Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli

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Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli
Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli
Un altro French Feminism : storia e epistemologia di un progetto teorico e politico tra
genere, "razza" e classe
“Mark does not predate oppression”
Monique Wittig, « One Is Not Born a Woman »
“L'entrée des minoritaires dans le domaine théorique ne conduit pas à
proprement parler à un "affinement" ou à une "diversification" des
connaissances. Cela certes peut se produire, mais l'essentiel n'est pas là, il est
dans le bouleversement des perspectives, dans la subversion qu'ils
introduisent. [...] Ces textes minoritaires, dont déjà la publication n'est pas
aisée, sont à leur parution considérés à la fois comme légers et dangereux,
comme plaisanterie de plus ou moins bon goût et menace. Mais après, il n'est
plus jamais question de poser les problèmes de la même façon
qu'antérieurement”
Colette Guillaumin, «Sexe, Race et Pratique du Pouvoir»
Nell'introduzione a Sexe, race et pratique du pouvoir, Colette Guillaumin definisce i contributi
analitici di Nicole-Claude Mathieu, Monique Wittig, Paola Tabet e Christine Delphy - ovvero le
pensatrici che dalla fine degli anni 70 hanno animato in Francia la più vivace fucina di ricerche
femministe - come « una formidabile rimessa in questione delle "evidenze", questa forma
sacralizzata dell'ideologia ».
Le évidences alle quali Guillaumin fa riferimento sono quelle del « sesso » e della « razza »,
operatori gerarchici simili nella loro natura e nel loro funzionamento, che dicotomizzano lo spazio
sociale in due porzioni asimmetriche e, naturalizzando attribuzioni sociali posizionali, creano
gruppi socialmente appresi come gruppi naturali (gli uomini e le donne, i bianchi e i nonbianchi ...), pre-esistenti alle specifiche forme di oppressione che, in realtà, li costituiscono. Il
sessismo e il razzismo sono dunque forme di naturalismo in quanto definiscono le condotte umane
come « inscritte nella natura ».
In Italia, questa radicale denaturalizzazione del « senso comune » operata dal femminismo
materialista francese resta, più di trent'anni dopo le sue prime formulazioni, assai minoritariamente
dibattuta o valutata nella sua portata critica tanto teorica che politica. Ad esclusione di pochissimi
saggi pubblicati in riviste specialistiche, non sono mai stati tradotti in italiano testi che nel campo
degli studi di genere sono unanimamente considerati, ad un tempo, come classici e seminali.
Oltre ai lavori di Guillaumin (tra i quali ricordiamo il fondamentale L'idéologie raciste) , pensiamo
a L'ennemi principal (vol.1 Économie politique du patriarcat e vol.2 Penser le genre) di Christine
Delphy, a The Straight Mind di Monique Wittig, a L’anatomie politique. Catégorisations et
idéologies du sexe di Nicole-Claude Mathieu, a La construction sociale de l’inégalité des sexes di
Paola Tabet. Il silenzio su tali contributi è ancora più assordante se pensiamo all'ampia diffusione e
circolazione - anche di tipo editoriale - che hanno in Italia autrici considerate (fuori dalla Francia)
come epitomi del « femminismo francese »: Luce Irigaray, Julia Kristeva ed Hélène Cixous.
In un celebre saggio del 1995, Christine Delphy ha condotto un'attenta disamina delle ragioni e
delle poste in gioco all'opera nell'« invenzione » statunitense del cosidetto French Feminism:
connotato da un quadro epistemologico in cui l'essenzialismo (la donna come l'Altro per essenza) è
la parte fondante l'argomentazione, esso si oppone antiteticamente all'elaborazione di un'analisi del
gruppo delle donne come « classe » costituita e definita da una specifica forma di dominazione. In
antitetica opposizione agli argomentari differenzialisti e biologisti di tale «femminismo francese»,
Delphy costruisce il concetto di genere come gerarchizzazione sistemica dello spazio sociale che
crea i due sessi come naturali. Denaturalizzando l'illusione sociale meglio fondata socialmente - la
complementarietà naturale dei sessi - e svelandone i meccanismi della sua naturalizzazione (che
devono parte della loro efficacia al fatto di operare essendo misconosciuti come tali), il genere
emerge come una categoria dotata di una radicalità critica potenzialmente sovversiva: nominando e
mostrando una specifica forma di oppressione implicita o rimossa - l'inferiorizzazione delle «
minoranze » sessuali attraverso un pervasivo sistema di « arrangiamenti sociali » - essa apre uno
spazio di probabilità a che le cose possano essere altrimenti, fornendo al contemp utili strumenti per
la critica di altri assi di differenziazione (come la “razza”, la classe, l'età, la scelta, identità o
orientamento sessuale …) e una loro ri-articolazione.
Nell'ultimo decennio, in Francia, la ricchezza analitica prodotta da queste ricerche è stata
rielaborata criticamente da tutta una nuova generazione di militanti e ricercatrici femministe che
alla luce, e in sinergia, con gli apporti teorici del Black Feminism e degli Lgbtq e Postcolonial
studies, hanno dato luogo ad un vivace e serrato dibattito intorno ai diversi sistemi di dominio e
rapporti di potere.
Con questo numero – che si colloca in una sorta di continuità ideale e/o dialogo a distanza con
l'ultima pubblicazione zapruderiana con una decisa impronta di genere, ovvero Donne di mondo.
Percorsi trasnazionali del femminismo curato da Elena Petricola e Liliana Ellena nel 2007 –, ci
proponiamo di aprire un luogo di discussione tra ricercatrici/ricercatori e militanti questionando
criticamente i testi di questo altro French Feminism, che ha contribuito a fare della «razza» e del
«genere» categorie feconde nell'analisi delle diverse modalità in cui la dominazione sessuale e
razziale si dispiega e si riproduce nei differenti contesti storici e sociali articolandosi mutuamente
e/o con altre forme di oppressione. L'intento euristico è molteplice.
Da un lato vorremmo provare ad interrogare la storia intellettuale e sociale di questo progetto critico
- ad un tempo teorico e politico - , delle categorie analitiche che esso ha forgiato e impiega e delle
resistenze istituzionali, intellettuali e affettive che ha suscitato e continua a suscitare.
Secondariamente intendiamo approfondire l'analisi delle questioni che tale approccio critico
permette di formulare: come dalla continuità sociale si crea la discontinuità sociale? Come dar
conto analiticamente dell'antinomia della categorizzazione: rivoltarsi contro una categorizzazione
socialmente imposta - essere donne - organizzandosi in una categoria costruita a partire da tale
categorizzazione e facendo così, in un certo senso, esistere le classificazioni e le restrizioni cui si
intende resistere? Come dar conto analiticamente, ad un tempo, dell'oppressione che si dispiega
paradossalmente come polimorfa (ogni agente sociale è la “concrezione” singolare di più linee di
alterizzazione, aventi pesi relativi di efficienza differenti nelle diverse situazioni sociali) e
situazionalmente unidimensionale (es: non si è che una donna davanti alle porte dei bagni pubblici,
che un omosessuale davanti al municipio qualora ci si volesse sposare con il compagno)?
Infine, last but not least, porre alcune questioni sulle relazioni tra femminismo e autonomizzazione
del campo degli studi di genere (in cui “sesso” e “razza” sono impiegate come strumenti analitici) in
un’ottica comparativa che scansi tanto le derive dell'etnocentrismo che quelle del culturalismo.
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