SICUREZZA ALIMENTARE - Formazione e Sicurezza

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SICUREZZA ALIMENTARE - Formazione e Sicurezza
SICUREZZA ALIMENTARE:
PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE
Andrighetto I.1, Fasolato L. 2, Segato S. 2
1
Direttore Generale Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
2
Dipartimento di Scienze Zootecniche
Facoltà di Medicina Veterinaria
1
INDICE
Prefazione
pag 2
1 – SICUREZZA E QUALITÀ ALIMENTARE
pag 3
1.1 – Autorità Europea per la sicurezza alimentare
”
5
2 – IL CONSUMATORE
”
7
2.1 –Implementazione del binomio qualità-sicurezza
”
9
3 – ETICHETTATURA
“
10
3.1 – Etichettatura e tracciabilità: la carne bovina e prodotti derivati.
“ 14
Schema riassuntivo della normativa
“
15
4 – LA RINTRACCIABILITÀ
“
18
4.1 – Tracciabilità e autenticazione del prodotto alimentare
“ 22
Analisi di autenticità
” 25
5 – IMPLEMENTAZIONE DELLA QUALITÀ MEDIANTE GESTIONE DEL
RISCHIO
” 30
5.1 – Gestione dell’alimento zootecnico e buone pratiche zootecniche
” 41
Conclusioni
” 43
BIBLIOGRAFIA
” 44
Consulta
” 46
2
Prefazione
La presente dispensa si prefigge il compito di fornire una visione d’insieme delle
principali tematiche legate alla sicurezza e qualità delle produzioni animali. Gli
argomenti trattati risultano di estrema attualità sia in merito ai recenti scandali che
hanno colpito il settore zootecnico nazionale ed extranazionale (Diossina, BSE), sia
riguardo al sempre crescente interesse rivolto dalla politica europea in merito alla
sicurezza alimentare.
L'industria degli alimenti e delle bevande è uno dei principali settori industriali nell'UE
con una produzione annuale pari a quasi 600 miliardi di euro, vale a dire a circa 15%
dell'output manifatturiero complessivo. Da un raffronto internazionale emerge che l'UE
è il maggior produttore al mondo di prodotti alimentari e bevande. Per tali
considerazioni di ordine economico e dati i notevoli mutamenti socio-culturali intercorsi
negli ultimi decenni risulta necessario implementare gli standard di sicurezza igienicosanitaria al fine di salvaguardare il consumatore, ultimo attore della filiera alimentare.
Le basi della legislazione europea in tale materia sono state tracciate dal Libro Bianco
sulla sicurezza alimentare del 2000, in esso si fa menzione oltre alla garanzia di estrema
igiene della produzione anche alla qualità dei prodotti forniti: Ai consumatori si
dovrebbe offrire un'ampia gamma di prodotti sicuri e di alta qualità provenienti da tutti
gli Stati membri. Questo è il ruolo essenziale del mercato interno. Da quanto detto
emerge un indissolubile legame tra sicurezza e qualità delle produzioni animali che si
traduce in “garanzia” e “valore aggiunto” del prodotto.
Verranno quindi trattati i punti chiave della legislazione europea e nazionale in merito
alla sicurezza, rintracciabilità, etichettatura e gestione interaziendale del rischio
sottolineando le interazioni e le ricadute su particolari aspetti di qualità del prodotto (dal
valore nutrizionale a quello nutriceutico, all’autenticazione). A margine di questa
dispensa sono inoltre riportate tutte le fonti (bibliografiche e siti on-line) per ulteriori
spunti e approfondimenti delle tematiche trattate.
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SICUREZZA ALIMENTARE:
PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE
1. SICUREZZA E QUALITÀ ALIMENTARE
La sicurezza alimentare è oggi considerata dalla Comunità Europea un obiettivo
trasversale, da perpetrarsi con lo sviluppo di un quadro giuridico che spazi su tutta la
filiera agroalimentare, definendo un ampio intervento di integrazione globale lungo
tutto il ciclo produttivo dalla coltivazione e allevamento fino al consumatore (dai campi
alla tavola). In materia di sicurezza alimentare, l’Unione Europea ha promosso cinque
punti primari: (rin)tracciabilità, responsabilità, gestione efficiente delle crisi,
garanzia e controllo di qualità, misure concrete per dare fiducia ai consumatori. La
Commissione formula i principi generali sui quali dovrebbe vertere la politica europea
in materia di sicurezza alimentare, questi punti sono stati fissati nel Libro Bianco sulla
sicurezza alimentare 2000 e ripresi nel Regolamento CE 178/2002:
Una strategia globale, integrata, applicata a tutta la catena alimentare definita
“dai campi alla tavola” che mira a garantire la salubrità degli alimenti e a
costituire un sistema di continuo scambio di informazioni tra le parti coinvolte
nel processo produttivo;
Una definizione chiara dei ruoli di tutte le parti coinvolte (produttori e autorità
competenti) nella catena alimentare (produttori di alimenti per animali, operatori
agricoli e operatori del settore alimentare, gli Stati membri, la Commissione, i
consumatori). Questo punto mira ad individuare le responsabilità di tutti gli
operatori ed attori della filiera agroalimentare (produzione, monitoraggio,
controllo e sorveglianza);
La rintracciabilità degli alimenti destinati agli esseri umani e agli animali e dei
loro ingredienti. I percorsi di tracciabilità e rintracciabilità di alimenti, mangimi,
informazioni ad essi correlati sono essenziali lungo tutta la catena alimentare per
identificare ogni singolo prodotto finale;
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La coerenza, l'efficacia e il dinamismo della politica alimentare. La politica
alimentare deve confrontarsi con un sistema globale (internazionale legato
all’importazione/esportazione) e in continuo cambiamento (allargamento ad Est
della comunità), caratterizzato dalla sempre crescente innovazione nei sistemi di
produzione, e che deve far fronte a episodi di crisi che possono destabilizzare
l’intero sistema arrecando gravi danni all’immagine dello stesso. La politica di
sviluppo rurale oltre a salvaguardare il consumatore deve secondo la Comunità
europea integrarsi anche con piani di protezione ambientale, sanità pubblica,
realizzazione e rafforzamento del mercato interno;
L'analisi dei rischi articolato in valutazione del rischio (consulenza del rischio e
analisi dell’informazione), gestione del rischio (norme e sistema di controllo) e
comunicazione dei rischi sia tra produttore che verso il consumatore;
L'indipendenza, l'eccellenza e la trasparenza dei pareri scientifici; Gli esperti
scientifici in qualità di consulenti dell’Autorità alimentare devono garantire
l’indipendenza da pressioni esterne. L’autorità formata dovrà inoltre essere in
grado di dirimere le controversie in materia scientifica con l’adeguato grado di
autorevolezza (eccellenza) avvalendosi di personale di altissima qualità che
dovrà opportunamente essere identificato. I risultati e le raccomandazioni
scientifiche dovranno essere di libero accesso ai cittadini e di facile
comprensione;
L'applicazione del principio di precauzione nella gestione dei rischi. Secondo
tale principio si stabilisce la possibilità di adottare misure di protezione
restrittive anche in assenza di dati certi in materia, ovvero scavalcando in parte
la logica scientifica se le informazioni riguardo un determinato rischio non sono
sufficienti;
La necessità di instaurare un dialogo continuo con i consumatori e garantire
informazione, educazione e ascolto, seguendo anche criteri legati ad altri fattori
legittimamente pertinenti quali considerazioni ambientali, il benessere degli
animali, l'agricoltura sostenibile, le aspettative dei consumatori quanto alla
qualità dei prodotti, un'adeguata informazione e definizione delle caratteristiche
essenziali dei prodotti, nonché dei loro metodi di lavorazione e produzione.
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1.1 Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare
Il Regolamento CE 178/2002 istituisce anche l'Autorità Europea per la Sicurezza
Alimentare (AESA). A questa Autorità vengono affidati numerosi compiti fondamentali
che vanno dal parere scientifico indipendente su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza
alimentare, alla gestione di sistemi di allarme rapido, alla comunicazione e al dialogo
con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni sanitarie e alla
realizzazione di reti con le Agenzie nazionali e gli organismi scientifici (Libro Bianco
2000).
Per tale motivo l'Autorità deve:
attingere alle migliori conoscenze scientifiche
essere indipendente dagli interessi industriali e politici
essere aperta ad un esame rigoroso da parte del pubblico
essere scientificamente autorevole
operare a stretto contatto con gli organismi scientifici nazionali.
L'elaborazione e il varo degli strumenti legislativi rimangono comunque di
responsabilità della Commissione, del Parlamento e del Consiglio.
L’ambito della produzione alimentare è una materia molto complessa e come ogni
attività umana non è priva di rischi, in particolare derivanti dalle contaminazioni
microbiche e chimiche. Secondo la Commissione l’anello debole del sistema sarebbe da
ricondurre alla mancata comunicazione dell’allarme al fine di poter operare sistemi di
contenimento preventivo ed una valutazione scientifica del rischio stesso. La sicurezza
igienica di un prodotto deriva da un complesso di fattori che devono necessariamente
coinvolgere:
La sicurezza e l’igiene della produzione di mangimi e alimenti per animali; Un
alimento di origine animale sano deriva anche da un mangime sano. Si devono
quindi applicare i principi di sicurezza e responsabilità e tracciabilità anche
all’industria mangimistica.
Il benessere animale e la salute animale sono alla base del binomio animale
sano-alimento sano. In particolare, nella legislazione si deve tenere conto
dell'impatto sulla qualità e sicurezza dei prodotti di origine animale destinati al
consumo umano.
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,Armonizzazione delle leggi in vigore lungo tutta la catena produttiva in materia
di igiene della produzione sia per matrici animali che vegetali.
Nuovi limiti fissati per i contaminanti di origine accidentale e provenienti
dall’attività umana (pratiche agricole, inquinamento…) e residui a seguito
dell’uso intenzionale di farmaci e presidi fitosanitari.
Nuovi alimenti che non sono ancora stati registrati per il consumo umano o
derivanti dalla manipolazione genetica.
Additivi alimentari, aromi, condizionamento e irradiazione. Dovranno essere
considerati anche i sistemi di imballaggio e tutti i materiali che possono venire a
contatto con gli alimenti.
Dopo aver identificato il rischio sono necessarie misure d’emergenza a
salvaguardia del settore produttivo.
L'attuale processo decisionale deve essere in grado di trasformare efficacemente
i pareri scientifici in legislazione o in decisioni.
Il Regolamento 178/2002 costituisce la base della normativa alimentare europea, si
applica lungo tutta la filiera produttiva (trasformazione e distribuzione inclusa) di
alimenti e mangimi e prevede una serie di obblighi estesi a tutti gli operatori interessati.
Lo scopo della Commissione, attraverso la formulazione di proposte legislative, è quello
di armonizzare le leggi nel campo della sicurezza alimentare al fine di rendere tale
materia più coerente e trasparente fissando obblighi, definizioni e principi comuni.
Sin dal secondo dopo guerra, l’evoluzione economica e culturale ha modificato
drasticamente il rapporto del consumatore con gli alimenti, in particolare con quelli di
origine animale. La transizione da una società rurale a una società terziaria avanzata ha
ridisegnato le priorità che sottendono la logica della soddisfazione dei bisogni primari
legati alla alimentazione. La logica produttiva e di consumo è passata dal “bisogno” di
approvvigionamento delle derrate alimentari (data dalle ristrettezze economiche della
popolazione europea) ad una completa indipendenza decisionale. Il settore primario è
oggi infatti molto lontano dalle consuetudini alimentari del cittadino, questa lontananza
spaziale e culturale è vista con diffidenza e in alcuni casi con avversione. Il diffondersi
di un clima di contestazione e di ostilità verso la modernizzazione del processo
produttivo alimentare è parzialmente giustificato dall’ampio ricorso a fattori produttivi
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tecnologici non del tutto compresi dal consumatore, che sempre più spesso contrappone
gli alimenti naturali prodotti un tempo (oggi artigianali, tipici, bio..) a quelli artificiali
“confezionati”. La disillusione nei confronti del progresso del settore agroalimentare è
tuttavia anche logica conseguenza di una erronea o, più precisamente, disattenta
informazione-educazione che caratterizza i prodotti di largo consumo. Il consumatore
infatti avverte il rischio dell’omologazione alimentare (e quindi del “gusto”) sulla quale
potrebbero prevalere pochi prodotti tipici o “biologici”, in deroga alle regole
comunitarie e in difesa dell’ economia rurale. L’azione comunitaria entro gli stati
membri ha infatti attuato un disaccoppiamento istituzionale tra l’eccesso di norme sulla
tutela della salute e l’ampia ma spesso disattesa normativa volontaria relativamente agli
aspetti tecnico-produttivi e qualitativi delle produzioni agroalimentari (Rubino, 2002).
Questo sdoppiamento politico-legale è ritenuto uno dei fattori determinanti i troppi
scandali alimentari (BSE, diossina, micotossine, promotori della crescita) che derivano
anche dalla incompiutezza e dalla inefficienza della azione di normazione volontaria del
processo produttivo.
In accordo con la letteratura (Rubino, 2002; Magazzù 2002), la sicurezza e la
qualità alimentare sono espressione di almeno tre livelli di richieste: i consumatori, che
oggi in Europa richiedono maggiori garanzie a loro tutela; i produttori che devono
perseguire il compromesso tra ragionevole stato di sicurezza e la crescente competitività
tecnico-produttiva, cioè efficienza tecnica e/o valore aggiunto quale investimento su un
marchio o un immagine del prodotto; l’Autorità pubblica in rappresentanza di assoluta
garanzia di salubrità (idoneità al consumo) del prodotto e nell’eventuale difesa degli
interessi economici nazionali.
2 IL CONSUMATORE
Il consumatore è divenuto estremamente esigente e richiede, come è in suo
diritto, informazioni e garanzie sulle modalità di produzione e trasformazione di un
alimento; un percorso di rintracciabilità che consideri il processo produttivo dalla
nascita dell’animale alla commercializzazione della derrata (dai campi alla tavola…allo
stomaco). Come accennato, in una società ricca, la recondita paura di ciò che si
potrebbe assumere abitualmente col cibo si palesa anche in atti ed atteggiamenti
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irrazionali (psicosi) che si traducono in rifiuto di un prodotto anche in assenza di un
reale rischio sanitario.
Per il consumatore e le Autorità pubbliche, la sicurezza igienico sanitaria di un
prodotto animale viene intesa o definita come pre-requisito di qualità: un alimento è tale
solo se rispondente a garanzie di salubrità e non nocività. E’ difficile comprendere come
il consumatore percepisca tale irrinunciabile requisito, egli infatti misura la sua
propensione all’acquisto a seconda di vari fattori legati alla sfera individuale e
ambientale, oltre alle percezioni qualitative insite o desiderate nel prodotto.
Alle informazioni di base sulla sicurezza si aggiungono con sempre più forza
anche requisiti di ordine etico, di tutela ambientale e di benessere animale. Se
prescindiamo dal pre-requisito igienico-sanitario, si è rilevato che il consumatore nella
scelta di un prodotto alimentare sia orientato dagli aspetti estetici e organolettici e
maggiormente predisposto all’acquisto di un prodotto che possieda una determinata
genesi quale garanzia dei processi produttivi. Elevare standard qualitativi e indicazioni
di un alimento significa sia guadagnare fiducia verso il consumatore storico che
ampliarne il bacino di mercato, garantendo al contempo la sicurezza del prodotto stesso.
Diagramma del processo decisionale del consumatore nell’acquisto di prodotti
carnei (Andighetto et al., 2002)
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Questa continua ricerca della garanzia nella produzione deriva anche dal
progressivo allontanamento dei fruitori alimentari dal settore agricolo. L'aumento del
consumo di prodotti trasformati, pronti a cuocere e di facile utilizzo rispetto ad un
qualsiasi prodotto di base della "fattoria", infatti, indirizza attenzioni ed apprensioni del
consumatore non tanto sulle caratteristiche organolettiche, quanto sulla necessità di
chiarezza nella composizione chimica, negli indici di salubrità (es.: colesterolo, acidi
grassi saturi, minerali ipertensivi) e immancabilmente sulla sanità stessa del prodotto
così “snaturato”.
Dall’integrazione di tutte le informazioni afferenti oggettive e soggettive, il
consumatore trae un giudizio sintetico che lo guiderà nella scelta d’acquisto a cui segue
l’esperienza della consumazione, in grado di modificare massimamente la propensione
futura al riacquisto. Studi compiuti per valutare il peso ponderale dei vari fattori che
influenzano la scelta all’acquisto del consumatore medio (definito come: colui che è
ragionevolmente ben informato, attento ed è circospetto) europeo, fanno emergere come
essa sia primariamente legata alla valutazione visiva del prodotto (freshness). Il
consumatore esercita la propria propensione all’acquisto basandosi su aspetti legati alla
salute o ad allarmi lanciati dai mass media (OGM) solo a un secondo livello decisionale.
Al pari, per importanza, vi è la valutazione delle caratteristiche organolettiche
riconducibili a tenerezza e sapidità, la cui azione sulla propensione al riacquisto è
dovuta a meccanismi di feed-back. Conservabilità, presenza di additivi, valore
nutrizionale, considerazione ecologiche ed etiche si collocano ad un terzo livello con
pesi simili mentre il benessere degli animali è relativamente ancora poco considerato.
2.1 Implementazione del binomio qualità-sicurezza
La qualità è valutata quindi in modo articolato, e per ciascun fattore si può
potenzialmente definire, in termini quantitativi, un valore soglia imprescindibile al fine
di garantire la sicurezza alimentare, seppur non esista una totale esenzione dei rischi
connessi a contaminazioni biologiche, chimiche e fisiche. Considerare la sicurezza
igienico sanitaria come pre-requisito di qualità in una ottica di sola minimizzazione dei
rischi suddetti appare un concetto poco dinamico. Se un alimento per essere tale deve
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rispondere ai minimi standard di sicurezza, coniugare la sicurezza con il valore aggiunto
della qualità significa aumentare la competitività di un prodotto e privilegiarne la scelta
all’atto dell’acquisto. In definitiva implementare la sicurezza alimentare con percorsi di
certificazione e rintracciabilità nonché rigorosi standard qualitativi di produzione, può
arricchire il valore commerciale di un alimento e il suo “consenso”, essendo al
contempo strumento di difesa del consumatore e strategia di potenziamento del settore
agroalimentare. Inoltre la coscienza sempre maggiore del ruolo nutrizionale del cibo
contribuisce a ridefinire la sfera di influenza-competenza della sicurezza alimentare. La
sicurezza di un alimento non deve essere considerata esclusivamente come assenza di
un determinato patogeno o garanzia di produzione entro i limiti di legge per un
determinato contaminante, ma deve assumere una più ampia valenza di condizione
essenziale al mantenimento della salute fisica e del benessere psicofisico del
consumatore. L’OMS ha fatto propria tale definizione di sicurezza estendendo il
concetto di nutrizione anche a un ruolo prioritario nel prevenire malattie degenerative,
patologie cardiovascolari, allergie, tossinfezioni, dismetabolie, stati infettivi.
3 ETICHETTATURA
L'etichettatura e le relative modalità di realizzazione sono destinate ad assicurare
la corretta e trasparente informazione del consumatore. Esse devono essere effettuate in
modo da: a) non indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto
alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione,
sulla quantità, sulla conservazione, sull'origine o la provenienza, sul modo di
fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso; b) non attribuire al prodotto
alimentare effetti o proprietà che non possiede; c) non suggerire che il prodotto
alimentare possiede caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi
possiedono caratteristiche identiche; d) non attribuire al prodotto alimentare proprietà
atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà, fatte
salve le disposizioni comunitarie relative alle acque minerali ed ai prodotti alimentari
destinati ad un'alimentazione particolare. I divieti e le limitazioni valgono anche per la
presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.» Dlv 23 giugno 2003, n.181.
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L’etichettatura non deve quindi ridursi ad una semplice descrizione numerica del
prodotto, descrizione che spesso può risultare di difficile approccio per alcune categorie
di consumatori (fascia della terza età, immigrati, ecc.). Essa deve inserirsi in un contesto
più ampio e comunicativo, in grado di ristabilire un rapporto di fiducia tra produttori e
consumatori; deve essere strumento di dialogo che si avvale di informazioni di
semplice, immediata e univoca comprensione. Le diciture riportabili in etichetta quindi
devono essere comprese, non fraintese, altrimenti possono risultare inutili o addirittura
fuorvianti. Le indicazioni sono infatti elemento fondamentale, chiave di lettura nel
perseguire l’obiettivo dell’etichetta: sintetizzare le informazioni sulla sicurezza e sulla
qualità del prodotto, correlando le stesse a un chiaro percorso di rintracciabilità. Il
parlamento europeo definisce indicazione: “qualunque messaggio o rappresentazione
non obbligatoria…, comprese le rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, che
affermi, suggerisca o richiami che un alimento abbia particolari caratteristiche”.
(Articolo 2). L’effettiva formulazione, il logo e le immagini cui si ricorre per
comunicare o far passare le informazioni o le promozioni dei prodotti svolgono un ruolo
importante nella percezione e comprensione delle indicazioni da parte del consumatore.
L’etichetta deve dunque essere uno strumento a garanzia di una scelta
consapevole, poiché vi è spesso contraddizione fra ciò che inconsciamente si desidera
da un prodotto e ciò che effettivamente si sceglie; tra due alimenti molto simili per
proprietà nutrizionali e qualità organolettica è il tipo di indicazioni in etichetta che
influenza la valutazione favorevole finale. Un’indagine del 2000 effettuata dalla
britannica Consumers’ Association, ha rilevato che fra un prodotto “a basso contenuto
di grassi”, “a tasso ridotto di grassi” e “senza grassi al 90%”, la maggior parte degli
intervistati non era in grado di identificare l’opzione più sana. Oltre la metà degli
intervistati, infatti, optava per la terza scelta che non identifica affatto un prodotto con
pochi grassi poiché senza grassi al 90% equivale a un alimento con il 10% di grassi,
quindi ricco in tale costituente.
Questa logica tuttavia riflette e gioca sulle attese del consumatore, le quali sono
di difficile interpretazione, spesso conflittuali, inscindibili dall’esperienza e dalla
cultura; vi è una sorta di desiderio alimentare che è appagato nella misura in cui i sensi
sono soddisfati. Così un prodotto ottenuto in modo tradizionale e non con sistemi
intensivi può essere giudicato dall’immaginario collettivo di qualità superiore, a
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prescindere da una effettiva valutazione degli aspetti nutrizionali ed organolettici e,
ancor più grave, da quelli igienico- sanitari.
Emblematico è l’esempio dei bovini allevati al pascolo ove prevale la
componente foraggiera, cioè secondo un regime alimentare a modesto apporto
energetico e proteico; in un simile contesto produttivo l’integrazione (non la
sostituzione) della componente foraggiera con alimenti concentrati (derivati del mais o
altri cereali, soia, ecc.) migliora tenerezza, succosità e gusto della carne (Andrighetto et
al., 2002). Ancor di più, in riferimento ai bovini non vi sono univoci riscontri
sperimentali relativamente al confronto tra alimentazione intensiva (concentrati e fonti
lipidiche insature rumino-protette) ed estensiva (pascolo) circa una maggiore
deposizione nei tessuti muscolari di acidi grassi polinsaturi di elevato pregio
nutrizionale. Tra questi spiccano i CLA (conjugated linoleic acid), dalle potenziali
azioni benefiche rispetto a patologie quali l’obesità e il cancro, la cui incidenza nei
prodotti lattiero-caseari e nella carne bovina può essere aumentata con il ricorso anche
di tecniche alimentari intensive. Una giusta valorizzazione del prodotti alimentari
funzionali, cioè di quegli alimenti con possibili proprietà nutriceutiche deve essere
quindi tenuta presente sensibilizzando il consumatore attraverso corrette informazioni.
A prescindere dalla necessità di attuare una diffusa ed efficace campagna di
educazione alimentare, è auspicabile che perlomeno non si ricorra più all’utilizzo di
terminologie inadatte ed ambigue che possono trarre in inganno l’acquirente o fornire
informazioni contestabili. Proprio a questo riguardo la Commissione Europea, con la
proposta di regolamento del parlamento europeo e del consiglio [Proposta di
Regolamento 2003/0165; COM (2003) 424 def.] relativo “alle indicazioni nutrizionali e
sulla salute fornite sui prodotti alimentari”, ha cercato di arginare la proliferazione
delle indicazioni riportabili in etichetta al fine di armonizzare il commercio tra paesi
membri ed evitare fraintendimenti a danno della salute pubblica. E’ infatti necessario
riassumere e stabilire quali possibili diciture debbano essere riportate in merito alle
proprietà nutrizionali e funzionali degli alimenti non soffermandosi esclusivamente
all’etichetta, ma anche vagliando tutta l’informazione ascrivibile ad un determinato
prodotto prendendo in considerazione al contempo la stessa presentazione dell’alimento
e la pubblicità ad esso riferita. Le informazioni spesso sono date senza cognizione di
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causa e volutamente generiche, atte ad invogliare un possibile cliente con frasi quali
“purifica l’organismo” o “ha effetti benefici sulla vostra salute”.
Le frontiere dell’etichetta nel moderno sistema produttivo e di commercio,
l’etichettatura nutrizionale e l’etichettatura funzionale, devono porsi necessariamente il
difficile compito dell’educazione. La visione di alimenti più adatti di altri al consumo
va integrata nella funzionalità del regime alimentare, per cui ogni alimento è una singola
componente della dieta e come tale deve essere correttamente integrato secondo
frequenze e quantità appropriate in un quadro metabolico-nutrizionale di medio lungo
periodo. In altri termini, citando la proposta di regolamento: non esistono alimenti
“buoni” o “cattivi”, ma solo regimi alimentari “buoni” e “cattivi”.
Una corretta etichettatura in futuro dovrà quindi perseguire una logica che
permetta sia l’acquisto di prodotti in base all’esclusivo criterio di valutazione delle
proprietà benefiche ma, al contempo, non penalizzi a priori quegli alimenti che per loro
natura non possiedono, come cita il Regolamento, un profilo nutrizionale “desiderabile”
quali prodotti ad elevato tenore di sali, grassi e zuccheri (snack salati e dolci).
Spesso si tende a confondere l’etichettatura con la tracciabilità di un prodotto
alimentare. Anche a livello normativo, infatti, vi sono obblighi da parte del legislatore
di riportare alcune informazioni al fine di garantire la trasparenza e la trasmissione delle
informazioni al consumatore. Un’etichetta infatti può comunicare la composizione
centesimale di un prodotto alimentare, può indicare l’area di provenienza, un metodo di
produzione, ma tutte queste informazioni non sono necessarie alla tracciabilità. La
tracciabilità abbisogna esclusivamente dell’identificazione dei processi produttivi, dei
prodotti e delle aziende che sono intervenuti durante la costituzione del prodotto finale.
L’identificazione di fatto è essenziale poiché assegna le effettive responsabilità di ogni
settore produttivo o di ogni azienda coinvolta.
L’etichetta è dunque solo veicolo di informazione, e questa informazione può
essere di natura volontaria o imposta dalla legge e può servire o meno alla corretta
tracciabilità di un prodotto alimentare. Gli obblighi imposti per legge rendono
necessaria la trasferibilità dell’informazione lungo tutta la filiera produttiva e questo
porta ad un aumento necessario della tracciabilità interaziendale (INDICOD).
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3.1 Etichettatura e tracciabilità: la carne bovina e i prodotti derivati.
Il problema della rintracciabilità della carne bovina nasce principalmente dalla crescente
disaffezione del consumatore nei confronti di questo prodotto, derivata dai problemi
sanitari che hanno afflitto questo settore di produzione negli ultimi 10 anni.
A livello comunitario l’etichettatura è disciplinata da due regolamenti. Il Regolamento
1760/2000 del 17/07/00 che abroga l’820/97 (che prevedeva un sistema volontario di
etichettatura) e istituisce un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini
relativo all'etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine
obbligatorio, congiunto ad un sistema facoltativo. Esso prevede una serie di
informazioni obbligatorie e stabilisce le modalità per la stesura di disciplinari per
l’inserimento in etichetta di informazioni facoltative. Il Regolamento 1825/2000 del
25/08/00 specifica altresì le modalità di applicazione del precedente per l’etichettatura
della carne e dei derivati.
A livello nazionale i due Regolamenti sono stati recepiti con il Decreto Ministeriale
22600 del 30/08/00 che designa il MiPAF quale autorità competente per l’applicazione
delle norme comunitarie in termini di etichettatura in Italia, e, con particolare riguardo
alla etichettatura facoltativa delle carni bovine, con il D.M. 22601 che istituisce una
apposita Commissione con compiti di vigilanza sulla approvazione dei Disciplinari e
sulla eventuale revoca di questi, sulla conformità degli organismi di controllo e sulla
revoca degli stessi e così via.
La commissione è costituita da due funzionari del MiPAF, uno con compiti di
presidente e l’altro di segretario, da un funzionario del Ministero della Sanità, da un
funzionario del Ministero dell’Industria, da quattro rappresentatiti delle regioni e delle
province autonome di Trento e Bolzano, e da eventuali esperti designati
occasionalmente.
Il D.M. specifica accuratamente come deve essere approntato il disciplinare e quali sono
le informazioni facoltative che possono essere inserite in etichetta, tenendo sempre
come punto di riferimento l’assoluta trasparenza nei confronti del consumatore.
Per facilitare l’applicazione delle menzionate leggi, l’UE ha diffuso due circolari
esplicative, n°5 del 15/10/2000 e n°1 del 09/04/2003, con le quali vengono definite le
linee guida per la stesura di un disciplinare di etichettatura facoltativa e le norme di
autocontrollo aziendale per tali informazioni.
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L’etichetta al macello deve garantire la rintracciabilità all’interno della struttura e deve
soddisfare i requisiti del Reg. CEE 1208/81. Le dimensioni dell’etichetta devono essere
di almeno 5X10 cm, essa viene stampata in 8 esemplari per ogni carcassa da apporre
rispettivamente in prossimità della 4 vertebra lombare, la punta del petto, 2 a livello
delle cosce e 2 sulla pancia. In etichetta verranno riportati i dati relativi al macello, e gli
identificativi quali la data di macellazione, il numero progressivo di macellazione, il
numero auricolare bovino. Sono inoltre scritti il peso della carcassa, la classifica
commerciale, il paese di nascita, i paesi di allevamento e quello di macellazione.
Schema riassuntivo della normativa.
•
Regolamento comunitario 1760/2000 del 17/07/2000. che istituisce un sistema
di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all’etichettatura delle
carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, e che abroga il regolamento
(CE) n.820/97 del Consiglio ed è Suddiviso in:
o Titolo I: Sistema di identificazione e registrazione bovini dato da
anagrafe bovina (banca dati nazionale a Teramo), registrazione
movimentazione degli animali, passaporti bovini.
Marchi auricolari per l’identificazione dei singoli capi
Banca dati informatizzata
Passaporti
Registri individuali tenuti presso ciascuna azienda
o Titolo II etichettatura carni bovine: chiunque vende carne bovina è
obbligato a indicare in etichetta le seguenti informazioni:
Fino al 31/12/2001: a) codice macello, Stato Membro (M) e
dicitura
“macellato
in…”;
b)
codice
stabilimento
di
sezionamento, Stato Membro (S) e dicitura “Sezionato in…”; c)
codice di rintracciabilità che lega carcassa/quarti/tagli all’animale
singolo al lotto.
Dal 01/01/2002 risulta obbligatorio riportare anche: d) Paese di
nascita (univoco); e) Paese/i di allevamento, purché l’animale vi
sia stato allevato per un periodo di tempo superiore ai 30 giorni.
17
Viene anche data la possibilità di indicare in etichetta informazioni facoltative
regolamentate da un disciplinare approvato dallo Stato membro. In Italia deve essere
approvato dal MiPAF. Le informazioni facoltative riportabili sono:
Animale (sesso, razza, tipo genetico, periodo di ingrasso…)
Allevamento (nome azienda, tipo di alimentazione, tipo di allevamento…)
Macellazione (nome macello, periodo frollatura, data…)
Altre (logo organizzazione, numero disciplinare, modalità conservazione)
•
Regolamento comunitario 1825/2000 del 25/08/2000 Modalità di applicazione
del regolamento (CE) n. 1760/2000 del Parlamento europeo e del consiglio per
quanto riguarda l’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni
bovine.: decreto di attuazione del precedente e indica in particolare cosa si
intende per lotto di animali. Al macello esiste: a) numero di identificazione del
singolo che permette di rintracciare il singolo animale ed è costituito da marca
auricolare singola o numero progressivo di macellazione; b) numero di
identificazione del gruppo definito come lotto (lotto di macellazione, lotto di
disosso), permette di risalire al codice identificativo degli animali che
compongono il gruppo.
Per gruppo si intende il numero di carcasse o mezzane sezionate nello stesso tempo; tale
numero non può superere la produzione giornaliera (da circolare 1 del 09/04/2003).
•
Decreto Ministeriale n. 22601 30/08/2000 indicazioni e modalità applicative
del regolamento (CE) n.1760/2000: l'etichettatura può essere garantita, oltre che
da una organizzazione che riunisce in sé tutte le fasi della filiera
(dall’allevamento al punto vendita), anche da singoli segmenti produttivi,
ciascuno dei quali, nel quadro di un sistema di filiera, fornisce le dovute
garanzie a quello successivo. In tal caso gli organismi indipendenti designati ai
controlli possono essere diversi per i singoli segmenti produttivi. Il MIPAF
viene designato quale autorità competente per l’applicazione in Italia delle
norme comunitarie in materia di etichettatura della carne bovina e derivati. Le
corrette informazioni contenute nei disciplinari devono possedere:
18
o Legame tra informazione ed etichetta;
o Fonte di veridicità;
o Percorso di rintracciabilità.
•
Circolare MiPAF n. 5 del 15/10/2001: contiene le linee guida per la corretta
stesura del disciplinare e indica i livelli di controllo del disciplinare che sono: a)
Autocontrollo aziendale, b) controllo da parte di organismi indipendenti, c) e
controllo da parte del MIPAF.
•
Circolare MiPAF n. 1 del 9/4/2003: Analizza le problematiche relative
all’attuazione del decreto ministeriale 30 agosto 2000 in Italia, infatti sono sorte
alcune problematiche in merito alla comprensione delle informazioni da parte
del consumatore per la presenza di possibili affermazioni forvianti quali “razza
da carne superiore" o “proveniente da allevamenti selezionati” o in merito a
simboli o raffigurazioni apposti sulle confezioni. Si è voluto quindi stabilire le
notizie riportabili in etichetta e non forvianti:
Allevamento:
denominazione azienda di nascita e/o di allevamento
sistema di allevamento
alimentazione degli animali
Animale:
razza o tipo genetico
caratteristiche legate al genoma
sesso
periodo d’ingrasso
Macellazione:
categoria
data macellazione
periodo frollatura
denominazione del macello
Altre informazioni:
logo organizzazione di etichettatura
denominazione organismo indipendente incaricato dei controlli
n. approvazione del disciplinare
modalità di conservazione
data scadenza
punto vendita
peso e taglio anatomico
19
In particolare in Italia sono stati definiti:
modalità di apposizione delle etichette;
rilascio automatico di etichette anche per la carne venduta al
taglio;
struttura dei disciplinari di etichettatura facoltativa, loro esame ed
approvazione;
approvazione organismi indipendenti di controllo;
definizione di lotto di animali diversi lavorati nei laboratori di
sezionamento e nei punti vendita
•
Decreto Interministeriale del 31 gennaio 2002 Modalità e procedure operative
per la gestione e l’aggiornamento dell’anagrafe bovine. L’istituzione
dell’anagrafe bovina mira a preservare e a monitorare il patrimonio bovino
nazionale e al contempo risulta un sistema a tutela della salute pubblica. Questo
strumento è il tramite identificativo per l’assegnazione di una corretta
etichettatura del prodotto finale e consente la corretta gestione delle produzioni
zootecniche. Le informazioni afferenti comprendono tutto l’arco di vita
dell’animale, a partire dalla nascita (informazioni generiche dell’animale quale
sesso, tipo genetico, trasferimenti), ai luoghi di provenienza (denominazioni
delle aziende di allevamento, periodo di allevamento negli stati esteri e in Italia),
fino alla macellazione (data di macellazione e denominazione del macello).
4 LA RINTRACCIABILITÀ
Si è compresa quindi l'importanza di "tracciare" dapprima i punti salienti di
produzione e quindi di rendere i percorsi delle derrate alimentari rintracciabili in un
secondo momento. E' essenziale alla tracciabilità la dualità tra identificazione e
informazione relativa ad un qualsiasi elemento di produzione: materie prime, aziende
fornitrici, fasi del processo di produzione, ecc.. Ciascuno elemento deve poter essere
facilmente identificato (debita registrazione cartacea e/o informatica di rapida
consultazione) in un contesto aziendale (entro la filiera aziendale del singolo operatore)
ed extra-aziendale (filiera verticale e orizzontale del settore) ad opera di enti giuridici,
del consumatore e dei fruitori in genere. Si deve sottolineare prima di tutto che la
20
rintracciabilità è esclusivamente uno strumento che descrive un determinato “percorso”
nel sistema produttivo e non indica assolutamente il grado di sicurezza del prodotto.
Le definizioni di rintracciabilità da Rossi, 2003
Fonte
Definizione
ISO 9000:2000-“sistemi di gestione per la
qualità/fondamenti e terminologia
Rintracciabilità: capacità di risalire alla storia,
all’utilizzazione o all’ubicazione di ciò che si sta
considerando.
UNI 10939:2001 “Sistema di rintracciabilità nelle
filiere agroalimentari/ Principi generali per la
progettazione e l’attuazione”
Regolamento Ce n. 178/2002 del parlamento
europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che
stabilisce i principi e i requisiti generali della
legislazione alimentare, istituisce l’Autorità
europea per la sicurezza alimentare e fissa
procedure nel campo della sicurezza alimentare
UNI 11020:2002 “Sistema di rintracciabilità nelle
aziende agroalimentari- Principi e requisiti per
l’attuazione
Proposta dell’autore
Essa può riferirsi:
all’origine di materiali e componenti
alla storia della realizzazione
alla distribuzione e all’ubicazione del
prodotto
Rintracciabilità di filiera: capacità di ricostruire
la storia e di seguire l’utilizzo di un prodotto
mediante identificazioni documentate
(relativamente ai flussi e agli operatori di filiera)
Rintracciabilità: la possibilità di ricostruire e
seguire il percorso di un alimento, di un
mangime, di un animale destinato alla
produzione alimentare o di una sostanza
destinata o atta ad entrare a far parte di un
alimento attraverso tutte le fasi della
produzione, della trasformazione e della
distribuzione.
Rintracciabilità: capacità di risalire alla
identificazione del fornitore dei materiali impiegati
in ogni lotto del prodotto,e della relativa
destinazione, mediante registrazione documentata
Rintracciabilità discendente: la possibilità di
ritrovare l’oggetto di interesse
Rintracciabilità ascendente: la possibilità di
recuperare informazioni relative all’oggetto di
interesse
Rintracciabilità: la possibilità di ritrovare
l’oggetto di interesse e di recuperare informazioni
che gli sono relative
La rintracciabilità è alla base di una moderna gestione sia del rischio che delle
perdite, infatti è in grado di contenere efficacemente i danni derivati da una errata
gestione della produzione e le eventuali problematiche legate ad uno specifico livello
della catena produttiva, lasciando gli altri comparti produttivi indenni. Il concetto di
rintracciabilità oltre a riferirsi al prodotto animale nelle varie fasi di produzione
aziendale, mira anche al riconoscimento e al recupero delle informazioni relative al
corollario di fattori produttivi necessari all’ottenimento del prodotto stesso
(rintracciabilità ascendente). I flussi di materia sono organizzati secondo una precisa
21
logica, in modo da poter recuperare in qualsiasi punto della filiera i passaggi di una
determinata materia prima intesa come alimento zootecnico, prodotto animale o
additivo alimentare.
Tabella riassuntiva della normativa in materia di rintracciabilità
Prodotto
Carne bovina
Pesce
Ogm
Alimenti e mangimi
Latte
Norme volontarie
UNI 10939 del 2001
UNI 11020 DEL 2002
Norma
Applicazione
Reg CE 1760/2000
In vigore
Reg CE 2065/2001
In vigore
Reg CE 1830/2003
In vigore
Reg CE 178/2002
1 gennaio 2005
Decreto del 24/7/2003
1 aprile 2004
Applicazione
Rintacciabilità di filiera
Rintracciabilità all’interno dell’azienda
La rintracciabilità interessa dunque il complesso diagramma del processo
produttivo di un alimento, dalle origini delle materie prime e/o dell’animale fino alla
distribuzione e alle modalità di conservazione della derrata. Garantire una corretta
tracciabilità e rintracciabilità può voler dire non solo ripristinare il consenso dei
consumatori, in particolare di quello europeo, ma anche imporre i propri prodotti nel
mercato extra europeo. La sicurezza e la rintracciabilità rappresentano una frontiera
irrinunciabile per una futura concorrenzialità in un mercato sempre più aggressivo. A
norma di legge, la rintracciabilità, in particolare quella discendente, legata al singolo
prodotto o elemento reale della filiera coinvolge direttamente e obbligatoriamente i
produttori del settore primario a partire dal gennaio 2005. Le aziende si troveranno a
dover operare in un contesto di richiesta di informazione già collaudato in altri anelli
della filiera e dovranno garantire l’accesso alle informazioni sia ad enti giuridici che al
consumatore. La rintracciabilità cogente (ovvero imposta per legge) risulta uno
strumento indispensabile a garantire la sicurezza delle produzioni animali, aumentando
la trasparenza dell’azienda, rivalutando il produttore e ponendosi come strumento
critico per il consumatore. Tuttavia un sistema imposto per legge presenta alcuni
inconvenienti legati all’eccessivo numero di controlli, all’onerosità del sistema e alla
difficoltà di applicazione in azienda. A queste si affianca la necessità di controlli
rigorosi e sanzioni severe in caso di inadempienze. Al contrario la rintracciabilità
volontaria è una libera iniziativa dell’impresa che si sottopone a controlli di organismi
22
certificatori traendone vantaggio se applicata in modo efficace; questi vantaggi sono
dati da una maggiore competitività di mercato ed un maggior valore aggiunto al
prodotto. Si stima che il consumatore sia disposto a pagare un prodotto con garanzia di
sicurezza almeno il 10% in più rispetto ad un prodotto privo di queste informazioni, e
fino al 20% in più se vi sia la garanzia di qualità. La certificazione e la rintracciabilità
dunque hanno due favorevoli ricadute: un maggior controllo gestionale della produzione
ed offrono uno strumento di comunicazione tra azienda e consumatore che si traduce in
uno sviluppo del marketing (Menozzi, 2003).
Per settori ad alta standardizzazione industriale quali, ad esempio, l’allevamento
avicolo da uova o da carne, caratterizzato da una elevata verticalizzazione della
produzione e rilevante integrazione della filiera, la “certificazione di prodotto” è
necessaria e quasi “naturale”. Per certificazione di prodotto si intende la certificazione
di conformità di un prodotto ad una norma che ne specifica i requisiti funzionali a
garantire l’idoneità allo scopo (UNI CEI EN 45020). Scopo di questa certificazione è
quello di fornire al consumatore elementi di garanzia sui requisiti di idoneità
all’utilizzo predefiniti. L’industria alimentare non applica di frequente la certificazione
di prodotto, tale certificazione infatti si applica unicamente alla standardizzazione
/uniformità/ omologazione industriale molto spinta che si discosta dalle aspettative dei
consumatori. In un sistema dove la materia prima rappresenta il prodotto dell’anello
precedente, una garanzia di informazione e di rintracciabilità dei lotti è essenziale. Nel
settore avicolo, a titolo d’esempio, riproduzione, ovodeposizione, incubazione, ingrasso,
macellazione e trasformazione costituiscono un flusso produttivo da associare a un
rigoroso diagramma di produzione e un chiaro quadro informativo. Le attività di
selezione genetica, la corretta igiene dal pulcino al pollo, i criteri di razionamento
alimentare, i processi di trasformazione per l’ottenimento dei derivati culinari sempre
più rispetteranno standard biologici (carica microbica, germi patogeni, antibiotici,
OGM), fisici (contaminazioni fisiche), chimici (xenobiotici), bromatologici (nutrienti) e
reologici (colore, tenerezza, sapidità) codificati in un disciplinare di produzione a
garanzia di sicurezza e qualità commerciale ineccepibili. E’ possibile quindi definire
una rintracciabilità di filiera dove le informazioni sono recuperabili e rese disponibili a
cascata. In questa ottica una accurata rintracciabilità, che comprenda informazioni
dettagliate (ad esempio: grandparents, dimensioni uovo, temperature di incubazione,
23
tempi e modalità di vaccinazioni, dieta per l’ingrasso, mortalità in azienda) si ha una
maggiore trasparenza circa l’operato dei fornitori, trasparenza che indirizza gli
acquirenti ad una scelta oculata. Solitamente la certificazione di prodotto viene
efficacemente sostituita dal “marchio del produttore” dove le imprese alimentari di
ogni dimensione e tipologia investono ed impegnano il loro nome sulla marca che
assume in sé il valore di garanzia di qualità, continuità, innovazione competitiva a
favore della conservazione del rapporto fiduciario e della fidelizzazione del
consumatore.
Nei sistemi di qualità rispetto ai quali si garantisce un controllo sul prodotto
(DOP, IGP, AS) la rintracciabilità è già un “fattore produttivo” inscindibile dalla
produzione, attuato mediante un disciplinare di produzione (Regolamento CE n. 2081 e
2082/92). Il sistema dovrà essere traslato anche a produzioni che per loro natura
possono presentare alcune problematiche igienico-sanitarie anche alla luce delle sempre
crescenti interazioni tra i comparti produttivi. Secondo Rubino (Rubino, 2002) le
vicende dei prodotti agroalimentari tradizionali e dei cosiddetti “prodotti biologici”
sono un esempio evidente di un “superamento delle regole” in favore dell’economia
rurale. Vi è di più, la globalizzazione, l’apertura delle dogane e l’impellenza di una
crescente competitività possono favorire il rischio di una standardizzazione verso il
basso e perlomeno devono far sorgere interrogativi in merito alla provenienza delle
materie prime, dei sottoprodotti industriali e altri elementi di difficile “certificazione”.
4.1 Tracciabilità e autenticazione del prodotto alimentare
Per autenticazione si intende il processo di verifica dell’identità di un prodotto in un
sistema. L’autenticità è considerata un criterio di qualità di ingredienti alimentari e
dell’alimento stesso e sta assumendo un grande rilievo in Europa nell’ottica di
protezionismo legislativo dei prodotti regionali. Essenzialmente un cibo autentico è tale
se conforme a quanto dichiarato dalla descrizione fornita dal produttore o dal
trasformatore (Downey, 1998). Questa “descrizione” può riportare la storia del processo
di ogni prodotto o ingrediente (ad esempio utilizzo di carne fresca, o di carne congelata;
utilizzo di aromi di sintesi o naturali), la descrizione può inoltre riportare l’”origine
geografica”, le specie o le varietà degli ingredienti (100% carne di una sola specie
animale).
24
L’autenticità è “l’impronta digitale” di un prodotto che ne garantisce origine e/o
provenienza. Essa deve essere considerata come un ausilio alla (rin)tracciabilità e non
può sostituirla. Nelle produzioni agricole infatti, l’autenticità (Identity preserved) di un
prodotto o di un processo viene frequentemente confusa con la tracciabilità.
(Rin)Tracciabilità: In senso stretto è la conoscenza e l’identificazione delle procedure
di produzione e distribuzione e si avvale dell’osservazione, ispezione, campionatura e
analisi di un processo. Essa mira inoltre a verificare la presenza di taluni requisiti
standard definiti. La tracciabilità rientra nell’ambito della sicurezza alimentare ed è uno
strumento atto a ripristinare la fiducia del consumatore. Essa è la base della
certificazione lungo la filiera a partire dell’azienda zootecnica fino al consumatore
finale. La tracciabilità si fonda sulla rilevazione e registrazione delle informazioni che
descrivono il processo di formazione e trasformazione del prodotto. Gestire la
tracciabilità significa definire quali informazioni registrare nel corso della produzione e
trasformazione del prodotto e lungo tutta la filiera (INDICOD).
Identificazione: Individuare in modo univoco le unità logistiche produttive e i lotti di
prodotto
che
hanno
subito
lo
stesso
percorso
produttivo
(trasformazione,
imballaggio,trasporto) e che presentano caratteristiche omogenee predefinite (lotto). Per
una corretta identificazione è necessario assegnare un Identificatore (un numero di
codice) a ciascun gruppo (lotto) identificato e verificare il percorso lungo l’intera filiera.
Identità preservata : si riferisce al processo mediante il quale un produttore garantisce
che un prodotto sia stato ottenuto, processato, manipolato, trasportato, immagazzinato
secondo criteri rigorosi di identificazione. Tale garanzia di unicità dall’azienda
zootecnica fino allo stabilimento di lavorazione si traduce in un incremento di valore
aggiunto del prodotto.
L’identità preservata si richiama dunque a filiere i cui sistemi di produzione,
lavorazione, distribuzione, commercializzazione e somministrazione siano stati studiati
e verificati in modo da mantenere la purezza (segregazione) e la genuinità del prodotto
stesso. Si tratta dunque di un sistema di valorizzazione del prodotto che mira a
verificare la presenza o l’assenza di particolari componenti o caratteristiche oppure a
garantirne la provenienza. I sistemi produttivi che si basano su questo principio sono
molteplici (Salvi e Pancaldi, 2003):
25
Sistemi di valorizzazione delle produzioni agroalimentari con caratteristiche
qualitative e genetiche peculiari (es Utilizzo di ibridi per particolari produzioni)
Valorizzazione delle produzioni biologiche, a questo riguardo risulta essenziale
la segregazione dei prodotti e della intera produzione, evitando contaminazioni
crociate e garantendo l’identificazione durante tutto il processo.
Valorizzazione di produzioni OGM free. I programmi di identificazioni servono
a garantire l’assenza di contaminazione da parte di organismi geneticamente
modificati.
Valorizzazione di produzioni zootecniche. Tali sistemi mirano ad integrare e
rafforzare le normative vigenti, ad esempio il sistema identificativo della carne
bovina, al fine di garantire l’identità del singolo animale in tutte le fasi della
filiera. Per altre produzioni zootecniche come ad esempio quella lattiero casearia
sono stati proposti sistemi di identità preservata del prodotto che mirano a legare
una tipologia di prodotto ad esempio Parmigiano Reggiano ad una sola razza
bovina (Reggiana).
Valorizzazione di produzioni prive di micotossine.
Valorizzazione di produzioni prive di allergeni, negli alimenti numerose sono le
fonti allergeniche sia di origine vegetale (soia, glutine) che animale (latte, uova,
crostacei, carne).
Un programma di gestione che miri all’Identità preservata deve necessariamente basarsi
su un protocollo che garantisca il requisito base dell’autenticità. Si deve quindi prendere
in considerazione tutto il percorso produttivo e valutare i possibili punti ove garantire la
segregazione del processo ed evitare contaminazioni con eventuali altri sistemi; ogni
fase produttiva deve rispettare requisiti stabiliti in funzione dell’obbiettivo che si vuole
perseguire con l’identità. Questi requisiti vanno verificati sia sul campo che con analisi
eseguite da laboratori accreditati e devono rispondere a limiti fissati. Si deve inoltre
provvedere alla gestione delle informazioni e alle registrazioni opportune a tutti i livelli
della filiera. La verifica dell’intero sistema viene eseguita dalle visite ispettive (audit) a
opera di organismi terzi.
26
Analisi di autenticità
Le analisi di autenticità di un prodotto alimentare quindi devono rispondere a diversi
scopi, in funzione del programma che si vuole adottare per il controllo dell’identità.
Gli scopi di una inequivocabile determinazione di un prodotto possono essere:
Stabilire l’origine geografica
Stabilire se si tratta di selvatici o allevati
Se l’alimento è stato prodotto in condizioni particolari (Produzioni ecologiche,
Bio…)
Stabilire la storia del prodotto o della vita del prodotto (condizioni di
conservazione o di processo)
Stabilire l’assenza di contaminanti, allergeni e sostanze indesiderate o di
adulterazioni
Tradizionalmente le strategie impiegate per verificare l’autenticità o l’adulterazione di
un prodotto, si basano sulla determinazione di marker o composti nel materiale da
esaminare, a confronto con campioni dello stesso tipo di materiale certamente autentico
analizzato in precedenza. Tale approccio e molto costoso e presenta tempi di verifica
che spesse volte si protraggono oltre il consumo dei prodotti, inoltre le adulterazioni e
sofisticazioni spesso riguardano più analiti e si presentano in continua evoluzione.
Informazioni provenienti da differenti metodi analitici (Martinez et al., 2003)
Per quanto concerne l’identificazione di specie, la maggior parte degli alimenti di
origine animale derivano da un insieme di più tessuti e presentano un contenuto
cellulare molto variabile, inoltre lo stato delle cellule può presentarsi più o meno
alterato. L’identificazione di specie negli alimenti di origine animale tipicamente
27
utilizza l’analisi delle proteine o il contenuto in DNA del prodotto. Le tecniche che
utilizzano il riconoscimento del DNA hanno il vantaggio di non dover ricorrere a
standard per ogni tessuto, poiché tutte le cellule di un organismo hanno lo stesso
corredo genetico. L’espressione proteica (proteomica) al contrario è specie specifica ma
anche tessuto specifica e dipende inoltre dallo stadio di sviluppo dell’organismo.
Queste tecniche tuttavia si prestano meno all’identificazione dell’origine degli animali;
ad esempio per la caratterizzazione tra animali della medesima specie ma provenienti da
allevamenti o aree geografiche diverse, le analisi genetiche non sempre sono in grado di
discriminare. Questo è il caso di specie molto diffuse sul pianeta come ad esempio il
salmone atlantico (Salmo salar) che viene comunemente allevato in Norvegia,
Finlandia, Scozia, Canada e Usa ma anche in Cile e Australia (Martinez et al., 2003). In
questo caso il riconoscimento della provenienza risulta essenziale sia per la
comprensione della qualità del prodotto, sia per l’accertamento di eventuali vincoli
sanitari imposti alla commercializzazione del prodotto (ad esempio proveniente da aree
endemiche per alcune malattie).
Le metodiche oggi più promettenti per individuare la provenienza di un prodotto di
origine animale si basano su metodi non distruttivi di indagine che si prestano inoltre
per una caratterizzazione qualitativa molto duttile. Le due tecniche che vanno via via
sviluppandosi maggiormente negli ultimi anni sono la risonanza magnetica nucleare
(NMR) e la spettroscopia NIR.
La risonanza magnetica nucleare (NMR) è un fenomeno fisico che avviene quando i
nuclei di certi atomi, immersi in un campo magnetico intenso e statico, sono esposti ad
una oscillazione secondaria del campo magnetico stesso, tale fenomeno di risonanza è
proprio solo di nuclei che possiedono uno spin. La tecnica NMR è in grado di studiare
alcune proprietà fisiche, chimiche, e biologiche dei composti e quindi risulta applicabile
a svariati utilizzi. Può essere impiegata per lo studio della struttura molecolare fino alla
determinazione della struttura proteica. Essa è in grado di fornire informazioni sulla
dinamica dei composti e soluzioni e viene sovente impiegata per la determinazione della
struttura molecolare dei solidi. In ausilio alla autenticità la spettrografia NMR permette
di garantire l’identità del prodotto alimentare (ovvero la sua autenticità), operando
riconoscimento di specie animali e di areali di produzione. Questa tecnica non
distruttiva e non invasiva si basa sulla determinazione degli isotopi dell’idrogeno (1H)
28
determinati nell’acqua e nel grasso e del sodio (23Na) contenuti negli alimenti. La
duttilità di tale tecnica si evidenzia ad esempio nell’ applicazione della spettroscopia di
risonanza magnetica nucleare a basso campo (LRNMR) che viene utilizzata per lo
studio della distribuzione dell’acqua nella carne al fine di approfondire le conoscenze
dei meccanismi esistenti tra l’acqua e altre componenti muscolari. Possono inoltre
essere costituite banche dati di qualità delle carni ottenute con NMR. La tecnica è altresì
impiegata per monitorare i processi di cottura e le modifiche intercorse nella carne e in
numerosi altri prodotti di origine animale o tecnologie applicate (prodotti lattiero
caseari, pesce, Settore del packaging)
La spettroscopia del vicino infrarosso (NIRS) è un metodo multianalitico alternativo
(secondario) e conveniente rispetto alle tradizionali metodologie di laboratorio. Tale
tecnica si basa sulla capacità di ogni matrice o composto chimico di assorbire,
trasmettere e riflettere le radiazioni del vicino infrarosso. L’insieme dell’assorbimento
della radiazione e della riflettanza fornisce informazioni sulla composizione chimica del
campione. Dato che ogni matrice alimentare è formata da costituenti chimici che
presentano bande di assorbimento relative a specifiche lunghezze d’onda, è possibile
differenziare sostanze che presentano una diversa composizione chimica secondo gli
spettri NIRS.
Tecnica NMR e NIR a confronto da (Martinez et al., 2003)
29
Una volta ottenuti gli spettri e analizzati, è possibile confrontare i dati così ottenuti con
quelli relativi alla composizione chimica dei campioni ottenuti secondo le tradizionali
analisi di laboratorio. Nella valutazione della qualità degli alimenti si è ormai giunti alla
determinazione di precisi standard qualitativi legati sia a parametri fisici che a
percezioni di qualità (biologico, benessere animale, tecniche ecocompatibili), come già
descritto. A questo proposito, elementi chiave sono la certificazione e la rintracciabilità
del prodotto, mentre si riscontra la carenza della definizione di un total quality index
(TQI), cioè un indice circoscritto a poche variabili in grado di sintetizzare la qualità di
una data categoria di prodotti alimentari.
Esistono molti strumenti in grado di valutare i parametri qualitativi (TQI compreso), ma
il più delle volte comportano analisi complesse e dispendiose sia in termini economici
che di tempo. La tecnica NIRS può essere un valido strumento per valutare, tramite
autocertificazione, la qualità del proprio prodotto durante tutte le fasi di produzione,
disponendo così di una serie di informazioni (dalla composizione centesimale al profilo
acidico del prodotto) quasi in tempo reale.
A riguardo degli alimenti di origine animale, le applicazioni NIRS per stimare la qualità
sono le seguenti:
composizione centesimale (proteine, lipidi, carboidrati, ceneri, valore
energetico);
contenuto di singoli nutrienti (AA, acidi grassi);
discriminare specie, razze o categorie produttive;
riconoscere (rintracciare) prodotti alimentari;
caratteristiche organolettiche (colore, tenerezza, sapidità).
30
La spettroscopia NIRS, inoltre, può essere ampiamente utilizzata come tecnica per
predire l’allevamento d’origine (Segato et al., 2002), la specie di provenienza (Novelli
et al., 2003), il valore nutrizionale ad esempio contenuto in acidi grassi (Fasolato et al.,
2004), l’area di provenienza di vari alimenti di origine animale, purché il data base di
riferimento sia sufficientemente ampio (Berzaghi et al., 2001 ; Segato et al., 2002). Lo
strumento quindi si presta ad utilizzi legati alla rintracciabilità dei prodotti alimentari e
ad una rapida valutazione della qualità degli stessi (Andrighetto et al., 2004). In figura si
evidenzia come sulla base dell’analisi delle componenti principali, con Discriminant
equations di WinISI 1.5, con le prime 5 componenti principali (su spettri ottenuti da
carne macinata fresca), sono stati riconosciuti correttamente il 100% degli animali
appartenenti alla razze Charolaise e il 97% dei Limousine (Andrighetto at al., 2004).
2
0.50
0.00
-0.20
shi drum-farm A
0.30
1
sea bass
shi drum-farm B
Riconoscimento di specie e allevamenti di pesci eurialini mediante NIRS (segato
et al., 2002)
31
Scatter plot delle prime tre componenti principali per gli spettri di carne fresca e
macinata (da Andrighetto et al., 2004)
5 IMPLEMENTAZIONE DELLA QUALITÀ MEDIANTE GESTIONE DEL
RISCHIO.
Il rischio alimentare suscita paure recondite o vere e proprie psicosi che possono portare
anche al rifiuto del consumo di certi generi alimentari. Questi comportamenti irrazionali
alle volte risultano privi di basi fondate in merito al reale pericolo derivato da crisi
alimentari, paure il più delle volte amplificate dai mass media. Emblematici alcuni casi
eclatanti quali quello del mascarpone al botulino, dei polli alla diossina, del caso
"Mucca pazza". A prescindere da ogni considerazione e speculazione di ordine sociale e
politico, le contaminazioni ambientali da agenti di origine biologica o chimica risultano
essere un problema comune a tutte le produzioni agroalimentari, senza tralasciare quindi
le aziende zootecniche. L’impatto dell’opinione pubblica sulla produzione oggi assume
un ruolo dominante. Il consumatore è sempre più informato in merito allo stato di vita
del bestiame, egli rivolge la sua attenzione e il suo giudizio anche sulla sicurezza degli
alimenti e sulla sanità pubblica correlandola alle produzioni animali. Questo si traduce
in una maggiore domanda di sicurezza e condiziona le produzioni zootecniche che
32
vanno via via organizzandosi in “sistemi di qualità globale” che preservino l’immagine
dell’intero comparto (Noordhuizen, 2004). Le aziende di produzione primaria diventano
oggi confrontarsi con questi temi al fine di garantire il prodotto, la sicurezza alimentare
e rendere visibili tutte le azioni di sostegno alla qualità, rintracciabilità e
implementazione dell’igiene durante tutta la produzione.
Produzione di alimenti zootecnici sicuri (da Notermans., 2003)
GMP= Good manufacturing practices.
A questo scopo il binomio igiene-sicurezza risulta essenziale per un corretto
coordinamento delle attività di stalla al fine di implementare la qualità del prodotto. Un
corretto sistema di gestione aziendale infatti è in grado di implementare la qualità stessa
della produzione prevenendo il rischio di contaminazioni del prodotto e problemi
sanitari alla mandria. A tale riguardo si stanno diffondendo programmi di gestione in
allevamento sia della salute e della produzione HHPM (herd health and production
management program) che di gestione del rischio qualitativo HACCP (hazard analysis
critical control point). Prendendo ad esempio in esame l’azienda da latte, sono stati
approntati programmi volti a definire e controllare i principali problemi sanitari in stalla
(Noordhuizen, 2004). Solitamente l’allevatore quando evidenzia un problema di
33
rilevante entità si affida a questi programmi di gestione che mirano ad individuare le
aree aziendali ritenute non pienamente efficienti. Dopo aver stilato un inventario delle
inefficienze si procede ad assegnare un punteggio 1…5 a ciascuna voce al fine di
identificare le priorità dell’azione e le mete da raggiungere. Vengono con questo
sistema evidenziati problemi quali la presenza di zoppie, o problemi relativi all’apparato
riproduttore (mancata osservazione dei calori), o problemi strutturali e gestionali come
ad esempio la distribuzione dell’alimento o il tipo di pavimentazione, questi dati raccolti
in modo efficace serviranno da base ad un piano d’azione a breve e lungo termine. Il
veterinario aziendale deve aver cura di stilare rapporti scritti al fine di indicare
all’allevatore le priorità e per poter fondare le basi per le valutazioni successive. Questa
modalità di gestione del problema aziendale viene valutata mediante indici di
rendimento dell’allevamento, riferibili alla capacità produttiva, allo stato di salute
animale ma al contempo anche alla qualità del prodotto e all’ igiene. Con questo
sistema, grazie ad un monitoraggio routinario, si riesce ad analizzare ogni problema di
rilievo emerso a livello aziendale e correggerlo in funzione di mete prefissate e, quindi,
in un secondo momento a prevenirlo in funzione delle azioni adottate.
Il sistema qualità si sta sviluppando rapidamente, le aziende zootecniche così come
qualsiasi altra attività produttiva oggi si trovano a doversi confrontare in un mercato
globale sempre più esigente che condiziona l’intero sistema agroalimentare. Il sistema
HACCP risulta molto pratico, specifico e di semplice applicazione in azienda per poter
evidenziare i pericoli connessi alla produzione e al prodotto. Tale sistema mira ad
un’opportuna gestione del rischio interaziendale, inoltre viene favorevolmente adottato
nell’UE quale base per la certificazione. La base di partenza per l’applicazione di un
efficace HACCP risiede nell’attitudine dell’azienda (nella figura dell’allevatore) ad
applicare le buone pratiche d’allevamento (Good Farming codes Practice GFP). La
stesura di un’HACCP deve seguire alcune fasi logiche prima di poter essere adottato da
un azienda (Noordhuizen, 2004):
analisi della situazione aziendale e attitudinale
stesura dei diagrammi di flusso della produzione zootecnica e aziendale
definizione dei pericoli nelle aree produttive individuate
determinare il rischio di ciascun pericolo individuato
assegnare alle condizioni di rischio alle rispettive fasi del processo produttivo
34
selezione dei punti critici di controllo e punti critici di gestione
descrivere le misure di monitoraggio e controllo per ciascun punto di controllo
mettere in atto il programma, valutarlo e validarlo, modificarlo se opportuno
documentare ciò che è necessario per lo status di certificazione
predisporre una proceduta per l’audit formale
Lo stesso autore riassume alcuni possibili pericoli interaziendali (di un allevamento da
latte) come segue: Primariamente i possibili pericoli sono dati dai problemi sanitari in
azienda in particolare malattie della lista A dell’OIE, Zoonosi sia trasmissibili al
personale aziendale che al prodotto finale e quindi al consumatore ( es leptospirosi,
salmonella vedi tabella), malattie aziendali come mastiti o zoppie e malattie del
comparto considerato (BVD, BHV-1, paratubercolosi). A questi pericoli si affiancano le
contaminazioni del prodotto, in particolare quella chimica e microbiologica.
I punti di controllo definiti CCP che devono essere individuati in azienda e devono
rispondere a criteri ben precisi per essere considerati tali. In particolare un CCP deve
necessariamente essere associato al pericolo individuato, interno al processo, deve
essere misurabile e standardizzabile, e cosa rilevante a questo livello della produzione,
deve essere possibile l’applicazione di misure di contenimento del problema. Se non
vengono soddisfatti questi requisiti il punto individuato viene definito di gestione o
management (CMP).
Il sistema HACCP si è sviluppato primariamente nel contesto delle aziende di
trasformazione che presentano flussi di materia e processi altamente complessi. Esso
mira ad individuare i punti in cui gli accertamenti sono particolarmente importanti per
la sicurezza dei prodotti alimentari; sarà così possibile concentrarsi sui pericoli
particolari delle imprese. Le azienda di trasformazione applicano favorevolmente questo
procedimento logico anche perché a questo livello vi è un maggior valore aggiunto
rispetto alla produzione primaria (Magazzù 2002). Per questo motivo l’applicazione di
tale sistema risulta più onerosa nelle aziende zootecniche che mirano il più delle volte
ad adottare esclusivamente codici di buone pratiche di allevamento.
35
Alcuni punti CCP e CMP suggeriti in un’azienda da latte da Noordhuizen, 2004
Punti critici di controllo
Punti critici di
gestione
Acquisto capi indenni
Alimenti certificati
Letame proveniente
da altre aziende
Sottoporre ad esami sierologici
Intervallo fra la
Vitelli e bovine al
capi destinati all’esportazione
concimazione con letame e
pascolo
il pascolo
Bovine sottoposte a test prima di
Barriere igieniche in azienda Acquisto delle
essere immesse in allevamento
Tempi di sospensione
bovine
Temperatura dell’acqua in
Acquisto dei foraggi
caldaia
Identificazione delle bovine
Verifica del latte prima della Controllo del primo
trattate
spedizione all’industria
letame
La definizione del rischio effettivo di ogni realtà aziendale risulta essere quindi alla base
di ogni strategia di prevenzione o di contenimento della contaminazione e del
conseguente danno, sia materiale che di immagine, del settore primario. Un’adeguata
gestione del problema infatti evita o riduce eventuali effetti di trasmissione o
amplificazione verso anelli seguenti della filiera preservando il consumatore finale.
Molte sono le definizioni di rischio, esso può essere “la probabilità del verificarsi di un
effetto sfavorevole” o nell’ambito del Codex Alimentarius “una funzione della
probabilità di un effetto sanitario sfavorevole, compresa la sua gravità, dovuto alla
presenza di un pericolo nell’alimento”, il rischio quindi deve essere inteso sia come
probabilità che in base alle possibili conseguenze che ne possono derivare.
I contaminanti ambientali risultano un problema spesso poco considerato per alcuni
motivi: 1) la natura di alcuni contaminanti chimici (metalli pesanti, organo clorurati…)
porta ad accumuli progressivi e ad effetti a lungo termine difficilmente identificabili in
un rapporto diretto Causa => Effetto. Tossicità cronica dei composti, effetti teratogeni,
mutageni o cancerogeni dati dall'esposizione continua a basse concentrazione di dette
36
sostanze necessitano di accurati studi legati all'assunzione giornaliera. 2) ad alcune
produzioni oggi si associa inoltre un sentimento di inevitabilità e rassegnazione alla
presenza di alcuni agenti inquinanti quali microrganismi patogeni (Salmonella spp.,
E.coli O156:H7, C. jejuni) o all'inevitabile presenza di contaminanti chimici quali le
diossine (prodotti ittici) o derivati dei pesticidi (latte e derivati). I casi di crisi alimentare
sono la punta dell'iceberg di una gestione aziendale rassegnata all'inevitabile che mira a
risolvere i problemi esclusivamente al momento della loro comparsa.
Figura: Rappresentazione Schematica di come dovrebbe essere prodotto un
alimento zootecnico microbiologicamente sicuro e il ruolo della valutazione del
rischio (risk assessment) e della gestione del rischio (risk management). Da (S.
Notermans, 2003)
GMP= Good manufacturing practices.
37
L’analisi del rischio può essere definita come “ un processo di analisi e gestione di
qualsiasi attività umana che può comportare conseguenze negative”. Essa viene
suddivisa nelle tre fasi date dal Risk Assesment, Risk Management e Risk Comunication
che tra loro interagiscono in un continuo scambio di informazioni tra i soggetti che
partecipano all’analisi del rischio stesso (Giaccone e Ferri, 2003). Il Risk assesment
(valutazione del rischio) consiste in un analisi sistematica delle informazioni e dati
scientifici disponibili al fine di giungere ad una valutazione della probabilità di
manifestazione di un determinato pericolo. La gestione coordinata dei rischi di
un'azienda ricade oggi nell’ambito del così detto Risk Management e prende in
considerazione tutti gli aspetti di un eventuale Rischio non più in modo passivo (polizze
assicurative) o curativo ma ad ogni livello dell'organizzazione della produzione. Di esso
fanno parte sistemi di valutazione, di trattamento, d'accettazione e di comunicazione del
rischio stesso. L'approccio sistematico e preordinato per il contenimento dei danni
durante una crisi (evento che può compromettere l'integrità aziendale) è definito invece
nell'ambito del Crisis Management. Nessun alimento è libero da rischio e ogni azienda
deve basarsi su di una strategia che consideri il “rischio” con criteri scientifici e secondo
standard internazionali. In sostanza l’azienda deve essere in grado di riconoscere il
problema, minimizzarlo e operare il ritiro di eventuali prodotti dalla filiera o dal
mercato; al tempo stesso sarà necessario stabilire qual è il livello di rischio accettabile/o
quale adeguato livello di prevenzione del rischio stesso è necessario adottare
Il principio base da seguire la gestione del rischio è innanzi tutto la comprensione della
“gravità” di ogni rischio e della “probabilità” che esso si manifesti.
Il Codex Alimentarius (1999) traccia il percorso da seguire nella valutazione
complessiva del rischio:
•
Identificazione del pericolo
•
Valutazione dell’esposizione
•
Caratterizzazione del pericolo
•
Caratterizzazione del rischio
Questi punti devono sfociare in una valutazione complessiva che stabilisca i possibili
livelli di rischio per ogni produzione. Si può assumere comunque che riducendo
l’esposizione degli animali ad agenti contaminanti si possa operare un contenimento
efficace anche della trasmissione lungo la catena produttiva a valle. Questo assunto può
38
valere esclusivamente per contaminanti di origine chimica (di sintesi o naturali), per
agenti biologici (salmonella, E.coli, C. jejuni, Listeria monocitogenes) dovrà essere
considera anche la genesi primaria del problema che può essere insita nell’allevamento
stesso nonché la possibilità di amplificazione, “autocontaminazione”…. La prevenzione
del rischio dovrà considerare quindi l’esposizione degli animali al rischio di
contaminazione e al contempo misure atte a ridurre l’impatto sulla salute umana .
Gastroenteriti ed altre patologie trasmesse dal cibo adattata da Report of the
Health Council (2000) in the Netherlands.
39
POSSIBILI FATTORI DI RISCHIO INTRINSECI
i. Ubicazione e studio dei dati storici
ii. Tipologia produttiva (intensivo/estensivo/biologico) ed eventuali periodi di
conversione e norme legate a particolari restrizioni o obblighi di filiera
iii. Specie allevata (erbivori/onnivori/carnivori) (mammiferi/volatili/ittici)
iv. Modalità di approvvigionamento delle materie prime:
Intra-aziendale
Extra-aziendale
Possibilità di monitoraggio dei flussi di materia e quindi tracciabilità anche
in funzione delle trasformazioni subite e in riferimento alle "rese" di
produzione
per
ogni
materia
prima
impiegata.
Deve
essere
un’
identificazione affidabile, rapida, precisa, coerente, di basso costo.
v. Materie prime considerate nel processo produttivo:
Animali (provenienza/età/sesso…)
Alimenti
Acqua
Additivi/farmaci
Lettiera e strumenti impiegati (es: macchinari e possibili inquinamenti con
oli minerali, lattodotto e disinfettanti…ecc.)
vi. Eventuali processi intraziendali di lavorazione che modificano lo stato primario
degli alimenti impiegati, il loro aspetto, la loro conservabilità, la loro integrità o
implichino miscelazione) (tecniche di produzione, distribuzione, macinazione,
aggiunta di acidi organici, farine fossili….)
vii. Stoccaggio delle materie prime (muffe, idrocarburi, olii)
viii. Possibilità di rintracciare i lotti e le informazioni ovvero la rintracciabilità
discendente e ascendente (carico/scarico/aggiornamenti, fornitori…)
ix. Individuazione dei gruppi di animali e sistema di gestione alimentare
(individuale/di massa/unifeed)
x. Meccanismi di recupero di materia su eventuali superfici aziendali annesse
Identificatore: strumento numerico di base della tracciabilità/rintracciabilità
40
Vettore: mezzo di comunicazione accessibile dell’identificazione (etichetta,
RIFD)
POSSIBILI FATTORI DI RISCHIO EXTRAZIENDALI AGGIUNTIVI
i. Considerazioni in merito alla filiera produttiva a valle
Processi che aggravano il problema
Processi che amplificano il problema
Eventuali sinergismi/antagonismi
ii. Considerazioni in merito alle fasce di consumatori a rischio
anziani
bambini-donne gravide
etnie particolari e consumi (crudi- utilizzi particolari)
in funzione del residuo e della potenziale tossicità
POSSIBILI FATTORI DI RISCHIO ESTRINSECI (MOLECOLE-AGENTI)
i. Natura del composto/agente
Non intenzionali:
♦ biologico
♦ chimico:
• organico
• inorganico
Organicabile
accumulabile
biomagnificazione
bioconversione ruminale….
Intenzionali
♦ farmaci
♦ ormoni
♦ residui di disinfettanti…
41
ii. tipo di danno/persistenza/possibilità di esposizione
Acuto (visibile e valutabile); Iperacuto (a volte difficilmente interpretabile)
Cronico o continuo con effetti a medio-lungo termine , difficile collegare
danno-causa
Teratogeno, cancerogeno (problemi generazionali ancora più difficilmente
identificabili)
iii. Cinetica di escrezione e organi coinvolti (accumulo/danno/interazioni)
Digerente e deiezioni
Latte e prodotti derivati
Carne (idrofile) grasso (lipofile)
iv. Eventuale sensibilità a trattamenti intraziendali a basso costo degli alimenti
zootecnici
adsorbimento con inerti (farine fossili, quali e per quale tipo di contaminante
vengono impiegate…bentoniti, allumino silicati, zeoliti, miscele)
trattamenti termici
trattamenti UV
Biocorrettori (saccaromyces, lattobacilli)
La diluizione delle sostanze non può essere considerata una soluzione (direttiva
2002/32/CE).
La trasparenza di un’azienda è un valore aggiunto e contribuisce a determinare la
qualità di un prodotto. La garanzia di sistemi efficaci di contenimento del rischio
delle contaminazioni anche se il rischio non risulta evidente è un sistema che può
ripristinare la fiducia del consumatore nonché apportare reali benefici ai
produttori. Implementare la sicurezza quale fattore determinante di qualità.
42
Gestione dell’alimento zootecnico e buone pratiche zootecniche
I livelli delle varie sostanze contaminanti devono essere considerati anche in base alle
diverse combinazioni di materie prime impiegate e in funzione quindi alla
biodisponibilità dei composti, comunque tali concentrazioni sono da considerarsi
provvisorie e modificabili in funzione di più dettagliati studi sul rischio (vedi Opinion
of the SCAN 2003).
Concilio direttivo 1999/29/ec Sostanze indesiderate negli alimenti ad uso zootecnico
In mancanza di un efficace sistema HACCP che consideri l'eterogeneità delle situazioni
che possono presentarsi e degli immancabili effetti legati anche all'ambiente
pedoclimatico, ci si deve avvalere delle buone pratiche di allevamento e di
alimentazione ( vedi Proposta di Regolamento allegato III COD 2003/0071) atte a
contenere le contaminazioni, specie se parte del materiale alimentare è di origine
aziendale (auto approvigionamento).
I manuali di buone pratiche d’allevamento sia nazionali che comunitari contengono
orientamenti in materia di buone pratiche di gestione (controllo e prevenzione) e
controllo dei pericoli nella produzione primaria e si riferiscono alle misure stabilite dalla
legislazione comunitaria e nazionale e mirano a stendere linee guida in merito a :
controllo della contaminazione degli alimenti zootecnici (micotossine, metalli
pesanti, materiale radioattivo);
43
zootecnia sostenibile: uso di acqua, residui organici e fertilizzanti;
uso corretto e appropriato di prodotti fitosanitari e biocidi e la loro
rintracciabilità;
l’uso corretto e appropriato di medicinali veterinari e di additivi dei mangimi e
la loro rintracciabilità;
la preparazione, l’immagazzinamento e la rintracciabilità delle materie prime dei
mangimi;
l’adeguata eliminazione degli animali morti, dei rifiuti e degli scarti;
misure di protezione per prevenire l’introduzione di malattie contagiose
trasmissibili agli animali per il tramite dei mangimi e gli obblighi di notifica
all’autorità competente;
procedure, pratiche e metodi per assicurare che il mangime sia prodotto,
preparato, confezionato, immagazzinato e trasportato in condizioni igieniche
appropriate,compresi un’efficace pulitura e controllo dei parassiti;
misure legate alla tenuta di registri.
In riferimento a situazioni più complesse, legate ad incidenti o casi particolari (di
emergenza) è opportuno analizzare tutte le cause che possono portare all’aggravarsi del
rischio. Grazie a tecniche analitiche di valutazione quantitativa del rischio è possibile
valutare in maniera sistematica ogni deviazione possibile dalle condizioni ordinarie di
management fino all’identificazione delle cause iniziatrici o delle mancate azioni di
protezione da contaminazione (non adottate), che concatenate tra loro hanno portato alla
situazione di crisi. Risulta quindi necessario stendere un elenco delle possibili
concatenazioni di cause scatenanti ed eventi che aggravano la crisi al fine di verificare
la probabilità di accadimento dell’evento scatenante, la frequenza di accadimento,
studiarne le modalità di insorgenza e l’entità. Con tale sistema è inoltre possibile
verificare l’effettiva efficacia di protezioni attive o passive in atto.
La valutazione può essere di tipo qualitativo (individuare i singoli eventi necessari) che
quantitativo con la stima delle frequenze mediante risoluzioni logico matematiche
(alberi logici).
44
CONCLUSIONI
La sicurezza e la qualità delle produzioni animali sono degli obbiettivi chiave della
politica alimentare europea. Con l’adozione del Regolamento 178/2002 che si basa sulle
intenzioni stese nel Libro Bianco 2000 si istituisce l’Autorità alimentare europea e si
introducono i due principi chiave della futura legiferazione e politica sulla sicurezza
alimentare: il controllo lungo tutta la filiera produttiva nessun anello escluso, e la
responsabilizzazione dei produttori quali garanti della sicurezza igienica e della qualità
attraverso piani di autocontrollo. Da questi principi di base si evince la necessità di
un’integrazione verticale e trasversale della filiera sia in merito alla comunicazione
delle informazioni che nell’ambito dell’interazione con le autorità (controlli ufficiali), al
fine di garantire maggior trasparenza e rifondere fiducia al consumatore finale. Sulla
base di questi principi dati dal Regolamento 178/2002 si attua un’intensa attività di
riformulazione della normativa comunitaria che si sviluppa in proposte normative della
Commissione sottoforma di numerosi Regolamenti in materia di igiene degli alimenti e
delle produzioni zootecniche. La politica per la qualità e la sicurezza si fa sempre più
attenta ai bisogni e alle attese del consumatore, sia in merito alle caratteristiche
salutistiche e commerciali del prodotto che a molteplici aspetti etici, ambientali e
sociali. Allo stesso tempo grazie ad una corretta educazione del consumatore, in futuro,
si dovrà favorire la prevenzione di problemi igienico sanitari (legati al corretto utilizzo
della derrata alimentare). La valorizzazione della qualità oggi assume un carattere
inscindibile dall’implementazione della sicurezza delle produzioni animali. Gli
strumenti per attuare questi intenti sono molteplici e sfaccettati, vanno dalla corretta
etichettatura dei prodotti derivati all’attuazione di adeguati sistemi di tracciabilità e
rintracciabilità dei lotti. Il superamento delle leggi cogenti a favore di una più diffusa e
coerente certificazione volontaria è auspicabile per aumentare il valore aggiunto dato da
una maggiore trasparenza della produzione. A questo riguardo utilizzare nuovi sistemi
di autenticazione o identificazione di prodotti e di processi è auspicabile anche
nell’ottica delle produzioni tipiche da proteggere o valorizzare. Questa visione si riflette
anche nel commercio estero rendendo concorrenziali le produzioni europee elevando gli
standard qualitativi e igienici.
Altro punto saliente da dover sviluppare lungo tutta la filiera agro-zootecnica è senza
dubbio la gestione del rischio. La gestione coordinata dei rischi di un'azienda ricade
45
oggi nell’ambito del così detto Risk Management e prende in considerazione tutti gli
aspetti di un eventuale Rischio non più in modo passivo o curativo ma ad ogni livello
dell'organizzazione della produzione. Di esso fanno parte sistemi di valutazione, di
trattamento, d'accettazione e di comunicazione del rischio stesso. Gli scandali alimentari
dell’ultimo decennio sono infatti riconducibili ad un’errata gestione dei problemi di
filiera e d’azienda, che hanno portato ad una mancata comunicazione tra i vari comparti.
Alimenti più sani e sicuri possono essere quindi ottenuti attuando la massima
prevenzione, seguendo le buone prassi agricole e igieniche, avendo cura della salute e
benessere degli animali allevati, ricorrendo a farmaci e fitosanitari solo in caso di
necessità.
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