Committenza e cantiere. Note d`archivio per

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Committenza e cantiere. Note d`archivio per
Committenza e cantiere.
Note d’archivio per palazzo Cusani a Milano
MARICA FORNI*
Gli studi su palazzo Cusani pubblicati negli ultimi decenni hanno seguito direttrici di ricerca tese ad asseverare l’attribuzione del
progetto a Giovanni Ruggeri (1665-1729)1 e ad anticiparne, solo recentemente, la datazione tra la fine del Seicento e il primo
decennio del Settecento2, riconducendo l’edificio quindi alla
committenza dell’abate Gerolamo Cusani (1652-1707). La messa a fuoco dei dati biografici3, indispensabili per assegnare un
concreto profilo all’architetto romano, ha nel contempo consentito di dissipare gli equivoci più superficiali; resta ancora da rifondare su basi documentarie meno labili il catalogo della sua
opera nello stato di Milano.
Se i nomi dei patrizi milanesi che ricorrono a Ruggeri sono
ancora, salvo rare eccezioni, quelli tramandati dalle due edizioni delle Ville di delizia (1726;1742) di Marc’Antonio Dal Re
(1697-1766)4, la concreta entità delle sue prestazioni è tuttavia
ancora da vagliare. Sovente si dimenticano infatti i limiti programmatici e ideologici della fonte, non a caso definita «theatrum architectonicum»5, caratteristici di un’iniziativa editoriale
a cui è affidata la rappresentazione di un ceto privilegiato. Corrisponde pienamente a questo intento celebrativo anche il rilievo storiografico concesso all’architetto «foresto», a memoria
del gradimento della sua opera da parte di alcuni influenti
membri della nobiltà. Il loro consenso non doveva essere estraneo all’affiliazione di Ruggeri entro il 1696 ad accolite di artisti
cusiane – la cui attività era promossa e sostenuta anche da
esponenti della medesima élite, dilettanti di arti e di matematiche applicate – 6 e all’ammissione nel 1709 all’Accademia di
San Luca di Milano7. Non mancano episodi in cui la lettura
* Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano.
nel Settecento. Interscambi, modelli, tecniche, committenti e cantieri. Studi in onore
di Rossana Bossaglia, a cura di G. C. Sciolla e V. Terraroli, Bergamo 1995, pp. 140150; G. STOLFI, Aggiunte su palazzo Cusani a Milano (e su Giovanni Ruggeri), in
«Libri e Documenti», 25 (1999/1-3), pp. 29-36; A. SCOTTI, La Lombardia asburgica, in Storia dell’architettura italiana. Il Settecento, a cura di G. Curcio ed E. Kieven, Milano 2000, p. 434; M. FORNI, “Case da nobile”: architettura civile nelle città
lombarde tra Seicento e Settecento, in Lombardia barocca e tardobarocca. Arte e architettura, a cura di V. Terraroli, Genève-Milano 2004, p. 175.
2 Risale al 1694 il disegno in pianta della facciata allegato alla richiesta con cui
Gerolamo Cusani richiede di occupare una porzione di strada pubblica «per
porre in buon ordine la facciata della nova sua fabrica posta nella contrada di
Brera» (STOLFI, 1999, pp. 29-30) tuttavia nel 1707 solo le parti murarie sono
completate, ma restano ancora a piè, come si vedrà, d’opera molti dei materiali
lapidei delle membrature (FORNI, 2004, p. 175).
3 MANFREDI, 1991, p. 437.
4 Ville di delizia, o siano palagi camparecci nello Stato di Milano [...] disegnate ed
incise da Marc’Antonio Dal Re bolognese, Milano 1726; seconda edizione 1743.
Rinvio al saggio di A. ROVETTA, Residenze barocche nella storiografia artistica
milanese: le due edizioni delle Ville di delizia di Marc’Antonio Dal Re, in «Arte
Lombarda», 143 (2005/1), pp. 39-47 e alle fonti bibliografiche citate.
5 SCOTTI, 1987, p. 159.
6 Con l’architetto romano aderiscono all’accademia di San Giulio d’Orta illustri
milanesi tra i quali Cesare Fiori, il marchese Francesco Maria Sforza di Caravaggio, il marchese Ercole Visconti e Pietro Paolo Caravaggio (BAMi, ms. L 25 suss.,
Catalogo degli aggregati. Congregazione di San Luca Isola San Giulio, f. 368; la
fondazione e l’attività dell’accolita cusiana di Corconio sono state oggetto dello
studio di C. SAVOINI, Accademici di San Luca di Corconio nella chiesa di San Pietro
in Carcegna (Novara), in «Arte Lombarda», 102-103 (1992/3-4), in particolare
per il catalogo degli aggregati p. 72; SCOTTI, 2000, p. 426 nota 13).
7 «Giovanni Ruggeri architetto nella contrada de’ Cornaggi» (BAMi, ms. L 25
suss., f. 290, segnalato in SCOTTI, 2000, p. 426 e in particolare note 11 e 12).
Abbreviazioni
ASCPv: Archivio Storico Civico di Pavia;
ASMi: Milano, Archivio di Stato di Milano;
BAMi: Biblioteca Ambrosiana, Milano.
1 La bibliografia annovera un discreto numero di titoli, eterogenei quanto a finalità,
20
impostazione, apporto documentario e critico, mi limito quindi ai principali pubblicati dalla metà del secolo scorso: P. MEZZANOTTE - G. BASCAPÉ, Milano nell’arte
e nella storia, Milano 1948, pp. 66 e 808-810; G. CHIERICI, Il palazzo italiano,
Milano 1957, p. 392; P. MEZZANOTTE, L’architettura dal Richini al Ruggeri, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, pp. 470-471; G. BASCAPÉ - C. PEROGALLI, Palazzi
privati di Lombardia, Milano 1965, pp. 215-216; G. MEZZANOTTE, Giovanni Ruggeri e le ville di delizia lombarde, in «Bollettino del Centro internazionale di Studi
d’Architettura A. Palladio», XI (1969), pp. 243-254; V. CAPRARA, Documenti settecenteschi per San Giorgio al Palazzo, in «Archivio Storico lombardo», CVII (1981),
pp. 273-283; G. BOLOGNA, Milano Palazzo Cusani, Milano 1982; C. PEROGALLI,
Palazzo Cusani a Milano, Milano 1986; A. SCOTTI, Architettura in Lombardia tra
fasto, funzionalità e profitto, in Civiltà in Lombardia. La Lombardia delle riforme,
Milano 1987; T. MANFREDI, Giovanni Ruggeri, in In urbe architectus. Modelli disegni misure. La professione dell’architetto a Roma 1680-1750, a cura di B. Contardi
e G. Curcio, Roma 1991, p. 437; M. DRAGONI, La ristrutturazione sei-settecentesca
del castello di Chignolo Po: una traccia per la storia degli interventi, in «Bollettino
della Società Pavese di Storia Patria», XCIII (1993), pp. 157-170; T. MANFREDI,
Contributo sulla formazione e sull’attività romana di Giovanni Ruggeri, in «Arte
Lombarda», 113-115 (1995/2-4), pp. 117-121; M. DRAGONI, Giovanni Ruggeri
architetto dei Cusani a Chignolo Po, in Artisti lombardi e centri di produzione italiani
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filologica della fonte citata, con riferimento a un contesto documentario più ampio e credibile, ha determinato i presupposti per ridurre il ruolo attribuito al romano circoscrivendolo
all’ideazione degli «ornati», si rammentino in proposito la facciata sul giardino di villa Arconati a Bollate o l’anfiteatro nella
residenza dei Visconti a Brignano8.
Tale limitazione non appare riduttiva se si interpreta come
riconoscimento dell’attitudine di un artista che riceve la sua prima formazione dal padre esperto stuccatore e collaboratore di
Carlo Fontana e matura un versatile talento, comprovato nel
1682 dalla sua brillante qualificazione nella prima classe di scultura dell’Accademia di San Luca9, durante il principato del berniniano Mattia de Rossi10. Se la frequentazione dello studio di
Fontana costituisce un requisito necessario all’ammissione del
giovane alle lezioni degli accademici, l’applicazione all’architettura è probabilmente successiva, come accade per Marco Bianchi. Analogamente, ma con differente specializzazione ed esito,
il cremonese Giuseppe Natali, che nel medesimo concorso consegue il quarto premio nella prima classe di pittura11, si dedica
al genere della quadratura. In questo ambito saprà proporsi
quale interprete del linguaggio tardobarocco, con l’invenzione
di effimeri congegni spaziali di grande successo anche in Lombardia, impostati sulla «veduta per angolo», perfezionata dallo
sperimentalismo dei Bibiena, «ultimi campioni della scuola borrominesca» nel penetrante giudizio di A. Ch. Quatremère de
Quincy12.
La peculiarità originaria del profilo dell’architetto romano,
affatto singolare nei curricula accademici, è testimoniata in
modo eloquente dalla facciata di palazzo Cusani (fig. 1) prospiciente via Brera, univocamente riconosciuta dalla critica come uno degli episodi più significativi dell’architettura lombarda per la qualità del disegno che «introduce a Milano non tanto un tipo compositivo nuovo ed un apparato decorativo insolito, quanto un modo nuovo di combinare fra loro elementi
non omogenei. Certamente la dissimmetria del prospetto, i
due portali, la tendenza a ingigantire i vuoti delle aperture lo
differenziano dalle consuetudini locali»13. A tale intuizione critica Gianni Mezzanotte faceva seguire l’analisi dei particolari
decorativi giungendo a riconoscere «sollecitazioni di natura diversa da quelle prevalenti in Roma» più precisamente la «disponibilità a recepire le indicazioni che giungono dall’Europa»14.
Le successive ipotesi interpretative delle matrici formali del linguaggio di Ruggeri sono state infatti corredate di citazioni di
8
A questo si limita Dal Re per definire l’apporto di Ruggeri alla facciata sul
giardino della villa Arconati al Castellazzo di Bollate dove l’architetto «si trovava
una facciata già definita, nel numero, nella posizione e fors’anche nell’altezza
delle finestre, vincolate dai solai secenteschi» (P. FERRARIO, La regia villa: il Castellazzo degli Arconati fra Seicento e Settecento, Bollate 1996, p. 84).
9 Ruggeri risulta vincitore del secondo premio del concorso di prima classe (I
disegni di figura nell’Archivio dell’Accademia di San Luca, a cura di A. Cipriani
ed E. Valeriani, Roma 1988, I, pp. 100-101), notizia riportata in MANFREDI,
1991, p. 437.
1. Milano, palazzo Cusani, facciata su via Brera.
possibili fonti viennesi, rimaste tuttavia prive di conferme documentarie e sempre meno convincenti dopo la precisazione
della cronologia.
Per quanto non risolutiva a tale proposito, l’anticipazione in
questo contributo di alcuni documenti inediti – esiti ancora parziali di un percorso di ricerca incentrato sulla trafila farraginosa
della trasmissione, della gestione e dei modi d’uso della proprietà
– intercettando notizie isolate, come possono essere quelle tratte
da fonti prosaiche, intende soffermarsi sull’inventario post mortem dell’abate Gerolamo Cusani che documenta con inequivocabile precisione lo scarto temporale tra l’elaborazione del progetto della facciata da parte di Ruggeri, databile intorno al 1694,
e il completamento dell’esecuzione che si protrae oltre il 1707,
per avvalorare alcune delle argomentazioni finora accolte, riducendone altre a semplici supposizioni.
Tra Roma e Vienna
Roma resta la meta più verosimile da traguardare attraverso
una fitta trama di relazioni personali e di legami parentali che
possono avere favorito questo orientamento del gusto. L’abate
10
H. HAGER, L’Accademia di San Luca e i concorsi di architettura, in Aequa potestas. Le arti in gara a Roma nel Settecento, Roma 2000, p. 118.
11 Il tema assegnato è «L’incontro di Alessandro Magno con il governatore di
Susa» (I disegni di figura...., 1988, I, p. 99).
12 W. OECHSLIN, Il contributo dei Bibiena. Nuove attività architettoniche, in
«Bollettino CISA», XVII (1975), p. 147.
13 MEZZANOTTE, 1969, p. 250.
14 Ivi. Interpretazione già proposta da A. GRISERI, Le metamorfosi del Barocco,
Torino 1967.
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Arte Lombarda | MARICA FORNI
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Gerolamo Cusani vi risiede dal 1640 al 169115, con qualche
estemporaneo ritorno in patria per tutelare i propri interessi patrimoniali. Presso la curia pontificia il nobile milanese è accreditato come referendario di entrambe le Segnature e nominato
governatore di Camerino da Innocenzo XI (1690-1700) al secolo Benedetto Odescalchi, cognato di sua sorella Beatrice Cusani16. Anche la generazione successiva contribuisce a rinsaldare
il legame con il potente casato di origine comasca che, come è
noto, si avvale anche in patria dell’opera dell’architetto Carlo
Fontana e dei suoi familiari, quali Carlo Buratti (1651-1734)17.
Ne è prova la consuetudine tra Livio I Odescalchi (1658-1713)
e il cardinale Agostino Cusani (1655-1730)18 che nella sua brillante carriera diplomatica svolge il delicato ruolo di rappresentante della Santa Sede a Venezia (1696) e a Parigi (1706) prima
di dedicarsi al tranquillo apostolato nella diocesi di Pavia
(1711-1724)19 a cui seguirà la concessione della porpora cardinalizia e il ritiro a vita privata. Livio nel testamento in cui nomina erede universale Baldassarre Erba Odescalchi, capostipite
del ramo ungherese della famiglia, beneficia con un legato anche «monsignor Agostino Cusani ora nunzio in Francia al quale
professo molta stima ed affetto lascio e dono tutti gli argenti
che tiene in prestito del mio, e più se li diano mobili quadri o
vero argenti per il valore di altri scudi mille»20. La personalità
complessa del collezionista-virtuoso è stata di recente indagata
e compiutamente delineata nelle sue molteplici sfaccettature21,
sottraendola al cono d’ombra proiettato dalle personalità salienti che intersecano la sua vicenda umana e intellettuale, quelle
del pontefice-zio Innocenzo XI – responsabile della sua educazione dopo la morte prematura del padre22 – e di Cristina di
Svezia23 di cui acquista la celebre quadreria.
All’abate Gerolamo compete senza dubbio la designazione
dell’architetto romano a cui attribuisce nelle ultime volontà un
lascito in denaro come concreta attestazione di riconoscenza «per
le sue fatiche»24, indirettamente comprovate anche dalle tracce
d’incombenze tecniche più seriali25. Sulle motivazioni di tale scelta si possono solo formulare congetture, mancando notizie biografiche circostanziate sul committente sia per gli anni trascorsi a
Roma sia per quelli milanesi. Unica, significativa, eccezione è rappresentata dalla sua consuetudine con il senatore marchese Cesare
Pagani (1635-1707)26, singolare figura di politico, collezionista e
mecenate di Cesare Fiori, uno tra i pittori più alla moda nella Milano di fine Seicento, dal 1678 al 1691 pretore e podestà di Pavia
affiliato alla Compagnia dell’Immacolata, che nel 1693 conferisce
a Giovanni Ruggeri l’incarico per il primo progetto di ricostruzione dell’omonima cappella nella chiesa di San Francesco a Pavia27. I legami di Ruggeri con l’accolita pavese sembrano più ampi; nel carteggio dei Fabbricieri si allude infatti a un incarico privato dell’architetto per il «conte di Broni» – Giuseppe Visconti
Scaramuzza – che potrebbe avvalorare, se comprovato da fonti
documentarie meno vaghe, un suo intervento in una delle residenze a Pavia, a Cicognola, a Canevino, o a Milano in contrada
di Sant’Eufemia nel palazzo identificato tra le vedute di Marc’Antonio Dal Re come dimora della contessa Barbara di Belgiojoso
che lo eredita nel 1742 dal nonno materno28.
15
24
I succinti dati biografici reperibili sulla famiglia in generale e in particolare su
Gerolamo (F. CALVI, Famiglie notabili milanesi, Milano1875, III, tav. VI, su cui si
sofferma anche STOLFI, 1999, p. 35 nota 6) possono essere integrati da queste notizie tratte da una memoria giudiziale (ASCPv, Fondi vari da riordinare, 92, ora
denominato Archivio Cusani Visconti, 34, a seguito del riordino di fondi miscellanei
la cui catalogazione è illustrata in G. ZAFFIGNANI, Pavia svelata: episodi, persone e
testimonianze attraverso carte d’archivio inesplorate. Inventario dei “Fondi fuori inventario” dell’Archivio storico civico di Pavia, Pavia 2010). La continuità della pluriennale residenza di monsignor Cusani a Roma è avvalorata anche dall’affitto di
una villa ad Albano, citata nell’inventario del 14 luglio 1707 che descrive tra le
scritture nell’archivio «una nota di diversi mobili che si ritrovano nel casino di Albano vicino a Roma» (ASMi, Notarile, 39038, not. Giovanni Maria Quadrupani).
16 Dal matrimonio di Beatrice Cusani con Carlo Odescalchi, celebrato nel
1651, nasce Giovanna sposa a Milano nel 1677 di Carlo Borromeo Arese.
17 Il suo ruolo nell’entourage di Livio Odescalchi è stato analizzato da S. COSTA,
Dans l’intimité d’un collectionneur. Livio Odescalchi et le faste baroque, Paris 2009,
pp. 237-245; più in generale per la sua attività si veda M. G. PEZONE, Carlo
Buratti. architettura tardo barocca tra Roma e Napoli, Firenze 2008.
18 F. BIANCOLI, I Cusani di Chignolo e l’Ordine di Malta, in «Ticinum», 12 (dicembre 1939).
19 R. RITZER - P. SEFRIN, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, 16671730, Pavia 1952, V, pp. 80, 306.
20 COSTA, 2009, p. 424.
21 Mi riferisco all’accurato studio di Sandra Costa (2009).
22 Sui legami tra accademie nobiliari e ambiente artistico rinvio a G. ROMANO,
Notizie su Andrea Pozzo tra Milano Genova e il Piemonte, in «Prospettiva», 5760 (1989-1990), p. 307 nota 44; ID., Ancora su Andrea Pozzo in Piemonte e
Lombardia, in Andrea Pozzo, Milano-Trento-Luni, 1996, pp. 297-299.
23 M. ROETHLISBERGER, The Drawing Collection of Prince Livio Odescalchi, in
«Master Drawings», XXIII-XXIV (1985-1986), pp. 6-7; COSTA, 2009.
«E perché mi ritrovo ben servito dal signor Giovanni Rugieri architetto e
non havendolo riconosciuto che in poche bagatelle sin hora benché abbia molto
affaticato filippi duecento una volta tanto» (25 gennaio1707, ASMi, Notarile,
not. Cosmo Gerolamo Buzio, 34980, citato in DRAGONI, 1995, p. 149).
25 A queste alludono i «diversi atti giudiziali contro diverse persone e con alcuni
ordini dati al signor Giovanni Ruggeri» descritti nel suo archivio personale, preso
in consegna dagli eredi nel 1707 in occasione dell’inventario post mortem.
26 La bibliografia annovera numerosi studi a partire dalla pubblicazione dell’inventario D. PESCARMONA, Per l’attività di Paolo Pagani e i suoi rapporti con l'omonimo marchese Cesare, «Arte Lombarda», 98-99 (1991/3-4), pp. 118-126; A.
MORANDOTTI, Paolo Pagani e il ciclo Leoni Montanari e altre suggestioni, in «Verona
illustrata», 6 (1993), pp. 87-109; R. AVERSA, Artisti e committenza a Pavia e Milano
tra XVII e XVIII secolo. Il Marchese Cesare Pagani, in «Bollettino della Società Pavese
di Storia Patria», XLV (1993), pp. 135-159; A. MORANDOTTI, Il cantiere di chiusa
Val d’Isarco: Luca Giordano e i pittori lombardi, i reali di spagna e il marchese Cesare
Pagani, in Bolzano nel Seicento. Itinerario di pittura, catalogo della mostra, a cura
di S. Spada Pintarelli, Milano 1994, pp. 97-110; C. GEDDO, Ritrovamenti sul marchese Cesare Pagani committente del pittore Paolo Pagani, in «Paragone», XLVI, 543545 (1995), pp. 125-155; C. GEDDO, Regesto documentario, in Paolo Pagani
(1665-1716), catalogo della mostra, a cura di F. Bianchi, Milano 1998.
27 G. PONTE, La cappella del R. Sodalizio dell’Immacolata in San Francesco
Grande e il carteggio dell’architetto Giovanni Ruggeri (1693-1712), in «Bollettino
della Società Pavese di Storia Patria», II (1939/1), pp. 35-37; R. AVERSA, Disegni
inediti per la Confraternita dell’Immacolata Concezione in S. Francesco di Pavia,
«Bollettino della Società Pavese di Storia Patria», 44 (1992), pp. 145-150.
28 Nel 1742 Giuseppe nomina erede la nipote Barbara figlia di Antonia Scaramuzza
Visconti e Costanzo D’Adda, sostituendo il pronipote Alberico nato dal matrimonio di Barbara con Antonio di Belgiojoso. Il palazzo, appartenuto a Ferrante Villani
Novati, è solitamente attribuito a Giacomo Muttoni; nel giardino aveva sede il
‘Bosco Parrasio’ destinato ad accogliere la colonia milanese degli Arcadi.
Committenza e cantiere. Note d’archivio per palazzo Cusani a Milano
Presso la committenza pavese l’émigré romano millanta l’alunnato con Bernini29, complice forse l’universale e duratura risonanza del nome del maestro morto nel 168030, mai eguagliata
da quella del suo allievo Carlo Fontana nel cui studio Ruggeri
compie invece l’apprendistato professionale, propiziato dalla collaborazione di lunga data del padre stuccatore31.
Principe dell’Accademia di San Luca solo dal 1686 e per un
lungo periodo direttore della classe di architettura, Fontana gode di buona fama anche in terra lombarda32 dove, nei suoi brevi
soggiorni tra 1688 e 1689 è ospite degli Odescalchi e dei Borromeo, circostanza che può avere favorito il suo discepolo nei
contatti con i Cusani, proprio in considerazione dei legami accennati tra le famiglie. Dato indiscusso e fondamentale resta in
ogni caso la formazione di Ruggeri nell’operosa fucina che ancora elabora in quegli anni i modelli di residenza che al nord
godono di singolare fortuna presso la nobiltà cattolica33.
Per contro la capitale dell’impero asburgico è altrettanto
familiare ai Cusani, accreditati presso la corte dalle alleanze
matrimoniali intessute da due generazioni – rispettivamente
con gli influenti casati dei Nesselrath e dei Metsch34 – e dalla
lunga permanenza a Vienna del Generale Giacomo. La famiglia del nipote prediletto ed erede universale dell’abate Gerolamo nel 1690 dimora infatti in palazzo Questenberg – poi
Kaunitz-Ritberg – una delle più fastose residenze sulla Johannesgasse35, la cui facciata presenta numerose assonanze formali
con quella del palazzo in via Brera. La composizione è incentrata sul doppio asse scandito dai portali e la decorazione ben
esemplifica l’elegante sperimentalismo del gusto tipico di J.
Lukas von Hildebrandt (1668-1745) che «integra la tradizione dell’ornamento tedesco e francese con le novità italiane»36.
La sua conoscenza della cultura italiana è diretta, facilitata sia
dai natali a Genova sia dalla formazione che precede il soggiorno a Roma dove le tracce conducono allo studio di Carlo
Fontana, ancora una volta crocevia di esperienze divulgate in
tutta Europa.
La proiezione delle strategie del casato fuori dai confini della
patria, sia in ambiente curiale sia in quello militare, è pratica diffusa nel patriziato lombardo, basti citare il radicamento di un ramo dei Belcredi in Moravia e degli stessi Erba Odescalchi in Ungheria. Queste opportunità per promuovere l’azione dei singoli
sul piano ancora criptico della politica dischiudono per loro
orizzonti culturali più ampi e sollecitano quell’imitazione dei costumi abitativi che da un lato garantisce l’integrazione in terra
straniera, dall’altro costituisce la più esplicita dichiarazione di
‘appartenenza’ a una ristretta élite cosmopolita da far valere al ritorno in patria.
Entrambe le prospettive appaiono indissolubilmente intrecciate nelle vicende dei Cusani e si riflettono nel palazzo che si
propone all’attenzione storiografica da un punto di vista rinnovato. Oggi appare più sfocato il contesto viennese, quantomeno nei noti modelli evocati da circa un lustro, che risultano
ora sfasati rispetto alla cronologia documentata, mentre più
convincente, non alternativa geneticamente, risulta la matrice
romana del linguaggio. I riferimenti eterogenei sui quali ha variamente insistito la bibliografia sono condivisibili (figg. 1-2):
«gli spunti berniniani nello zoccolo in ceppo che ben si presta
con la sua tessitura a simulare una finta roccia, l’impaginato
monumentale delle paraste giganti memori del modello di palazzo Chigi Odescalchi. Ma anche in questo caso la presenza
dei due portali riporta a contemporanee scelte viennesi, mentre
le loro membrature [...] e le reiterate cornici delle finestre rimeditano i modelli borrominiani della facciata dell’oratorio
Romano e di Propaganda Fide, oltre che esempi illustri nel citato Studio dell’architettura civile»37. Il compendio di caratteri
‘moderni’ dispiegati dai modelli magistrali citati appartiene ormai al lessico di un linguaggio tardo-barocco internazionale38
29
sei anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1730, la vedova Gioseffa, nominata
tutrice del giovane erede Carlo Francesco, si trasferirà a Milano (26 settembre
1748, ASMi, Notarile, 44536, not. Agostino Perrocchio).
35 Nel 1690 la marchesa Cusani con i quattro figli teneva in affitto il primo piano
del palazzo Questenberg in Johannesgasse trasformato dal 1701 (P. FIDLER, Zur
Bauaufgabe in der Barockarchitektur. Das palais Questenberg Ergazende Forschungen
zu einer Prandtauer Monographie, Innsbruck 1985, nota 19). Oltre allo studio citato si vedano B. GRIMSCHITZ, Wiener Barockpalaste, Wien 1944; B. GRIMSCHITZ,
J. L. von Hildebrandt, Wien 1959, p. 224 nota 1, e il recente saggio di M. FRANK,
I Bibiena a Vienna: la corte e altri committenti, in I Bibiena una famiglia europea,
a cura di D. Lenzi e J. Bentini, Firenze 2000, p. 115, che analizza il coinvolgimento a partire dal 1722 di Antonio Galli Bibiena con Gaetano Fanti e Gaetano
Rosa nella decorazione della sala, della galleria e della biblioteca.
36 J. GARMS, Capitali e residenze nell’Impero di Antico Regime, in «Annali del
Barocco in Sicilia», 6 (1999), p. 39.
37 SCOTTI, 2000, p. 434. Su possibili tramiti editoriali si veda anche M. FORNI,
La circolazione della cultura bibienesca nello Stato di Milano: tracce per una ricerca,
in Artisti lombardi e centri di produzione…, 1995, pp. 159-162.
38 Per un agile quadro di un tema complesso, ripreso in seguito da taluni degli
autori, si rinvia a Borrominismi, a cura di E. Debenedetti, Roma 1999, e in particolare a G. BONACCORSO, Francesco Borromini il giorno dopo: il ruolo di Carlo
Fontana nella diffusione di un nuovo linguaggio architettonico, pp. 26-37.
Cfr. lettera del 3 febbraio 1693 indirizzata all’abate Belcredi (PONTE,1939,
p. 35; MANFREDI, 1995, pp. 113-114 e 117).
30 Leone Pascoli riferisce che Bernini nell’ultimo decennio di vita accoglieva
nella propria casa un’accolita di giovani interessati allo studio dell’architettura
(H. HAGER, Carlo Fontana e i suoi allievi: il caso di Johann Bernhard Fischer von
Erlach, in Studi sui Fontana: una dinastia di architetti ticinesi a Roma tra Manierismo e Barocco, a cura di M. Fagiolo e G. Bonaccorsi, Roma 2008, p. 241).
31 MANFREDI, 1995.
32 In argomento si vedano lo studio di S. DELLA TORRE, Carriere ecclesiastiche
e committenza in patria. Una traccia per il Seicento comasco, in Il Seicento a Como,
1988, pp. 11-22, e la tesi di R. CATELLI - A. M. PINI, Le fabbriche degli Odescalchi a Como nel Seicento. La committenza di una famiglia papale, tesi di laurea,
Politecnico di Milano, rel. S. della Torre, a. a. 1993/1994, e il recente W. EISLER,
C. Fontana and the maestranze of the Mendrisiotto in Rome, in Studi sui Fontana...., 2008, pp. 377-380.
33 Tra i progetti di Carlo Fontana si vedano in particolare quelli dei palazzi
Sternberg a Praga e Liechtenstein; rinvio a A. BRAHAM - H. HAGER, Carlo Fontana. The Drawings at Windsor Castle, London 1977, passim.
34 I Cusani stringono alleanze con casati austriaci prima con il matrimonio tra
il marchese Giacomo Cusani e Gioseffa Nesselrath, quindi con l’unione del primogenito Filippo con Gioseffa Antonia figlia del barone Carlo Sebastiano
Metsch. La coppia risiede a Vienna dove Filippo ottiene incarichi a corte e solo
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2. Milano, palazzo Cusani, particolare della facciata.
39 In particolare è pertinente alla cronologia della fabbrica solo il primo volume
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Studio d’architettura civile sopra gli ornamenti di porte e finestre tratti da alcune
fabbriche insigni di Roma [...] opera de più celebri architetti de nostri tempi, pubblicata [...] da Domenico De Rossi, Roma 1702. In argomento S. CIOFETTA,
Lo Studio d’Architettura Civile edito da Domenico De Rossi (1702, 1711, 1721),
in In urbe architectus..., 1991, pp. 214-228.
40 Tra i progetti realizzati da Carlo Fontana per la committenza d’Oltralpe va
ricordato quello per palazzo Sternberg (1696-1700) a Praga, che nella sontuosa composizione a tre portali ricerca una monumentalità memore di palazzo Pamphilj.
41 Numerose planches di incisori attivi a Vienna e Augusta – sciolte o raccolte
in volumi – compaiono nei cataloghi di raccolte pubbliche milanesi, fatto non
trascurabile se considerato in relazione alla presenze documentate negli inventari
che può avvalersi di tramiti diversificati: architetti le cui traiettorie professionali dopo Roma intersecano le capitali del nord,
ma anche un repertorio grafico che annovera, con la diffusissima collectanea di elementi architettonici tratti dalle più celebri
fabbriche romane pubblicata da Domenico De Rossi (1702;
1711; 1721)39, anche altre edizioni uscite dai torchi dalla stamperia alla Pace. Nel caso specifico, tuttavia, un potenziale fattore di mediazione è intuibile nella familiarità acquisita con la
consuetudine che può avere indotto Gerolamo Cusani a preferire un progetto denso di rassicuranti assonanze: come sottacere infatti la frequentazione del berniniano palazzo dei Chigi in
piazza Santi Apostoli, dove già dal 1694 risiedeva come affittuario il cugino Livio Odescalchi?
Solo la composizione ritmata da più assi in corrispondenza
dei portali costituisce l’unico elemento spurio in una romanità
‘corale’, uso deprecato più tardi da Francesco Milizia, ma adottato da Carlo Fontana in palazzo Sternberg a Praga40 e documentato anche nelle residenze della capitale dalle incisioni di Salomon Kleiner, che compongono il primo volume di Das Florierende Wien (1724). In questo ideale teatro di magnificenza privata, conosciuto e apprezzato dai bibliofili milanesi41, sono riprodotti il contemporaneo palazzo d’inverno – con facciata a tre
assi – progettato dal 1694 per il principe Eugenio da J. B. Fischer von Erlach a cui subentra dal 1702 J. L. von Hildebrandt
e, per limitare l’elenco agli esempi di facciata a doppio asse, le
più tarde dimore Liechtenstein in Herrengasse, Lamberg in Wallnergasse o la già citata Questenberg.
A Milano l’iconografia tramandata da Marcantonio Dal Re
non attesta altrettanto favore nei confronti di questo monumentale schema compositivo: sia il prospetto del già citato palazzo in parrocchia di Sant’Eufemia ereditato da Barbara di
Belgiojoso, sia quello di Prospero Visconti la rivelano una comune matrice prettamente funzionale, assecondando nell’organizzazione dei corpi di fabbrica intorno ai cortili i vincoli imposti dai lotti poco profondi, come non manca, del resto, di
far rilevare alcuni decenni più tardi, con esplicito riferimento
a palazzo Cusani, l’ingegnere collegiato milanese Bernardo Maria Quarantini42.
di alcune biblioteche private: in quella del marchese Gaetano Bellisomi è descritto nel 1747 il repertorio citato di Kleiner insieme a quello dedicato a Francoforte e alle Suites des residences memorables d’Eugene François Duc de Savoie et
de Piedmont stampato ad Augusta presso gli eredi di G. Wolff (1733-1737). Riferimenti bibliografici e archivistici e qualche considerazione più generale in
argomento in M. FORNI, La cultura architettonica milanese nella prima metà del
Settecento: considerazioni ed ipotesi sulle relazioni con il quadro europeo, dottorato
di ricerca in Conservazione dei Beni Architettonici, rel. A. Grimoldi, Politecnico
di Milano, IV ciclo, 1993.
42 Ringrazio Stefano Della Torre per l’opportunità di consultare copia del manoscritto commentato in S. DELLA TORRE, Bernardo Maria Quarantini. Regole
e avvertenze, in Settecento lombardo, a cura di R. Bossaglia e V. Terraroli, Milano
1991, p. 390.
Committenza e cantiere. Note d’archivio per palazzo Cusani a Milano
Fatti del ‘nobile condominio’:
vicende patrimoniali e diritti d’uso della proprietà
Un cenno alle difficoltà in cui si dibatte la famiglia Cusani nella
gestione del patrimonio immobiliare al tempo della ricostruzione del palazzo appare una digressione indispensabile per contestualizzare il documento qui discusso, l’inventario post mortem
dell’abate Gerolamo.
Contenziosi di natura patrimoniale ricorrono nella saga familiare dei Cusani, originati da conflitti relativi ai modi di fruizione dei beni immobili, alimentati, senza dubbio, da un’intricata congerie di antefatti concernenti i vincoli e le disposizioni
relative ai diritti d’uso. I fedecommessi43, concepiti come strumenti di salvaguardia della compattezza della componente patrimoniale più strettamente correlata alla rappresentazione del rilievo del casato, quali sono la dimora di città e il castello di Chignolo, offrono farraginosi appigli agli interessi particolari dei
singoli, in quanto determinano vincoli reiterati su compagini
edilizie la cui estensione e i cui caratteri morfologici mutano nel
tempo a seguito di successive trasformazioni.
Tra gli immobili caduti in successione nel 1707 tre sono situati nell’isolato in cui sorge il palazzo racchiuso tra contrada di
Brera, la chiesa di Sant’Eusebio e la contrada del Carmine, e corrispondono ad altrettanti titoli di proprietà oggetto di differenti
disposizioni successorie. Il vincolo più antico è disposto nel
1591 da Ippolita Visconti vedova di Carlo Barbiano di Belgiojoso44 a favore della figlia Giustina e dei suoi discendenti nati dal
matrimonio con Lelio Cusani. Segue quello restrittivo introdotto il 18 luglio 161545 dalla medesima Giustina, che destinava al
primogenito Agostino e ai suoi discendenti il nucleo della domus
più antica ereditata dalla madre e gravata da livello perpetuo a
favore del monastero di San Bernardo Vigentino. Con questa disposizione la dama intendeva salvaguardare in particolare l’incremento di valore conseguente all’investimento di 4200 scudi con
cui – prima del 1598 – sua madre aveva finanziato «li miglioramenti fatti nella casa grande presso S. Eusebio»46 attingendo alle
sue rendite personali.
La generazione successiva ricorre ai medesimi strumenti:
Agostino Cusani, figlio di Lelio, istituisce nel 1627 una donazione alla moglie Giovanna Visconti che include, a titolo di garanzia, una clausola di cessione del patrimonio ricevuto dal ma-
43 L’attenzione delle discipline storiche per questo istituto giuridico e la sua ap-
plicazione è attestata dal recente convegno La proprietà violata. Espropri, sequestri
e confische in Europa e nelle colonie, XVI-XX secc., Accademia di Architettura,
Mendrisio, 17-18 settembre 2010. In argomento si veda anche E. COLOMBO,
Potenzialità di una fonte. Le eredità vacanti (Lombardia spagnola, XVII secolo),
in «Studi storici Luigi Simeoni», XL (2010), pp. 95-106.
44 Il testamento dissigillato il 28 gennaio 1591 è citato nella petizione presentata
al Senato di Milano da Carlo Cusani in occasione dell’acquisto della metà del
palazzo dal fratello Gerolamo a compensazione dei suoi debiti (ASCPv, Fondi
vari da riordinare, 92, ora Archivio Cusani Visconti, 34).
45 Giustina risiede in parrocchia Sant’Eusebio quando dispone dei suoi beni
nel testamento reso pubblico il 18 luglio 1615 (ASMi, Notarile, 24948, not.
rito ai figli maschi nel caso in cui avesse contratto un nuovo matrimonio47. Tale espediente è evidentemente utilizzato per tutelare i beni patrimoniali dai rovesci di fortuna conseguenti a reati
di natura politica e dalle inevitabili sanzioni quali le confische,
già comminate proprio al padre Lelio e allo zio Gerolamo Cusani, che colpiranno nel 1627 lo stesso Agostino48. Alla sua iniziativa risalgono lavori edilizi imponenti che comportano, come si
vedrà in seguito, la costruzione di un nuovo scalone (terminus
post quem 1630) e la riorganizzazione degli ambienti di rappresentanza, inglobando il sedime di una casa soggetta a livello perpetuo devoluto alla rettoria di Sant’Eusebio, racchiuso tra la domus Cusani, la contrada di Brera e una proprietà della chiesa di
Sant’Eusebio49.
Nel 1640 Giovanna Visconti, vedova di Agostino, risulta
usufruttuaria di alcuni beni e tutrice dei figli minorenni Gerolamo e Marco Antonio; solo il primogenito Ottavio, avendo già
conseguito la maggiore età, è direttamente responsabile dell’amministrazione del proprio patrimonio.
Gerolamo viene inviato a completare gli studi a Roma dove
dimora fino al 1676, quando ritorna a Milano per entrare in legittimo possesso della quota di pertinenza dell’eredità, raggiungendo un accordo con suo fratello Ottavio che gli concede in
cambio una rendita annua vitalizia di 5000 lire a titolo di liquidazione di tutti i diritti assegnati alla primogenitura – in sequenza cronologica quella istituita da Artemisia Cusani Simonetta, da
Agostino senior – con riserva di invalidare l’atto qualora si fosse
riscontrato qualche errore od omissione50.
La dinamica di espansione della proprietà riceve nuovo impulso nel periodo compreso tra il 1640 e il 1649 quando Giovanna Visconti acquista alcune case contigue, favorendo la ripresa dei lavori di ricostruzione del palazzo iniziata dal marito con
un progetto esteso la cui cronologia e soprattutto l’entità e la
successione delle opere edilizie restano ancora da precisare, ad
eccezione della necessità di provvedere nuovi spazi privati in occasione del matrimonio del primogenito Ottavio Cusani con
Margherita Bigli.
Dopo avere liquidato suo fratello Gerolamo, Ottavio è libero
di condurre le iniziative concernenti la riforma del palazzo in assoluta autonomia, dal punto di vista decisionale e finanziario,
salvaguardando l’incremento di valore della proprietà mediante
l’istituzione nel 1677 dell’ultimo fedecommesso della lunga serie
Giuseppe Fossati).
46 La somma risulta elencata il 24 settembre1598 nell’inventario «dei beni mobili
et immobili crediti e debiti» della madre di Giustina, Ippolita Visconti Barbiano,
fra i crediti della dama che possedeva altre proprietà in via Bigli tra le quali una
casa da nobile (ASMi, Notarile, 21854, not. Giovanni Antonio Bugatti).
47 2 agosto 1627, Giulio Cesare Zanaboni notaio di Pavia (citato nella petizione
al Senato in ASCPv, Fondi vari da riordinare, 92, ora Archivio Cusani Visconti, 34).
48 Si veda in proposito ASMi, Confische, 1172.
49 La fonte che riferisce genericamente di una ricostruzione (ASMi, Amministrazione Fondo di Religione, 837) è citata da STOLFI, 1999, p. 33.
50 Notizie tratte da una memoria giudiziale senza data ma riferibile al 1730
circa (ASCPv, Fondi vari da riordinare, 92, ora Archivio Cusani Visconti, 34).
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a vantaggio della primogenitura Cusani, a favore questa volta di
Ferdinando, indicando dopo di lui nella linea successoria gli altri
figli maschi Agostino, Luigi e Giacomo51.
Con i privilegi attribuitigli dal padre incombono sul primogenito innumerevoli responsabilità, tra queste l’impegno a rinegoziare con lo zio abate Gerolamo un nuovo accordo patrimoniale che prevede la concessione di beni corrispondenti a una
rendita annua di 38000 lire. Contestualmente sono oggetto di
trattativa anche i diritti relativi all’uso dell’altra proprietà immobiliare complementare, il castello di Chignolo. Gli accordi sottoscritti in tale occasione dovevano essere corredati dal rilievo del
fabbricato datato giugno 1679 pubblicato nel 1932, ma oggi
non più reperibile52. La legenda contribuisce a distinguere i corpi di fabbrica ricostruiti nel corso della recente campagna edilizia
intrapresa da Ottavio Cusani, da quelli che sarebbero stati oggetto dei nuovi lavori concordati tra le parti per dare attuazione
a un progetto complessivo unitario53.
Nel 1691 l’abate Gerolamo lascia Roma per fare ritorno a Milano con l’intenzione di richiedere il rendiconto completo della
gestione dei beni del casato affidata in passato prima al fratello
Ottavio (1640-1678) quindi al nipote Ferdinando (1678-1693).
Il 29 dicembre 1693, asseverando la stima redatta in forma privata dagli ingegneri Giorgio Vitali e Pasino Sforza che attribuiva
al palazzo milanese in contrada S. Eusebio il valore di 105147 lire54, zio e nipote raggiungono un nuovo accordo. Al primo sono
assegnate, tra le proprietà ubicate a Milano, «la casa Grande nella
Casa Grande e un casino nella stretta del Carmine»55. Le identificazioni, oggi ambigue senza la possibilità di un confronto con
le perizie allegate al documento, lasciano intuire uno stato di fatto
coerente con le fasi edilizie a cui si è a grandi linee accennato. In
particolare il nucleo assegnato a Gerolamo, citato con una sua autonoma connotazione, potrebbe corrispondere all’esito edilizio
del progetto attuato nel quarto e quinto decennio del Seicento.
Acclarati l’estensione delle proprietà e i titoli di godimento
con i relativi diritti d’uso, risultano definite le condizioni indispensabili per riaprire i cantieri nelle due residenze a Chignolo e
a Milano. Data infatti maggio 1694 la petizione presentata da
Gerolamo Cusani al Consiglio della Città per ottenere la con-
cessione di una porzione di suolo pubblico indispensabile per
procedere alla ricostruzione della facciata56. L’apertura del cantiere in via Brera è tuttavia dilazionata dall’insorgere di fattori di
inerzia imprevisti, conseguenti alle asperità nei rapporti tra zio e
nipote che determinano una nuova negoziazione degli accordi
faticosamente raggiunti nel 1693. Contestazioni puntuali dei lavori in corso a Chignolo riaccendono una disputa che inevitabilmente destabilizza e rimette in gioco anche i diritti sul palazzo
di città. L’anziano prelato ricusa le stime dei due ingegneri consultati Giorgio Vitali e Giuseppe Quadrio giudicandole inficiate
da un errore nella valutazione dell’appartamento di Milano, ricostruito da Ottavio Cusani inglobando nei lavori la casa acquistata per consentire l’ampliamento del palazzo, ma anche un sito
più antico di cui Gerolamo rivendica la comproprietà57.
Occorre attendere il 1697 perché con l’avallo dell’ultima valutazione estimativa58 si ricomponga la contesa tra congiunti con
l’accertamento del valore delle rispettive quote di proprietà che
pone premesse oggettive per il cospicuo investimento di capitale
richiesto dal progetto di ricostruzione elaborato da Giovanni
Ruggeri.
51 Il suo testamento del 3 settembre 1677 risulta tra gli atti del notaio Francesco
Cusani e i nipoti (19 agosto 1723, ASMi, Notarile, Giovanni Paolo Carrara,
41391; copia dell’imbreviatura è conservata in ASCPv, Fondi vari da riordinare,
89, ora Archivio Cusani Visconti, 31).
56 Cfr. STOLFI, 1999, pp. 29-36.
57 Notizie tratte dai memoriali presentati dalle parti al Senato il 12 luglio 1695
(ASCPv, Fondi vari da riordinare, 88 ora Archivio Cusani Visconti, 30).
58 Notizie dedotte da una memoria senza data (terminus post quem 1731) relativa ai diritti del cardinale Agostino (ASCPv, Fondi vari da riordinare, 91, ora
Archivio Cusani Visconti, 33).
59 Cfr. C. CREMONINI, Vicende storiche e politiche. Milano e il suo stato tra la
fine del XVII secolo e la fine del XVIII, in Il teatro a Milano nel settecento, I, I
contesti, a cura di A. Cascetta e G. Zanlonghi, Milano 2008, pp. 27-29.
60 Il testatore annulla e revoca analoghi atti precedenti – tra questi un testamento depositato in Ferrara – e dispone che sue spoglie siano tumulate nel sepolcro della sua famiglia in Santa Maria della Pace, istituisce legati per messe
di suffragio e per maritare povere fanciulle (ASMi, Notarile, 34880, not. Cosmo
Gerolamo Buzio, citato da DRAGONI, 1993, pp. 157-170).
Lobia distrutti; mi attengo quindi alla citazione indiretta dei contenuti nella
petizione al Senato del 25 aprile 1776 (ASMi, Notarile, 47205, not. Antonio
Mantica).
52 Il documento pubblicato (BIANCOLI, 1939; DRAGONI, 1993, pp. 157-170)
è stato discusso da Maurizio Dragoni con riferimento a documenti, per lo più
atti peritali, conservati in archivio privato presso il castello attualmente non
consultabili. Tale documentazione avrebbe potuto fornire utili indizi sulle dispute familiari che avevano per oggetto anche il palazzo di Milano.
53 Una nota esplicativa apposta sul foglio distingue la porzione del castello «che
oggi si trova fata e che come nova e fatta pochi anni sono resta in piedi» e identifica
«il trattezato di pena sono li muri vecchi parte de quali restano sino al pavimento
della fabrica medesma, e parte si distrueranno tutti come si vede che restano descritti a suo luogo» distinguendo «Il tinto di giallo sono li muri da farsi tutti di
novo con le sue colonnate come si vede» (BIANCOLI, 1939).
54 25 aprile 1776 (ASMi, Notarile, 47205, not. Antonio Mantica).
55 La citazione è tratta dall’atto di «Rilascio dell’eredità» concordato tra Agostino
Il testamento dell’abate Gerolamo Cusani
e i successivi passaggi di proprietà del palazzo
Il 1707 segna l’inizio di una fase cruciale per la storia politica e
istituzionale dello Stato di Milano che a seguito dell’occupazione
delle truppe di Amedeo II di Savoia era stato annesso alla corona
asburgica concludendo la crisi seguita alla morte nel 1700 di
Carlo II – ultimo Asburgo di Spagna – e ai sei anni d’interregno
di Filippo V di Borbone, asservito per solidarietà e devozione familiare alla corona francese. Durante questo periodo di transizione i legami costituitisi nella prima metà degli anni novanta
del Seicento tra la nobiltà lombarda e la fazione imperiale avevano alimentato un’opposizione strisciante che tra i suoi esponenti
annoverava anche membri della famiglia Cusani59.
Il 25 gennaio 1707 l’abate Gerolamo affida al notaio Cosmo
Gerolamo Buzio60 le ultime volontà per legittimare alla successione
Committenza e cantiere. Note d’archivio per palazzo Cusani a Milano
l’asse ereditario indiretto61 privilegiando tra i nipoti Giacomo,
nominato erede universale, imponendogli come condizione il
trasferimento della famiglia a Milano da Vienna dove risiedeva
da tempo. In caso di estinzione della sua discendenza maschile,
sarebbe subentrato Luigi, il più giovane dei nipoti con i suoi figli
maschi, assegnatario dell’usufrutto della casa a Milano nella contrada del Ciovassino.
Il cardinale Agostino, nunzio Apostolico a Parigi, avrebbe ricevuto poderi nel territorio di San Colombano, i livelli di Chignolo, i redditi di Camera e del Monte San Francesco, la remissione dei debiti, una casa in via Olmetto62 e alcune proprietà immobiliari limitrofe al palazzo come la porzione della casa Soroldoni che non era stata inclusa nella nuova fabbrica e un casino
nel vicolo del Carmine affittato alla vedova Gradignani.
L’abate non trascura di provvedere al sostentamento dei figli
biologici: Agostino, Anna, Giovannina e Maddalena63. Al maschio dimorante con la sorella minore a Lione presso il mercante
Pio Carcano assegna una rendita di 400 filippi annui e garantisce la sovvenzione degli studi in collegio e un servitore fino all’età di vent’anni, mettendogli inoltre a disposizione, qualora
non volesse condividere l’abitazione con l’erede universale, «un
appartamento di due stanze almeno, ammobiliato honorevolmente consistente in una camera con letto per esso ben finita,
biancheria sufficiente per credenza quanto per tavola et servitore
[...] qual camera dovrà avere le sedie, tavolini, quadri et altro secondo il vivere civile, l’altra camera dovrà essere parata civilmente con quadri e ogni cosa confacente»64.
I dissidi trascorsi con Ferdinando Cusani sembrano superati
solo formalmente: nei suoi confronti lo zio è risoluto a «mostrare
l’affetto che porto» con l’auspicio di una duratura pacificazione
«et che tra i miei nipoti non vi sii lite» beneficiandolo, a titolo
di legato, della compensazione dei crediti – compresi quelli dotali riferiti alle ascendenti Vittoria e Margherita – e ancora, per
tacitare le sue legittime pretese di rendiconto dell’amministrazione, aggiunge l’accredito della quota di spese sostenute nei feudi di Sesto e Campo Rinaldi.
Questo ridisegno complessivo della distribuzione della proprietà finalizzato a un riequilibrio e alla compartecipazione dei
nipoti rimasti al secolo definisce di fatto nella dizione dei contemporanei un «nobile condominio». Ferdinando, vistosamente
escluso nel 1707 da ogni diritto sulla porzione del palazzo di via
Brera di pertinenza dello zio, sarà indirettamente chiamato in
causa nel 1709, alcuni mesi prima della morte65, nella gestione
dei beni immobili pervenuti a suo fratello Giacomo, assente dallo Stato per doveri militari, procura rimessa all’arciprete di
Sant’Eusebio Carlo Francesco Curione. Nel volgere di alcuni anni è il cardinale Agostino che assume di fatto la responsabilità di
amministrare il patrimonio della famiglia dopo la scomparsa dei
fratelli: nel 1713 muore Luigi Cusani lasciando i tre figli minorenni Ottavio, Gerolamo e Carlo, seguito nel 1715 da Giacomo
i cui discendenti diretti sono Agostino e Filippo che, al pari dei
cugini, non hanno ancora raggiunto la maggiore età. Con questo
ruolo il cardinale sembra voler dare continuità al progetto di riforma del palazzo ideato da Giovanni Ruggeri creando le condizioni per l’ampliamento del corpo di fabbrica sulla contrada di
Brera – ipotizzato nella petizione presentata dall’abate Gerolamo
Cusani al Consiglio di Provvisione nel 169466 – con l’acquisto
nel 1717 della casa di Francesco Antonio Decio, ubicata all’angolo con la stretta del Carmine. All’intenzione di estendere il
prospetto, priva di esito concreto, fanno indiretto riferimento le
sensibili divergenze dell’iconografia nella rappresentazione della
facciata scelta da Serviliano Latuada (1737-38) e da Marc’Antonio Dal Re (1743)67.
Vincolate dalla frammentazione dei diritti sulla proprietà tra
diversi componenti del nucleo familiare, queste operazioni sono
condotte dal cardinale con modalità non dissimili da quelle messe in atto dalle generazioni che lo avevano preceduto, come attesta l’accordo con il nipote, omonimo, per garantirsi la disponibilità della porzione di casa in cambio del pagamento di un canone annuo di locazione. Agostino, raggiunta la maggiore età
nel 1723 richiede allo zio il rilascio di tutti gli effetti che possedeva suo padre, compresi quelli ereditati da Gerolamo Cusani e
il rendiconto dell’operato in qualità di tutore a partire dal
171568. Esautorato il cardinale dalle prerogative di cui era stato
investito, i due figli di Giacomo gli contestano di fronte al Senato l’omissione dell’inventario dei beni e gli riconoscono infine
61
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14 luglio 1707, ASMi, Notarile, 39058, not. Giovanni Maria Quadrupani.
L’inventario descrive: «Una casa posta all’Olmetto che fa cantone [identificabile con il tratto dell’attuale via dell’Orso compreso tra via Ciovasso e via
Brera], nella di cui casa vi è un appartamentino che è delli eredi del fu Baldassarre Ponzone, che se ne cava di fitto annuo lire quattrocentoventidue» (14 luglio 1707, ASMi, Notarile, 39038, not. Giovanni Maria Quadrupani).
63 L’erede universale è gravato dell’onere delle spese per il matrimonio o la monacazione delle cugine: Anna residente a Lione, Giovannina educanda nel monastero della Maddalena – affidata alla madre Costanza D’Adda – e Beatrice
nel convento delle madri di San Giuseppe. Tutte le femmine riceveranno una
rendita vitalizia che in caso di morte di una di loro sarà devoluta a beneficio
delle superstiti. Per adempiere il legato l’erede avrà la facoltà di vendere i mobili,
le carrozze, i cavalli, gli argenti e il denaro impiegato, trattenendo, se a lui piacerà alcuni degli oggetti, senza venir meno all’impegno (ivi).
64 Al 27 gennaio 1707 risale l’apertura del testamento di Gerolamo Cusani consegnato al notaio Cosmo Buzio il 25 gennaio (ASMi, Notarile, 34880, copia in
ASCPv, Fondi vari da riordinare, Cusani, 91, ora Archivio Cusani Visconti, 33).
62
Riconoscendo di attenersi al vincolo agnatizio sulla primogenitura maschile
istituisce come primo successore nella medesima il fratello Agostino beneficiario
a titolo di legato di «duemila once d’argento lavorato, ed apparato intiero d’una
delle camere di questa mia abitazione di Milano a sua elezione, ove siano damaschi trinati d’oro, desiderando che questo legato ritorni poi nella primogenitura in mancanza d’esso Monsignore, se però così a lui parerà». Chiede la
sostituzione del fratello Luigi «per particolari motivi» con i suoi figli, estinta la
primogenitura accredita le figlie contessa Giovanna Bigli e contessa Eleonora
Dal Verme e i loro discendenti maschi (ASCPv, Fondi vari da riordinare, Cusani,
89, ora Archivio Cusani Visconti, 31).
66 STOLFI, 1999, pp. 29-30.
67 Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue, che si trovano in questa metropoli, raccolta ed ordinata da Serviliano Latuada sacerdote milanese, Milano 1737-1738, rist. anast. Milano 1972); Milano
nel Settecento e le vedute architettoniche disegnate e incise da Marc’Antonio Dal
Re, a cura di A. Mazzotta Buratti, Milano 1976.
68 19 agosto 1723 (ASMi, Notarile, 41391, not. G. P. Carrara).
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solo l’usufrutto di una parte dei palazzi di Milano e Chignolo
«per suo comodo e per la sua persona vita natural durante, riservando ai due nipoti comoda e decente abitazione nei medesimi palazzi»69.
La morte improvvisa nel 1730 ab intestato del cardinale Agostino rinnova la disputa dell’eredità tra i nipoti, mettendo ancora
una volta all’opera legali e tecnici per compiere le valutazioni estimative dei beni e fondare su queste basi nuovi accordi70. Gerolamo Cusani, primogenito di Luigi è promotore di un’azione di accentramento della proprietà intrapresa nel 1739 acquistando dal
cugino Agostino la casa all’angolo del vicolo del Carmine e la libreria del cardinale Agostino. Le sue aspirazioni saranno favorite
nel tempo dal progressivo indebitamento del fratello Carlo costretto a offrire a garanzia delle somme ricevute in prestito prima
le proprietà terriere71, poi le rendite e persino gli arredi quando,
con il pretesto delle nozze, si trasferisce dal palazzo avito in un’altra dimora fornendola di nuove suppellettili e mobili adeguati72.
Non sfuggono a questo destino anche le quote dei beni paterni
descritte nel 1747 nell’atto di divisione tra i due fratelli che saranno gradualmente erose. In particolare il 26 settembre 1753
Carlo Cusani con i figli Luigi quattordicenne e Cesare dodicenne
accende un’ipoteca a favore di Gerolamo sulla porzione del palazzo prossima alla chiesa di Sant’Eusebio, proveniente dall’eredità dello zio Agostino, valutata dall’ingegnere Prada 27500 lire milanesi73. L’anno successivo Carlo cede al fratello le proprietà in
Borghetto Lodigiano74 a cui seguiranno nel 1758 quelle di Motta
Visconti75. Dal Senato ottiene la piena disponibilità di questi beni soggetti a fedecommesso, surrogando per un valore equivalente
due case in San Carpoforo pervenute in eredità dall’avo Ottavio
con la porzione del palazzo vicina alla chiesa di Sant’Eusebio –
soggetta, come si è visto, a vincoli istituiti dagli ascendenti Ippolita, Giustina, Agostino – e quella riedificata dal cardinale zio.
Nel 1777 Ferdinando Cusani, subentrato al padre Gerolamo, facendo leva sul fatto che le divisioni temporanee del pa-
69
28
19 agosto 1723, «Rilascio fatto dal cardinale Agostino Cusani al marchese
Agostino Cusani suo nipote di tutti gli effetti che possedeva il marchese Generale
Giacomo Cusani anche in qualità di erede del defunto Gerolamo Cusani. Nelle
clausole i nipoti concedono al cardinale zio di utilizzare per proprio comodo vita
natural durante un’abitazione nel palazzo di Milano e nel castello di Chignolo»
(ASCPv, Fondi vari da riordinare, Cusani, 89, ora Archivio Cusani Visconti, 31).
70 È datata 1 aprile 1731 a firma dell’ingegnere Malatesta la valutazione estimativa
del castello di Chignolo e del palazzo di Milano per procedere alla loro divisione.
71 Il 17 novembre 1753 Gerolamo sovvenziona suo fratello Carlo (ASMi, Notarile, 44024, not. Andrea Sormani).
72 Don Michelangelo Crasso gli aveva concesso un prestito con l’impegno di
restituirlo entro tre anni. Per la soluzione del debito il creditore nel 1746 chiede
la confisca e l’asta dei mobili (4 ottobre 1746, ASMi, Notarile, 44024, not. Andrea Sormani).
73 16 settembre 1753 (ASMi, Notarile, 42860, not. Camillo Del Frate). La relazione di stima dell’ingegnere Prada è datata 30 aprile 1753, ma non risulta
allegata all’atto. Entro un anno le parti devono produrre una descrizione dei
beni immobili, ma nella cartella successiva dello stesso notaio non si è ritrovata
alcuna traccia del documento.
74 Tutte le cessioni sono ratificate nella divisione tra i fratelli del 13 luglio
1761 (notaio Camillo Del Frate; Archivio Storico Civico di Milano, Cusani
lazzo di Milano e delle sue adiacenze seguite tra suo padre e i
cugini marchese Agostino e Filippo risultassero d’impedimento
nell’esecuzione di quegli «adattamenti che riconosceva necessari
al comodo della propria abitazione e che inoltre rendevasi necessari durante il condominio d’esso palazzo e sue adiacenze in
più persone, [essendo] moralmente impossibile il progredirsi a
terminarlo», si rivolge a Francesco Cusani per riscattarne la
quota di proprietà76. L’architetto camerale Giuseppe Piermarini,
già consultato per la ricostruzione della villa di Desio, sovrintende anche alla trasformazione della residenza di Milano, progettando opere edilizie di rilevante entità nel corpo di fabbrica
sul giardino e alcuni sapienti rimaneggiamenti del cortile più
antico. A questa committenza vanno ricondotti, tra i materiali
grafici conservati nella Biblioteca di Foligno, il disegno del prospetto sul giardino e quello della serliana inserita nei due portici
del cortile d’onore77.
Nel 1805 Ferdinando Cusani dona al figlio Luigi il palazzo
in contrada di Brera con le case annesse, tre anni dopo questi
cede al Demanio78 l’intera proprietà che i due periti nominati,
gli ingegneri Gaetano Bellotti e Giuseppe Manzoli, stimano
7682.2.6 scudi, equivalenti a 710000 lire; tale somma sarebbe
stata incrementata del corrispettivo dei mobili e degli arredi
fissi valutati 23866 lire79. Viene temporaneamente omesso dalla stima il casino che aveva ingresso dalla contrada del Carmine
al n. 1642 ed era stato concesso nel 1804 in uso vitalizio al
dottor Bossi.
L’inventario post mortem dell’abate Gerolamo Cusani
L’inventario dei beni mobili dell’eredità dell’abate Gerolamo
Cusani conservati nel palazzo di Milano è compilato a partire
dal 29 gennaio fino al 15 febbraio 170780 sotto vigilanza di
Ambrogio Raimondi, incaricato dall’esecutore testamentario
Confalonieri, 13).
5 ottobre 1758 (ASMi, Notarile, 42864, not. Camillo Del Frate).
76 7 ottobre 1772 (ASMi, Notarile, 47205, not. Antonio Mantica) atto privo
degli allegati. La proprietà ceduta è descritta con il n. 1473 e n. 170; entrambi
i civici non compaiono nella planimetria che correda l’atto di vendita concluso
dal figlio di Ferdinando, Luigi, nel 1808, e si riferiscono probabilmente a porzioni più interne o affacciate su contrada del Carmine inglobate nella fase edilizia avviata su progetto di Piermarini.
77 Cfr. M. TABARRINI, Giuseppe Piermarini. I disegni di Foligno. Il volto piermariniano della Scala, Milano 1998, pp. 206-207, a cui si rimanda per la bibliografia.
78 23 dicembre 1805 (ASMi, Notarile, not. Antonio Mantica). L’edificio diventerà sede prima del Ministero della Guerra, quindi, dal 1814 al 1859, del
Regio Comando Militare della Lombardia, infine dal 1884 del Comando del
III Corpo d’Armata; oggi ospita il Nato Rapid Deployable Corps-It e il Circolo
di presidio dell’Esercito italiano (A. CALVINI, I palazzi dell’esercito a Milano,
Milano 2008, pp. 16-31).
79 15 dicembre 1808 (ASMi, Notarile, 46429, not. Giovanni Battista Riva). Il
documento è stato segnalato da BOLOGNA, 1982, p. 55 nota 12, p. 64 e analizzato con specifica attenzione alla stima degli arredi da C. MAURI in PEROGALLI,
1986 che pubblica il rilievo dei tre piani dell’edificio.
80 14 aprile 1707, ASMi, Notarile, 39038, not. Giovanni Maria Quadrupani.
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Committenza e cantiere. Note d’archivio per palazzo Cusani a Milano
marchese Cesare Pagani, di don Ottavio Cusani abate di San
Simpliciano presente in qualità di delegato del marchese Ferdinando suo fratello e di Pietro Ghislanzone, persona di fiducia
del marchese Luigi Cusani.
Personaggio di primo piano negli ultimi anni della dominazione spagnola, Pagani aveva saputo costruire una rapida fortuna, coronata dall’ascesa ai vertici del potere politico – dal 1692
residente dell’elettore palatino di Neuburg nel ducato di Milano,
nel 1695 è candidato a reggente del Consiglio d’Italia – che si
era tramutata in disgrazia durante il breve regno ispano-borbonico, riducendolo per alcuni anni in cattività nelle fortezze di
Pizzighettone e di Trezzo81. Reintegrato nel suo status, era stato
prescelto quale garante della volontà del testatore che, paventando un epilogo legale alla sua successione, contava sull’autorevolezza e l’influenza di Pagani nel ruolo di mediatore82. Le circostanze giustificavano d’altra parte la circospezione dell’abate determinata dall’assenza da Milano dei nipoti prediletti Giacomo
e Agostino e dal timore che l’esclusione dai principali cespiti ereditari del nipote primogenito Ferdinando, comproprietario del
palazzo di Milano, avrebbe innescato una nuova, inevitabile,
contesa. Non a caso il notaio provvede tempestivamente a far apporre i sigilli ai due ambienti più intimi dell’appartamento privato dell’abate83 per evitare effrazioni allo scopo di sottrarre documenti o preziosi, misure cautelative che non mitigano il clima
teso con cui si svolge la ricognizione degli oggetti mobili nella
dimora, accompagnata dall’immediata, ricorrente, rivendicazione da parte del delegato del marchese Ferdinando della proprietà
di numerosi arredi84.
L’inventario post mortem offre una ‘fotografia’ datata 1707 a
cantiere aperto del palazzo concordemente considerato, come si
è già sottolineato, un manifesto della ‘nuova architettura’. Le sue
potenzialità informative sono tuttavia condizionate dalla peculiarità di questo genere di fonte, finalizzata alla descrizione dei
soli beni mobili caduti in successione e dal contesto specifico di
una proprietà immobiliare frammentata.
Il percorso si dispiega attraverso gli ambienti che contengono i beni del defunto estendendosi dalla sua dimora esclusiva
ad alcuni degli ambienti d’uso comune, con il risultato di una
sequenza sincopata. La topografia degli spazi deducibile da questa fonte è incerta: raramente si possono ipotizzare relazioni di
contiguità fisica, aleatorie appaiono, senza l’ausilio di altri do-
cumenti, le restituzioni dell’assetto planimetrico. Innumerevoli
limiti e variabili correlate ai modi di abitare opacizzano le informazioni: i modi d’uso sono cadenzati, come è noto, dalle stagioni che dettano l’utilizzo degli ambienti privati più adatti alle
differenti condizioni climatiche e, in questo caso specifico, sono
condizionati anche dalle mutevoli contingenze indotte dal procedere del cantiere.
Gli ambienti a piano terreno abitati da Gerolamo Cusani
sembrano ubicati nel nucleo più antico, gravato dai già menzionati fedecommessi che documentano indirettamente successivi
rimaneggiamenti della domus ancora oggetto, tra 1732 e 1733,
delle transazioni tra i figli di Luigi Cusani di cui si è accennato,
volte a favorire l’accentramento della proprietà nelle mani del
primogenito Gerolamo e la surrogazione della porzione riedificata dal cardinale zio85.
L’inventario del 1707 elenca prima il contenuto di «cose mobili» e solo successivamente definisce sommariamente l’estensione dell’abitazione che le contiene in relazione all’intero complesso edilizio: «Nel palazzo della casa Cusana posedeva il fu monsignor Gerolamo Cusani tutto l’appartamento d’abbasso consistente in sei camere et salla con camerino in fondo di detto appartamento, il cortino, portichetto, lavandino con pozzo a canto
e cucina. Tutte le cantine sotto detto appartamento compreso la
cantina sotto la sala terranea e camerino a piede della scaletta».
La descrizione inizia dalla «prima sala»86 a cui si accede dal
portico: tra gli arredi, in numero ridotto, le cassapanche con l’effige dell’arma Cusani, replicata anche sulla portiera in panno che
con quella in cuoio cela gli ingressi alle due camere adiacenti. Alle pareti dipinti di dimensione notevole riproducono soggetti
convenzionali: prospettive, paesaggi, marine, temi mitologici.
Questi dettagli sembrano confermarne la vocazione primaria di
accogliere gli ospiti in attesa di introdurli nell’appartamento e di
predisporre un luogo di sosta per la servitù al loro seguito e, naturalmente, per quella della casa. Tuttavia non è da escludere che
sia saltuariamente adibita a sala da pranzo come suggerisce l’accesso diretto alla «stanza dove si faceva la credenza» – ripostiglio
delle suppellettili, del vasellame e degli argenti per la tavola – e
la vicinanza della complementare «stanza dove dormivano li camerieri». L’accoglienza riservata dall’abate agli ospiti non si discosta dalla consuetudine di dedicare alla convivialità uno spazio
non ancora specializzato; solo nei decenni successivi la salle à
81 AVERSA, 1992, pp. 135-159.
82 Come riconoscimento personale gli dona un argento del valore di cento dop-
signor marchese abate Cusani…» (14 luglio 1707, ASMi, Notarile, 39038, not.
Giovanni Maria Quadrupani).
84 Già a partire dalla prima sala descritta ricorre la formula cautelativa: «Quali
mobili sopra descritti il reverendo padre abate don Ottavio Cusani – rappresentante del marchese Ferdinando – à detto essere propri delli signori marchesi
don Ferdinando et altri fratelli al che non ha acconsentito il signor Raimondo
– rappresenta l’esecutore testamentario» (ivi).
85 La donazione risale al 24 luglio 1732 e la vendita è firmata da Carlo il 26
settembre 1733; parte della somma percepita, pari a 27500 lire stimate dall’ingegnere Prada, è utilizzata per estinguere i suoi debiti.
86 «Un quadro subito dentro alla portina in faccia al portico sopra l’uscio della
credenza sopra del quale vi è dipinto una prospettiva con cornice di color verde
e friseto d’oro…» (ASMi, Notarile, 39038, not. Giovanni Maria Quadrupani).
pie a cui dovrà provvedere l’erede qualora non risultasse tra i suoi beni un oggetto di tale valore.
83 La solennità dell’atto viene rievocata dalla scrittura notarile al momento dell’apertura dei medesimi per consentire la prosecuzione della ricognizione: «…
per ordine di sua altezza Serenissima era stato dopo la morte del suddetto fu illustrissimo reverendissimo monsignore abate Cusani alla presenza dell’egregio
signor podestà di Milano sono state sigillate le portine della stanza dove dormiva
il detto fu signor abate Cusani, come anche altra portina per la quale si andava
in altro camerino e perciò si sono riconosciuti detti sigilli alla presenza dell’illustrissimo signor marchese Olgiati [...] quali sigilli levati e aperta la prima portina si è entrato nel camerino contiguo alla stanza dove dormiva il suddetto fu
29
Arte Lombarda | MARICA FORNI
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manger farà la sua comparsa, ma in un limitato numero di residenze milanesi.
La seconda «sala a mano dritta» affacciata sul giardino è tappezzata di damasco cremisi, senza interruzione di continuità poiché anche le portiere adottano il medesimo paramento tessile, e
arredata con diversi tipi di sedute, tavolini e un tavolo con il piano in pietra. I soggetti dei dipinti alle pareti o disposti sui tavolini sono tra i più svariati, oscillando dal genere devozionale a
quello profano più convenzionale.
L’appartamento di Gerolamo Cusani prosegue con la terza
stanza dal tono meno formale, la ricchezza degli arredi non viene
meno, tuttavia la presenza di un cembalo anticipa un aspetto
della vita privata del committente come il piacere di condividere
gli intrattenimenti musicali con una più ristretta accolita. L’involucro tessile è caratterizzato anche qui dal damasco cremisi,
fondale monocromo sontuoso per la consueta frammistione di
soggetti dei dipinti; compaiono diverse sedute e un tavolino con
piede dorato e piano in pietra nera su cui spicca, sostenuto da
due puttini dorati, «un catino in triangolo di maiolica dipinto
che si dice di Raphaele d’Urbino con suo boccale simile rotto».
Agli angoli risaltano le sagome monumentali di quattro cantonali a piramide di legno intagliato e dorato con sopra vasi di
marmo nero di Varenna.
Di seguito viene descritta la «stanza che fa cantone, detta la
camera della guardia» in cui si contano pochi dipinti, una tappezzeria in broccatello celeste alle pareti e un assemblaggio di arredi e oggetti d’uso destinati al servizio della persona dell’abate.
Senza accennare ad alcuna discontinuità nella sequenza degli
ambienti la ricognizione prosegue al piano terreno, nell’abitazione del segretario Antonio Bofflerio e nei locali destinati a servizi
in stretta relazione funzionale tra loro: le stanze per le donne, dotate di una cucina indipendente e un’altra stanza, attestata su
strada, adibita alla custodia della biancheria per la casa, infine, a
presidio di tutto il nucleo, la camera della governante. Con un
ulteriore scarto spaziale che conduce, verosimilmente, in una
delle due case adiacenti il palazzo da poco acquistate e captate
nella riconfigurazione della dimora, sono descritte di seguito le
funzioni agglomerate intorno alla basse-cour: la camera dei carrozzieri e, non lontane, le rimesse delle carrozze, la stalla con il
fienile soprastante.
Il riferimento al «portico della porta falsa», che la precisione
del lemma consente di identificare con le campate in corrispondenza del portale cieco, conferma l’ubicazione nell’ala prospiciente la contrada di Brera, riedificata su progetto di Ruggeri, di
un camerino utilizzato come deposito per legname d’opera, accatastato anche all’esterno sotto il medesimo portico, mentre un
altro vicino è usato come magazzino per conservare l’avena dei
cavalli. Seguono la stanza del cuoco, la cucina e le scale per accedere ai sotterranei87. Questo assetto funzionale desueto88, affatto
condizionato dal sovvertimento della distribuzione prevista dal
progetto in corso d’attuazione, oltre che da esigenze pratiche,
trova ancora riscontro nelle destinazioni d’uso descritte nel 1808
(fig. 3) in occasione della vendita del palazzo al demanio89. Tale
continuità consente di avvalorare le considerazioni già espresse
sul modello compositivo della facciata a doppio ingresso: la ‘porta falsa’ in quanto tale dissimula la difficoltà di conciliare nel
progetto l’organizzazione degli spazi interni con la simmetria
d’obbligo per la facciata. L’auspicata soluzione monumentale
avrebbe trovato le condizioni oggettive per l’ampliamento solo
dopo l’acquisto, concluso nel 1715, della casa vicina all’angolo
di contrada del Carmine, semplicemente accorpata senza alcun
coordinamento sintattico dei prospetti.
Al sancta sanctorum dell’abate si accede, dopo avere rimosso i
sigilli apposti all’ingresso, alla presenza del marchese Ignazio Olgiati – già segretario regio durante il governatorato di Carlo Enrico di Lorena principe di Vaudemont – e del notaio Pescarenico, per procedere all’inventario del denaro, degli argenti da tavola, delle suppellettili in metalli preziosi custoditi nel camerino
e nella vicina camera da letto affacciata sul giardino.
L’iconografia induce qui alla devozione privata e alla meditazione, tuttavia non mancano allusioni autobiografiche e consolazioni terrene. Tra i dipinti collocati sul fondo cremisi dei rivestimenti tessili domina, dalla posizione preminente sopra il camino, un dipinto con l’effige del cugino papa Innocenzo XI
Odescalchi a cui fanno da contrappunto come sopraporta una
Strage degli Innocenti, due San Gerolamo, una battaglia «che si dice esser di mano del Tempesta», «una vecchia che ride». Più indulgenti concessioni al profano sono riservate al camerino dove
si incontrano una Venere e Adone, ritratti, «figure» e «una istorietta di marmo con diverse figurine rinchiusa in una cassa di legno che dice il dottor Sebastiano Gallo essere data in pegno dal
signor Melchiorre Morlacchi per quattro filippi». Nella camera
da letto quattro specchiere ovali munite di «luci di cristallo», sedie coperte di broccatello o di bazzana, sui due tavoli disposti
uno a destra della porta e l’altro tra le due finestre sono collocati
due scrittoi con lastronatura in ebano e guarnizioni di bronzo
dorato che custodiscono i documenti.
I disagi connessi al procedere dei lavori edilizi hanno determinato un generale sovvertimento delle consuetudini d’uso che
non ha risparmiato gli ambienti privati come il camerino contiguo a quello descritto, convertito in temporaneo deposito di alcuni componenti del sistema di impermeabilizzazione e deflusso
delle acque meteoriche pronti per essere messi in opera90, accanto a un armadio, alcune sedute e arredi di qualità modesta.
87 Descritte tre cantine e una dispensa l’inventario riprende dalle «rimesse delle
terra e sotterranei specializzati nelle finzioni di conservazione delle derrate dei
vini e di preparazione dei pasti.
90 «… una lastra di piombo di peso di circa lirette quaranta, diversi pezzi di
canale di rame di circa lirette venti di peso, tre mascharonzetti di gitto [...]
et altro di poco valore» (ASMi, Notarile, 39038, not. Giovanni Maria Quadrupani).
carrozze», seguite dalla cascina e di nuovo nella «cantina sotto il portico della
porta grande» (ivi).
88 Un esempio nella distribuzione di palazzo Clerici è documentato nella monografia Palazzo Clerici: la proiezione internazionale di Milano, Milano 2004.
89 La cucina è collegata ad altri ambienti complementari distribuiti tra piano
Committenza e cantiere. Note d’archivio per palazzo Cusani a Milano
All’intrico di diritti d’uso sedimentatisi nella costituzione
del «nobile condominio» si aggiungono altri vincoli e le inerzie
nell’acquisizione delle proprietà finitime condizionando il progetto dell’architetto romano che sembra lavorare alle esclusive
dipendenze di Gerolamo Cusani. Risultano infatti di pertinenza dell’Abate: «Li portici, scalone, corte per metà, la stalla per
metà con sua cassina, il giardino pure per metà, trombe di acqua per metà et altri luoghi comuni come della porta verso San
Carpoforo et li due portoni verso Brera». Confini immateriali,
ma non meno cogenti, avevano preso forma rigorosa negli accordi sottoscritti dai Cusani, esattamente come era accaduto
per il castello di Chignolo, dividendo – con l’esclusione dei
portici e dello scalone – la corte d’onore come la basse-cour e
parcellizzando i servizi che avevano consentito fino a quel momento il funzionamento di un congegno abitativo in grado di
conciliare – in una circostanza di per sé di forte disagio, determinata dal procedere del cantiere – le diverse esigenze dei
membri della famiglia91.
Dall’inventario del 1707 si apprende che i lavori della «fabbrica nuova», non ancora ultimati, sono giunti a uno stadio tale
da consentire di riconoscere l’estensione dei volumi delle pertinenze assegnate: «Quattro mezzani al piano di terra con quattro
superiori con due anditi, la galleria sopra, il camerone sopra il
portico verso la chiesa di S. Eusebio, altro camerone sopra il portico verso Santa Caterina e li mezzani sotto la galleria». A questi
ambienti già completati nelle parti strutturali si annettono «due
luoghi senza tetto di qua e di là delli due portici grandi» ancora
privi di copertura che sembrano svolgere la funzione di cerniere
con le preesistenze secentesche. I legnami d’opera destinati all’orditura del tetto e dei solai92 di questi spazi sono accatastati
poco distante nella vicina e già ultimata «camera sopra la porta
verso Santa Catterina in Brera» in attesa di essere messi in opera.
La disposizione dei volumi edilizi che identificano gli spazi
di rappresentanza del palazzo nuovo sembra delineare una morfologia a U che si innesta sulle preesistenze secentesche.
Il destino che escludeva dalla scena il committente prima del
compimento del progetto non solo avrebbe gettato lo scompiglio tra i consanguinei ponendo le premesse per nuove rivendicazioni ereditarie, ma avrebbe avuto anche conseguenze imme-
diate sul cantiere dove a seguito dell’incertezza dei finanziamenti
i lavori avrebbero subito una battuta d’arresto.
Anche i materiali a piè d’opera rientrano tra i beni caduti in
successione al pari degli arredi o delle più pregiate suppellettili
e, come queste, sono puntigliosamente inventariati e stimati per
evitarne la sottrazione, distinguendo tra i manufatti condotti a
differenti stadi di lavorazione e quelli ancora grezzi. Così «sotto
il portico della porta falsa» si è accennato sono accatastati i «centini di pobia per fabricare» pronti per apparecchiare le volte in
muratura. Altri spazi coperti esterni, facilmente accessibili alle
maestranze senza interferire con la vita dei proprietari, sono adibiti a deposito temporaneo per comodità del cantiere, un passaggio di comunicazione tra giardino e le scuderie93 dove sono
inventariati molti elementi lapidei che compongono l’ordine, alcune mostre di finestre, i portali in attesa in alcuni casi di un
completamento della lavorazione in altri già pronti per essere
messi sulla facciata prospiciente la contrada di Brera94. Sotto il
portico della porta grande sono riconoscibili altri elementi dell’ornamentazione scultorea di portali e finestre quali «un arcellone lavorato di ceppo [che] va sopra la porta; una cimasa per
fenestra; altri due pezzi per fenestra; tre tocchi di spalle per fenestra circa due brazza; un architrave di fenestra superiore lavorato; un capitello della facciata intiero»95. Dai passaggi coperti
nel corpo di fabbrica interessato dal cantiere, dove altri materiali
da costruzione sono descritti al riparo nell’andito della porta96 e
sotto l’altra porta97, i depositi di materiali si estendono ad occupare il cortile e alcuni interni98. Nella prima sala: «due rosoni
che vanno nella porta intagliati; quattro pezzi di meiol [miarolo-granito] per la terrazza, un pezzo di cornice che serve per la
terrazza», nella stanza: «una spalla di finestra di cantina; un tocco di pilastro lavorato; un pezzo di cuscia [guscia] per il cornisone; due spalle di sarizo di tre braccia e mezzo per una di larghezza; un pezzo di colarino di pilastro; due pezzi rustici circa
quattro quadretti; un pezzo di spalla di cantina; il lastrone grande di milliarolo lavorato che va sopra la porta; altre due lastre
lavorate di miliarolo vanno a canto a detto; tre pezzotti rustici».
Oltre a numerosi e riconoscibili dettagli scultorei sono descritte
anche le tre grandi lastre di granito sagomate che formano il ripiano dei balconi in corrispondenza dei portali.
91 In prossimità della corte di servizio sono descritte «le rimesse di asse una in corte
scossa di ceppo di due braccia et un braccio; un architrave di finestra di caneva;
un pezzo di capitello della facciata; altro pezzo per fenestra di caneva; altro pezzo
per corniggione lavorato circa quattro quadretti; un architrave lavorato di una
portina; tre altri pezzi di rustico circa tre quadretti» (ivi).
95 Nel medesimo sito sono elencati inoltre «un pezzo di foglia di capitello; un
pezzo di sarizzo; una base di marmo bastardo; un pezzo di cornice di camera;
Un architrave di miarollo per pilastro del portico» (ivi).
96 «Tre sommé [someri] con alcuni canchani di ferro; tre gradini di miarolo;
un pezzo di ceppo circa mezzo quadretto» (ivi).
97 «Tre pilastrate per la fabbrica alle finestre lavorate; un architrave d’una fenestra lavorato; duoi pezzi di ceppo circa un quadretto e mezzo» (ivi).
98 Qui sono accatastati «un pezzo di spalla per finestra di cantina; un pezzo rustico circa mezzo quadretto; tre pilastrate di finestra; nove pezzi di ceppo rustico;
altra pilastrata lavorata per finestra; Otto lastre di miarollo lavorate per la terrazza; un pezzo di guscia di cornicione; quattro pezzi rustici...» (ivi).
con tetto di due carrozze et altra sotto il portico a canto alla camera dove abita il cappellano dell’illustrissimo signor marchese questore don Ferdinando Cusani» (ivi).
92 Nel corso della ricognizione dei materiali da costruzione, sono descritti inoltre «due somme di lares di circa brazza dieci per uno; quattro cantini che posano
sopra uno de detti someri; altro somme di lares che fa fondo alla pontellatura
del tetto posticcio nel sito senza tetto vi sono tre cantini; duoi travetti in opera
che fanno ponte; due ante di pobia sopra la porta; un pezzo di cimasa di marmo
bastardo; un pezzo di gradino di miarolo» (ivi).
93 «l’andito del giardino della casa del fu monsignor Cusani che va verso la
stalla» (ivi).
94 «Due mole da mulino nuove; un pezzo di ceppo per il cornicione della fabbrica di Milano lavorato circa due quadretti; un architravo di ceppo lavorato
per una finestra superiore; un pezzo di pilastro lavorato circa un quadretto; un
pezzo di pilastro circa oncie sei; una spalla di finestra di caneva lavorata; una
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Arte Lombarda | MARICA FORNI
3. Giuseppe Marzoli, planimetria del piano terreno di palazzo Cusani (1808), ASMi, Notarile, 46429, notaio Giovanni Battista Riva.
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Non è dato di sapere quando gli elementi strutturali e i componenti dell’apparato decorativo sarebbero stati messi in opera per
completare il monumentale telaio lapideo della facciata che un secolo più tardi sarà descritta, con qualche imbarazzo, come «vecchia con cornici, lesene, basi capitelli, zocolo ed ornati di porte e
poggioli, finestre di disegno così detto barocco». Già distinta allora
nei caratteri architettonici dai prospetti «del cortile civile [che ] ha
le cornici in vivo alla Romana alquanto ornate ed egualmente di
vivo sono gli ornamenti delle porte e delle finestre sotto i portici».
In questo impacciato esercizio di storicizzazione delle fasi costruttive, in stridente contrasto tra loro, un’autografia viene riconosciuta solo a «quella verso il giardino [che] è d’ordine ionico, con ornati di stucco, essendo però le cornici ricoperte di lastre di vivo
opera del signor architetto Piermarini». Al folignate del resto era
da tempo riconosciuto il merito «d’aver sostituito al barocchismo
degli ornati un altro genere, se non del tutto ragionevole, più gentile e conforme a quello della classica antichità»99.
A queste tre soglie stratigrafiche giustapposte nel linguaggio
dei prospetti si riconnettono almeno altrettante fasi edilizie con-
dotte a diversi gradi di compimento, attestate da tracce diffuse
di discontinuità in parte ancora leggibili nel rilievo del 1808
(figg. 3-4) con l’ausilio della descrizione allegata. Questo stato
di fatto rappresentato con rigore analitico trova ulteriore spessore dal confronto con l’inventario del 1707 che descrive un palinsesto arretrato e ancora in fieri nei suoi esiti materiali.
La nuova costruzione affidata a Ruggeri erode progressivamente l’edificio plurisecolare procedendo dal corpo semplice su
strada ai lati del primo cortile in corrispondenza dei due portici,
dove va ad immorsarsi sul nucleo definito nelle due fasi edilizie
secentesche. L’orientamento, la giacitura e le sezioni dei tracciati
murari, le proporzioni degli ambienti ne circoscrivono l’estensione e la differenziano da queste e dall’ampliamento seguito
dall’annessione, successiva al 1789, della casa parrocchiale e di
parte della chiesa di Sant’Eusebio100.
Restano ancora separati in una sequenza paratattica, funzionale alle esigenze d’uso della dimora e ai grandiosi progetti
concepiti nel tempo anche dai successori dell’abate Cusani, gli
immobili che compongono l’ala dei servizi, non a caso ancora
99 Storia di Milano di Pietro Verri, colla continuazione di Pietro Custodi, Milano
1837, IV, p. 165.
100 Le famiglie Castelbarco e Cusani cercano di acquistare la chiesa soppressa
e la casa del parroco nel 1789, ma la prima – di cui detenevano il livello per-
petuo dal 1788 al 1793 con l’obbligo delle riparazioni – viene dichiarata sussidiaria alla parrocchia di San Marco, quindi solo la casa risulta disponibile,
dopo la morte del parroco avvenuta nel 1803 (ASMi, Amministrazione Fondo
di religione, 837).
Committenza e cantiere. Note d’archivio per palazzo Cusani a Milano
4. Giuseppe Marzoli, planimetria del primo piano di palazzo Cusani (1808), ASMi, Notarile, 46429, notaio Giovanni Battista Riva.
contrassegnati nel 1808 con riferimento al particellato catastale
originario101. Altre più minute dissonanze si rilevano nel ritmo
sincopato dei brevi tratti di enfilade che, con l’eccezione del raddoppio del corpo di fabbrica sul giardino progettato da Piermarini, tradiscono l’assenza di un disegno unitario a cui tenta di ovviare la ricerca di successive correzioni geometriche.
Risulta ancora riconoscibile con le sue proporzioni monumentali il salone all’italiana «dipinto all’antica tanto nella volta
quanto nei muri architettonicamente con medaglie figurate ed
ornati»102, spazio a doppia altezza coperto da una volta a lunette
e illuminato da sei finestre aperte sui due lati, la cui edificazione
è verosimilmente riconducibile alla fase costruttiva avviata da
Ottavio Cusani a metà Seicento.
Le relazioni di questo sontuoso ambiente di rappresentanza,
con il corpo di fabbrica attestato tra corte e giardino, appaiono
all’inizio dell’Ottocento parzialmente obliterate dalla trasformazione attuata nel terz’ultimo decennio del secolo precedente, in
occasione della costruzione della nuova facciata sul giardino –
ancora da indagare – a cui fa riferimento il noto disegno di Giuseppe Piermarini nella raccolta folignate. Questa riforma edilizia
comporta il rinnovo della distribuzione e della decorazione sia
nell’ala rivolta al giardino, sia in quella su contrada di Brera ampliata dopo la parziale annessione della chiesa di Sant’Eusebio,
dove tuttavia molte finiture e componenti di arredo fisso non sono portate a compimento103.
La concezione unitaria del disegno degli interni – esaltata
dalle rispondenze speculari nel disegno del soffitto e delle decorazioni parietali a lesene ioniche, come nel vestibolo prossimo
alla scala – e la sintassi equilibrata delle destinazioni d’uso denotano una moderna idea dell’abitare, debitrice ai modelli diffusi dalla trattatistica francese non solo nella calibrata bienseance, ma anche nell’attenzione raffinata ai dispositivi riservati al
comfort come l’appartement des bains, i sistemi di riscaldamento
sapientemente adattati nelle componenti impiantistiche alle
101 Dall’angolo con la contrada del Carmine dove è ubicata la casa acquistata
nel 1717 corrispondente al n. civico 1561, si prosegue lungo la via con il casino
al n. 1643 e con la casa al n. 1642 (si rinvia all’atto di vendita del 15 dicembre
1808, ASMi, Notarile, 46429, Giovanni Battista Riva).
102 14 luglio 1707, ASMi, Notarile, not. Giovanni Maria Quadrupani, 39038.
103
Del camino è stata realizzata la canna fumaria, ma non ancora messa in
opera la mostra. Tracce di un recente ammodernamento hanno cancellato le
decorazioni delle volte negli ambienti di rappresentanza verso contrada di Brera
a cui sono state sovrapposte poco prima del 1806 «una medaglia nel mezzo bassorilievi di stucco e cornice anch’essa di stucco».
33
Arte Lombarda | MARICA FORNI
preesistenze104. In questa misurata concertazione appare ancora
più marcata la presenza di disomogeneità nel compimento delle
finiture superficiali e delle decorazioni che lascia supporre l’interruzione dei lavori: alcuni ambienti sono infatti pavimentati
con «suolo civile», forse in previsione della realizzazione di un
pavimento a «mosaico lustro» – seminato alla veneziana – in
continuità con gli spazi limitrofi.
Se la vicenda costruttiva di palazzo Cusani è ancora complessa
da dipanare, per contro emergono con chiarezza alcuni elementi
utili alla discussione delle strategie d’ordine più generale che
orientano l’attività edilizia in relazione ai modi d’uso del palazzo
e a quelle travagliate vicende familiari a cui si è accennato.
Le oscillazioni dei rapporti tra i membri del casato sono intuibili dal ricorso ad atti estimativi elaborati in forma privata in
cui i periti iscritti al Collegio degli Ingegneri, Architetti e Agrimensori sono incaricati di accertare l’estensione e il valore delle
quote di proprietà del castello di Chignolo e del palazzo di Milano, discernendo gli incrementi conseguenti ai successivi investimenti con cui ciascun componente della famiglia aveva finanziato lavori edilizi. Queste fonti preziose al momento non sono
verificabili se non per sommarie citazioni indirette, non essendo
104
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Una prima sommaria rassegna degli elementi a partire dalla lettura della descrizione del 1806 in L. A. CASPANI, Impianti domestici tra XVIII e XIX secolo: palazzo Cusani a Milano, in Aspetti dell’abitare e del costruire a Roma e in Lombardia
tra XV e XIX secolo, a cura di A. Rossari e A. Scotti, Milano 2005, pp. 229-259.
105 Documenti relativi al castello di Chignolo erano stati pubblicati da Maurizio
Dragoni che aveva potuto consultarli nell’archivio conservato in situ, insieme
ai citati materiali separati da questo nucleo originario e pervenuti all’Archivio
Storico Civico di Pavia (DRAGONI, 1993, p. 158 nota 6). Solo queste ultime
fonti – integrate di recente da nuove acquisizioni – e sottoposte a un riordino
(ZAFFIGNANI, 2010) sono state oggetto di consultazione in tempi diversi da
parte di chi scrive, mentre la richiesta di accesso all’archivio privato, inoltrata
state acquisite agli atti dei notai, ma solo citate in quelli dei causidici per lo più conservati in originale nell’archivio gentilizio105.
La concretezza dei dati dedotti dai pochi fatti finora documentati di questo intricato contesto e in particolare dall’inventario post mortem dell’abate Gerolamo Cusani (1707) fornisce
un contributo inedito alla cronologia, consentendo di datare la
costruzione e il montaggio delle membrature decorative della
celeberrima facciata nella fase cruciale del rivolgimento politico che conduce lo Stato di Milano sotto la dominazione asburgica, circostanza impropriamente addotta a motivazione di ordine ideologico per giustificare scelte formali concepite tra
1694 e 1706106.
Resta ancora da precisare la trama concreta di una bipolarità
tra Roma e Vienna dove i modelli iconografici trascorrono, come sempre, molto più rapidamente dei singoli artefici. Percorrendo angusti sentieri prosopografici, vanno estesi i percorsi
d’indagine ai possibili contatti che i diversi membri del casato
intrattengono sia con quel laboratorio formale inesauribile che
è l’ambiente romano tardo-barocco, ancora capace di suggestionare il nord, sia, preso atto di una lieve, ma significativa, sfasatura cronologica, in modo diretto con la capitale dell’impero
asburgico.
nel 2008 tramite la Soprintendenza Archivistica della Lombardia, aveva avuto
esito di fatto negativo.
Quando questo contributo era in bozza ho avuto notizia del completamento
dell’inventario dell’archivio Cusani Visconti Botta Adorno di Chignolo.
106 SCOTTI, 1987, pp. 159-182.
Referenze fotografiche
1-2: foto dell’Autore; 3-4: Archivio di Stato di Milano, riproduzione autorizzata
n° 18/2011.