tragedia greca - Liceo Classico Dettori

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tragedia greca - Liceo Classico Dettori
PLATONE
CONDANNA DELLA TRAGEDIA
(REPUBBLICA, LIBRO III, 384 b-399e)
VII.--- Comprendi allora, ripresi, che si ha una narrazione opposta a questa quando si sopprimano le
parole intercalate dal poeta tra un discorso e l'altro e si lascino i dialoghi. - Comprendo, disse,
anche questo: è il caso delle tragedie. - Hai inteso benissimo, risposi, e credo di poterti ormai
chiarire ciò che prima non ero capace di spiegare.
Esistono tre forme di poesia e mitologia una che [c] si fonda tutta quanta sull'imitazione, ossia,
come tu dici, la tragedia e la commedia; una seconda quando è lo stesso poeta che racconta, e lo
potrai trovare specialmente nei ditirambi; una terza poi che è un misto delle due precedenti, usata
nella poesia epica e in parecchi altri generi se mi comprendi. - Ora sì che capisco, fece, quello che
volevi dire allora! - Rammentati anche quanto si era detto subito prima: avevamo affermato di
avere già trattato di ciò che si deve dire, ma di dover ancora esaminare come va detto. - Me ne
rammento, sì.
Proprio questo dicevo, che bisognava metterci d'accordo se [d] dovremo permettere ai poeti di
ricorrere alla imitazione quando ci fanno le loro narrazioni, o di ricorrervi ora sì e ora no, e per quali
oggetti sì e per quali altri no; o se dovremo assolutamente vietarla. - Indovino, disse, che stai
indagando se dovremo o no accogliere nel nostro stato la tragedia e la commedia. - Forse, risposi,
ma forse c'è di più. Io stesso ancora non lo so, ma qualunque sia la direzione in cui, come soffio di
vento, ci porti il nostro discorso, in quella dovremo procedere. --- Dici bene, ammise. --- Ora,
Adimanto, rifletti se i nostri guardiani [e] devono essere o no abili all'imitazione. Non consegue
anche questo al principio più sopra fissato, che ciascuno potrà attendere bene a un compito solo, ma
non a parecchi e che se tenterà questa seconda via mettendo mano a parecchi, fallirà in tutti senza
riuscire a distinguersi in qualche maniera? - Certamente. - Ora, per l'imitazione non vale lo stesso
discorso? E’ in grado l'identica persona d'imitare parecchie cose così bene come una sola? - No,
[a] certo. - Allora tanto meno potrà nel contempo attendere a un'occupazione importante e imitare
abilmente parecchie cose: lo prova il fatto che le stesse persone non sono in grado di fare bene
neppure le due imitazioni che sembrano tra loro tanto vicine, quando cioè compongono commedia e
tragedia. Poco fa non chiamavi imitazioni questi due generi letterari? - Sì, ed è vera la tua
asserzione che le stesse persone non sono in grado di farle. - E nemmeno di essere nel contempo
rapsodi e attori. - E vero. - Anzi, commediografi e tragediografi non [b] ricorrono nemmeno ai
medesimi attori: eppure si tratta sempre di imitazioni, no? - Di imitazioni. - E inoltre, Adimanto,
la natura umana mi appare frazionata in pezzetti ancora più minuti dì questi, sì da non essere in
grado di imitare bene parecchie cose, o di fare quelle cose stesse che si producono con le imitazioni.
- Verissimo, rispose.
VIII.
- Se dunque manterremo saldo il nostro principio iniziale che, esonerati da ogni altro
mestiere, i nostri [c] guardiani devono essere scrupolosissimi artefici della libertà dello stato e non
attendere ad altro scopo, essi non dovranno allora né fare né imitare altra cosa. E se imitano,
dovranno imitare sin da fanciulli i modelli che a loro s'addicono: persone coraggiose, temperanti,
liberali, e ogni modello consimile, ma non dovranno né compiere né essere bravi a imitare atti
illiberali, e così pure nessun'altra bruttura, a evitare che l'imitazione li porti al bel guadagno di [a]
essere ciò che imitano. Non hai notato che le imitazioni, se principiano fin dalla giovinezza e si
protraggono a lungo, si consolidano in abitudini e costituiscono una seconda natura? e che il
fenomeno ha luogo per il corpo e per la voce come per il pensiero ?
Sì, certo, rispose. Perciò
continuai, a coloro che pretendiamo di curare e che hanno da essere uomini onesti, non
permetteremo d'imitare, essi che sono uomini, una donna, giovane o anziana, mentre insolentisce il
marito o contende con dei e si esalta della [e] sua presunta felicità; o mentre è preda di disgrazie,
lutti e lamenti; e tanto più dovremo evitare che la imitino quand'è malata o innamorata o in travaglio
di parto. Assolutamente, rispose. E non dovranno imitare schiave e schiavi intenti ad attività di
schiavi.
No, neppur questo.
E nemmeno uomini cattivi, sembra, e vili: uomini che si
comportano all’opposto di come abbiamo detto or ora; che s'ingiuriano e si fanno ridicoli a vicenda
e [a] dicono frasi oscene, ubriachi o sobri; e tutte quelle altre sconvenienze che simili individui
commettono quando parlano e quando operano, verso sé come verso altri. E non devono nemmeno,
a mio giudizio, abituarsi ad adottare linguaggio e condotta di persone impazzite. Pazzi e malvagi,
uomini e donne, si devono conoscere, ma non si deve fare né imitare nulla di loro.
Verissimo,
disse.
Ebbene, ripresi, devono forse imitare forgiatori di metalli o altri artigiani o rematori di
triremi o regolatori del ritmo [b] di voga o altro a ciò relativo? - E come potranno farlo, rispose, se
non sarà loro lecito neppure di volgere la mente ad alcuna di queste cose?
E allora imiteranno
nitriti di cavalli, muggiti di tori, scrosciare di fiumi, fragori di mari, tuoni e ogni simile rumore? Ma esiste per loro il divieto, disse, di essere pazzi come di rendersi simili a pazzi.
Se comprendo
il tuo pensiero, ripresi, dizione e narrazione presentano un primo aspetto, nei cui limiti dovrebbe
svolgersi il racconto dell'uomo realmente perfetto, [c] quando avesse qualcosa da dire; ma ne
presentano poi un altro, dissimile dal primo, cui sempre si dovrebbe attenere, mantenendo nei suoi
limiti il racconto, l'uomo opposto al primo per indole ed educazione. -- E questi aspetti, disse,
quali sono ? - Ecco la mia opinione, risposi; l'uomo a modo, quando giunge nel suo racconto a un
detto o a un'azione di un uomo onesto, consentirà a riferirla come se egli stesso fosse quell'uomo; e
non si vergognerà [a] di tale imitazione, specialmente se imita chi è onesto e agisce risolutamente e
sensatamente. Lo farà invece meno spesso e meno volentieri se imita un uomo prostrato da malattie
o da passioni amorose o anche dall'ubriachezza o da qualche altra sventura. Quando però abbia a
che fare con un individuo indegno di lui, non consentirà a rendersi seriamente simile a chi è
peggiore, se non di sfuggita quando faccia qualcosa di buono; ma si vergognerà sia perché non è
allenato a imitare simili individui sia perché tollera a fatica di plasmarsi e conformarsi sul modello
di chi è [e] peggiore di lui: comportamento che nel suo pensiero egli spregia, a meno che non si
tratti di adottarlo per gioco. ---E’ naturale, rispose.
IX. - Non ricorrerà dunque a una narrazione quale poco prima noi abbiamo esposta quando
parlavamo dei versi di Omero? e il suo dire non parteciperà di tutte due le forme, imitativa e
narrativa semplice, pur costituendo l'imitazione, in un lungo discorso, una piccola parte? Sto
dicendo sciocchezze? - Tu dici, e bene, rispose, quale deve essere il modello di un simile oratore.
- Ma chi [a] non è tale, ripresi, quanto meno è bravo, tanto più non narrerà di tutto? e non crederà
forse che non ci sia cosa indegna di lui, sì da mettersi a praticare con tutta serietà ogni imitazione
davanti a un grande pubblico, anche quelle che or ora dicevamo, tuoni, rumori di venti, di grandine,
di argani e di pulegge, suoni di trombe, di aulòi di siringhe e di ogni genere di strumenti, e poi
latrati, [b] belati e versi di uccelli? E il suo dire non si baserà tutto sull'imitazione, nella voce come
negli atteggiamenti? o non avrà appena un po' di narrazione? - Anche questa, disse, è una cosa
inevitabile. - Ecco dunque, ripresi, quelli che dicevo i due aspetti della dizione. - Sì, sono questi,
ammise. - Ora, il primo di essi non comporta piccole variazioni? E se alla dizione si danno
armonia e ritmo convenienti, non succede forse, parlando rettamente, di usare suppergiù il
medesimo stile e una unica armonia [c] (perché piccole sono le variazioni) e così anche un ritmo
uniforme? E così senz'altro, disse. - E il secondo aspetto? Non esige il contrario, ossia ogni sorta
di armonie e di ritmi, se lo si deve esprimere a sua volta in maniera appropriata? e ciò perché
comporta le più diverse forme di variazioni? - E proprio così. - Ora, tutti i poeti e in genere
coloro che fanno qualche discorso, non finiscono per usare o l'uno o l'altro di questi due tipi di
dizione, oppure uno misto di essi? - Per forza, ammise. - [d] E allora, che faremo?, dissi io;
accoglieremo nel nostro stato tutti tre questi tipi, oppure uno non misto, o quello misto? - Se
prevale la mia idea, rispose, accoglieremo il tipo non misto basato sull'imitazione dell'uomo
dabbene.
----Eppure, Adimanto, è ben gradevole anche quello misto. Per i fanciulli poi, per i pedagoghi e per
la maggioranza della gente il tipo opposto a quello da te scelto è di gran lunga il più gradevole. Sì, è il più gradevole. - Potresti però affermare, ripresi, che esso non si adatta alla nostra [e]
costituzione, perché da noi non esiste uomo doppio nè multiplo, dato che ciascuno fa una cosa sola.
- Non s'adatta, no. E non è per questo che solamente in un simile stato troveremo il calzolaio che
fa il calzolaio e non il pilota oltre che il calzolaio? e l'agricoltore che fa l'agricoltore e non il giudice
oltre che l'agricoltore? e il guerriero che fa il guerriero e non l'uomo d'affari oltre che il guerriero, e
tutti così? - E vero, rispose. - A quanto [a] sembra, dunque, se nel nostro stato giungesse un
uomo capace per la sua sapienza di assumere ogni forma e di fare ogni imitazione, e volesse
prodursi in pubblico con i suoi poemi, noi lo riveriremmo come un essere sacro, meraviglioso e
incantevole; ma gli diremmo che nel nostro stato non c'è e non è lecito che ci sia un simile uomo; e
lo manderemmo in un altro stato con il capo cosparso di profumi e incoronato di lana. A noi invece,
che abbiamo di mira l'utile, serve un poeta e mitologo più austero e meno [b] piacevole, che ci imiti
il linguaggio della persona dabbene e atteggi le sue parole a quei modelli che abbiamo posti per
legge in principio, quando abbiamo incominciato a educare i soldati. - Sì, rispose, faremmo
proprio così, se stesse in noi. - Ora, mio caro, feci io, forse abbiamo completamente esaurito la
trattazione di quel settore della musica che comprende i discorsi e le favole. Abbiamo esposto
quello che si deve dire e come va detto. Così sembra pure a me, rispose.
[c]X.
- E ora, ripresi, non ci resta da trattare del modo del canto e della melodia?
Evidentemente. ---Ebbene, se vogliamo essere coerenti con le nostre parole di prima, non
potrebbero ormai tutti trovare da sé quello che dobbiamo dire del modo e della melodia, quali cioè
devono essere? E Glaucone sorridendo disse: Allora, Socrate, io rischio di non venire compreso
tra questi «tutti». Sul momento non sono proprio in grado di dichiarare che cosa dobbiamo dire,
anche se posso sospettarlo.
(d) Sicuramente, feci io, tu sei in grado di riconoscere questo primo punto: la melodia si compone di
tre elementi, parole, armonia e ritmo. Questo sì, rispose. ----Ora, quello che in essa è costituito
dalle parole, non differisce affatto, nevvero?, dalle parole non cantate, visto che lo si deve esprimere
secondo quei medesimi modelli che poco fa abbiamo stabiliti, e nella stessa maniera.
E’ vero,
disse.
E armonia e ritmo debbono accompagnare le parole.---- Come no?….Eppure, dicevamo,
nelle composizioni letterarie non c'è bisogno alcuno di lamenti e pianti. - No davvero. Ebbene,
quali sono le armonie [e] lamentose? Dimmelo, tu che sei esperto di musica. - La mixolidia,
rispose, la sintonolidia e altre simili. - E non si devono eliminare?, feci io. Non sono utili neanche
alle donne, se devono essere donne dabbene, per non parlare degli uomini. - Senza dubbio. - Per i
guardiani, poi, sono molto sconvenienti l'ubriachezza, la mollezza e l'indolenza.--Come no?
---E dunque, tra le armonie, quali sono molli e conviviali?---- La ionica, rispose, e la lidia: così si
chiamano certe armonie languide. [a] - E ti potranno servire in qualche modo, mio caro, con i
guerrieri? - No certo, rispose; forse però ti rimangono la dorica e la frigia. - Io non m'intendo di
armonie, replicai; ma tu devi lasciare l'armonia che imiterà convenientemente parole e accenti di chi
dimostra coraggio in guerra e in ogni azione violenta; e pur se è sconfitto o [b] ferito o in punto di
morte o vittima di qualche altra sciagura, sempre reagisce alla sorte con fermezza e sopportazione.
E lasciane anche un'altra, di chi attende a un’azione pacifica e non violenta, ma spontanea, o
persuade e chiede qualcosa a qualcuno, con la preghiera se si tratta di un dio, con l'insegnamento e
il monito se si tratta di un uomo; <armonia che> nel caso opposto <imiterà> chi dà retta a preghiere
o insegnamenti o dissuasioni altrui, e quando con questi mezzi ha ottenuto il suo intento, non pecca
[c] d'orgoglio, ma in tutti questi casi si comporta con saggezza e moderazione ed è lieto di quello
che succede. Dunque queste due armonie, la violenta e la spontanea, lasciale: esse offriranno la
migliore imitazione degli accenti di gente sventurata e fortunata, temperante e coraggiosa. - Ma,
disse, le armonie che chiedi di lasciare, non sono altre che quelle or ora da me dette. - Nel canto e
nella melodia, ripresi, non avremo dunque bisogno di strumenti a molte corde né capaci di tutte le
armonie. - No, mi sembra evidente, disse. - E allora non manterremo fabbricanti (d) di trigoni, di
péttidi e di ogni altro strumento a molte corde e capace di produrre varie armonie. - No,
evidentemente. - E fabbricanti e suonatori di aulòs, li ammetterai nello stato ? Non è forse questo
lo strumento più ricco di suoni ? e gli stessi strumenti capaci di produrre tutte le armonie non ne
sono una imitazione? - Sì, rispose, è chiaro. - Ti restano dunque, ripresi, lira e cetra, utili in città;
in campagna invece, per i mandriani, andrebbe bene una specie di siringa. - Sì disse, così almeno
ci porta a concludere il nostro discorso. - Non (e) siamo proprio originali, mio caro, dissi io, a
giudicare Apollo e i suoi strumenti preferibili a Marsia e ai suoi. - Per Zeus!, fece lui,
evidentemente non lo siamo!--- Corpo d'un cane, replicai, senz'accorgerci abbiamo nuovamente
purificato lo stato che poco fa dicevamo gonfio di lusso. - Si, rispose, e saggiamente.
Scheda di rielaborazione sintetica
1. INDIVIDUA IL PROBLEMA CHE VIENE AFFRONTATO
2. INDIVIDUA LE TESI FONDAMENTALI DEL BRANO
3. COME VENGONO ARGOMENTATE?
4. ESPLICITA IL SENSO GLOBALE DEL BRANO E RICOMPONI SINTETICAMENTE MEDIANTE IL COMMENTO
5. IL PROBLEMA AFFRONTATO DALL’AUTORE E’ ANCORA ATTUALE?
6. LA SOLUZIONE DATA DALL’AUTORE E’ ANCORA VALIDA?
7. VUOI PROVARE A DARNE UNA VALUTAZIONE CRITICA?