ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO

Transcript

ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
Capitolo 17
ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
di Raffaele La Placa
1. PREMESSA - 2. CONTROLLO DEL BILANCIO - 3. APPROVAZIONE
DEL BILANCIO FALSO ED INVALIDITÀ - 4. RESPONSABILITÀ PER IL
BILANCIO FALSO
Questo capitolo, unitamente a quello successivo sugli aspetti penali del falso
in bilancio, chiude il presente volume non a caso: ci si deve infatti chiedere ora
quali siano le conseguenze di un bilancio non veritiero, falso.
Dal punto di vista civilistico non abbiamo norme speciali a cui far riferimento,
ma si deve aver riguardo al coacervo dei precetti che regolano il controllo sui
conti sociali, che normano l’approvazione del bilancio e, soprattutto, che stabiliscono le responsabilità dei soggetti che, a diverso titolo, sono chiamati a collaborare per esprimere un bilancio veritiero e corretto.
Ne deriva che è necessaria un’opera di coordinamento di varie disposizione,
che risulta ora ancora più complicata dalla recente riforma del diritto societario,
la quale – nel predisporre differenti modelli di gestione – ha anche diversificato
gli organi controllori ed i soggetti che intervengono nell’iter predisposto per la
formazione del bilancio.
Tutto sommato restano invariati rispetto al passato, viceversa, i criteri che
portano alla responsabilità di amministratori e controllori, anche se qui un’avvertenza è d’obbligo: è prudente attendere che si formi e consolidi la giurisprudenza
anche dopo la citata riforma societaria per poter con certezza mutuare quanto
sancito in passato anche per il futuro.
Nel presente lavoro ometterò di affrontare ogni argomento che viene trattato
da studiosi più esperti di me in altra parte del volume meglio di quanto potrei
fare io anche perchè, per dare la richiesta snellezza al presente scritto, reputo
opportuno dare per presupposti ed acquisiti concetti contabili e di redazione del
bilancio.
Neppure verrà presa in considerazione la costituzione di parte civile nel procedimento penale in quanto, come detto, gli aspetti penalistici sono trattati pure
in altro capitolo.
ANALISI
1. PREMESSA
2. CONTROLLO DEL BILANCIO
2.1. Organi di controllo e controllo contabile
Come detto è sicuramente più articolata che in passato la normativa che riguarda il controllo nelle società di capitali, in quanto bisogna aver riguardo a
quanto il codice civile detta per le società a responsabilità limitata e per quelle per azioni e poi ancora, nell’ambito di quest’ultimo tipo di società, occorre
esaminare i vari sistemi di amministrazione ed appunto controllo, non più unici
per ogni tipo sociale.
Nel sistema originale tipico, come noto, il controllo era demandato al collegio sindacale, che nelle società a responsabilità limitata continua ad essere un
343
Libro MAP n. 36
organo necessario solo nelle ipotesi (in caso contrario è facoltativo) di cui all’art.
2477, co. 2 e 3, e cioè: “La nomina del collegio sindacale è obbligatoria se il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni.
La nomina del collegio sindacale è altresì obbligatoria se per due esercizi
consecutivi siano stati superarti due dei limiti indicati dal primo comma dell’art.
2435 bis. L’obbligo cessa se, per due esercizi consecutivi, due dei predetti limiti
non vengono superati”.
Passando alle società per azioni il collegio sindacale è previsto nell’ipotesi
di adozione del sistema tradizionale. Nell’ipotesi di previsione del sistema dualistico la funzione di controllo è invece esercitata dal consiglio di sorveglianza.
Infine nel sistema monistico la funzione predetta viene svolta dal comitato per il
controllo della gestione, composto da amministratori.
Va anche rammentato che il controllo contabile ai sensi dell’art. 2409-bis, c.c.,
viene comunque attribuito ad un revisore contabile ovvero ad una società di
revisione o ad un collegio.
ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
2.2. Controllo della società di revisione
L’art. 155, D.Lgs. 24/02/1998, n. 58, così statuisce: “Attività di revisione contabile.
1. Una società di revisione iscritta nell’albo speciale previsto dall’articolo 161
verifica:
a) nel corso dell’esercizio, la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili;
b) che il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti e che siano conformi
alle norme che li disciplinano.
2. La società di revisione ha diritto di ottenere dagli amministratori della società documenti e notizie utili alla revisione e può procedere ad accertamenti,
ispezioni e controlli; essa informa senza indugio la CONSOB e il collegio sindacale dei fatti ritenuti censurabili.
3. La società di revisione riporta in apposito libro tenuto presso la sede della
società che ha conferito l’incarico le informazioni concernenti l’attività di revisione svolta, secondo i criteri e le modalità stabiliti dalla CONSOB con regolamento.
Si applica l’articolo 2421, terzo comma, del codice civile“.
Lo scopo del legislatore è chiaro: rafforzare la credibilità del bilancio non solo
per i soci, ma per tutti i soggetti terzi che entrano in contatto con la società ed
hanno bisogno di conoscerne la solidità ed il suo valore. Ed è per questo che
conferisce poteri per espletare un controllo approfondito però, per certi versi, più
limitato come ambito rispetto agli altri organi di controllo.
Al revisore è dunque demandata la verifica della corrispondenza del bilancio
d’esercizio alle risultanza delle scritture contabili. Tale attività si concretizza in accertamenti che porteranno il revisore ad esprimere un giudizio che, come detto,
ha lo scopo di tutelare soci e terzi.
Il controllo riguarda la formazione del bilancio e i criteri ad esso preposti, i
principi di redazione e la struttura del bilancio stesso, il bilancio nella sua interezza e nelle singole parti.
La valutazione espressa dai revisori si ritiene sia di ordine professionale e non
costituisca invece un’attestazione o certificazione: è dunque un’opinione professionale resa da soggetto all’uopo qualificato.
344
Libro MAP n. 36
2.3. Controllo del collegio sindacale
Come abbiamo visto nelle s.r.l., laddove obbligatorio ovvero previsto dall’atto costitutivo, il collegio sindacale svolge le funzioni di controllo.
Quello che qui preme rilevare è che la presenza del collegio sindacale non importa la soppressione dei diritti di controllo che ogni singolo socio può esercitare
ex art. 2476, co. 2, c.c., poiché tale controllo viene esercitato dal socio nel proprio
interesse e non di quello sociale
I poteri e le regole alle quali il collegio sindacale si deve uniformare sono
determinati dall’atto costitutivo nell’ipotesi in cui sia quest’atto a prevedere la
costituzione dell’organo di controllo, mentre sono determinate dalla legge – con
rinvio alle norme sulle s.p.a. – nell’ipotesi in cui invece il collegio sindacale debba
essere obbligatoriamente nominato.
La disciplina sulle s.p.a., a mezzo dell’art. 2403, c.c., stabilisce che “Il collegio
sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto
funzionamento.
Esercita inoltre il controllo contabile nel caso previsto dall’articolo 2409 bis,
3° comma”.
2.4. Specificità del controllo nelle s.p.a.
Come abbiamo poco innanzi rilevato, però nelle s.p.a. il collegio sindacale
non è l’unico organo che può esercitare la funzione di controllo.
Nel sistema dualistico al consiglio di sorveglianza si applica l’art. 2409-terdecies, co. 1, lett. c), c.c., che richiama l’art. 2403-cit., per cui quanto esposto al
termine del paragrafo precedente ha valore non solo nel sistema più tradizionale,
ma anche nel sistema dualistico con riferimento, appunto, al consiglio di sorveglianza.
All’apparenza parzialmente differenti sono le funzioni del comitato per il
controllo sulla gestione poiché l’art. 2409-octiesdecies, co. 4, lett. b), c.c., recita:
“vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di
controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonchè sulla idoneità
a rappresentare correttamente i fatti di gestione”, ma si deve intendere che i poteri siano estesi anche al controllo di legalità, così come a quello sulla correttezza
dell’amministrazione e contabile.
Tali forme di controllo sono svolte precipuamente nell’interesse della società
ed a garanzia dei soci, ma mediatamente svolgono una funzione di garanzia pure
per i terzi.
Possiamo inoltre anche citare, nell’ambito del controllo che può essere esercitato in una s.p.a., anche gli adempimenti che gli amministratori e i sindaci devono mettere in essere per consentire ai soci un esame preventivo alla votazione
del bilancio.
3. APPROVAZIONE DEL BILANCIO FALSO ED INVALIDITÀ
3.1. Competenza
Detto dei controlli, resta il fatto che il bilancio è atto degli amministratori.
Molto si è discusso, e le opinioni non sono del tutto concordi, sul fatto che
l’attuale disciplina – a differenza di quella prevista nel vecchio codice di commercio – preveda per il soggetto incaricato del controllo contabile e per il collegio
sindacale, il potere-dovere di fare osservazioni e proposte in ordine al bilancio
345
Libro MAP n. 36
ed alla sua approvazione (così come è previsto l’intervento dell’assemblea o del
consiglio di sorveglianza) ma solo, appunto, per approvarlo o meno e non invece
anche per modificarlo.
Nelle s.r.l. l’approvazione compete unicamente ai soci, mentre nelle s.p.a.
con sistema non dualistico spetta all’assemblea ordinaria e per quelle con
consiglio di sorveglianza a quest’ultimo organo (con talune eccezioni: v. art.
2409-terdecies, c.c.).
Ora, si pone il rilevante problema di quali effetti legali scaturiscano dall’approvazione di un bilancio viziato.
ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
3.2. Tipo di invalidità
Cominciamo col dire che non pare si possa fare distinzione, sotto il profilo del
tipo di invalidità, tra quelle che si verificano nell’approvazione di un bilancio di
una s.r.l. e di una s.p.a..
La dottrina suole bipartire la tipologia dei vizi di bilancio in sostanziali (il bilancio è falso in senso proprio poichè quanto ivi esposto non è vero) e in formali
(il bilancio è vero perchè i dati sono corretti, ma non è esposto in modo chiaro
ed intelleggibile).
Originariamente, nell’ipotesi di approvazione da parte dell’assemblea di un
bilancio falso, vi era chi sosteneva che l’ invalidità che investiva la delibera medesima ricadeva nella fattispecie prevista dall’art. 2377, c.c., e non in quella di cui
all’art. 2379, c.c., e, dunque, ne conseguiva la sanzione civilistica dell’ annullamento e non la nullità dell’atto.
Per la verità la giurisprudenza si è espressa spesso in favore della nullità della
delibera assembleare. Sul punto si vedano, per esempio: Cass., sez. I, 24/11/2000,
n. 15189; id. sez. un., 21/02/2000, n. 27; App. Milano, 26/01/1999; Trib. Napoli,
16/07/1996; id., 30/03/1995; id., 25/07/1992; Trib. Milano, 03/07/1989; App. Catania,
27/02/1986; Trib. Bologna, 13 /09/1984; Cass. 27/02/1985, n. 1699; id. 03/12/1984,
n. 6300; App. Torino, 28/05/1980.
In particolare si vuole richiamare l’attenzione sulla sentenza della Suprema
Corte emessa a Sezioni Unite nel 2000, n. 27 cit. in quanto la pronuncia ha una
duplice rilevanza per l’argomento che qui trattiamo.
La sentenza, innanzi tutto, equipara i due tipi di vizi che sopra ho elencato:
anche il bilancio privo del necessario requisito della chiarezza, dal quale non
sia possibile desumere tutti gli elementi che la legge pretende che il bilancio
esponga, è illecito e l’illiceità che si riverbera sulla delibera assembleare è la
nullità.
La pronuncia definisce una querelle sull’autonomia del principio di chiarezza
nel bilancio delle società di capitali. Viene preso atto della centralità di tale principio, il quale assume rilevanza propria, e non strumentale, rispetto al principio
di verità. Le regole del bilancio, dunque, presidiano non solo alla sua verità, ma
anche alla sua trasparenza, ostensibilità, conoscibilità e comprensione.
È la chiarezza di bilancio, oltre che la sua verità, che chiede la moderna economia e probabilmente il giudice di legittimità ha compreso questa esigenza.
Infatti ha voluto comporre con la pronuncia a sezioni unite i due orientamenti
giurisprudenziali che si erano in allora creati: il primo, come detto, che voleva la
chiarezza unicamente strumentale alla veridicità del bilancio ed il secondo invece, poi sposato, che attribuiva autonoma rilevanza al precetto di chiarezza.
Secondo la Corte è indiscutibile che la funzione informativa sia uno degli
scopi principali perseguiti dal legislatore nel disciplinare il profilo contabile del
diritto societario e che in tale ottica, riproponendo parte della dottrina, afferma
che “chiarezza … significa evidenza e significa soprattutto trasparenza, intellegibilità delle strutture, analiticità delle voci in misura adeguata alle esigenze di
346
Libro MAP n. 36
comprensione del patrimonio, dell’origine del risultato e delle ragioni per le quali
una certa posta di bilancio ha acquistato la consistenza e la qualificazione che
le sono state attribuite nel documento” per cui “il bilancio poco chiaro elude
tale finalità e pregiudica quindi gli interessi generali tutelati dalla normativa in
materia, ancorchè i dati in esso riportati non risultino, nella loro espressione contabile, contrari al vero” ed ancora “in definitiva, da nessuna norma è possibile
desumere una sorta di supremazia del principio di verità su quello di chiarezza,
supremazia cha anzi è esclusa dall’analisi del sistema normativo”.
Come detto, poi la sentenza in commento conferma il vizio di nullità della
delibera assembleare che aveva approvato il bilancio non chiaro.
Per la verità, con la nuova disciplina societaria, la distinzione tra nullità e
annullabilità della deliberazione di approvazione di un bilancio non ha più una
grande rilevanza, soprattutto a cagione dell’entrata in vigore dell’art. 2434-bis,
c.c., che accomuna le azioni di annullabilità e nullità ai fini della disciplina ivi prevista. Una certa mancanza di coordinamento comunque permane, se non altro
perchè il citato articolo non ha significato se applicato all’azione di annullamento
della deliberazione, in quanto l’azione di annullabilità deve comunque essere
proposta entro 90 giorni dalla assunzione della delibera viziata e, quindi, il termine perentorio previsto per impugnare il bilancio è tanquam non esset poiché
successivo allo scadere del primo. L’articolo in commento ha invece significato e
portata pratica rilevante per ciò che concerne l’azione di nullità che invece, prescrivendosi in tre anni, avrebbe consentito impugnative anche dopo il termine
previsto dal cit. art. 2434-bis.; tale termine è salutato con favore dalla dottrina che
nella norma vede la volontà di privilegiare le ragioni dell’impresa e della certezza
giuridica. Infatti la continuità degli esercizi e dei bilanci non rendeva produttiva
l’impugnazione di un’approvazione di bilancio una volta trascorsi due esercizi ed
inoltre creava problemi giuridici in merito alla persistenza dell’interesse ad agire
dell’impugnante.
3.3. Impugnazione
Si è già rilevato che l’art. 2434-bis, c.c., ha stabilito un termine decadenziale per impugnare le delibere di approvazione del bilancio; tale termine ultimo,
ricordo, è costituito dalla data di approvazione del bilancio relativo all’esercizio
successivo a quello del bilancio impugnando.
La legittimazione per l’annullamento spetta ai soci che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale. Tale quorum si reputa essere inderogabile e non
modificabile, nemmeno dallo statuto sociale, anche se non tutta la dottrina è del
medesimo avviso.
Ogni singolo socio che vi abbia interesse può invece impugnare per nullità la
deliberazione in argomento.
Resta ferma la legittimazione ad impugnare in capo anche agli altri soggetti quali, ad esempio, i componenti dell’organo amministrativo e dell’organo di
controllo.
Per il sistema dualisitco l’art. 2409-quaterdecies, c.c., stabilisce che la delibera
del consiglio di sorveglianza con cui viene approvato il bilancio, alla quale si applica l’art. 2434-bis, può essere impugnata dai soci ai sensi dell’art. 2377, c.c..
La disposizione non è di facile coordinamento con il resto della disciplina; ciò
nondimeno può essere ritenuto che avverso la deliberazione di approvazione del
bilancio da parte del consiglio di sorveglianza siano esperibili sia l’azione di nullità che di annullamento e le relative azioni debbano essere rispettose del termine
decadenziale appena richiamato e previsto dall’art. 2434-bis, c.c..
L’azione per l’impugnazione può comunque essere promossa anche da ogni
singolo componente del consiglio di sorveglianza, assente o dissenziente.
347
Libro MAP n. 36
4. RESPONSABILITÀ PER IL BILANCIO FALSO
4.1. I soggetti responsabili
ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
4.1.1. Amministratori
Il punto di partenza sono gli art. 2476, c.c., che per gli amministratori delle
s.r.l. dispone che “gli amministratori sono solidalmente responsabili dei danni
derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società” e l’art. 2392, c.c., che dispone invece
che gli amministratori di s.p.a. “devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla
legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalla
loro specifiche competenze: Essi sono solidalmente responsabili verso la società
dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri”.
Con il riferimento generico a tutti gli obblighi imposti dalla legge non può essere dubitato che la responsabilità solidale degli amministratori si verifichi nelle
ipotesi in cui il bilancio falso ha cagionato danni, pure nell’ipotesi in cui vi sia
stata la deliberazione dell’assemblea (o del consiglio di sorveglianza) che lo ha
approvato.
E ciò anche se si dovesse ritenere che il bilancio di per sé non è altro che un
atto di un procedimento complesso che porta alla deliberazione assembleare,
poichè è evidente come esso costituisca causa efficiente di una delibera che verrà poi giudicata invalida.
Le violazioni nella redazione del bilancio possono portare a sopravalutazioni
del patrimonio sociale e, quindi, ad una ripartizione di utili che non corrisponde
ad un concreto attivo ed al pagamento di imposte non dovute. In tale ipotesi la
prova del danno è abbastanza agevole risolvendosi con una perizia contabile.
Pure i terzi, come vedremo, possono subire danno dalle sopravalutazioni perchè
indotti dai conti sociali ad intrattenere rapporti con la società.
La violazione nella redazione del bilancio può però anche determinare una
sottovalutazione del patrimonio sociale. In questo caso la prova del danno potrebbe essere meno agevole che nell’ipotesi precedente, in quanto la società non
subisce nessuna perdita diretta ed immediata da tale comportamento. Occorrerà
verificare se mediatamente tale operazione di sottovalutazione (magari diretta
alla creazione di fondi extra bilancio) non sia foriera di danni per sanzioni e responsabilità verso l’autorità, perdita di immagine o chances, o più in generale
portatrice di conseguenze economiche non immediatamente negative. Può allora essere anche immaginata un’azione di responsabilità che preveda l’accertamento della responsabilità in capo agli amministratori ed una condanna generica
al risarcimento del danno, per poter poi procedere in un successivo momento
alla sua quantificazione giudiziaria allorquando ciò sia possibile perchè il danno
sia venuto in evidenza in tutti i suoi elementi.
In ogni caso, nel giudizio occorrerà accertare il fatto doloso o colposo causalmente produttivo del pregiudizio in capo al soggetto danneggiato (v. infra),
mentre non è necessaria la prova del dolo specifico.
Degna di nota una massima del Tribunale di Milano che stabilisce che gli
amministratori possono essere ritenuti responsabili dei danni cagionati da operazioni sociali compiute nonostante la perdita totale del capitale sociale, non evidenziata nel bilancio, senza che però sia necessario impugnare formalmente e
preventivamente la delibera di approvazione del bilancio, in quanto è possibile
accertare l’eventuale erroneità del bilancio al solo fine di giungere alla pronuncia
di condanna (Trib. Milano, 12/07/2003, in Foro padano, 2003, I, 622). Dunque, in
buona sostanza, non è necessario ottenere una preventiva sentenza che accerti
l’invalidità della delibera che approva un bilancio inveritiero per poter citare in
giudizio gli amministratori per aver redatto un bilancio falso.
348
Libro MAP n. 36
La responsabilità degli amministratori si ha pure nel caso in cui la società sia
sottoposta a procedura concorsuale (nel caso esaminato dalla magistratura milanese si trattava di liquidazione coatta amministrativa) se si predispongono bilanci falsi
che celano perdite del capitale sociale e che impediscono l’adozione di opportune
iniziative dell’autorità di vigilanza (Trib. Milano, 14/11/1993, in Fall., 1994, 1051).
4.1.2. Sindaci
Nelle ipotesi di falso in bilancio è facile ipotizzare una concorrente responsabilità dei sindaci con l’attività illecita degli amministratori. Si pensi ad esempio
ad una non corretta appostazione a bilancio che comporta la corresponsione
di imposte non dovute, errata appostazione nata da una non corretta decisione
degli amministratori, ma non rilevata dall’attività di controllo. È comunque bene
evidenziare che la responsabilità dei sindaci non è derivante sempre e comunque
dall’insuccesso del controllo, ma sicuramente dal fatto che questo o non è stato
esercitato o è stato esercitato senza la dovuta diligenza.
L’art. 2407, c.c., stabilisce la disciplina generale in tema di responsabilità dei
sindaci: “I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro
attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno
conoscenza per ragione del loro ufficio.
Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le
omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero
vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395”.
Dunque, abbiamo appena detto che la responsabilità dei sindaci si affianca ad
una concorrente responsabilità degli amministratori e con essi possono pertanto
essere legittimati passivi (litisconsorti facoltativi dell’azione di responsabilità verso gli amministratori) di un’azione di responsabilità se hanno pertanto concorso
a cagionare il danno che l’attore vuole vedere risarcito.
La raggiunta prova che il danno non si sarebbe prodotto con una corretta attività del sindaco è elemento necessario per poter ritenere assodato il concorso
causale del controllore al verificarsi del danno. Perciò possiamo ipotizzare una
responsabilità del sindaco allorquando:
gli amministratori abbiano redatto un bilancio (rectius una bozza di bilancio) non vero o chiaro;
i sindaci non abbiano adeguatamente controllato, con la dovuta perizia e
diligenza;
si sia verificato un danno patrimoniale;
sussista un rapporto causale (concorrente) tra l’attività omessa o insufficiente dei sindaci e il danno.
Di contro non è sufficiente dimostrare che i sindaci non abbiano agito come
avrebbero dovuto per addossargli delle responsabilità, poichè ciò non comporta
automaticamente la nullità del bilancio, se a tale negligenza non corrisponda
l’esistenza di irregolarità ed invalidità specifiche del bilancio stesso.
4.1.3. Società
Non può essere escluso che anche la società che ha redatto un bilancio falso
sia convenuta in giudizio dal danneggiato, soprattutto se questi dovesse essere un terzo indotto a contrarre con la società proprio dalle false risultanze del
bilancio.
349
Libro MAP n. 36
D’altro canto gli amministratori agiscono e rappresentano l’ente sociale e
dunque su quest’ultimo ricadono le conseguenze dannose dell’operato dei propri legali rappresentanti.
L’azione del terzo verso la società sarà di natura aquiliana e diretta. Per esempio è stato stabilito che qualora le deliberazioni dei competenti organi di una società per azioni, circa l’approvazione del bilancio e l’aumento di capitale, mediante
emissione di nuove azioni alla stregua delle risultanze di detto bilancio, siano nulle per illiceità dell’oggetto in conseguenza dell’iscrizione nel bilancio medesimo di
fittizie poste attive, ovvero dell’omessa indicazione di perdite o poste passive (fra
le quali ultime è da includersi, per le società di assicurazioni, la cosiddetta riserva
sinistri), il terzo, il quale abbia concesso un finanziamento al sottoscrittore di dette
nuove azioni ricevendo in pegno le medesime, è legittimato a far valere la nullità, nonché ad invocare la responsabilità risarcitoria aquiliana della società, per
essere ristorato del pregiudizio subito in ordine alle proprie posizioni di creditore
verso il suddetto sottoscrittore delle nuove azioni e di titolare di garanzia reale
sulle azioni stesse, atteso che, nel concorso del nesso di causalità fra detta nullità
e quel pregiudizio (ravvisabile nel fatto che la falsità del bilancio lo abbia determinato a concedere il finanziamento dietro garanzia priva di effettivo valore), le
menzionate deliberazioni assumono natura anche di atti illeciti lesivi dei diritti di
esso terzo, e direttamente imputabili alla società, in forza del rapporto organico,
pure quando ricollegabili a comportamenti degli amministratori (salvo restando
la responsabilità personale dei medesimi) (Cass., 03/12/1984, n. 6300).
Da ricordare infine l’ipotesi di liticonsorzio necessario passivo per la società
prevista nel caso di azione di responsabilità verso gli amministratori promossa
dalla minoranza dei soci di cui all’art. 2393-bis, co. 3, c.c..
ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
4.1.4. Altri soggetti
Vengono subito in mente le società di revisione ed i revisori che rispondono
per responsabilità extra contrattuale per i danni derivati a terzi dall’attività di
controllo e di certificazione del bilancio, anche nell’ipotesi di revisione volontaria, effettuata su incarico della società controllata (Cass., sez. III, 18/07/2002,
n. 10403).
Qui più che in ogni altro caso bisognerà valutare con estrema attenzione
il nesso causale che deve necessariamente sussistere per configurare una responsabilità del revisore per un asserito danno patito dal danneggiato, poichè
il comportamento del revisore deve rientrare nella sequenza causale produttiva
dell’evento dannoso, secondo il criterio dell’adeguatezza obiettiva e della regolarità o tipicità causale.
Quanto alla spesso invocata solidarietà passiva, stabilita dall’art. 2055, c.c.,
a favore del danneggiato nell’ipotesi di fatto dannoso imputabile a più persone,
essa postula l’unicità del danno configurabile, pur in presenza di più azioni od
omissioni costituenti illeciti distinti, dovendo invece escludersi tale solidarietà se
le condotte realizzate da più soggetti hanno leso separatamente interessi diversi
del danneggiati, per cui le omissioni del revisore devono essere direttamente
lesive del danno che si assume patito. La solidarietà passiva che lega amministratori, sindaci e revisori è stata definita solidarietà impropria proprio perchè
ciascuno di essi risponde per la violazione di obblighi diversi pur dovendo risarcire il medesimo danno.
Viceversa la società di revisione risponde per responsabilità contrattuale verso la società.
La società di revisione non potrà poi, per evitare la propria responsabilità,
addurre la carenza di controlli eseguiti dagli organi interni perchè ciò non giustifica comunque il suo comportamento negligente od omissivo.
350
Libro MAP n. 36
La norma di riferimento è l’art. 2409-sexies, c.c., che sottopone i revisori “alle
disposizioni dell’art. 2407” e stabilisce che essi “ sono responsabili nei confronti
della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro
doveri”.
In definitiva si deve mutuare la disciplina che si applica al collegio sindacale.
Il secondo comma dell’articolo cit. infine prevede la responsabilità solidale
tra i revisori e chi ha materialmente effettuato il controllo contabile.
4.2. I soggetti danneggiati
4.2.1. La società
È indubbio che il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla
società (Cass., sez. I, 07/09/1993, n. 9385) e pertanto essa potrà agire nei confronti
degli amministratori e sindaci responsabili del falso in bilancio, i quali devono
utilizzare per lo meno la diligenza del mandatario.
L’articolo di riferimento per le s.p.a. è l’art. 2393, c.c., che disciplina l’azione di
responsabilità contro gli amministratori, ed ad esso occorrerà adeguarsi per promuovere anche un’azione civile contro i responsabili dei danni conseguenti dal
falso in bilancio. Occorre la deliberazione dell’assemblea che l’autorizzi ovvero la
delibera del collegio sindacale con le maggioranze previste dal 3 comma dell’articolo citato. Nel sistema dualistico la deliberazione per promuovere l’azione di
responsabilità può essere pure assunta dal consiglio di sorveglianza.
Il comma 2, art. 2393, cit., così recita: “La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del
bilancio, anche se non è indicata nell’elenco delle materie da trattare, quando
si tratta di fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce il bilancio”. Pertanto non sarà necessario che la decisione sull’opportunità di promuovere l’azione
di responsabilità per falso in bilancio sia espressamente menzionata nell’ordine
del giorno se dalla discussione in assemblea del documento si ravvisassero gli
estremi per intentarla.
In ogni caso l’azione può essere deliberata anche nel caso in cui il bilancio
sia stato già approvato (e ciò vale sia per le s.p.a. che per le s.r.l.) e, ovviamente,
a tale delibera non possono prendere parte gli amministratori essendo questi in
classica ipotesi di conflitto di interessi.
4.2.2. I soci
I soci che possono risultare danneggiati dalla non veridicità e correttezza del
bilancio non sono unicamente quelli della società a cui il bilancio si riferisce, ma
anche quelli della eventuale società controllante, i quali confidando nelle veridicità delle informazioni contabili esposte nel bilancio consolidato per indirizzare
consapevolmente le proprie scelte di investimento, subiscono un danno diretto
al proprio patrimonio (Trib. Milano, 21/10/1999, in Giur. it., 2000, 554).
L’interesse ad agire in capo al socio è stato ritenuto esistere quando esso
ravvisi la mancanza di una rappresentazione chiara e precisa della situazione
patrimoniale della società e dell’andamento economico dell’esercizio, indipendentemente dai riflessi immediati e diretti sull’utile e sul contenuto economico
della partecipazione.
Occorre dire che si profilano in realtà due ipotesi in cui i soci possono agire
contro gli amministratori, anche per il caso di non corretto bilancio: l’azione della
minoranza e l’azione individuale.
La prima è stata prevista al fine di rendere più pregnante il controllo da parte
dei soci ed esteso il loro diritto di agire: il legislatore della recente novella ha
infatti consentito anche alle minoranze di promuovere l’azione di responsabilità
verso gli amministratori. Innovazione salutata con favore da chi osservava che le
351
Libro MAP n. 36
azioni di responsabilità verso gli amministratori erano tarpate dal fatto che questi
ultimi normalmente sono espressione della medesima maggioranza che dovrebbe poi anche deliberare di promuovere azioni di responsabilità contro gli stessi
soggetti che aveva prescelto per amministrare la società partecipata.
L’art. 2393-bis, c.c., ora conferendo la possibilità anche alla minoranza dei
soci di promuovere l’azione in parola, prevede una sorta di sostituzione processuale in quanto i soci fanno valere in nome proprio un interesse sociale.
Ben distinta è invece la previsione di cui all’art. 2395, c.c. (definita norma di
chiusura del sistema-responsabilità) che norma il caso in cui gli amministratori
abbiano danneggiato direttamente il patrimonio del singolo socio: si pensi per
esempio ad un bilancio redatto senza l’osservanza dei principi previsti dalla legge che distribuisce utili fittizi e contemporaneamente prevede un aumento di
capitale sottoscritto dai soci che è già assorbito dalle perdite. Oppure il caso già
citato del socio che in base alle risultanze di bilancio si determina diversamente
da come avrebbe fatto con una cognizione piena e corretta nel vendere o detenere le azioni o quote sociali. Oppure ancora alla determinazione di concedere
finanziamenti o mutui alla società.
In tali casi, entro il termine di perenzione (la terminologia utilizzata dal legislatore fa pensare che si tratti di termine decadenziale) di cinque anni (il termine
però è analogo alla prescrizione in tema di azioni per responsabilità extra contrattuale), il socio può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del proprio
personale danno se prova la colpa o il dolo dell’amministratore.
ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
4.2.3. I terzi
Il citato art. 2395, c.c., prende in considerazione quali soggetti danneggiati,
unitamente al socio, anche il terzo, per cui le considerazioni da ultimo espresse
nel precedente paragrafo possono essere mutuate anche per il caso ora in esame.
Il terzo può essere danneggiato dal falso in bilancio in varie ipotesi: si pensi
per esempio, oltre al classico caso in cui si sia determinato a contrarre con la
società solo a causa di una falsa apparenza della stessa risultante da un bilancio
falso, anche all’ipotesi in cui il terzo abbia acquistato azioni sempre confidando
su una situazione patrimoniale e finanziaria errata.
La giurisprudenza di merito ha anche stabilito che le irregolarità dei bilanci
non possono però essere considerate come comportamento dolosamente preordinato dagli amministratori all’induzione del terzo a stipulare un contratto con la
società amministrata (Trib. Bologna, 19/01/1993, in Società, 1993, 1063).
L’irregolarità deve essere idonea a indurre in errore il terzo, ma ciò non è
sufficiente. Spetta comunque al terzo dimostrare il nesso causale tra la violazione commessa dagli amministratori ed il pregiudizio subito; per cui nell’ipotesi
in cui il terzo alleghi di essere stato indotto a fornire merce perchè dai bilanci
risultavano circostanze non rispondenti al vero che potevano indurre i fornitori
a concedere ancora la loro fiducia nella possibilità di pagare da parte dell’acquirente, egli è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonchè l’idoneità
a trarlo in inganno (Cass. 02/06/1989, n. 2685). In buona sostanza, il terzo dovrà
dimostrare che la falsità era idonea a trarlo in inganno e che sussiste un nesso
causale tra l’illecito amministrativo e gestionale ed il danno patito, che deve
essere diretta conseguenza del predetto illecito. L’idoneità poi, secondo taluna
giurisprudenza di merito, non deve solo essere astratta, ma deve in concreto
aver indotto in errore il terzo, tanto da determinarlo a contrarre con la società
(App. Bologna 05/05/1987, in Società 1987, 1156). Va dà sè, dunque, che il terzo
deve essere in buona fede e non colpevolmente sprovveduto, nè può semplicemente sperare di vincere la causa adducendo e provando la non veridicità del
bilancio.
352
Libro MAP n. 36
4.2.4. L’applicazione dell’art. 2409, c.c.
L’art. 2409, co. 1, c.c., così recita: “Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella
gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o, nelle società che
fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del capitale sociale
possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato anche alla società.
Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione”.
Dalla lettura della relazione illustrativa della riforma societaria pare si possa
trarre la conclusione che il citato articolo non si debba applicare alle s.r.l., ma
solo alle s.p.a., anche se, laddove sia presente il collegio sindacale, l’art. 2409,
c.c., dovrebbe comunque trovare applicazione, quale che si il tipo di società che
lo ha adottato, e tale esegesi aprirebbe la porta pure alla tesi secondo la quale l’atto costitutivo di una s.r.l. potrebbe, in ogni caso, prevedere l’applicabilità
dell’articolo in commento.
Pacifico invece che nelle s.p.a. la denuncia al tribunale ex art. 2409, c.c.,
possa essere proposta anche dal consiglio di gestione, coerentemente con i poteri di vigilanza che ad esso sono attribuiti. Si discute piuttosto se la competenza
sia collegiale, come pare, fatta salva ovviamente la possibilità del singolo consigliere di rivolgersi al pubblico ministero perchè sia lui, se ne ravvisa gli estremi,
a proporre l’azione.
Occorre dire che il denunziante deve indicare nella denuncia quali siano le
gravi irregolarità che ritiene commesse, e non può quindi limitarsi a genericamente indicare sospetti su falsità contenute nel bilancio. Si ritiene che l’indicazione delle irregolarità non deve però assurgere all’obbligo di fornire la piena prova,
ma siano sufficienti seri indizi, perchè in caso contrario perderebbe significato
l’ispezione che il tribunale può ordinare.
È vasta la casistica circa l’applicazione dell’art. 2409, c.c., che comunque è
stato ritenuto, come detto, applicabile anche alle irregolarità dannose che si concretizzano in falsi in bilancio, anche nell’ipotesi in cui i bilanci siano approvati
dall’assemblea dei soci.
Per esempio sono irregolarità ai sensi dell’articolo cit. le violazioni dei principi
di redazione del bilancio (nella specie, quelli di chiarezza e di rappresentazione
veritiera e corretta, di iscrizione dei crediti secondo il presumibile valore di realizzo, di competenza) (Trib. Roma, 13/07/2000, in Giur. it., 2000, 2103), la mancata
esposizione in bilancio di un cospicuo debito nei confronti di terzi (Trib. Napoli,
31/01/1991, in Società, 1991, 1094), la valutazione di un cospicuo credito non
secondo il presumibile valore di realizzazione (art. 2425, n. 6, c.c.), l’omessa indicazione nella relazione degli amministratori di fatti di rilievo verificatisi dopo la
chiusura dell’esercizio (art. 2429-bis, c.c., A. Milano, 19/10/1988, in Società, 1989,
177), la redazione di un bilancio falso o non chiaro (T. Milano, 30/10/1986, in Foro
it., 1987, I, 1284), l’esposizione in bilancio di passività inesistenti ed attività inferiori a quelle effettivamente realizzate (T. Busto Arsizio, 16/05/1986, in Foro pad.,
1986, I, 386), l’omessa indicazione dei crediti e debiti, la formazione di situazioni patrimoniali non corrispondenti alla realtà, la sottrazione di attività sociali, le
omissioni contabili (T. Ascoli Piceno, 07/08/1982, in Dir. fallim., 1983, II, 209).
Secondo l’insegnamento della Cassazione non devono essere confuse però
le azioni di impugnazione del bilancio con quella ex art. 2409, c.c., avendo finalità
differenti. Infatti l’oggetto e gli effetti dell’impugnazione di delibera di approvazione del bilancio e del procedimento di cui all’art. 2409, c.c., sono diverse e
solo parzialmente coincidenti; nella prima si controverte e si decide, all’esito di
un processo a cognizione piena ed esauriente concluso con sentenza idonea al
giudicato, della rispondenza del bilancio a chiarezza e del rispetto dei principi di
verità e correttezza, posti dall’art. 2423, c.c., e valutati alla stregua dei criteri di
353
Libro MAP n. 36
ASPETTI CIVILISTICI DEL FALSO IN BILANCIO
cui agli art. 2423-bis e ss., stesso codice; nel secondo, si accerta sommariamente
la fondatezza o meno della denuncia di gravi irregolarità nella gestione della
società, nell’interesse esclusivo di quest’ultima, senza statuire definitivamente
su diritti soggettivi dei soci o dei terzi. Conseguentemente, il giudice dell’impugnazione, seppure possa utilizzare per la formazione del suo convincimento le
risultanze del procedimento camerale, non deve pedissequamente riportarsi agli
accertamenti ed alla valutazione in quella sede effettuati per ritenere non veritiero o falso il bilancio e dichiarare la nullità della delibera che lo ha approvato,
ma occorre che proceda ad un accertamento autonomo o comunque ad una valutazione critica degli accertamenti compiuti e dei provvedimenti assunti in sede
camerale (Cass., sez. I, 29/09/1999, n. 10804).
354
Libro MAP n. 36