Geometrie sacre3 - accademiasalute

Transcript

Geometrie sacre3 - accademiasalute
!
!
!
!
Sacre Geometrie a San Miniato al Monte
!
!
(parte terza)
La Geometria, fin dalle prime origini, ha esercitato un grande fascino nella
storia dell’Umanità. Le menti più illustri privilegiarono
questa scienza in ogni settore dell’operato umano con
la ferma volontà di voler interpretare l’Universo
attraverso l’armonia e le relazioni che scaturiscono
dall’applicazione delle leggi che lo regolano. Già nel
600 a.C. Talete pose la Geometria come fondamento
per indagare sul “Principio” di origine dell’Universo,
investigando sulla formazione del mondo e sul
movimento rotatorio, o vortice cosmico, che
sembrava averne determinato la sfericità.
In quel periodo storico scienza, religione e filosofia
erano fuse in un insieme armonico che prediligeva la
“bellezza” intesa come punto di partenza di ogni perfetta proporzione. Per i
Greci la Bellezza rappresentava anche l’“ordine” dell’Universo e la
Geometria fu reputata la scienza più idonea per riprodurre quelle perfette
corrispondenze.
I Pitagorici partirono da questo stesso concetto
e attribuirono al Numero e alla Geometria
un’importante sacralità; essi fecero ricorso alla
rappresentazione di figure geometriche per
nascondere dietro a quelle semplici immagini
conoscenze simboliche profonde.
Il termine “esoterico”, in greco “esoterikós”,
deriva da “esoterós” (da “eso”, “dentro”) con il
significato di “intimo, riservato, segreto”, ben
distinto da “essoterico”, in greco
“exoterikós” (da “exo”, “di fuori”), che vuol
dire “esterno, pubblico”.
Presso i Pitagorici il vocabolo “esoterico” era
considerato divino e venerabile perché si riferiva ad un insegnamento intimo,
segreto - riservato ai soli discepoli - e non doveva per nessuna ragione essere
pubblicamente rivelato. Nelle antiche scuole misteriche si ricercava la vera
Sapienza, ma non tutti potevano accedere ai livelli superiori di quel sapere e
così, come afferma anche Francesco Lamendola professore in lettere e
filosofia, non fu per “egoistico esclusivismo”, ma per “autentica
1
preoccupazione pedagogica e sociale” che fu adottata
l’opportunità di trasmettere le Conoscenze del Maestro
solo a chi era in grado di recepire tali verità. Platone
nella sua Lettera VII afferma: “Chi è serio, si guarda
bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all’odio
e all’ignoranza degli uomini”.
Secondo il grande filosofo, l’insegnamento parla
all’anima di ciascuno e deve essere proporzionato a ciò
che ognuno è in grado di recepire. Ecco che fin
dall’antichità la trasmissione delle “cose sante” si
tramandava da “bocca a orecchio”, direttamente da
Maestro a discepolo oppure, per non disperderla,
veniva scritta in una sorta di codice criptato che doveva
far da filtro agli impreparati e malintenzionati lettori.
Platone asseriva che i veri destinatari del Sapere
sarebbero riusciti a decodificare quei simboli “con
l’aiuto della minima indicazione”, mentre per tutti gli
altri sarebbero rimasti chiusi ad ogni comprensione.
E’ per questo motivo che i termini come Magia,
Alchimia, Astrologia, nei secoli sono stati sviliti del loro intimo significato;
queste scienze, non essendo comprese dalla massa, vennero demonizzate,
involgarite e ridotte ad assurda superstizione. Stesso destino fu riservato ai
termini “esoterico” ed “esoterismo”, oggi così impropriamente utilizzati.
Per contrastare questo stravolgimento ideologico, possiamo ben capire quale
importante ruolo abbiano avuto le arti figurative.
Non volendo trasmettere verbalmente le conoscenze acquisite, i Maestri
costruttori di chiese e cattedrali adottarono forme geometriche precise, segni
zodiacali e simboli, per trasmettere
quelle intime conoscenze: un idioma
segreto che, pur essendo sotto gli occhi
di tutti, diveniva comprensibile solo per
chi era addentro allo studio della
Dottrina Ermetica.
Stessa cosa è avvenuta per la Basilica di
San Miniato al Monte sulle cui pareti
esterne ed interne sono state fregiate
fi g u r e g e o m e t r i c h e s e m p l i c i ,
apparentemente decorative, ma che al
contrario nascondono un linguaggio
tutto da interpretare.
Già negli ultimi due articoli abbiamo
2
affrontato quest’argomento focalizzando la nostra attenzione sul Fiore della
Vita e sul Triskele, adesso ci
soffermeremo sulla simbologia di una
complessa immagine che troviamo
riprodotta su due identiche formelle
presenti all’interno della Basilica,
dietro all’altare, nel punto che
introduce alla cripta: quello schema
ha nette analogie con un’antica
configurazione geometrica meglio
conosciuta con il nome di “Triplice
Cinta Druidica”.
La Triplice Cinta Druidica è un simbolo arcaico, presente sia presso le civiltà
preistoriche e megalitiche, che in altre antiche culture del mondo; una specie
di trasmissione a fini comunicativi, che ha travalicato paesi, civiltà e
localizzazioni geografiche.
Una prima testimonianza della Triplice Cinta in versione circolare fu
riscontrata nel Nord Italia, verso la fine dell’Età del Bronzo, impressa su di
un medaglione oggi conservato nel Museo archeologico di Bergamo, ma poi
ci accorgeremo che quel triplice schema circolare o quadrato - diventerà un linguaggio
comune a tutte le Tradizioni.
Platone quando parla della civiltà di
Atlantide, descrive il Palazzo di Poseidone
come un edificio formato da tre cinte
concentriche quadrate collegate fra loro da
canali. Lo stesso simbolo lo ritroviamo
impresso più volte nell’Acropoli di Atene su
alcune mura del Partenone e dell’Eretteo;
nella Bibbia (I Re:7,12) si menzionano tre
cortili cinti da pietre, presenti nel Tempio di
Salomone, e la medesima struttura viene
ricordata nell’Apocalisse di San Giovanni
riguardo alla Gerusalemme Celeste ed alle
sue dodici porte, tre per ogni lato.
Il termine “druidico” trova un collegamento
con la parola “drus”, “quercia”e con il
suffisso greco-indoeuropeo “wid”, “sapere”.
La quercia per la sua robustezza e longevità fu da sempre considerata
l’albero più sacro del bosco, dedicato a Zeus, massima divinità dell’Olimpo, e
quindi emblema di virtù, forza, perseveranza e saggezza.
3
Se uniamo “drus” con “wid” si ottiene un
vocabolo il cui senso può venire letto come
“colui che sa per mezzo della quercia”:
qualifica che designava il Druido quale
sommo Sacerdote del popolo celtico,
depositario di ogni valore e sapienza.
Dei Druidi, considerati consiglieri regali e
guardiani del “sacro ordine naturale”,
conosciamo la loro influenza in campo
religioso e sociale, ma delle ritualità che essi
tenevano se ne hanno pochissime notizie e
non certo quelle più veritiere. Per i Druidi
foreste, boschi e luoghi ombrosi appartati
assumevano l’identità di un Tempio.
Da sempre l’uomo ha ricercato uno spazio
segreto - fuori e dentro di lui - da difendere da
ogni intromissione; un punto “recintato”, immerso nella natura, dove la
preghiera può salire leggera verso spazi che si fanno sempre più alti. Quei
Sacerdoti adottarono le “radure protette” per praticare le loro ritualità
segrete che comportavano prove di tipo iniziatico. Praticamente quei recinti
sacri erano dei “santuari aperti”, delle aree consacrate alla divinità, scandite
da triplici recinzioni circolari o quadrate o addirittura da fossati, in modo da
preservare quei luoghi da ogni profanazione.
Secondo René Guénon i tre
recinti possono essere messi in
relazione a tre gradi d’Iniziazione
che corrispondono ad altrettanti
stati interiori da realizzare; oppure
come asserisce Paul le Cour,
scrittore esoterico francese, le tre
cinte riprodurrebbero l’antico
processo cosmogonico che vedeva
la Potenza Creatrice dar vita
all’Universo seguendo un preciso modello “ordinatore”. Le due
interpretazioni non sono in contrasto tra loro, ma coincidono fortemente
perché da sempre i gradi di un Ordine Iniziatico riproducono in qualche
modo il processo cosmogonico e quindi un linguaggio segreto comprensibile
solo agli “iniziati” alla vera Conoscenza.
Sostanziale differenza non vi è nemmeno tra la forma quadrata delle Tre
Cinte e quella circolare. Infatti, secondo l’antico assioma ermetico “com’è in
alto, così è in basso”, vi è una stretta corrispondenza tra il Cielo e la Terra,
4
tra l’inizio e la fine di un ciclo: il
cerchio rappresenta l’atto creativo
divino nella sua “dinamicità”, mentre
il quadrato ne rappresenta il suo
riflesso sulla terra nella sua stabilità e
“staticità”.
Le quattro linee disposte a forma di
croce che collegano le tre recinzioni
furono interpretate come i quattro
canali attraverso i quali può filtrare il
passaggio dottrinale che si comunica
dall’Alto in Basso: si parte dal grado
supremo, individuato nel nucleo centrale
o “fonte d’insegnamento”, per arrivare
gerarchicamente agli altri gradi. Quindi,
nel linguaggio comune a tutte le
tradizioni, quel quadrato al centro dello
schema diventa lo spazio sacro da
proteggere, il Meru, la montagna sacra
della cultura induista, che simboleggia
l’Asse del Mondo, l’“omphalos”, che
unisce Cielo e Terra.
Dunque non c’è da meravigliarsi se una simile forma geometrica la
ritroviamo in luoghi sacri che ricordano quelle antiche conoscenze.
Ad esempio la Triplice Cinta Druidica è stata rinvenuta nel dipartimento
francese Loir-et-Cher, a Villefranche-sur-Cher
e nella chiesa di Sainte-Gemme, incisa su una
grossa pietra che fa da basamento a quei
contrafforti.
Lo stesso simbolo fu adottato dai Templari
come contrassegno di luoghi carichi di una
loro sacralità. Secondo l’astroarcheologo Aldo
Tavolaro, la Triplice Cinta indica sempre uno
spazio in cui vi è una buona concentrazione di
correnti magnetiche e cosmiche; se poi a
queste vi si aggiungono riti e preghiere
eseguite da individui di alta spiritualità, quel luogo diventa una fonte di
energie di notevole intensità.
E’ per questa ragione che nel Medioevo quell’identica raffigurazione
comincia a fare la sua comparsa nelle cattedrali gotiche, come ad esempio la
5
cattedrale di Amiens, oppure nel presidio templare di Santa Maria del Ponte
all’Aquila, nelle grotte sotterranee di Osimo presso Ancona, nel chiostro della
Basilica di San Paolo Fuori le
Mura a Roma, o addirittura
incisa su muretti e soglie di
numerose chiese.
La stessa immagine si carica
di significati ancora più
profondi quando la
ritroviamo impressa nelle
temibili prigioni di Domme e
di Chinon in Francia, nelle
quali, per lunghi anni,
vennero rinchiusi i Cavalieri
Templari.
Oltre ai significati fino ad ora attribuiti, c’è chi ha visto
nella Triplice Cinta Druidica anche una piramide
rovesciata o chi l’ha messa in relazione ad un
“labirinto”, individuando in quei segni scavati nella
pietra il percorso che il Pellegrino spirituale deve
compiere per arrivare alla vera rivelazione.
Nei secoli questo simbolo è stato utilizzato anche
come lo schema del gioco del Filetto, presente sul retro
delle scacchiere. Il nome “filetto” è quello più comune,
ma viene ricordato con altri nomi che fanno riferimento
al “mulino”, al “merellus” o pedina, ed al numero “tre”.
L’origine di questo gioco è databile intorno al 1400 a.C. ed esemplari di
quelle tavole sono state ritrovate in Spagna, Francia, Germania, Inghilterra,
Norvegia, ma anche in Cina ed in Sri Lanka; nelle rovine della città di Troia,
nei siti sepolcrali dell’Età del Bronzo e perfino impresse sulle navi Vichinghe.
Fra il 1221 ed il 1284 il gioco del Filetto appare menzionato nella prima
Enciclopedia dei Giochi della letteratura europea, alla cui realizzazione
partecipò Alfonso X re di Castiglia, grande
mecenate studioso di astronomia, astrologia
e di tutte le arti.
Per l’importante simbologia che quello
schema di gioco riproduce, ci rimane
difficile pensare che la trama del Filetto
venisse tracciata su tavole o su pietra solo
per alleviare la noia dei Maestri costruttori
o dei loro operai; non dimentichiamo che
6
la sua raffigurazione, non a caso veniva riprodotta sul
retro di scacchiere. Il gioco della Dama con i suoi
quadrati “bianchi” e “neri” riconduce alla
contrapposizione di questi due colori, simboli
dell’eterna lotta tra il bene e il male, la notte e il
giorno, la vita e la morte, il femminile ed il maschile:
conflitto interiore che l’Iniziato doveva affrontare e
vincere per poi unirsi in un slancio d’amore al
Principio Superiore che tutto unifica ed armonizza.
Va inoltre ricordato che anticamente la stessa immagine divisa in quattro
settori dalle due linee mediane, veniva utilizzata per identificare anche la
planimetria di fondazione di città e di edifici sacri,
mentre quella tagliata dalle due diagonali, costituiva
la trama nella quale gli astrologi vi inserivano lo
Zodiaco.
Luca Gaurico, astronomo ed astrologo alla corte di
Caterina de’ Medici e consigliere di papa Paolo III,
incluse nel suo Tractatus Astrologicus entrambi gli
schemi dando ampio risalto all’identità simbolica che
esisteva tra queste due figure.
Tornando alla nostra formella, se noi proviamo ad
evidenziare quelle stesse linee, ci accorgiamo che siamo in grado di
riprodurre uno schema molto simile a quello
utilizzato dagli astrologi di allora. L’edificazione di
templi e città doveva rispecchiare l’ordine creativo
del Grande Architetto dell’Universo e la forma
quadrata rappresentava, secondo l’antico assioma
ermetico, la proiezione del cerchio dello Zodiaco
sulla Terra.
Leonardo da Vinci, riprendendo l’antica visione
vitruviana, inserì l’uomo al centro di quel quadrato.
Quell’ “uomo-zodiacale”, le cui estremità vanno a
toccare rispettivamente i vertici superiori ed
inferiori del riquadro, fu visto come potenziale
punto d’incontro tra Terra e Cielo, come colui che
dovrà risollevarsi dallo stato di caduta per
cominciare ad intessere sottili corrispondenze con
le Armonie Universali.
Questo cambiamento della propria essenza
comporta un lavoro intimo di “morte” alla propria
natura déifuga e corrotta, per assurgere ad una
7
“nuova” identità.
Gli Alchimisti avevano ben chiaro questo concetto e utilizzavano
l’espressione “Opera al nero” per ricordare
l’ingresso nella parte più profonda della
propria coscienza dove affrontare le prime
salutari lotte, uscirne vittoriosi e risalire
compiendo un cammino d’Amore verso
Dio.
Sappiamo che in un Tempio la discesa nella
“cripta” rappresentava la tappa
fondamentale per l’inizio di questo tipo di
percorso.
Nell’architettura paleocristiana e bizantina
si chiamava “martyrion” lo spazio sacro che,
reso tale dalla reliquia di un martire, veniva
scelto per erigervi un edificio religioso.
Questo tipo di architettura prevedeva una
struttura a pianta centrale quadrata o
circolare, in modo da ricordare sempre
l’eterno legame tra Terra e Cielo.
Nel caso della figura geometrica presa in
esame, possiamo ricordare che le formelle sono due e posizionate ai lati
dell’arco centrale che immette alla cripta. Quella stanza, nella quale sono
contenute le reliquie di San Miniato, un tempo era la piccola chiesa
paleocristiana a pianta quadrangolare - o “martyrion” - sulla quale poi venne
edificata l’omonima Basilica.
La cripta in questo caso rappresenta
non solo il luogo, ma anche lo stato
interiore profondo, doloroso chiamato dagli ermetisti “Saturno”,
le “ossa” la “morte” - nel quale il
Pellegrino spirituale doveva per
prima cosa entrare, al fine di
“morire” alla vita ordinaria per
“rinascere” a quella Divina; dopo la
vittoria riportata sui propri vizi che
imprigionano l’anima, l’Iniziato
risaliva verso la navata centrale - il
“nuovo sapere” - e si preparava per
ascendere fino alla parte alta
absidale che rappresentava lo stato
8
di sublimazione d’Amore al quale l’anima è chiamata.
L’aver pensato di posizionare due identiche formelle ai lati di quell’arco
centrale, sembra voler ricordare che il cammino iniziatico si compie in due e
che è identico sia per l’uomo che per la donna. L’elemento maschile e quello
femminile rappresentano due aspetti contrari ma complementari, le “due
colonne” capaci poi di reggere la struttura del
Tempio.
Guardando con nuovi occhi
quelle due complesse forme
geometriche, possiamo adesso
ritrovarvi tutte le simbologie di
cui abbiamo parlato. A seconda
di come le osserviamo, riusciamo
a mettere in evidenza le Tre Cinte Druidiche, ma subito
dopo anche un “labirinto” oppure il quadro di un
antico Oroscopo. Ciascuna di queste letture simboliche, come René Guénon
affermava, non si annullano tra loro, ma al contrario si completano e danno
forza a questa costruzione geometrica.
Indicativamente, per riprodurre su di un foglio quella
formella si utilizzano squadra e compasso (strumenti
“ordinatori” della materia) e si parte dalla costruzione di
uno “statico” quadrato, per poi al suo interno costruirne
uno “dinamico” con il vertice rivolto verso l’alto; dalla
contrapposizione di queste due figure si vanno a definire
tutti i punti che determineranno
una griglia a riquadri come fosse
una scacchiera. Adottando poi il
colore verde scuro ed il bianco, si incomincia a dar
vita - tra ombre e luci - ad un insieme caleidoscopico
di piccoli quadrati e triangoli che si presta ad una
infinità di interpretazioni. Quindi una figura
geometrica stabile, ma anche al tempo stesso
dinamica, una figura “viva” che fra l’altro ricorda
molto la complessa tecnica decorativa a “muqarnas”
dell’architettura islamica.
La Basilica di San Miniato al Monte, al di là delle interpretazioni simboliche
alle quali, in questo ciclo di articoli, abbiamo cercato di avvicinarci, rimane
tutt’oggi un “libro di pietra” che offre una fonte inesauribile di letture ed
interpretazioni.
Qualcosa siamo riusciti ad individuare, ma sicuramente ben altre sottili
simbologie sono sotto i nostri occhi ed ancora non siamo in grado di
9
decifrarle. Queste prime indagini sono state necessarie per prendere
coscienza della portata di un linguaggio simbolico che a molti di noi poteva
essere sfuggito e per avvicinarci, con un nuovo sano spirito indagatore, a delle
conoscenze trascurate, se non addirittura occultate per secoli, che una volta
riscoperte offrono la certezza del Sapere di cui erano tenutari gli antichi
Maestri costruttori.
Ormai abbiamo capito che un tempo la Geometria era una scienza sacra e
che ogni figura geometrica veniva posta con intenzione non certo solo
decorativa; noi, grati per il messaggio che ci è stato tramandato, non
possiamo che cercare di addentrarci sempre di più nella decifrazione di quel
segreto idioma per farci sempre più affini a quella armoniosa Bellezza.
!
!
!
!
!
!
San Miniato al Monte
Una delle due formelle che immettono alla cripta
10
!
!
11