Fragola Nera - KULT Virtual Press

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Fragola Nera - KULT Virtual Press
Fragola Nera, di Christian Battiferro
Collana: Narrativa Contemporanea
Edizioni Kult Virtual Press - http://www.epaperback.org
Responsabile editoriale Marco Giorgini, Via Malagoli, 23 - Modena
Fragola Nera
Christian Battiferro
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Sommario
Fragola Nera
Eva
L'isola degli artisti dannati
Supermarket
Christian Battiferro
Narrativa Contemporanea
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Fragola Nera
Mentre dei ragazzini demotivati e blasfemi stavano bruciando le
erbacce davanti al complesso residenziale, Cosco si stava masturbando
con enorme ferocia dentro la vasca da bagno piena di latte che aveva
riempito in assenza d'acqua calda. ”La situazione è chiara…”,pensò,
quando stava per sopraggiungere l'orgasmo,”… e così paurosamente
concentrata in un cumulo di merda che si potrebbe riassumere
semplicemente dicendo: mi rendo conto che sto diventando
irrecuperabile… ma non m'importa neanche di essere salvato: le cose
vanno prese di petto e basta”.
Sprofondò lentamente, teneva il collo piegato all'indietro. Immerse la
testa fino alle orecchie quasi a formare un ovale, poi chiuse gli occhi.
Il rumore rauco e nevrotico del lettore cd rotto che da circa mezzora
era rimasto in stand by divenne un lamento cupo e sensuale, filtrato
dal latte stretto attorno ai timpani. Tutto sembrava scomparso e
semmai ci fosse stato, era così lontano che non valeva la pena di
raggiungerlo. In quel momento si trovava in una sorta di stato
comatoso: quel rumore così gracile e confuso era il suo cordone
ombelicale mentre il sangue anemico, che gli garantiva un delicato
pallore, scorreva, reale come la morte, filtrato e purificato tra le vene
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Fragola Nera
ancora dilatate dalla contrazione muscolare. Erano cinque i giorni
senza di lei, cinque giorni in cui tutto sembrava trasparente ed iniquo
per Cosco senza lei, senza Awa. Ancora pochi attimi di sublime vuoto
nero e poi riaffiorarono i pensieri come ombre dal nulla… inevitabili e
pesanti. Riflessioni superflue sgorgarono dal vuoto che lo circondava:
“Il fatto è che anche un sogno può diventare routine; tutto prima o poi
lo diventa, e ritorni solo, stanco e freddo! Con il tuo insensato sadismo
cinico e filosofeggiante. Questo è tutto. Nonostante poco, difficile da
reggere!”
Cosco provò a convincersi di essere in preda ad un'altra crisi
depressiva; temporeggiare, bere, rincoglionirsi pensando a trovare un
senso per tutto quello che gli era capitato in quei trent'anni d'attività
nel “pianeta terra”, era la cosa che gli riusciva meglio, per poter tirar
fuori la vigliaccheria che anche questa volta gli avrebbe impedito di
provare su se stesso la “buca ossa” nascosta sotto l'armadio. Poi queste
riflessioni così…
profonde sarebbero scomparse sgusciando
timidamente fuori dalla finestra della sua camera da letto il mattino
seguente, anche se forse qualche parola, rimasta intrappolata lì fuori
tra i rami dell'albero induriti dal tempo, sarebbe di nuovo penetrata,
filtrata dal sole, nella stanza e un terribile senso d'apatia lo avrebbe
ripercorso.
Non poteva crederci: l'unica ragazza che era riuscito ad amare era
scomparsa. Da ormai cinque giorni non aveva più tracce di lei.
Forse la questione era molto più complicata di quanto pensava.
L'unica certezza era il bisogno remoto e morboso di rivederla.
Aspettava qualche telefonata o una e-mail, perché uno
dell'associazione si doveva fare vivo, uno che la conosceva bene.
Per ben due giorni e tre notti Cosco aveva cercato di contattare i
membri dell'associazione ma nessuno rispose. Nessuno dice di sapere
dov'è finita Awa. Ma in quel covo ci sono diverse botole e scalette
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esterne dove ci si può nascondere: forse stava là… forse la stavano
nascondendo nella sala, sotto i computer.
Alcune settimane prima rincontrò Packij, un fornitore spagnolo
d'origine indiana, e non fu un incontro gradevole. Cosco aveva la
faccia scarna e sudata. Le mani impacciate penzolavano come due
sardine morte. In testa portava sempre un vecchio cappello da
pescatore che nascondeva i capelli così unti che sembravano imbevuti
in un mega flacone di lubrificante per camion. Lo sguardo era atono,
come quello di un clown che deve fare il suo lavoro in un circo senza
pubblico.
Packji era molto prudente: incontrò Cosco dietro il grande centro
commerciale, tra la folla, per evitare di farsi tagliare la gola da qualche
collega un po' invidioso e molto in credito.
- Cos'hai da dirmi- chiese Cosco. -Un cubo a quattrocento- rispose lui.
-Che cosa?!! Che cazzo di prezzi sono questi? Lo sai che non
possiamo concludere in compra-vendita perché ti vai ad abbronzare il
culo a Valentia! Quattrocento sono troppi non posso vendere a trenta
euro una merdosa gomma.
Cosco era convinto che Packji sarebbe sceso ad un compromesso,
ma non
andò così: i prezzi erano saliti, poteva e voleva esagerare,
e poi aveva
bisogno di soldi, così l'affare andò a puttane. Si fece vendere solo una
gomma, lo salutò e si lasciarono entrambi un po' delusi, anche se era
Cosco ad essere più incazzato per quel cubo.
Ogni cubo contiene cinquanta gomme di DITARN (soluzione chimica
composta d'anfetamine lisergiche, dimetilsolfossido legato ad un TCM
di fenone ed altri due o tre composti degni del più nobile
psicofarmaco). Il DITSO con il TCM influisce sull'ipotalamo, la zona
del cervello addetta alle emozioni, mentre la maggior parte degli altri
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composti si dedica all'influsso allucinatorio ed alla stimolazione
psicomotoria. L'effetto nel complesso è composto da più fasi in
relazione ai tempi di assimilazione delle varie sostanze “psicoattive”.
Inizialmente l'ilarità prende il sopravvento e l'effetto potrebbe
assomigliare a quello della marijuana messicana, poi comincia
l'anfetamina e così ti muovi senza saperne il perché, subito dopo è il
momento delle allucinazioni che persistono per circa tre, quattro ore al
massimo, lentamente i vari effetti si attenuano e così arrivi all'ultima
fase, di certo la peggiore, paragonabile alla paranoia da over di coca.
Awa aveva provato solo una volta la gomma, assieme a Cosco, ma
quella le era bastata per capire. Lei doveva mantenersi attiva, lucida e
in forma, altrimenti l'associazione non le avrebbe mai permesso di
continuare la ricerca. Eppure lo amava, naturalmente a suo modo
perché altrimenti non lo avrebbe mai accontentato. Cosco passava
giornate intere a supplicarla di provare l'effetto chimico della gomma,
quel filo conduttore che poteva mettere in contatto l'anima delle
persone, come il centro di una grossa città completamente sommerso e
venuto a galla all'improvviso. E così fece: le due anime si fusero in un
completo torpore. Vite sconnesse, crescono da radici diverse per poi
incontrarsi in un attimo di assoluta voluttà e raffinata empatia.
Awa, di origini africane, proviene da Nda a nord del Senegal e lavora
nell'associazione con lo scopo di integrare gli immigrati africani e
analizzare i cardini del sistema capitalistico occidentale attraverso la
ricerca di nuovi canali informativi multimediali. Lo spionaggio in rete
non esiste solo tra capi espiatori di nazioni rivali, la guerra è attorno a
noi, tra gruppi organizzati, all'interno dei gruppi tra circoscrizioni
diverse, tra esponenti della stessa circoscrizione, tra la coscienza e
l'istinto di un capo e anche tra queste righe! Si stavano avviando ad
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una rivolta senza precedenti che nessun scrittore di fantascienza,
neanche russo, avrebbe potuto immaginare. Stavano raccogliendo tutto
il materiale necessario, facendo leva su quella gran famiglia
internazionale di letterati che negli anni novanta crearono i
presupposti per introdurre una nuova astrazione culturale ovvero le
basi della celebre controcultura post rivoluzionaria. La loro rivolta
doveva essere tanto fine quanto tagliente, non si trattava solo di
boicottaggio o micro-politica pragmatista: era l'informazione che
volevano! Avere l'informazione è avere il controllo.
Cosco vive in città e non è né migliore né peggiore di qualunque altro
spacciatore di piccola taglia che sogna da una vita il colpaccio per
sistemarsi e poter usufruire abbondantemente e incessantemente di
quelle sostanze non proprio salutari e ringiovanenti chiamate
stupefacenti. Aveva provato più volte ad uccidersi ma non è mai stato
abbastanza leale con la propria depressione perché se non ci fosse
stata, l'avrebbe inventata per trovare una scusa. Un codardo? Forse;
ma quella ragazza… quella ragazza gli diede il colpo di grazia. Lui
stava ancora lì a rodersi la scatola cranica pensando a lei: Awa. Awa
che parlò di un legame viscerale, inspiegabile, cinque giorni fa gli
disse che non poteva continuare a vederlo perché troppe cose erano
andate avanti in direzioni opposte. - Non posso restare con te, io devo
portare avanti la ricerca con l'associazione… dobbiamo trovare
dell'altro materiale. Forse abbiamo tra le mani una multinazionale
farmaceutica capisci?- Con quel tono malinconico, mentre Cosco la
pregava di aspettare, di pensare a loro due, alle promesse fatte in
momenti troppo belli per essere ignorate, ai lunghi attimi di silenzio in
cui i loro corpi divenivano quasi porosi da scambiarsi le emozioni che
affioravano alla pelle. Nessuno di noi rivivrà tutto questo le diceva.
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-Che importanza ha l'associazione? Quanto vale quello che stai
facendo?- e lei non poteva rimanere indifferente a queste parole, un
legame oscuro e magnetico la legava a lui, ma qualcos'altro le poneva
freni invisibili.
Cosco conobbe per caso un membro dell'associazione. Fu un
pomeriggio, circa due settimane prima di conoscere lei.
Nel periodo che va da aprile a giugno le giornate sono piuttosto
imprevedibili e ti portano a continui cicli d'umore… infatti quel giorno
il risveglio fu piuttosto schizofrenico ed irregolare: aprì gli occhi, poi
li richiuse. Come per scalciare iniziò a battere il piede destro nel bordo
del materasso. Riaprì gli occhi, allungò la mano verso il comodino e
prese l'orologio: mezzogiorno. Si voltò supino nel letto, si accese la
sigaretta più bastarda e catramosa che trovò, e la giornata ebbe inizio
con uno spirito del tutto lunatico e scontroso. Quel giorno Cosco non
aveva affatto voglia di incontrare persone né tanto meno di coltivare
amicizie, ma quell'incontro lo colpì particolarmente.
Aveva percorso un tratto piuttosto lungo con la metropolitana per
arrivare ad un nuovo locale algerino nella parte sud della città. Forse
con la speranza di trovare qualcuno ancora in credito con lui. Sceso
dalla metro uno strano tizio si avvicinò e con tono servizievole, quasi
infantile gli chiese - Sai dove si trova l'Algeri express? Dovrebbero
aprirlo oggi…
-No, ma so dove devi andare!
-Sei simpatico, ma non sei il mio tipo. Io sono omosessuale e se
questo ti spaventa… beh, salutiamoci subito!
-Spaventarmi? E perché? I gay sono anche assassini?
Era Ghan, un nigeriano alto e dai capelli lunghi ossigenati. Si presentò
e fece conoscere per la prima volta l'associazione a Cosco e la sua
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etica. Forse per l'effetto del Whisky danese bevuto, ovviamente solo
da Cosco, o per la voglia di lasciarsi andare, la stessa sera accettò
l'invito di Ghan e si diresse a casa sua con la convinzione che l'altro ci
avrebbe provato.
-Posso mostrarti il mio nuovo programma d'animazione?!-, disse Ghan
con un tono che sembrava più imperativo che interrogativo ed
entusiasta inserì il mini cd nel computer.-Non bevi?-chiese Cosco- No,
noi dell'associazione preferiamo rimanere sempre lucidiIl lavoro che aveva fatto non era niente male: un universo in fiamme
cola lentamente sopra una stella-iceberg che a sua volta si scioglie
creando un enorme geyser che si perde nell'universo. Sorridendo
chiese -Cosa ne pensi del futuro? Cosco si voltò e guardandolo- A che
futuro ti riferisci?- Al tuo ovviamente, cosa sarà il futuro di Cosco?
-Non saprei… non ha molto senso parlarne, come del passato del
resto, ma perché me lo chiedi?-, Ghan sorrise un'altra volta- Eh, penso
che sia questione d'adattamento- esclamò.
-Che cosa vuoi dire?-, chiese Cosco, - Devi adattarti, ti stanno
controllando, non puoi essere lasciato in pace per troppo tempo, non
puoi fare sempre il furbo… ci penseranno loro- rispose Ghan, poi
lentamente gli mise una mano nelle palle e cominciò a palpeggiarle
delicatamente. Cosco rimase un minuto a pensare e poi proseguì
-Spiegati meglio Ghan!- mentre la mano andò a finire sulla chiusura
lampo, Ghan ribadì- Stanno controllando tutto, in città ci sono più di
duemila microcamere con tanto di sensori acustici e teleobiettivo, non
puoi svignartela se ti beccano con quella roba, capisci?- Poi glielo tirò
fuori, era già duro, e cominciò a succhiarlo. Cosco pensava:
“Sicuramente sta scherzando, non può parlare sul serio altrimenti non
mi avrebbe fatto un pompino immediatamente. E' strano vedere
qualcuno che te lo tira fuori, se lo strofina un po' in faccia e poi ti fa
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un pompino; una testa si sta muovendo attaccata per la bocca al mio
cazzo… ed io non posso rimanere indifferente a tutto questo. Dovrei
fare qualcosa per sentirmi più a mio agio o basterebbe non pensarci?”
Probabilmente Cosco optò per la seconda ipotesi perché l'attività
intrapresa da Ghan continuò senza grandi difficoltà organizzative.
La serata continuò anche grazie all'ausilio di una massiccia dose
d'alcool che Ghan teneva appositamente per gli ospiti occasionali e
mentre stava per prendere la metropolitana che lo avrebbe ricondotto
al complesso residenziale, Cosco pensò che avrebbe potuto imitare
William Holden continuando a bere per poi schiattare, ma sarebbe
stato poco professionale per un tipo che spaccia gomme. La sua tesi
era confermata: Ghan voleva provarci e Cosco era troppo andato per
resistergli o pensare a quello che stava succedendo.
In metropolitana non poteva far altro che pensare o allenarsi a pensare
di non pensare: “è una cazzata che l'alcool ti fa dimenticare...non ti
distoglie dalle tue crisi, solo che non te ne frega un cazzo!” Pensava
che se sarebbe andato avanti così le cose sarebbero presto peggiorate.
Doveva trovare quel che in gergo si definisce il pezzo da novanta per
sistemarsi con le gomme una volta per tutte.
Tra paranoie e speranze sorde arrivò lei. Il momento non era tra i
migliori, ma poteva andare peggio. La conobbe una sera dopo essersi
iniettato 3 millilitri di 4-bromo-2,5 dimetossianfetamina, meglio noto
come DOB, ed essersi catapultato fuori da un fast food dove uno
strano tizio gli aveva appena rivelato che per fare una Pepsi basta
aggiungere, in proporzioni adatte Sprite e Coca. Si mise a camminare
velocemente su e giù per vicoli e borghi poco illuminati, una strana
sensazione gli rendeva le gambe molto leggere, quasi fossero fatte di
burro, perché non sentiva affatto la stanchezza. Avrebbe potuto
camminare per chilometri e chilometri senza mai fermarsi, senza mai
chiedersi dove stesse andando, un po' come il personaggio di un video
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gioco, solo che a muovere il yoe stick non c'era nessuno o meglio
nessuno che conoscesse quel gioco. Udì in lontananza una musica
ricca di ritmi profondi, palpitanti, simili a quelli di una tribù.
Seguendo quel magma intenso di suoni arrivò in fondo ad una strada
che dava su una piazza circolare di dimensioni modeste ma
affollatissima. Bagliori sfocati di fuochi d'artificio rossi comparvero
all'improvviso. Erano grandi fumogeni che avvolgevano in una nube
onirica la più bella parata di costumi africani che Cosco non avesse
mai visto.
Si accese una sigaretta. Quella zona gli sembrava conosciuta,
probabilmente era vicina ad uno strano mercatino di quartiere dove tra
fruttivendoli e ricettatori di bici trovi anche chi ti vende qualcosa di
acre da fumare.
I ricordi che Cosco aveva dell'ultima dose di DOB presa non erano
molto chiari, miriadi di flussi cerebrali assecondarono la percezione
che dal canale visivo a quello uditivo viaggiava ad una lunghezza
d'onda decisamente stravolta rispetto a quella ordinaria. A livello
scientifico si tratta di un anomalo funzionamento dei neuro
trasmettitori con relativo indebolimento del sistema auto immunitario.
Ovviamente tutto questo alla lunga può causare stress, agitazione e
anche un leggero tremolio nervoso, ma si tratta anche di come è
affrontata la cosa: non bisogna mai farsi prendere dal panico. Il motto
di Cosco è: “Sei su una giostra, divertiti finché non termina il giro”. I
danni cerebrali invece sono inevitabili anche se si possono ignorare
con relativa facilità: apri il frigo per prenderti il latte ma nel momento
in cui lo apri nessun stimolo arriva al tuo cervello, ti dimentichi cioè il
motivo per cui hai compiuto quel gesto, qual era la cosa che volevi
prenderti. A ciò si può reagire in due modi diversi: pensando “Oh, mio
dio, sto diventando deficiente!”, e smettendo drasticamente di
assumere droghe, oppure pensando “Cazzo! Cosa dovevo
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prendere?…”, e chiudendo delicatamente il frigo per tornare a
drogarsi. Cosco è quel genere di persona che in caso simile avrebbe di
sicuro imboccato la seconda strada. Gli stati psichici ed organici
abnormi, dovuti all'abuso ed all'astinenza di droghe, sono una normale
alterazione fisiologicamente assorbita nella quotidianità delle azioni
espresse dall'inutilità delle gesta e delle parole. E' tutto normale… se
sei convinto.
La Gauloises gli cadde a terra scivolando tra le dita appena comparve
Awa tra la folla con addosso una grossa maschera africana.
-Chi sei?- Chiese stordito Cosco, credendo di avere avuto una
allucinazione.
-Io mi chiamo Awa e tu?
-Co… come dici?
Togliendosi la maschera: -Qual è il tuo nome?
Sorridendo imbarazzato: -Ah, scusa… io non avevo capito… mi
chiamo Cosco, piacere…
-Non partecipi alla festa?
-Veramente sono capitato qui per caso, ma a me piace molto questa
atmosfera… mi ricorda un vecchio film dove un tizio vedeva una
ragazza tra i fumi di una cerimonia cinese e poi la seguiva ovunque
in città, finché…
-Ok, non importa il resto, adesso so cosa succederà.
-La tua maschera è bellissima da dove viene?
-Dal paese dove sono nata: Nda, tienila pure se vuoi, mio padre le
costruisce.
-Grazie, sei gentile
Cosco riuscì a contenere perfettamente l'effetto del DOB. Sentiva che
quell'incontro possedeva un forte magnetismo e che entrambi lo
percepivano.
Niente è andato storto all'inizio. Era convinto di essere innamorato ed
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era la prima volta, anche se non poteva essere solo amore perché quel
sentimento aveva una radice stranamente inconscia. Se ne accorse la
prima volta che Awa si lasciò andare completamente. Quella sera la
voglia di ingoiare la gomma presa da Packji qualche giorno prima
stava crescendo in continuazione. Sentiva quasi un impulso a livello
psicologico che lo portava a pensare a quella gomma, è una voglia
quasi morbosa ma al contempo ingiustificata, non c'è niente che possa
apparire come sensato o plausibile in questa voglia in quanto a livello
mnemonico nulla viene assimilato, un'esperienza di questo tipo non
lascia tracce, è vissuta molto intensamente ma senza ricordi concreti.
La volontà dev'essere quindi legata a qualcosa di diverso, qualcosa
che viene recepito in un momento di assoluta allucinazione sensoriale
ma così intenso da non poter essere cancellato a livello inconscio. La
mancanza di dipendenza fisica ne è la controprova.
Il cielo era nuvoloso e la pioggia non avrebbe tardato a scendere.
La stanza di Cosco risplendeva di un grigiore temporalesco, ma quel
tono, nonostante fosse molto suggestivo, gli impediva
di condurre la partita a scacchi con Awa, così decise di accendere la
luce: quattro piccoli fari posti negli angoli in alto delle pareti. Questa
curiosa illuminazione ha uno scopo ben preciso: Cosco aveva fatto
scendere dal soffitto una serie di fili trasparenti molto sottili nei quali
a diverse altezze si trova legata una conchiglia in plastica che riflette
la luce in modo diverso a seconda dell'angolatura con cui viene colpita
dal fascio luminoso. Tutte queste conchiglie, che ruotano su se stesse,
possiedono colori differenti e quando i quattro fari si accendono dai
diversi punti nella stanza, si crea un magnifico spettacolo di riverbero
in cui la luce, diffranta tutt'intorno, forma bellissimi spiragli
policromatici che ruotano e si scontrano sormontandosi o eludendosi
in un'atmosfera da sogno.
Aveva vinto la partita: il re inchiodato in G8 dalla regina in G6 e la
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torre in H4. -Adesso devi mantenere la promessa- le aveva detto e lei
non poteva fare altrimenti: presero una gomma entrambi. Poi Cosco si
accorse di avere sopra un tavolino ad angolo una matita per il trucco:
era quella che usava una sua ex ragazza. La prese in mano e si rivolse
a Awa -Posso provare a truccarti?
-Solo se dopo lo faccio anch' io!- subito come una bambina.
-Ok, però prima io- soddisfatto.
Lentamente l'effetto della gomma si faceva sentire mentre Cosco
disegnava strane elissi tra le guancia scure di Awa che seduta di fronte
a lui lo fissava negl'occhi con quelle grandi pupille marroni che
impercettibilmente si stavano dilatando e quelle lunghe trecce nere che
le avvolgevano il collo e scendevano sino ai fianchi.
La maschera che gli aveva regalato stava sopra un grosso scafale Ikea
in metallo, proprio nel mezzo, di fianco a loro. Le luci trapassavano
nelle fessure, trasformando la profondità, allungando i lineamenti che
brillavano e sembravano prendere fuoco.
-Parlami della tua terra- , le chiese -la mia terra… ero molto piccola,
non ho ricordi precisi, solo immagini e vibrazioni.- All'improvviso un
terribile senso di vuoto la percorse. Poi proseguì -Tocca a me! Voglio
anch'io disegnare qualcosa sul tuo volto.
Prese la matita e con un'affascinante determinazione percorse tutto il
viso bianco di Cosco formando linee verticali che si sfioravano alle
estremità e si allargavano al centro come il contorno di un seme. La
sensualità che quei movimenti trascendeva lo incantò, avrebbe voluto
restare per sempre fermo in quella posizione per farsi sfiorare il
volto… quelle mani di fata emanavano una essenza a lui ignota ma
talmente corposa ed intensa che gli sembrava quasi di sentirla
penetrare tra i pori della sua pelle.
Poi di colpo Awa si bloccò, rimase immobile a contemplare l'opera.
Tremava quasi dall'emozione che stava provando, un sentimento
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Fragola Nera
irreale la teneva incollata a quegl'occhi come se in essi vedesse ben
più di un fantasma… in essi riviveva una memoria sommersa. -Chi
sei?- gli chiese, mentre inarcando le sopraciglia spalancò
all'improvviso la bocca come per liberare un grido muto. -Io, sono
sempre io- rispose Cosco. Awa lo fissò ancora un attimo poi chiuse gli
occhi e scoppiò a piangere; subito Coscò cercò di calmarla, la
abbracciò e la baciò per molte e molte volte. Poi fecero l'amore. Nel
frattempo cominciò a scendere la pioggia, Cosco si avvicinò alla
finestra, poi l'aprì, respirando a pieni polmoni una boccata d'aria
“zolforea”, piegò la testa fuori ed il trucco scivolò via. Non seppe mai
cosa fosse successo ad Awa in quel momento e quali arcaici
sentimenti si risvegliarono in lei quella notte. Pensò: ”Siamo anime
gemelle e ci siamo già incontrati in un'altra vita”.
Adesso che lei non c'era più, avrebbe fatto di tutto per capire quali
pensieri si muovevano in Awa.
Quei cinque giorni di assenza gli erano bastati per soffrire molte cose,
per svelare a se stesso segreti che nacquero in momenti sacri della
devozione per Awa, per bruciare i suoi occhi e toccare le stelle del suo
cielo.
“Perché lei? Perché lei e solo lei?” non riusciva a pensare ad altro.
Non poteva immaginare cosa sarebbe successo. Il primo giorno che
non ebbe più notizie decise di contattare un amico di Pakij, visto che
lui era partito, per prendere un cubo da vendere. Questo tizio non
l'aveva mai visto. Si faceva chiamare Skeffo e non si sa se per affetto
o abitudine. Stranamente avevano deciso di incontrarsi in metrò, sia
perché in città ultimamente le cose non andavano molto bene: avevano
beccato tre asiatici, di cui uno di loro, un certo Murat, aveva fatto
molti nomi, e due marocchini con tremila cubi, e sia perché era
comodo per entrambi.
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In città la metro è piuttosto recente, ormai il numero di bus era
divenuto esorbitante e un altro mezzo di trasporto pubblico si rivelò
necessario. Ma il progetto non si fermava a questo: avrebbero creato
tre diverse categorie o classi in base all'età(massimo 20 anni, massimo
50, ed oltre i 50, naturalmente comitive e bambini erano eccezioni),
per selezionare l'afflusso di persone che ogni giorno si accalcava nelle
stazioni. La situazione era paragonabile a quella di una goccia di
inchiostro che cade nella carta millimetrata: non può che mandare a
fanculo i quadratini.
La politica dell'estetismo ottuso e perbenista stava trasformando tutta
la città in un immenso ospedale pieno di reparti: il centro in mano agli
studenti e ai commercianti, alcune zone della periferia divise per
pericolosità, mentre altre integre e benestanti preservano il posto alla
futura classe dirigente, cercando di emarginare al proprio interno la
cosiddetta terza età conservatrice.
Skeffo portava una fascia di cuoio attorno al collo. Aveva i capelli
scuri e gli occhi di un azzurro lunare che avrebbero potuto mentire
anche a una fata. Le Nike verdi stonavano tremendamente con i
pantaloni grigi in fibre sintetiche e poliestere… ma questo a lui forse
non importava. Si sedette di fianco a Cosco, zitto per due minuti, poi
inclinò la testa verso di lui guardando il finestrino.
-Sei tu Cosco?
-Si.
-Quanti ne vuoi?- Veniva dal nord dall'accento, Veneto o forse
Trentino, ma la carnagione scura faceva pensare più a un meridionale.
-Come faccio a sapere che sono come quelle di Packji?- Chiese Cosco
come d'impulso. Skeffo si voltò verso di lui con un accenno di sorriso
subdolamente mascherato dal tono di voce quasi prepotente -Packji
lavora per me-. Cosco rimase un attimo in silenzio lo guardò e poi
fece un cenno d'approvazione con la mano. Prese un cubo e se ne
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Fragola Nera
tornò a casa.
Nella vasca da bagno piena di latte aveva portato anche quel cubo, era
dentro la navetta galleggiante di plastica con la quale giocava da
piccolo e che conservava ancora intatta. Lo tirò fuori, si alzò
lentamente, spense il lettore cd che ormai stava per fondersi in stand
by, e si diresse verso la sua camera. Qualche minuto prima il “biip” di
una nuova e-mail aveva suonato nella periferica al cellulare, ma
durante l'orgasmo è difficile rimanere attenti a cosa sta succedendo
“fuori”. L'e-mail la mandava qualcuno dell'associazione, forse Ghan o
forse Awa, e l'oggetto era diverso da quello per il quale avrebbe dato
la vita Cosco, ovvero Awa, l'e-mail parlava chiaro: “Una rete di
aziende farmaceutiche trans-nazionale aveva messo in commercio
sostanze isomere di un psicofarmaco molto potente, creando dei seri
rischi di sovra dosaggio e intossicazione”. Gli isomeri sono costituiti
da molecole che hanno gli stessi tipi di legami fra gli atomi, ma
diversa disposizione nello spazio e quindi differenti proprietà. Per le
industrie farmaceutiche è un emerito spreco scartare tutti gli isomeri di
un prodotto che in alcuni casi raggiungono il 30-40% della sintesi: un
modo facile e fruttuoso per utilizzare queste sostanze è quello di
creare un mercato parallelo ovvero da psicofarmaci a droghe di
strada… gli acquirenti non mancano.
Cosco teneva il cubo in mano, spinse la porta del bagno con fatica,
una porta vecchia e rumorosa, poi entrò nella sua camera e si sedette
proprio dove si sedeva di solito con Awa. Tra le conchiglie che
scendevano dal soffitto scorgeva la maschera che gli regalò Awa:
bellissima e maestosa stava sempre la, sopra il mobile Ikea, ad
osservare sovrana la strana vita di un uomo asfissiato dal proprio
respiro. Aprì lentamente la mano dove teneva il cubo, il tappeto sul
pavimento si stava inzuppando del latte che sgocciolava dal suo corpo.
Spalancò la bocca spasmodica dal freddo e con un gesto deciso e
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serrato ingerì tre gomme in un boccone. Stava tremando, il suo corpo
nudo e bagnato dal latte sembrava quello di una larva afflitta dal
morbo di Alzheimer. Rimase seduto ad aspettare mentre il latte si
asciugò piano piano. Rimase seduto e poi si alzò all'improvviso: la
maschera era scomparsa! Tuoni e lampi all'improvviso, miriadi di
flussi cerebrali, tempeste di sovraccarichi nervosi, stimoli e crampi dal
profondo dell'intestino come fulmini infiniti, laceranti. E poi un
collasso: calma, calma… non è successo niente… solo come il
microchip del centro di smistamento nella città sommersa, solo come
un impulso elettrico unidirezionale, solo come tutti quei stupidi insetti
dentro le proprie tane, solo… come tutti ma in un satellite chiamato
attimo.
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Eva
Quella notte eravamo tutti svegli. Sabi predicava ancora per quel
postaccio dove ci eravamo piazzati, con il suo modo di fare scontroso,
la cicatrice stretta sopra il sopracciglio sinistro e quella testa rasata con
un grosso dread al centro rosso. Portava sempre una felpa nera lercia e
i pantaloni di tre taglie in più fregati al tizio dell'autosoccorso stradale
che incontrammo tornando da Berlino. E' da allora che Sabi si lamenta
sempre, non gli va mai bene un cazzo! Il posto dove c'eravamo fermati
con il camper non era male: una specie di giardino secco strinato.
C'era la rete bucata che ci permetteva di fottere l'acqua tramite una
canna piazzata proprio sulla bella fontanina del cazzo che sembrava
abbandonata ma era tutta piena di decorazioni barocche tipo fiori da
checca.
Tutti erano a posto tranne Sabi che tirava fuori le scuse più assurde per
menarla, allora io salto su e gli faccio -Smettila di stressare la minkia
che non sai più quello che dici! Ormai ti sei fottuto il cervello con
quelle cosine!- Lui si incazza da morire, quasi mi sta per ammazzare
quando si scaglia su di me che stavo tutto bello polleggiato a fumarmi
il ciloum ma Roli interviene e mi caccia dal camper. Allora mi alzo ed
esco dal Volkswagen, un modello che ora non ricordo più ma era
19
Eva
vecchio, cazzo, proprio vecchio, aveva tutte le tendine tirate e da fuori
non si vedeva un cazzo, mentre sento ancora Sabi che urla a gl'altri Quel pezzo di merda! Gli spacco il culo appena torna così impara a
fare il furbo! Siamo sotto un ponte di merda che se passa la pula ci
vede subito e se ci trova la roba sono cazzi!Il giorno dopo i pentolini erano ancora sul fornello sporchi di keta e in
giro un sudiciume che neanche la Betty avrebbe leccato. I cani non mi
mollano e mi devo alzare per dargli qualcosa da mangiare ma non c'è
proprio un cazzo, neanche per noi, neanche per noi cazzo! Bisogna
pensare al Rave di Martedì ma quel coglione di Dani ha fatto saltare i
twitter perché stava troppo di fuori e ha sbagliato i collegamenti così
adesso siamo nella merda con l'impianto e martedì è vicino!
Prendo i cavi grigi da riparare ed esco, mi avvicino alla strada, è
giorno ma sembra ancora notte, per la strada neanche un cane tranne il
mio Rashi, forse è domenica. Mi avvicino ad un bidone dove Rashi
era andato a pisciare ed è li che incontro Eva, sdraiata a pancia in su
dietro al bidone che sembrava morta stecchita da un pezzo. È li che le
nostre strade si incrociano. Provo a muoverla e lei si alza di scatto
tutta impaurita e mi fissa come per dire “Chi cazzo sei?” allora la
guardo e le chiedo -Tutto bene?- lei non risponde, mi guarda e basta,
ma si vedeva che quella era sconvolta, non riesco ad andarmene e
lasciarla lì. La squadro un attimo da testa a piedi, ha le pupille dilatate,
la bocca sporca di una specie di rossetto tutto maciullato e tirato, come
una mascherina, e poi mi accorgo che da sotto la gonna esce una
specie di liquido rossastro che sembra pipì mista a sangue e le cola
lentamente nelle gambe. Penso: ”Non sta un cazzo bene cazzo, e ora
che faccio?” Poi la prendo per mano e la porto verso il camper, lei mi
segue muta e si guarda in giro come fa di solito Rashi.
Appena arrivammo al furgone non c'era più il furgone. I ragazzi erano
ripartiti senza di me, qualche testa di cazzo li aveva minacciati credo,
20
Eva
Sabi di sicuro non aveva avuto problemi ad escludermi dal gruppo
dopo quello che era successo.
Mi ritrovai solo con lei, senza sapere per quale motivo, ma non potevo
certo mollarla o portarla semplicemente dagli sbirri per mettermi la
coscienza a posto, tanto non sarebbe servito a niente, anche perché
temevo potessero scoprire tutti i miei affarucci illegali. Andammo così
a casa sua.
Sono passati tre giorni da quando la ritrovai ma la memoria non le è
ancora tornata. Mi raccontò tutta la sua storia fino a quella notte, la
notte prima che la trovassi, in cui doveva incontrare un certo Rivus, e
in cui la memoria la abbandonò lasciando un vuoto, un buco che ora
stavamo cercando di colmare. Una cosa è certa: fu violentata
ripetutamente con ferocia da qualcuno che poi, probabilmente, la
scaricò per strada. Non poteva ricordare forse per lo shock, forse
perché era stata drogata o che altro, io non sapevo che fare.
Mi disse che tutto iniziò quando qualcuno che lavorava con loro le
inviò un messaggio personale nella chat room: Fammi scaricare
qualcosa, scrisse, aveva decodificato lo script 3000 che usava in quel
momento mettendosi in contatto con lei, Eva. Capelli biondo scuro,
occhi verdi, indossava delle salopette marroni e non usava trucco per
il viso. L'allergia glielo impediva. Portava un paio di grossi occhiali a
forma di oblò, montatura rosso porpora con delle lenti affumicate
violacee, e fumava dei sigari cubani sorseggiando the e gin, quando
componeva.
NICK: Eva
Che script usi?
NICK: bOXy!!
21
Eva
un BcM 2000 e tu?
NICK: Eva
non importa, non ce la farai mai con quello. Ciao
NICK: bOXy!!
Aspetta. io posso venderti bene
NICK: Eva
Udi che stai parlando???????u
NICK: bOXy!!
lavoro per una MSsoft. stanno cercando campioni da masterizzare per
nuovi programmi
NICK: Eva
cosa dovrei fare di preciso?
NICK: bOXy!!
comporre un pezzo
NICK: Eva
non mi interessa
NICK: bOXy!!
pensaci, avresti la possibilità di lavorare con programmi
assolutamente migl
NICK: Eva
ti ho detto che non mi interessa, fottiti!
22
Eva
Chiuse subito la room disconnettendosi. Aveva ricevuto altre proposte
del genere in passato. Lavorare per una MSsoft.(music system
software) non le piaceva. Tutti quei mercenari la rendevano nervosa.
Si sentiva come violentata da una mano invisibile.
Il suo ultimo prodotto si chiamava Station ed era uno dei più bei
sistemi sonori che avesse mai composto, frutto di tre anni di lavoro.
Ormai era diventata una professionista, sapeva trattare un file WAV
talmente bene da inserirci dentro un virus utilizzando una lunghezza
d'onda ridotta tra due unità. Gli ultrasuoni erano concentrati con
frequenze diverse da una melodia ad un'altra: quella che sembrava una
semplice polifonia era in realtà in grado di crakkare un intero
programma per musica. Eva utilizzava i propri pezzi per entrare in una
musicmachine, servirsi delle funzioni migliori per estrapolare e
lavorare file audio e poi mandarla in tilt col virus ad ultrasuoni,
destinati ad espandersi in rete tramite un collegamento MP3 all'e-mail.
Ma questa era solo una parte di quello che era in grado di fare, sapeva
benissimo come funziona anche il DXSS che è una specie di integrato
ultrasonico in grado di danneggiare o modificare alcune funzioni a
livello inconscio nella psiche umana, utilizzando frequenze
assolutamente vietate dall'unione. La genialità di quella ragazza
avrebbe fatto comodo a molte MSsoft.
Ascoltava Station tre volte al giorno perché non si trattava solo di
suoni, dentro a quelle frequenze c'era una vita, una vita in grado di
distruggere altre vite o modificarle.
Tre giorni dopo l'intercettazione di “Boxy” in chat, la MSsoft-Italy le
mandò una mail, c'era il nome di un sito ed un cordiale invito ad
entrarvi. Eva era tentata perché sapeva che se avesse accettato molte
cose nella sua vita sarebbero cambiate. “Click”: la pagina era
23
Eva
completamente nera, al centro un'icona a forma di chiave di violino
blu. “Click”: sopra si aprì una pagina con più di venti programmi
demo per musica. Avrebbe potuto scaricarseli tutti, ma non lo fece.
Compose il numero di telefono in basso allo schermo. Una segreteria
telefonica ripeteva un indirizzo con una musichetta da videogame
anni'80 in sottofondo. Era tentata, era tentata ad andare fino in fondo e
così fece. Prese un taxi e selezionò sulla mappa elettronica l'indirizzo
annunciato dalla segreteria. Arrivò ad un vecchio edificio senza
finestre. Si avvicinò all'unica entrata: un portone in metallo blindato e
subito si accese una luce. Dopo circa due minuti una signora sulla
quarantina, alta e robusta ma con una divisa elegante dove il simbolo
della MSsoft spadroneggiava all'altezza del petto, le aprì.
-Buonasera, prego mi segua.- Attraversarono un lungo corridoio
pieno di vetrate affumicate color bluastro, presero un ascensore e
arrivarono ad un altro corridoio, l'edificio era desolato. Aprì una porta
a specchio circa a metà del corridoio e le fece segno di accomodarsi.
Seduto in fondo a quella specie di ufficio che al posto di finestre aveva
schermi PDV e sensori tattili, l'attendeva un giovane: alto, capelli
biondi, occhi azzurri, molto affascinante. -Buonasera, lei è Eva
giusto?Si- rispose freddamente, non voleva lasciar trasparire l'intimorito tono
della voce.
-Io mi chiamo Roman Rivus, mia madre è di origine polacca.
-Ah si? Davvero interessante, la mia no!
-Lo credo- aggiunse, sprigionando un sorriso malizioso. Poi proseguì
-Arrivo subito al dunque: dovrei pagarla per usare i nostri programmi,
niente di più-Lei crede signor Rivus? Pensa che il mio lavoro si limiti a questo?
-Penso che lei abbia talento, e i talenti non vanno sprecati, altrimenti si
rischia di perdere delle buone occasioni.
24
Eva
-Non credo si tratti solo di questo...
-Ok, possiamo uscire di qui, prendere un taxi e raggiungere un caffè, lì
le spiegherò con calma in che cosa consiste il nostro lavoro. Fuori da
questo posto le cose potranno sembrarle molto meno diciamo
eh...formali. Poi lei mi dirà cosa ne pensa cioè se le sembra una buona
idea fare dei soldi usando solo il suo talento o perché eventualmente
rifiuterà la cosa. Se si fida di me le cose non cambieranno
minimamente, in caso contrario posso darle la mia parola che farò il
possibile per rispettare ogni patto.- Eva lo fissò negli occhi per un
istante e si accorse che una strana luce si diffondeva dalle sue pupille.
Aprì lentamente la bocca come per dire qualcosa ma dalla tenue
fessura che si schiuse tra le labbra non uscì che un sibilo muto; annuì e
andarono.
Percorsero un quartiere intero e arrivarono dalla parte opposta della
città, al Huang Shaosonx, un vecchio caffè gestito da cinesi. Eva
Adora quel Jazz fine anni venti che un trio di trombettisti stava
suonando quasi apposta per l'occasione. Sembrava che quel Rivus le
avesse letto nel pensiero durante il lungo e silenzioso viaggio in auto e
adesso pensasse: “A questa ragazza piacciono i posti pieni di fumo,
dove dei tizi tutti ingessati e scorbutici se ne stanno al banco a bere
Martini e fumare sigari puzzolenti tutta notte, fissando tutte le fiche
che gli gironzolano in torno”. Appena una di loro si siede, allungano
subito una mano sotto il tavolo per passarle una chiave che non apre
nulla ma che significa tutto. Lei a quel punto può mandarli a farsi
fottere oppure accettare e farsi fottere da loro. Questa ragazza non
aspetta altro, me la sono portata nel posto giusto, adesso devo trovare
le parole giuste e lei sarà in mio potere.”
Eva mi confidò di non saper resistere alle proposte sessuali. Questa
caratteristica della sua personalità è legata alla convinzione che la sua
forza di volontà si smagnetizza di fronte ad un uomo. Anche nel caso
25
Eva
in cui questo ipotetico e astuto avventuriero sia un emerito cesso, un
rifiuto della natura, insomma un essere orribile alla vista e dal puzzo
insopportabile, Eva non sarebbe in grado di respingerlo perché
essenzialmente si sente una ninfomane e non può farci nulla. La
convinzione nel viso di molte persone la ipnotizzava e la rendeva
vittima del loro agire.
-Lei sa quanti programmi esistono oggi solo per far musica?- Le
chiese prepotentemente Roman Rivus avvicinandosi quasi
minacciosamente.
-No. Non è uno dei miei interessi principali il marketing- rispose Eva
fissandolo negl'occhi.
-Bene allora le risponderò dicendole che se le cose andranno avanti
così fra qualche anno avremo più soft per far musica che modelli di
chitarre elettriche. C'è chi lo ha già reputato come il mercato del
futuro e devo dire che comunque questa scoperta è troppo facile
perché non venga sfruttata da tutti. Tutti sono in grado di comporre
utilizzando i nostri programmi, facili e sicuri, ma soprattutto: tutti
vogliono creare musica per sentirsi mah, forse artisti, forse giovani o
chi lo sa! La cosa è semplicemente un dato di fatto! E allora perché
non dare alla gente quello che vuole? Perché non accontentare una
popolazione di imbecilli? Loro devono credere di poter creare delle
melodie, magari belle, delle canzoni, della musica! Tu Eva sarai la
prima persona che saprà vendere la tua musica senza che nessuno lo
sappia, ovvero i tuoi sistemi sonori penetreranno nei soft. tramite
posta elettronica della ditta in modo graduale, integrandosi con le
applicazioni del programma e con i file Wave di quei poveri falliti
senza talento. Loro vogliono un programma facile, semplice: un
programma in grado di prenderli per mano...ma non capisci: sei tu
Eva! Sono i tuoi sistemi sonori che riescono ad infiltrarsi perché la tua
capacità di utilizzare un circuito virale glielo permette. La tua musica
26
Eva
sarà la loro musica ma loro non potranno rendersene conto perché gli
ultrasuoni prodotti dai tuoi sistemi andranno ad interagire con la
psiche debole e facilmente ipnotizzabile dei nostri clienti spingendoli
a comporre ripetutamente quella che loro pensano essere musica,
utilizzando i nostri programmi, utilizzando le versioni aggiornate e le
banche sonore e i mille effetti applicabili ai loro pezzi. Ascolteranno
le loro canzoni dove ci saranno i virus delle tue perfette melodie in
grado di attrarli e soddisfarli, capisci? Sappiamo tutto di te, dei tuoi
metodi di lavoro, delle tue ricerche, delle tue notti insonni a cercare la
perfezione invisibile delle vibrazioni attraverso grafici e logaritmi
degni di una mente scientifica come la tua, affamata di ricerca, sempre
pronta a conoscere per poi mettersi in gioco. La tua sperimentazione
non è un fallimento ma un lodevole lavoro, svolto nel corso degl'anni
e delle stagioni della tua vita, tra delusioni e tentativi ma anche molti
successi. Ti abbiamo seguita fin qui e ora è il momento giusto per
valorizzare ogni tua singola mossa. Station ci ha lasciati senza parole,
è un'opera assolutamente geniale, senza precedenti, finalmente hai
trovato quello che cercavi. Ora lascia che noi ti prendiamo per mano
Eva.Improvvisamente Eva abbassò il capo nascondendo un sorriso
sarcastico. Rivus allora si interruppe, le alzò solennemente la testa con
una mano per richiamare a sé l'attenzione, poi affettuosamente, come
un padre con il proprio figlio, la ammonì con lo sguardo. Infine
proseguì -Adesso forse stai pensando che così sarai costretta ad
ingannare, a tradire la gente e te stessa, ma aspetta! Fammi spiegare
ogni cosa e poi sarai libera di pensare quello che vuoi, non voglio
nemmeno tu mi risponda subito: pensaci sopra un po' per non rovinare
tutto così in fretta. Tutti i nostri clienti saranno convinti di produrre
ottime canzoni ma questo non è forse quello che succede ogni giorno
con la pop music? Gli stessi meccanismi, le stesse modalità: la
27
Eva
bellezza non esiste! E' frutto di una continua sottomissione psicologica
alla realtà, alla cosa ritenuta bella, al gusto di chi decide, al volere di
chi offre e ci sommerge di questa merda! Ecco perché loro saranno
soddisfatti di quello che potranno produrre, perché sarà il loro volere,
sarà il loro gusto, sarà la loro merda. Decidi tu cos'è meglio, la nostra
è solo una possibilità per scegliere una visione alternativa delle cose
ma è forse la possibilità più diretta e più personale. Tanto non c'è
scampo, amiamo solo quello che conosciamo e conosciamo solo
quello che ci fanno conoscere, non credi? Non disprezzarmi, non
sputare nel piatto in cui mangi, potresti sistemarti per tutta la vita con
questo lavoro e avresti generazioni di “figli” sparsi in tutto il mondo,
che ti conoscono, senza saperlo, per la cosa che a te sembra più vera e
più sublime cioè la musica. Eva pensaci: saranno figli della tua anima!
Ascoltandosi ti ascolteranno senza sentirti, nella perfezione e nella
bellezza dei tuoi ultrasuoni che diventeranno il substrato invisibile
delle loro canzoni. Pensaci, non si rifiuta un'offerta che potrebbe
cambiare la tua vita per sempre!Eva non parlò, si sentiva confusa e terribilmente attratta da quell'uomo
così brillante, così vivo, pieno di energia, che a guardarlo sembrava
sprigionasse una fluido magnetico, un odore inebriante al quale non
sapeva resistere. Avrebbe dato qualsiasi cosa per prenderglielo in
bocca, succhiare quel suo membro reale che immaginava perfetto in
ogni piega e ogni colore, statuario, dalla pelle morbida e gommosa.
Sognava in quel momento di accarezzargli le palle, leccare ogni parte
di lui, farlo venire infinitamente su di lei, si immaginava inondata dal
uno sperma caldo e fluido, come una pioggia d'oro che colava in
continuazione tra le tette, sulla faccia e che avrebbe bevuto e succhiato
tutto come un calice di nettare divino. Non avrebbe resistito se solo
per un secondo egli avesse provato a sfiorarla, si sarebbe concessa
tutta e subito, la sua mente era confusa e non poteva nasconderlo. Lui
28
Eva
questo lo aveva capito così prima di andare fece un passo, si avvicinò
a lei, le prese la mano per baciarla ma non lo fece. Esitò un attimo. Poi
lasciò la mano e si avvicinò ancora, le calò la cerniera lampo e infilò
un dito dritto nella fica che era tutta bagnata e dilatata, poi lo mosse in
su e in giù due volte. Eva venne. Chiuse gl'occhi, il suo respiro era
fuori controllo. Poi lo tolse subito, di scatto, lo portò alla bocca e lo
succhiò tutto dicendo -Non è prudente andare in giro senza
mutandine- , e sparì tra la folla e la musica jazz lasciandola ancora
ansimante e con la fica pulsante.
Dopo due settimane, Eva prese la sua decisione: accettare per
guadagnare un po' di soldi visto che era sempre più difficile tirare
avanti. Anche se non era sicura di quella scelta, pensava che se non
avesse agito così probabilmente si sarebbe ritrovata nel giro di poco
tempo ad elemosinare ancora soldi al suo ex ragazzo che era ancora
follemente innamorato di lei e che quindi non trovava difficoltà ad
incontrarla per qualsiasi tipo di motivo, compreso dover pagare. Cosa
era meglio per lei in quel momento, cosa voleva veramente? Anche se
la cosa andava completamente contro i suoi principi era talmente
invischiata nel suo desiderio per quel Rivus che pensava, anche se
attratta, di odiarlo. Si sentiva in qualche modo deturpata da quello
sconosciuto
tanto
da
considerarlo
un
IRRESISTIBILEBASTARDOFIGLIODIPUTTANA, al punto che
non sapeva opporsi alla tentazione di rivederlo. Doveva farlo e basta!
Era debole? O stupida? O furba? O semplicemente puttana? O forse
bastarda? Magari indifesa? O povera? Era lei e nient'altro, e quella era
solo la sua vita e nient'altro. La conclusione è il principio, ora le era
chiaro il non senso di tutto. Non si sentiva in grado di lottare contro se
stessa perché comunque avrebbe perso una parte di lei. Fanculo cazzo!
Si diresse alla sede della MSsoft. Italy, percorse il lungo corridoio ed
aprì la porta a specchio, Roman era seduto di spalle, ruotò a 180 gradi
29
Eva
la sua sedia in pelle nera e la accolse compiaciuto -Prego, si
accomodi- Eva si sedette. Lo fissò un istante, poi disse -Voglio
incontrarla questa notte, alle 23 in quel locale dell'altra volta.- Uscì
velocemente dall'ufficio lasciando aperta la porta a specchio.
Poi ci fu quell' incontro e l'amnesia.
Sono passati altri due giorni. Eva si sta riprendendo ma è ancora
presto, per adesso sto ancora da lei ma non credo che la cosa possa
durare, tra l'altro Rashi è nervoso e non mi piace.
Sono le tredici, la televisione è uno schifo, programmi che parlano di
vegetazione alternativa con nuovi consorzi biologici, politici falliti in
stato neurovegetativo, crisi di stato in india e soluzioni alternative per
non pensare alla guerra ed aiutare i morti di fame, i bambini mutilati
dalle mine antiuomo e altre forme di miserie che da quando sono nato
vengono accostate a demenze e spettacoli demenziali. Sembra un
immenso cartone animato dove i cattivi diventano pagliacci e i buoni
lo sono già. Cosa si può dire a proposito? Niente! Ma non basta.
Allora mi rullo una canna e la fumo con Eva che mi ha detto che di
solito fuma dei sigari, che ragazza strana: capelli biondo scuro, occhi
verdi, mette sempre delle salopette marroni e non usa trucco per il
viso, porta un paio di grossi occhiali a forma di oblò, montatura rosso
porpora con delle lenti affumicate violacee; mi guarda sempre e parla
poco, io non so cosa dire ma di una cosa sono sicuro: se la memoria
non le torna dovremo andare da quel Rivus che sicuramente era con
lei quella notte.
Quei pezzi di merda sono proprio scappati senza di me, penso mentre
ascolto Station, il sistema sonoro di cui mi aveva parlato, il suo
preferito, quello che fece sbavare l'allegra brigata della MSsoft e devo
ammettere che è proprio bello. Sono le sedici; Eva si decide: andiamo
a trovare Rivus.
30
Eva
Arriviamo ad un vecchio edificio senza finestre. Eva dice -E' questo, è
la MSsoft-, poi ci avviciniamo all'unica entrata: un portone in metallo
blindato, subito si accende una luce. Dopo circa due minuti una
signora sulla quarantina, alta e robusta ma con una divisa elegante,
dove il simbolo della MSsoft spadroneggia all'altezza del petto, ci apre
e noi entriamo. Subito Eva si pronuncia -Dovrei parlare con il signor
Rivus.- e la tipa le fa -Come scusi? Il signor Rivus? Qui non c'è
nessun signor Rivus.- allora Eva stupita chiede nuovamente -Roman
Rivus, ho parlato con lui una settimana fa...- la tipa sorride, mi guarda
come per dire: “Questi straccioni non sanno dove sono” e prosegue
-Le ripeto signorina che qui non c'è nessun signor Rivus e che se ha
intenzione di scherzare o prendere in giro qualcuno non si trova di
certo nel posto giusto. Adesso vi prego di uscire e andarvene
altrimenti sarò costretta a chiamare la sicurezza; ok?- Eva mi guarda, è
stupita e non sa cosa dire. Io dico -Andiamocene da sto manicomio!- e
lei annuisce, così usciamo e camminiamo un po', tanto per parlare
mentre io penso: “Cosa può essere successo, mi ha raccontato delle
balle lei o sono tutti matti li dentro?”. Camminiamo e passiamo in
mezzo a strade, case e palazzi, con fare solenne e patetico.
Arriviamo a casa e chiedo a Rashi consiglio ma mi dice che è nervoso
e che secondo lui c'è poco da fare: o si prende, si fa fagotto e si lascia
quella che secondo lui è una psicopatica in cerca di cazzo, o si rimane
un altro po', si scrocca qualche pasto e poi la si convince ad
ammazzarsi per poter occupare la casa. Rashi è sempre così
impulsivo, sempre pronto ad abbaiare per un nonnulla e siccome io
sono un tipo fondamentalmente tranquillo, specialmente quando mi
faccio di keta, cerco di spiegargli che prima di prendere una decisione
affrettata bisogna pensarci un attimino, valutare tutte le possibili
soluzioni, i pro e i contro di ogni eventuale scelta e poi trarre le tanto
ambite conclusioni, in pace con se stessi e gli altri. Io faccio parte
31
Eva
della razza umana e certe cose le capisco per istinto, questo non per
dire che lui non ne ha ma di certo il suo istinto è più grezzo mentre noi
uomini abbiamo voglia anche di ragionarci un po' su sulle cose;
giusto? Vedo Rashi spulciarsi un po', poi si addormenta, spero che
abbia capito la lezione: sogni d'oro animale mio.
Passano altri due giorni, non stiamo facendo un cazzo, anche se ci
stiamo conoscendo quasi in silenzio, mi sento come un fantasma
catapultato per caso all'improvviso all'interno della sua vita, non posso
fare niente, osservo e penso, ma neanche tanto... Rashi è sempre più
nervoso.
Passano altri due giorni, non stiamo facendo un cazzo, anche se ci
stiamo conoscendo quasi in silenzio, mi sento come un fantasma
catapultato per caso all'improvviso all'interno della sua vita, non posso
fare niente, osservo e penso, ma neanche tanto...Rashi è sempre più
nervoso.
Passano altri due giorni, non stiamo facendo un cazzo, anche se ci
stiamo conoscendo quasi in silenzio, mi sento come un fantasma
catapultato per caso all'improvviso all'interno della sua vita, non posso
fare niente, osservo e penso, ma neanche tanto...Rashi è sempre più
nervoso.
Passano altri due giorni, non stiamo facendo un cazzo, anche se ci
stiamo conoscendo quasi in silenzio, mi sento come un fantasma
catapultato per caso all'improvviso all'interno della sua figa, non posso
fare niente, osservo e penso, ma neanche tanto...Rashi è sempre più
nervoso.
Passano altri due giorni, non stiamo facendo un cazzo, anche se ci
stiamo conoscendo quasi in silenzio, mi sento come un fantasma
catapultato per caso all'improvviso all'interno della sua vita, non posso
fare niente, osservo e penso, ma neanche tanto...Rashi è sempre più
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Eva
nervoso.
Passano altri due giorni, non stiamo facendo un cazzo, anche se ci
stiamo conoscendo quasi in silenzio, mi sento come un fantasma
catapultato per caso all'improvviso all'interno della sua vita, non posso
fare niente, osservo e penso, ma neanche tanto...Rashi è sempre più
nervoso.
Rashi è sempre più nervoso...
Alcune gesta di Eva rapivano la mia attenzione: quel suo modo di
muoversi a volte pacato da un neanche tanto celato imbarazzo, era
quasi compiaciuta nel far emergere un lato fanciullesco, indifeso del
suo carattere, come se stesse per cadere tra le braccia di qualcuno per
confidare chissà quali segreti. Questa sua indole la potevo non solo
osservare ma anche studiare, smembrare e analizzare a fondo.
Dapprima i suoi capelli: sembrava volessero accarezzarla, similmente
a fili elettrici percorsi da una leggera scossa, la sua chioma respirava,
ondeggiava, volava... dopo la doccia era un'alga bellissima. Poi i piedi
erano come due piccole lumache, lente e incerte ma vive! Si spostava
e comunicava con quei piedini pieni di emozioni, pieni di autonomia
tanto che se lei diceva una cosa che non pensava, i suoi piedi
cambiavano direzione; una volta mi è sembrato di vederla camminare
all'indietro come un gambero, forse i suoi piedi si sono rifiutati di
assecondarla in qualche stupida scelta come quella di andare a letto o
di privarsi di qualche altra ora con me. I suoi piedi scalzi erano
sublimi perché le dita diventavano singoli elementi, indipendenti,
capaci di rivendicare il proprio spazio ed il proprio volere. Il pollice
sembrava essere il capo per via della sua stazza ma in realtà non lo era
perché ad ogni pericolo era il primo a ritirarsi e lasciava sempre posto
al medio il quale avrei voluto addentare più di qualche volta: era una
patatina fritta! Anche il mignolo aveva un bel caratterino, sempre
33
Eva
pronto a graffiare, quando sarebbe cresciuto non avrebbe certo esitato
a farsi posto tra gl'altri, ma ora non poteva ancora. In fine c'erano le
mani: simbolo supremo di Eva. Le sue mani mi stavano catturando
completamente, lei toccava ogni cosa in un modo molto strano,
sembrava quasi che gli oggetti potessero essere penetrati dalle sue
mani le quali prima raggiungevano il contatto imbarazzato con la
materia, poi si estendevano da essa come tentacoli d'avorio, infine il
calore si sprigionava dal gesto come se la matita o la maglietta o il
posacenere che toccava diventassero un tutt'uno con Eva.
Un giorno in cui Rashi era tranquillo e sereno Eva avvertì un forte
dolore proprio alla mano destra, come un crampo polarizzante
improvviso. Non sapendo di cosa si potesse trattare lasciammo
perdere e non prestammo molta attenzione a quella fitta. Pochi giorni
dopo però la cosa si ripeté per ben tre volte nell'arco di un'ora, poi in
seguito per altri quattro giorni finché Eva decise di rivolgersi ad un
medico. Dopo numerose analisi la terribile notizia arrivò: Eva aveva
contratto un nuovo virus del tutto sconosciuto ed era anche incinta!
Non prestai attenzione alle stronzate che mi disse Rashi cioè che la
notte prima Eva tentò di masturbarlo ripetutamente e che ora teme di
essere infetto da quel virus, rompeva il cazzo per andare da un
veterinario, ma te guarda se un cane deve essere così paranoico ed
isterico. Per azzittirlo lo minacciai di portarlo in un fottuto canile
senza cagne a marcire e in cambio avrei preso un criceto. La
situazione era tragica cazzo! E' stato sicuramente quel Rivus a
violentarla, metterla incinta e infettarla e poi è scappato come uno
scoiattolo tra gl'alberi. Ma la cosa che mi faceva più incazzare era
l'impossibilità di fare qualsiasi mossa. Non si poteva rintracciare
perché probabilmente alla Mssoft. aveva dato precise istruzioni, non si
poteva denunciare alla polizia perché sarebbe emersa tutta la verità,
34
Eva
non si poteva comprarlo perché non avevamo soldi: niente di niente e
poi ancora niente! Avevamo le mani legate.
Lentamente i giorni passavano, Eva era sempre più triste e dolente. Il
dolore la stava dilaniando gradualmente come una lama di metallo
fredda ghiacciata (perché deve sempre essere calda?), passa attraverso
i tessuti per raggiungere gli organi non vitali, quelli che ti fanno
sputare sangue. La prima fase era questa: quella del dolore, l'inizio
della caduta all'inferno. Sentiva le cellule morire sulla sua carne,
divorate da altre cellule impazzite, una guerra microscopica interna:
siamo noi stessi che ci uccidiamo e non abbiamo nemmeno il diritto
di scegliere come. I suoi pensieri erano tutti proiettati sul come
sopportare il dolore: se fosse morta soffocata? Se fosse morta per un
ictus improvviso? Se fosse morta dopo una lunga agonia che paralizza
gradualmente il corpo? Se fosse morta cieca, sorda, muta? Se fosse
morta sputando sangue e tossendo con il sangue nello stomaco per
qualche emorragia intestinale? Quante morti esistono? Qual è la più
dolorosa? Come si può sopportare il dolore? Aveva una paura fottuta
di soffrire, la vedevo piangere e gemere di dolore. Non ci sono modi
per non soffrire perché non ci sono modi per non vivere, tranne la
morte. Ma se vedessimo le cose al contrario potremmo anche dire che
non ci sono modi per non vivere tranne l'assenza di vita e che quindi
ogni cosa deve essere vissuta... certo però che una scopata è vissuta
come cosa buona, ma una malattia non proprio.
Ma cosa spaventa tanto nella sofferenza, il fatto di perdere il
controllo? Il fatto di sentire il proprio corpo come qualcosa di nuovo?
Perché è di questo che si tratta: sentire a tutti i livelli il proprio corpo
che scalcia, si ribella, lotta: la micro guerra e la macro guerra ovvero
cellule contro cellule e uomini contro uomini oppure cellule contro
uomini e uomini contro cellule. No. Non è possibile mettersi contro le
35
Eva
cellule, sono troppo piccole per noi, noi dobbiamo metterci contro gli
uomini che sono della nostra stazza. Rashi non può spaccare i maroni
a me perché altrimenti gli do un pugno in testa e lo stendo, si deve
mettere contro i cani perché gli sono più affini. Ogni categoria può
capirsi... ma si deve combattere per sopravvivere! E' come se una
cellula dicesse alla sua rivale: “Guarda, io sono come te ma di un'altra
specie cioè virale quindi devo ucciderti ma non perché ho qualcosa
contro di te, siamo entrambe cellule, solo che tu devi morire”. Non c'è
motivo per queste cose, non c'è un motivo valido per uccidere: si
uccide solo perché si deve uccidere e si vive solo perché si deve
morire.
Oggi Eva piangeva ancora ma cominciando a capire che il dolore non
può essere scelto, come anche la morte, né tanto meno distrutto perché
fa parte di noi e se distruggi te stesso comunque muori. Tanto vale
assecondarlo, lasciarlo fare, prima o poi finirà di fare la sua guerra,
ogni cosa finisce se ti può consolare, ma ogni cosa poi ricomincia se ti
può demoralizzare e col piacere vige la stessa regola: ecco siamo pari!
Allora uno a uno, la partita è aperta, il gioco ricomincia, bisogna
lasciare trascorrere un po' di tempo prima di fare le scommesse, un
gioco può essere anche divertente. Perché godiamo solo di alcune
cose? La penetrazione anale è dolore o piacere? Lavarsi i denti fino a
far sanguinare le gengive ogni giorno è mania o igiene? Un chiodo sul
muro o sulla lingua è male o bene? Chi siamo noi per decidere cosa è
male o cosa è bene? Noi non siamo nulla, nothing, nada... non siamo
nulla ma non siamo soli: dentro di noi c'è vita che respira! È questo
l'errore: non considerare tutto il nostro corpo ma solo la nostra
coscienza la quale non può che darci una visione parziale del nostro
essere cioè quella più esteriore, più cerebrale che non considera il
corpo, non gli da la giusta dignità. Dentro di noi c'è un patrimonio di
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Eva
vita muta ma attiva, senziente, che si muove e decide dove andare e
cosa fare: sono i neurotrasmettitori, i tessuti che si riformano, i
collegamenti ghiandolari del cervello, le cellule e le mucose, la flora
intestinale, i globuli rossi ed i globuli bianchi, ed altre miriadi di
“presenze vive” nel nostro organismo. Se ci potessimo conoscere
dentro ci piaceremmo ugualmente? Ci piacerebbero le nostre mucose,
l'intestino infiammato, Le pareti delle arterie, le tonsille, i tessuti grigi
e pulsanti come molluschi del nostro cervello? Perché ci schifa tutto
ciò? La risposta è semplice: non siamo abituati a vederlo. Viviamo
nell'illusione della bellezza e muoriamo nell'ignoranza della forma.
Ecco cosa spaventa: il conoscere se stessi. Eva piange, io parlo con lei,
ma il dolore le sta offuscando la ragione. Non bisogna mai perdere la
ragione... o meglio bisognerebbe.
Superata la fase in cui il dolore è al centro dell'attenzione, prende il
sopravvento la paura della morte. A questo punto ogni cosa diventa
futile ed insignificante. Perché vivere? Perché dover esser presenti in
ogni momento alle discussioni inutili tra amici o parenti, all'altalenare
delle emozioni che serpeggia tra le stagioni e all'insignificanza della
vita stessa? Tutto perde di senso, le persone si ammucchiano, si
rincorrono, cercano di sfuggire a se stesse, si combattono, si cercano e
poi sognano, sognano e sognano ancora una vita che non hanno.
Questo marasma di infinite vite sconnesse è apparentemente quello
che i spagnoli chiamerebbero un: “trabajo de mierda” ma che in realtà
nasconde qualcosa. Il panico, l'agitazione ed il rumore di ogni giorno
tende a portarci fuori strada ma basta un po' di calma per penetrare
questo qualcosa... non è facile, non è facile.
La prima cosa a cui si pensa, quando della vita pian piano ci si fa
un'idea, è che comunque esiste un giusto (persona, essere, animale,
mondo, artista, scuola, religione, stato, morale, comportamento,
amico, colore, canzone, cibo, eroe, modo di essere, pensiero, stimolo
37
Eva
sessuale,ecc.ecc.) che è anche buono ed uno sbagliato che guarda caso
è anche cattivo. Ora il problema, o se vogliamo i problemi, derivano
proprio da questa scissione e cioè dall'eterna indecisione circa il
famoso centro di gravità permanente al quale noi attribuiamo
istintivamente le qualità di giusto o di buono od entrambe. Eva era
giunta a questa felice conclusione dopo millenni di indecisioni sul suo
passato e soprattutto sul suo presente: ogni individuo ha un proprio
modo di essere che deve sforzasi a non catalogare: chi classifica se
stesso classifica inevitabilmente anche gli altri. Ora Eva non voleva
classificazioni, era così ed era diventata quello che era perché la sua
strada fu proprio quella che scelse, senza giusti ne sbagliati, senza
giudici ne giurati! Si sentiva pienamente se stessa, libera anche se
morente, ed io non seppi resistere: provai un senso di strana
benevolenza nei suoi confronti misto a stima e tenerezza.
Un giorno la osservai per ore mentre dormiva e una luce si accese nel
mio cuore. La presi tra le mie braccia e la baciai. Poi ci spogliammo
ferocemente, strappandoci le magliette, poi via i calzoni. Le baciai i
seni e le succhiai i capezzoli, lei intanto mi succhiava sul collo. Le
aprii le natiche come per spezzare una pagnotta in due e cominciai a
ruotare un dito attorno al buco del culo che pian piano si bagnava per
gli umori che colavano lentamente dalla vagina. A quel punto glielo
infilai tutto dentro e poi cominciai a muovermi lentamente dando di
tanto in tanto dei colpi secchi ed affondando tutto il mio pene dentro,
di scatto come un castoro: lei strillava dal piacere ed ansimava di
continuo. La tenevo per i capelli e le vedevo i piedi tanto bramati
contorcersi dal piacere. Ma la cosa divenne seria quando finalmente
portò le mani alla mia bocca. Le sue mani, le sue divine dita affusolate
con le quali componeva i suoi magnifici sistemi sonori, ora le stavo
leccando e baciando. Mi rendevo conto che sarei stato da lì a poco
anch'io infetto da quell'orribile virus. Rashi fece capolino, abbassò la
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Eva
testa e se ne andò... certe cose i cani non le possono capire.
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L'isola degli artisti dannati
Non ricordo nulla, so solo di essermi svegliato in quell'isola. La
vegetazione sembrava piuttosto smunta e a sovrastare il paesaggio
s'imponevano dei grossi crostoni rocciosi. All'orizzonte solo mare,
anche se l'isola sembrava prolungarsi al lato est perché la montagna
proseguiva, ma l'ipotesi che finisse subito a strapiombo sul mare non
era da esludere, d'altronde da quella posizione non si vedeva. Tutta la
spiaggia sembrava essere costituita da una sorta di corazza vischiosa
che assomiglia come durezza alla roccia ma come corposità ad una
cozza enorme: un manto estremamente duro e dal colore verde scuro
con chiazze marroni e zone completamente nere.
La prima cosa che feci fu cercare qualche abitante per rendermi conto
dove fossi finito, per capire cosa avrei potuto fare per tornare da dove
venivo, Barcellona, ma non trovai nessuno. A Barcellona il mare non
è così bello, Barcellona però lo è molto. E' l'arte che la rende così
viva, l'arte che si respira tra le strade, sulle piazze, dappertutto.
Anch'io sono uno di quei disoccupati saltuari da metropoli che
chiamano artisti. Faccio graffiti in città ma utilizzando delle tecniche
molto particolari, cioè dei colori che sono riuscito a sintetizzare
partendo dal silicio e che hanno un grado di saturità molto elevato.
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L'isola degli artisti dannati
Lavoro a volte per piccoli locali notturni: creo sfondi e scenari;
idealizzo strutture armoniche con combinazioni cromatiche per edifici,
ville, pub; creo icone, simboli, loghi per agenzie in rete; lavoro anche
con la computer grafica e mi piace scopare. Ricordo che un giorno,
qualche anno fa, un mio amico di Londra mi chiamò a casa sua a Fish
bury park e mi commissionò un lavoro per una ditta di scarpe: si
trattava di una sorta di città virtuale dove tutte le persone erano
piedoni giganti e le case dovevano diventare scarpe. Questo lavoro fu
la mia fortuna, guadagnai più di 100.000 biglettoni ed il mio nome
comparve in una serie di siti e riviste che mi lanciarono più come
grafico che come graffeitaro. Le richieste da allora di collaborazione
con diverse ditte ed anche multinazionali salirono fino alle stelle ma il
problema è un altro: io della computer graphic o dell'animazione
virtuale me ne fotto. Non ci trovo nulla di entusiasmante a stare giorni,
mesi, anni di fronte ad un monitor smanettando con il topo di plastica
come un celebroleso. Io voglio fare graffiti e spararmi gomme! Morirò
di fame lo so. In quell'isola comunque di pesce ce n'era, eccome…il
problema non era neanche l'acqua perché dalla montagna sgorgava un
piccolo ruscello che si perdeva poi tra il fogliame per comparire di
nuovo in prossimità del mare. Una zona, quella prima del fogliame,
era costituita da una conca di dimensioni notevoli rispetto al letto del
fiume e di larghezza quasi doppia alla profondità. In quella zona era
possibile, oltre ad attingere comodamente la fresca bevanda naturale,
anche farci il bagno con tanto di pennichella a ridosso del fiume che
però stranamente non era avvolto dal canto degli uccelli e dal fruscio
del vento tra le foglie. Bisogna ammetterlo però: la vegetazione era
veramente rara, come le persone che anzi per adesso erano del tutto
inesistenti.
La ricerca di compagni o comunque di presenze animali non
acquatiche si accompagnava ormai ogni giorno dopo la pesca. Imparai
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L'isola degli artisti dannati
ad uccidere dei strani pesciolini completamente bianchi utilizzando un
richiamo antico: la luce riflessa da un medaglione d'argento che
tenevo sempre al collo. M'ero costruito un arpione ed un legno
appuntito utilizzando qualche pietra e qualche arbusto che trovai in
giro. Il problema era muoversi sopra quella spiaggia crostosa che ti
faceva scivolare in continuazione, così pensai che le pietre sarebbero
potute servire anche come suole per ipotetiche scarpe e una cosa
simile forse l'avevo vista fare in un film. La cosa più difficile fu
costruirmi un lettino con alghe e foglie di fico che piazzai ad altezza
della terra…tanto di animali o bestie strane neanche l'ombra.
I giorni passavano velocemente e la tristezza si faceva lentamente
posto perché la speranza di trovare qualcuno stava svanendo. Scoprii
un giorno per caso che delle piante e delle pietre perdevano colore
rosso e giallo solo toccandole. Questa scoperta mi aiutò ad ammazzare
il tempo perché da allora mi misi subito a dipingere, colorare e
disegnare tutto quello che trovavo, stavo personalizzando l'isola ma la
cosa più sorprendente fu quando raggiunsi con i colori la spiaggia. La
corazza vischiosa sembrava essere un'enorme tela la quale, solcandone
la superficie con un oggetto contundente, faceva emergere in
superficie un liquido molto denso di colore blu. A quel punto ottenni
tutti i colori primari ed il massimo di libertà nel creare tutte le
combinazioni possibili. Riuscii a sintetizzare i miei colori e mi misi al
lavoro. Quella superficie vischiosa sembrava perfetta per il colore che
veniva assorbito come china su un foglio di carta igienica. Dopo circa
una settimana la spiaggia divenne un'enorme quadro esposto alla luce
del sole ed al moto circolare delle onde.
Stavo ore ed ore seduto su questa sorta di battigia multicolore quando
all'improvviso udii un rumore provenire dalla parte est dell'isola. A
quel punto mi alzai di scatto e mi inoltrai sopra le rocce. La cosa più
difficile però rimaneva la scalata che fino ad allora mi ebbe impedito
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L'isola degli artisti dannati
di attraversare quella zona che sembrava continuare. Mi cimentai
portando con me solo un bastone appuntito, ero deciso ad attraversare
quella parte che altrimenti mi avrebbe diviso per sempre da un
possibile villaggio o anche persona o forse solo animale. Di una cosa
ero però convinto: se non fossi andato non avrei mai capito il motivo
per cui mi trovavo in quel posto da ormai troppi giorni. Mi avvicinai
ad un crostone roccioso e guardando in basso fui colpito da una
sorprendente coincidenza: il quadro gigante che avevo disegnato sulla
spiaggia raffigurava proprio quel crostone, dietro di esso si trovava un
passaggio, una grotta. Preso dall'eccitazione e dalla curiosità scavalcai
il crostone che fino ad allora avevo ignorato e mi precipitai dall'altra
parte. La meraviglia prese il sopravvento, la grotta esisteva davvero,
non potevo crederci. Entrai e la percorsi velocemente, si trattava di un
passaggio stretto e lungo che mi portò in un'altra parte dell'isola di
forma e dimensioni perfettamente uguali a quella dalla quale ero
venuto ma con un' allucinante differenza: a lavorare sulla spiaggia,
questa volta in veste di scultore, c'era una donna, bellissima! Scesi
velocemente e mi avvicinai a lei, ci guardammo entrambi con un
enorme punto di domanda negl'occhi. Scoprimmo di essere capitati
entrambi per caso in quell'isola calendoscopica, senza ricordarne il
motivo, e di aver sviluppato la propria arte grazie a quella spiaggia o
meglio a quella corazza che nel suo caso, come mi raccontò, fece
emergere una poltiglia molto e densa facile da modellare ma una volta
essiccata dura come il marmo.
Lei è scultrice e architetto, il suo nome è Consuelo e viene da Città del
Mexico. Ha una carnagione scura, non è molto alta e come tipico dei
messicani gli occhi arrossati. A quel punto gli raccontai come
raggiungere una nuova spiaggia: visto che le nostre due erano
identiche, perché non ci dovrebbe essere stato lo stesso passaggio
anche sopra il crostone della sua?
43
L'isola degli artisti dannati
La mia teoria non venne smentita: percorremmo la caverna e
scoprimmo una nuova spiaggia completamente uguale alle precedenti
se non fosse per le tracce di una nuova attività artistica: la scrittura.
L'artefice questa volta era uno strano tizio dai lunghi capelli grigi e
dall'aria gretta; aveva trasformato la crosta in una sorta di grande book
pieno di righe scritte a mano e quando arrivammo stava ancora
scrivendo. Utilizzava il becco di un pesce come penna e da sotto la
crosta solcata compariva un liquido oleoso simile ad inchiostro blu.
Non so cosa avesse da dire ma è certo che si sentiva molto solo,
altrimenti non avrebbe mai scritto tutta quella roba. Consuelo ed io
non sapevamo cosa fare: presentarsi all'uomo e continuare la ricerca
con lui? Rimanere in disparte per osservarlo?
Decidemmo di sostare un istante per provare a trarre qualche
conclusione o almeno stipulare qualche ipotesi, certo la mia testa non
pullulava di idee ma qualcosa l'avevo pensato. Le ipotesi che
formulammo ovviamente erano del tutto errate, non avremmo mai
potuto immaginare una cosa simile. Comunque questa sosta dentro la
grotta ci servì per riordinare le idee e conoscerci meglio. Lei sembrava
una sirena, portava una gonna di alghe essiccate la quale emanava un
odore selvaggio ma molto, molto attraente. Me la immaginavo da sola
in quell'isola spogliarsi e fare il bagno nella conca del fiume, quella
perfettamente uguale alla mia, camminare per la pseudo spiaggia con
l'arpione in mano per pescare, scivolare presso le rocce e farsi
male…avrei volentieri curato quella povera sirena senza dimora. Le
sue magnifiche sculture nate da quella poltiglia verdastra
raffiguravano personaggi della mitologia greca come Telepora, la
figlia di Eolo, o il grande Achille. Se mi avesse chiesto di scopare al
posto del naso come pinocchio mi sarebbe cresciuto l'uccello come
Rocco perché non avrei resistito alla tentazione di dire: “Prima
dobbiamo tirarci fuori da questo brutto guaio baby!” per poi invece
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L'isola degli artisti dannati
saltargli addosso mettendola veramente nei pasticci. La nostra era una
strana attrazione tipo: “Vorrei fossimo in un'isola deserta per
violentarti ma visto che siamo in un'isola deserta per salvarci la pelle il
sesso può aspettare”. E' una sensazione strana quella che si prova:
niente macchine ne moto, niente tabaccai ma neanche tabacco, niente
fila al supermercato, niente tasse da pagare, insomma niente di
niente…a parte se sessi. Molti filosofi e pensatori nell'arco di un paio
di secoli a questa parte hanno provato ad immaginare l'uomo
assolutamente “puro”, non dipendente da altri fattori esterni, privo di
benessere e privo di beni, senza donna e senza famiglia, senza
tecnologia o psicologie, senza tentazioni o vizi di ogni genere. Beh, io
penso che prima o poi uno se li faccia venire o se li vada a cercare, la
corrente elettrica non può essere considerata una comodità, neanche la
fica è una comodità: o devi sgobbare per averla o devi sgobbare
perché lei non abbia te. La fica è come un cavallo selvaggio, si può
cavalcare quando lo prendi, ma prima o poi ti butta giù. Tanto vale
divertirsi finché si è in tempo. Mio zio diceva sempre: “Ci sono tre
cose che non devi mai dire ad una ragazza. La prima è hai voglia di
scopare? La seconda: ho voglia di scopare! E la terza: non ho voglia di
scopare!” Io credo che con Consuelo questa regola dello zio sia
servita: scopammo dopo qualche ora di conversazione e che scopata!
Mi innamorai subito di lei e non ci fu niente da fare. La nostra storia
era ormai avviata e io mi immaginavo già una capanna con tanti
figlioli da far crescere…in realtà mi sentivo un po' solo. Perché allora
non continuare? Perché non provare a scoprire il resto dell'isola visto
che il momento di riflessione fu solo un pretesto per accoppiarci?
Scendemmo dall'uomo gretto che scriveva e scoprimmo che anch'egli
non ricordava assolutamente nulla di come e in che circostanze era
giunto nell'isola e gli raccontammo tutta la storia. Si chiama Josh e fa
lo scrittore a Los Angeles da più di vent'anni, scrive romanzi e poesie,
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L'isola degli artisti dannati
niente racconti. La sua fortuna fu quella di conoscere lo spagnolo visto
che né io né Consuelo parliamo l'inglese.
Decidemmo di continuare tutti assieme verso la nuova spiaggia che
ovviamente era uguale alle altre. In questa si trovava un altro artista di
nome Filippe: il musicista. Filippe era francese ed io per fortuna il
francese lo conosco. Occhi azzurri, capelli castano chiari e un grosso
neo proprio in fronte. Non ho mai conosciuto una persona affascinante
come lui, ma allo stesso tempo un po' ambigua, non lasciava trasparire
dal tutto i suoi pensieri. Il suo volto sembrava piuttosto freddo,
distaccato anche se in quel posto la diffidenza va a farsi fottere. Lui
suonava quella crosta percotendola come se fosse un gran tamburo. La
utilizzava anche come arco graffiandone la superficie. Era veramente
in gamba. Le sue melodie assomigliavano agl'echi del vento ed al
ritmo del mare. Tutti lo stesso destino folle, tutti la stessa storia NON
STORIA. Ora, sempre più curiosi ci spostammo tutti assieme verso la
caverna di Filippe nella convinzione di trovare una nuova parte
dell'isola uguale alle precedenti, un nuovo artista, una nuova storia
senza memoria, ma con gran sorpresa ed anche delusione ci
ritrovammo nella mia spiaggia: l'isola era finita, avevamo percorso
tutta la sua circonferenza ritornando al punto di partenza.
Purtroppo non c'era più niente che potessimo fare, almeno così
sembrava.
Con il passare dei giorni si instaurò un certo clima di strana
competitività fra noi, più ci si conosceva e più quello che nell'isola era
il prodotto della nostra arte sembrava entrare in conflitto con il
prodotto degl'altri. Ogn'uno di noi pensava a farsi notare con qualcosa
di sempre più bizzarro e strabiliante. Aumentò così anche l'invidia ed
una subdola lotta finì per degenerare in vera e propria guerra. Sentivo
strani rumori di notte provenire dalla spiaggia di Filippe che mi
inquietavano. Aveva costruito una zona fatta di pietre appese a fili che
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L'isola degli artisti dannati
penzolavano con il vento. Lui si nascondeva tra le pietre per emettere
dei suoni con la bocca e con i denti, sono sicuro perché una volta l'ho
visto muoversi. Una strana luce brillava nei suoi occhi: era rabbia, si
stava trasformando in una belva. Emetteva suoni orribili, selvaggi, le
corde vocali stridevano e rantoli spasmodici penetravano come lame
dentro le nostre orecchie, su fino al cervello. Emetteva suoni di morte,
terrificanti che non facevano dormire la notte. Un giorno Josh impazzì
e lo uccise durante una lite. I due stavano litigando ormai da diverso
tempo. Filippe lo provocava raschiando con una pietra le parole scritte
da Josh sul manto della spiaggia. In un posto dove non ci sono leggi
non si può condannare nessuno. Entrambi decisero di combattere tra
loro come belve feroci, con astuzia ed intelletto: la tragedia fu
inevitabile. Io credo che da li a poco saremmo impazziti tutti se non
avessimo scoperto il sentiero, ma quello fu dopo, prima ci fu il delirio
di Josh. Questo scrittore californiano non riuscendo a farsene una
ragione del perché di tutto ciò, si auto convinse che la sua condizione
era quella di un naufrago in attesa della nave della salvezza. Rimaneva
ore ed ore davanti al mare, in piedi di giorno e seduto di notte. Ogni
tanto gridava: “Hey! Hey! Qui! Qui! Non mi vedete? Venitemi a
prendere maledetti figli di puttana! Non vorrete lasciarmi qui per
sempre?” Ogni giorno che passava la sua ansia di essere caricato a
bordo della nave, che però non c'era, aumentava esponenzialmente.
Gridava, si dimenava, camminava avanti ed indietro ansiosamente,
senza pace. Una sera Consuelo cercò di calmarlo ma purtroppo non ci
fu niente da fare, le gettò contro una pietra dicendogli che se non se ne
sarebbe andata avrebbe fatto compagnia a quella checca di francese.
Era tutto inutile, ormai pensava che io e Consuelo complottassimo
contro di lui. Era nella paranoia più assoluta, ci accusava di essere
pazzi e di farlo diventare pazzo pure lui. Non dimenticherò mai quella
volta che cercò di strozzarmi perché scherzando feci finta di avvistare
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L'isola degli artisti dannati
una nave. La situazione era pesante, insostenibile. Anche la sua voce
ormai diventava un rumore insopportabile.
Una notte lo sentimmo gridare a squarcia gola, poi si alzò
all'improvviso e si gettò in mare: “Eccomi! Vi raggiungo! Sto per
arrivare, guai a voi se vi muovete maledetti pescatori!” Era così
convinto di avere visto quella nave che arrivò a nuoto fino a chissà
dove. Dopo una settimana ritrovammo il suo cadavere sulla spiaggia.
Io e Consuelo eravamo ormai gli ultimi superstiti e per fortuna
eravamo anche qualcosa in più che superstiti. Con lei mi sembrava che
il tempo non passasse, mi sembrava che nonostante tutto stare li fosse
come stare da qualsiasi altra parte. Poi scoprimmo il sentiero. Si
trattava di una sorta di ruscello ormai secco che portava verso la cima
della montagna. Non c'erano altri sistemi per arrivare visto che il
terreno e le rocce non lo permettevano. Quella scoperta fu decisiva per
svelare il mistero, per scoprire quello che fino ad allora tutti si erano
chiesti: “Come siamo giunti in questo posto e che razza di posto è
questo?” La strada non era delle migliori, Consuelo cadde più volte ed
io rischiai di rotolare giù fino alla spiaggia mettendo un piede nel
posto sbagliato. Eravamo stremati quando arrivammo in cima.
Avevamo comminato per non so quanto tempo. Tutto sembrava
irreale: l'ambiente, la nostra condizione, l'aria e perfino il sole che
rimaneva sempre alto sopra il promontorio roccioso. La vita stava
quasi per svanire, un senso di sfinimento si faceva sempre più forte.
Quando raggiungemmo la cima crollammo a terra senza più forze
mentre il sole rimaneva sempre alto in cielo. Quel sole sembrava una
sfera di mille colori ma dalla luce bianca, non voleva scendere,
rimaneva sempre là ad ardere senza tregua.
Credo che dormimmo per qualche ora o forse per molte ore e quando
ci risvegliammo eravamo sempre li sotto il sole. La sete era svanita, il
caldo pure, ma quel dannato sole no! Non potevo pensare di essere
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L'isola degli artisti dannati
impazzito ed inpreda a visioni perché anche Consuelo era coinvolta in
quella circostanza come me e proprio come la mia mente, anche la
sua, non riusciva a trovare una spiegazione sensata. Stavamo solo
aspettando in questo luogo surreale, sopra il cucuzzolo di una
montagna costituito solo da rocce e sassi, pensando che probabilmente
da li a poco saremmo morti senza cibo, senza acqua e con troppo sole
in testa.
Passarono altre ore credo quando guardando il sole, che non volendoci
abbandonare aveva occupato anche il centro della mia attenzione, mi
accorsi che qualcosa in esso non andava bene…non era come doveva
essere. Non so cosa mi colpì in quel momento ma ebbi come la
sensazione di vedere qualcosa di non reale, qualcosa di troppo “vero”
per essere vero. A quel punto chiamai Consuelo e la invitai a fissare il
sole, subito ne fu accecata ma quando gl'occhi suoi si abituarono a
quella strana luce, mi diede la conferma delle mie impressioni:
qualcosa non quadrava. Cercai allora di avvicinarmi il più possibile al
sole: misi assieme un po' di pietre, trovai dei legni e delle radici e
costruii una scala, la piazzai nel punto più alto della roccia e poi con
l'aiuto di Consuelo mi arrampicai fino all'ultimo gradino. Non mi
sembrava vero perché a quel punto mi resi conto di essere talmente
vicino da poterlo toccare. Tesi una mano, poi l'altra, poi allungai la
gamba e con un balzo ci entrai dentro!
Dopo questo non ricordo più nulla, un altro buco nella memoria, mi
risvegliai a casa mia non sapendo se si fosse trattato di un sogno, di
un' allucinazione o di pura pazzia. I tasselli che compongono un
mosaico devono essere selezionati con cura e pazienza per poter fare
un po' di ordine e ricostruire il disegno generale. La prima cosa che mi
venne in mente fu cercare di ricordare da quanto tempo mi trovassi
dentro la mia casa e per quanto tempo avessi dormito. Chiamai il
portiere, erano circa le 10, e gli chiesi quando mi vide rientrare e per
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L'isola degli artisti dannati
quanto tempo fossi rimasto fuori. Egli mi disse che non sapeva quando
fossi rientrato ma che l'ultima volta che mi vide uscire fu martedì sera,
circa una settimana prima. Scoprii in seguito che la mia vicina di casa
che vede tutto, la sera prima del mio “risveglio dall'isola”, mi vi vide
ritornare privo di sensi accompagnato da due uomini. La mia casa è
nei pressi di Sant Antoni e quindi, vista la distanza, mi portarono a
casa utilizzando probabilmente un taxi. Cercai di rintracciare tutti i
taxi che lavorarono quella sera, poi quelli che partirono da
Barcelloneta, poi quelli che andarono fuori servizio prima delle 23 che
era circa l'ora del mio rientro. Parlai con circa una ventina di taxisti
ma nessuno mi riconobbe. Stavo per perdere la speranza quando un
vecchio taxista ubriacone si ricordò che un suo collega gli aveva
parlato di due strani tizi che pagarono il doppio della corsa per
arrivare in meno di mezzora a destinazione e che avevano sotto
braccio un ragazzo che corrispondeva alla mia descrizione. Mi feci
dare subito il numero e chiamai questo taxi. Quando arrivò il taxista
stava litigando con la moglie al telefono ed il suo umore non era al
massimo. Salii e chiesi all'uomo di portarmi al Park Guell. Aspettai
qualche minuto per essere riconosciuto ma non funzionò, il taxista era
troppo distratto dalla lite coniugare. Gli allungai 10 euro e gli chiesi se
gli sembravo una faccia nuova. Esitò per qualche istante e poi
cominciò a parlare -Hey, lo sai che adesso mi ricordo di te! Si, si sei
quel ragazzo che presi su la scorsa settimana con quei tipi strani che
mi pagarono il doppio, adesso si ricordo. E' mia moglie che mi fa
andare fuori di senno! Lei continua a parlarmi come se fossi suo
figlio: “Non fare tardi, non bere, stai attento per la strada, non
guardare le puttane…” Sai che non ne posso più? Io quando avevo la
tua età andavo sempre a giocare a carte, certe volte vincevo, spesso
no. Ma adesso come faccio? Lei mi sta controllando! E' colpa di questi
maledetti micro sensori ottici, è colpa di questa mania di dover
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L'isola degli artisti dannati
monitorare tutto! Io me la sento sempre addosso, sento il suo alito sul
collo, è come se fosse qui con noi adesso con le sue larghe chiappe
bianche, seduta accanto a me. Lo so che mi sta guardando e ride di me
ma io sono più furbo di lei, io ho scoperto come fotterla, non a letto si
intende, io so come far finta di essere sempre in taxi…però non te lo
dico! No, no, no non chiedermelo.- Io rimasi zitto e attonito, non gli
stavo chiedendo niente e lui continuava a parlare, parlare, parlare
senza capire che quello che stava dicendo lo ripeteva solo per sé
stesso. Quando si calmò un poco cercai di fargli capire che avevo
cambiato idea riguardo la nostra prima destinazione e che ora la nuova
meta era quella del posto dove mi fecero salire la scorsa volta. Lo
convinsi, gli stavo simpatico, lui proseguì ancora - Ma vedi: sono
sicuro che lei si scopa qualche suo amichetto della ditta di
rappresentanti di cosmetici per cani. Dovessi poi vedere le sue amiche,
vanno in giro con i cani dentro le borsette di plastica trasparente. Lo
capisci cazzo! Sono delle esibizionisteputtaneborghesi del cazzo! Io
non mi voglio però arrabbiare con te, non voglio fare il cattivo perché
tu non centri niente, anzi se vuoi venirmi a trovare io sono sempre
qua, in questo taxi, e quando non c'è il taxi vuol dire che sono in
qualche bettola a giocare a poker. Che si fotta quella stronza, tanto so
come fregarla…- Non me lo disse mai come fregava la moglie, era il
suo segreto. Ad ogni modo mi fece arrivare a destinazione e mi
aggiudicò pure uno sconto dicendomi: “Bravo ragazzo! Tu sei uno di
quelli che sa scoltare! Ecco: il posto è questo.”
Entrai, si trattava di una specie di baretto losco gestito da brasiliani
strafatti di coca e subito ebbi come la sensazione di riconoscere uno di
loro. Mi avvicinai al banco ed ordinai una clara. La barista era una tipa
tutto tette e culo, capelli biondo ossigenato, sguardo da gattona
servizievole e modi da vera star di lotta sul fango. Mi sbatté la birra
sul dito come se fosse un chiodo da inchiodare al banco. Poi mi chiese
51
L'isola degli artisti dannati
3 biglettoni e se ne andò seguendo le lampadine verdi sparse sulla
vetrinetta con i liquori come se fosse un albero di natale da addobbare,
arrivò fino ad una porta semichiusa dietro lo scafale delle birre ed
uscì velocemente. Mentre stava chiudendo la porta dietro di sé
intravidi nello specchio posto di fronte, vicino all'entrata del locale,
una lunga scala che probabilmente portava al piano di sopra, ma forse
che collegava addirittura tutto il palazzo. Mi guardai intorno
scoprendo che tutti i presenti mi stavano osservando. C'era un uomo di
colore vestito da pescivendolo che si beveva una Estrella e fumava un
mini Havana in compagnia di altri due tizi che ridevano e fumavano
dell'erba aspra come un limone calabrese. Poi dall'altra parte, vicino
allo schermo del juke box, un uomo e una donna, lui con la faccia
sfregiata sorseggiava Wild Turkey senza ghiaccio e lei in calze a rete
nere aveva tutta l'aria della puttana. Non era una cosa strana che tutti
mi guardassero pensando che lo straniero in quel momento fossi io,
ma non sarebbe stata una cosa strana neanche se questi individui si
fossero fatti i fattacci loro. Non importava molto cosa facessero quelli
ma cosa stesse facendo quella splendida puledra scomparsa dietro il
bancone del bar. Non feci tempo a bere mezzo bicchiere, ed io devo
ammettere d'essere abbastanza rapido in queste cose, ma purtroppo
anche in altre, che si presentarono sulla porta due tizi vestiti di rosso
che rapidamente estrassero una pistola. Gli buttai la birra addosso e
scappai dentro la porticina dove era entrata la pupa. C'erano due
rampe di scale: una verso il sotterraneo e l'altra che portava al piano di
sopra, per un attimo ebbi come la sensazione di trovarmi in un dipinto
di Hasher, scelsi la seconda. Arrivato al piano superiore capitai di
fronte ad una porta blindata gigantesca, l'unica di tutto il piano.
Improvvisamente si aprì, come se qualcuno mi stesse già aspettando.
Entrai e vidi un immenso laboratorio con computer immensi e
piattaforme popolate da gente dormiente. Non credevo ai miei occhi.
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L'isola degli artisti dannati
“Che razza di posto è questo?” Chiesi a voce alta, subito si avvicinò
un uomo sulla cinquantina in giacca e cravatta e mi rispose: “Questo è
il laboratorio dei sogni” Mi fece cenno di seguirlo. Arrivammo in una
sorta di sala per le riunioni dove si trovavano altre cinque persone
tutte in giacca e cravatta e dall'aria molto professionale. Si rivolse a
me il più anziano facendomi segno di sedermi, io non opposi
resistenza. Tutto in quella stanza faceva pensare ad un gran lusso e
pulizia, tutto l'opposto della bettola di sotto: il tavolo di cristallo senza
neanche un'impronta, la luce diffusa da lampade al neon attraverso
una parete di stoffa bianca porosa nel soffitto, le sedie e le persone
allineate e simmetriche, la vetrata alle spalle affumicata e splendente, i
cestini ed i porta cenere vuoti, le facce composte e gli occhi sbarrati.
La decorazione del pavimento era studiata con grande cura
geometrica: ogni curva ed ogni linea retta era orientata in base alla
posizione degli oggetti e delle persone nella stanza. Cinque schermi
video erano posizionati in modo che tutti potessero vedere la stessa
immagine contemporaneamente e cogliere l'espressione sul viso di
tutti i presenti attraverso un gioco di specchi. L'illuminazione non era
né troppo forte né troppo debole in modo che ogni persona potesse
osservare ogni cosa allo stesso modo e senza sollecitazioni o disturbi
percettivi dell'ambiente circostante.
Appena mi sedetti uno di loro cominciò a parlare da solo, come
quando accendi la televisione e questa ti spara subito le sue minchiate.
Ma costui parlava di cose serie…mi disse -Sarò breve. Non so come
abbia fatto a rintracciare questo posto ma probabilmente ha avuto
degli informatori. In ogni caso lei adesso è qui e noi non possiamo
farci più nulla. Se è riuscito a cavarsela in quello che probabilmente
lei crede un sogno probabilmente un po' d'astuzia ce l' ha, spero solo
che saprà usarla nel modo giusto. Quello che lei ha visto cioè l'isola e
tutto il resto, si chiama M.I.C. cioè: “Metodo di interazione creativa”.53
L'isola degli artisti dannati
Io che forse non sono astuto come credevano, non ne stavo capendo
niente, ma non potevo interromperlo, altrimenti avrebbero subito
capito che ero all'oscuro di tutto e così sarei rimasto con un pugno di
mosche. Decisi allora di bleffare. Dissi con fare disinvolto -Di questo
ne ero al corrente…ma è altro che mi interessa: voglio sapere come
funziona!- Il tizio fece una breve pausa e poi proseguì -Vede la cosa è
molto semplice: una società come la nostra ha bisogno di un apporto
creativo molto elevato da poter offrire ai richiedenti nella
realizzazione di progetti virtuali. Il problema è che molte persone
come lei piene di talento non sono disposte ad accettare. Si ricorda
quella proposta del governo inglese in seguito a quel suo lavoro per la
città di scarpe? Lei follemente la rifiutò. Noi se abbiamo bisogno di
qualcosa ce la prendiamo. Il nostro ultimo progetto fu quello di
un'isola interattiva, completa di opere figurative, tracce di possibili
civiltà indigene, dove i detenuti condannati alla pena di morte possono
scegliere di trascorrere il resto della loro vita fino al momento in cui
dovranno salire sul patibolo. Ovviamente il prezzo è molto caro, molti
detenuti sono disposti a togliere la casa alla famiglia per pagare questo
servizio e quindi è ovvio che la qualità del prodotto non può essere
scadente. La realtà virtuale ha fatto passi da gigante e per questo
persone in gamba come lei o come gl'altri suoi amici dell'isola non
possono rifiutarsi di collaborare. E' un dovere per un cittadino che ha
le sue capacità! - Non potevo credere alle mie orecchie, sembrava una
cosa così pazzesca, mi balzò subito in bocca una domanda -Ma gli
altri sono morti?- Sempre con molta calma continuò a parlare, ormai
non sarebbe cambiato nulla -Vede nessuno poteva prevedere gli effetti
nel caso di morte di un soggetto interno perché finora non c'è mai
stato un caso simile di interazione. L'isola era fatta in modo che
nessuno interagisse anche se tutti stavano lavorando nella stessa zona
virtuale, lei ha scoperto un passaggio che il nostro sistema non poteva
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L'isola degli artisti dannati
nascondere e si è messo in contatto con gli altri creando il caos. E'
riuscito a scoprire la falda più grossa dal programma che avevamo
installato nella sua mente: il sole, così siamo stati costretti a
risvegliarlo e riportarlo a casa sotto l'effetto di qualche tranquillante.
Ogni cosa che ha vissuto in quei giorni nell'isola è stata la semplice
interazione tra le menti degli artisti, compresa la sua, e quella del
nostro computer. Come lei anche gli altri suoi colleghi non hanno
voluto collaborare, hanno voluto fare i ribelli, e così i governi
degl'altri paesi hanno dovuto ricorrere alla nostra società che, come
avrà capito, è presente su tutto il globo. Mettere in M.I.C. diverse
persone contemporaneamente non è un problema per noi, non serve
spostare i corpi, basta spostare le menti. Scappare coscientemente da
noi è inutile, ma scappare inconsciamente è proprio inammissibile.
Beh, mi dispiace ma temo che la risposta alla sua domanda sia
affermativa: si, gli altri sono morti. Ecco lei ha avuto una grande
fortuna perché è entrato nel nostro sole, nessuno l'aveva mai scoperto
prima. Esiste sempre un modo per sfuggire ma esiste sempre un modo
anche per incastrare un persona. - Ero paralizzato dalla paura e dal
sconcerto. Tremando chiesi -E adesso che ne sarà di me?- Gli altri che
furono rimasti in silenzio fino a quel momento fecero una risata
sarcastica e commentarono a bassa voce la mia reazione. L'uomo più
anziano disse -Se l'avessimo fermato prima probabilmente sarebbe già
morto, ma ora non lo possiamo fare, vede noi abbiamo qualche
problemino con le armi…non si preoccupi- Entrarono i due uomini
vestiti di rosso, mi presero e mi portarono fuori puntandomi una
pistola sul fianco destro.
Passammo di nuovo dal locale mentre tutti questa volta si stavano
facendo i fattacci propri. Poi salimmo in una Ford ed arrivammo fino
ad un porto. Non potevo vedere perché mi tenevano basso, schiacciato
contro il sedile. Uscimmo dall'auto e uno dei due, quello più basso, mi
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L'isola degli artisti dannati
sferzò un gancio sullo stomaco, l'altro mi prese per i capelli e mi diede
un calcio sulle gambe buttandomi nuovamente faccia a terra. Stavano
per tirar fuori la pistola lo sentivo. Mi volevano freddare li con un
colpo alla nuca…altroché problemino con le armi! Quei stronzi mi
stavano per uccidere ed io mi stavo lagnando come un bambino
stupido. Mi girai di scatto e vidi che al di là della macchina il porto
finiva. In un attimo mi buttai sotto e scivolai fino in acqua. Quelli
iniziarono a sparare ma per fortuna non mi presero, nuotai sul fondo,
non so con che fiato, fino ad una barca ancorata a qualche metro dalla
riva. Saltai su da dietro mentre loro stavano ancora sparando, tagliai le
corde dell'ormeggio e me la filai. Era una barca a motore: 200 cavalli,
niente male, potevo beccare un gommone di soli 40 cavalli e allora
sarebbe stato un casino. Buttai a mare un po' di cose per alleggerire il
peso ma non credo che mi stessero inseguendo.
Arrivai fino a Cadacash, sulla costa brava, facendo benzina una sola
volta. Prima di lasciare la barca mi resi conto che il timone era tutto
d'oro o almeno speravo bagnato d'oro. Lo smontai e lo portai da un
vecchio orefice che mi propose 500 biglettoni. Accettai al volo anche
perché non so contrattare. Mi misi alla ricerca di Consuelo, ero sicuro
che mi avesse detto dove abitava mentre eravamo nell'isola ma in quel
momento non riuscivo a ricordare. Allora presi subito l'autobus per
l'aeroporto e appena arrivato presi il primo aereo per Città del
Messico. Non sapevo neanche se fosse ancora viva, se anche lei fosse
entrata nel sole virtuale, ma la speranza di rivederla, la voglia di
scappare dalla Spagna e di non morire mi spinse ad agire in questo
modo.
Arrivai verso il tramonto, ero stremato ed affamato. Trovai un ostello
dove spesi i miei ultimi soldi con una cena a base di tortillas, cerveza e
boccadillos con queso. Il giorno seguente riposato e in forza, continuai
la ricerca di Consuelo. Mi ricordai il nome della sua via passando
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L'isola degli artisti dannati
davanti ad un negozio di fiori: Florida blanca, e così arrivai fino a casa
sua. Una casa bassa ma molto estesa che lei mi aveva descritto, la
riconobbi subito, c'è un tetto a due punte ed un recinto esterno in legno
verniciato di giallo. La sua casa è bellissima ed ebbi come
l'impressione che quel posto corrispondesse esattamente alla sua
personalità: tutto di lei si rispecchiava chiaramente nelle forme e nei
colori, perfino la natura sembrava creata da Consuelo in quel posto.
Mi sopraggiunse subito un dubbio però: forse si trattava del contrario,
forse cioè era proprio lei, il suo animo, la sua arte ad essere il frutto di
quelle forme, di quei colori e di quella natura. I tratti somatici di un
volto a volte sono questione di razza ma perché una razza è così
com'è? La soluzione è nella natura credo, nell'ambiente in cui
cresciamo. Le popolazioni mongole, ad esempio, hanno gli occhi così
caratteristici probabilmente per il vento che scolpisce i loro lineamenti
da secoli, millenni o chi s'à quant'altro tempo.
Come in un sogno Consuelo comparve sull'uscio della porta appena
suonai. Era bellissima. Scoppiò a piangere. Non credeva ai suoi occhi.
Appena gli raccontai la mia storia non riusciva a crederci. Lei pensò
che si trattasse di un sogno. Credeva di avere sognato ogni cosa, ecco
perché la mia visita la sbalordì e la riempì di gioia. Non riusciva
proprio a crederci. Gli raccontai tuuta la storia, io ero più commosso
di lei. -Ora è tutto apposto, non ci sono più problemi, va tutto bene.Continuavo a ripeterle. Lei mi disse di essere entrata nel sole dopo di
me e di essersi svegliata sul ciglio di una strada in piena notte. Chiamò
una sua amica e si fece accompagnare a casa. Tutti pensarono che
avesse perso la memoria e che avesse così vagato per una settimana
nella grande città. Lei non ne fu mai convinta pienamente di questa
ipotesi e la mia visita ne fu la conferma definitiva. Non si trattava di
un sogno, ne tanto meno di una perdita di memoria: fu purtroppo un
rapimento bello e buono.
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L'isola degli artisti dannati
Decidemmo di tacere per non farci rintracciare, decidemmo di
incominciare una nuova vita, fuori da tutto e da tutti. Cambiammo
identità e partimmo, partimmo per un'isola deserta. Una di quelle vere
questa volta.
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Supermarket
Oggetto: l'ultimo acquisto al supermarket
Scusami Anna se ti lascio con questa e-mail ma credimi è la cosa
migliore. Leggi tutto e cerca di non giudicarmi. Leggi e basta.
Tutto iniziò con l'acquisto di quel carcinoma all'intestino. Da circa tre
settimane ero intenzionato a farlo ma non avendo mai provato una
cosa simile mi presi parecchi giorni per rifletterci. Lo stavano
pubblicizzando da circa un mese:
NUOVO CARCINOMA ALL'INTESTINO ANNI 90 A SOLE 25
EURO!
(RIPRISTINO GENETICO INCLUSO).
E' come andare sulle montagne russe: sali, fai un bel giro in giostra e
poi te ne torni a casa felice e contento, come tutti gli altri giorni, ma
sempre con la voglia di ritornarci. Credo che tu ne abbia sentito
parlare. Io sono un architetto, lo sai, e alla mia età non si dovrebbero
cercare emozioni così forti, ma il prodotto è stato messo in commercio
per un pubblico compreso tra i 20 e i 60 anni e quindi ho pensato che
per un pelo io sarei rientrato in questa categoria e non ci sarebbero
stati problemi. Non ci tenevo ad avvertirti, sei la mia ex moglie, so che
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Supermarket
non faccio più parte della tua vita ma visto che mio padre è morto
l'anno scorso sono praticamente solo. Tra noi non è mai finita lo sai.
Ci continuiamo a vedere anche se tu stai con quel finocchio francese
di nome Dominique che non ha mai capito la differenza tra vino
bianco frizzante e lo spumante (scusa ma non lo ho mai sopportato).
Lo so che è stata colpa mia alla fin fine se è successo tutto questo, ma
non pensavo che portasse a queste conseguenze: sembrava tutto sotto
controllo. Ora comunque me ne assumo tutte le responsabilità: è stato
un gesto cosciente e deciso…fino alla fine.
Circa due settimane fa decisi di provarlo: andai al supermarket sotto
casa e in particolare al reparto MALATTIE STORICHE E VIRUS
ESOTICI. C'era di tutto dalla malaria al famoso HIV anni 80, dalla
peste bubbonica alla febbre tropicale e perfino gli effetti provocati dal
morso di un serpente amazzonico o da uno scorpione, tutti belli
confezionati nelle apposite confezioni con tanto di foto con modella in
fase terminale sotto allo sponsor. L'industria farmaceutica ha ormai
consolidato un business da milioni di euro. Vendono il virus o il
principio attivo in grado di alterare il DNA fino a uno stadio molto
avanzato ma in ogni confezione viene allegato anche l'apposito
ricostituente genetico in grado di far regredire la malattia
completamente, ripristinando tutte le funzioni fisiologiche e psichiche
del cliente. Era come una sorta di doccia di piscio e merda seguita da
una di acqua e sapone, scusami il paragone ma non ho resistito a farlo.
L'unica avvertenza sta nei tempi limite: MAI SUPERARE DIECI
GIORNI SENZA ASSUMERE L'APPOSITO RICOSTITUENTE. La
faccenda ormai l'avrai capita da sola: io superai quei dieci giorni! Non
so dire esattamente il perché o il perché di tutto. Il male esercita un
fascino così viscerale nelle persone che quando non c'è si è disposti a
pagarlo. C'è chi inizia con le sigarette per poi passare alle droghe, c'è
chi inizia dalle droghe per poi passare alle sigarette, c'è chi inizia col
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Supermarket
pattinaggio per sbucciarsi le ginocchia e poi passa alle moto da corsa
per rompersi l'osso del collo, c'è chi fa sport estremo ma anche chi fa
sesso estremo, c'è chi si fa frustare, seviziare, insultare, violentare e c'è
chi frusta, sevizia, insulta o violenta ma poi è autolesionista e si
spreme l'uccello con cinghie di cuoio o si mette madonnine borchiate
in culo. Perché? Cosa spinge le persone a fare questo? Io non so cosa
mi spinse a fare quello che ho fatto, ma lo feci e basta. Questo è tutto.
All'inizio la malattia non mi diede grandi disturbi, mi lasciava il tempo
di svolgere tutte le attività quotidiane normalmente: mangiare,
dormire, lavorare ad un progetto, e lo ammetto anche pensare a te. Ti
ho sempre amata e non mi vergogno a dirlo, lo so che tu non lo
ammetterai mai, non abbiamo figli perché non hai mai ammesso di
volerne e ci siamo lasciati perché non hai mai ammesso di amarmi. Il
lavoro non mi manca lo sai, anzi, ho lavorato per l'Australia, il
Giappone e l'Olanda progettando un ponte, qualche acquedotto e
perfino uno tra i più grandi parcheggi sotterranei a Tokio. Sono stato
sempre attento al cibo. Ho sempre preferito la cucina italiana in
assoluto, anche se devo dire che la carne argentina è squisita, ho
sempre amato mangiare e gustare Cabernet e Chianti, ovviamente i
risultati si vedono: ho una pancia ingombrante ma credo che sprigioni,
assieme al capello brizzolato, un certo sex-appeal ben consono alla
mia veneranda età. La mia vita credo non abbia niente di straordinario,
a parte qualche successo qua e la, e niente di estremamente tragico, a
parte qualche lutto in famiglia.
Con il passare di qualche giorno iniziarono i dolori allo stomaco e ad
essi si univa di frequente la dissenteria. Non che fosse niente di
insopportabile ma il fastidio c'era. Una sera per esempio avevo
organizzato una cena di lavoro ma fui costretto a rimandarla per la
debolezza: avevo passato tutto il giorno al cesso! A quel punto capii
che le cose avrebbero dovuto essere organizzate al contrario cioè dalla
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Supermarket
malattia agli appuntamenti e non viceversa, tutto quello che potevo
fare era dire -Si credo che per domani non ci siano problemi- oppure
-Non saprei, devo vedere gl'impegni…forse è meglio che per la
settimana prossima ci sentiamo lunedì- o anche -Non posso proprio
sostenere una conferenza così lunga adesso, ho un incontro importante
tra mezzora…La vita continuava, ma era la malattia ora a dettarne i ritmi, non più io
o il mio agente o la mia segretaria Kitty.
La condizione ebbe un netto peggioramento poi, all'improvviso mi
ritrovai a dover sospendere completamente il lavoro. Era il quinto
giorno e i dolori erano aumentati: appena mangiavo qualcosa di caldo
mi bruciava lo stomaco e dovevo rigurgitare al più presto possibile.
Anche quando dovevo andare al bagno mi bruciava tantissimo e le
forze iniziavano a venir meno sempre più spesso. Dimenticavo le cose
perché la malattia voleva tutte le attenzioni per sé, era il mio corpo che
si faceva sentire prepotentemente. Mi venne allora la tentazione di dire
basta, di prendere il ricostituente e rimettermi in carreggiata, ma
qualcosa mi diceva che l'antidoto non era fuori ma dentro di me.
Avevo uno strano presentimento, come di incompiutezza, dovevo
terminare qualcosa ma non riuscivo a capire cosa. Quando i crampi
venivano io cercavo di distrarmi e di non pensarci, ma ciò non
bastava, allora provavo a combatterli, prendevo degli anti doloriferi.
La malattia verso l'ottavo giorno iniziò a degenerare e ad arrivare allo
stadio terminale. Ero dimagrito dieci chili, non mi reggevo più in piedi
e a volte crollavo sul tappeto dopo aver fatto le scale. Non ero più in
grado di uscire di casa, arrivavo a mala pena al bagno. Non potevo più
mangiare, qualsiasi cosa provassi ad inghiottire mi provocava fitte
continue alla pancia. Le medicine contro il dolore non servivano più a
nulla, l'assuefazione era forte e le metastasi si stavano espandendo. Fu
allora che provai a non combattere quel cancro dentro allo stomaco, a
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Supermarket
non tamponare il male, fu allora che forse persi l'ultima occasione per
prendere il ricostituente. Una notte in preda al delirio lo buttai nel
cesso poi scoppiai a ridere e a piangere contemporaneamente come un
povero pazzo. Ormai era fatta, mi stavo preparando alla morte, non
volevo altro, eppure non mi ero mai sentito così vivo, così me stesso!
Accesi la televisione, davano un vecchio film di Peter Grenaway: “Nel
ventre dell'architetto” ma mi addormentai prima. Mi risvegliai di
scatto, il cuscino era inzuppato di sangue, la tosse emorragica me lo
fece espellere ma i crampi allo stomaco mi fecero perdere in parte di
nuovo coscienza. Ebbi allora una epifania: vidi un fascio di luce
volare sopra la mia testa e provai sollievo. Pensai: “Ora sono io dio,
ora ho raggiunto l'onnipresente e non ho più paura”.
Tu probabilmente credi sia uscito di senno…ti assicuro: non è così,
non si tratta di allucinazioni o pazzia. Non ti ho chiamata, è vero, ma
sinceramente non sentivo il bisogno di nessuno, ora non sento più
neanche il bisogno di me stesso.
In questo momento sto scrivendo le ultime righe di questa pagina e
della mia vita. Ho dolori atroci in tutto il corpo, non riesco più ad
andare al bagno ma tanto non mangio e non bevo…anche l'acqua mi
brucia come acido. La mia casa è vuota ma io nonostante tutto sono
felice, sono felice di aver scelto tutto questo e di essermi finalmente
purificato. Ora capisco il vero senso della vita: la sofferenza.
La tua foto è qui sulla scrivania e la tua immagine mi penetra il cuore
lentamente. Non ho più nulla da dire. Forse questo nuovo business
salverà l'umanità, forse i supermarket un giorno saranno l'anticamera
del paradiso…per adesso io mi sento libero.
Addio Anna.
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Christian Battiferro
Dice di sè l'autore:
"Sono nato a Legnago (VR), il 05-09-1978. Ho frequentato l’Istituto
Tecnico Statale Industriale I.T.I.S. “G.Silva” nella stessa città,
diplomandomi come perito chimico nel 1998. Tuttora mi sto
laureando al DAMS di Bologna.
Ho iniziato a scrivere poesie quando ero adolescente anche se non è
mai stata una vera e propria passione, infatti, non ho mai avuto molta
costanza. Per me mettere nero su bianco è come immaginare e non ha
molto senso farlo come esercizio.
M'interessa parecchio il potere evocativo delle parole, quindi a volte
mi piacerebbe abbandonarmi ad esse, svincolandomi da ogni dogma
grammaticale o sintattico. Quando ho iniziato a scrivere il mio primo
racconto non pensavo che sarebbe stato seguito da altri ma per un
certo periodo le idee si accumulavano nella mia testa, vedevo nascere
e vivere dei personaggi, mi emozionavano molto certe situazioni, e
così ho deciso di continuare a scrivere. Assicuro che la scelta è molto
sofferta perché non mi sento uno scrittore anche se ho qualcosa da dire
ed il mezzo più economico per farlo è la penna."
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Narrativa Contemporanea
Questa è la lista di e-paperback pubblicati fino ad ora in questa
collana:
Benaresyama
(Federico Mori)
Blu notte
(Marco Giorgini)
Dieci Racconti
(Raffaele Gambigliani Zoccoli)
Fragola Nera
(Christian Battiferro)
Francesco
(Enrico Miglino)
Identità Perdute
(Claudio Chillemi)
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Narrativa Contemporanea
Inevitabile Vendetta
(Fabrizio Cerfogli)
La Sibilla di Deban
(Claudio Caridi)
La vigna
(Silvia Ceriati)
Lo Scafo
(Marco Giorgini)
Onde Notturne
(Karmel)
Passato Imperfetto
(Enrico Miglino)
Sangue Tropicale
(Gordiano Lupi)
Sette Chiese
(Christian Del Monte)
Sogni
(Massimo Borri)
Steady-Cam
(Christian Del Monte)
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