Il crepuscolo dei critici

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Il crepuscolo dei critici
Il crepuscolo dei critici
e il vaso di Pandora
di Fabio Trazza
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TGR Lombardia Archivio 10 giugno 2014 h.19:30
No ! Non è una parodia !
Sono due critici in carne ed ossa ed è l’immagine emblematica del tempo che li attraversa.
La luce, schermata, li oscura, mentre loro continuano a studiare un’opera che avevano deciso di appendere
al muro come opera indispensabile per la “loro” mostra. “Loro”, perché, in questo tempo d’ombra, un critico non
espone mai opere d’arte d’un artista, ma espone sempre se stesso come opera d’arte vivente, sorretta dagli artisti da
lui convocati e dalle pinacoteche che gli prestano le opere. Di loro, non hanno niente: né le opere che espongono, né
il credito per il prestito dai musei, né tanto meno i muri cui appenderle. Loro cercano tutto e, se hanno meriti politici,
trovano tutto. Anzi, di più. Trovano protezione. E loro si sentono tranquilli: possono continuare a studiare. Tranquilli.
Specie se a coprire le lacune della loro ricerca — non quella politica, lì son maestri — sono un sindaco di Milano con
il suo assessore alla cultura e un satrapale dispensator di sale a Palazzo Reale.
Protetti, s’immergono nei libri, dimentichi delle opere che altri appesero per loro. Non ricordano neppure se
hanno guadagnato qualcosa. Direttamente o indirettamente. Loro, dicono, lavorano gratis sul lavoro dei “ragazzi”.
Chiamano così i loro studenti e aspiranti assistenti. Eppure la mostra era preventivata sul milione di euro (vedi ►●)!
Adesso, quando si saranno voltati alla loro destra, non troveranno più neanche un pittore a cui attribuire
quell’opera e neppure un chiodo che la sostenga. Niente: spariti pittore e chiodo.
Ma loro lì, per sempre, col libro in mano, sino al crepuscolo.
L’immagine è emblematica. Ma è anche reale. È tratta dall’Archivio Rai: TGR Lombardia del 10 giugno 2014
h.19:30. Quel giorno andarono in onda due edizioni del TGR. La prima, alle 14:00. La seconda, alle 19:30. Non una
ripetizione, no. Due edizioni diverse, come approfondimento una dell’altra, tanto era stato il clamore della notizia:
“Luini declassato”, “Il Luini della discordia”.
Era avvenuto che il 9 giugno 2014 l’Ambrosiana aveva ritirato il suo capolavoro, “La Sacra Famiglia” di
«
Bernardino Luini dalla mostra a Palazzo Reale di Milano, con un comunicato stampa pubblicato sul proprio sito internet,
www.ambrosiana.it:
Luini saluta Palazzo Reale e torna in Pinacoteca Ambrosiana il suo indiscutibile capolavoro
“Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Giovannino”, prima ancora che finisca la mostra.
Eh già ... : è finita la festa per chi chiede un’opera e poi la disconosce. (vedi: ►●)
Quei telegiornali sono ancora visibili su www.ambrosiana.it (vedi per le ore 14:00 ►●; per le 19:30 ►●). Dai toni
usati si capisce tutto l’allarme che quell’evento suscitò nel mondo dell’arte e in tutta l’opinione pubblica.
Oggi, di quei TGR, è anche disponibile la trascrizione ►●), perché la lettura ricordi le imbarazzate dichiarazioni dei critici:
« Ma noi non abbiamo assolutamente detto abbiamo ragione, tutti gli altri hanno sbagliato. Lo
mettiamo qui, insieme agli altri, e uno può…insomma…farsi un’opinione da solo guardando tutti i
quadri insieme, dicendo: questa cosa mi torna…questa cosa non mi torna. »
E si ricordi anche la decisa risposta del direttore della Pinacoteca Ambrosiana:
« È stato richiesto un dipinto con una certa attribuzione e l’ente prestatore si è trovato con un’attribuzione
diversa. Qualsiasi museo del mondo si sarebbe comportato come abbiamo fatto noi. »
Senza la mediazione enfatica dell’annunciatore (ore 14:00) o dell’annunciatrice (ore 19:30) diviene più chiaro il senso
del disorientamento cui, nel crepuscolo, certi critici possano giungere, e far giungere, tanti ignari spettatori:
« ... insomma… farsi un’opinione... mi torna… non mi torna. »
C’è qui tutta la mistificazione di chi intende proporsi nel ruolo di guida nella critica, nel giudizio, di un’opera d’arte
e contemporaneamente si dichiara irresponsabile del giudizio cui il pubblico può pervenire.
Non c’è bisogno di scomodare nessun filosofo, per ricordare che l’esercizio della critica – azione eminentemente
filosofica – implica la responsabilità di essere e sentirsi “funzionari dell’umanità” [Edmund Husserl]. Un’umanità cui non si
può far finta di aver dato qualcosa quando non le si è dato niente. Se si adoperasse anche per i “funzionari dell’umanità” le
disposizioni che si applicano per i normali “funzionari del catasto”, allora il deferimento all’autorità giudiziaria sarebbe stato
assolutamente obbligatorio. Comunque, nel comunicato stampa prima ricordato, quello del 9 giugno 2014, si concludeva:
ora « l’Ambrosiana chiude il dibattito giornalistico ed apre quello scientifico ». Ed è esattamente così: il 9 giugno 2015
si aprirà un Convegno Internazionale di Studi. Storia e storiografia dell’arte del Rinascimento a Milano e in Lombardia:
Metodologia. Critica. Casi di studio, che l’Ambrosiana indice insieme alla Fondazione Trivulzio. Possono partecipare tutti,
conquistandosi la posizione sul campo, cioè scrivendo: nel nascente forum permanente sulla storia dell’arte in Lombardia
non esisteranno posizioni di rendita, né protezioni politiche.
Qui è il limite dei curatori della mostra sul Luini a Palazzo Reale: un impegno scientifico provvisorio ed aleatorio —tre
mostre precedenti e tre stroncature, sanzionate dal “Giornale dell’Arte” e dal saggio sul Bramantino di Marino Viganò ►●—
a fronte di un impegno politico intemerato e permanente —denigrazione sistematica di tutti i predecessori domiciliati a
Milano tra assessorato alla cultura e palazzo reale (vedi Agosti, Le rovine di Milano, Feltrinelli ►●—).
Tanti gli obiettivi. A caso: Salvatore Carrubba e Stefano Zecchi hanno brillato per incompetenza e nullità. Evidentemente
non avevano chiamato Agosti ad organizzare mostre come poi avrebbe fatto Stefano Boeri, che, per questo, ai suoi occhi risulterà
un genio! Tesi politiche. Evidenti. Ed anche sbandierate in sede politica. A caso: Vittorio Sgarbi a Milano fu un barattatore, se
non un barattiere, con Letizia Moratti; Berlusconi a Roma fu in tresca con Bertone e i critici d’arte, dietro, a far “marchette”.
Tutte tesi da storia della politica, più che di storia dell’arte. Tesi da combattimento. Destinazione: ALIAS (Supplemento
del Manifesto) N. 27 del 9 Luglio 2011, p.18, Assessori, agenzie, galleristi: il sacco, di Giovanni Agosti. E, combattendo,
talvolta si vince. Si ottengono incarichi. Ma come politico, non come critico. E neppure critico militante. Quando Agosti dice
sacco, non vuol dire solo furto e saccheggio, ma intende vaso, vaso di Pandora, i cui frutti teme siano disseminati per ogni
dove non c’è lui, ma il cui involucro, egli paventa, sia addirittura custodito in Ambrosiana! Questo non è da critico militante.
Come non sarà mai un vero militante nessun miles gloriosius, cresciuto e caduto tra audaci vanaglorie e mortali intrighi.
Il punto più basso, però, della luce crepuscolare, quella che in psicopatologia si definisce stato crepuscolare, cioé di
parziale oscuramento psichico, sarebbe possibile osservarlo laddove un critico, come qualsiaisi scienziato o filosofo, punto
sull’attendibilità dei suoi risultati, invece di argomentare, motivare, controbattere, passasse alla raccolta del consenso sulla
base dell’appartenenza familiare e dei rapporti amicali. Per poter vincere in forza del clan. Invece di vincere per forza di
ragione. Purtroppo per quel critico immaginario, il risultato di un’analisi scientifica non è mai soggetto né al numero di
consensi né alle procedure democratiche: risponde solo al criterio di verità. Quindi, per il nostro critico reale, che senso
ha avuto rivolgersi alla sorella, altro critico d’arte, e cattedratica, non già per raccogliere argomenti a sostegno, ma per far
raccogliere firme sotto una petizione contro la scelta della Pinacoteca Ambrosiana? E di parentela in parentela, di amicizia in
amicizia, lungo l’estate, si poteva intercettare un via vai di richieste di sottoscrizione a una petizione di condanna dell’operato
dell’Ambrosiana. Come quella di Luca Pozzati, fino all’arruolamento di chi sul Luini aveva scritto tesi opposte, ma che, nel
crepuscolo, non le ricordava o non le distingueva più (Binaghi Olivari). Per non dire di quel Frangi blogger che, – altro critico
al crepuscolo –, anche quando si parla d’altro, trova sempre il modo di parlar male dell’Ambrosiana. E nonostante si glori
d’essere esponente del CMC, un centro culturale milanese che pur aspira a cooperare con l’Ambrosiana (vedi: ►●). O del
lucido Tomaso Montanari, che, dietro il silenzio impacciato dell’Assessore alla Cultura, vede il combattente della resistenza
per la libertà di ricerca: nella penombra del crepuscolo c’è spazio anche per le caricature!
E, di amicizia in amicizia, sempre d’estate, dai blog si passava ai giornali strutturati. La Repubblica, chiamata a Palazzo
Reale direttamente dai critici-curatori ad assistere alla rimozione del Luini, intonava il ritornello “luogo di religione–luogo di
repressione”. E il Corriere della Sera, al seguito, lo diffondeva alle masse, anche dopo che la Repubblica, per evitare sguaiate
stonature, prendeva le distanze dall’originaria intonazione. Un giornalista del Corriere, uno dei più impavidi, tentava anche
il corpo a corpo: l’intervista diretta, ma truccata, con il Prefetto dell’Ambrosiana. Invitato esplicitamente e ripetutamente
ad “essere onesto”, quasi a scansare i colpi, si trincerava dietro un foglietto che conteneva le firme. A suo dire, glielo aveva
passato il Direttore del Corriere in persona. Ma si lasciava anche sfuggire che su quel foglio, oltre a tante firme, c’era anche
l’intestazione: quella del più noto mercante d’arte milanese. La trascrizione degli sms tra il giornalista e il Prefetto è lì a
documentarlo. Dal crepuscolo, per quanto a lungo questo possa durare, si passa subito alla sera. E quindi alla notte.
Ma ritorna il giorno, il 9 giugno 2015. E si aprirà il Convegno Internazionale. Per studiare tranquillamente la storia
dell’arte. E per aprire un forum permanente sulla storia dell’arte in Lombardia. Si avverte ormai da più parti la mancanza
di un ambito – pur presente in ogni settore della ricerca scientifica – in cui i contributi degli esperti siano riconoscibili in
riferimento al loro metodo scientifico, alla loro corretta attitudine, e non alla loro disciplina a gruppi e mezzi di pressione, a
clan accademici e a campagne politiche o ideologiche.