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Apprendistato e maternità: tre Giudici, tre decisioni
diverse
di V. Besutti - 2 febbraio 2017
La Corte d’Appello di Caltanissetta si è trovata ad affrontare la questione della coincidenza
temporale tra periodo di maternità e recesso da parte del datore di lavoro alla scadenza del
contratto di apprendistato. Il tema è particolarmente rilevante poiché pone un problema di
contemperamento di valori costituzionali in gioco: la tutela delle lavoratrici madri (art. 37,
comma 1, Cost.) e la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.).
Come è noto il contratto di apprendistato ha struttura bifasica: la prima contraddistinta da
una causa mista costituita da scambio tra lavoro retribuito e formazione, la seconda assimilabile ad un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato. Quest’ultima è meramente
eventuale poiché il datore di lavoro ha la facoltà di recedere con preavviso ex art. 2118 c.c.,
al termine del periodo di formazione.
Il problema si è posto perché l’esercizio del recesso ad nutum si è verificato durante la maternità dell’apprendista, vale a dire nel periodo tra l’inizio della gravidanza e il compimento
dell’anno di età da parte del bambino in cui il licenziamento della lavoratrice è vietato ai sensi dell’art. 54 d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
Vediamo nel dettaglio il caso di specie.
In data 14 ottobre 2014 la società comunicava alla lavoratrice la volontà di recedere dal rapporto di lavoro a decorrere dal successivo 12 novembre, giorno di scadenza del contratto di
apprendistato. Il 22 ottobre la dipendente chiedeva l’interdizione dal lavoro per il periodo
compreso tra il 22 ottobre e il 20 novembre 2014 perché in stato di gravidanza gravoso o
pregiudizievole ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n. 151/2001; la società sospendeva dunque
gli effetti del provvedimento di cessazione del rapporto. La lavoratrice presentava poi nuova
richiesta di interdizione sino a gennaio 2015 e la società confermava la sospensione con nota
del 21 novembre 2014. Infine in data 22 dicembre 2014 parte datoriale revocava i provvedimenti sospensivi del recesso e comunicava l’immediata cessazione del rapporto di lavoro. La
lavoratrice presentava ricorso ex art. 1, comma 48, l. 28 giugno 2012, n. 92.
Il Tribunale – prima con ordinanza del 27 ottobre 2015, poi con sentenza del 7 settembre
2016, n. 271 – e la Corte d’Appello di Caltanissetta – con sentenza del 29 novembre 2016, n.
445 – sono concordi nel ritenere che il rapporto sia cessato in virtù della nota del 22 dicembre 2014 e che tale recesso sia nullo per violazione dell’art. 54 d. lgs. n. 151/2001. Si specifica al proposito che non ha alcun rilievo il richiamo alla lettera c) dell’articolo stesso che individua nell’«ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta» o
nella «risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine» due eccezioni al divieto di licenziamento. Si ritiene infatti che tali ipotesi siano riferite esclusivamente al contratto di lavoro a termine e non a quello di apprendistato, il quale, pur essendo connotato dalla libera recedibilità alla fine del periodo di formazione, è riconducibile alla specie del contratto a tempo indeterminato, così come precisato dalla legge e confermato in giurisprudenza
(cfr. da ultimo Cass., 15 marzo 2016, n. 5051).
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I giudici affermano quindi che la società, in ottemperanza a quanto previsto dalla disciplina
dei contratti a tempo indeterminato, avrebbe dovuto sospendere gli effetti del recesso (già
comunicato) sino alla cessazione dell’interdizione per gravidanza.
Quanto alle conseguenze sanzionatorie, l’art. 18, comma 1, l. 20 maggio 1970, n. 300 dispone la reintegra del lavoratore qualora il licenziamento sia stato intimato in violazione del predetto art. 54. Nel caso di specie tuttavia i due Giudici di primo grado e la Corte d’Appello
sono giunti a conclusioni differenti.
Il Giudice della prima fase del cd. “rito Fornero” disponeva con ordinanza il pagamento di
quindici mensilità in luogo della reintegra, ritenuta non possibile a causa della sospensione
del rapporto per lo stato di interdizione e della breve durata del periodo lavorativo residuo.
Veniva inoltre disposto il risarcimento nella misura pari alle retribuzioni dovute nel periodo
lavorativo di apprendistato residuo.
In seguito il Tribunale, con sentenza, pur ritenendo nullo il recesso, riconosceva la validità
della disdetta del contratto del 14 ottobre 2014 e stabiliva che la reintegra dovesse essere disposta, ma solo per i ventuno giorni residui di apprendistato (vale a dire i giorni di preavviso
restanti). La società veniva altresì condannata al pagamento di un’indennità pari a cinque
mensilità (art 18, comma 2, l. n. 300/1970).
Ad un risultato ancora diverso è giunta la Corte d’Appello. Innanzitutto essa non ha disposto
la reintegra «non potendo di fatto essere realizzata nell’ambito di un rapporto che aveva comunque esaurito la sua efficacia a seguito del recesso tempestivamente e legittimamente intimato dalla parte datoriale» a conclusione del concordato periodo di tirocinio formativo
che «aveva un termine di conclusione programmato oltre il quale, per volontà del datore di
lavoro, esso doveva avere comunque termine». Per gli effetti la Corte ha condannato la società soltanto al pagamento di un’indennità di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto della lavoratrice, comprensiva di quanto dovuto per le retribuzioni relative al periodo di ventuno giorni non lavorato a causa del licenziamento.
In definitiva, i Giudici affermano il divieto di licenziamento durante i periodi di sospensione
del rapporto per maternità, ma sembrano altresì ammettere, seppur implicitamente, che il datore possa recedere legittimamente dal rapporto di lavoro con l’apprendista madre anche prima del compimento dell’anno di età del bambino, nonostante il divieto ex art. 54. A fronte
dell’incertezza sul punto, non può che auspicarsi un intervento da parte delle autorità competenti.
Valentina Besutti, collaboratrice dello studio legale Bolognesi-Restelli
Visualizza i documenti: Trib. Caltanissetta, ordinanza 27 ottobre 2015; Trib. Caltanissetta, 7
settembre 2016, n. 271; App. Caltanissetta, 29 novembre 2016, n. 445
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