell’alveolo (Brugnami 1996 e 1999, Froum 2002, Babbush 2003, Vance 2004). Tuttavia, ciò non ha portato ad avere una maggiore quantità di osso rispetto ai siti di controllo con il solo coagulo (Smukler 1999) o con osso bovino deproteinizzato DBBM (Tal 1999). Smukler e coll. (Smukler 1999) hanno riferito che fino al 21,5% dell’alveolo era composto da residui di innesto di DFDBA. I siti trattati con osso bovino deproteinizzato (DBBM) hanno mostrato tra il 18% e il 64% di riempimento del difetto e tra il 20% e il 30% residuo di particelle di DBBM a 6-9 mesi (Vance 2004, Artzi 2000, Molly 2008). Ad ogni modo, il particolato di DBBM era ben incorporato nell’osso (Artzi 2000). Utilizzando vetro bioattivo, Froum e coll. (Froum 2002) hanno riportato una formazione di nuovo osso media del 59,5%, rispetto al 34,7% con DFDBA e il 32,4% nei siti di controllo (solo coagulo) dopo 6-8 mesi di guarigione. Una percentuale simile è stata osservata da Vance e coll. (Vance 2004) usando il Bone Putty, una miscela di carbossimetilcellulosa (CMC), solfato di calcio (CaS), e osso demineralizzato liofilizzato (DFDBA). Serino e coll. (Serino 2008) hanno notato un 59,9% di riempimento osseo utilizzando una spugna in PL/PG in contrapposizione al 48,8% nell’alveolo con il solo coagulo. L'uso di idrossiapatite (HA) ha determinato un intervallo di formazione di osso che va dal 1% al 34,5%. Il vetro bioattivo ha indotto la formazione di poco osso (Norton 2002) o il riempimento sostanziale (Froum 2002). Molly e coll (Molly 2008), in uno studio comparativo di tre materiali, ha riportato una maggiore percentuale media di osso vitale nel gruppo spugna rispetto al DBBM o Biocorallo. Tuttavia, i siti di controllo avevano una quantità di osso vitale più alta. Studi comparativi hanno mostrato che alcuni materiali da innesto sono migliori di altri o migliori del solo coagulo in termini di quantità di osso neoformato. Vance e coll. (Vance 2004) hanno suggerito che la miscela di CMC, CaS e DFDBA era meglio del DBBM. Froum e coll. (Froum 2004) riportano migliori risultati con vetro bioattivo rispetto a DFDBA o solo coagulo. Sia Smukler e coll. (Smukler 1999) che Serino e coll. (Serino 2008) hanno ottenuti risultati simili in termini di quantità di osso neoformato nei siti studio e controllo. Carmagnola e coll. (Carmagnola 2003) hanno riportato che la qualità dell'osso era migliore con solo il coagulo o con una membrana di collagene rispetto all’utilizzo di osso bovino deproteinizzato (DBBM) con una membrana di collagene. Molti studi hanno utilizzato un materiale da innesto osseo combinato con una membrana. E' stato evidenziato che DBBM o HA utilizzati con una membrana ADMG hanno prodotto risultati nettamente migliori rispetto a una membrana in ePTFE (34). Secondo Luczyszyn e coll. (Luczyszyn 2005) una membrana ADMG è molto più efficace di per sé che con un innesto di HA. Infine, Pinho e coll. (Pinho et al. 2006) hanno collocato osso autologo coperto con una membrana in titanio, dimostrando che la sola membrana era altrettanto efficace dopo 6 mesi. L’esposizione della membrana è stato un evento frequente influenzando la quantità di riempimento di osso (Lekovic 1997). Non tutti gli studi citati riportano le percentuali di esposizione; Pinho e coll. (Pinho 2006) hanno riportato l’esposizione della membrana nel 25% dei casi. Utilizzando una tecnica di copertura parziale, Froum e coll. (Froum 2004) hanno dovuto rimuovere il 75% delle membrane in e-PTFE e il 12,5% delle membrane ADMG, il che può spiegare i risultati più deludenti nei gruppi di e-PTFE. Un tasso di esposizione del 31% è stato osservato da Norton e coll. (Norton 2003) utilizzando una membrana di collagene, tuttavia questa complicanza era stata controllata grazie ad un uso intensivo di clorexidina, permettendo alla membrana di riepitelizzarsi. In sintesi, l'uso di materiale da innesto permette la formazione di nuovo osso in alveoli estrattivi. Tuttavia, i diversi materiali da innesto e i differenti periodi di guarigione rendono il confronto tra gli studi difficile. Le membrane possono aumentare la quantità di nuova formazione ossea, ma queste possono andare incontro ad esposizione durante il periodo di guarigione creando dei problemi al processo di rigenerazione ossea. Il materiale da innesto stesso può residuare in maniera consistente (75% in alcuni siti, Norton 2003) a livello del sito post-estrattivo per molto tempo dopo la socket preservation con degli effetti potenzialmente negativi. La maggior parte dei lavori selezionati per questa revisione sono stati di breve durata, con periodi di osservazione di meno di 6 mesi. In questi brevi periodi, le varie tecniche sembrano mantenere la stabilità dimensionale sufficiente per il posizionamento dell'impianto. Nemcovsky e Serfaty (Nemcovsky 1996) e Yilmaz e coll. (Yilmaz 1998) hanno riportato che la larghezza della cresta acquisita grazie alla Ridge Preservation è stata mantenuta rispettivamente fino 12 e 24 mesi. 4 Conclusioni Questo lavoro ha preso in esame pubblicazioni che descrivono tecniche, metodologie e materiali diversi, impedendo un confronto diretto tra loro. Indipendentemente dall’eterogeneità degli studi, si può concludere che le procedure di preservazione crestale sono efficaci nel limitare alterazioni di cresta orizzontali e verticali in siti post-estrattivi e portano a vari gradi la formazione di tessuto osseo combinato a residuati di materiali da innesto. Quest’ultimo aspetto appare tuttavia strettamente correlato ai materiali e alle tecniche chirurgiche utilizzate. Non c’è evidenza scientifica per sostenere la superiorità di una tecnica rispetto ad un'altra tuttavia è possibile asserire che l'uso di membrane richiede la copertura dei tessuti molli per ottimizzare i risultati del trattamento. Le membrane e-PTFE che si espongono al cavo orale sono più problematiche rispetto alle membrane di collagene, poiché la loro esposizione può compromettere il risultato finale. In assenza di membrane invece, la guarigione per prima intenzione della ferita non è determinante. L’assenza di dati chiari circa il posizionamento secondo criteri funzionali ed estetici degli impianti in creste conservate, non permette di concludere che tali tecniche aumentino la possibilità che il loro inserimento avvenga senza ulteriori procedure chirurgiche ricostruttivo-rigenerative. Possiamo quindi affermare che è una forte evidenza scientifica che la Ridge Preservation consenta in maniera significativa di contrastare il riassorbimento in altezza ed in spessore della cresta; la maggior parte dei materiali da innesto sono efficaci e vi sono solo lievi differenze tra loro. 5 Bibliografia Aimetti M, Romano F, Griga F, Godio I. (2009) Clinical and histologic healing of human extraction sockets filled with calcium sulfate. Int J Oral Maxillofac Implants 24, 902-9. Amler Mh, Johnson Pl, Salman I. (1960) Histological and histochemical investigation of human alveolar socket healing in undisturbed extraction wounds. J Am Dent Assoc 6, 46-8. Araujo M, Lindhe J. (2005) Dimensional ridge alterations following tooth extraction. An experimental study in the dog. J Clin Periodontol 32, 212-8. Artzi Z, Tal h, Dayan D. (2000) Porous bovine bone mineral in healing of human extraction sockets. Part 1: histomorphometric evaluations at 9 months. J Periodontol 71, 1015-23. 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