5 - Corriere della Sera

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5 - Corriere della Sera
Domenica 17 marzo 2002
5
CORRIERE EVENTI
La stagione degli happening
Corpi dipinti
La performance
«Anthropométries
de l’Epoque
Bleue» alla
Galleria
internazionale
d’arte
contemporanea di
Parigi nel 1960:
Yves Klein usa
corpi umani come
pennelli. In quegli
anni, le
performance erano
un fenomeno
internazionale: in
Giappone Kazuo
Shiraga si rotolava
nel fango per
realizzare la sua
arte
FAVOLOSI ANNI ’60 L’ARTISTA ERA L’ANIMA DI UN NUOVO MODO DI VIVERE, BASATO SULLE CONTRADDIZIONI
Warhol, un mistico nella Mela stregata
Franco Cordelli
el suo, appena tradotto, Il trascendente nel cinema, Paul
Schrader include Andy
Warhol nella lista dei massimi. In America è raro che un regista
sia o sia stato un critico. Con autori
della stessa generazione, Peter Bogdanovic o l’amico Martin Scorsese, a
Schrader è accaduto proprio questo.
Prima di girare film come Hardcore,
American gigolò, Mishima o Affliction,
Schrader fu un brillante critico e nel
libro che ho citato addirittura un teorico. Superiore ad ogni altro egli considerava il cinema capace di uguagliare le
arti del passato, tutto quel cinema che
sia in grado di rivelare la presenza tra
noi del Completamente Altro. I suoi
maestri sono Ozu e Bresson; in parte
Dreyer. Ma su un piano solo di poco
inferiore egli pone Andy Warhol, un
nome che non ci aspetteremmo. Come?
Warhol fu un uomo religioso? Noi lo
vediamo ben diverso. Lo percepiamo
come un eroe del mondo affluente, un
campione della mondanità, un artista
travolto dalla ricchezza estetica della
metropoli. Come reagì Andy Warhol a
tutto questo? A pensarci bene, si potrebbe dire che davvero reagì in un
modo più o meno consapevolmente religioso, se non addirittura mistico: a nulla opponendo resistenza, al contrario
lasciandosi da tutto invadere, sperando
di conseguire un riscatto.
N
All’inizio degli anni Settanta, fui fierissimo di essere citato in una nota di un
libro aureo di Adriano Aprà e Enzo
Ungari, Il cinema di Andy Warhol. È
una citazione che mi riporta all’epoca
in cui sprofondare orizzontalmente, come chiamava Elemire Zolla il nostro
vizio, di noi giovani, di «morire ogni
pomeriggio al cinema», era un vizio
appunto quotidiano. Nel caso di
Warhol diventava addirittura enciclopedico: i suoi film duravano ore e ore,
non vi accadeva mai nulla, ci limitavamo a raccogliere dettagli di una città,
New York, o di un modo di vivere, che
erano già una leggenda e che erano
arrivati fino a noi ventenni in tutte le
forme epiche possibili. Ricordo di aver
scritto, chissà che, di film interminabili e immobili, o come Sleep, dedicato
ad un grattacielo, e all’inquadratura
sadica di un uomo dormiente. In quegli
anni non pensavamo che si trattasse di
una roba mistica. Ma forse ha ragione
Schrader. Lo è davvero, a suo modo. La
mistica di Andy Warhol è la mistica di
una città in cui, come racconta lo stesso artista, si andava ad una festa tutte
le sere, in cui nella sua Factory la
carta argentata fluttuava di stanza in
stanza, ed era normale ricevere visite
di Allen Ginsberg, di Peter Fonda, di
Dennis Hopper, di Barnet Newman,
dei Rolling Stones, di Judy Garland,
dei Velvet Underground.
Da buon provinciale, naturalmente An-
dy Warhol era vanitoso. Era arrivato a
New York negli anni della sua grandezza, e proprio lui era al centro di quel
centro del mondo! Egli ostenta la consueta impassibilità, ma i nomi dei suoi
amici sono lì, in tutto il loro splendore.
Di fronte alla marea egli sembra ritirarsi, come fosse un lembo di spiaggia, o
una vergine timorosa. Ma timorosa di
che se non, appunto, dei rischi insiti
nel troppo di bello, avvincente, di piacevole che New York riusciva in quel
momento, gli anni Sessanta, ad offrire?
Egli glorifica la solitudine; ed è come
il vecchio Swift. L’autore dei Viaggi di
Gulliver. Ricordate Swift? Era fidanzato con Celia, l’amava, era pronto a
sposarla. Un bel giorno scoprì che Celia era una creatura come le altre («Celia caca!», scrisse scandalizzato in una
lettera) e si negò alle sue promesse. Lo
stesso, prima di promettere, fece
Warhol. Il perno della sua solitudine,
della sua poetica e del suo mascherato
sdegno per il mondo, consiste in questa
opinione: che la mattina, quando ci si
sveglia, l’alito è cattivo, il proprio e
quello dell’amato. Ma di qui, da questa
constatazione ossessiva, nasce la leggenda non solo di Warhol ma, oserei
A New York accadeva di tutto
come nella Pietroburgo di metà
’800 o nella Parigi del XVII
secolo: si faceva la rivoluzione
di giorno e la sera si andava
ai party. Nella sua «Factory»,
tutta coperta di carta argentata,
il guru della Pop Art
condivideva i fermenti creativi
con Allen Ginsberg, Peter
Fonda, i Velvet Underground
COMPAGNI DI AVVENTURA Warhol (a sinistra) con Nico e i Velvet Underground in una foto del 1966 di Gerard Malanga
dire, di uno dei periodi gloriosi dell’arte e la storia: ad un certo punto, in uno
specifico luogo, si incontrano e lasciano che la scintilla scaturisca; New
York negli anni Sessanta fu come Pietroburgo negli anni Cinquanta del XIX
secolo; o come Parigi negli anni Quaranta e Cinquanta del XVII. Vi accadeva di tutto e qualcuno ha avuto la
fortuna d’essere contemporaneo di quell’epoca.
Noi ragazzi italiani nati durante e dopo
la guerra questa fortuna l’abbiamo avuta. L’abbiamo vissuta da lontano. Ma
non è detto che sia la peggior sorte. A
volte, essere contemporanei e lontani
può costituire un ulteriore privilegio.
Nel 1962 lessi Il giovane Holden il
giorno prima della maturità e ne uscii
fortificato. Durante l’estate, al mare,
fui folgorato da Sulla strada di Jack
Kerouac: avevo già le mie esperienze
di autostop, ma un conto è girare per la
Svizzera e un conto è il Messico. Nel
1964 visitai per la prima volta una
Biennale ed era l’edizione storica, quella della Pop Art! Mi ricordo le discussioni-fiume con i miei amici di allora.
È arte o non lo è? Come ci sentivamo
immersi, a pari titolo, nella più declinante leggenda del Madison Square
Garden. Gli incontri, raccontati da Norman Mailer, tra Benny Paret e Griffith,
o quelli tra Cassius Clay e Sonny Liston erano un patrimonio della nostra
immaginazione come la leggenda nascente dei Rolling Stones o di Saul
Bellow. Nel 1965 arrivò Herzog, uno
stupefacente romanzo fatto di lettere
immaginarie, scritte ai grandi della terra e di tutti i tempi. Nel 1967 Newark
andò a fuoco; nel 1968 Bobby Seale e
Eldrige Cleaver, le pantere nere, entrarono nel mito, sia come protagonisti di
una rivolta metropolitana, sia come personaggi contradditori di un libro di
Tom Wolfe, Lo chic radicale.
Forse, a ripensarci oggi, questo titolo e
il sentimento acido del suo autore, che
non riesce a dissimulare la felicità di
esserci, è la stimmate dell’epoca. Si
faceva la rivoluzione di giorno e la sera
si andava alle feste. È quello che succedeva a Pietroburgo nel XIX secolo, e
quello che capitava a Montesquieu o a
Rousseau a Parigi nel XVIII. Così sono
le grandi epoche, sono un groviglio di
contraddizioni.
SODALIZI L’INCONTRO CON IL COREOGRAFO MERCE CUNNINGHAM E IL COMPOSITORE JOHN CAGE PORTO’ L’AVANGUARDIA SUL PALCOSCENICO
Astrattismo ed elettricità: e Rauschenberg «contaminò» la danza
Valeria Crippa
e Robert Rauschenberg voleva agire, come dichiarava, nel varco che separa arte e vita, quando
incontrò la danza il suo percorso di ricerca incrociò alcune delle traiettorie artistiche che avrebbero segnato la cultura d’avanguardia degli anni Cinquanta.
Come era già avvenuto negli anni Venti con il prolifico
sodalizio tra Pablo Picasso e i Ballets Russes e con altre
sinergie d’autore (esemplari le collaborazioni tra i coreografi di Sergej Diaghilev e Matisse, Braque, Utrillo,
Mirò, De Chirico e Benois), nei primi anni Cinquanta il
mondo dell’arte statunitense si saldò, in un gioco di
affinità elettive, con i microcosmi più in fermento della
musica e della danza.
Nel 1952 Rauschenberg incontrò al Black Mountain
College i musicisti John Cage e David Tudor e il coreografo Merce Cunningham, con i quali avrebbe realizzato,
in qualità di costumista e di scenografo, una serie di
performance e di happening: Theatre Piece n. 1 ispirato
alle poesie di Charles Olson e M. C. Richards, Suite for
S
Musica sensuale
Performance di
John Cage «26’
1.1499 per un
suonatore
d’archi». E’ il
titolo dell’evento
realizzato da Nam
June Paik e
Charlotte
Moorman al
«Caffè a go go»
di New York nel
1965. La
violoncellista usa
il corpo dell’artista
come uno
strumento
musicale Foto The
Estate of Peter
Moore/Vaga, New
York
LA SOCIETA’
Maschere terrifiche
«Car Crash» (1960) di Jim Dine al Reuben Gallery di New York.
Coinvolto in un incidente, l’artista racconta la sua esperienza
intercalandola con grida d’aiuto Foto Robert R. McElroy/Vaga
Silenziosa
distruzione
Claes Oldenburg
firma «The street»
(1960),
performance
tenuta alla Judson
Gallery di New
York. Un’epica
ambientazione
tridimensionale
ottenuta sui toni
del nero e del
grigio,
dall’assemblaggio
tra grandi cartoni
dipinti e oggetti
riciclati come
scatole,
asciugamani,
stracci e pezzi di
automobile
I protagonisti
Pollock
La follia
del creativo
Nato a Cody
(Wyoming) nel 1912,
muore l’11 agosto 1956
a Long Island in un
incidente
automobilistico. E’ uno
dei maggiori
protagonisti dell’action
painting. Nel 1942
entra nel circolo
esclusivo di Peggy
Guggenheim e dal ’46
al ’52 lavora con
violenta e frenetica
intensità. Porta
all’estremo la tecnica
del dripping, una
specie di danza rituale
in cui i colori
sgocciolano sulla tela
distesa a terra. Nel
1950 è alla Biennale di
Venezia con De
Kooning e Gorky, nel
1953 alla Kunsthaus di
Zurigo.
Rauschenberg
Pittore
dell’attualità
Nato a Port Arthur nel
1925, è celebre per i
suoi combine
paintings, assemblaggi
di oggetti, fotografie e
pittura che
interpretano la realtà
contemporanea. Nel
1958 la galleria di Leo
Castelli a New York
ospita la prima
personale dell’artista,
che nel ’64 ottiene il
gran premio per la
pittura alla Biennale di
Venezia.
Basquiat
Per amore
di Andy
Nato a New York nel
1960, morto nel 1988,
a soli ventisette anni,
stroncato dalla
tossicodipendenza e
dalla crisi per
scomparsa del suo
maestro, Andy Warhol.
Di padre haitiano e
madre portoricana, ha
elaborato un
linguaggio pittorico
ispirato all’arte
primitiva africana in
sintonia con lo spirito
multietnico che
dominava nelle
periferie newyorchesi.
La sua vocazione
artistica nasce nel
1983 dall’incontro con
Andy Warhol. Famosa
la mostra in comune
dei due artisti che, nel
manifesto, mimavano
un incontro di boxe.
Lichtenstein
Fire in Space and Time (1956), Antic Meet (1958), tions V (del 1965). La «new dance» di Cunningham
Museum Event n. 1 (Vienna 1964) e Travelogue che fu inseriva nel linguaggio accademico del balletto classico
presentato nel 1977 al Minskoff Theatre di New York. gesti del quotidiano e parentesi di immobilità così come
Con gli interventi di Rauschenberg e di altri esponenti Cage, l’allievo ribelle di Arnold Schönberg, scomponeva
della Pop Art tra cui Andy
le sue partiture con moWarhol, gli happening ideaduli di rumore e di siti dalla coppia Cunninlenzio.
gham-Cage si affollarono di
Tra il 1954 e il 1980
strutture plastiche e luminoRauschenberg e Jase, colori, film e diapositisper Johns si alternarove in bianco e nero, fiamno nella veste di consumate di luce e nuvole di
lenti artistici della Merfumo che inghiottivano i
ce Cunningham Dance
corpi dei danzatori davanti
Company. In modo più
agli occhi del pubblico (in
episodico, anche
Aeon del 1961), fino ad arWarhol, Frank Stella,
rivare all’impiego di poli
Robert Morris e Barelettromagnetici e di cellunett Neumann contribule fotoelettriche in Varia- LINEARI «Nocturnes» di Merce Cunningham (1965)
irono alla fortuna di
una nuova forma di teatro che si nutriva della casualità
delle chance operations di Cage e rifuggiva dai canoni
estetici e drammaturgici del Romanticismo a favore di
una danza astratta e individualista, fortemente intrisa di
cultura orientale.
Rauschenberg restò però l’artista di riferimento per la
coreografia d’avanguardia statunitense: per Paul Taylor
ideò, in collaborazione con il collega Jasper Johns, le
scenografie di The Tower che debuttò alla Kaufmann
Concert Hall di New York nel 1957, di Circus Polka su
musiche di Stravinsky (1955) e Winterbranch (1964) su
brani di Lamonte Young.
Per Trisha Brown, in anni più recenti, Rauschenberg
firmò le scene di Glacial Decoy (1979) e di Set and
Reset (1983) creato su note di Laurie Anderson. Nello
stesso solco di ricerca si mossero anche altri sperimentatori della coreografia come James Waring, che collaborò
con Johns, e Anna Halprin, moglie dell’urbanista
Lawrence Halprin.
Dal Rinascimento
alla Pop Art
Nato a New York nel
1923, è morto nel
1997. Nei primi anni
’40 si esercita nello
studio delle tecniche
rinascimentali poi,
passando tra il
cubismo e
l’espressionismo
astratto, approda alle
tematiche pop.
Inconfondibili sono i
suoi quadri ispirati ai
fumetti o ad immagini
di largo consumo,
dove le emozioni si
esprimono in maniera
distaccata attraverso il
prevalere della tecnica
nei confronti dei
contenuti.