FiloRossoNewsfebbraio 2014

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FiloRossoNewsfebbraio 2014
Filo Rosso News
Febbraio 2014
LA FAMIGLIA E
LE ETA’ DELLA VITA
Carissimi, carissime,
nel primo incontro abbiamo svolto il tema dell’età
della vita. Nel secondo, abbiamo focalizzato la prima età:
l’infanzia.
In questo News vi proponiamo la riflessione di don
Franco Giulio all’incontro di Ponte Lambro del 23 febbraio,
nel quale tratta l’età della “fanciullezza”.
Le famiglie del Filorosso
L’età della
“fanciullezza”
È forse l’aspetto più nuovo anche rispetto alla riflessione degli studi
disponibili. Fino agli anni ’50-’60 del Novecento la riflessione è stata
bloccata, proprio sulla fanciullezza, dall’ombra lunga di Freud, che ne
parlava in termini di età della “latenza”.
In italiano non abbiamo un termine bello per “dire” questa età: la
denominazione “fanciullezza” dà l’impressione di infantilismo. In altre
lingue, ad esempio in tedesco, si parla di “metafisica della
fanciullezza”.
Il secondo motivo di interesse della nostra riflessione è che Gesù la
indica come età singolare: “Se non diventerete come i bambini non
entrerete nel regno dei cieli” (Mt. 18,3). Gesù non dice: “se
diventerete bambini”, ma “come i bambini”.
Se leggiamo bene questa età, che sostanzialmente va dai 4/5 anni fino
alla pubertà (12/13 anni), probabilmente appare come l’età più felice
e più feconda della vita, anche se paradossalmente è la più trascurata,
perché in essa l’apprendimento del ragazzo, della ragazza, avviene con
una velocità sorprendente ed in modo molto sicuro. Cercherò di
spiegarne il motivo.
La fanciullezza è l’età dove essi si aprono al mondo e imparano ad
esplorarlo. Come mai succede questo? Perché sono così duttili e
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plastici da essere facilitati all’esplorazione del mondo? La sintesi della
realtà che essi realizzano nella stagione precoce della fanciullezza, ha
un carattere particolare ed essa - per il livello in cui viene realizzata rimarrà un dono per tutta la loro vita, come il mito fondatore della
vita adulta, come il “fanciullo” che rimane in noi. Il livello con cui
realizzano questa sintesi di apertura al mondo e alla realtà va
immaginato come le radici di un albero. Il loro livello di profondità sarà
benefico per tutta la vita della pianta.
Nel primo incontro vi ho spiegato che ogni età ha un dono proprio,
e nello stesso tempo, questo dono è anche un anticipo che rimane per
il resto delle altre stagioni di vita. L’infanzia consente sostanzialmente
di sbocciare alla vita, di differenziarsi nel rapporto con la madre e il
padre, di imparare le forme elementari del vivere, la prima forma del
bello e del bene, la prima forma del vero e delle regole di vita. E’
sufficiente ricordare quello che dice una mamma ed un papà, ma
anche le altre persone intorno al bimbo infante, per accorgerci come
attraverso i rapporti egli comincia a parlare: non solo a dare un nome
alle cose, ma a dare un senso al mondo.
Cominciamo ora a narrare il dono centrale della fanciullezza, che non
è automatico, ma va favorito! Facciamo un passo avanti. Sappiamo che
la crisi della pubertà, dell’adolescenza, costringe ad uscire dalla
immagine infantile. Il fanciullo si vede come costretto a cercare in
fretta una nuova immagine di sé. Questo è il dramma dell’adolescente.
La pubertà non è solo un fatto fisico, perché non c’è nulla di solo
fisico, come non c’è nulla di solo spirituale. La ragazza per così dire
“esplode” nella pubertà, ma anche il ragazzo diventato adolescente
sente che gli sfugge l’immagine di sé e si crea un gap, uno spread tra
l’immagine ideale e l’immagine reale. Per questo essi hanno la
preoccupazione di piacersi, quasi costretti a cercare un’immagine
ideale di sé ed a ciò orientano tutti i loro pensieri, i sentimenti e le
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azioni. Fanno parte di questo meccanismo alcune “strategie” che
potremmo chiamare di compensazione: per esempio quella di
nascondere il proprio telefonino o il proprio diario che l’adolescente
vuole difendere gelosamente da ogni sguardo indiscreto. Esse
diventano quasi l’espansione ed il potenziamento del proprio io come
se fossero una scialuppa di salvataggio.
Nel fanciullo, invece, l’immagine di sé è ancora al sicuro perché la
sente protetta dalla relazione con i propri genitori e anche da quelli
che gli stanno intorno (parenti, amici ed educatori). Il ragazzo non è
preoccupato di sé: questo aspetto è esattamente quello per cui il
richiamo di Gesù al “se non diventerete come i bambini” rimanda alla
condizione spirituale di chi non è preoccupato di sé.
Anche se a volte il fanciullo sembra egoista, se noi non lo trattiamo
subito moralisticamente, constatiamo che la possibilità di non
occuparsi della propria immagine conferisce ai suoi modi di pensare, di
sentire e di vivere una particolare…“grazia”. La sintesi felice che si
realizza nella fanciullezza è come un’immagine, una prefigurazione di
quella sintesi che egli dovrà poi cercare lungo tutto il cammino della
vita. Potremmo dire che questa è la verità di Pascoli e dei poeti che ci
ricordano il “fanciullino”. Da grande, da adulto, dopo che è passato
attraverso la crisi adolescenziale, potrà recuperare la bellezza
dell’immagine che è riuscito a vivere nella fanciullezza. Certo in
quest’età ciò accade solo nella forma della prefigurazione, della
promessa, dell’anticipo. Non è ancora una realtà compiuta, perché il
compimento di quell’identità deve passare attraverso la prova, e solo
allora diventa solida e fedele. Nella fanciullezza, però, è anticipata e
prefigurata l’immagine dell’intero, della “persona armonica” un’espressione che usa spesso il Papa - capace di dosare le
componenti della vita. La persona armonica è una realtà viva, ritmica,
può avere anche momenti di caduta, ma anche momenti di ripresa.
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Nella fanciullezza appare un’immagine dell’intero, di tutta la verità
della vita, di che cos’è la vita buona. Ma il ragazzo e la ragazza
sperimentano la vita buona, perché il loro io è assicurato sotto
l’ombrello protettivo della famiglia. Naturalmente questo non avviene
in modo automatico, quasi naturale, come spesso diciamo, ma avviene
se le potenzialità che sono dentro questa età vengono favorite, se il
fanciullo è lasciato libero di esplorare il mondo. Sostanzialmente, in
questa età, si impara a stare-al-mondo e nel-mondo. Tanto è vero che
gli adulti dicono: “impara a stare al mondo”!
Questo modo di stare al mondo, di stare nel mondo, di abitarlo, di
avere un rapporto bello con il mondo della vita è esattamente la
“grazia”, il dono di questa età.
È indispensabile che le figure della vita buona che vengono presentate
al ragazzo ed alla ragazza, e che loro possono praticare, favoriscano
esattamente questo. Fa parte infatti della vita buona propiziare
l’esplorazione del mondo e delle sue forme di vita belle e buone, di
una vita non dominata dalla ricerca di sé, ma dalla dedizione a ciò che
appare buono da cercare. Il ragazzo, la ragazza dice: “Oggi è stato
bello, mamma e papà!”. Il buono ed il bello non corrisponde per loro
semplicemente all’essere riconosciuti, ma anche alla capacità di
incontrare il mondo, di giocare - con le sue regole e le sue leggi,
comprese quelle del gioco! a stare- al- mondo. Perciò anche la regola
e la legge, compresa la norma morale percepita in modo pratico,
appare in questa stagione della vita come il modo per custodire la
promessa di una vita bella e buona. Forse l’immagine più facile per
identificare l’età di questi ragazzi e ragazze è quella di vederli come
capaci di “essere esploratori della vita” e non solo del mondo naturale,
anche se attraverso il mondo naturale.
Così la qualità della vita buona, non è dominata dalla ricerca di sé, ma
dalla dedizione all’altro, a ciò che è buono e degno per la vita
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dell’uomo; corrisponde esattamente a ciò che Gesù dice: “Chi vorrà
salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per
causa mia e del Vangelo la salverà” (Mt.16,25). Per questo Gesù
afferma che bisogna “ri-diventare come bambini”. Questo è l’aspetto
decisivo, il dono e la grazia della fanciullezza che rimane nella vita
adulta con la ricchezza con cui abbiamo loro consentito e favorito la
possibilità di viverla in questi magici anni.
+ Franco Giulio Brambilla
"Quando in una famiglia non si è invadenti, si chiede
‘permesso’. Quando in una famiglia non si è egoisti, si
impara a dire ‘grazie! grazie!’. E quando in una
famiglia, uno si accorge che ha fatto una cosa brutta e
sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è
gioia." –
Papa Francesco, 29 Dicembre 2013
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