LA REPUBBLICA DI SALÒ (1943-45)
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LA REPUBBLICA DI SALÒ (1943-45)
LA REPUBBLICA DI SALÒ (1943-45) CONTESTO STORICO: Nel 1943, gli italiani stavano perdendo la guerra e il consiglio fascista si ribellò a Mussolini, facendo cadere la dittatura il 25 luglio. Il nuovo capo del governo divenne il generale Pietro Badoglio, mentre Mussolini fu salvato dai tedeschi che lo misero alla testa di una repubblica-fantoccio, la RSI (Repubblica Sociale Italiana) che aveva la capitale nel paesino di Salò, sul lago di Garda. Non pochi italiani, soprattutto giovanissimi che erano cresciuti all’ombra del duce, gli rimasero fedeli. Ritenendo un tradimento lasciarlo, si unirono alla Repubblica di Salò come volontari continuando a combattere a fianco dei tedeschi, contro i partigiani e i soldati italiani. LA NOSTRA CANZONE: “Le donne non ci vogliono più bene” è una canzone cantata dalle camicie nere di Salò, gli ultimi fedeli al regime fascista, e dalle loro donne. È una strana canzone che riflette sul cambiamento della società italiana. Il testo fu composto nel 1944 dal giovane fascista Mario Castellacci, uno dei giovani volontari di Salò (aveva 19 anni). La musica era di Gino Fogliata. Ebbe molto successo tra i giovani fascisti. Le prime strofe erano cantate dagli uomini, le ultime erano la risposta delle donne, le ausiliarie della RSI. Si sente l’eco dei motti fascisti: “Ce ne freghiamo” e “A Noi!” e l’eco delle parole dannunziane (del poeta Gabriele D’Annunzio) dedicate all’amore con la “Signora Morte”. Versione consigliata: https://www.youtube.com/watch?v=Wpadju5psHI Le donne non ci vogliono più bene Le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera hanno detto che siamo da catene, Hanno detto che siamo da galera. L'amore coi fascisti non conviene. Meglio un vigliacco che non ha bandiera, uno che serberà la pelle intera, uno che non ha sangue nelle vene. Ce ne freghiamo. La Signora Morte fa la civetta in mezzo alla battaglia, si fa baciare solo dai soldati. Sotto ragazzi, Facciamole la corte! Diamole un bacio sotto la mitraglia! Lasciamo l'altre donne agl'imboscati. (Le donne) Le donne non vi vogliono più bene perché portate la camicia nera. Non vi crucciate, donne da galera che tutti sanno avvinte da catene. A voi fascisti, a voi, non si conviene, chi rinnegò la patria e la bandiera, chi si donò al nemico tutta intera, chi ha stoppa in capo ed acqua nelle vene! Voi che correte il Palio della Morte, fra quattro mura intenti alla battaglia, che per sorteggio, arride a voi soldati, se un cuor di donna vi farà la corte, che vi ha seguito sotto la mitraglia: è un fuoco in meno in petto agli imboscati! A Noi! Carlo Mazzantini, volontario della Repubblica Sociale Italiana Tra i volontari della Repubblica Sociale Italiana (RSI) di Salò, giovani di 16, 17 anni, che corrono ad arruolarsi nell’autunno del 1943 nell’ultima roccaforte fascista in Veneto, sul lago di Garda, c’è Carlo Mazzantini che scrive queste memorie. Da Carlo Mazzantini, A cercar la bella morte. Milano, Mondadori, 1986; pp. 346-7. E poi c’erano le canzoni. Tutte quelle canzoni che avevamo popolati di miti e di fantasie la tua adolescenza e che avevano il potere magico di ricreare come una nube attorno a te nella quale ti sentivi sciolto da ogni peso. Si, uccidevamo, ma continuavamo a cantare. Lassù fra le montagne facevamo le nostre faccende di sangue, ma al ritorno ce ne scrollavamo di dosso il ricordo col frastuono dei nostri canti che rimbombavano sotto i porticati e s’infilavano nelle strade. Come se avessimo due volti: uno per quelle cacce fra i boschi, gli appostamenti all’angolo di un cascinale, le scariche che stendevano uomini contro il muro, l’altro per ripresentarci sulla scena dove si svolgeva l’altra faccia di quella storia, la nostra rappresentazione. Non appena cominciavano ad apparire le prime case sparse dei sobborghi della città, c’era sempre qualcuno pronto ad annunciare: “Ehi ragazzi, stiamo arrivando!”. Ed era il segnale. Raddrizzavamo gli elmetti, si ricomponevano le file sulle panche. Dagli autocarri che precedevano giungevano a folate, portati dalla corsa, frammenti di canzoni, e come per contagio il canto si accendeva su tutta la colonna. Era come un lungo brivido che percorreva la fila dei camion. Immediatamente la voce sorgeva dentro di te, esplodeva, si mescolava con quella degli altri: Cristo, eri ancora vivo. L’avevi riportata indietro la pelle! Era un improvviso turbine che ti prendeva, un’esaltazione che ti travolgeva e ti stordiva. La tua voce che si fonde con quella degli altri, cresce, si gonfia, ci si perde in mezzo, e ti ritorna indietro ingigantita. Percorrevamo vie e piazze buie, sfilavano porticati pieni di ombre, marciapiedi deserti. Il canto si dilatava e si contraeva a seconda del mutare degli spazi, si perdeva nelle vie laterali. Scorgevo i visi tesi dei compagni, quelle bocche si aprivano ed emettevano suoni con furore. Il canto rimbalzava contro le imposte chiuse, e subito si restaurava quella contrapposizione. Loro erano là, nelle loro case, al caldo dei loro letti, i borghesi, estranei, ottusi; si erano ritirati con modi circospetti e lì erano restati. Immaginavo i bisbigli ansiosi e increduli dietro le finestre: “Loro? ancora loro? Da dove tornano? Cosa vogliono?” E il silenzio pieno d’angoscia che lasciavamo dietro di noi. Ci esaltava quel senso di violazione, l’impressione di penetrare in un corpo ostile che i nostri canti facevano sussultare.” Si, siamo noi! Siamo tornati! I monti non ci hanno inghiottito. Noi siamo quelli che tornano sempre: i mai morti! […] E le recuperammo tutte le note e le voci di quella kermesse eroica definitivamente travolta. Gli inni, i cantari, le strofette. Quelle dell’Abissinia, della campagna di Grecia, del fronte russo, portate dai supersititi di quei battaglioni che non c’erano piu, deio protagonisti di quelle imprese, vere o inventate. E quanto più non corrispondevano a nulla, non rappresentavano che vuote nostalgie, tanto più ci davamo dentro per riempire il silenzio che ci circondava e per rivivere tutto quel mondo di illusioni e di emozioni che aveva rapito la nostra giovinezza. […] Traversammo tutti quei diciotto mesi di odi e di sangue, con una gran cantata. Era tutta la nostra cultura, tutto ciò che avevamo imparato in quei venti anni dentro i quali eravamo nati, e il mezzo attraverso il quale avevamo appreso il mondo. Ne trovammo una per ogni occasione, ogni stato d’animo: il nostro modo di esprimerci. Arrivammo in fondo a quella vicenda in una specie di ebbrezza che quei canti invariabilmente rinnovavano a ogni risveglio. Canzoni e canzoni. Che lanciavamo come sfide e come invocazioni, per suscitare in loro echi ormai morti e rimproverarli per quel silenzio. Per chiamarli e insieme colpirli. Esse ti trascinavano fuori di te, in una sfera dove tutto sfumava e si fondeva in qualcosa di impreciso e inebriante: paure, dubbi, ricordi. Le ragioni dei volontari Da Carlo Mazzantini, I Balilla andarono a Salò, Venezia, Marsilio, 1995. In questo passaggio Mazzantini, spiega le ragioni dei volontari. Ma in che cosa consiste il “fascismo” di questi giovani di diciannove, diciotto, diciassette, sedici anni? Fascisti «per battesimo e non per convinzione» […]. In ultima analisi, del motto che sintetizzava la cultura nella quale quella generazione era stata educata, ripetuto con martellante insistenza in ogni occasione – Credere, Obbedire, Combattere – solo l’ultimo imperativo è sopravvissuto al crollo che ha spazzato via tutto. La caduta repentina e imbelle di Mussolini e del fascismo ha sgretolato il Credere, la fuga del re e del governo, lo sfacelo dello stato e quindi la scomparsa di ogni autorità hanno sciolto ogni vincolo di obbedienza. Non resta che quel Combattere, nudo e crudo, isolato in una sfera che non è più quella della storia, ma quella eroica, la sola in cui è permesso conseguire la propria redenzione individuale dal destino che è toccato in sorte come membri di una nazione. […] Il combattimento, il fronte, la volontà di misurarsi con il nemico, faccia a faccia. Mostrare il proprio coraggio; pur quando tutto è crollato, mostrare di saper “tenere la mano sul fuoco” almeno quanto i giovani degli altri Paesi