INTRODUZIONE - Pari opportunità

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INTRODUZIONE - Pari opportunità
INTRODUZIONE
Oggetto della tesi
L’aumento del PIL pro capite registratosi a livello globale nel corso degli ultimi
cinquanta anni, mostra che il progresso economico ha coinvolto, a livello aggregato,
anche i paesi in via di sviluppo ed i paesi meno sviluppati del mondo. Ciononostante,
fonti autorevoli indicano che tale progresso si accompagna ad una tendenza alla
polarizzazione nella distribuzione del reddito su scala mondiale e ad una crescente
concentrazione nella proprietà dei fattori produttivi; fenomeni che rappresentano un
serio ostacolo per la riduzione della povertà. Numerosi studi empirici mostrano che forti
disparità permangono all’interno della popolazione mondiale e che, dal dopoguerra fino
ad oggi, tali disparità anziché colmarsi, si siano acuite1.
In tale contesto ho ritenuto interessante cercare di comprendere quali siano i
reali obiettivi dello “sviluppo” e come questo processo influisca sul benessere e sulla
qualità della vita delle persone, in particolar modo delle donne. All’interno del mio
lavoro ho cercato di rilevare in che modo i benefici del progresso socio-economico
coinvolgono le donne, se e come il loro ruolo sia cambiato nel corso delle ultime decadi,
e quale sia il loro reale contributo al processo di sviluppo.
Attualmente quasi tutti i paesi del mondo possiedono una legislazione che
sancisce la parità dei diritti tra uomini e donne; io mi sono domandata se tale parità si
riscontra anche nel godimento effettivo dei vari diritti. A tale scopo ho cercato di
comprendere quale sia la reale condizione femminile rispetto a quella maschile nei
diversi paesi del mondo - in particolare in quelli in via di sviluppo - ed ho concentrato il
mio interesse sulle problematiche che le donne affrontano quotidianamente, tentando di
individuare come tali problematiche cambino a seconda del livello di sviluppo e del
contesto socio-economico in cui le donne sono inserite. Attraverso un’analisi di genere
delle problematiche dello sviluppo, ho cercato di comprendere se i benefici derivanti da
questo processo ricadono in modo equo su uomini e donne, se le disparità di genere che
hanno storicamente relegato le donne in una condizione di subordinazione rispetto agli
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UNDP (2002, pag. 35).
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uomini si stanno realmente risolvendo, e se la scienza economica e le istituzioni
(nazionali ed internazionali) stiano compiendo delle azioni positive in questo senso.
L’obiettivo finale di questa tesi è stato quello di condurre un’analisi delle
problematiche riguardanti lo sviluppo in una prospettiva di genere, cercando quindi di
cogliere le relazioni che intercorrono tra il processo di sviluppo ed il genere femminile.
Principali risultati raggiunti
1. Il grado di sviluppo di un paese non è determinato univocamente dal PNL totale o pro
capite di quel paese, bensì dal livello di benessere di tutti gli individui che ne fanno
parte (uomini, donne e bambini), il quale è senza dubbio influenzato dalla disponibilità
di reddito, ma anche da altre variabili determinanti. Le politiche che si centrano sulla
crescita del reddito ignorando le altre dimensioni del benessere individuale, spesso non
risolvono i problemi del sottosviluppo quali la povertà, la malnutrizione,
l’analfabetismo e la disoccupazione. Al contrario, tali politiche perseguono l’obiettivo
della crescita economica a scapito del godimento di altri beni fondamentali della vita
umana e a prezzo di gravi costi sociali, che non vengono ricompensati perché molto
difficilmente i benefici della crescita filtrano verso il basso. L’Indice di Sviluppo
Umano (ISU) elaborato nel 1990 dall’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo
(UNDP), mostra come non vi sia alcun automatismo tra crescita economica - misurata
tramite il tasso di crescita del reddito pro capite - e sviluppo umano, rilevando come non
sempre la crescita economica si traduca in un miglioramento della qualità della vita
delle persone. La crescita è una condizione necessaria ma non sufficiente per lo
sviluppo: è perciò compito dei policy-makers l’elaborazione di politiche che
promuovano una gestione efficiente delle risorse derivanti dalla crescita ed un loro
utilizzo funzionale al miglioramento del benessere, inteso come sviluppo umano. Inoltre
è possibile osservare come la relazione tra crescita e sviluppo sia biunivoca, e come le
politiche che investono sullo sviluppo umano possano comportare ritorni significativi in
termini di crescita economica.
2. Il perseguimento di politiche che puntino alla crescita economica senza prestare
attenzione ai bisogni degli individui portano all’esclusione di gruppi di persone dal
processo di sviluppo. È il caso principalmente delle donne, che non beneficiano del
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progresso economico al pari degli uomini, ma che vivono una condizione di
subordinazione in tutte le regioni del mondo. L’Agenzia delle Nazioni Unite per lo
Sviluppo ha elaborato un indice sensibile alle differenze di genere: l’Indice di Sviluppo
di Genere (ISG). Quest’ultimo misura i risultati conseguiti da donne e uomini
nell’ambito di tre dimensioni fondamentali della vita umana quali: vivere una vita lunga
e sana (misurata dalla speranza di vita alla nascita), la conoscenza (misurata dai tassi di
alfabetizzazione e scolarità) e uno standard di vita dignitoso, (misurato dal reddito
percepito)2. L’ISG rileva come in nessuna società le donne raggiungano gli stessi
conseguimenti degli uomini in questi tre ambiti. Le disparità che penalizzano le donne
in tutte le regioni del mondo sono rilevate, non solo attraverso questo indice sintetico,
ma anche grazie alle ricerche empiriche di autorevoli studiosi delle problematiche dello
sviluppo. Amartya Sen ha riscontrato come la disuguaglianza di genere nei campi
dell’alimentazione e delle cure sanitarie, causi la morte prematura di milioni di donne
che, secondo le leggi demografiche, dovrebbero vivere molto più a lungo degli uomini.
Inoltre l’attenzione delle Nazioni Unite nei confronti delle problematiche femminili,
manifestata nel corso del Ventennio per la Donna (1976-1995), ha promosso un ampio
dibattito che ha consentito di portare alla luce gravi disparità a sfavore delle donne in
ambito: sociale, economico e politico.
3. Le cause della condizione di subordinazione che le donne vivono nei confronti degli
uomini vanno ricondotte al fatto che la scienza economica e le istituzioni mantengono la
donna in una condizione di invisibilità. Le necessità delle donne, infatti, non vengono
tenute in considerazione nell’elaborazione delle politiche economiche, inoltre il
contributo economico della donna al processo di sviluppo viene largamente ignorato. Il
lavoro femminile viene catalogato come improduttivo (non è rilevato dalle statistiche
della contabilità nazionale, non è riconosciuto socialmente, né remunerato), nonostante
le evidenze empiriche dimostrino che le donne si assumono quotidianamente un carico
di lavoro superiore a quello degli uomini. In nessuna società le donne possono godere
degli stessi diritti degli uomini: sono penalizzate dalla mancanza di accesso alla
proprietà della terra, dalla subordinazione agli uomini nell’esercizio dei diritti legali,
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Sono le stesse dimensioni prese in considerazione dall’ISU.
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dalla limitata presenza nei posti decisionali e di potere e dallo scarso accesso al credito
istituzionale. Tutti questi fattori impediscono alle donne di cogliere le opportunità dello
sviluppo. Nonostante le istituzioni tutelino i diritti nominali delle donne, questi vengono
spesso calpestati in nome delle norme culturali, che manifestano dovunque la tendenza a
mantenere la donna in una posizione di inferiorità rispetto all’uomo. Spesso tale
condizione di subordinazione è acuita proprio dalle politiche di sviluppo, che non
riconoscono le donne come agenti del cambiamento sociale, ma che al contrario
contribuiscono ad abbassarne lo status all’interno della società. I progetti di sviluppo
nella maggior parte dei casi sono destinati agli uomini, consolidando la tendenza a porre
gli uomini al lato del progresso e le donne a quello della tradizione.
4. Le disparità di genere che sfavoriscono sistematicamente le donne non scompaiono
automaticamente con lo sviluppo economico. I risultati di numerose ricerche empiriche
dimostrano come spesso più alti livelli di reddito non corrispondono a maggiore
uguaglianza di genere (in paesi più poveri di altri le donne vivono in condizioni
relativamente migliori). Ciò dipende dalla divisione dei ruoli imposta socialmente, dallo
status economico della donna e dal suo potere di influenzare le decisioni all’interno
della famiglia. Bisogna riconoscere l’importante contributo fornito dalla donna al
processo di sviluppo e, per fare ciò, è necessario introdurre la riproduzione sociale
nell’analisi macroeconomica e formulare politiche in una prospettiva di genere, in cui
anche le esigenze delle donne siano tenute in considerazione. Spesso invece, le politiche
di sviluppo che vengono attuate in modo neutrale, si rivelano dannose per le donne ed
inefficaci in termini di sviluppo umano. Per evitare che le politiche di sviluppo
aggravino ulteriormente la situazione, è importante che i policy-makers ne studino
l’impatto su entrambi i generi e analizzino le dinamiche intrafamiliari di allocazione
delle risorse, del tempo e del potere. Uno dei più comuni errori di pianificazione
consiste infatti nello scegliere i nuclei familiari nel loro insieme quali destinatari dei
progetti di sviluppo, immaginando che i benefici ricadano in modo indifferenziato su
tutti i componenti. Adottare una prospettiva di genere nell’analisi delle problematiche
dello sviluppo è un passo fondamentale che deve essere compiuto affinché questo
processo consenta a tutte le persone, e non solamente ad una parte di esse, di ampliare le
proprie capacità di scelta.
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5. Le disparità di genere che colpiscono le donne nel mondo non sono una questione che
le riguarda privatamente, al contrario, tali disuguaglianze minacciano tutto il processo di
sviluppo della società. Laddove le donne sono inserite nel processo di sviluppo e
godono di autonomia e potere decisionale all’interno della famiglia e della società, si
riscontrano benefici non solo per le stesse, ma per tutta la popolazione. Molti studi
dimostrano come la predisposizione altruistica delle donne e la loro maggiore
propensione ad investire nello sviluppo delle capacità umane, si traduca in migliore
benessere per le generazioni future. Infatti, l’esclusione delle donne dalla partecipazione
alla vita sociale, politica ed economica causa un rallentamento dello sviluppo. Ad
esempio, investire in politiche che puntino all’innalzamento dell’istruzione femminile
comporta numerosi effetti positivi che non si ottengono investendo nell’istruzione
maschile: un aumento del livello di istruzione femminile riduce la mortalità infantile ed
influisce positivamente sul controllo delle nascite; inoltre donne maggiormente istruite
sono più propense a adottare comportamenti che promuovono la salute. Al contrario,
bassi investimenti nell’istruzione femminile, non solo riducono il benessere loro e delle
loro famiglie, ma anche l’output totale del paese in cui vivono. Gli effetti positivi di un
maggiore coinvolgimento delle donne nel processo di sviluppo si osservano anche in
altri ambiti: ad esempio, una più elevata partecipazione delle donne alla vita pubblica è
associata a maggiore trasparenza negli affari e ad un modo di governare migliore grazie
ai migliori standard di comportamento etico e alla loro avversione al rischio. Inoltre
l’evidenza empirica dimostra che ci sono differenze significative nella spesa familiare, a
seconda che il reddito sia controllato da donne o da uomini. Le donne spendono una
proporzione più alta del loro reddito per il mantenimento e il miglioramento delle
capacità umane, attribuendo una priorità superiore alla spesa per l’alimentazione, per la
salute e per l’istruzione di tutti i componenti della famiglia: tutto ciò comporta effetti
benefici a livello intergenerazionale.
Organizzazione del lavoro
Il primo capitolo di questo lavoro discute l’evoluzione del concetto di “sviluppo”
dagli anni cinquanta fino ad oggi. All’inizio di questo percorso lo sviluppo era
identificato con la crescita economica; gradualmente, dalla teoria del capitale umano,
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alle teorie del welfare, fino all’approccio delle capacità di Amartya Sen, la persona è
divenuta sempre più protagonista e destinataria delle politiche di sviluppo. L’approccio
delle capacità di Sen supporta il nuovo paradigma dello sviluppo che non è più solo
economico, ma anche umano. Con il cambiare del concetto di sviluppo cambiano anche
gli indicatori utilizzati per misurarlo: dall’uso di indicatori strettamente economici e
puramente quantitativi come il PNL, si è passati all’utilizzo di indicatori sociali, che
tengono in considerazione anche variabili non economiche che influiscono sulla qualità
della vita delle persone. Tra essi l’Indice di Sviluppo Umano (ISU), proposto nel 1990
dall’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, che misura i risultati conseguiti dagli
individui in tre dimensioni fondamentali della vita umana: la capacità di vivere una vita
lunga e sana, la conoscenza, e la capacità di avere uno standard di vita dignitoso.
All’interno di questo capitolo, una breve analisi statistica mostra come non
necessariamente la crescita economica si traduca in sviluppo umano e suggerisce
l’esigenza di prestare attenzione da parte delle istituzioni e dei policy-makers alle
disuguaglianze che operano nella società, compromettendo la possibilità che tutti
esercitino le capacità fondamentali.
Nel secondo capitolo si vuole illustrare come tra le disuguaglianze che
colpiscono la società, quelle di genere siano tra le più rilevanti: il gender viene
introdotto come categoria di analisi delle problematiche dello sviluppo. Inizialmente si
presenta una breve rassegna di contributi di tre illustri studiosi: Esther Boserup, Martha
Nussbaum ed Amartya Sen, che hanno dato forte impulso alla ricerca ed allo studio
della condizione femminile nel mondo, con particolare riferimento ai paesi poveri. La
Boserup per la prima volta sottolinea la condizione di “invisibilità” cui la donna è
relegata nei paesi meno sviluppati, analizzando il ruolo delle donne e individuando il
carattere profondamente culturale e non biologico della divisione sessuale del lavoro,
che assegna all’uomo il ruolo di protagonista e beneficiario del progresso, lasciando la
donna nell’ombra. La Nussbaum approfondisce le considerazioni del “capabilities
approach” di Sen ed individua una lista di capacità centrali di cui ogni persona
dovrebbe disporre per condurre una vita che si possa definire pienamente umana, e che
invece sono negate soprattutto alle donne, attraverso l’influenza delle norme religiose o
culturali e delle istituzioni. L’autrice sottolinea la necessità che il pensiero economico e
la politica internazionale considerino con attenzione i problemi specifici che interessano
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le donne di tutto il mondo proprio a causa del loro sesso, sostenendo che l’approccio
delle capacità debba essere utilizzato come base per elaborare una teoria della giustizia
di genere. Infine Sen individua come le disparità di genere denunciate nella letteratura
non siano un problema astratto o che si verifica nell’ambito di casi isolati, ma di come
abbia a che fare con eventi comuni e quotidiani, che hanno conseguenze drammatiche in
termini di vite umane. Sen sviluppa un’analisi empirica che illustra l’impatto delle
discriminazioni di genere sulla longevità e sui tassi di mortalità all’interno della quale
stima che nel mondo vi siano ben 100 milioni di “missing women” a causa delle
disparità di genere che le penalizzano, sopratutto in alcune regioni. L’Agenzia delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo ha raccolto le riflessioni della letteratura ed ha elaborato,
sullo stampo dell’Indice di Sviluppo Umano, degli indici “sensibili alle differenze di
genere”. Tali indicatori sono sommari, perciò non sono in grado di illustrare la reale
condizione femminile all’interno delle diverse nazioni del mondo ma, analizzando
alcuni aspetti misurabili relativi allo status delle donne e alla qualità delle loro vite,
forniscono informazioni rilevanti sulla diffusa e persistente disuguaglianza di genere
che intacca seriamente la condizione politica, economica e sociale di molti paesi. La
creazione di questi indici ha il merito di avere contribuito in modo significativo al
dibattito sulle disparità di genere e sulla loro misurazione e di aver indirizzato i policymakers a formulare politiche di sviluppo volte ad attenuare tali disparità. In questo
capitolo si presenta la definizione ed il procedimento metodologico per il calcolo di
suddetti indici e viene discussa la loro utilità nel dimostrare in modo analitico le
disparità che sfavoriscono le donne in ogni società.
Il terzo capitolo prende in considerazione l’attività svolta dalle Nazioni Unite in
favore della donna, in particolar modo durante il ventennio 1976-1995 proclamato
“Ventennio ONU per la Donna” all’interno del quale si sono svolte le quattro
Conferenze Mondiali sulla Donna culminate con la conferenza di Pechino del 1995. Nel
corso di questi venti anni il dibattito sulla questione femminile si è evoluto, e sono
emerse profonde differenze di vedute tra donne appartenenti a culture diverse, in modo
particolare tra le donne dei paesi industrializzati e dei paesi del Sud del mondo, che per
la prima volta in occasione di queste conferenze hanno avuto modo di far sentire la loro
voce in ambito internazionale. Ciononostante il dibattito nel corso degli anni si è svolto
in modo costruttivo, e le Conferenze su “donne e sviluppo” hanno contribuito
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materialmente ad accrescere la consapevolezza nella comunità mondiale circa la
rilevanza delle disparità di genere. Il capitolo concentra l’analisi su alcune aree di
grande importanza in cui si rilevano disparità di genere che sfavoriscono le donne, in
particolar modo nei paesi in via di sviluppo, e presenta un’interessante analisi ex-post
effettuata dall’antropologa sociale Caroline Moser, che prende in rassegna i principali
approcci politici allo sviluppo elaborati durante il Ventennio per la Donna indetto
dall’ONU.
Nel quarto capitolo si analizza la dimensione familiare in cui è inserita la donna
ed il ruolo che svolge all’interno della famiglia e della società. La famiglia si individua
quale il perno delle disuguaglianze che penalizzano la donna, che vengono estese a tutti
gli altri ambiti della società, tra questi il mercato del lavoro. La condizione di
subordinazione della donna nei confronti dell’uomo ha origine nell’impianto teorico
della scienza economica classica, che ha sempre qualificato come improduttivo il lavoro
svolto dalle donne, il cui sostentamento è fatto dipendere dal lavoro salariato dell’uomo.
Con l’affermarsi della teoria neoclassica, tale posizione di dipendenza non è cambiata,
anzi è stata consolidata all’interno della New Household Economics di Gary Becker.
Nonostante l’impostazione capitalista dipenda fortemente dal lavoro svolto dalle donne,
quest’ultimo non è riconosciuto socialmente e non viene retribuito, ciò causa
comportamenti fortemente discriminatori all’interno della famiglia e della società, che
minano la possibilità delle donne di disporre persino delle capacità umane fondamentali.
In questo capitolo sono presentate evidenze empiriche di tale situazione e si suggerisce
l’intervento delle istituzioni affinché cambino l’ordine delle cose e garantiscano alle
donne di partecipare e beneficiare del processo di sviluppo al pari degli uomini, sia
perché è giusto in sé, sia perché investire sulle donne si rivela essere la migliore
strategia di sviluppo.
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