Voci dai territori occupati

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Voci dai territori occupati
Voci dai territori occupati
1 marzo 2012
www.bocchescucite.org
numero 144
È ancora il 1 marzo
Ancora è tempo di “al-la’unf”
Betlemme, 1 marzo 2012
Lo sconcerto per l'ennesimo sopruso consumatosi in queste ore, rimbalza dagli schermi
delle TV ai volti sconvolti delle famiglie che ci
ospitano nelle loro case: una incursione
dell'esercito nella città di Ramallah ha devastato
ieri due studi televisivi che diffondevano
programmi per l'educazione dei giovani. Ma
abuna Jamal allarga le braccia e fa sintesi di
cent'anni di oppressione: “non ci meravigliamo
più dell'impunità di Israele!”.
1 marzo 2012. La violenza e l'arroganza
dell'occupante, non è però ancora riuscita
ancora a devastare lo spirito degli abitanti di
Betlemme, che oggi fanno memoria della prima
lastra di cemento del muro di apartheid entrata
in città. Ci accolgono nelle loro case compresse
tra le colonie e il muro.
Violenza è il nome della distruzione dei singoli
e dei popoli su tutta questa terra mentre la “alla'unf” si diffonde in sempre più numerosi
villaggi, permettendoci di leggere in questo
anniversario del muro, dei segni di sicura
speranza.
1 marzo 2012. Ancora “Al-la'unf”, cioè
nonviolenza. Filosofia di vita che si trasforma in
strategia di resistenza quando l'oppressione e la
discriminazione appaiono insostenibili e quando
la logica delle armi e della violenza sembrano
indicare un'unica via per il riscatto del proprio
popolo. La lotta armata. Ma la scelta
nonviolenta ha ormai irrorato i campi di tutta la
Palestina, più tenace della brutalità dei mezzi
che demoliscono quasi ogni giorno un villaggio
beduino o una casa a Gerusalemme Est.
1 marzo 2012. Un Ponte per Betlemme. E' come
se percepissimo nelle comunità che ci scaldano
il cuore in queste ore la forza di una preghiera
straordinaria che oggi ci raggiunge da tantissime
città italiane.
Qui a Betlemme, città della pace, come a
Ramallah ed Hebron, dove la neve copre i
blindati dell'esercito e sembra confermare che
alla fine, verrà dall'alto il giudizio su questa
ingiustizia. Sempre nuovi pellegrini di giustizia
sono arrivati da Ragusa e da Verona, da Foligno
e da Trento, alla 'scoperta' di una sofferenza che
grida giustizia, non certo vendetta. I giovani
delle tre parrocchie di Betlemme hanno preparato da mesi le celebrazioni per ricordare l'inizio,
o meglio la continuazione esponenziale, di un
apartheid devastante: la costruzione del Muro, a
Betlemme, iniziata il primo marzo 2004.
E mentre scrutiamo nei volti di Gasbriele e
Francesca, suor Dolores e Gianna, lo sgomento
per una storia mai svelata così brutalmente,
alziamo gli occhi su su fino alla fine del muro di
cemento, e vediamo in loro montare la pena,
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ma anche l'indignazione e la rabbia.
Ma come fanno a non scoppiare, perchè non
gridano, ci chiedono i nostri amici mentre
facciamo la coda al checkpoint. Ancora. Anche
a loro succede! Anche i nostri nuovi amici di Un
ponte per Betlemme succede quello che avviene
nel cuore e nella mente degli internazionali che
giungono in questi luoghi di umiliazione per la
prima volta. Perchè? E poi... ma come fanno a
vivere una vita così senza reagire con la stessa
violenza che viene loro inflitta?
Già... come fanno?
Sami Awad, direttore esecutivo dell’Holy Land
Trust (HLT), un'organizzazione non profit di
Betlemme che promuove la resistenza popolare
nonviolenta tra la popolazione palestinese, ci ha
raccontato a la sua determinazione a fare della
resistenza nonviolenta palestinese l'unica
resistenza possibile, perchè l'unica realmente
efficace. E l'unica veramente umana.
Ma non è facile. Non è facile dire non tanto 'non
possiamo fare altro, proviamo così”, ma “è
l'unica strada possibile, dignitosa e buona per
tutti”. Non è facile quando i programmi di
resistenza nonviolenta sono a volte proposti – e
sovvenzionati - da realtà internazionali che a
volte sono sentite come intrusive, e non salgono
direttamente dal cuore della volontà popolare,
come invece succede a Bil'in e in moltissimi
altri villaggi palestinesi che si sono attivati in
comitati popolari. Non è facile quando il
territorio palestinese è frastagliato e diviso
geograficamente e politicamente.
E non è facile quando in ogni famiglia
l'ingiustizia provocata dall'occupante, se non la
morte, la prigione, la perdita di casa e terra è
vissuta con bruciante quotidianità.
Eppure. Eppure Sami Awad ci crede. Con lui, il
fiume di gente che sta manifestando per le
strade di questa Betlemme soffocata dal muro e
dall'occupazione. Per questo sentiamo forte che
la locuzione “nonviolenza palestinese” non è un
ossimoro.
Per questo ci associamo alle parole di Marta, i
cui occhi hanno visto evidentemente le stesse
cose che noi incessantemente abbiamo percepito
anche in questi giorni lungo le strade, e
soprattutto presso le famiglie che ci hanno
ospitato in questa Palestina mai stanca di
lottare:
“Nel frattempo il popolo palestinese continua a
resistere: e la lotta non si limita alle manifestazioni settimanali contro il muro, che godono di
una massiccia copertura mediatica. Resistere è
anche continuare a vivere sotto una tenda
perché la propria casa è stata distrutta;
resistere è costruire una scuola in area C per
garantire il diritto all’istruzione a coloro ai
quali viene negato; resistere è continuare a
coltivare con amore la propria terra nonostante
venga periodicamente spianata dai bulldozer
israeliani; resistere è attendere con pazienza
quattro ore al check-point per poter andare a
lavorare.”
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Tutto a posto, tutto normale
di Jeff Halper
18 febbraio 2012.
Nonostante le proteste occasionali provenienti
dall'Europa, qui si dice che la "situazione" sia
stata normalizzata. Gli israeliani godono di pace
e tranquillità, della sicurezza personale e di un
certo boom economico (pur con i soliti problemi neoliberisti di un'equa ripartizione). Hanno il
sostegno, incrollabile e bi-partisan, del governo
americano e del Congresso, scudi efficaci di
qualsiasi tipo di sanzioni internazionali. Soprattutto, gli ebrei israeliani confidano nel fatto che
quegli arabi fastidiosi vivano da qualche parte
"laggiù" oltre il muro e il filo spinato, e che le
barriere siano servite a pacificare il conflitto,
che tutto sia sotto il controllo dall'esercito israeliano. Un recente sondaggio ha rilevato che gli
israeliani usano più il termine "sicurezza", che
quello di "occupazio-ne". La parola “pace" si è
classificata undicesima fra le preoccupazioni
dell'opinione pubblica israeliana, trascinandosi
dietro “occupazione”, “criminalità”, “corruzione”, “differenze religiose” e altre questioni più
pressanti.
Per la comunità internazionale, il "Quartetto"
che rappresenta gli Stati Uniti, l'Unione europea, Russia e Nazioni Unite nell'inesistente
"processo di pace" è passato completamente
sotto silenzio. Il 26 gennaio Israele ha rifiutato
di presentare la sua posizione sui confini ed
altre questioni chiave sul negoziato e non sono
previste nuove riunioni. Gli Stati Uniti hanno
abbandonato ogni pretesa di essere un "onesto
mediatore". Mesi fa, quando gli Stati Uniti sono
entrati nella loro interminabile “stagione di elezioni”, Israele ha ricevuto il via libera sia da
democratici e repubblicani a fare ciò che ritiene
più opportuno nei Territori Occupati.
Lo scorso maggio Netanyahu aveva invitato il
Congresso ad affrontare e inviare un chiaro
messaggio a Obama: giù le mani da Israele.
Quella stessa settimana, Obama, pur di non essere fatto fuori, aveva ribadito la promessa di
Bush che Israele non dovrà tornare ai confini
del 1967 e non dovrà rinunciare ai suoi maggiori blocchi di insediamenti a Gerusalemme
Est e in Cisgiordania. Egli aveva anche colto
l'occasione per promettere un veto americano
alla richiesta dei palestinesi di appartenenza alle
Nazioni Unite, anche se questo sarebbe equivalso al riconoscimento ufficiale dei due-Stati
previste dal trattato che gli Stati Uniti hanno
sostenuto di promuovere in tutti questi anni.
Nonostante tutto questo, per quanto riguarda
Israele e gli ebrei israeliani, il conflitto e anche
la necessità di finzione sono finiti. L'unica cosa
che resta da fare è distogliere l'attenzione da
esso, e rivolgersi a “questioni globali più urgenti", in modo che la questione palestinese
scompaia completamente. Ed ecco l'Iran!
E allora la "minaccia demografica", "la guerra
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del ventre" che finirà per imporre una soluzione? Beh, finché l'autorità palestinese è impegnata a separare la sua gente attraverso l'autodeterminazione, Israele non ha nulla di cui preoccuparsi. Mentre l 'Autorità palestinese gioca alla
"soluzione dei due stati", Israele mantiene tranquillamente i palestinesi nelle 70 piccole isole
delle aree A e B, blocca le porte e lascia che la
comunità internazionale dia loro da mangiare, e
così costruisce una Grande Terra di Israele con
la complicità americana ed europea. In realtà
poi, nulla dimostra l'auto-segregazione più del
sistema neoliberista perseguito dal primo ministro Salem Fayyad. Con la costruzione di nuove
autostrade (con l'assistenza giapponese e USAID) che rispettano la "Grande Gerusalemme”
israeliana e convogliano il traffico del canale
palestinese di Ramallah a Betlemme attraverso
la lontana Jericho, esprime la volontà di accettare l'espansione territoriale di Israele in cambio
della possibilità di "fare affari". Fayyad ha inventato una nuova forma di oppressione neoliberista-by-assenso: apartheid vitale (vitale, almeno, per la business class palestinese). E come
nei bantustan del Sud Africa dell'apartheid,
l'Autorità Palestinese mantiene un ordine repressivo interno attraverso la sua milizia, che
diventa di fatto un secondo strato di occupazione. (Nel 2008, durante Piombo fuso, uno dei
pochi luoghi al mondo in cui non vi furono
manifestazioni fu la West Bank, dove era proibito manifestare per ordine dell'Autorità palestinese. L'allora Primo Ministro Olmert affermò
che questa era la prova di come effettivamente
la i palestinesi erano stati pacificati.)
Infatti, aggrappata alla soluzione dei due stati e
continuando a partecipare a "negoziati" che
negli anni si sono dimostrati una trappola, la
leadership palestinese ha un ruolo centrale nel
mantenere oppresso il suo stesso popolo. Quando la leadership palestinese si assume la prerogativa di negoziare una soluzione politica senza
avere la necessaria autorità o influenza per farlo, e quando, in aggiunta, non riesce ad abbandonare i negoziati anche dopo che sono stati
esposti come una trappola, è pericolosamente
vicino ad essere una leadership collaborazionista. Intanto Israele imprigiona i palestinesi in
piccole celle e continua anche oggi ad attuare
una sorta di mini-pulizia etnica attraverso migliaia di micro-eventi che hanno l'effetto cumulativo di spostamento, espulsione, segregazione
e detenzione. E così Israele si tira fuori dai
guai. Invece di essere accusata direttamente di
creare un regime di apartheid, sfrutta semplicemente la volontà dell'Autorità palestinese a perpetuare l'illusione di negoziati come una cortina
di fumo che copre la reclusione dei 'detenuti
palestinesi'. Una volta che le operazioni di rastrellamento in corso saranno completate, il
processo di carcerazione sarà concluso.
(dal sito di Ichad).
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Oltre lo spred, presidente, che scelte farà l'Italia?
Lettera aperta al governo Monti
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
On. Prof. Mario Monti
Palazzo Chigi
ROMA
Illustrissimo Presidente del Consiglio,
Sappiamo bene che il Suo governo ha come
primario obbiettivo l’affrontare i problemi della
grave crisi economica che ha colpito l’Italia e
tutto il mondo, e che Lei stesso e la maggior
parte dei Suoi Collaboratori siete considerati
esperti di economia e politiche economiche.
Tuttavia le politiche economiche sono impossibili da considerare, e tantomeno da mettere in
atto, ignorando i grandi problemi politici con cui
sono strettamente connesse. Ci sta a cuore qui
ricordarLe la politica estera, a proposito della
quale poco o nulla si è sentito parlare dei piani o
propositi del Suo governo, che è in modo molto
concreto il nostro governo in quanto cittadini
italiani. Abbiamo sì seguito la Sua azione in
Europa, sempre centrata tuttavia sui problemi
della politica economica e soprattutto monetaria
europea.
Vogliamo perciò chiederLe quali siano gli orientamenti e quali azioni il Governo italiano
intenda intraprendere in politica estera, particolarmente riguardo al drammatico problema del
Vicino Oriente, intendiamo dire la PalestinaIsraele. Quell’area del Mediterraneo richiede la
prioritaria attenzione di tutti, governi e popoli,
per due ragioni fondamentali: (a) il problema
del render giustizia, e pace, al popolo Palestinese privato della sua terra e dei diritti umani fondamentali, oltre che dei diritti politici; (b) la
politica del Governo di Israele è andata crescendo in aggressività, ed ha ora raggiunto un tale
livello, anche per le implicazioni mondiali dei
suoi atti che coinvolgono le maggiori potenze
mondiali, da far ritenere che in quella zona ci sia
un imminente rischio di scoppio della terza
guerra mondiale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, non possiamo pensare che Ella non sia al corrente del livello estremo di oppressione a cui sono soggetti
i Palestinesi dei Territori Occupati e di Gaza, e
di discriminazione i Palestinesi cittadini israeliani. Israele non solo occupa militarmente da 45
anni anni quel 22% della Palestina che era rimasta ai Palestinesi nel 1949, ma ne sta scacciando
progressivamente la popolazione per sostituirla
con una propria popolazione, in buona parte
composta da immigranti da paesi lontani, contro
il buon diritto dei popoli, sancito anche da accordi internazionali a cui Israele stesso ha aderito ma che viola sistematicamente. Non le sarà
sfuggita la estrema violazione del più fondamentale diritto umano recentemente messa in
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atto dal governo israeliano: il divieto per i cittadini israeliani di convivere, in Israele o nei Territori Occupati, con il coniuge originario dei
Territori Occupati. Neppure i governi fascisti
dell’Europa degli anni trenta e quaranta erano
arrivati a tanto!
Quanto alla minaccia di una terza guerra mondiale, essa diventerebbe concreta realtà se Israele mettesse in atto la minaccia, più volte ripetuta
negli ultimi tempi, di attaccare l’Iran con i modernissimi mezzi offensivi di cui è dotata.
La politica estera italiana è assolutamente silenziosa su questi problemi, e semmai i governi
italiani, alcuni silenziosamente altri in modo
scomposto, come quello che La ha preceduta,
sono di fatto schierati con gli aspetti peggiori
della politica israeliana, dimostrando una sudditanza del nostro Paese, che tra l’altro ci costa
molto cara per il peso enorme del bilancio militare, che ci toglie risorse che sarebbero molto
meglio spese per la ripresa di attività essenziali
per la vita civile.
Siamo a chiederLe, illustre Presidente, quali
scelte il Suo governo farà su questi problemi,
proponendo anche ai nostri partners della Comunità Europea azioni che il nostro Paese da
solo non potrebbe condurre a buon fine.
Con cordialità,
Rete Ebrei Contro l’Occupazione
Salaam Ragazzi dell’Olivo Onlus ( Comitato di
Milano)
Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus (Firenze)
Gruppo Restiamo umani con Vik (Venezia)
Antonietta Esse, Presidente dell’Associazione
238uProgettoAntigone
Rispondere a: Prof. Giorgio Forti ( di Rete Ebrei contro l’Occupazione)
 [email protected]
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...E intanto a Napoli...
quando un comune si schiera per i diritti umani
Oggi il Consiglio Comunale di Napoli
ha votato ed approvato a maggioranza l'ordine
del giorno presentato dai Consiglieri Fucito
(FdS), Vasquez (N èT), Moxedano (IdV), Borriello (SEL), Fiale (PD) in cui si "Esprime condanna morale e politica nei confronti della
ditta Pizzarotti & C. S.p.A. per la partecipazione ai lavori per la costruzione della A1 Gerusalemme- Tel Aviv". La nuova linea ad alta velocità, infatti "ad uso esclusivo della popolazione
israeliana, percorre 6,5 km attraverso la Cisgiordania occupata, con la confisca di proprietà privata palestinese nei villaggi di Beit Iksa e
Beit Sourik, inclusi terreni agricoli riconosciuti
dalla Corte Suprema Israeliana come 'risorsa
fondamentale per la sussistenza' delle comunità". Pertanto, "la linea ferroviaria A1 è in violazione del Diritto Internazionale Umanitario e
dei Trattati internazionali sui Diritti Umani, tra
cui la IV Convenzione di Ginevra, in particolare l'Art. 53 che vieta 'alla potenza occupante di
distruggere beni o mobili o immobili appartenenti individualmente o collettivamente a persone private, allo Stato o a enti pubblici, a organizzazioni sociali o a cooperative, salvo nel
caso in cui tali distruzioni fossero rese assolutamente necessarie dalle operazioni militari', in
questo caso le distruzioni sono attuate per la
costruzione di infrastrutture permanenti inaccessibili alla popolazione locale."
Con questo atto simbolico e di impegno, il
Consiglio Comunale ha dato segno di responsabilità nell'impegno per la pace e la giustizia,
anche nell'ambito dei ristretti limiti dell'Amministrazione locale, lì dove, però prendono alimento e conferma le ramificazioni sempre più
pervasive di scelte politiche condannate dal
Diritto Internazionale e che tuttavia le Istituzioni preposte non hanno la forza di sanzionare
e fermare. Di recente l'ONU ha emesso altre
nove Risoluzioni contro il mancato rispetto del
Diritto Internazionale da parte d'Israele, ma
senza conseguenza alcuna.
L'ordine del giorno votato è anche una risposta
ai cittadini e cittadine ed organizzazioni di
attivismo civile che da qualche mese hanno
dato vita alla Campagna "Libera Napoli dalla
Pizzarotti!" ed hanno portato avanti una raccolta di firme per l'esclusione della ditta Pizzarotti
da futuri appalti, finché non conformerà il proprio comportamento all'estero alla normativa a
difesa dei diritti umani e specificamente dei
Palestinesi. La Campagna cittadina rientra in
quella più ampia, di dimensioni nazionali ed
internazionali, su cui è possibile documentarsi
al sito: www.stopthattrain.org .
La decisione del Consiglio Comunale di Napoli si basa sulla difesa dei diritti umani e segue
l'esempio del Consiglio Comunale di Rho e
della Deutsche Bahn, società delle ferrovie
tedesche, che su indicazione del Ministero dei
Trasporti tedesco si è ritirata dal progetto A1
nel mese di marzo 2011.
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Il Consiglio Comunale di Napoli, è infatti il
secondo in ordine di tempo ad aver accolto
l'invito della Campagna nazionale a sollecitare
la Pizzarotti a ritirarsi dall'ennesimo progetto
israeliano di colonizzazione della Cisgiordania
ed, in ultima istanza, di espulsione indiretta
della popolazione civile palestinese. Infatti, lo
scorso 1 dicembre il Consiglio Comunale di
Rho aveva approvato un analogo documento.
Entrambi i documenti impegnano l'Istituzione
a comunicare alla Pizzarotti & C. SpA il contenuto della risoluzione.
Il testo napoletano impegna inoltre il sindaco e
la giunta "a valutare la possibilità di inserire
nel regolamento per la partecipazione a bandi
comunali per l'esecuzione di opere pubbliche
(...) la clausola che escluda la partecipazione di
aziende e soggetti economici che operino in
violazione dei diritti umani e/o in contrasto con
il diritto internazionale; ad inserire in ogni contratto, di qualsiasi tipologia, la clausola obbligatoria 'tale contratto verrà annullato se la ditta
contraente risulterà implicata in onclamata
violazione del diritto e delle Convenzioni internazionali."
In tal modo il Comune di Napoli ha dato nuova
consistenza al proprio riconoscimento dello
Stato di Palestina, che ha bisogno innanzitutto
di non vedersi erodere continuamente territorio
su cui esistere, dall'occupante israeliano.
Il Consiglio, inoltre, ha saputo cogliere dalla
vicenda specifica occasione per ampliare il
proprio impegno di vigilanza civile internazionale sugli atti ordinari che è chiamato a compiere.
Siamo orgogliosi del Consiglio del Comune di
Napoli, che ha saputo accogliere istanze di
rispetto del diritto internazionale a tutela dei
diritti dei Palestinesi di cui ci siamo fatti portavoce preso di esso.
Siamo soddisfatti del proficuo rapporto di dialogo che abbiamo instaurato con esso, nel rispetto dei differenti ruoli.
Ringraziamo tutto il Consiglio Comunale per
aver, a vario titolo, contribuito ad un atto di
responsabilità internazionale. Ringraziamo
tutte e tutti i Consiglieri che hanno voluto, con
l’ordine del giorno sulla linea veloce A1 Tel
Aviv Gerusalemme ed il coinvolgimento in
essa della ditta italiana Pizzarotti, ribadire
l’impegno di pace, che solo può allignare nella
giustizia, della nostra città. Oltre le facili parole, il Consiglio Comunale, consapevole
dell’intreccio profondo che lega anche i gesti
quotidiani di amministratori locali e le dinamiche internazionali, ha assunto con coraggio
posizione in relazione alle proprie responsabilità, convergendo con l’impegno di tanti cittadini
napoletani che si mobilitano per il riconoscimento dei diritti del Popolo Palestinese e che
chiedono per essi la fine dell’occupazione,
della colonizzazione e dell’apartheid.
Campagna "Libera Napoli dalla Pizzarotti!"
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La memoria che sta costruendo il nostro futuro
“Dovremo lasciarci condurre dall'annuncio, dalla denuncia e dalla rinuncia”
don Tonino Bello
Ci accoglie con calore e comincia con gli
occhi umidi a raccontare la sua storia. Una
storia segnata da grande sofferenza, lotta e
passione. E' vivo in lei il ricordo del padre
costretto nel '47 a lasciare Haifa, profugo in
Libano. Disoccupato con cinque figli da
sfamare, al suo rientro nuovi “ospiti” abitano la
sua casa. A loro dovrà pagare le sue fotografie
di famiglia che ha ritrovato proprio accanto alla
sua vecchia casa. Gli unici affetti custoditi
malamente durante la sua assenza.
Araba, cristiana melchita, cittadina israeliana Violette Khoury ci accoglie nella sede di
Sabeel, il centro ecumenico nel cuore della città
di Nazareth impegnato sulla teologia della
liberazione. Fondato 20 anni fa subito dopo la
prima guerra del Golfo, Sabeel in arabo
significa “sentiero” ma anche “ ruscello”.
“C'era bisogno di una risposta cristiana, una
voce cristiana unita – spiega - ridotti all'1,6%
di presenze rischiamo di sparire in un Paese
dove coesistono almeno 20 confessioni e e
gruppi religiosi nella sola Galilea. Pochi e
divisi. E la divisione genera debolezza. Non
potevamo rimanere passivi: era necessario
prenderci per mano per intraprendere la strada
della giustizia e della pace.”
Il centro promuove numerose attività rivolte a
tutta la comunità cristiana, adatte alle diverse
età, dai bambini alle donne, alle famiglie. Si
collabora anche con i movimenti pacifisti
israeliani. “Non ci sono né iscritti né soci,
siamo tutti volontari –racconta - studiamo,
organizziamo conferenze, leggiamo la Bibbia,
incontriamo pellegrini. Si lavora molto sul
tema dell'identità (siamo palestinesi ma
cittadini di Israele), sul recupero delle nostre
radici cristiane, per la salvaguardia della lingua
araba e per favorire le relazioni tra le diverse
chiese e l'integrazione”.
Per i palestinesi non c'è solo il muro di
cemento dell'apartheid: ci sono tutte le
infinite discriminazioni, dal lavoro allo studio,
tra chi vive nella città araba e chi nella recente
Nazareth Illit, il municipio israeliano.
Insomma l'applicazione delle leggi sono
diverse. Diverse perfino nella libertà di amare:
“Per un'araba israeliana di Nazareth non è
possibile innamorarsi di un palestinese di
Ramallah, perderebbe la cittadinanza, al
contrario se un ebreo si sposa all'estero il
coniuge ottiene il riconoscimento della
cittadinanza”.
Per non parlare delle difficoltà nell'istruzione.
“A Nazareth c'è una sola scuola statale. Grazie
agli istituti privati religiosi e alle scuole aperte
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a cristiani e musulmani, i nostri ragazzi
possono studiare. Tuttavia nelle università
israeliane non ci sono servizi religiosi e per
essere accettati i giovani devono dimenticare le
loro origini e il loro essere cristiani”.
Al pessimismo e alla paura, si contrappone il
dinamismo di Violette nel tessere relazioni,
denunciare i privilegi e le privazioni di diritti
per creare ponti di pace e alimentare la
memoria.
“Perché è dalla memoria che si costruisce il
futuro”, ribadisce Violette, e la verità fa
superare le barriere, i muri sociali e culturali.
Vivere oggi a Nazareth cosa comporta? “È una
sfida quotidiana che invita alla denuncia delle
ingiustizie, alla resistenza non violenta,
all'apertura all'altro.
È la direzione giusta che può portare alla verità
oltre il pregiudizio, perché vivere nell'ignoranza crea illusione e fomenta la violenza e
l'odio”. E aggiunge: “Sono nata a Nazareth, ho
lavorato per 45 anni in una farmacia, sono
madre di famiglia, sento che apparteniamo alla
stessa terra. Questo cielo e questi vicoli sono
gli stessi che ha visto e percorso Gesù. E
Maria. È la casa di tutti i cristiani. È la nostra
spiritualità. Non si può abbandonare la propria
terra”.
E il coraggio di Violette ci accompagna a
Sephoris, uno tra i 17 villaggi distrutti nel
'48 attorno a Nazareth. Quanti i profughi visti
durante la sua infanzia fare ritorno a Nazareth
sotto il controllo militare! “Profughi interni o
presenti assenti”, privati della loro terra e delle
loro abitazioni nella pulizia etnica del '48.
Ed ecco le rovine delle case, una pineta per
cancellare la memoria. È ciò che resta di questo
villaggio ormai invisibile. È sopravvissuto il
monastero di Sant'Anna. E ancora una volta ad
accoglierci è l'abbraccio di una donna, Suor
Hana, che mostrandoci un'antica foto alla
parete, con la pazienza incredibile tipica di
palestinesi, commenta: di tutte queste case non
è rimasto pietra su pietra. Ma noi, qui,
resistiamo ogni giorno.
Resistiamo rimanendo.
E noi come amava dire Vittorio, ripetiamo
instancabili: Restiamo umani!
Pellegrini di Giustizia di
UN PONTE PER BETLEMME 2012
6
Open Shuhada Street
Hebron (Cisgiordania), 24 febbraio 2012.
Centinaia di attivisti palestinesi, internazionali e israeliani, divisi in due cortei, oggi si sono
incamminati verso la zona H2 di Hebron – il 20% della città controllato dall’esercito israeliano
dove 500 coloni ebrei si sono insediati tra oltre 20mila abitanti palestinesi – per chiedere la
riapertura di via Shuhada. Questa arteria cittadina un tempo ricca di vita, di negozi e di botteghe
artigiane, a poche decine di metri dalla casbah, da diversi anni è morta. Le intimidazioni dei
coloni e le strettissime misure adottate in quella zona da polizia ed esercito, hanno spinto molti
abitanti ad abbandonarla e i commerciati a non aprire più i negozi.
I due cortei però sono stati subito bloccati da soldati e poliziotti israeliani che hanno lanciato
decine di granate assordati, hanno spruzzato con acqua dall’odore nauseabondo i manifestanti e
sparato candelotti lacromogeni. Il video di Nena News vi offre alcune immagini di oggi a Hebron.
(Nena News) GUARDA IL VIDEO : http://nena-news.globalist.it/?p=17340
Israele: in arrivo nuove colonie
di Ika Dano
Beit Sahour (Cisgiordania), 23 Febbraio 2012.
Da ieri c’è un nuovo ostacolo alla ripresa dei negoziati: l’autorità civile israeliana ha annunciato
la costruzione di 500 nuove unità abitative a Shilo, una colonia di 2000 persone a 30 km dalla
città di Nablus (Nord della Cisgiordania), e la legalizzazione di un centinaio di case
nell’avamposto di Shvut Rachel.
“Almeno, ora potremo cancellare il nome Shvut Rachel dalla lista degli outpost illegali”- ha
comunicato il portavoce dell’amministrazione civile – organo militare facente capo al ministero
della difesa – Guy Inbar all’agenzia AFP. Secondo il Middle East Online, Inbar avrebbe
dichiarato che verrà legalizzato “per motivi umanitari”. Israele distingue infatti tra insediamenti
illegali – costruiti senza permesso dell’amministrazione – e insediamenti pianificati dallo Stato,
che sarebbero una riposta alla “crescita demografica naturale dello Stato israeliano”. Di altro
avviso il diritto internazionale, che nell’articolo 49 della Convenzione di Ginevra afferma: “La
Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua
propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”.
Se hai uno smartphone verrai
rimandato direttamente al sito...
Non solo F35… Israele si addestrerà alla guerra con i
caccia italiani
di Antonio Mazzeo
Saranno molto probabilmente gli M-346 “Master” di Alenia Aermacchi i nuovi aerei
d’addestramento dei piloti israeliani. Mentre è in atto una pericolosissima escalation militare nelle
acque del Golfo Persico e Washington e Tel Aviv preparano congiuntamente la prossima guerra
(Iran o Siria?), il quotidiano “Haaretz” rivela che le forze armate israeliane starebbero per
assegnare all’industria bellica italiana la commessa di oltre un miliardo di dollari per la fornitura
di 25-30 caccia-addestratori “avanzati”. Gli M-346 sostituiranno i vecchi A-4 “Skyhawk” della
statunitense McDonnell Douglas, utilizzati dalle “Tigri volanti” del 102° squadrone
dell’aeronautica israeliana come velivolo per formare i nuovi piloti dei cacciabombardieri e come
mezzo di supporto alla guerra elettronica.
Quando i sordi fingono di parlarsi
di Ugo Tramballi
Scrivere del negoziato di pace fra israeliani e palestinesi è come disquisire sul sesso degli angeli,
chiedersi quando verrà la fine del mondo, avere tempo da perdere e decidere di perderlo.
Nell’ultima tornata di colloqui fra israeliani e palestinesi che si è svolta ad Amman ancora una
volta non è successo assolutamente niente.
La mia opinione è sempre la stessa: che in questo conflitto ci sia un occupante e un occupato. Per
quanto i palestinesi abbiano ostinatamente commesso errori fondamentali che li hanno congelati
in questa condizione, loro sono occupati. E per quanto la brutalità dell’occupazione israeliana sia
uno scherzo rispetto a quello che il regime siriano fa al suo stesso popolo, gli israeliani restano gli
occupanti.
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(L. 675/96). Gli indirizzi ai
quali
mandiamo
la
com unicazione
sono
selezionati e verificati, ma
può succedere che il
messaggio pervenga anche a
persone non interessate. VI
CHIEDIAMO SCUSA se ciò è
accaduto. Se non volete più
ricevere "BoccheScucite" o
ulteriori messaggi collettivi, vi
preghiamo di segnalarcelo
mandando un messaggio a
n an dy no@ l i b er o. i t c o n
oggetto: RIMUOVI, e verrete
immediatamente rimossi dalla
mailing list.
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