Most: il progetto - Quintadicopertina

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Most: il progetto - Quintadicopertina
ANTEPRIMA MOST#7
Editoriale
DOSSIER: indipendentismi
e separatismi d’Europa
POLITICA E SOCIETÀ: minoranze d’Europa
L’ANALISI
EUROPA NEL PALLONE
CULTURA
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Indice degli argomenti
Indice degli avvenimenti
Bibliografia interattiva
Most: il progetto
Editoriale
Il vecchio continente, tra crisi e questioni
identitarie
La federazione europea non si proponeva di colorare in questo o quel modo un potere esistente. Era la sobria proposta di
creare un potere democratico europeo.
Secondo uno dei padri dell’Europa unita, Altiero Spinelli,
quella d’Europa doveva essere una grande famiglia, unita nella
pace, in un grande progetto federalista che avesse nei popoli europei il suo primo interesse.
A cent’anni dalla Grande Guerra, a quasi settanta dalla vittoria
sul nazi-fascismo e a venticinque dal crollo del muro di Berlino, l’Europa si trova ancora una volta in crisi, non più sotto le
bombe o internata in un campo di lavoro, ma smarrita nel tentativo di trovare un’identità comune e, ancora una volta, divisa in blocchi. Blocchi non più ideologici, ma sociali, economici
e culturali.
Lo status quo che la crisi economica mondiale ha imposto al
nostro continente riporta alla luce vecchi fantasmi, quali il nazionalismo e la paura dell’“altro”, e l’Unione Europea, istituzione che contiene le istanze degli stati in crisi, sembra ricreare
dentro e fuori di se queste divisioni sociali, economiche e culturali.
Il vecchio continente, tra crisi e questioni identitarie
L’Europa di oggi infatti sta finendo col coincidere esclusivamente con l’Unione Europea, vista sempre più come l’unione delle
banche e dei grandi interessi finanziari da chi vive sulla propria
pelle la crisi, e per questo è stato ironicamente soprannominato
dagli altri membri “GIPSI” (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna e
Irlanda); o ancora viene vista come l’ancora di salvezza, da quei
paesi che non vi fanno parte e vedono in essa la speranza che
ogni unione porta con sé, come nei Balcani e fino in Ucraina, dove l’odierna crisi internazionale rischia di ricreare quei blocchi
da guerra fredda che la stessa UE si troverebbe a difendere, in
contrapposizione alla superpotenza della Russia di Putin.
In questa Europa ed UE in crisi, si fanno sempre più numerosi i
movimenti e i partiti indipendentisti e populisti, portavoce
di vecchi orgogli nazionali, sopiti in quella che ai loro occhi
sembra un’organizzazione delle grandi nazioni europee, incuranti di specificità culturali locali nonché di minoranze ormai
dimenticate.
E proprio questi movimenti secessionisti, più volte accusati di
essere responsabili dell’aumento di quel fenomeno definito come “balcanizzazione dell’Europa”, saranno uno dei focus
principali di questo numero di Most, che tratterà una serie di
“balcanismi” come quelli di Scozia e Catalogna, ma anche Belgio e Italia, a confronto con la regione balcanica, che a sua volta
sembra più stabile, o più “europeizzata”?
E ancora, la questione identitaria, inventata o reale, sempre
da difendere o finalmente da integrare, come nel caso delle nu-
Il vecchio continente, tra crisi e questioni identitarie
merose minoranze etnico-linguistiche che il vecchio continente
sembra aver dimenticato?
Abbiamo deciso di dedicare questo numero agli indipendentismi d’Europa, cercando di capire se il problema siano le richieste di indipendenza delle diverse identità sub-statali o appunto
il tentativo di assimilarle dal centro. Inoltre, vi proponiamo la
questione nazionale di molte minoranze, tra legittimità identitaria e paura per la destabilizzazione.
Sia gli indipendentismi che le minoranze nazionali non fanno
che mettere a dura prova l’unità europea, e l’Europa, quella dei
popoli e non delle banche, ha davanti a sé un altro test di maturità, il cui eventuale fallimento innescherebbe una catena di
conseguenze, forse inarrestabili.
Giorgio Fruscione
L’ANALISI
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo
verso l’indipendenza
di Matteo Zola
Il prossimo 18 settembre i cittadini scozzesi saranno chiamati
a votare per un referendum storico per decidere
sull’indipendenza del loro paese. La questione però è tutt’altro
che semplice: molte sono le componenti storiche, sociali ed economiche da tenere in considerazione per capire le ragioni di
questo referendum e le sue possibili conseguenze locali e internazionali. Non a caso il referendum scozzese è guardato con attenzione, e preoccupazione, da molti paesi europei – Spagna in
testa – che temono per la loro integrità nazionale. Ma andiamo
con ordine.
Breve excursus sul nazionalismo scozzese
La Scozia è una nazione antica, ma il nazionalismo scozzese è
relativamente recente. L’atto di Unione con l’Inghilterra, datato 1707, si rese necessario dopo il collasso finanziario dello stato scozzese, uscito malconcio dall’impresa detta di Darién, che
prevedeva la colonizzazione dell’istmo di Panama - e del golfo
di Darién – allo scopo di rilanciare il commercio internazionale
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo verso l’indipendenza
di un paese in dissesto economico. L’impresa fallì miseramente portando allo scoperto la debolezza di una Scozia incapace di
fronteggiare le sfide di un mondo che andava globalizzandosi,
fatto di barriere tariffarie e guerre mercantili, commerci oceanici e nascenti compagnie finanziarie. Per evitare la bancarotta, il parlamento scozzese votò per l’unione con l’Inghilterra
che, dal canto suo, si accollò il debito del governo scozzese. Molti guardano a quell’evento paragonandolo al presente: potrà la
piccola Scozia far fronte da sola alle sfide del mondo globalizzato? Il governo di Edimburgo, guidato da Alex Salmond e dal suo
partito nazionalista, lo Scottish National Party , assicurano che la
Scozia del futuro avrà una florida economia basata su una piazza finanziaria autonoma da Londra e sulla produzione e vendita di idrocarburi. Le recenti prese di posizione inglesi mettono
in discussione questa rosea previsione preoccupando l’opinione
pubblica scozzese per le conseguenze di un’eventuale indipendenza. E la causa nazionalista in Scozia non ha mai scaldato gli
animi: per tutto l’Ottocento fu portata avanti da un ristretto
gruppo di intellettuali e si dovette attendere gli anni Venti del
secolo scorso, con la nascita del partito nazionalista scozzese,
per cominciare a parlare pubblicamente di indipendenza. Quando negli anni Settanta si scoprirono i preziosi giacimenti di petrolio e gas al largo delle coste scozzesi, il partito nazionalista
ebbe l’occasione di farsi sentire chiedendo che le ricchezze derivanti dalla produzione di idrocarburi restassero in Scozia. Nel
1978, sotto la spinta crescente dell’opinione pubblica, il parla-
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo verso l’indipendenza
mento di Londra promulgò lo Scotland Act allo scopo di istituire una Scottish Assembly ma il referendum del 1979, che avrebbe dovuto sancire la nascita di un locale parlamento, non raggiunse il controverso quorum che prevedeva che i voti favorevoli fossero almeno pari 40% degli aventi diritto al voto.
Dave Conner – Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo verso l’indipendenza
Si dovette quindi attendere il 1997, con l’elezione dello scozzese
Tony Blair e la sua devolution , per avere un parlamento scozzese
- Holyrood - e la sovranità su molte materie tra sanità, istruzione, sviluppo economico, giustizia, ambiente, agricoltura e politiche fiscali. Ma non bastò. Le prime elezioni vennero vinte dai
laburisti, tradizionalmente forti in Scozia, ma nel 2001 fu il National Scottish Party a formare un governo di minoranza per poi
vincere le elezioni successive, quelle del 2007, facendo di Alex
Salmond il First Minister che sta portando ora gli scozzesi verso
questo decisivo appuntamento.
Sull’identità scozzese
Tutti conoscono i simboli dell’identità scozzese: il kilt - il gonnellino in lana i cui motivi tartan rappresentano il clan di appartenenza - o le cornamuse, strumento musicale tipico delle
Highlands. C’è poi l’elemento linguistico, quella lingua Scots, di
origine germanica ma distinta dall’inglese, parlata in quasi tutta la Scozia meridionale, e la lingua gaelico-scozzese parlata nel
nord. Questi elementi non sono tuttavia così autenticamente
scozzesi come si pensa.
In The invention of tradition, raccolta di saggi curata da Eric Hobsbawn e pubblicata dalla Cambridge University press nel 1983,
si trova una fondamentale analisi della tradizione scozzese, a
firma di Hugh Trevor-Roper. L’autore spiega come gli elementi
oggi riconosciuti quali simboli dell’identità scozzese siano una
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo verso l’indipendenza
invenzione retrospettiva. La cosa non deve stupire, come spiegato precedentemente [vedi] le identità culturali nascono per
contrapposizione e finché la Scozia è stata una nazione indipendente non ha prodotto elementi distintivi, esistevano certo dei
caratteri dell’essere scozzese ma non erano assurti a simboli della nazionalità. Questi simboli cominciano a formarsi durante il
Romanticismo che, con la sua re-invenzione del Medioevo, ha
di fatto creato molti elementi identitari poi confluiti nei nazionalismi ottocenteschi. Il kilt, per come lo conosciamo noi, è infatti un’invenzione di tale Thomas Rawlinson, imprenditore inglese del ‘700, proprietario di fornaci in Scozia. Durante una visita nelle Highlands vide che i poveri del luogo vestivano con
una lunga coperta in lana grezza con motivi tartan che, cadendo dalle spalle, copriva l’intero corpo ed era fermata in vita da
una cintura facendo così sembrare la parte inferiore una gonna.
Rawlinson ebbe l’idea di realizzare un gonnellino, staccato dalla
coperta, e ne inventò una tradizione a fini puramente commerciali. Il kilt è quindi un abbigliamento moderno che il movimento romantico impose come segno di antichità.
Una storia recente è anche quella del tartan, il motivo noto appunto come scozzese. Tipico nelle coperte delle genti povere delle Highlands, cominciò a diffondersi grazie all’invenzione del
kilt, ma fu solo nel 1820 che il tartan divenne una vera e propria
moda. A renderlo famoso fu una visita in Scozia di re Giorgio
IV (1762-1830) che, per far fronte alle sommosse popolari della
cosiddetta Radical War, decise di recarsi a Edimburgo come se-
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo verso l’indipendenza
gno di vicinanza verso la popolazione. La visita fu organizzata
da sir Walter Scott, autore del celebre romanzo storico Ivanhoe,
il quale si impegnò affinché il percorso del sovrano fosse ricoperto con un tappeto realizzato in motivi tartan, in voga in quel
periodo. La realizzazione del tappeto diede da lavorare a molti
artigiani locali e la visita del sovrano riaccese l’ardore monarchico degli scozzesi disinnescando le rivolte. Quella visita è ricordata come l’atto di nascita della moderna identità scozzese,
fiera della sua diversità ma fedele alla corona, che ha nei kilt e
nel tartan i suoi simboli.
A contribuire a creare un’identità culturale scozzese fu soprattutto l’opera di James Macpherson, autore dei celebri Canti di Ossian, dati alle stampe nel 1761 e opera fondamentale della letteratura pre-romantica europea. Mecpherson affermò che quei
canti erano la traduzione di un antico poema celtico del III° secolo, da lui rinvenuto nelle Highlands. L’opera, che racconta le
vicende di Fingal, personaggio della mitologia celtica, per mano del figlio Ossian, testimonierebbe l’esistenza di una remota civiltà, fiera e guerresca, antesignana dei moderni scozzesi.
L’autenticità delle presunte traduzioni fu messa in discussione
fin da subito e Samuel Johnson, tra i più insigni letterati inglesi
del XVIII° secolo, e oggi sappiamo che si trattava di un falso: i
Canti di Ossian sono infatti il frutto della fantasia di Mecpherson.
Questo nulla toglie al valore letterario di un’opera che inaugurò
il Romanticismo europeo, ma gioca del tutto a sfavore della presunta identità celtica degli scozzesi, un’identità che però si af-
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo verso l’indipendenza
fermò nel corso dell’Ottocento in modo strumentale al fine di rivendicare una irriducibile diversità rispetto agli inglesi e, quindi, poter avanzare richieste di autonomia.
La diversità è però assai ardua da dimostrare. La lingua celtica,
tutt’oggi parlata da appena 60mila persone (su 5 milioni di scozzesi), rappresenta una minoranza nel quadro delle lingua parlate in Scozia dove, dopo l’inglese, la più diffusa è lo Scots, una
lingua di origine germanica sviluppatasi probabilmente in epoca medievale da un dialetto inglese del nord. Parlato da quasi
2 milioni di persone è la vera lingua locale scozzese, al punto
che oggi la BBC dedica un canale alla programmazione in lingua
Scots, ma sono gli stessi parlanti a ritenerla un dialetto: nel 2010
il governo scozzese pubblicò una ricerca dal titolo Public attitudes towards the Scots language in cui si riportava come il 64% degli
intervistati ritenesse lo scozzese un dialetto inglese. Insomma,
la lingua Scots poco si attaglia ad essere l’elemento caratterizzante dell’identità scozzese, così vicina all’inglese: meglio – come fece Mecpherson – rivolgersi alla lingua celtica e al misterioso e suggestivo retaggio culturale delle Highlands.
Tuttavia la lingua celtica non ha molto a che fare con la Scozia.
In The invention of tradition, Hugh Trevor-Roper spiega come le
Highlands fossero, nell’Alto Medioevo, “etnicamente e culturalmente una colonia irlandese”. Le popolazioni celtiche dell’Irlanda
– scrive Trevor-Roper - attraversarono nel V° secolo lo stretto
braccio di mare che separa l’isola dalla Scozia e si stabilirono
nelle terre alte dando origine a un regno celtico, noto con il no-
Tra identità ed economia, le sfide di Edimburgo verso l’indipendenza
me di Dalriada. Considerato tradizionalmente un regno scozzese, a causa di un estensione territoriale prevalente in quella che
oggi è la Scozia, il regno di Dalriada aveva in realtà la sua base
in Ulster.
Fu la necessità di costruire un’identità nazionale da contrapporre a quella inglese, e su cui costruire rivendicazioni di libertà
e indipendenza, a motivare l’invenzione di alcuni elementi distintivi. E occorre ribadire come essi si svilupparono solo dopo
l’atto di Unione con l’Inghilterra del 1707. Prima di quella data
essi esistevano in forme meno codificate ed erano visti come
eredità di una cultura barbara che andava rifiutata, specie in
una Edimburgo che stava diventando una delle capitali dell’Illuminismo europeo guadagnandosi l’appellativo di “Atene del
nord”: qui operavano infatti Adam Smith, Thomas Reid, David
Hume. Forse anche grazie all’eredità illuminista, il nazionalismo
scozzese non si è mai connotato per radicalismo. Anche oggi il
dibattito ruota attorno a questioni economiche e non c’è il minimo accenno a “etnicismi” o altri radicalismi. Quello che oggi interessa a Edimburgo è scrollarsi di dosso una Londra percepita come oppressiva. La discriminazione degli stranieri non
è all’ordine del giorno come invece lo è in Inghilterra, dove il
governo Cameron – con le sue retoriche contro romeni, bulgari
e altri immigrati europei - sembra molto più “nazionalista” dei
nazionalisti scozzesi.
Most: il progetto
La rivista periodica Most nasce come progetto dell’omonima associazione, costituita tra membri della testata online East Journal. Most è una rivista che si occupa di approfondimenti, analisi
e reportage dell’Europa centro-orientale e balcanica, del Caucaso, del medio oriente e centro Asia.
Abbiamo scelto “Most” – che in molte lingue slave significa
“ponte” – per poter offrire contributi di carattere accademico
a tutti coloro che per interesse o passione sono “rivolti a est”.
Il nostro obiettivo, dunque, è quello di accompagnarvi alla scoperta di culture, contesti sociali e realtà geopolitiche internazionali solitamente trascurate, cercando di mettervi a disposizione le nostre competenze accademiche e le nostre esperienze.
Most rappresenta quindi un ponte progettato per andare oltre
gli stereotipi legati al concetto di “oriente”, nonché un tentativo di dimostrare la vicinanza di culture che ai più sembrano
lontane e sconosciute.
Buona lettura!
La Redazione
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Most
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Most: Giorgio Fruscione
Vicedirettore: Damiano Benzoni
Coordinatore di redazione: Emanuele Cassano
Revisione testi: Chiara Milan
Ricerca iconografica: Silvia Padrini
Hanno contribuito a questo numero:
Alessandro Ajres
Antonio Banchig
Aron Coceancig
Davide Denti
Henri Kociu
Roberto Mondin
Carlo Pallard
Alfredo Sasso
Donatella Sasso
Matteo Zola
Most è una rivista allegata al giornale on line East
Journal
Testata registrata n. 4351/11 del 27 giugno 2011 presso il Tribunale di Torino
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Digitalizzazione a cura di Quintadicopertina
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Marcatura e grafica di Fabrizio Venerandi
Copertina di Appropinquo Fallcatti. Immagine di copertina: Peretz Partensky – Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA
2.0)
MOST n.7 Settembre 2014
ISBN: 9788867690664
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