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70 Anno XX - N. 4 ottobre-dicembre 2006 Sommario EDITORIALE M. CAPPELLETTO, La donna nella pastorale della salute ....................................3 IL MESSAGGIO DEL TRIMESTRE ..........................................................................6 STUDI A. SCOLA, Aspetti innovativi della riabilitazione neurologica: fondamenti antropologici delle implicazioni bioetiche..........................................7 I. MONTICELLI, Farsi prossimo..........................................................................23 PASTORALETN; A. NARDIN, Colloquio pastorale ........................................................................29 D. CASERA, Lo smalto di Weinest: il Cristo farmacologo ..................................35 A. BRUSCO, La comunicazione con malati di Alzheimer ....................................44 TESTIMONI CONTEMPORANEI F. URSO, Emmanuele Lozano Garrido...............................................................53 TESTIMONIANZE A. ANSELMI, Il Padre nostro..............................................................................60 DOCUMENTI BENEDETTO XVI, Messaggio per la XV Giornata mondiale del malato .............61 Card. D. TETTAMANZI, Lettera ai malati .........................................................64 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ...............................................................................66 Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 E D I T O R I A L E LA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE Suor Maria Cappelletto Nell'attuale teologia e nella pastorale acquista un rilievo sempre piuÁ significativo la problematica relativa alla ministerialitaÁ della donna nella Chiesa. Dopo l'ispirato magistero di Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI non teme di far sentire la sua voce in proposito, invitando a dare piuÁ spazio alle donne nella Chiesa. Egli intende aprire loro nuovi possibilitaÁ e ruoli, anche se non eÁ sua intenzione concedere loro il sacerdozio, essendo un sacramento e non un potere di cui la Chiesa puoÁ disporre a piacimento. In varie circostanze, il Pontefice ha segnalato l'importanza della presenza delle donne non solo nella dimensione carismatica, ma anche in quella istituzionale, riferendosi al loro apporto in alcuni dicasteri della Chiesa, nei Consigli parrocchiali, nella gestione di movimenti, nell'organizzazione di servizi diocesani, nella docenza scolastica e universitaria, nella ricerca teologica e in altre discipline. Il papa invita le donne a utilizzare lo slancio e la potenza spirituale che le caratterizza, forza che rinnova la storia e la vita della Chiesa nel cammino verso la santitaÁ. Egli confida nella donna e lancia una sfida alla societaÁ attuale. La donna, da parte sua, deve riscoprirsi persona chiamata a conformarsi all'immagine di Cristo Signore; ella eÁ chiamata a sviluppare le proprie capacitaÁ umane, intellettuali e spirituali per far giungere il Vangelo nella famiglia e nell'educazione, nel mondo della comunicazione e delle scienze, nell'ambito delle leggi e della politica. Dovremmo rallegrarci, dice il papa, se il femminile ottiene nella Chiesa il posto operativo che gli eÁ proprio: eÁ questo un invito alla riflessione sul valore della reciprocitaÁ uomo ± donna, battezzati, nella missione ecclesiale. Nel cammino di vita cristiana alcune donne hanno scoperto la loro vocazione teologica, il desiderio d'immergersi nella comprensione profonda del mistero di Cristo; esse possono offrire il loro apporto specifico allo studio della teologia, in fedeltaÁ alla fede ed al magistero della Chiesa. Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 EDITORIALE Possiamo ora chiederci: qual eÁ oggi la visibilitaÁ della donna nell'ambito pastorale sanitario? La voce femminile viene ascoltata? Sicuramente un salto qualitativo eÁ stato fatto, come appare anche dalla nuova Nota pastorale della CEI: Predicate il Vangelo e curate i malati. La comunitaÁ cristiana e la pastorale della salute che riserva l'intero numero 58 alla valorizzazione del ruolo della donna, consacrata e laica nella pastorale della salute, non solo auspicando, ma raccomandando la sua partecipazione attiva e corresponsabile. Il suo inserimento nei progetti pastorali a favore dei malati e della promozione della salute costituisce una risorsa che puoÁ determinare significativi cambiamenti, offrendo l'apporto di quelle caratteristiche che sono tipiche della donna. Lo sguardo della donna, infatti, sa accogliere in modo particolare la dimensione della debolezza creaturale della persona umana, facendo in modo che il sofferente non sia solo nella prova (cf. Nota CEI, n. 29; 53) ma possa beneficiare della calda vicinanza della comunitaÁ guarita e sanante. Anche a livello del sapere teologico-pastorale, dove esse sono state a lungo assenti, sia perche lo studio era loro impedito, sia per mancanza di strumenti conoscitivi, le donne possono dare un notevole contributo soprattutto nello sviluppo della conoscenza esperienziale, che eÁ dimensione essenziale della teologia. Nel rispetto e nella promozione della vita umana molto eÁ stato fatto dalla donna, ma molto rimane da compiere, e si auspica che: - venga sempre piuÁ favorita la partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa, - venga allargata la presenza di donne competenti in posti di responsabilitaÁ nell'amministrazione ecclesiale, - sia approfondito il problema dell'accesso della donna ai ministeri non ordinati della Chiesa (liturgia, giurisdizione), - si esplorino le possibilitaÁ di collaborazione ecumenica, - si formino i religiosi alla collaborazione uomo-donna, in base alla loro vocazione ecclesiale, - si persegua la collaborazione religiosi-laici e con organismi ecclesiali interessati alla promozione femminile, - si promuovano ricerche a carattere storico, antropologico, teologico e pastorale per offrire una base interdisciplinare scientifica e culturale allo sforzo di migliorare i rapporti uomo-donna nella societaÁ, nella Chiesa, nella pastorale della salute. 4 EDITORIALE SaraÁ utile alimentare la pazienza dei piccoli passi e occupare, da parte della donna, tutti gli spazi che si aprono, fino a passare dall'esperienza al riconoscimento istituito. Le donne operatrici pastorali amano sentirsi creative, non vittime. Nella relazione uomo-donna eÁ tempo di superare forme di subordinazione che intaccano il rispetto e la collaborazione vicendevole, forme di contestazione e contrapposizione diffidente; d'altro canto non eÁ auspicabile nemmeno la cancellazione delle differenze. Aprire spazi nuovi alle donne significa cambiare il volto della Chiesa, far splendere il volto della Sposa di Cristo. Tutto si gioca sul piano della persona, sulla costitutiva reciprocitaÁ uomo-donna, paradigma dell'infinita dialogia delle divine Persone. E' l'amore libero e gratuito in Cristo GesuÁ e nello Spirito che muta il volto della Chiesa, ed eÁ anche compito delle donne credenti e operatrici pastorali comprenderlo, viverlo e annunciarlo. Che cosa eÁ Dio? domanda il bambino. La madre lo stringe tra le braccia e gli chiede: ``Che cosa provi?''. ``Ti voglio bene'' risponde il bambino. ``Ecco, Dio eÁ questo''. Felice 2007! 5 M E S S A G G I O D E L T R I M E S T R E A mani Vuote Le feste natalizie coincidono con il termine di un anno e l'inizio di uno nuovo. Intenso e spiriualmente profondo, il periodo liturgico del Natale ci invita a volgere lo sguardo sia a quanto eÁ stato compiuto sia a quanto ci attende, con un attegiamento dello spirito tutto particolare, come suggerisce il brano che segue: «O Signore, non ho, come i Magi che sono dipinti sulle immagini, dell'oro da offrirti». /«Dammi la tua povertaÁ!» / «Non ho neppure, o Signore, la mirra dal buon profumo ne l'incenso in tuo onore». / «Figlio mio, dammi il tuo cuore» (F. Jammes). La povertaÁ biblica eÁ, certo, anche il distacco dal possesso e dall'accumulo, ma eÁ soprattutto l'apertura dello spirito a Dio, ai fratelli, al mistero. Il cuore non eÁ solo il sentimento, ma eÁ soprattutto la coscienza. Ecco, allora, la vera offerta del Natale, gradita a Cristo: darsi a lui e all'impegno per il prossimo senza riserve, nella passione, nella disponibilitaÁ, nella generositaÁ dell'amore. EÁ la riscoperta di una religiositaÁ radicale che non si accontenta di qualche devozione o di qualche beneficenza, ma che si irradia nell'esistenza trasfigurando giorni e opere, riso e lacrime, atti grandi e azioni semplici. E, allora, l'augurio di ritrovare una fede autentica che alimenti la vita e che colmi il corpo e l'anima, donando forza nella prova e serenitaÁ nella quotidianitaÁ. O almeno una tensione verso i valori piuÁ alti, abbandonando il chiuso orizzonte dell'egoismo e sollevandosi dal pantano della banalitaÁ e della superficialitaÁ. (G. Ravasi) 6 S T U D I ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA: FONDAMENTI ANTROPOLOGICI DELLE IMPLICAZIONI BIOETICHE1 Card. Angelo Scola 1. Accomodarsi nella finitudine? Qualche anno fa, di passaggio a Monaco di Baviera, mi colpõÁ il titolo di un saggio del giovane filosofo tedesco Marc Jongen, pubblicato sull'inserto dell'assai diffuso quotidiano Die Zeit: L'uomo eÁ solo l'esperimento di se stesso.1 L'autore vi postulava la necessitaÁ di lasciarsi definitivamente alle spalle ogni traccia, per altro secondo lui ormai quasi definitivamente illeggibile, della concezione classica di matrice greca e giudaico-cristiana, dell'uomo inteso come soggetto-persona, ed in quanto tale come provvisto di una irriducibile dignitaÁ, fonte di diritti e di doveri ultimamente garantiti dal sistema delle leggi. Questo passaggio epocale, non solo per Jongen ma per molti pensatori contemporanei che oramai attraverso la vulgata mediatica vanno imponendo una simile concezione, sarebbe imposto dalla realtaÁ stessa delle cose. La capacitaÁ che l'uomo ha acquisito, nell'era post-genomica, di intervenire sull'origine della sua stessa vita e quella, se non di vincere, almeno di ``controllare'' i processi della morte ed i fenomeni del dolore e della sofferenza che sovente l'accompagnano, urge- rebbero ad assumere questa oggettiva concezione ``scientifica'' dell'uomo. L'unica veramente dinamica, plasmabile, aperta a tutte le novitaÁ che gli strabilianti risultati del binomio scienze (biologiche) e (bio) tecnologie non cesseranno di propiziare. Se certa contemporaneitaÁ esplicita in questo modo il divieto di Comte di porre la domanda sul senso dell'esserci (Dasein) di quell'essere (l'uomo) che vive di domande sarebbe perche la realtaÁ delle cose rende tale domanda (filosofica e religiosa) un radicale non-senso. Lo attesterebbero, a livello macro e micro, le scienze piuÁ svariate non ultimo la stessa antropologia ``scientifica' che da piuÁ parti postula la distruzione definitiva di ogni fondamento e delle categorie ``identitarie'' e ``rappresentative'' che la sorreggono.2 EÁ forse finalmente apparso sulla terra quel superuomo di cui parlava lo Zarathustra di Nietzsche quando affermava che «l'uomo eÁ qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri fino ad oggi hanno creato qualcosa che andava al di laÁ di loro stessi (...) Che cos'eÁ la scimmia per l'uomo? Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 STUDI Qualcosa che fa ridere, oppure suscita un doloroso senso di vergogna. La stessa cosa saraÁ quindi l'uomo per il superuomo: un motivo di riso o di dolorosa vergogna».3 Non eÁ necessario spingersi fino a questo punto che, tra l'altro, non rinuncia alla questione filosofica del significato dell'uomo. Basta ± si dice ± accettare con prudente e saggio realismo che i sentieri della ricerca del ``significato ultimo'' sono definitivamente interrotti e stare ai dati che le scienze ci offrono, tentando di cavarne, di volta in volta, il massimo vantaggio. Del resto non era giaÁ Pascal ad affermare che «l'uomo supera infinitamente l'uomo»? Si tratta solo di decidersi ad una lettura veramente ``scientifica'' di questa antropologia dinamica. Pur non condividendola, non intendo in alcun modo banalizzare questa posizione. Ne voglio rapidamente scomodare accuse di relativismo e di nichilismo per pronunciare condanne. La considero piuttosto l'espressione del travaglio epocale in cui siamo immersi in questo inizio di millennio, ben visibile anche ad altri livelli ed in altri processi in atto sul pianeta quale la globalizzazione, la civiltaÁ delle reti, l'ingiustizia radicale verso il Sud del pianeta e, soprattutto, il meticciato di culture con le dolorose implicazioni di terrore e di guerra. La prospettiva della clonazione umana, pur non sconvolgendo in se e per se il concetto biologico di embrione nella sua origine, costituisce di fatto una rivoluzione di tale portata nel modo di concepire la singolaritaÁ della persona umana in tutto l'arco del suo sviluppo, da farci supe- rare ogni dubbio filosofico circa il fatto se sia o meno cominciata la post-modernitaÁ. Infatti se il succedersi delle epoche eÁ segnato da irreversibili cesure, che ovviamente non possono cancellare importanti elementi di continuitaÁ, allora la clonazione puoÁ essere considerata la cifra della cesura tra modernitaÁ e post-moderno. Nella prospettiva tracciata, la finitudine in cui versa non sembrerebbe spaventare piuÁ l'uomo. L'angoscia di heideggeriana e freudiana memoria non apre piuÁ la domanda sull'essere o almeno sulla consistenza profonda dell'io. Ancor meno tale finitudine urge la domanda ultima che daÁ vita alla filosofia e che, comunque la si voglia definire, eÁ domanda religiosa perche interrogazione misteriosa sulla ``X'' con la maiuscola che i popoli hanno per lo piuÁ chiamato dio. Si tratterebbe semplicemente di accettare la finitudine, agendo perche «il mestiere di vivere» (Pavese) pesi sempre di meno grazie ai potenti mezzi che scienze e tecnologie ci offrono. Ne verrebbe, secondo i sostenitori di questa scelta, un piuÁ realistico esercizio della libertaÁ non sganciato da valori. Mediante un accurato impiego del criterio pratico del ``vietato vietare'', si potrebbe costruire una ``democrazia per procedure'' in cui la libertaÁ individuale troverebbe finalmente come ragionevole limitazione solo un'adeguata riedizione della regola aurea di Kant. L'etica stessa, rinunciando ad assoluti, potrebbe favorire tolleranza, positiva attenzione all'ambiente, in particolare agli animali, assunzione finalmente autonoma e dignito8 ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola) sa da parte dell'uomo della vita e della morte. Se ci decidessimo a riconoscere che l'uomo eÁ solo il suo proprio esperimento, finirebbero integralismi, fondamentalismi di ogni sorta, compresi quelli religiosi, con le violenze che da sempre ad essi conseguono. Non eÁ il paradiso eterno promesso dalle religioni, ma un paradiso terrestre ± almeno per noi cittadini del Nord opulento del pianeta ± nel quale accomodarsi con un sufficiente grado di soddisfazione e gaiezza. Camillo, viene identificato con il Dio di GesuÁ Cristo, il Deus caritas la cui essenza eÁ appunto Amore. La ragione della mia introduzione non eÁ neppure legata, l'ho giaÁ detto, ad una pessimistica valutazione del nostro presente e del nostro futuro. Non parlo mai di crisi, ma di travaglio e non sopporto quella che uso chiamare ``la pastorale del corvo'': dipingere il mondo come una distesa di cadaveri su cui gettarsi come corvi gracchianti maledizioni perche la via del bene eÁ stata abbandonata. Sono partito volutamente da un rapido schizzo della mondovisione che fa riferimento alla finitudine non solo perche essa eÁ la piuÁ o meno innocente conseguenza dell`universalismo scientifico''4 in cui oggi siamo immersi e quindi poco o tanto ha investito noi tutti come l'aria che respiriamo, ma soprattutto perche questo mi sembra la via piuÁ diretta per intercettare le istanze profonde dell'esperienza umana elementare. Se si prova che anche questa mondovisione non riesce ad estinguere l'esperienza umana elementare, allora significa che con essa resiste la domanda antropologica (filosofico-religiosa) di significato. Sono, infatti, convinto che come in un terreno apparentemente ``morto'' e coperto di detriti, a primavera spunta sempre qualche filo d'erba, cosõÁ avviene per le domande costitutive del cuore dell'uomo. Ed io che sono? Alla fine chi mi ama? Chi mi assicura? Che senso per il nascere e per il morire? E prima e dopo? L'antropologia scientifica della finitudine copre forse queste domande, ma non le elimina. E l'e- 2. Riabilitazione neurologica e bioetica Perche partire da un simile quadro per inserire i temi bioetici legati alla vostra importante e, perche no?, affascinante ricerca e pratica clinica? La riabilitazione neurologica, la cui origine eÁ recente, e di cui questo Centro e voi stessi siete significativi esponenti, eÁ senz'altro un'espressione assai positiva degli strabilianti risultati del connubio scienze-tecnologie. Eppure l'istituzione che organizza questo importante convegno ± il secondo in poco tempo ± eÁ in se stessa la testimonianza di una mondovisione oggettivamente e qualitativamente assai diversa da quella che abbiamo condensato nell'efficace formula di Jongen. Una mondovisione in cui la considerazione antropologica dell'uomo in tutta la sua dinamicitaÁ, non rinuncia a vederlo come soggetto-persona la cui dignitaÁ eÁ ultimamente garantita da un essere personale trascendente che in questa sede, sulle orme di san 9 STUDI sperienza della malattia, della sofferenza e della morte che pazienti, parenti ed operatori sanitari vivono eÁ sufficiente a mettere in dubbio la pretesa che la finitudine basti a se stessa e che l'uomo sia solo il suo proprio esperimento. Ancor piuÁ il dubbio sulla mondovisione che si accomoda nella finitudine eÁ insinuato dalle stesse questioni bioetiche su cui voi intendete pronunciarvi accuratamente in questo convegno. In che senso e percheÂ? Benche la bioetica sia una disciplina assai giovane, dai contorni spesso incerti, eÁ innegabile il dato che in pochi anni ha fatto irruzione in tutti i campi della sanitaÁ. E si sta accollando una sequenza sempre piuÁ lunga e complessa di interrogativi che le scienze e le tecnologie suscitano. Ascoltando le domande che il plesso di scienze impiegato dalla medicina pone a partire dal fatto che si occupa della salute dell'uomo ± mette cioeÁ in campo le questioni centrali della vita e della morte -, la bioetica apre sempre e di nuovo la questione dell'humanum (antropologia filosofica) con le conseguenti mondovisioni. Queste domande si risolvono alla fine in un solo grande interrogativo: l'anelito alla durata, all'infinito che sta al cuore della domanda di salute del paziente eÁ frutto di un errore di prospettiva? L'infinito (Dio), comunque lo si pensi, una vita oltre la morte che orienti la vita prima della morte, eÁ l'illusione pietosa dietro cui nascondiamo la nostra incapacitaÁ psicologica di vivere nella finitudine? Oppure l'anelito di immortalitaÁ, questa aspirazione a risorgere dopo la morte nel nostro ``ve- ro'' corpo, che tutti ci portiamo nel cuore, eÁ una caparra di infinito? Finitudine o infinito? Quale eÁ alla fine la cifra che scioglie l'enigma dell'uomo? La comparsa della bioetica negli ambienti della sanitaÁ, lo si riconosca o meno, impone attraverso i brucianti interrogativi che voi ben conoscete ± dall'impiego delle cellule staminali (quali?), fino all'accanimento terapeutico e all'eutanasia, dal delicato rapporto economia-organizzazione della sanitaÁ fino al diritto alla riabilitazione di persone sopra i 65 anni ± che si affronti questa che eÁ la questione centrale. In questo contesto posso svilupparle solo sommariamente. Per essere il piuÁ possibile concreto, non intendo affrontare la questione antropologica in recto, ma piuttosto in obliquo. Reputo piuÁ utile che io mi limiti a rispondere a due domande: quale vita e quale morte? L'aggettivo interrogativo quale chiarisce comunque subito che il mio intento eÁ quello di offrire una prospettiva antropologica, filosofica e teologica; d'altra parte scegliere di non parlare direttamente di chi eÁ l'uomo in quanto tale, ma della sua vita e della sua morte permette di tener d'occhio le implicazioni bioetiche che voi esaminerete, ma soprattutto entra piuÁ direttamente nel campo del vostro quotidiano lavoro di ricerca e di clinica. Ancor piuÁ vorrebbe chinarsi a considerare l'attore indiscutibile del mondo della sanitaÁ, il paziente segnato dalla domanda di guarigione. Domanda spesso carica di sofferenza e non di rado posta sotto l'ombra della morte. Domanda che tocca da vicino i rapporti primari decisivi 10 ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola) (parenti, amici, comunitaÁ) e non cessa di ferire l'operatore sanitario. trasposizione meccanica, a livello di sapere riflesso, della percezione sincretica per la quale il senso comune coglie il novum radicale connesso coll'apparire con la specie umane dei fenomeni ``coscienza'' ed ``autocoscienza''. Personalmente sono convinto che questo novum esista e che, nell'ottica di un sapere completo e rigorosamente articolato sull'uomo, sia, alla fine, ben dimostrabile, ma questo esige un impegno critico considerevole e mai scontato. Un secondo esempio puoÁ ulteriormente illuminare dal punto di vista filosofico la delicatezza critica della nozione di vita e di storia della vita (quale vita?). Mi riferisco al principio di individuazione di ``quel singolo'' uomo, espressione tanto cara a Kierkegaard. EÁ certo possibile mostrare, in maniera adeguata, il principio che presiede all'insorgere della differenza personale che caratterizza il singolo individuo all'interno della specie umana e mostrare la diversa qualitaÁ rispetto al principio di individuazione che si daÁ all'interno della specie animale, ma eÁ un'impresa complessa. Infatti quando si parla di individuo umano a cosa esattamente ci si riferisce? Al fatto che ogni uomo eÁ interamente uomo ed in questa ``appartenenza al genere'' consiste la sua individua unitaÁ, oppure al fatto che ogni uomo eÁ indivisibilmente se stesso (individuo)? Non si potraÁ mai scegliere per l'uno o per l'altro polo. Nel campo della contingenza, pertanto anche per quella creatura finita che eÁ l'uomo, l'unitaÁ eÁ sempre polare (duale: singolo-genere) e, quindi, fonte di permanenti tensioni non sempre ``fa- 3. Quale vita? Sulla vita e sulla storia della vita le spiegazioni tranquillizzanti sono insufficienti. Oggi, spesse volte, esse non sono all'altezza delle domande reali. L'interesse crescente ± e talora obbiettivamente squilibrato ± per il mondo animale e per quello degli spiriti che caratterizza, sempre piuÁ, gli abitanti del Nord del pianeta, confermano questo dato. Non solo, come abbiamo detto, il riferimento alle scienze biologiche (che sono alla base della bioetica) mostra la complessitaÁ (non l'impossibilitaÁ) dell'impresa di definire con elementare chiarezza la nozione di vita e il plesso di questioni che ad essa si lega, ma anche a livello delle discipline filosofiche e teologiche la questione della vita e di quale vita chiama in causa una riflessione critica complessa. Basti citare, per esempio, il delicato problema dell'interpretazione del continuum che si daÁ nel passaggio dalle diverse forme vitali (soprattutto da quelle dei primati superiori a quella umana) in rapporto alla qualitaÁ ontologicamente ``altra'' della vita umana. Se lanciando l'accusa di specismo taluni autori (Singer5) hanno potuto trovare una accoglienza notevole, influenzando fortemente il clima culturale dominante, bisogna a maggior ragione affrontare, senza semplicistiche autosufficienze, le problematiche complesse ed articolate legate all'apparire della coscienza e dell'autocoscienza. Non basta una 11 STUDI cili da pensare''. Tanto piuÁ che la possibilitaÁ della ``clonazione'' umana mostra l'insufficienza di una trasposizione automatica ± cioeÁ senza continui approfondimenti teorico-pratici, a livello della convivenza civile e della sua regolazione statuale, di principi come quello della libertaÁ di coscienza individuale o quello della stessa regola aurea (''non far all'altro cioÁ che non vuoi sia fatto a te''). Qual contenuto dare allora alle nozioni di ``vita'' e di ``storia della vita''? Due mi sembrano i dati incontrovertibili. Il primo prende avvio da una delimitazione e quindi, a prima vista, da una negazione. L'identitaÁ della vita umana, e quindi della persona umana, non puoÁ essere integralmente rilevata solo biologicamente (a livello di una pura indagine di biologia positiva). Anzitutto gli atti del tendere all'altro e del partecipare alla sua azione si distinguono dai puri fatti biologici, nonostante siano condizionati dalla situazione biologica in cui vengono compiuti. In secondo luogo la vita e l'identitaÁ dell'uomo si rivelano definitivamente nel suo continuo uscire dallo stato presente, perche quella dell'uomo eÁ una vicenda che sfugge, in ogni direzione, ad uno spazio temporale chiuso. La vita e l'identitaÁ dell'uomo hanno una storia (passato) il cui senso eÁ da leggere alla luce di quel futuro che eÁ presente (incombe) in ogni istante del tempo ma che non si identifica con alcuno di essi. Vani saranno percioÁ gli sforzi per trovare tale identitaÁ solo nelle configurazioni delle componenti biologi- che e delle catene genetiche (Grygiel6). In questo preciso senso eÁ assai difficile cogliere la qualitaÁ essenziale della vita umana personale se non si riconosce in una datitaÁ ultima, che i greci chiamavano physis (natura), l'intreccio profondo ed inscindibile tra l'elemento bio-istintuale e quello psico-spirituale che lo trascende. Dice Hoelderlin nella sua poesia ``Il reno'': «Enigma eÁ il puro scaturire, anche il canto puoÁ appena svelarlo, come cominci tale resterai, per quanto agisca la costrizione e il rigore il piuÁ lo puoÁ la nascita e il raggio di luce che al neonato va incontro». «Come cominci tale resterai... il piuÁ lo puoÁ la nascita»: in questo senso in ogni singolo uomo si rivela un nucleo dato ed incoercibile (l'umana natura). Nessuna cultura puoÁ costruire ± per cosõÁ dire ± dal niente, l'umana natura del singolo. Inoltre «per quanto agisca la costrizione e il rigore» non si puoÁ evitare il ruolo del «raggio di luce che al neonato va incontro». Il poeta conferma che il carattere strutturalmente enigmatico dell'uomo rivela l'insuperabilitaÁ della unitaÁ duale di anima-corpo che lo costituisce. Queste constatazioni mi sembrano far emergere una contraddizione centrale spesso riscontrabile nel dibattito attuale intorno alle brucianti questioni bioetiche. Se si vuole veramente stare anche a cioÁ che le scienze (soprattutto biologiche) ci dicono ± esse ci attestano la natura come dato ± non si puoÁ accettare una prospettiva teoretica per la quale la natura umana possa essere a tal punto plasmata dalla cultura da risultare creata da questa. L'esperienza del continuo cam12 ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola) biamento che si verifica in ogni individuo non puoÁ essere acriticamente elevata di per se stessa a espressione di ``come le cose stanno'' per affermare la titanica pretesa che la cultura produca la natura. Inoltre l'analisi biologica dell'origine e dello sviluppo dell'embrione non eÁ sufficiente a negare che il raggio di luce della sua costitutiva relazione all'altro (intesa non come qualcosa di estrinseco o di giustapposto a tale dato [natura], ne come puro prodotto accidentale dell'autocoscienza umana, ma concepita come qualcosa di originario, attraversi realmente il dato bio-istintuale per dar origine alla vita umana di questa singola persona. La vita e l'identitaÁ dell'uomo implicano questo suo essere presente all'altro che passa attraverso la presenza stessa dell'altro a seÂ. In questo senso il venire alla luce dall'atto coniugale di amore di un padre e di una madre rappresenta una elementare rivelazione di quale vita sia la vita dell'uomo. Come la tradizione del realismo insegna, la vita umana si coglie in quanto totalitaÁ unificata di una duplice dimensione: quella spirituale e quella corporale, pensate in profonda unitaÁ polare. Quella dell'uomo eÁ una unitaÁ duale. Senza di essa eÁ impossibile dire tutto l'uomo. Qui dovremmo aprire un dialogo approfondito sull'origine e sul destino dell'uomo per spingere fino in fondo il confronto con la mondovisione che propone di accomodarsi nella finitudine. Si potrebbe cosõÁ mostrare la fondatezza dell'esperienza umana elementare (non importa se eÁ pre-scientifica!) secondo la quale la vita umana, fin dal suo con- cepimento, si rivela ontologicamente inserita in una natura costituita dall'unitaÁ duale di anima e di corpo. EÁ cosõÁ posto un primo insieme di argomenti che differenzia in maniera specifica la vita umana rispetto ad ogni altro tipo di vita e costituisce l'asse di risposta alla domanda ``quale vita?''. Purtroppo la sinteticitaÁ di queste formulazioni puoÁ far sembrare questa mia riflessione, che pure era partita dal riconoscimento della complessitaÁ della categoria di vita, quasi come una captatio benevolentiae. Si potrebbe obiettare: ``alla fine qui si ritorna a riproporre qualcosa di antico''. Mi limito a ricordare che non esiste criticitaÁ possibile al di fuori di un positivo che precede la critica e su cui la critica possa esercitarsi. Il positivo mi avviene (viene al mio incontro!). L'autentica novitaÁ non eÁ necessariamente l'inedito, ma puoÁ essere il riproporsi dell'antico!7 Vi eÁ un secondo elemento, cui voglio fare cenno brevemente, necessario ai fini di cogliere la natura specifica della vita umana. EÁ indicato dalla comprensione adeguata di un'altra dimensione costitutiva dell'antropologia drammatica (unitaÁ duale). Mi riferisco alla polaritaÁ costitutiva di uomo/donna. Ogni uomo non eÁ solo uno di anima e di corpo, eÁ uno anche di uomo e di donna. EÁ la natura nuziale (sponsale) della persona umana che la rende, ad un tempo, ricettacolo di amore e capace di amore. Non pochi interrogativi oggi posti alla bioetica stanno facendo progressivamente esplodere l'unitaÁ delle tre componenti costitutive della nuzialitaÁ: la differenza sessuale, il dono di se 13 STUDI (amore) e la feconditaÁ. La mentalitaÁ contraccettiva ha diffuso su larga scala la possibilitaÁ di separare il rapporto sessuale dall'amore e dalla feconditaÁ. Con il fenomeno della fecondazione in vitro e, soprattutto, con la prospettiva della clonazione, la differenza sessuale e la procreazione possono diventare realtaÁ del tutto separate. Ma la possibilitaÁ tecnica di dissolvere l'intreccio del fenomeno unitario della nuzialitaÁ ± manifestazione oggettiva dello ``specifico'' della vita umana intesa come evento singolare personale di una natura ontologicamente informata dalla luce spirituale che la fa essere dall'altro e per l'altro ± piuÁ che un potere, rivela l'impotenza della cultura contemporanea a dare una risposta solida alla questione ``quale vita?''. In effetti la vita di ogni singolo uomo eÁ naturalmente collocata nella differenza sessuale considerata come reciprocitaÁ (asimmetrica) che attraverso l'esperienza dell'amore si apre oggettivamente alla feconditaÁ. La domanda: ``quale vita per l'uomo?'' trova cosõÁ un'altra linea di risposta complementare a quella precedente.8 La vita umana eÁ, precisamente, quella vita che eÁ proporzionata alla natura propria della differenza sessuale, la quale consiste appunto in una reciprocitaÁ (asimmetrica) oblativamente assunta dall'amore. Il fatto di esistere sempre e solo come persone di sesso maschile o come persone di sesso femminile non apre il singolo ad una ricerca androgina ± oggi culturalmente assai diffusa ± dell'altra metaÁ di se in vista della ricomposizione di un ``uno'' che, per gelosia, un dio avrebbe all'origine diviso (Aristo- fane di Platone), ma lo spalanca a quel riconoscimento, carico di sorpresa, dell'altro come condizione della veritaÁ del proprio io. Riconoscimento che ha, nell'apertura al terzo, la sua garanzia inestirpabile. Il significato della vita umana eÁ al cuore della differenza sessuale propria degli uomini, qualitativamente diversa da quella animale. A tal punto che uno dei massimi geni del pensiero contemporaneo ha potuto affermare: «l'atto dell'unione di due persone nell'unica carne e il frutto di questa unione dovrebbero essere considerati insieme saltando la distanza del tempo».9 Qui si aprirebbe lo spazio per cercare un ulteriore fondamento antropologico della singolare identitaÁ della vita umana e dell'uomo stesso. Questo ci porterebbe a scandagliare ulteriormente il denso mistero dell'uomo per sciogliere l'enigma di questo essere che, nello stesso tempo, esiste e non ha in se il fondamento del proprio essere. Senza predeterminare il dramma del singolo a cui ognuno di noi eÁ quotidianamente esposto nell'esperienza umanissima dell'alteritaÁ che eÁ la maternitaÁ, la paternitaÁ, la figliolanza, la relazione tra l'uomo e la donna e, in ogni caso, l'esperienza dell'amore come tale, saremmo cosõÁ condotti ± almeno quanti di noi hanno, per grazia, avuto il dono di incontrare l'origine stessa dell'amore in Cristo GesuÁ ± a tentare paragoni arditi, sulla scorta dell'analogia, con la nuzialitaÁ che vive all'interno degli stessi rapporti intra-trinitari. Ma non eÁ questa la sede per poter entrare in simili affascinanti questioni che pure 14 ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola) sarebbero di grande utilitaÁ per le implicazioni bioetiche delle vostre ricerche. L'interrogativo ``quale vita?'', come ogni questione elementare e percioÁ universale, ha la forza di mettere in campo un tale numero di problemi e di tale densitaÁ da togliere il sonno a quanti, tra i cultori della bioetica, si illudessero di poter delimitare con facilitaÁ l'ambito della loro ricerca con l'inesorabile interdisciplinarietaÁ che vi eÁ implicata. In ogni caso si tratta di un'inquietudine positiva per l'uomo e per le scienze! la piuÁ radicale delle alternative che connotano l'esperienza umana elementare. Nel 1995 formulando il documento Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, il Comitato Nazionale di Bioetica affermava: «La morte non puoÁ essere considerata alla stregua di un mero evento biologico o medico: essa appartiene ad un ordine completamente diverso, rispetto a quello cui appartiene l'evento morboso (...). La morte infatti propone all'uomo un compito propriamente morale: quello di trovare un senso che guidi e sostenga la sua libertaÁ, che come libertaÁ umana trova la sua radice nella consapevolezza da parte del soggetto della propria invincibile caducitaÁ».10 Questa affermazione, anche se bisognosa di qualche rigorizzazione, eÁ importante per almeno due ragioni. Anzitutto pone una differenza qualitativa tra evento morboso ed evento morte. Pur essendo spesso collegati, i due eventi sono di natura diversa. La morte non eÁ riducibile a mero evento biologico cui si possa venire incontro medicalmente. Indipendentemente dal fatto, su cui non importa qui insistere, che anche l'evento morboso non eÁ mero evento biologico ± questa sarebbe una prima necessaria rigorizzazione da apportare al documento ± qui eÁ importante rilevare che la notazione del Comitato Nazionale di Bioetica introduce la dimensione antropologica come decisiva per affrontare la questione quale morte. Afferma, infatti, che essa eÁ «portatrice di un signifcato».11 In secondo luogo lo stesso documento apre la strada alla ricerca di 4. Quale morte? Chi vinceraÁ alla fine: la morte o questa misera carne mortale? Anche in questo dilemma eÁ racchiuso il terreno di confronto tra le due mondovisioni che abbiamo messo in campo. Accomodarsi nella finitudine che puoÁ, come abbiamo riconosciuto, dar luogo a nobili ma ultimamente rassegnati stili di vita o assumere lo stile di vita che proviene dalla sicura e consolante speranza della risurrezione della carne, dipende alla fine dalla risposta data a questa ineludibile domanda. Infatti, come diceva l'inquietante romanziere francese Houellebecq, la morte eÁ come un rumore di fondo che accompagna ogni istante della vita di noi tutti. Ne ci si puoÁ illudere che le brucianti questioni bioetiche, comprese quelle specifiche che riguardano la riabilitazione neurologica, possano restare indifferenti alla scelta antropologica di fondo con cui si intende guardare a questa che eÁ 15 STUDI questo significato nella direzione antropologico-filosofica che la morale (potremmo anche dire la bioetica) impone. Addirittura si spinge ad affermare che di fronte alla morte il soggetto mette in gioco la radice stessa della sua libertaÁ che consisterebbe nella consapevolezza della «propria invincibile caducitaÁ». Anche questa espressione necessita di maggior rigore, ma anzitutto conviene rilevare che anch'essa ha il pregio di porre in primo piano un'altra volta l'urgenza dell'interrogativo antropologico quale morte? Neppure per la morte, come giaÁ per la vita, ci si puoÁ fermare al biologico. Alla domanda quale morte? conviene tutti cercare risposta se la libertaÁ vuol trovare il sentiero per misurarsi con l'altra inesorabile domanda: perche la morte? Altrimenti la caducitaÁ sarebbe veramente irriducibile in senso assoluto e la vanitas di cui parla il libro del Qoelet (1, 2: «VanitaÁ delle vanitaÁ, tutto eÁ vanitaÁ») si stenderebbe come un'invisibile ma tenace coltre su ogni aspetto dell'esistenza umana esponendolo all'annichilamento. Ne verrebbe quella «schiavituÁ del timore della morte» in cui «erano tenuti tutti gli uomini», di cui parla la Lettera agli Ebrei (2, 15), e da cui deriva l'insopprimibile sapore di estorsione che sempre si connette al morire dal momento che anche il suicida, ed anche colui che, come Kolbe, sceglie di morire al posto di un altro, doveva comunque morire. La risposta alla domanda quale morte? interessa tutti: sia i cultori della tesi dell'accomodarsi nella finitudine, sia quelli che non rinunciano a cercare il senso e il significato (fondamento) della vita, e percioÁ della morte, che riveli come la caducitaÁ non sia irriducibile in senso assoluto. In altre parole la questione suona cosõÁ: il tempo che passa eÁ inesorabile caduta nel nulla o eÁ l'andare incontro ad una Presenza che riscatta la caducitaÁ inoltrandola definitivamente nell'eterno? La risposta di Rilke alla domanda: quale morte? resta per me insuperabile: «DaÁ Signore a ciascuno la sua morte. La morte che fiorõÁ da quella vita, in cui ciascuno amoÁ, pensoÁ, sofferse».12 EÁ impressionante la profonditaÁ di questa risposta. Tutti noi lo sentiamo, benche la nostra morte non possa essere da noi esperita se non nell'evento in cui si produrraÁ. Adorno non ha ragione contro Rilke quando afferma: «La famosa preghiera di Rilke eÁ un miserevole inganno con cui si cerca di nascondere il fatto che gli uomini oramai crepano e basta».13 PercheÂ? Perche Rilke cerca la risposta lungo l'unica strada possibile ad una libertaÁ finita (ma aperta all'infinito) come quella umana. Paradossalmente la sua risposta eÁ una potente domanda, anzi eÁ un'invocazione rivolta a Qualcuno perche la mia morte sia il mio compimento. CioÁ puoÁ avvenire solo se il morire chiama in qualche modo in causa la mia libertaÁ. La morte puoÁ essere personale solo se si connette in qualche modo alla mia libertaÁ. Ma come parlare di libertaÁ a proposito della morte, come parlare di morte come fioritura, percioÁ in un certo senso pienezza e compimento di vita, se essa possiede sempre il carattere di un'estorsione, anche nei casi estremi del suicida e di chi si conse16 ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola) gna volontariamente al martirio?14 Certo, a prima vista questa obiezione appare insuperabile. Non si daÁ risposta convincente alla domanda quale morte? se non si scioglie il nodo tremendum che le eÁ sotteso: perche la morte? Tra l'altro, questo eÁ il nodo con cui ha permanentemente a che fare la vostra ricerca e la vostra pratica clinica. EÁ il nodo che afferra alla gola il paziente quando vi domanda la guarigione. EÁ il punto in cui la domanda di salute si lega inestricabilmente con quella della salvezza. Lo esprime bene Kafka: «Mi salverai? Sussurra singhiozzando il giovane, abbagliato dalla vita che ferve nella sua ferita».15 nessuno di fatto puoÁ sottrarsi. Ogni atto della libertaÁ finita, anche il piuÁ banale, come l'uscire da quella porta, si puoÁ definire compiutamente solo quando ``accade'', quando lo si ``performa''. Quindi non eÁ mai del tutto dominabile a priori dalla mia scelta. CioÁ significa che, a ben vedere, il fatto per cui soprattutto la morte non possa essere dominata dalla mia scelta eÁ del tutto analogo a cioÁ che si verifica in ogni atto della mia libertaÁ. La finitudine si sente in ogni atto. Il finito non eÁ l'infinito. Perche non sono Dio? Narcisismo e delirio di onnipotenza da una parte, ci spingono a fingerci Dio, malinconia e disincanto conducono ad accomodarci nella finitudine. Ma queste non sono risposte. PiuÁ realista eÁ l'atteggiamento di chi, lo ripeto, non riduce la propria libertaÁ a libertaÁ di scelta. Questa eÁ infatti preceduta da un dato per cosõÁ dire ``naturale'': il mio essere situato nella carne (corpo dato, natura) mi ``inclina'' in modo ``spontaneo'' ad assumere attitudini e comportamenti che realizzino il mio bisogno di consistenza. Diciamo pure che mi soddisfino, che siano un bene per me. San Tommaso ha ben espresso questo dinamismo, che sta alla radice della libertaÁ, parlando di inclinazioni naturali come cioÁ che «conviene all'uomo come natura vivente, animale e razionale».16 Ma vi eÁ un altro piuÁ importante elemento che definisce l'ampiezza della libertaÁ umana e che attraversa tutta la libertaÁ di scelta e nello stesso tempo la trascende. Il fatto che l'atto della mia libertaÁ non sia catturabile prima che io lo compia mi dice che per porre in modo ragionevole anche Come puoÁ la mia libertaÁ ± riprendo i termini del documento del Comitato Nazionale di Bioetica ± appropriarsi della morte se tutto sembra conclamare il contrario? Solo se io riconosco che la mia libertaÁ non si riduce a pura libertaÁ di scelta. Solo se riconosco che essa fiorisce su un prima che la desta e la attira. Un terreno da cui la libertaÁ di scelta di ogni uomo trae la sua linfa lungo tutta l'esistenza, per poter giungere all'atto estremo dell'abbandono nella morte. Certo, l'evento della morte, in quanto evento, non eÁ mai in senso assoluto alla portata della scelta dell'uomo (se non, come accenneremo, nel caso di GesuÁ Cristo, quell'uomo singolare in senso assoluto), ma cioÁ non impedisce alla libertaÁ di appropriarsene in qualche modo. Anzi questo lavoro di appropriazione eÁ il livello primario dell'impegno etico ed ascetico della vita di ogni persona. Impegno a cui 17 STUDI l'atto banale di uscire da quella porta devo disporre del significato ultimo della libertaÁ stessa. Solo questo mi consente alla fine tale atto. Questo significato deve essere della stessa natura dell'atto di libertaÁ. Non puoÁ essere percioÁ un'idea. Deve essere esso stesso un evento che si dona in ogni atto di libertaÁ perche io lo performi. Questo evento eÁ una Presenza in qualche modo assoluta che, piuÁ o meno consapevolmente, mi attira a se a partire dalle inclinazioni naturali e attraverso tutti gli atti di libertaÁ che compio lungo la mia esistenza. GiaÁ a questo livello si puoÁ riconoscere che in forza del suo carattere oblativo questo evento eÁ Amore con la maiuscola. In sintesi: nessun atto di libertaÁ puoÁ essere ridotto alla pura libertaÁ di scelta. Anzi questa non puoÁ mai prescindere da una parte dall'assecondare un'inclinazione che la precede e, dall'altra, dalla risposta dovuta all'Assoluto vitale (VeritaÁ-bene) che nella scelta stessa le si offre per permetterla. Se si riflette con attenzione si deve riconoscere che la morte mette in campo in maniera particolarmente acuta questi due fattori che, con la libertaÁ di scelta, sono costitutivi dell'atto di libertaÁ. Essa eÁ legata in modo radicale alla datitaÁ finita della mia natura che mi precede ed in essa l'Assoluto mi interpella in modo ultimativo. Pertanto l'impotenza ultima della dimensione di scelta di fronte alla morte non spersonalizza la mia morte. Al contrario questa mancanza, dovuta appunto alla caducitaÁ, spalanca l'uomo al compito della vita potenziare gli altri due fattori che condurranno la mia libertaÁ alla soddisfazione e cioeÁ l'inclinazione naturale (le implicazioni bioetiche sono qui chiamate in causa a livello antropologico, cosmologico e sociale!) e l'accoglienza dell'evento della veritaÁ-amore (qui riappare con forza l'insopprimibile domanda filosofico-religiosa che secondo Comte non si dovrebbe piuÁ porre). Nell'atto del mio morire il tempo della libertaÁ di scelta termina e mi vien chiesto un abbandono totale al dono della VeritaÁ-Bene che, attraverso le inclinazioni naturali, giaÁ mi attirava a seÂ. In questo senso nella mia morte si compie la mia libertaÁ. L'imperfetta libertaÁ di scelta, sempre di nuovo ``costretta'' a mettersi in moto a causa dell'insuperabile determinatezza del mio volere, trova soddisfazione nell'Infinito che viene al mio incontro. Si compie. Qui trova alla fine risposta la domanda di salute-salvezza che chiede sempre guarigione, ma che sa bene che la morte puoÁ essere solo postposta e mai veramente in senso pieno. Anzi, almeno nello stato attuale della medicina, puoÁ essere postposta solo per un tempo relativamente breve. Non saranno piuÁ i 70 o 80 anni del celebre Salmo. Vi aggiungeremo forse qualche decina di anni, ma il tempo della vita eÁ sempre breve e la sua qualitaÁ dopo una certa etaÁ eÁ sempre precaria. Non mi pare fuori luogo richiamare brevemente, soprattutto in questa sede, la prospettiva teologica che l'evento di GesuÁ Cristo come fatto garantito dall'ininterrotta testimonianza dei cristiani apre all'enigma della morte. In GesuÁ Cristo si vede in modo straordinario come la morte sia 18 ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola) del tutto personale. Egli diventa cosõÁ la garanzia della mia personale morte come abbandono singolare all'Evento VeritaÁ-Bene.17 «La battaglia che il Crocifisso, con la Sua morte singolare, unica ed irripetibile, intrattiene con la morte comune a noi uomini, ce la mostra come l'effettivo compimento della libertaÁ nell'abbandono al luogo della definitiva consistenza e della piuÁ totale assicurazione: l'abbraccio carico di amore del Padre. Cristo infatti accetta liberamente (sponte) di morire innocente in nostro favore pur essendo l'unico che poteva non morire. Se l'amore eÁ cioÁ che mi assicura ± come dimostra la risurrezione di Cristo caparra della mia risurrezione ± allora la morte eÁ il momento in cui la mia libertaÁ di creatura finita incontra l'abbraccio della libertaÁ infinita del Padre che la accoglie nella sua dimora di vita permanente, di eterna salvezza. Nell'atto del morire scopriroÁ che non finisco nel nulla. SaraÁ il momento della mia vera nascita (non a caso la Chiesa celebra il giorno della morte dei suoi santi come il giorno della loro nascita, il dies natalis). La morte e la risurrezione di GesuÁ nel suo vero corpo sono in realtaÁ l'espressione piuÁ potente della Sua eterna vitalitaÁ trinitaria, incontro del Crocifisso con il Padre nello Spirito Santo. ``In Cristo GesuÁ la mia morte coincide con l'essere definitivamente accolto in questa dimora permanente e pacificante di amore. Per questo valutata in termini umani la morte eÁ semplicemente una fine, un puro e semplice passivo venir portato via. La follia del cristianesimo consiste nel fare di questo confine una specie di centro'' (Balthasar). Anche per chi non credes- se in Cristo ma riconoscesse l'esistenza di un Essere trascendente e personale, o addirittura anche per chi dicesse caparbiamente di non credere in nulla, nell'elemento di abban-dono contenuto nell'atto del morire eÁ impossibile misconoscere una qualche esperienza dell'amore. Comunque la si voglia chiamare e quand'anche la si riducesse a scarse e pallide vestigia, quest'esperienza dell'amore-abbandono contenuta nella mia morte dice la mia libertaÁ».18 5. Il soggetto e la cura Per concludere queste troppo frammentarie riflessioni antropologiche che offro alle vostre specialistiche analisi bioetiche circa gli aspetti innovativi della riabilitazione neurologica, voglio ricordare alcuni rilievi di carattere pratico solo a prima vista non direttamente pertinenti al tema. Scaturiscono direttamente dalla visione antropologica (filosofico-teologica) che non riesce a rinunciare alla domanda oggettiva sul significato. In fondo la nostra risposta alle questioni quale vita? e quale morte?- terreno su cui la bioetica svolge la sua insostituibile funzione di mediazione tra la ricerca e la pratica clinica da una parte e la visione dell'uomo che sempre in essa entra in gioco (antropologia) dall'altra ± propone di coniugare amore e medicina. Che si giunga fino a dare a questo amore il nome di GesuÁ Cristo rivelatore del Padre che ci apre alla vita e ci accoglie nella morte mediante la nostra personale morte-risurrezione nel nostro vero corpo o 19 STUDI salvezza sempre in gioco».21 Basti accennare a due conseguenze contenute in quest'affermazione sintetica: entrambe possono aiutare a star dentro con realismo alle contraddizioni tra soggetto e struttura, comprensibilmente implicate nell'esercizio della ricerca e della clinica medica e presenti nei luoghi della cura. La prima eÁ relativa all'importanza del soggetto e alla necessitaÁ di mantenerne il primato nella pratica medica e nell'organizzazione di una politica sanitaria. In questo senso eÁ decisivo notare che il soggetto in campo ± sempre personale e comunitario ± resta anzitutto il paziente, i familiari e gli operatori sanitari. Tuttavia, se compiutamente considerato, esso non puoÁ, oggi piuÁ che mai, non comprendere i molti corpi intermedi che rendono vitale la societaÁ civile. Inoltre tale soggetto eÁ costituito dagli attori economici e istituzionali che ultimamente orientano una politica sanitaria. La nascita e lo svilupparsi del volontariato ospedaliero, da una parte, cosõÁ come, dall'altra, l'attenzione che famiglie, associazioni di quartiere e parrocchie vanno sempre piuÁ riservando ai malati e agli anziani stanno mettendo in moto un prezioso circolo virtuoso di cui i soggetti economici e le autoritaÁ istituite debbono tener conto. Anzi sono chiamati a favorirlo nel rispetto del triplice principio della dignitaÁ della persona (che in questo caso si traduce nel principio regolativo di dare a ciascuno la sua propria morte-malattia), della solidarietaÁ e della sussidiarietaÁ. Dal punto di vista della struttura, il rispetto della responsabilitaÁ persona- che non si riesca ad accedere a questa prospettiva eÁ impossibile alla fine espungere la domanda di salvezza (senso e significato) dalla domanda di salute. Non esiste criterio regolativo piuÁ equilibrato e piuÁ conveniente del nesso salute-salvezza per pensare il rapporto tra soggetto, clinica medica e luoghi deputati al suo esercizio. Solo cosõÁ infatti l'azione dell'operatore sanitario e la cooperazione con essa del paziente e dei suoi familiari eÁ per la vita, e per la vita integrale. Per illustrare questa affermazione permettetemi allora di riproporvi alla lettera, per brevitaÁ, quanto ho giaÁ scritto altrove.19 Credo che la categoria appropriata per trattenere questo sguardo integrale sia quella della ``cura''20 cui si connette anche la ricerca. CosõÁ come Dio che eÁ Padre si prende cura di ogni uomo dal concepimento alla sua morte naturale («Che cos'eÁ l'uomo e perche te ne curi?» Sal 8), chinarsi sulla malattia e sulla morte da parte di chiunque non puoÁ che essere il partecipare di questa cura. E qui non si sta parlando soltanto della sfera delle intenzioni e delle motivazioni con cui i soggetti interagiscono in caso di malattia-morte, ma della modalitaÁ specifica con cui queste realtaÁ vengono affrontate. La cura si esplica infatti «mediante la sequenza degli atti clinici concepiti come veicolo (sacramento) dell'arte terapeutica. L'arte terapeutica descrive la modalitaÁ con la quale, all'interno del libero, personale e comunitario rapporto medico-paziente-familiari i soggetti in azione si fanno carico della domanda di salute e 20 ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola) le nel campo della salute deve offrire i criteri di azione agli organizzatori e agli amministratori della complessa macchina socio-sanitaria. In particolare, essi dovranno affrontare il delicato problema dell'equa distribuzione delle risorse economiche, in un campo difficile come quello dell'attivitaÁ sanitaria, non solo a partire dalle leggi del mercato.22 Pertanto i criteri per la allocazione e la razionalizzazione delle risorse destinate a tutelare il diritto primario alla salute debbono tener conto del principio che «l'uomo vale di piuÁ per quello che eÁ che per quello che fa».23 Si dice che ``la salute non ha prezzo'', ma d'altra parte l'economia eÁ la scienza che mira ad ottenere il massimo dei risultati con il minimo delle risorse. EÁ pertanto necessario cercare instancabilmente il punto di equilibrio tra salute ed economia come risultato dell'effettivo coinvolgimento di tutti gli attori che sono in gioco. Tutti dovranno rendere conto al popolo sovrano che deve pretendere dall'autoritaÁ costituita la difesa dei suoi diritti, senza sottrarsi a sua volta ai suoi doveri. Non esiste infatti soltanto un diritto alla salute, ma anche il dovere di vivere la vita come un dono da custodire e da rispettare. Non si puoÁ sprecare la propria salute con scelte sbagliate di vita che per giunta impongono a tutta la comunitaÁ costi notevoli. Le istituzioni educative devono far maturare in tutti il rispetto della persona, della vita e della salute. caritaÁ ha saputo produrre. Questo Istituto ed il Fondatore, a cui si ispira, Camillo di Lellis, ne sono un esempio preclaro. Lo testimoniano altre figure di santi, non solo di quanti sono stati canonizzati dalla Chiesa, ma di una schiera innumerevole ed anonima di uomini e donne che nella prova della malattia-morte hanno assicurato il primato dell'amore. Come? Mostrando ± da pazienti, da familiari, da operatori sanitari, da volontari, da amministratori e da politici della sanitaÁ ± che la vita e la morte rappresentano per tutti una grande educazione all'amore. Si ama veramente quando si ama in ogni istante come se fosse l'ultimo istante. E la vita e la morte possiedono di per se questa natura ultimativa. Note 1 Lectio magistralis tenuta presso l'Ospedale/IRCCS San Camillo di Venezia. 2 Cfr. M. JONGEN, Der Mensch ist ein eniges Experiment, in Feulleuron ± Die Zeit, 9 agosto 2001. 3 In proposito si veda l'assai discutibile saggio di Laplantine: E. LAPPLANTINE, IdentitaÁ e meÂtissage: Umani al di laÁ delle appartenenze, EleÁuthera, Milano 2004. 4 F. NIETZSCHE, CosõÁ parloÁ Zarathustra, in ID. Opere scelte, a cura di L. Scalero, Longanesi, Milano, 1964, 242-243. 5 Cfr. A. SCOLA, Il mistero nuziale 2. Matrimonio-famiglia, PUL-Mursia, Roma 2000, 82-83. 6 P. SINGER, Practical Ethics, Cambridge University Press, Cambridge 1995. 7 S. GRYGIEL, Per guadare il cielo. Vita, vita umana e persona, in ibid., 43-73. 8 Chesterton ce lo ricorda con la sua capacitaÁ di cogliere il paradosso: «se tutte le cose rimangono quali erano, eÁ perche sono sem- La storia della sanitaÁ, e non solo in Occidente, eÁ segnata dalla genialitaÁ creativa che il binomio intelligenza e 21 STUDI pre nuove (...) SõÁ, il mondo eÁ sempre lo stesso, giacche tutto in esso eÁ sempre imprevisto», G.K. CHESTERTON, Il Napoleone di Notting Hill, Paoline, Milano 1961, 248-249. 9 Su questi temi cfr. A. SCOLA, Il mistero nuzionale 1. Uomo-donna, PUL-Mursia, Roma 1998, 91-116. 10 H.U. VON BALTHASAR, La preghiera contemplativa, Jaca Book, Milano, 1982, 89. 11 COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 14 luglio 1995, n. 1. 12 Ibidem. 13 «O Herr, gieb jedem seinen eignen Tod. / Das Sterben, das aus jenem Leben geht, /darin erLiebe hatte, Sinn und Not», R.M. RILKE, Das Buch von derArmut und vom Tode, in ID., Das Stundenbuch (1903). 14 T.W. ADORNO, Minima moralia, Einaudi, Torino 1988, 284: «La distruzione biologica, che avviene nella morte, eÁ fatta propria dalla volontaÁ sociale consapevole. Un'umanitaÁ a cui la morte eÁ divenuta non meno indifferente dei suoi membri puoÁ impartirla per via amministrativa a un numero illimitato di esseri umani. La famosa preghiera di Rilke eÁ un miserevole inganno con cui si cerca di nascondere il fatto che gli uomini, ormai, crepano e basta». 15 Per quanto segue si veda una trattazione piuÁ articolata in A. SCOLA, Morte e libertaÁ, Cantagalli, Siena 2004. 16 F. KAFKA, Un medico di campagna ± Racconti, Feltrinelli, Milano 1962. 17 TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, Ia, Iae, a. 2. 18 Cfr. A. SCOLA, Morte e libertaÁ, op. cit., 43-52; ID., «Se vuoi, puoi guarirmi»: La medicina tra speranza ed utopia, Cantagalli, Siena 2001. 19 A. SCOLA, Morte e libertaÁ, op. cit., 4649. 20 A. SCOLA, Morte e libertaÁ, op. cit. 5460. 21 Cfr. ID., ``Se vuoi, puoi..., 75-81. 22 Ibid., 67. 23 Cfr. Ibid., 107-127. 24 Gaudium et Spes 35. ``La Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinche le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili''. (Benedetto XVI) 22 FARSI PROSSIMO1 Mons. Italo Monticelli Il Card. Martini ha intitolato la sua quarta lettera pastorale, indirizzata alla Diocesi di Milano, «Farsi prossimo» quasi per dire che non si puoÁ parlare della caritaÁ senza riflettere sulla parabola del buon samaritano (Lc. 10,25-3-7) che ci fa conoscere chi eÁ il prossimo e come ci si fa prossimi. 1. Chi eÁ il prossimo Anche noi come il dottore della legge desideriamo conoscere chi eÁ il prossimo o meglio come si fa a farsi prossimo. Un maestro di esegesi biblica, commentando la parabola di Luca, scrive cosõÁ: «Nella parabola nulla eÁ detto del ferito: non viene evidenziata la sua identitaÁ, ma il suo bisogno. Che altro sapere? Prossimo eÁ qualsiasi bisognoso che ti capita di incontrare, anche lo sconosciuto. Chi sia il prossimo da aiutare non eÁ il frutto di una deduzione teorica, ma un evento. EÁ colui nel quale ti imbatti, non importa chi sia. Questa universalitaÁ della nozione di prossimo ha un fondamento, che qui non eÁ dichiarato ma che eÁ supposto dall'intero Vangelo, e cioeÁ l'universalitaÁ dell'amore di Dio. EÁ con l'avvento di GesuÁ che diventa chiaro che Dio ama ogni uomo, senza differenze: ama i giusti e i peccatori, i vicini e i lontani. GesuÁ sposta l'attenzione dello scriba da 1 «chi eÁ il prossimo?» (dopo tutto eÁ una questione teorica) a un'altra domanda, piuÁ concreta e coinvolgente: che cosa significa amare il prossimo? A dispetto della domanda dello scriba, la risposta di GesuÁ pone l'accento sul verbo «amare» piuÁ che sul «prossimo» da aiutare. La parabola, infatti, insiste con compiacenza sul comportamento del samaritano: si fermoÁ accanto allo sconosciuto, gli fascioÁ le ferite, lo condusse all'albergo, pagoÁ interamente il conto. Il samaritano non si eÁ chiesto chi fosse il ferito, e il suo aiuto eÁ stato disinteressato, generoso e concreto. Ecco che cosa significa amare il prossimo. Giunto, poi, alla conclusione del racconto, GesuÁ pone direttamente allo scriba una domanda che lo invita a spostare ulteriormente il suo interesse: «Chi di questi tre ti sembra essersi fatto prossimo a colui che eÁ incappato nei briganti?». Dal prossimo come oggetto da amare al prossimo come soggetto che ama, questo eÁ il punto al quale la parabola vuole condurre. Chi sia il prossimo non si puoÁ definire, si puoÁ esserlo. Lezione tenuta al Centro Camilliano di Formazione di Verona il 20 novembre 2006. Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 STUDI Il problema risiede proprio qui. Non chiederti chi eÁ il prossimo sembra dire GesuÁ ma piuttosto fatti prossimo a chiunque, abbatti le barriere che porti dentro di te e che costruisci fuori di te. Questo eÁ il vero problema. E cosõÁ lo scriba che aveva un problema teologico da risolvere e aveva posto una domanda teorica si vede invitato a convertire se stesso» (B. Maggioni, Il racconto di Luca,, Cittadella Ed., Assisi, 2000, pp. 216-218). 2. Che cos'eÁ l'amore Per capire che cosa eÁ l'amore devo tornare a contemplare il Samaritano della parabola lucana, e precisamente mi devo soffermare su quel verbo che l'ha mosso a dare un indirizzo nuovo alla sua giornata, a capovolgere quanto il samaritano doveva fare quel giorno che ha incontrato quell'uomo mezzo morto in mezzo alla strada. Il Samaritano antepone l'accoglienza nei confronti del ferito al di sopra dei suoi personali interessi: si trova in viaggio, si ferma e, dice l'evangelista Luca, che ne ebbe compassione. Capire il significato di «avere compassione» eÁ andare all'origine del vero amore, quello che bisogna avere verso chiunque si incontra. CosõÁ Martini spiega la compassione del Samaritano «Essa disegna l'intensa commozione e pietaÁ da cui fu afferrato un samaritano, che passava per quella stessa strada. Non pensiamo soltanto a un risveglio di buoni sentimenti. Poche pagine prima (cfr. Lc. 7,13), la stessa parola eÁ usata per descrivere la compassione di GesuÁ dinanzi al funerale del figlio della vedova di Naim. In altri passi della Bibbia questa parola allude all'immensa tenerezza che Dio prova per ogni uomo. Dobbiamo pensare che con questa parola il racconto evangelico voglia descrivere un evento misterioso che eÁ accaduto nel cuore del samaritano e lo ha, per cosõÁ dire, attratto nello stesso movimento di misericordia con cui Dio ama gli uomini» (n. 2). E ancora: il samaritano, quando si sentõÁ mosso a compassione fece «una esperienza intensa che gli ha aperto Si potrebbe sinteticamente dire: «Il prossimo non eÁ colui che eÁ da amare, ma colui che ama. Proprio perche ama si fa prossimo». Solo chi non ama sta a domandarsi sterilmente chi eÁ il suo prossimo, chi ama invece eÁ capace di individuarlo qui e ora. «Chiunque ha bisogno di me ± dice Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica ± e io posso aiutarlo, eÁ il mio prossimo» (n. 15) E il Card. Martini dice: «Il prossimo non esiste giaÁ. Prossimo si diventa. Prossimo non eÁ colui che ha giaÁ con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinitaÁ psicologica. Prossimo divento io stesso nell'atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima» (Farsi prossimo, n. 11). Ma, chiediamoci, perche devo fare un passo avanti per avvicinarmi all'uomo che incontro e amarlo? Sorge allora il desiderio di conoscere che cosa eÁ l'amore e quindi perche e come devo amare, per essere io il prossimo, per farmi io stesso prossimo di chi incontro. 24 FARSI PROSSIMO (I. Monticelli) sto con la novitaÁ del Nuovo Testamento: «La vera novitaÁ del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che daÁ carne e sangue ai concetti ± un realismo inaudito. GiaÁ nell'Antico Testamento la novitaÁ biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in GesuÁ Cristo, Dio stesso insegue la «pecorella smarrita», l'umanitaÁ sofferente e perduta. Quando GesuÁ nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo ± amore, questo, nella sua forma piuÁ radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr. 19,37), comprende cioÁ che eÁ stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio eÁ amore» (1 Gv 4,8). EÁ lõÁ che questa veritaÁ puoÁ essere contemplata. E partendo da lõÁ deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amore» (n. 12). Si puoÁ sintetizzare cosõÁ: Dio eÁ amore, l'amore viene da Dio, non da noi e Dio ce l'ha mostrato nel suo Figlio. Noi possiamo donare solo cioÁ che abbiamo ricevuto. gli occhi sul valore delle cose, gli ha fatto vedere l'uomo bisognoso in una luce nuova e vera, gli ha dischiuso nuove possibilitaÁ di azione e lo ha spinto a farsi prossimo» (n. 10). Avere compassione eÁ un termine tecnico che nell'Antico Testamento indica sempre, soltanto ed esclusivamente l'azione di Dio verso gli uomini. Dio verso gli uomini ha compassione, gli uomini verso i loro simili hanno misericordia, non compassione. Compassione significa restituzione di vita che solo Dio puoÁ dare. Nel Vangelo, quando GesuÁ incontra la vedova di Naim, Egli prova compassione e risuscita il figlio. Nella parabola del figliol prodigo il padre vede il figlio e ha compassione. GesuÁ, quindi, attribuisce a un eretico, indemoniato e impuro l'atteggiamento che solo Dio puoÁ avere: la compassione. Si puoÁ dire che il Samaritano ha fatto una esperienza intensa e particolare, che gli ha aperto gli occhi sul valore delle cose, gli ha fatto vedere l'uomo bisognosao in una luce nuova e vera, gli ha dischiuso nuove possibilitaÁ di azione e lo ha spinto a farsi prossimo, a esercitare una serie di azioni piene di amore e di tenerezza. In quel momento il Samaritano ha capito che cos'eÁ l'amore, e precisamente l'amore agapico. 3. Come amare Per noi cristiani la novitaÁ dell'amore di Dio si coglie nella persona di Cristo. Ricordiamo la pagina dell'enciclica «Deus caritas est» che ci presenta Cri25 STUDI E cioÁ che abbiamo ricevuto dobbiamo a nostra volta donarlo. O piuttosto poiche l'amore non eÁ cioÁ che Dio ha, ma cioÁ che Egli eÁ, dobbiamo lasciare che si doni a noi. Dio eÁ colui che dona, per cui l'uomo ama rispondendo al dono dell'amore di Dio. Il modo di amare di Dio diventa la misura dell'amore umano. Ecco l'impegno nostro nell'esercizio di caritaÁ: amare alla maniera di GesuÁ Cristo. Vedere il prossimo con gli occhi di Cristo per potergli donare lo sguardo di amore di cui ha bisogno. S. Agostino parlava cosõÁ nel modo di esercitare la caritaÁ: «Una volta per tutte, dunque, ti viene dato un breve precetto: abbi la caritaÁ e poi compi tutto cioÁ che la caritaÁ ti fa volere. Se taci, taci per amore. Se parli, parla per amore. Se correggi, correggi per amore. Se perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore, poiche da questa radice non puoÁ nascere che il bene Se vuoi vedere Dio, hai a disposizione l'idea giusta: Dio eÁ amore. Quale volto ha l'amore? Quale forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo puoÁ dire. Tuttavia ha i piedi: sono quelli che conducono alla Chiesa. Ha le mani: sono quelle che donano ai poveri. Ha gli occhi, coi quali si viene a conoscere colui che eÁ nel bisogno, come eÁ detto nel salmo (40,2): Beato colui che ha cura del povero e dell'indigente. Ha orecchi, di cui parla il Signore: Colui che ha orecchi per intendere, intenda. Queste varie membra non si trovano separate in luoghi diversi, ma chi ha la caritaÁ vede con un colpo d'occhio della sua mente tutto l'insie- me. Tu dunque abita nella caritaÁ ed essa abiteraÁ in te: resta in essa ed essa resteraÁ in te». 4. L'amore per gli ultimi La figura del mezzo-morto sulla strada di Gerico ci aiuta a capire la preferenza da dare ai nostri gesti di amore. Bisogna amare tutti: eÁ vero. PeroÁ la preferenza va data a chi eÁ nel bisogno, nella necessitaÁ. La preferenza verso i poveri indicataci da Cristo non eÁ esclusione di nessuno, ma solo precedenza per chi eÁ «ultimo nella fila» come dice, appunto, un documento breve ma denso della chiesa italiana «bisogna decidere di ripartire dagli ultimi» nell'esercizio della caritaÁ (cfr. La Chiesa e le prospettive del paese, 1971, n. 4). CosõÁ il Card. Martini spiega questo tipo di preferenza: «L'attenzione agli ultimi si fonda su motivazioni ovvie e immediate. Sono i piuÁ bisognosi, i piuÁ trascurati, al limite della resistenza: occorre intervenire con urgenza, con assoluta prioritaÁ. In realtaÁ l'attenzione media della gente eÁ rivolta ai bisogni medi. Gli ultimi sono tali non solo per la situazione in cui versano, ma anche perche non riescono a farsi sentire, ad attirare l'attenzione. EÁ importante allora che le ragioni istintive di intervento a favore degli ultimi vengano rese efficaci e risonanti dalle perentorie ragioni della caritaÁ. Gli ultimi vanno preferiti perche sono coloro che GesuÁ ha maggiormente 26 FARSI PROSSIMO (I. Monticelli) amato; sono coloro che hanno maggiormente bisogno della speranza che deriva dall'amore pasquale. In loro la Pasqua rivela piuÁ chiaramente la sua capacitaÁ di essere una vittoria definitiva proprio sui mali piuÁ irreparabili. A loro in modo particolare bisogna dire che Cristo eÁ vicino; che anche nella loro situazione eÁ possibile far nascere un germe di amore. In loro bisogna far sorgere urgentemente la certezza che, se riescono a credere all'amore e a vivere nell'amore, hanno trovato la salvezza» (n. 17,b). Ancora Agostino ci eÁ di aiuto, quando indica la necessitaÁ di amare le persone, specie bisognose, che sono il Corpo di Cristo che continua ad essere presente sulla terra: «Il Signore nostro GesuÁ Cristo, salendo al cielo, il quarantesimo giorno, ci ha raccomandato il suo corpo che doveva restare quaggiuÁ, perche prevedeva che molti avrebbero reso onore a lui appunto perche ascendeva al cielo, ma vedeva pure l'inconsistenza di tali resi a seÂ, dato che questi tali avrebbero calpestato le sue membra qui in terra. Affinche nessuno fosse tratto in errore ± adorando il capo che sta in cielo ma calpestando i piedi che stanno in terra ± ci ha precisato dove si sarebbero trovate le sue membra. Mentre ascendeva al cielo, disse le sue ultime parole, pronunciate le quali non parloÁ piuÁ qui in terra. Il capo che doveva salire in cielo raccomandoÁ a noi le sue membra che restavano sulla terra e partõÁ. Ormai non ti puoÁ accadere piuÁ di sentire Cristo che parla qui in terra. Puoi sentirlo parlare, ma dal cielo. E dal cielo, perche parloÁ? Perche le sue membra erano calpestate qui in terra. A Saulo, suo persecutore, disse dal cielo: «Saulo, Saulo, perche mi perseguiti?» (Atti 9,4). Sono salito al cielo, ma rimango ancora in terra; siedo qui in cielo alla destra del Padre, ma lõÁ in terra ancora patisco la fame, la sete, ancora sono pellegrino. In che modo ci ha raccomandato il suo corpo in terra mentre stava per salire al cielo? Quando i discepoli lo interrogarono: «Signore, eÁ forse venuto il momento in cui tu ristabilirai il regno di Israele?». Sul punto di partire, egli rispose: «Non tocca a voi sapere il tempo che il Padre ha posto in suo potere, ma riceverete la virtuÁ dello Spirito Santo che verraÁ in voi e mi sarete testimoni». Vedete fin dove fa giungere il suo corpo, vedete dove non vuole essere calpestato: «Voi mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria e in tutta la terra» (Atti 12, 6-8). Ecco dove rimango io, che pure ascendo in cielo; ascendo perche sono la testa, ma il mio corpo giace ancora quaggiuÁ. Dove giace? Per tutta la terra. Vedi di non colpire, di non violare, di non calpestare il mio corpo. Sono queste le ultime parole di Cristo mentre ascende al cielo». Conclusione Essere cristiani eÁ farsi prossimo di tutti, eÁ amare tutti. Il Card. Martini, al termine di un convegno sul farsi prossimo diceva: «L'essere cristiani, non eÁ caratterizzato dall'andare a Messa alla domenica ma dal vivere per gli altri, fondato sul fatto che si 27 STUDI non limitarsi a fare qualche intervento personale, ma anche cercare e risanare le condizioni economiche, sociali, politiche della povertaÁ e dell'ingiustizia. In altre parole, per essere buoni samaritani nella societaÁ attuale, occorre fare qualcosa di piuÁ di quello che ha fatto, secondo la parabola evangelica, il buon samaritano nella societaÁ di allora, meno complessa e stratificata» (n. 7). A noi tocca ora fare qualcosa di piuÁ, dato che «l'amore eÁ possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perche creati ad immagine di Dio. Vivere l'amore eÁ in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo» (Deus caritas est, n. 39). va a Messa alla domenica. Non vive dell'Eucaristia se non chi dona corpo e sangue per i fratelli, come GesuÁ. La Chiesa non ha altro modo di essere nella societaÁ: la sua ambizione eÁ di servire, a partire dagli ultimi. Perche questo desiderio rimanga sempre nella sua incandescenza, occorre mettersi alla scuola dei poveri, dei piuÁ poveri, stare con loro, condividere il piuÁ possibile con loro». Come farsi prossimo sull'esempio del buon Samaritano: EÁ possibile? EÁ facile? CosõÁ risponde, il Card. Martini, nella lettera pastorale «Farsi prossimo»: «Nella societaÁ attuale, amare con paziente concretezza il fratello povero, bisognoso, oppresso significa ``Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno se non quello di un amore vicendevole; perche chi ama il suo simile ha adempiuto la legge'' (Rm 13,8). Ogni uomo che ci eÁ vicino (prossimo) ci eÁ creditore, nel senso che ha diritto, lo vogliamo o no, alla nostra attenzione e alla nostra disponibilitaÁ. 28 P A S T O R A L E DIALOGO PASTORALE Suor Adriana Nardin In questo articolo viene descritto l'incontro avvenuto in un ospedale milanese con una signora di 32 anni, nubile, madre di una bambina malata di leucodistrofia, dipendente da un respiratore automatico. L'incontro ha avuto luogo durante l'ennesimo ricovero della figlia ed eÁ durato circa una ventina di minuti. Piano pastorale Come ogni mattina, anche in questo giorno, durante il tragitto in metropolitana, rivedo nella mente tutti coloro che ho lasciato, la sera precedente, nei vari reparti di degenza dell'ospedale dove svolgo il mio servizio, cercando di programmare la giornata e il giro visita, consapevole sempre delle inevitabili sorprese e dei `fuori programma'. Naturalmente il pensiero corre alle persone degenti, grandi e piccole, in gravi condizioni, in particolare ad Ines, affetta da una grave forma di leucodistrofia e da circa venti giorni ricoverata in neuro-rianimazione, intubata e collegata al respiratore meccanico. Ilaria ha quasi sei anni e, causa la sua grave malattia e l'inesorabile decorso negativo, eÁ pure portatrice di gravi malformazioni fisiche. L'esile suo corpicino, per la conformazione, mi rammenta un uccellino: eÁ sempre distesa, non si esprime, si nutre attraverso un sondino nasogastrico, solitamente fatica a respirare e va soggetta ad apnee che, se prolungate, le provocano arresti respiratori. Assume terapia neurologica e va sog- getta a clonie che le provocano forti dolori, per questo, a volte, per riposare, necessita di una leggera sedazione. Ilaria ha due occhi grandi ed espressivi che seguono chi, e tutto quello che la circonda. Conosco Ines e sua mamma Marisa da molto tempo, proprio per i continui ricoveri. Nonostante le condizioni precarie di Ines, appena possibile, Marisa ha sempre riportato a casa sua figlia gestendo personalmente tutte le pratiche infermieristiche e terapeutiche necessarie. Data l'estrema gravitaÁ delle condizioni di Ines, in occasione di questo ultimo ricovero, Marisa si eÁ trovata davanti alla reale possibilitaÁ di morte della figlia. Questa consapevolezza l'ha resa piuÁ vulnerabile, ma allo stesso tempo ferma nel proposito di fare il possibile perche la bimba torni ancora a casa. Pensando a Marisa e ad Ines ho cercato di prepararmi mentalmente all'incontro con la mamma, certa che mi avrebbe posto interrogativi di tipo etico±morale, dato che nei nostri ultimi dialoghi sono sempre `comparsi'. Il mio obiettivo, nei suoi confronti, eÁ quello di aiutarla ad accogliere la possibilitaÁ di non portare a casa Ilaria Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 PASTORALE nelle condizioni che lei vuole e a qualunque costo. M2 Adesso vado su (sospira) provano a stubarla (le lacrime cominciano a rigarle il volto). A3 Dai ... vieni un po' con me (La prendo sottobraccio e mi incammino verso la porta dell'ufficio, lei mi segue docile, sempre piangendo silenziosamente. Entriamo e, mentre io appoggio la borsa e mi tolgo la giacca, lei si siede stancamente sulla poltrona, poi mi siedo di fronte a lei). M3 Anche se so che giungeraÁ il momento in cui la mia bambina arriveraÁ al capolinea, non sono, e non saroÁ mai pronta ad affrontarlo... SõÁ... perche ho paura, suora mia... Tanta paura... A4 Hai paura... lo sento... M4 Ho paura che senza tubo non ce la faccia e che abbia ancora bisogno della macchina per respirare. (Conoscendola percepisco che la sua paura va oltre, peroÁ desidero che sia lei ad esprimere tutti i suoi timori. Le accarezzo le mani e le passo dei fazzoletti di carta, perche le lacrime continuano a scorrere copiose sul suo viso). M5 Non voglio che la mia bambina soffra... non voglio che viva attaccata ad una macchina. Desidero che la mia bambina sia cosõÁ come eÁ, e quando deve arrivare il momento della morte (sospira) non deve avere tutti quei fili e quei tubi...Non voglio. Sono molto combattuta. Ha giaÁ sofferto tanto e non voglio che soffra ancora e inutilmente. Ho chiesto al Signore che, se me la deve lasciare... me la deve lasciare come prima di questo epi- Osservazioni: Il colloquio che mi accingo a scrivere eÁ uno degli ultimi ed eÁ avvenuto nel mio ufficio, in dialetto veneto (i vocaboli in italiano non sempre esprimono il vero senso e significato di cioÁ che eÁ stato detto). Il mattino del 30 ottobre 2006 sono circa le ore nove quando entro in ospedale: come di consueto sosto in portineria per salutare il personale addetto e poi mi avvio verso le scale per raggiungere la Cappella e il mio ufficio che si trova all'interno. Appena varco la soglia della Cappella noto la figura di Marisa inginocchiata su un banco. Subito penso che in questi giorni eÁ invecchiata assai: spalle curve, capelli crespi e arruffati, lineamenti del viso tirati, borsa buttata sulla spalla, pantaloni e camicia sgualciti ... Colloquio Mi avvicino a lei e le poso la mano sulla spalla, iniziando cosõÁ il colloquio. (A=Adriana, M=Marisa) A1 Buon giorno Marisa...come va? (mi guarda e appare evidente che ha pianto). M1 Ciao suora mia (accenna un sorriso), cosõÁ...cosõÁ... A2 La tua bambina... (Marisa chiama sempre cosõÁ sua figlia). 30 DIALOGO PASTORALE (A. Nardin) A5 M6 A6 M7 A7 M8 sodio. Non sopporto l'idea che muoia qui in ospedale, con tutte quelle cose addosso. Mi vuoi dire che desideri portare a casa la tua bambina quando arriva il momento della morte, perche sia con te, con la nonna, nel suo letto, con i suoi giochi... Esatto...ma sono cosciente che puoÁ essere diversamente. Vorrei tanto che il Signore Dio mi ascoltasse... ma se vuole che la mia bambina muoia in ospedale, almeno che non sia attaccata a quella macchina, con tutti che vogliono fare di tutto, anche quello che eÁ inutile, che non si puoÁ... (Silenzio... Per un momento non so cosa dire e non so se eÁ bene riprendere il tema della sua richiesta al Signore, oppure la preoccupazione espressa dopo). (pensosa) Che eÁ inutile... che non si puoÁ... Vedi ho avuto l'impressione che si voglia tentare di tutto per far vivere la mia bambina. Ma come? (quasi lo grida e tira su con il naso). Hai questa impressione... (interrompendomi e con foga) SõÁ... ieri la dottoressa C., che proprio non posso vedere (lo dice con rabbia e per un attimo non ci sono lacrime), parlandomi eÁ uscita con questa frase (imita la voce ironicamente): «Tanto signora, se sua figlia vive, eÁ perche siamo noi a farla vivere...». Va bene essere realista, ma quella non sa cosa significa essere madre. Quella non ha figli vero? (segno negativo con il capo da parte mia). E glielo ho detto sai... Vedremo un domani quando ne avraÁ uno suo cosa faraÁ. Io so... so da tanto tempo che, prima o poi, con la mia bambina arriveroÁ al capolinea... che moriraÁ. Ma non cosõÁ (alza la voce), non cosõÁ (scoppia in singhiozzi e si copre il viso con le mani. Conosco la dottoressa e ho un buon rapporto con lei, percioÁ mi propongo, nel corso della giornata, di interpellarla. Intanto lascio Monica piangere e, silenziosamente, le accarezzo i capelli crespi e disordinati: noto la sua stanchezza, le spalle curve come se un peso enorme gravasse su di esse, mostra piuÁ della sua etaÁ e provo compassione per lei. Penso che ha buone capacitaÁ per esprimere il suo parere e i suoi desideri riguardo a Ilaria, percioÁ provo a proporglielo). A8 Puoi sempre esprimere il tuo parere... M9 A chi? (alza la testa e fa un gesto con la mano) Ma va! Mica ascoltano me quelli... A9 Puoi sempre provare... (mi guarda scettica) Sei una donna intelligente, pratica, che sa cosa vuole. Sei una mamma in gamba e fino ad ora hai gestito e sostenuto egregiamente una situazione non facile, complessa, a volte grave... M10GiaÁ... eÁ vero... Potrei dire al primario che, se la mia bambina ha ancora bisogno della macchina... (non riesce a continuare e piange)... Come posso vedere la mia bambina che vive attaccata a una macchina, senza guardarmi, senza conoscermi... questa non eÁ vita (parla piangendo). In questo 31 PASTORALE modo la mia bambina non eÁ una persona. E' vero, non parla, non si muove, ma anche tu vedi come mi guarda, mi riconosce e capisce quando ci sono altre persone attorno a lei. Non vedi come riconosce anche te quando la saluti e le parli e ti risponde con i suoi `rumori' e pure sorride! (questo eÁ vero). Non mi interessa se la mia bambina eÁ cosõÁ: la amo cosõÁ come eÁ, desidero che viva e che muoia cosõÁ come eÁ, e non sedata e attaccata a una macchina. La mia bambina non ha mai avuto gli atti respiratori che loro vogliono...E' sempre stato cosõÁ proprio per la sua conformazione fisica e la sua malattia. Se aspettano che raggiunga da sola gli atti respiratori normali, rimaniamo in ospedale in eterno... A10 Comprendo il tuo stato d'animo Marisa e ti sono vicina (l'accarezzo). Da tutto cioÁ che mi hai comunicato fino ad ora mi pare di aver compreso che i medici pensano di provare a staccare Ines dal respiratore per vedere se ce la fa da sola, altrimenti... M11... altrimenti la aiutano ancora... ma verraÁ il momento che non potraÁ far a meno della macchina e io non ho nessuna intenzione a rimanere in ospedale ad aspettare (si ferma, mette la testa fra le mani, sospira. Io rimango in silenzio. Lei alza la testa mentre le lacrime scorrono sul suo viso e i fazzoletti si accumulano sul ripiano del vicino tavolo). Mamma mia... prego... prego tanto il Signore che mi dia la forza per andare avanti ancora, come ho sempre fatto. Ne ho tanto bisogno. PeroÁ potrebbe lasciarmi la mia bambina, anche se eÁ cosõÁ... Ho solo lei...(il suo sguardo eÁ supplichevole. Mi alzo e l'abbraccio, il suo volto contro il mio petto, piange silenziosamente. Dopo un lungo momento di silenzio dico: A11 Monica, tutti possiamo chiedere qualunque cosa al Signore, non sempre, peroÁ, Lui ci esaudisce come desideriamo. Molto spesso lo fa in altro modo e noi non lo comprendiamo subito, ma non ci abbandona. Non ci lascia mai soli... Dio eÁ padre e ci ama di un amore unico e infinito e ci pone sempre accanto persone che ci amano e ci aiutano, magari in silenzio, senza farsi notare mai. M12Lo so suora mia, ma molte volte mi pare che tutto venga meno. A volte mi sento sicura e forte, altre mi sembra diessere un muro impenetrabile anche al buon Dio. Tante persone mi lodano, mi dicono brava, ma io compio solo il mio dovere di mamma. Anch'io mi sfogo e dico sciocchezze. (Monica ha sempre parlato con il viso contro il mio petto (lei seduta, io in piedi), poi ha alzato lo sguardo, si eÁscrollata e staccata da me. Si eÁgirata ha rovistato nella borsa appoggiata accanto a lei e ha estratto una foto di sua figlia, scattata in casa in un periodo di benessere. Me la porge e io la guardo ammirata). A12 Che bella che eÁ! (Marisa si alza, si porta dietro di me e appoggia il mento su una mia spalla. Insieme guardiamo la foto). 32 DIALOGO PASTORALE (A. Nardin) M13E' vero! Come faroÁ un domani senza di lei... A13 Un domani... e senza di lei (a bassa voce). Un domani da investire diversamente. M14Ci devo pensare, ma ora non ne ho il coraggio... cioeÁ non lo voglio (si stacca da me). Ora devo andare dalla mia bambina. Ciao ci vediamo dopo. A14 Va bene. Ciao e... grazie. (Marisa eÁ uscita dallo studio piuÁ diritta e apparentemente piuÁ sollevata. Alcune ore dopo sono andata in neuro-rianimazione e ho trovato Marisa molto piuÁ serena. Compatibilmente con i suoi problemi Ines cercava di respirare da sola e lei aveva avuto il coraggio di esporre il suo parere e i suoi desideri al primario. Il suo sguardo era luminoso mentre mi comunicava che se la sua bambina riusciva a rimanere quarantotto ore senza l'ausilio del respiratore, poteva portarla a casa). anche ammirazione e rispetto. La sua storia eÁ una delle piuÁ `dure' che io abbia ascoltato fino ad ora e molte volte ho provato rabbia nei confronti della persona che l'ha abbandonata, lasciandola sola con una situazione simile. Ascoltando Marisa spesso mi sono commossa anch'io e penso che, da ambo le parti, nessuna reazione sia stata esagerata. Marisa, nei nostri incontri mi ha raccontato molte cose di seÂ, della sua famiglia, della sua bambina. Quando sei anni fa ha scoperto di essere incinta, il suo convivente l'ha messa di fronte ad una scelta: o lui o il bambino. Dopo inutili tentativi e chiarimenti, senza troppe esitazioni, Marisa ha scelto per il figlio che portava in grembo, intraprendendo un cammino non facile, di sofferenze varie, a volte gratuite, ma anche di maturazione e di liberazione, assumendosi tutte le responsabilitaÁ inerenti alla scelta fatta, senza colpevolizzare nessuno. La stanchezza e lo stress accumulati in questi giorni hanno reso Marisa vulnerabile e facile al pianto, e a controllare meno facilmente i propri sentimenti ed emozioni, come ha sempre fatto. Probabilmente eÁ pure stanca di combattere e da sola. Da lei non ho mai sentito una parola cattiva nei confronti del padre di Ines, non ho mai percepito pentimento o un lamento per la scelta fatta e per le inevitabili conseguenze, ma neppure per la stanchezza e la fatica che comporta l'assistenza a sua figlia. Marisa vive con la mamma (che lavora) e la nonna materna: ama precisare che, con Ines, formano una famiglia Analisi La situazione che emerge dal colloquio eÁ abbastanza grave e anche complessa, sia per le condizioni fisiche di Ines, sia per la grande sofferenza di Marisa. Ella ha paura di affrontare una nuova realtaÁ e di non essere in grado di gestirla. Inoltre ha sempre pensato di dare la possibilitaÁ a sua figlia di morire a casa, nel suo ambiente e ora la sente lontana, quasi irrangiungibile. PiuÁ volte, nel corso dei nostri dialoghi, ma in particolare in questo, ho provato compassione per Marisa, ma 33 PASTORALE secondo il mio modo di pensare o di agire. Inoltre Marisa ha forte dentro di se il valore e il rispetto per la vita e l'accoglie cosõÁ come eÁ perche eÁ dono di Dio. Non so se ne sia cosciente, ma sicuramente questo traspare da ogni suo gesto, sguardo, azione. Conosco Marisa da troppo tempo, percioÁ, rivedendo questo incontro, ho la sensazione di aver rivestito, con lei, il ruolo di amica piuÁ che di pastore, anche se mi sento a mio agio in tale ruolo. Marisa con me eÁ sempre stata aperta, confidenziale, fiduciosa, ma anche rispettosa del mio essere suora e del ruolo che rivesto all'interno dell'ospedale. Mi cerca quando arriva in ospedale e, quando eÁ a casa mi telefona o mi scrive. Sento e percepisco, peroÁ, che la nostra relazione, molto semplice, eÁ costruttiva e improntata sulla relazione di aiuto: penso di averla aiutata e di aiutarla ancora, soprattutto attraverso l'ascolto delle sue emozioni, sentimenti, interrogativi, ecc. Per un prossimo incontro, date le condizioni di Ilaria che, peggiorano inesorabilmente, penso di affrontare insieme l'eventuale perdita di Ilaria o, quanto meno la possibilitaÁ di una respirazione tramite tracheotomia con l'ausilio di un respiratore meccanico domiciliare e quindi l'accoglienza di questa nuova realtaÁ. di donne, che si aiutano e si sostengono a vicenda. Ha anche due fratelli sposati che le vogliono bene e che sono presenti, non solo affettivamente, ma anche concretamente nelle varie necessitaÁ. Marisa non lavora, eÁ sempre con Ines e espleta, in casa, tutte le cure necessarie e le pratiche infermieristiche. Parla molto con la bimba e, a volte, la sgrida pure: la piccola, a modo suo, comprende. Nonostante i continui ricoveri, appena possibile Marisa ha sempre portato a casa la sua bambina. Marisa eÁ cristiana cattolica e credente e prega molto: eÁ cresciuta e vive in una famiglia dove si prega con le preghiere tradizionali al mattino e alla sera, inoltre nel tardo pomeriggio, con la nonna recita sempre il Rosario. Ha pure un modo tutto personale per pregare, per interpellare Dio. Nelle occasioni in cui ho avuto la possibilitaÁ di pregare con lei in modo spontaneo, ho sentito la preghiera del cuore, la preghiera che esprime i sentimenti e le emozioni di quel momento: per me sono momenti forti e importanti, nei quali imparo molto. Spesso la persona di Marisa, nella sua disponibilitaÁ, accoglienza, dedizione e nel suo dolore, mi richiama la figura di Maria che ha sempre accolto, servito e sofferto nel silenzio. Richiamo molto importante per me, propensa a brontolare quando le cose non vanno 34 LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO Domenico Casera Prendo lo spunto per questa conversazione da un biglietto pasquale ricevuto da una mia alunna al Camillianum1, membro della eÂquipe multidisciplinare (sacerdoti cattolici, pastori protestanti, laici) del servizio pastorale al Poliklinikum di Norimberga.2 Il biglietto riproduce uno smalto di Egino Weinest dal titolo, che puoÁ sembrare un po' strano, di Cristo farmacologo. La farmacia eÁ una rivendita accogliente dei prodotti delle case farmaceutiche, che oggi sono infinite. Quella riprodotta nello smalto eÁ propriamente la bottega dello speziale, dove l'esperto manipolatore di erbe medicinali, aromi, e droghe, creava le cosiddette medicine galeniche, atte a contrariare e guarire i malanni degli uomini. Ne ho presente una di queste spezierie, all'ospedale di Santo Spirito in Roma, una graziosa saletta cinquecentesca, restaurata e riportata alle linee e decorazioni originali. Negli scaffali e armadi alle pareti fanno bella mostra vasi fittili di varia grandezza, anfore e maioliche pregiate. Vien quasi fatto di pensare che Weinest si sia ispirato a quella «spezieria» per la raffigurazione del Cristo farmacologo.3 Il titolo eÁ da prendersi in senso analogico naturalmente, percheÁ Cri- sto non offre prodotti farmaceutici in senso stretto, siano essi galenici o immessi nel mercato dall'industria. Le sue sono medicine spirituali intese a dare il tono giusto al nostro mondo interiore e sostenere una vita cristiana vigorosa. Ci identificheremo dunque ai tre clienti raffigurati nello smalto, la donna col bambino, l'uomo e la donna con una ricetta in mano ed esporremo al Cristo, accogliente e benevolo, il nostro bisogno di chiarimento e di illuminazione. Con discrezione e semplicitaÁ senza presunzione alcuna, mi porroÁ come interprete delle sue risposte, come intermediario dei suoi farmaci sananti. 1. «Donna Pasquale» Cosa significa? chiede non senza disagio una giovane donna, che continua: «Recentemente un sacerdote amico, vedendomi piuttosto abbattuta ± mi succede spesso ± mi raccomandoÁ di smetterla di rosolarmi nelle mie tristezze ed educarmi invece ad essere «donna pasquale». Io non capivo e mi misi a piangere. Cosa significa essere «donna pasquale?» Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 PASTORALE R. Apriamo il vangelo di Giovanni, c. 20. Maria Maddalena va al sepolcro ch'era ancora notte, per rendere alla salma di GesuÁ quegli onori funebri che non s'erano portati a termine il venerdõÁ precedente per la gran fretta. Trova il sepolcro vuoto e corre ad avvertire gli apostoli. Pietro e Giovanni si affrettano sul luogo a verificare. Non riescono a capacitarsi cosa possa essere succeduto e tornano a casa. Maria rimane, a piangere. Per quattro volte, nel brano, si fa riferimento alle sue lacrime. Non si lasciava consolare, povera donna disperata per questo nuovo, inspiegabile insulto a GesuÁ. In questo stato di profondo scoramento si volge verso il giardino e, vedendo un uomo ch'essa prende per il custode delle tombe, gli dice: «Sei stato tu a rimuoverlo! Dimmi dove l'hai messo!» L'uomo la chiama per nome: «Maria»: Era GesuÁ, il Risorto. Maria le si butta ai piedi in adorazione profondissima. Colpisce che la prima apparizione di GesuÁ Risorto sia stata riservata ad una donna dal passato movimentato, guarita da una gravissima forma di depressione. GesuÁ voleva premiarla percheÁ, fin dall'inizio della sua vita pubblica, con altre pie donne beneficate, s'era messa al suo seguito «assistendolo con i suoi beni», animatrice e antesignana del generoso servizio femminile su base volontaria, che poi ha onorato la chiesa nel corso dei secoli (Lc 8,1-3), e premiarla anche percheÁ gli era stata vicina sotto la croce a provvido sostegno di sua madre (Mc 15, 40; Gv 19,29)4 La Risurrezione, il dono dei doni che GesuÁ ci ha portato Dopo il racconto di questa apparizione, nei vangeli non si parla piuÁ della Maddalena. Ne sappiamo peroÁ a sufficienza per vedere in lei l'apostola della risurrezione e il modello del discepolato apostolico delle donne con funzioni non secondarie nelle giovani comunitaÁ. La risurrezione eÁ il dono dei doni che GesuÁ ci ha fatto, che ci gratifica e ci espande giaÁ in questa vita e daÁ ad essa la connotazione ineffabile della gioia e della solaritaÁ, fa di noi «uomini e donne pasquali». Il clima immesso nella nostra vita dalla Pasqua eÁ disteso, areato, dilata, rinfresca, diffonde sentimenti di buon vicinato e di armonia. E poi non si conclude con la vita terrena, ma la trascende, nella partecipazione alla vita gloriosa del Risorto. La nostra storia personale non finisce nel nulla, ma si innesta nell'eternitaÁ al seguito di Cristo, che ci ha indicato la strada da seguire. La sua parola eÁ veritaÁ affidabile e sicura da accogliere con gratitudine e fede: ci rivela il significato della vita attraverso la strada dell'amore, che confluisce nell'aldilaÁ della risurrezione. La «veritaÁ» ci fa servi schietti, spontanei, autentici ± nel nostro rapporto con Dio e, di conseguenza, con i fratelli. Per questo la nostra vita si caratterizza per la gioia della Pasqua, la nota piuÁ alta del nostro spirito, la misura della nostra maturitaÁ rivestita, compenetrata dalla luminositaÁ del Cristo Risorto. Il primo discorso di Pietro il giorno della Pentecoste eÁ un inno a Cri36 LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera) sto vittorioso, modulato con le parole di Davide riconoscente a Dio dopo lunghi anni di lotte tribali, divenuto alla fine capo riconosciuto dei regni di Giuda e di Israele unificati: le altre attitudini raccomanda la piacevolezza, o giovialitaÁ, o buona grazia, il contrario della scontrositaÁ o pedanteria, e noi potremo aggiungere fotografando atteggiamenti frequenti, il silenzio affettivo, un rapporto senz'anima. E insisteva: «Nessuno si presenti al malato con la fronte triste o tesa». Questa stessa annotazione l'ho trovata recentemente in una biografia di Madre Teresa tratta dai processi canonici per la canonizzazione. «Se qualche volta una sorella si alzava al mattino senza un'espressione gioiosa sul viso, Madre Teresa le diceva di tornare a letto e di dormire un altro poco fino a quando si fosse sentita un poco meglio. Spiegava sorridendo: «Non possiamo andare in giro con lo sguardo accigliato. I poveri hanno giaÁ per conto loro abbastanza miseria da non dover essere costretti a sopportare la nostra».5 «Sono fissi nel Signore gli occhi miei per sempre, con lui a fianco, incertezza non scuote. Gioiscono cuore e sensi per questo e tripudiano, tutto il mio cuore riposa al sicuro. Non eÁ da te abbandonare una vita agli inferi, lasciare che la fossa inghiotta un fedele. Tu la via alla vita mi insegni. Quale gioia vedere il tuo volto, quale gioia lo starti vicino! (Sal 16,8-11, traduzione Turoldo-Ravasi) Il dono della vittoria sulla morte ci eÁ stato offerto da GesuÁ nel giardino davanti alla sua tomba vuota. E' quello il luogo di nascita della nuova umanitaÁ redenta e risorta. A partire dal mattino di quella domenica benedetta, la nostra storia eÁ segnata dalla gioia. La grazia della gioia rende effusiva la mia persona, che si apre alla virtuÁ dell'amore e si avvia al servizio degli altri anche attraverso i sentieri del volontariato. Lo spirito si fa agile, diventa maturo e benefico, si raffina negli esercizi dell'amore, si lascia accompagnare da Dio nei luoghi della miseria e si prepara all'incontro ultimo e definitivo col Cristo Risorto. Un ricordo d'infanzia La centralitaÁ della festa di Pasqua con le sue ricadute sulla religiositaÁ della gente eÁ messa in luce da una antichissima tradizione liturgica delle valli dolomitiche dove sono nato. E' un ricordo della mia infanzia che vi trasmetto con semplicitaÁ. Ritorniamo indietro, ai tardi anni venti. Abitavamo a quindici chilometri di strada ferrata dalla cittaÁ ± capoluogo, Bolzano. Allora la veglia pasquale si celebrava il sabato santo, al mattino. Mio padre mi prendeva con se per andare a Bolzano, in duomo. La «veglia» trovava largo riscontro di devozione e di fede. Il rito si svolgeva con impecca- S. Camillo e Madre Teresa si accordano S. Camillo, nelle sue Regole per servire con perfezione gli infermi, tra 37 PASTORALE bile solennitaÁ. Mi ricordo piccolo piccolo (dieci anni), nella prima fila della corsia di centro, in piedi. Ero piazzato bene per osservare e cercar di capire. A un certo punto (ricostruisco con le conoscenze di oggi) il celebrante intona il Gloria. Tutta la chiesa si illuminava, l'organo suonava a distesa, i chierichetti agitavano a due mani campanelli, crotoli e nacchere di proprietaÁ della chiesa. In mezzo a quel tripudio di luci e di suoni, una sorpresa attira la mia attenzione: sul retro dell'altare maggiore c'eÁ qualcosa che si muove. Tramite un marchingegno artigianale che fa parte dei sussidi liturgici della chiesa, si alza lentamente una bella statua lignea del Cristo Risorto, con lo stendardo della vittoria in mano. E non finisce lõÁ. Anche le campane del duomo suonano a distesa e i loro rintocchi si diffondono a onde concentriche per largo raggio. Come le onde di uno stagno provocate da un sasso tirato a livello delle acque. Quei rintocchi arrivano agli altri campanili della cittaÁ, e subito anche loro si uniscono alla gioia comune perche il Cristo eÁ risuscitato. Da loro il suono festoso arriva fino ai campanili delle vallate, anche a distanze considerevoli dal capoluogo, fino ai villaggi piuÁ lontani, sperduti sui pendii e sulle cime. In brevissimo spazio di tempo eÁ un inno corale al Risorto che si eleva da tutta la diocesi. Mi chiedo come mai mio papaÁ, che non era uomo di cultura (era cantoniere sulla ferrovia del Brennero), ci tenesse a ritagliarsi quella giornata libera e a condurmi con se a Bolzano. La sua religiositaÁ aveva l'intonazione giusta, che del resto gli era stata trasmessa dall'insegnamento del Catechismo a scuola e da una tradizione cattolica che, a quanto mi risulta, dura tutt'ora. 2. La ricetta della dolcezza Sono una donna piuttosto spigolosa, suscettibile. Anche autoritaria, intransigente. Sento che non dovrei. Offro delle buone soluzioni, almeno cosõÁ mi pare. Non vedo frutti. Cosa mi suggerisce perche la mia relazione sia piuÁ controllata, piuÁ rispettosa della persona, piuÁ umana? E piuÁ fruttifera? R. PiuÁ mite e umile, direbbe il Signore! (Cfr. Mt 11,29). Ma procediamo con ordine. Le melarance di Santa Caterina Erano tempi orribili quelli della chiesa nel 1300. Caterina da Siena (1347-1380), dotata di doni mistici non rari in quell'epoca, s'impegna in tutti i modi per il ritorno del papa Gregorio XI da Avignone, dove la sede apostolica aveva traslocato da settant'anni, a Roma. Gli scrive piuÁ volte lettere appassionate ed energiche, va ad Avignone di persona. Ebbe, alla fine, partita vinta (17 gennaio 1377). Dopo la morte di Gregorio XI, il successore Urbano VI, che sentiva il bisogno del suo consiglio e delle sue preghiere, la volle a Roma. Per il Natale 1378, Caterina fece al papa un regalo, modestissimo, ma molto simbolico. Gli mandoÁ cinque melarance conservate nel miele, da lei 38 LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera) stessa preparate in un cestello di vimini. E le accompagnoÁ con una lettera di spiegazione, nella quale, alludendo alla terribile prova che stava attraversando il papa (un gruppo di cardinali aveva nominato un antipapa, iniziando uno scisma che duroÁ 37 anni), gli diceva che anche le melarance hanno di per se sapore amaro e piccante, ma, con qualche amorevole accorgimento, per esempio cospargendole di miele e lasciandole per qualche tempo depositate, in modo che il miele penetri a poco a poco nella melarancia, ``la si puoÁ addolcire quanto si vuole''. «Dilettiamoci di questa dolce amaritudine, dopo la quale seguita conforto di molta dolcezza. Confortatevi, dolcissimo padre, con vera umiltaÁ, senza alcun timore: che per Cristo Crocifisso ogni cosa potrete...».6 Quasi per distrarre il pontefice dalle perfidie della sua curia e dall'angoscia che la situazione gli creava Caterina gli raccomanda di ``vivere la vita secondo caritaÁ'', e di essere, con luciditaÁ e con ``dolcezza'', vicino agli enormi bisogni sociali della sua Chiesa. E' sulla piattaforma dell'amore, militando in essa con prioritaÁ, che saranno sconfitte le forze del male. Il papa doveva trasfondere, nella parte piuÁ sana e consapevole della Chiesa, l'ampio respiro dell'amore. L'amore eÁ in fondo il riverbero della misericordia di Dio nella rete dei rapporti tra gli uomini. Il programma paolino di non rendere male per male, ma di compiere il bene davanti a tutti (Rm 12,17) doveva realizzarsi nell'apertura generosa e responsabile ai bisogni sociali di Roma. Questo leitmotiv, ricorrente dell'opera di pacificazione di Caterina nelle cittaÁ turbolente del suo tempo, trova accenti ispirati anche sul letto di morte, nell'esortazione all'amore, al volersi bene, al comprendersi, all'``amatevi scambievolmente; figlioli miei carissimi, amatevi''.7 I tuoi testi, Signore, sono miele che stilla... La metafora del miele, per indicare la dolcezza che deve accompagnare il rapporto di aiuto, eÁ riportata in vari passaggi della Sacra Scrittura. Il profeta Ezechiele, che ormai da cinque anni condivideva con i suoi connazionali l'esilio a Babilonia, vede una mano tesa verso di lui, che teneva un rotolo in mano e gli dice: ``Riempi il tuo stomaco con questa pergamena''. Egli esegue: era dolce come il miele. (Ez 3,1-3), aveva il sapore della dolcezza del miele, si trattava delle parole di Dio ch'egli doveva annunciare. L'immagine eÁ ripresa anche dall'Apocalisse: ``presi il libro e lo divorai, in bocca lo sentii dolce come il miele'' (10,10). La parola di Dio eÁ dolce al palato e letizia per il cuore, ``eÁ la sola mia delizia'' (Sal 119,111). ``Quanto sono dolci i tuoi testi al palato, miele che stilla mi sono alla bocca'' (Sal 119, 103). Traduciamo per noi: offrire con buona grazia quei gesti d'aiuto che le situazioni ci richiedono, oltre che gradito e utile al prossimo, rende serena e ``consolata'' la nostra anima. 39 PASTORALE L'acqua viva e il pozzo del Piccolo Principe belle e sante che derivano dalla ``fonte d'acqua viva'' alimentata e tenuta efficiente in noi dal Signore. Il pozzo della samaritana mi richiama quello, pur bello, ma di fantasia, del ``piccolo Principe'' di Antoine de Saint ExupeÂry. L'autore eÁ pilota di professione. Costretto ad atterrare nel deserto del Sahara perche qualcosa si era rotta nel motore, tenta di ripararla, inutilmente. Aveva acqua da bere solo per una settimana ed eÁ preso dal panico. All'improvviso, si vede davanti un bambino di sei anni, arrivato lõÁ in seguito ad una migrazione di uccelli selvatici. L'aviatore eÁ un tecnico esperto, ha una cultura alta, vuol sapere chi eÁ quel frugolo vivace. Ma quel folletto elude le domande, ne pone di sue piuÁ semplici, e fa delle affermazioni che al maturo pilota sembrano infantili, ma poi si rivelano piene di saggezza. Comincia a farsi strada l'idea che quel pupo era lui stesso quando aveva quell'etaÁ, e poi, affermandosi nella vita l'aveva tacitato e schiacciato sotto il peso della cultura adulta. CosõÁ discorrono tra loro facendo un giretto (viva la fantasia!) per gli asteroidi. Incontrano cose semplici, una rosa, una pecora, un annaffiatoio, un albero gigantesco, anche una volpe, ne parlano tra loro, il pilota col linguaggio surreale della sua scienza, il bambino con quello piuÁ concreto della sua spontaneitaÁ. Ed eÁ lui che fa lezione. Arrivano ad un pozzo, sperduto in mezzo al deserto. ``Il piccolo principe'' si accosta, vede che tutto eÁ pronto, la carrucola, il secchio, la corda; stacca la corda, mette in moto la car- La dolcezza e i termini affini di cui eÁ ricco il dizionario italiano, tutti molto belli e intercambiabili, come mitezza, bontaÁ, gentilezza, elevatezza d'animo, clemenza, sono attributi di Dio, misericordioso e sollecito verso gli uomini, come la tradizione biblica del Primo Testamento e piuÁ ancora il Secondo incontrovertibilmente ci dicono. Ma sono presenti anche in noi, scritti nella nostra anima. Presenti in nuce, in radice, ci dicono i teologi. Semi buoni, depositati nel nucleo di base della nostra persona pensante, percheÂ, opportunamente sviluppati e messi a frutto, assicurino alla nostra vita l'impegno di rapporti positivi con tutti, quei rapporti che ci realizzano come esseri sociali. Ci dice Martin Heidegger: l'attenzione all'altro, la premura e la cura verso di lui (sorge) e la tenerezza, il farsi vicino, il farsi carico della sua situazione, sono fenomeni costitutivi del nostro ``esserci'' (dasein) nel mondo. I teologi sono piuÁ a loro agio nel parlarci di quei ``fiumi d'acqua viva che sgorgheranno dal nostro grembo di credenti'', parole dette da GesuÁ prendendo lo spunto dal prelevamento dell'acqua alla fontana di Siloe, che, per otto giorni consecutivi, si trasportava al tempio per gli usi liturgici (cfr Gv, 7,38, alla festa delle capanne). In precedenza, nel lungo colloquio con la samaritana al pozzo, le aveva detto: ``L'acqua che io daroÁ diventeraÁ in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna'' (Gv 4,16). Intendeva con queste parole quelle germinazioni di cose 40 LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera) rucola, gli par di sentire una musica. ``Svegliamo il pozzo, egli dice, e il pozzo canta''. Issato il secchio sull'orlo, beve con gli occhi chiusi. L'acqua eÁ fresca come una festa, fa bene al cuore, eÁ un vero dono del Signore. Poi disse, seriamente: Voi, uomini della CiviltaÁ, coltivate 5000 rose in un giardino e non trovate quello che cercate. Basta una sola rosa e un po' di quest'acqua.8 Bravo, piccolo scricciolo, ci ricordi quella sorgente d'acqua viva che eÁ in noi e noi poveri adulti smemorati ricorriamo a cisterne screpolate, che non serbano acqua, ma fango (Ger 2,13). gnosi senza dar soggezione. Esempio insigne di filantropia, dice S. Gregorio di Nazianzo, che traduce quel versetto cosõÁ: imparate da me che sono mite e filantropo. E commentava: Sii tu (si rivolge a noi) Dio per lo sventurato, imitando la misericordia di Dio, cioeÁ quello che eÁ Dio per tutti gli uomini tu devi esserlo per gli sventurati, attuando per il suo bene una virtuÁ uguale a quella di Dio ti devi esercitare nelle piuÁ umili opere d'amore per il prossimo, al fine di raggiungere la piuÁ grande e perfetta filantropia. Come imitatore di Cristo tu devi essere philantropos, in quanto imitatore del philantropos per eccellenza.9 Imparate da me che sono mite e filantropo Contributo della dolcezza alla civiltaÁ dell'amore C'eÁ una formula particolare per trasformare in dolcezza il nostro carattere ruvido e farne la nota distintiva nei nostri rapporti sociali? Ci sono in noi germi cattivi, che producono frutti cattivi. Ne ha fatto l'elenco S. Paolo descrivendo tutto il negativo che si manifesta nell'uomo cui eÁ mancata una corretta preparazione alla vita. Ma ci sono anche germi buoni che, opportunamente riconosciuti e coltivati, crescono e danno alla vita un sapore di frescura e di bellezza. Si tratta di predisposizioni al retto e al giusto, che diventano attitudini. Tra queste, c'eÁ la dolcezza. Di essa eÁ inarrivabile modello GesuÁ: imparate da me, che sono mite (dolcezza e delicatezza sono segni dell'amore) e umile di cuore: umile di cuore significa che si accostava alla gente delicatamente, senza rudezze autoritarie, si mescolava con naturalezza ai biso- La dolcezza di GesuÁ ha fatto scuola. S. Paolo raccomanda al discepolo Tito di evitare le liti, di essere mansueto, ``mostrando ogni dolcezza verso tutti'' (Ti 3,1-2). S. Ignazio di Antiochia (? - 107) eÁ tradotto in catene a Roma per essere esposto alla fiere. Nella tappa della nave a Smirne, riceve la visita di Polibio, vescovo di Tralla (Cesarea), salito a bordo per confortarlo. Egli scrive alla comunitaÁ locale: ``Il comportamento del vescovo eÁ una grande lezione, la sua dolcezza una forza. Credo che anche gli altri lo stimino... Anche voi, armandovi di una dolce pazienza, ricreatevi nella caritaÁ. Amatevi l'un l'altro con cuore indiviso''.10 La dolcezza dell'azione caritativa, accompagnata a naturale delicatezza e a maniere affabili, eÁ un notevole contributo al fiorire 41 PASTORALE della civiltaÁ dell'Amore. La dolcezza eÁ garanzia di perfezione per ogni opera buona. Nessuno ce lo conferma meglio di Giovanni XXIII, che ha lasciato scritto: ``Se nel correggere o rimproverare una persona dovessi usare tanta violenza quanta ne occorre per schiacciare una mosca, io ci rinuncerei''. Per questo, fin dagli inizi della sua vita sacerdotale, nell'affrontare doveri e responsabilitaÁ sempre piuÁ onerose, prendeva a modello S. Francesco di Sales, l'uomo dell'equilibrio e della dolcezza. Dice di lui: mai una nota stonata nelle sue parole, o che andasse oltre la linea della compostezza e della bontaÁ; nelle grandi fatiche dell'azione pastorale era solito ripetere: ``Io sono come colui che canta in un bosco di spine''.11 Fin dal 1903, passava in sua compagnia il 29 gennaio, festa liturgica del Santo che egli chiamava il mio santo dolcissimo: ``Se dovessi essere come lui, non mi rifarebbe nulla anche quando mi creassero papa. Quante volte ne ho riletto la vita. Le sue sentenze mi scendono soavi al cuore, mi sento piuÁ disposto ad essere umile, dolce, tranquillo, alla luce dei suoi esempi''.12 ta al travaso della bile nel sangue, lo rende giallo in tutto il corpo, cerca un po' di sollievo all'ombra. L'uccellino lo fissa intensamente, canterellando note distensive. Lentamente, il colore giallo del malato si trasmette allo scricciolo e il malato eÁ guarito; lo scricciolo, che da grigio eÁ divenuto giallo, vola via cantando nel bosco. La metafora eÁ evidente: per aiutare il prossimo nei suoi problemi, devo attardarmi presso di lui e ascoltarlo, giocare con lui la corda della dolcezza e del cuore. ``La dolcezza di un amico rassicura l'anime'' (Pr 27,9). Quella serenitaÁ attraente che segna il volto dei nostri volontari, (``cuor contento ha il viso sereno'' Pr. 15,13), quella ``festevolezza dolce'' che eÁ la loro tessera di presentazione, eÁ un grande dono, da ricuperare quando venga disgraziatamente a mancare. Note 1 Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria, Roma. 2 Modernissimo Centro ospedaliero costruito in mezzo ai boschi in vicinanza della cittaÁ. 3 In una saletta accanto vi eÁ un vecchio marchingegno per la macerazione delle erbe, mentre una gentile decorazione pompeiana presenta le piante terapeutiche dell'orto botanico di proprietaÁ dell'ospedale. Vigeva allora il proverbio: hospitale sine erbario est veluti castrum sine armamentario, l'ospedale senza l'erbario eÁ come un campo militare senza armi. 4 Un gruppo di pie donne «lo seguiva e lo serviva», dice Mc 15,41. Vedi Le donne che GesuÁ incontroÁ di Elisabeth Moltman Wendel, Queriniana 1989; vedi la stupenda rap- Lo scricciolo della Savoia Nei miei vecchi appunti trovo trascritto questo delizioso racconto di S. Francesco di Sales: c'eÁ in Savoia un uccellino curioso che ha queste particolaritaÁ: eÁ grigio all'origine, e modesto, un passerotto, uno scricciolo, non ha importanza. Vede sotto l'albero un pover'uomo che, colpito da itterizia, una malattia grave, che, dovu42 LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera) presentazione della Maddalena che `sostiene' anche fisicamente la Madonna nella grande tavola della Crocifissione del beato Angelico in San Marco a Firenze. 5 S. GAETA, Il segreto di Madre Teresa: Il diario e le lettere inedite dei colloqui con GesuÁ riportati alla luce dal processo di beatificazione, Piemme, 222, pp. 66-67. 6 E. GRANZOTTO, Caterina da Siena, umile e sapiente vergine domestica, San Paolo 2003, p. 152. 7 Ib., p. 179. Santa Caterina da Siena eÁ la prima donna proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970. Secondo Sofia Boesch, fu un segno di apertura di una nuova stagione nella storia della Chiesa. E. Granzotto la definisce la teologa dell'amore (pp. 163-169). 8 A. de SAINT-EXUPEÂRY, Il Piccolo Principe, con illustrazione dell'autore, Tascabili Bompiani, 2000. 9 C. MORESCHINI, I Padri cappadoci, citato nella voce `curare' del Dizionario di teologia pastorale sanitaria, Camilliane, 1997. La riflessione sul Cristo filantropo era corrente nel terzo secolo. San Giovanni Crisostomo (345-903) l'ha introdotta nel suo canone (anche noi, sovrano filantropo, diciamo: santo sei e santissimo); e cosõÁ S. Basilio (330-379) nella sua anafora (preghiamo e invochiamo te, filantropo buono, Signore!) S. Cirillo di Gerusalemme (? 387) cosõÁ commenta l'anafora della tradizione apostolica in In alto i cuori ``Bisogna tener alto i cuori verso Dio e non in basso alla terra e agli affari terreni. Con forza il sacerdote ingiunge di metter via tutte le preoccupazioni della vita, le sollecitudini domestiche, e di tenere in cielo il cuore verso il Dio filantropo''. In un formulario di assoluzione di S. Basilio troviamo: «Fa che siano tutti sciolti e liberati per mezzo dello Spirito tuo santissimo, buono e filantropo....» e piuÁ sotto: «Perdona, rimetti e condona a noi, quale Dio buono e filantropo» (Vedi Cesare Giraudo, In unum corpus trattato mistagogico sull'Eucarestia, San Paolo 2001). 10 S. Ignazio di Antiochia, a cura di CarloCapitani, Mimep-Docete, 1996. 11 Giornale dell'anima, San Paolo, 2000, p. 118. 12 Ib., p. 311. ``Le esperienze sane e salutari di cui GesuÁ eÁ sorgente e che preparano l'accoglienza della salvezza, sono molteplici...: dona consistenza alla vita e la centra, dinamizza l'esistenza potenziando il meglio di ognuno, restituisce la dignitaÁ persa, aiuta ognuno a vivere con il proprio corpo e ad esserne signori, lotta contro i comportamenti patologici di matrice religiosa, sana i rapporti interpersonali cercando di creare una convivenza piuÁ solidale e fraterna, offre una visione positiva della vita e indica, nella solidarietaÁ e nell'amore, la via per la pienezza umana''. 43 COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER Angelo Brusco «CioÁ che in noi eÁ ferito, chiede aiuto alle piuÁ minute cose della terra, e lo trova»1 Introduzione Mentre raccoglievo gli appunti per questa relazione mi eÁ venuta tra le mani una breve poesia di Antonio Machado che mi sembra possa servire da introduzione alla mia riflessione. Sul vecchio olmo, spaccato dal fulmine e a metaÁ ammuffito, con le piogge di aprile e il sole di maggio sono spuntate alcune foglie verdi. Un muschio giallo sbiadito macchia la corteccia biancastra del tronco consunto e polveroso (...). O olmo, prima che il fiume verso il mare ti spinga per valli e dirupi voglio annotare la grazia del tuo ramoscello rinverdito. Anche il mio cuore spera, proteso verso la luce e verso la vita, un altro miracolo della primavera. Il morbo di Alzheimer causa nella persona che ne eÁ colpita gli effetti che il tempo e le intemperie hanno causato al vecchio olmo, di cui parla la poesia citata. In questo inesorabile cammino che porta al degrado fisico e psichico del- la persona eÁ possibile mantenere nel malato la capacitaÁ di far emergere barlumi di luce e di vita, che rammentino a chi lo accompagna e lo cura la sua dignitaÁ di essere umano? Che cosa eÁ la demenza? Prima di rispondere a questo interrogativo possono essere di utilitaÁ alcune nozioni sulla demenza di cui l'Alzheimer eÁ una delle principali cause. La demenza rappresenta l'esito di una malattia ad andamento progressivo. Quando a una persona viene diagnosticata dal proprio medico una demenza, Alzheimer o malattie ad essa correlate, cioÁ avviene perche quella persona presenta chiari segni di compromissione della memoria, del pensiero e del comportamento. I primi segni di malattia che la famiglia puoÁ notare sono rappresentati da difficoltaÁ nella capacitaÁ di ricordare eventi recenti e nello svolgimento di compiti quotidiani routinari e consueti. La persona in questione puoÁ anche manifestare confusione, modi- Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco) graduale e insidioso, e il declino della persona eÁ generalmente lento. Attualmente la causa della malattia eÁ sconosciuta, e non esiste alcuna possibilitaÁ di cura. Questa malattia ha preso il proprio nome dal dr. Alois Alzheimer, che nel 1906 descrisse i cambiamenti intervenuti nel tessuto cerebrale di una donna deceduta in seguito a una malattia mentale considerata allora insolita. Questi cambiamenti sono ora riconosciuti come le alterazioni cerebrali caratteristiche presenti nell'Alzheimer. L'Alzheimer colpisce tutti i gruppi sociali e non eÁ associata a una particolare classe sociale, al sesso, a un particolare gruppo etnico, o a una specifica localizzazione geografica. Inoltre, sebbene l'Alzheimer sia piuÁ comune tra gli anziani, anche persone piuÁ giovani possono essere colpite da questa malattia. L'Alzheimer colpisce ciascuna persona in modo differente. Il suo impatto dipende in larga misura dalle caratteristiche individuali preesistenti; in particolare, dalla personalitaÁ, dalle condizioni fisiche e dallo stile di vita della persona che ne eÁ colpita. I sintomi dell'A. possono essere meglio compresi in rapporto a tre fasi del suo decorso: iniziale, intermedia e terminale. ficazioni della personalitaÁ e del comportamento, compromissione della capacitaÁ di giudizio, difficoltaÁ nel trovare le parole, nel concludere un discorso o nel seguire una precisa direzione dal punto di vista ideativo. La perdita di cellule cerebrali eÁ un processo naturale dell'invecchiamento, ma nelle malattie che conducono alla demenza si verifica a un ritmo cosõÁ veloce da impedire al cervello di funzionare normalmente. In una modesta percentuale di casi la demenza eÁ trattabile e potenzialmente reversibile, ma nella stragrande maggioranza eÁ una malattia che conduce alla morte. Gli effetti della demenza tendono ad essere meno gravi quando la malattia inizia in una fase molto avanzata della vita. La malattia di Alzheimer eÁ responsabile di oltre la metaÁ dei casi di demenza. Al secondo posto si trova la demenza vascolare, causata da una serie di piccoli ictus che riducono l'apporto di sangue al cervello. Questi ictus possono essere di entitaÁ modesta, ma il loro effetto combinato puoÁ compromettere la facoltaÁ di pensare, ragionare, ricordare e comunicare. Tra le altre possibili cause di demenza vanno ricordate: l'AIDS, la depressione, la sindrome di Down, disturbi metabolici, il morbo di Parkinson e il morbo di Pick. Fase iniziale La fase iniziale della malattia eÁ spesso sottovalutata e diagnosticata non correttamente da operatori sanitari, parenti e amici come espressione della ``vecchiaia'' o come una normale La malattia d'Alzheimer L'Alzheimer attacca le aree cerebrali che controllano l'ideazione, la memoria e il linguaggio. L'esordio eÁ 45 PASTORALE componente del processo di invecchiamento. EÁ molto difficile identificare l'esatto momento dell'inizio della malattia, poiche questo eÁ graduale. La persona puoÁ mostrare: difficoltaÁ del linguaggio; perdite significative della memoria (soprattutto quella recente); disorientamento temporale; non riconoscimento di luoghi familiari; - difficoltaÁ nel prendere decisioni; - perdita d'iniziativa e motivazione; - segni e sintomi di depressione e aggressivitaÁ; - perdita di interesse verso i propri hobby e le proprie attivitaÁ. Fase terminale Questa fase eÁ caratterizzata da una totale dipendenza del malato e dalla sua inattivitaÁ. Il disturbo della memoria eÁ molto grave e le componenti fisiche del disturbo divengono piuÁ evidenti. La persona puoÁ: - avere difficoltaÁ ad alimentarsi; - non riconoscere parenti, amici, e oggetti noti; - avere difficoltaÁ a capire o interpretare gli eventi; - essere incapace di riconoscere anche i percorsi interni alla propria abitazione; - avere difficoltaÁ a camminare; - diventare incontinente per feci e urine; - mostrare dei comportamenti inappropriati in pubblico; - essere confinato a una sedia a rotelle o a un letto. Fase intermedia Con il progredire della malattia, i problemi diventano piuÁ evidenti e stringenti. Il malato di AD presenta difficoltaÁ nella vita quotidiana e: - puoÁ dimenticare molto facilmente, in particolare eventi recenti e nomi di persone; - non eÁ piuÁ in grado di vivere da solo senza difficoltaÁ; - eÁ incapace di cucinare, pulire o fare acquisti; - puoÁ divenire estremamente dipendente; - necessita di assistenza per l'igiene personale, per lavarsi e per vestirsi; - sviluppa ulteriori difficoltaÁ del linguaggio; - mostra la tendenza a smarrirsi ed esibisce altri disturbi del comportamento; - si perde sia in famiglia sia in comunitaÁ; - puoÁ presentare allucinazioni. Non tutti i pazienti manifestano gli stessi sintomi, e questi variano da individuo a individuo. Le ``fasi'' ora citate servono come guida, nel progredire della malattia, per chi si occupa dei malati d'Alzheimer, affinche essi siano consapevoli dei problemi che possono presentarsi e per rendere possibile una pianificazione dei bisogni assistenziali futuri. Nessun paziente svilupperaÁ la malattia in maniera identica a un altro. Alcune delle manifestazioni tipiche della malattia possono apparire ad ogni stadio: per esempio, un comportamento menzionato nello stadio terminale della malattia potrebbe presentarsi anche nella fase intermedia. Inoltre eÁ bene che chi assiste il pazien46 COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco) te sappia che possono comparire, in ogni stadio, brevi periodi di luciditaÁ. Trattamento Al momento non esiste un trattamento curativo per l'Alzheimer. Tuttavia, molto puoÁ essere fatto per aiutare il malato affetto da questa patologia e per diminuire il carico di chi lo assiste. Consultare il proprio medico, l'assistente sociale o altre figure professionali sanitarie per maggiori informazioni al riguardo. Si stanno conducendo ricerche per mettere a punto farmaci in grado di ridurre i sintomi dell'Alzheimer. Coloro che assistono un malato dovrebbero ottenere informazioni al riguardo direttamente da uno specialista. Nell'attesa che la scienza trovi i rimedi necessari per debellare questa terribile malattia, si sta facendo appello a tutte le risorse possibili, da quelle tecniche a quelle comportamentali. Tra queste ultime va annoverata la comunicazione. Le cause dell'Alzheimer Attualmente la causa dell'Alzheimer eÁ sconosciuta: tuttavia, si sa che cosa non causa l'Alzheimer. L'Alzheimer non eÁ causato da: - una perdita di elasticitaÁ delle arterie; - scarsa o eccessiva attivitaÁ intellettuale; - malattie sessuali trasmissibili; - infezioni; - vecchiaia: non fa parte del normale processo di invecchiamento; - esposizione ad alluminio o altri metalli. La diagnosi Una diagnosi precoce eÁ utile al fine di consentire a chi assiste il malato di essere meglio preparato per far fronte alla malattia e di sapere che cosa lo aspetta. Una diagnosi eÁ quindi il primo passo necessario per una pianificazione del futuro. Non esiste un test che consenta di fare diagnosi dell'Alzheimer; la diagnosi viene fatta attraverso un'accurata raccolta della storia dei problemi manifestati dalla persona, basata sulle informazioni fornite dai familiari e dagli amici, insieme a un esame fisico e mentale dell'ammalato. EÁ importante escludere altre condizioni o malattie che causano perdita di memoria, come per esempio infezioni o disfunzioni tiroidee. La diagnosi di del morbo d'Alzheimer puoÁ essere confermata solo da un esame neuropatologico post mortem del cervello. L'interrogativo iniziale In questo inesorabile cammino che porta al degrado fisico e psichico eÁ possibile mantenere nel malato la capacitaÁ di far emergere barlumi di luce e di vita, che rammentino a chi lo accompagna e lo cura la sua dignitaÁ di essere umano? Comunicare con i malati di Alzheimer significa creare le condizioni che consentono di mettere qualcosa in comune. E questo anche quando la situazione in cui si trovano le vittime di questa malattia sembra eliminare tale possibilitaÁ. Non eÁ forse questa comunione che si crea tra il malato e 47 PASTORALE chi lo assiste che coopera a produrre quel passaggio dal curare al prendersi cura, giustamente considerato come uno degli assi portanti del processo di umanizzazione dell'assistenza a chi soffre? Christian Bobin, in un prezioso libriccino in cui raccoglie le riflessioni elaborate nelle visite al babbo colpito dalla malattia di Alzheimer e ricoverato in una struttura, scrive: «Due beni sono per noi preziosi come l'acqua o la luce per gli alberi: la solitudine e la comunicazione. L'inferno eÁ il luogo in cui questi due beni sono perduti. Mio padre a volte abbozza una reazione di collera sulla porte del refettorio. Rifiuta di andare avanti come se presentisse che piuÁ nulla lo separeraÁ da questa comunitaÁ morta, se non la sua propria morte. La sua collera cade quando scopre i volti di quanti condividono la sua mensa, sempre gli stessi, Li ha avuti accanto tutto il giorno e stringe loro la mano a lungo, come se li ritrovasse dopo una lunga assenza. Rispondono alla sua stretta di mano sorridendo debolmente: anche all'inferno la vita puoÁ risorgere per un istante, sopraggiunta da non si sa dove, intatta. Le basta un gesto».1 Nella stessa linea si muove la testimonianza di un sacerdote la cui mamma eÁ stata colpita da Alzheimer. Egli descrive la sofferenza nel vedere questa donna cosõÁ significativa per lui dimenticare con sempre maggior frequenza e, piano piano, farsi come assente, confondere i tempi, perdersi nello spazio,... fino a non riconoscere piuÁ ne se stessa, ne i suoi cari. Poi continua: «Con un'immagine, una donna di scienza ci spiegoÁ: il nostro cervello eÁ come un meraviglioso e luminoso lampadario, addobbato di numerose lampadine... ma, con lo spegnersi di ciascuna di esse, poco a poco, si fa sempre piuÁ buio fitto. Ma, quando tutto sembra perso, scorgi occhi ancora vispi in colei che ti ha ``portato'' e un sorriso che ti dice: ``Vieni qui, siediti giuÁ!''. CosõÁ, quando meno te l'aspetti, dopo un gesto di attenzione o, nel partire, saluti con la mano, da colei che tu per primo dovresti ringraziare, ti senti dire: ``Grazie, ciao!''... e se nemmeno questo senti, resta ancora spazio per tanti affettuosi baci. Del resto, non fa cosõÁ una mamma col proprio bimbo, ancor incapace di parlare? Se piange, con lui soffre, se ride, con lui sorride, e osserva ..., e ascolta ..., e attende ..., e ama. E se una mamma scende al piano del suo figlio-bambino, non puoÁ fare altrettanto un figlio-adulto con sua mamma?». Il linguaggio del cuore Questa testimonianza trova conferma nelle parole di un gerontologo spagnolo secondo il quale se eÁ possibile che il malato abbia perduto la testa, cioÁ non significa che abbia perduto il cuore. Il cuore si perde solo con la morte. Fino a quando il cuore pompa il sangue che ci mantiene vivi, rimarraÁ viva la nostra identitaÁ, continueremo ad essere cioÁ che siamo; accade che saranno altri, coloro che ci assistono, che ci diranno chi siamo, attraverso ogni gesto o parola rivolta al nostro cuore: piccoli gesti, espressioni di affetto, baci, cure, tenerezza... non cadono nel vuoto. Se eÁ certo 48 COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco) che essi non cadono nei neuroni del malato, essi peroÁ si depositano nel cuore del malato. Per questo non sono mai sterili, non sono mai un sovrappiuÁ. Se eÁ difficile, o impossibile, stimolare i neuroni eÁ peroÁ possibile e necessario stimolare il cuore, questa insostituibile intimitaÁ dove alloggia l'essere umano, cioÁ che lo fa essere, amare ed essere amato. Le dosi di amore che amministriamo al malato non sono mai inutili. Arrivano dove devono arrivare: al cuore dell'altro. E arrivano in tale maniera che a volte fanno reagire lievemente i suoi neuroni, e riceviamo una risposta debole, minima, quasi insignificante. Al contrario, essa eÁ significativa. Indica, infatti, che la memoria affettiva continua ad essere viva, che piccoli gesti e parole di amore ci mantengono in comunicazione con il malato, perche passano attraverso il suo cuore. Si puoÁ perdere la memoria recente o remota, si puoÁ perdere la consapevolezza spazio-temporale, possono prodursi alterazioni del linguaggio, del pensiero e della personalitaÁ. Si puoÁ arrivare ad una grave incapacitaÁ di parlare, fino al mutismo assoluto, all'impossibilitaÁ di conoscere e di agire, peroÁ non si perde la memoria del cuore,2 perche al di laÁ dell'irragionevolezza sussiste a lungo la ragione del cuore. Se una comunicazione con chi eÁ colpito dall'Alzheimer, nelle modalitaÁ indicate sopra, eÁ sempre possibile, cioÁ non significa che sia facile gestirla appropriatamente, in maniera cioeÁ che riesca di utilitaÁ al malato e a chi lo assiste. Numerosi, infatti, sono gli ostacoli che i familiari e i vari operatori possono incontrare. Innanzitutto eÁ da prendere in considerazione lo stile relazionale e comunicativo che esisteva tra il malato e il suo entourage prima dell'insorgere della malattia. Non si puoÁ pretendere che l'incapacitaÁ di comunicare correttamente durante tutta una vita si trasformi improvvisamente quando emergono i sintomi dell'infermitaÁ. Spesso, il sopravvenire del morbo puoÁ costituire un test di come si vivevano le relazioni e la comunicazione nell'ambito della famiglia, come pure dei contesti sanitari e assistenziali. Non si possono, poi, trascurare i sentimenti suscitati dalla malattia sia in chi ne eÁ vittima sia in coloro che sono chiamati a prendersene cura. L'alterazione delle capacitaÁ comunicative del malato, accompagnate da condotte inadeguate, quali irritabilitaÁ, ostilitaÁ, agitazione, movimenti incontrollati... suscita inevitabilmente nei familiari e negli operatori numerosi sentimenti ed emozioni: sorpresa, disappunto, frustrazione, paura, tristezza, rabbia, impazienza..., la cui incidenza sul rapporto interpersonale puoÁ essere piuÁ o meno grave. Michele Serra, nel suo volume «Cerimonie» descrive con stile tra il tragico e il comico, ma in maniera accurata, il comportamento di un malato di Alzheimer nella prima fase del decorso patologico. All'estraneo che accompagnava il signore colpito da questa malattia, un ambasciatore, il modo di fare ripetitivo nelle parole e nei gesti a causa della perdita della memoria dei dati recenti, suscitava 49 PASTORALE malcelata ilaritaÁ, ma diverse erano le reazioni della moglie. Dopo un'ennesima ripetizione della stessa domanda e della stretta di mano da parte del marito, la signora «con lo sguardo fisso al marciapiede comincioÁ a imprecare in tedesco, e neppure a bassa voce. Aveva stabilito che l'Alzheimer del marito era un'offesa rivolta specificamente a lei. `Muoviti, idiota' disse in chiusura del suo sordo rosario di imprecazioni».3 Come dimenticare, infine, che la malattia di un membro della famiglia puoÁ condizionare in maniera rilevante la vita di tutto il nucleo familiare, suscitare conflitti sul modo di far fronte alla condizione del malato, accendere sensi di colpevolezza, provocare giudizi pesanti sull'operare degli altri? Questi ed altri ostacoli fanno comprendere che la comunicazione con i malati di Alzheimer va appresa attraverso un processo finalizzato al raggiungimento di modi di essere e di abilitaÁ operative. Tra gli atteggiamenti o modi di essere merita di essere ricordato in primo luogo il rispetto. Il situarsi di fronte ad un malato di Alzheimer con la consapevolezza che si tratta di un essere la cui dignitaÁ non eÁ scalfita dall'infermitaÁ aiuta a differenziare i comportamenti inadeguati del malato dalla sua persona; impedisce di cadere in giudizi infondati, consente di attivare le risorse, per quanto minime esse siano, che il malato ancora possiede. Vi eÁ, poi, l'empatia, la capacitaÁ cioeÁ di comprendere cioÁ che il malato vive e di comunicargli tale comprensione. La difficoltaÁ a recepire, decodificare, ricordare correttamente quanto gli viene detto, unitamente all'incapacitaÁ crescente di esprimersi, causa nel malato una sofferenza che, spesso, si manifesta in atteggiamenti inappropriati. Entrare in contatto con tale sofferenza attraverso l'ascolto attivo e l'empatia puoÁ costituire un mezzo efficace per aiutarlo ad esprimere i propri sentimenti e per produrre una riduzione di reazioni negative. Questi atteggiamenti devono permeare il comportamento di chi assiste i malati di Alzheimer durante tutte le fasi della malattia; se ben praticate, esse costituiscono il terreno in cui si radicano le differenti modalitaÁ comunicative da adattare ai vari stadi della malattia. Le modalitaÁ comunicative da mettere in atto nella relazione con i malati di Alzheimer consistono nell'utilizzazione appropriata del linguaggio verbale e non verbale. Molto eÁ stato scritto a questo riguardo: accanto a ricerche di carattere scientifico,4 si possono trovare preziose indicazioni concrete nei vari manuali dedicati alla cura dei malati di Alzheimer.5 Tra le linee guida da seguire, alcune rivestono una particolare importanza: - Adattare i propri modi di comunicare alla capacitaÁ di comprensione del malato. CioÁ eÁ reso possibile dalla consapevolezza e accettazione che si sta parlando con una persona malata, soggetta ad un progressivo deficit cognitivo. Non eÁ realistico, e nemmeno rispettoso, pretendere dal malato 50 COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco) prestazioni comunicative che egli non eÁ in grado di dare. E' quindi importante parlare al malato con chiarezza e molto lentamente, usare parole e frasi molto brevi, semplici e concrete, comunicare un messaggio alla volta, usare frasi affermative. Essendoci nel demente uno sfasamento tra la comprensione e l'espressione, che eÁ un processo piuÁ lento, occorre ascoltare con pazienza e attentamente, andando al suo ritmo. Soprattutto bisogna evitare di sgridare il malato perche non risponde alle proprie attese, tenendo presente che il nostro linguaggio, verbale e non verbale, non veicola solo informazioni ma anche sentimenti ed emozioni. Diventa quindi importante mantenere il piuÁ possibile equilibrio e naturalezza: un atteggiamento sereno e l'incoraggiamento sono gli elementi piuÁ validi. dere il senso di semplici frasi. Ne deriva che, soprattutto nelle fasi avanzate della malattia, acquistano rilievo e importanza le modalitaÁ non verbali di comunicazione. Si tratta innanzitutto di apprendere a cogliere i messaggi che il malato trasmette attraverso il linguaggio del corpo. Scrivono due esperti del settore: i comportamenti considerati abitualmente imbarazzanti (deambulazione, grida ripetitive, cleptomanie...) hanno un significato per la persona demente. Bisogna dunque capirli e considerarli come mezzi di comunicazione. Sapere che questo ha un senso (anche se non sempre lo comprendiamo...) modifica la nostra condotta nei riguardi della persona». 6 E, poi, comunicare con il malato attraverso lo sguardo, il sorriso, il tono di voce che dovrebbe essere rassicurante e dolce, l'utilizzo di poche parole scandite con chiarezza, il contatto fisico, la musica... Attraverso il contatto fisico ± sia con gesti di affetto e di amicizia che con quelli finalizzati alla pulizia e alla medicazione del corpo ± si possono comunicare carezze positive che, nella terminologia dell'analisi transazionale, sono segni di riconoscimento e offerta di sicurezza. - Cercare di accompagnare in maniera appropriata il linguaggio verbale con quello non verbale, procurando che ci sia coerenza tra i due. Quando si conversa con il malato, risulta quindi utile stargli molto vicino, chiamarlo spesso con il suo nome, toccare il suo corpo delicatamente, mettersi di fronte a lui alla sua stessa altezza, stabilire un contatto con lo sguardo. - Tenere presente che con il progredire della malattia il linguaggio verbale si impoverisce e la capacitaÁ di intrattenere attivamente una conversazione viene meno per l'incapacitaÁ di tenere a mente cioÁ che eÁ stato detto precedentemente, fino al punto che puoÁ risultare difficile compren- Conclusione Concludo con due osservazioni: - E' piuÁ facile parlare della comunicazione con i malati di Alzheimer che praticarla correttamente. Con questo intendo esprimere la mia compren51 PASTORALE sione per il peso spesso molto gravoso che le persone ± familiari e operatori ± impegnate nell'assistenza di questa categoria di malati, devono quotidianamente portare. - Dall'esperienza con i malati di Alzheimer ci arrivano molteplici mes- saggi. Uno eÁ il seguente: «Quante parole vi dite, spesso senza realmente comunicare; imparate ad ascoltare, ad osservare, ad attendere, ad amare, il linguaggio dell'amore non smetteraÁ di sorprendervi!'». Note 5 LAI G., Cambiamenti nella teoria della conversazione e cambiamenti nella relazione con i pazienti di Alzheimer, in «Psicoterapia e scienze umane», 2(2001). 6 Cfr. Manuale per prendersi cura del malato di Alzheimer, Federazione Alzheimer Italia, Milano 1999. 7 C. PICHAUD, I. Thareau, Vivere con gli anziani, Paoline, 2000, pp. 129-130. 1 BOBIN, CHRISTIAN, o.c., p. 21. BOBIN CHISTIAN, Presenze, Perosini Editore, Zevio (VR), 2000, p. 23. 3 PRATT FRANCISCO, Perder la memoria, perder el mayor tesoro, in Bermelo J.C. (a cura di ) «Cuidar a las personas mayores dependientes», Sal Terrae, Santander, 2003, pp. 109-110. 4 SERRA M., Cerimonie, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 26-27. 2 ``Tutti questi visi, tutti questi sguardi, tutte queste mani di uomini e donne colpiti dal morbo di Alzheimer possono ancora vedere, sorridere, gustare gioie e pene e scambiare tenerezza con altri. Tutte le esperienze accumulate nel corso degli anni ci hanno dato la certezza... che la comunicazione umana non si limita alla parola. E che al di laÁ dell'irragionevolezza sussiste a lungo la ragione del cuore''. ReneÂe Serbag-LanoeÈ 52 T E S T I M O N I C O N T E M P O R A N E I EMMANUELIS LOZANO GARRIDO1 Testimone di gioia nella sofferenza Don Filippo Urso2 Emmanuel Lozan Garrido, detto «Lolo», laico prossimo agli onori degli altari, eÁ un figura di grande attualitaÁ per tutti i Christifideles Laici e la loro chiamata universale alla santitaÁ. EÁ l'immagine di un laico che seppe accettare con gioia e serenitaÁ la volontaÁ di Dio nella sua vita, una vita segnata da una grave malattia, la spondilite anchilosante, che lo porteraÁ alla morte. Tale accoglienza serena e gioiosa della chiamata alla santitaÁ eÁ testimoniata dalle virtuÁ vissute in modo straordinario e dal totale coinvolgimento, nonostante la malattia e attraverso la stessa sofferenza, alla missione apostolica evangelizzatrice della Chiesa. Svolse, infatti, la missione di apostolo del Vangelo attraverso i massmedia, come articolista-periodista e scrittore, dalla sua sedia a rotelle, perfino nella cecitaÁ. Fu apostolo anche tra gli ammalati, coinvolgendoli nell'opera di offerta di se e delle proprie sofferenze e preghiere per la stampa cattolica, nella pia unione chiamata «Sinai». Attraverso il suoi consigli seppe guidare e orientare molti giovani e meno giovani nella vita spirituale, tanto da vedere in lui un amico e confidente. A questa attivitaÁ di apostolato non fece mai mancare la preghiera che scandiva tutta la sua vita; una preghiera fatta di meditazione, adorazione eucaristica e santo rosario, sostenuta dalla sua grande devozione alla Vergine Maria e alla Chiesa. 1. Dall'Azione Cattolica alla condivisione della Passione Emmanuel Lozan Garrido nacque il 9 agosto 1920 in Linares (JaeÂn, Spagna). I genitori, di profonda fede cristiana, lo fecero battezzare il 5 settembre del 1920, presso la parrocchia di S. Maria de Linares. All'etaÁ di sei anni rimase orfano del padre e nove anni dopo anche della madre e del nonno materno; fu la sorella maggiore a prendere le redini della famiglia. La prima formazione nella vita cristiana la ricevette dalla madre e dal nonno, per poi continuarla nel collegio dei Padri Scolopi. Di temperamento gioioso, si distinse fin da piccolo per la sua pietaÁ nella vita religio- Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 TESTIMONI CONTEMPORANEI sa e all'etaÁ di nove anni ricevette la prima Comunione. Fu questo un evento molto importante per la sua vita spirituale, tanto che ne scandiraÁ l'anniversario durante il corso della sua vita. L'anno successivo ricevette il sacramento della Cresima. Nel 1931, all'etaÁ di 11 anni entroÁ a far parte come aspirante nell'Azione Cattolica, dando testimonianza della sua fede cristiana soprattutto in momenti difficili quali la guerra civile (1936-1939) e la persecuzione religiosa, con la chiusura delle Chiese e il divieto delle funzioni religiose. Nel giorno del suo compleanno, il fratello Agostino venne assassinato per le sue idee religiose e per aver tentato di salvare un amico mentre lo arrestavano. Lolo diede prova, in questa occasione, di amore misericordioso, perdonando gli assassini del fratello e discolpandoli, perche erano ignoranti e senza formazione religiosa; inoltre perdonoÁ colui che lo aveva denunziato durante la guerra civile, perche portava la santa Comunione. Proprio durante questo cruento conflitto, la gioventuÁ cattolica organizzoÁ delle attivitaÁ religiose clandestine e tra queste ci fu l'incarico per Lolo di portare la Comunione ad altri fedeli. Questo apostolato clandestino venne scoperto ed Emmanuel nel 1937 venne arrestato insieme a due sue sorelle, Maria ed ExpectacioÂn. A causa della sua fede religiosa rimase tre mesi in prigione, dove non nascose il suo essere cristiano e dove continuoÁ il suo apostolato. Uscito dal carcere, subito dopo venne arruolato dall'esercito Repubblicano ed inviato al fronte presso la compagnia dei mitraglieri, verso la quale egli mostroÁ tutto il suo disgusto perche non voleva uccidere; successivamente fu assegnato alla sezione delle trasmissioni. Proprio durante questo periodo, mentre svolgeva il suo compito dentro una grotta molto umida, iniziarono i dolori reumatici, per cui venne ricoverato all'ospedale di Berja, dove concluse la sua esperienza di guerra. Nel dopoguerra dal 1939 al 1941 fu molto attivo nell'apostolato secolare presso l'Azione Cattolica di Linares, ricoprendo diversi incarichi, attirando altri a lavorare nell'A.C. e fondando dei centri in altre cittadine. Nel frattempo, lavoroÁ in un negozio di tessuti e portoÁ a compimento gli studi fino al Magistero, alla Scuola Normale di JaeÂn. Nel 1940 si distinse per la pubblicazione dei suoi primi articoli, nella rivista «Cruzada» della gioventuÁ cattolica di Linares e per l'organizzazione e partecipazione al pellegrinaggio nazionale della gioventuÁ, presso la Basilica della Vergine del Pilar in Spagna. Nel 1942, con il cambio di governo, fu chiamato di nuovo al servizio militare nella Caserma dell'Intendenza del Pacifico di Madrid, presso il reparto dei viveri; anche in caserma non arrestoÁ il suo apostolato e fondoÁ un centro Castrense di Azione Cattolica con sala di riunioni e centro di studi, a cui aderirono un notevole numero di giovani. Durante questo servizio militare si manifestarono i primi segni chiari della malattia che lo accompagneraÁ lungo tutto il corso della sua vita. Il 20 Luglio del 1943 venne prima 54 EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso) ricoverato in ospedale, poi riconosciuto inabile, interrompendo quindi il servizio militare. La malattia progressiva e incurabile, una spondilite anchilosante, fu lunga (28 anni) e dolorosissima e oltre a privarlo dell'uso degli arti inferiori e superiori, lo rese cieco e poi sordo. Dinanzi ad un male cosõÁ devastante, Emmanuel non perse mai il suo umore gioioso e allegro, grazie alla sua profonda unione con Dio, infondendo ovunque intorno a se pace, serenitaÁ e fiducia. Visse questi anni della sua vita nella povertaÁ e fu accudito amorosamente dalla sorella Lucia. Nonostante la sofferenza invalidante, continuoÁ il suo apostolato e la sua intensa attivitaÁ letteraria, vincendo nel 1953 il primo premio giornalistico per un articolo sui martiri, pubblicato sul «Signo», la rivista della gioventuÁ di Azione Cattolica spagnola. Dalla sua sedia a rotelle pubblicoÁ una decina di libri e moltissimi articoli (il cui contenuto ricco di fede, coraggio e abbandono in Dio, tratta del dolore, dell'Eucaristia, del sacerdozio e dell'apostolato familiare) e si adoperoÁ per l'opera apostolica «Sinai», con lo scopo di impegnare le persone malate, in un apostolato con le proprie sofferenze e preghiere a favore del lavoro dei giornalisti. Ricevette premi e riconoscimenti anche a livello nazionale e venne nominato «Figlio prediletto della cittaÁ di Linares» dalle autoritaÁ civili, che alla sua morte gli dedicarono una piazza. Nel 1958 si recoÁ a Lourdes con l'intenzione di crescere nell'amore di Dio e di offrire alla Madonna la sua feconda allegria. Il 3 Novembre 1971 concluse la sua esistenza terrena dopo una terribile agonia, stringendo un crocifisso tra le mani. La sua morte fu un dolore per tutta la cittaÁ; fu grande il concorso di partecipazione di autoritaÁ, giornalisti e amici da diversi punti della Spagna. L'omaggio riservatogli fu un segno della sua santitaÁ. Nelle ore della veglia non mancarono persone che cercarono il contatto con oggetti di pietaÁ per conservare con se delle reliquie, considerandolo un santo. 2. La malattia vissuta santamente Fu nel modo in cui visse la sua malattia che Lolo si santificoÁ in modo supremo e manifestoÁ la sua grande fede: uno dei fratelli riferisce che «era grande la fede che aveva e la sua speranza stava posta in Dio. Senza questa grandezza sarebbe stato difficile sopportare i terribili dolori che dovette sostenere» (Summ., p. 156, n. 488); e la sorella Lucia testimonia che durante la lunga assistenza mai vide il fratello andare in crisi nella fede: «Non ricordo mai di aver notato crisi nella sua vita di fede» (Summ., p. 44, n. 142). Fu una malattia lunga, sempre accompagnata da forti dolori, ma anche da grande gioia, frutto dello Spirito (cf. Gal 5,22), e da una volontaÁ di apostolato attraverso la stessa sofferenza, attraverso la quale comunicava nei suoi scritti ± e a quanti lo visitavano ± la sua fede «ferma e sincera». Poneva ogni sua fiducia nella misericordia di Dio, per questo non si di55 TESTIMONI CONTEMPORANEI speroÁ mai (cf. Summ., p. 18, n. 64). Dinanzi alla progressiva distruzione del corpo la speranza risaltava maggiormente, come afferma P. Mendoza s.j.: «In tutti i suoi scritti quasi sempre appare una chiamata alla speranza, alla fiducia in Dio, una certezza che la felicitaÁ eterna si riceve in cielo» (Summ., p. 6, n. 10). Fu sempre forte nel dolore, senza mai gloriarsene, ma sempre umilmente confidava in Dio e poneva ogni sua forza nella misericordia divina (cf. Ef 4,13), accettando il calvario e la morte con pazienza e sopportazione cristiana: egli stava «nelle mani di Dio fino a quando Egli non avrebbe deciso di chiamarlo all'altra vita» (Summ., p. 13, n. 38). Emanuel accettoÁ sempre la volontaÁ di Dio, conscio di essere solo una creatura che doveva sottomettersi umilmente a suo Signore; e tutto cioÁ avvenne attraverso la sopportazione di molte lotte interiori, nella accettazione della progressione della malattia, come lascioÁ intendere alla sorella Lucia quando questa le disse che l'ulteriore aggravamento della malattia gli dovraÁ essere costato molto: «Altre cose mi sono costate molto di piuÁ» (cf. Summ., p. 45, n. 143). Definito «il Giobbe del nostro tempo» (cf. Summ., p. 131, n. 413), nell'infermitaÁ e nei dolori, per tanti anni, sopportoÁ con costanza la malattia (cf. Summ., p. 187, n. 559); anzi non solo non chiese mai nulla, ma ringrazioÁ Dio per la sua sofferenza. Nonostante le condizioni fisiche di completa immobilitaÁ fu forte, fermo e costante nella sua volontaÁ di apostolato di annuncio del Vangelo, e at- traverso la sua stessa sofferenza (cf. opera apostolica «Sinai»), al fine di far conoscere Dio e di servire il prossimo, tenendo contatti con tutti gli associati sia per corrispondenza che per telefono (cf. Summ., p. 75, n. 232). Il Card. Ortas parloÁ di Lolo come di un candidato alla gloria degli altari, perche nei libri dei santi e dei beati della Chiesa non sono entrati solo quelli che hanno versato il loro sangue per Cristo, ma anche, i maestri della fede. E se non sparse il sangue per la fede, fu certamente un grande esempio di pazienza nel dolore, tanto che lo definõÁ come «il sacramento del dolore in linea con la Regina dei Martiri» sotto la croce di GesuÁ (Informatio, p.158). La sorella Lucia, testimone degli anni di dura sofferenza e della morte, eÁ testimone del fatto che negli anni piuÁ dolorosi che Dio permise, mai ne parloÁ con lei (cf. Summ., p. 112, n. 347). La contemplazione del crocifisso convertiva il suo dolore in dolore luminoso ed era fonte di grazia missionaria per il prossimo; il fratello Jose Maria cosõÁ riferisce di questo dolore fecondo ed apostolico: «Lolo visse la sua infermitaÁ con una fortezza che considero simile a quella dei martiri, con la differenza che il suo martirio non fu cosa di un minuto, ma di molti anni. Tutti i suoi dolori [...] li offriva al Signore. [...] Lolo lavorava [...] in quegli anni della sua infermitaÁ, cieco e immobile, senza movimento alcuno. Per me l'unico movimento che poteva fare era quello di sorridere, e questo sorriso era meraviglioso. Sempre lo ricordo con quel sorriso che 56 EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso) infondeva allegria» (Summ., p. 156, nn. 488-489). Dunque, fu grande e costante la sua disponibilitaÁ ad accettare il progredire della sua invaliditaÁ fisica, senza mai perdere l'allegria; ne mai si lamentoÁ per il particolare disagio nell'alimentazione semplice e poco varia che gli veniva offerto. preghiera e dal suo raccoglimento e avvertivano la presenza di Dio nella sua stanza; riferisce il suo medico: «Sono convinto che quando restava solo parlava con Dio con la certezza di averlo presente nella sua stanza, che lo accompagnava nel suo dolore» (Summ., p. 91, n. 280). Riceveva l'Eucaristia ogni giorno e talvolta pote ascoltare la Messa in casa, con grande edificazione degli stessi sacerdoti (cf. Summ., p. 78, n. 239). 3. La sua vita di preghiera Tutta la sua forza la riceveva dalla preghiera e dall'amore di Dio e del prossimo: si alzava ogni mattino alle 6 e iniziava la giornata con la preghiera che, poi, era incessante per tutto il corso della giornata e grazie alla quale alimentava e sosteneva la sua salda fede. La sorella Lucia, che lo assistette lungo tutto il corso della sua malattia, testimonia che «Tutta la vita di Lolo fu un'offerta permanente alla volontaÁ di Dio e, al tempo stesso, un atto continuo di amore a Dio» (Summ., p. 46, n. 150). Il suo amore filiale verso Dio lo manifestava nella confidenza con la quale si rivolgeva a Lui nella preghiera quotidiana e con il docile abbandonarsi alla Sua paterna volontaÁ, cosõÁ come ci eÁ riferito da un amico d'infanzia: «Lolo era convinto che Dio gli riservava un amore di predilezione e che la sua infermitaÁ fosse un regalo di Dio perche fosse piuÁ unito a Lui» (Summ., p. 27, n. 99). Questo amore si rifletteva nella sua vita di intensa preghiera: meditazione, adorazione eucaristica, recita del santo rosario; coloro che lo visitavano venivano contagiati dal suo spirito di 4. L'attivitaÁ di periodista e scrittore Nei suoi scritti religiosi comunicava il suo amore a Dio e al prossimo: si sentiva apostolo di questo amore «per questo parlava e scriveva costantemente su temi religiosi» (Summ., p. 6 n. 10). Nella sua attivitaÁ di giornalista e scrittore e nelle condizioni di ammalato cronico e grave, seppe dare consigli illuminati a quanti gli si accostavano: tutti ne uscivano edificati, trovando risposte sagge alle loro domande e imparando ad alzare di piuÁ lo sguardo verso il Cielo. Nei suoi libri e articoli emerge sempre l'attaccamento al Magistero della Chiesa, nelle questioni di fede e di morale (cf. Informatio, p. 143). Le testimonianze di quanti lo conobbero parlano dei suoi giudizi ponderati come figlio vero e fedele della Chiesa (cf. Summ., p. 131, n. 415), che seppe discernere le giuste interpretazioni sul Concilio Vaticano II, contro ogni allarmismo da parte dei giornalisti. EÁ vivo anche un sano e forte senso della giustizia sociale e un continuo 57 TESTIMONI CONTEMPORANEI riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, considerata come la sua magna charta nella difesa degli operai, sottoposti a ingiustizie da parte di alcune aziende industriali (cf. Summ., p. 118, n. 372). Nei suoi scritti emerge altresõÁ il suo amore alla Madonna. Non si avvalse del consenso suscitato nei lettori dai suoi scritti, per arricchirsi, volendo sempre vivere in modo sobrio e povero, cosõÁ come si deduce dalle pagine da lui scritte sulla povertaÁ evangelica, che lui stesso viveva con dignitaÁ e grandezza d'animo.1 Fu consigliere prudente di tanti giovani, facendo sue le loro inquietudini e partecipando con loro all'apostolato, tanto che la sua abitazione divenne una succursale del centro di Azione Cattolica (cf. Summ., p. 106, n. 323). Ricorda una giovane: «Che [grande] conoscenza aveva dell'animo, cosõÁ da entrare in sintonia con noi!» (cf. Summ., p. 111, n. 340). Nelle conversazioni cercava sempre di scomparire dalla scena e se si trattava di parlare della sua malattia egli sviava il discorso per parlare di altro (cf. Summ., p. 130, n. 411). Nonostante la fama di cui godeva, la venerazione e gli onori di cui fu oggetto, non dava importanza a tali riconoscimenti perche «Si considerava inferiore agli altri» (Summ., p. 15, n. 51). Fu saggio ed equilibrato nelle decisioni in merito all'apostolato, come pure per l'opera apostolica «Sinai» di sensibilizzazione degli ammalati, per l'offerta delle loro preghiere e sofferenze, per la diffusione della stampa cattolica. Lolo fu anche molto nobile in materia di castitaÁ. Non lo si sentõÁ scherzare mai su questo argomento e quando talvolta riferiva aneddoti scherzosi era sempre decoroso: «uomo molto delicato, che mai lo si vide scherzare [...] su questa materia» (cf. Summ., p. 9, n. 20; cf. p. 60, n. 190). Nell'azienda di commercio dove lavoroÁ, seppe relazionarsi con le donne con straordinario rispetto e amabilitaÁ, ricco nella sua vita della presenza di Dio (cf. Summ., p. 71 n. 222) e della devozione alla Vergine Maria.2 Alle donne dedicoÁ uno scritto sulla loro dignitaÁ. 5. L'apostolato Dall'amore di Dio aveva origine e si edificava il suo amore al prossimo. Faceva suoi i problemi degli altri e portava la sua testimonianza di malattia come balsamo per i dolori e la disperazione altrui (cf. Summ., p. 129, n. 405). Inoltre, verso il prossimo la sua pietaÁ si concretizzava nell'offerta della sua vita di sofferenze, nella riconciliazione con i nemici e nel sorriso e affabilitaÁ con tutti (cf. Summ., p. 135, n. 426). Testimonianza del suo amore al prossimo fu l'opera apostolica «Sinai», fondata per aiutare ± con le offerte di preghiere e sofferenze degli infermi ± il giornalismo cristiano; e quando non poteÁ piuÁ esercitare l'apostolato come quando era in salute, decise ± per la sua sete di salvare le anime ± di scrivere per aiutare chi soffriva, attraverso la testimonianza della sua sofferenza (cf. Summ., p. 7, n. 13; p. 28, n. 100). 58 EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso) 6. Conclusione genere, dei mass media, nonche una bella testimonianza di vissuto della malattia per ammalati, disabili e per ogni operatore sanitario. GiaÁ durante la sua vita i concittadini e i sacerdoti di Linares parlavano di lui con di un santo, di un uomo di Dio. Molti furono edificati nella vita interiore dai suoi scritti e cercarono di incontrarlo per esserne aiutati spiritualmente. Alla morte e ai funerali continuoÁ a manifestarsi la fama di santitaÁ di Lolo; furono, infatti, molte le lettere e gli articoli scritti in tutta la Spagna per celebrare la sua straordinaria testimonianza di vita cristiana. Dopo la sua morte continua l'amore e la devozione verso di lui, soprattutto negli ospedali, dove viene pregato come intercessore. Anche se la sua figura non eÁ molto nota ± e l'obbiettivo di questo articolo eÁ proprio quello di farla conoscere ±, la sua vita cristiana eÁ di grande attualitaÁ per l'uomo di oggi, che tanto esorcizza la sofferenza e la morte. Lolo ha saputo rispondere dalla sua carrozzella alla chiamata alla santitaÁ e ha saputo vivere la vocazione di laico nella Chiesa secondo gli insegnamenti del Vaticano II. PuoÁ essere un eloquente modello per i giovani di Azione Cattolica, per i laici impegnati nel mondo del giornalismo cattolico, e in Note 1 Per questa breve riflessione cf. CONGREPositio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, Roma 1999 e R. HIGUERAS AÁLAMO ± P. CAÂMARA RUIÂZ, La gioia vissuta. Vita, profilo spirituale e opere del Servo di Dio Manuel Lozano Garrido, «Lolo» (1920-1971), Cinisello Balsamo 2006. Le traduzioni dallo spagnolo dell'Informatio e del Summarium sono nostre. 2 Filippo Urso, sacerdote dell'Arcidiocesi di Taranto, eÁ docente di Scienze Bibliche all'Istituto di Scienze Religiose «R. Guardini» di Taranto e Direttore dell'Ufficio Diocesano e Regionale per la Pastorale della Salute. 3 Visse, infatti, povero lungo il corso della sua vita, guadagnando il pane con il lavoro delle sue mani e mettendo a disposizione degli altri quello che aveva: attesta la sorella Lucia: «Non chiedeva niente che non fosse necessario, la sua povertaÁ fu edificante. Piuttosto si preoccupava che a me e alla ragazza che si prendeva cura di noi non mancasse nulla» (cf. Summ., p. 110, n. 338). 4 Una volta, per la richiesta di tessuti fatta da una casa di prostituzione, impedõÁ che andasse un ragazzo a portarli e decise di andare lui personalmente, perche il ragazzo non si scandalizzasse (cf. Informatio, p. 164). GATIO DE CAUSIS SANCTORUM, 59 T E S T I M O N I A N Z E IL PADRE NOSTRO Il Padre ha impresso nel cuore di ogni uomo il suo sigillo d'amore, vale a dire un'azzurra nostalgia d'infinito, una sete inestinguibile d'eternitaÁ che nessuno puoÁ spegnere, ma la sorpresa consiste nel fatto che tracce di tutto questo si possono trovare laÁ dove meno ci si aspetta. Fino ad oggi non eÁ stato ancora inventato un acido corrosivo cosõÁ potente che riesca a cancellare il marchio di fabbrica che il Creatore, fin dall'inizio dei tempi, ha stampato in ogni essere umano: ``Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza». Dio non si cancella anche se molti ci hanno provato lungo il corso dei secoli. Quel mattino, verso la fine di un rigido inverno, prima di recarmi in reparto, avevo fatto quattro passi nel giardino, contemplando le gemme sugli alberi che stavano per sbocciare e riempiendomi i polmoni col profumo inebriante del calicanto. Quindi salii le scale per iniziare la solita visita. Entrai in una cameretta a tre letti, nel reparto femminile di medicina. Due malate mi salutarono, mentre la terza, vicino alla finestra dopo avermi guardato, si giroÁ dall'altra parte. Succede. Il giorno seguente, forse visto che non avevo una faccia patibolare, l'ammalata in questione mi disse che era atea e non credeva nell'esistenza di un Essere supremo e nemmeno nella vita eterna. «Con la morte finisce tutto, quando cala il sipario si scompare nel nulla». Aggiunse ancora: «So che lei la pensa diversamente, ma per me le cose stanno cosõÁ e sono sicura di quello che dico». In ogni caso aveva lasciato per testamento il desiderio di essere sepolta vicino al muro del cimitero del paese, perche accanto s'ergeva un maestoso cipresso. Forse in primavera le sue ossa sarebbero state scosse da un fremito quando il vento avrebbe danzato tra i rami dell'albero. Io guardavo e ascoltavo attentamente il suo discorso e, ad un certo momento, le dissi che rispettavo le sue opinioni anche perche ciascuno eÁ artefice del suo destino e deve assumersi le proprie responsabilitaÁ. In ogni caso la ringraziai per la sua sinceritaÁ e le assicurai che sarei passato ancora per salutarla e ``chiacchierare'' con lei e le altre due, che erano del mio stesso parere. E fu cosõÁ che arrivoÁ la domenica e, dietro loro richiesta, portai alle altre due l'Eucaristia e, prima di porgere la particola, recitai il Padre Nostro, adagio e con molto sentimento, convinto che il Padre amasse anche lei. Al termine l'ammalata mi pregoÁ di avvicinarmi e, con un sorriso smagliante, mi disse: «Ma lo sa che quelle Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso) dopo venne dimessa e mi recai a salutarla. Ed essa mi chiese di ripetere per lei quelle meravigliose parole. Naturalmente accettai l'invito. E fu in quell'occasione che compresi la valenza, la pregnanza di quell'aggettivo possessivo ``nostro'' che GesuÁ ha piazzato dopo la parola Padre: Dio eÁ Padre di tutti, dei credenti, degli atei e dei miscredenti e anche di quella signora vicino alla finestra. Pensiamo a questo quando al termine dell'orazione domenicale, diciamo: «Amen!» «CosõÁ eÁ!». parole mi hanno toccato il cuore. Sono bellissime e non le avevo mai sentite. Le ha inventate lei?». Io non volevo certo appropriarmi dei diritti d'autore di un Altro e le spiegai che erano state inventate, dietro richiesta dei suoi amici, da un certo Cristo GesuÁ e che da secoli tutti quelli che credono in Lui le recitano in tante lingue, ma con la stessa fede e intensitaÁ in ogni parte del globo. E' la preghiera internazionale e multinazionale e ad essa si ispirano tutte le altre preghiere della Chiesa. Il giorno Padre nostro che sei nei cieli... dacci oggi il nostro pane quotidiano: fa che nessuno dei tuoi figli si veda privato dei frutti della terra; che nessuno soffra piuÁ l'angoscia di non avere il pane quotidiano per se e per i suoi cari. Fa' che tutti, ripieni dell'immenso amore con cui tu ci ami, sappiano solidamente distribuire quel pane che tu ci dai tanto generosamente. Giovanni Paolo II 61 D O C U M E N T I MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ BENEDETTO XVI PER LA XV GIORNATA MONDIALE DEL MALATO Seoul, Korea ± 11 febbraio 2007 scienze mediche spesso offrono gli strumenti necessari ad affrontare questa sfida, almeno relativamente ai suoi aspetti fisici. La vita umana, comunque, ha i suoi limiti intrinseci, e, prima o poi, termina con la morte. Questa eÁ un'esperienza alla quale eÁ chiamato ogni essere umano e alla quale deve essere preparato. Nonostante i progressi della scienza, non si puoÁ trovare una cura per ogni malattia, e, quindi, negli ospedali, negli ospizi e nelle case in tutto il mondo ci imbattiamo nella sofferenza di numerosi nostri fratelli e numerose nostre sorelle incurabili e spesso in fase terminale. Inoltre, molti milioni di persone nel mondo vivono ancora in condizioni insalubri e non hanno accesso a risorse mediche molto necessarie, spesso del tipo piuÁ basilare, con il risultato che il numero di esseri umani considerato ``incurabile'' eÁ grandemente aumentato. Cari fratelli e care sorelle, l'11 febbraio 2007, giorno in cui la Chiesa celebra la memoria liturgica di Nostra Signora di Lourdes, si svolgeraÁ a Seoul, in Corea, la Quindicesima Giornata Mondiale del Malato. Un certo numero di incontri, conferenze, raduni pastorali e celebrazioni liturgiche avraÁ luogo con i rappresentanti della Chiesa in Corea, con il personale sanitario, i malati e le loro famiglie. Ancora una volta, la Chiesa guarda a quanti soffrono e richiama l'attenzione sui malati incurabili, molti dei quali stanno morendo a causa di malattie in fase terminale. Essi sono presenti in ogni continente, in particolare in luoghi in cui la povertaÁ e le difficoltaÁ causano miseria e dolore immensi. Conscio di tali sofferenze, saroÁ spiritualmente presente alla Giornata Mondiale del Malato, unito a quanti si incontreranno per discutere della piaga delle malattie incurabili nel nostro mondo e incoraggeranno gli sforzi delle comunitaÁ cristiane nella loro testimonianza della tenerezza e della misericordia del Signore. La Chiesa desidera sostenere i malati incurabili e quelli in fase terminale esortando a politiche sociali eque che possano contribuire a eliminare le cause di molte malattie e chiedendo con urgenza migliore assistenza per quanti stanno morendo e per quanti non possono contare su alcu- L'essere malati porta inevitabilmente con se un momento di crisi e un serio confronto con la propria situazione personale. I progressi nelle 62 DOCUMENTI na cura medica. EÁ necessario promuovere politiche in grado di creare condizioni in cui gli esseri umani possano sopportare anche malattie incurabili ed affrontare la morte in una maniera degna. A questo proposito, eÁ necessario sottolineare ancora una volta la necessitaÁ di piuÁ centri per le cure palliative che offrano un'assistenza integrale, fornendo ai malati l'aiuto umano e l'accompagnamento spirituale di cui hanno bisogno. Questo eÁ un diritto che appartiene a ogni essere umano e che tutti dobbiamo impegnarci a difendere. Desidero incoraggiare gli sforzi di quanti operano quotidianamente per garantire che i malati incurabili e quelli che si trovano nella fase terminale, insieme alle proprie famiglie, ricevano un'assistenza adeguata e amorevole. La Chiesa, seguendo l'esempio del Buon Samaritano, ha sempre mostrato particolare sollecitudine per gli infermi. Mediante i suoi singoli membri e le sue istituzioni, continua a stare accanto ai sofferenti e ai morenti, cercando di preservare la loro dignitaÁ in questi momenti significativi dell'esistenza umana. Molti di questi individui, personale sanitario, agenti pastorali e volontari, e istituzioni in tutto il mondo, servono instancabilmente i malati, negli ospedali e nelle unitaÁ per le cure palliative, nelle strade cittadine, nell'ambito dei progetti di assistenza domiciliare e nelle parrocchie. le. Vi incoraggio a contemplare le sofferenze di Cristo crocifisso e, in unione con Lui, a rivolgervi al Padre con totale fiducia nel fatto che tutta la vita, e la vostra in particolare, eÁ nelle sue mani. Sappiate che le vostre sofferenze, unite a quelle di Cristo, si dimostreranno feconde per le necessitaÁ della Chiesa e del mondo. Chiedo al Signore di rafforzare la vostra fede nel Suo amore, in particolare durante queste prove che state affrontando. Spero che, ovunque voi siate, troviate sempre l'incoraggiamento e la forza spirituali necessari a nutrire la vostra fede e a condurvi piuÁ vicini al Padre della vita. Attraverso i suoi sacerdoti e i suoi collaboratori pastorali, la Chiesa desidera assistervi e stare al vostro fianco, aiutandovi nell'ora del bisogno, e quindi, rendendo presente l'amorevole misericordia di Cristo verso chi soffre. Infine, chiedo alle comunitaÁ ecclesiali in tutto il mondo, e in particolare a quante si dedicano al servizio degli infermi, di continuare, con l'ausilio di Maria, Salus Infirmorum, a rendere un'efficace testimonianza della sollecitudine amorevole di Dio, nostro Padre. Che la Beata Vergine, nostra Madre, conforti quanti sono malati e sostenga quanti hanno dedicato la propria vita, come Buoni Samaritani, a curare le ferite fisiche e spirituali dei sofferenti. Unito a voi nel pensiero e nella preghiera, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di forza e di pace nel Signore. Ora, mi rivolgo a voi, cari fratelli e care sorelle che soffrite di malattie incurabili e che siete nella fase termina- Dal Vaticano, 8 dicembre 2006 Benedetto XVI 63 DOCUMENTI LETTERA AGLI AMMALATI Card. Dionigi Tettamanzi Carissima, Carissimo, umanitaÁ. Ascolti la radio e forse tra tante notizie e discussioni e musiche preferisci quella frequenza che ti aiuta a pregare, a sentire la compagnia di un popolo che ascolta la parola di Dio e confida nella materna intercessione di Maria. Proprio ora avverti come sia importante saper ascoltare. EÁ un atteggiamento spirituale cui ho invitato tutte le famiglie avviando il nuovo Percorso Pastorale della Diocesi ``L'amore di Dio eÁ in mezzo a noi''. La prima tappa si intitola ``Famiglia ascolta la parola di Dio''. Anche a te, fratello, sorella, costretto dall'etaÁ e dalla malattia a lunghe ore di solitudine, vorrei raccomandare: ascolta, impara ad ascoltare, insegna ad ascoltare. Nelle vite frettolose e indaffarate, sii tu la presenza paziente, pronta a raccogliere le confidenze, disponibile alla benevolenza che, mentre ascolta, incoraggia, senza giudicare, senza indiscrezione. Nel momento in cui eÁ forte la tentazione di ripiegarsi sui propri mali, sii tu la presenza amica che tende la mano e offre il proprio tempo per restituire un po' di sorriso. Non lasciarti andare al lamento, non chiuderti su te stesso, piuttosto ascolta e consola, ascolta e cerca di compren- ti confido che nella notte di Natale, mentre saroÁ intento a prepararmi alla solenne celebrazione, avroÁ, come ogni anno, un pensiero particolare per te e per coloro che come te non potranno partecipare alla Messa di mezzanotte. Forse eÁ la prima volta che sei costretto a stare in casa o nel letto di un ospedale, proprio tu che non hai mai mancato ad una Messa di Natale. Forse giaÁ da anni le condizioni di salute e il peso degli anni riducono la notte di Natale a una lenta successione di ore in attesa del sonno, quasi una notte come tutte le altre. Ad ogni modo io penseroÁ a te, con il desiderio di vederti, di stringerti la mano, di dirti una parola di incoraggiamento. So che sai ascoltare. Ascolti con avida trepidazione quando il tuo medico parla con i tuoi di casa e sei spaventato quando abbassano la voce: ascolti con il desiderio di sentire l'annuncio del miglioramento delle tue condizioni. Ascolti con commossa gratitudine i parenti e gli amici che vengono a trovarti: talora sono parole di circostanza, ma per te sono il segno che ancora c'eÁ chi aspetta un tuo parere e condivide con te un frammento di vita e di 64 DOCUMENTI perdonarsi, intorno ad una persona cara che attraversa i giorni della prova. Ascolta! L'attitudine all'ascolto puoÁ renderti pagina di Vangelo scritta nella carne e nelle lacrime, nell'attesa e nell'inquietudine; pagina di Vangelo perche saprai trasformare la paura in affidamento, il lamento in preghiera, le attenzioni che gli altri hanno per te in ringraziamento, le attenzioni che tu dedichi agli altri in una intercessione. Chi ti incontra, chi viene a visitarti possa leggere questa pagina di Vangelo, piuÁ persuasiva di ogni predica e piuÁ illuminante di ogni ragionamento, perche scritta proprio da te nella tua malattia. E se sei capace di un ascolto cosõÁ, prova a immaginare con quale tenerezza premurosa ti ascolta il Signore! Lui che si commuove per chi soffre, che prova compassione per coloro che sono tormentati, Lui certo ascolta la tua preghiera, viene in aiuto alla tua debolezza e non tarderaÁ a rivelarti la sua misericordia. Per questo, celebrando la Messa di mezzanotte, cui forse parteciperai dal tuo letto, invocheroÁ per te pronta guarigione e un santo, felice Natale insieme ai tuoi cari e con tutti gli uomini che Dio ama. dere, ascolta e cerca le poche parole necessarie per aprire uno spiraglio di speranza. Ascolta! Non trascurare di ascoltare GesuÁ che ha parole di vita eterna. In ogni casa ci dovrebbe essere la Bibbia, ma forse in casa tua eÁ piuÁ necessaria. Se non ce l'hai, chiedila come un dono per questo Natale. Ascolta la parola di Dio! La parola di Dio eÁ GesuÁ, il Verbo fatto carne, l'amico fedele che prende in disparte chi ha bisogno di essere guarito, per rivelargli le vie misteriose del suo amore crocifisso. Ascolta! Chi sa ascoltare la parola di Dio e le confidenze degli altri eÁ come quella pagina bianca sulla quale gli Angeli dei dipinti antichi scrivono pagine di Vangelo. In lettere d'oro scrivono: ``Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama''. Dopo tanti secoli non ci sono piuÁ angeli sulla grotta di Betlemme: non giaÁ perche sia finito il cantico dell'esultanza, ma perche hanno lasciato agli uomini di continuare il lieto annuncio. Tu che sai ascoltare, saprai certo unirti all'immenso coro che ancora e ancora dice: ``Gloria a Dio'', perche il suo amore s'eÁ fatto premura e dono del Consolatore per chi piange e soffre nel corpo e nello spirito e ancora dice ``Pace agli uomini'', perche la fragilitaÁ di chi eÁ ammalato puoÁ essere una predica piuÁ incisiva di tante prediche e aiutare persone e famiglie a ritrovarsi, a Il tuo Affezionatissimo Arcivescovo Card. Dionigi Tettamanzi Natale 2006 65 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA A cura di Ornella Scaramuzzi 1. BIANCHI L., C'era una volta Pasqua al mio paese, Gribaudi, Milano, 2006, pp. 121.. Ho «la speranza che, se non proprio interesse, almeno un briciolo di gioia questa storia e le altre vi abbiano recato»: eÁ quanto si augura l'autore nell'ultima pagina del suo scritto. Posso affermare con sinceritaÁ che don Luisito Bianchi ha pienamente raggiunto il suo scopo: non solo ha suscitato in me interesse e gioia, ma anche una profonda serenitaÁ interiore al ricordo di una societaÁ civile e religiosa che egli descrive minuziosamente e che ho vissuto anch'io nell'infanzia nel mio paese natio lucano. E mi ha fatto «sognare» rendendomi contemporaneo e amico dei protagonisti dei racconti! Dopo La Messa dell'uomo disarmato (Sironi, 2003), divenuto un autentico caso letterario, anche il nuovo libro C'era una volta Pasqua al mio paese promuove a pieni voti il sacerdote, che non piuÁ giovanissimo (eÁ nato nel 1927), ha vissuto le tappe piuÁ diverse del suo ministero pastorale attraverso molteplici esperienze: insegnante, traduttore, prete operaio e inserviente di ospedale e, attualmente, cappellano presso il monastero benedettino di Viboldone (Milano). Come confessa nella prefazione, don Luisito ha letto negli spazi vuoti delle pagine dei Vangeli per trarne le storie dei personaggi minori e piuÁ originali degli eventi pasquali di GesuÁ: «Tra una pagina e l'altra dell'evangelo c'eÁ uno spazio bianco che puoÁ essere occupato dalla tua fantasia, e anche la fantasia eÁ una cosa seria se non invade le righe» (p.17). Ne sono scaturiti 13 godibilissimi «bozzetti», nei quali il lettore viene sollecitato prima a conoscere le tradizioni familiari e popolari della settimana santa che fiorivano nei piccoli paesi fino agli anni cinquanta dello scorso secolo e poi eÁ invitato ad ascoltare le storie «fantastiche» di chi ha trovato troppo poco spazio nei racconti degli evangelisti: il ragazzo rimasto nudo nelle fasi concitate dell'arresto di GesuÁ, l'asino che portoÁ sulla sua groppa il Messia osannato dalla folla e la sua genealogia, la goccia d'acqua del catino di Pilato, il servo Malco che ebbe l'orecchio tagliato da Pietro nel Getsemani, la Veronica identificata nella donna guarita dalle sue perdite di sangue, il soldato della spugna ed il centurione del Golgota, le guardie del sepolcro, l'altro Didimo, ... I racconti, definiti «scherzi della nostalgia» dallo stesso autore, sono «fantastici» nel duplice significato di frutto della fantasia del cuore e di straordinaria bellezza. Al lettore, ragazzo o adulto che sia, viene chiesta la Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA capacitaÁ di saper volare nel mondo della fantasia, che non eÁ sinonimo di irrealtaÁ, ma mezzo e via per raggiungere la realtaÁ di un altro mondo altrettanto vero, dove possono entrare e vivere solo i «puri di cuore». La prefazione di Alessandro Pronzato, un altro fecondissimo prete, arricchisce la pubblicazione con il riconoscimento della capacitaÁ dell'autore di saper usare finemente la penna, a differenza di tanti confratelli: «Oggi, di preti che pubblicano libri ce ne sono parecchi in circolazione, forse anche troppi (quelli che leggono, molto meno). Ma chierici che sappiano tenere la penna in mano come Dio comanda non sono numerosi» (p.6). Il libro di don Bianchi nutre lo spirito e sa parlare ai cuori semplici di bambini, perche egli eÁ rimasto un bambino nel cuore. (p. Leonardo Di Taranto) dei credenti pugliesi contro il trasferimento dei cacciabombardieri F16 americani dalla Spagna a Gioia del Colle, che giaÁ ospitava i Tornado americani. Per questo prepara, nell' `88, un documento firmato dai vescovi della metropolia di Bari, affermando decisamente che la Puglia, dalla sua stessa geografia, eÁ chiamata ad essere arca di pace, non arco di guerra. Sono solo alcune delle innumerevoli iniziative comunitarie prese dal vescovo. Costruire la cittaÁ attorno alla fontana antica che eÁ Cristo, eÁ il progetto del Vescovo: l'architettura di essa sta nel brano di Isaia: «Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati...» mentre il punto di arrivo sta nell'altro brano di Isaia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci...». Il pericolo dei tanti anti-Isaia politici eÁ reale ± dice don Tonino ± e vorrebbero ridurci a garantisti della sicurezza dei potenti, ma ai disegni di guerra occorre opporre la fermezza della ragione dialogante e della pace. Dal brano evangelico sulle tentazioni di GesuÁ, don Tonino trae le immagini efficaci per esprimere il suo disegno. Ci sono infatti tre pietre da svellere perche producono guerra: il profitto (I tentazione) o la tentazione economica; il potere politico (II tentazione); il prodigio ovvero il fatalismo dell'attendere che le cose si risolvano dall'alto (III tentazione). A queste tre P da gettare, si oppongono altre tre P, le pietre utili per costruire il futuro degli uomini: Parola, della quale bisogna scoprire la pa- 2. BELLO DON TONINO, Pace ± quanto resta della notte?, Edizioni Messaggero, Padova, 2006. Per tutta la vita don Tonino Bello, vescovo della diocesi di Molfetta fino al 1993, ha sostenuto i valori della pace e questo libro raccoglie alcune sue inedite conferenze sul tema, tenute nel 1986, per i ministri provinciali dei frati Minori d'Italia, per i frati Minori di Lombardia, per la manifestazione per la pace a Giovinazzo. Ne risulta una esegesi teologica formidabile e assolutamente concreta. Infatti apre nella sua diocesi la Casa per la pace, come centrale di animazione pacifista sul territorio, organizza la protesta 67 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA cifica violenza ermeneutica; Protesta, con la quale dobbiamo manifestare la profezia della Parola; Progetto, che vuol dire disegnare strade di pace assumendosi senza paura il rischio dell'utopia. GesuÁ usa la sua croce come una trivella per scavare il pozzo della pace e infatti le prime parole del Risorto sono: «Pace a voi!». Dunque la offre come dono prezioso della sua fonte, alla quale peroÁ bisogna volere abbeverarsi per diventare costruttori di pace al suo fianco. Sta a noi costruire le reti idriche per portare la pace fino agli estremi confini della terra, radicati nella coscienza trinitaria in cui la prima si coniuga necessariamente con la giustizia e la salvaguardia del creato. Il breve libro offre altri spunti di riflessione molto interessanti che cattureranno certamente l'attenzione del lettore, introducendolo vigorosamente nell'etica del volto dell'altro. l'autore accanto ai malati di mente. Ascolto incondizionato, e allora forse si puoÁ iniziare a comprendere la logica interiore di certi deliri in cui affiora un messaggio attraverso il quale il paziente esce dal silenzio per esplodere in una comunicazione solo in apparenza distorta. Come nel famoso quadro, L'urlo di Munch, l'uomo, scarnificato e sfigurato dal dolore psichico, protegge la sua testa con le mani mentre in un supremo sforzo, immagino, emette un grido verso quell'esistenza reale in cui non si riconosce piuÁ. Solo l'ascolto puoÁ liberare un po' il malato dalla paura di cioÁ che vive nella sua immaginazione, senza per questo cercare di fargliene riconoscere il senso sbagliato per la nostra logica, altrimenti si rischierebbe di perdere forse per sempre, il contatto fievole, cercato dal malato che potrebbe richiudersi nel silenzio. Ma, soprattutto, il grande merito del libro eÁ, secondo me, il fatto che l'autore, riportandoci in ogni capitolo un delirio diverso, lo paragona al pensiero di filosofi, teologi, poeti latini e greci, sottolineandone la logica di fondo. Pensiero illogico o pensiero parallelo di chi, ferito dalla vita nella sua fragile sensibilitaÁ, si eÁ isolato e ritirato in un altro mondo, per non morire schiantato da una logica per lui insostenibile. Si susseguono pagine bellissime, evocative di un passato che ancora costituisce la trama tessuta male del delirio. In essa si intravede la societaÁ cambiata e il parlare dei malati ne eÁ lo specchio. Stupisce quanto resti intatta la sen- 3. AVALLE V. - TENAGLIA T., Il delirio ha un significato? Voci di persone dalla psiche disturbata sommessamente interpretate con affetto, Ed. CVS, Roma, 2004. Un delirio va ascoltato con il rispetto che si deve per le cose che non capiamo... in silenzio, forse a capo chino, intervenendo con delicatezza solo quando siamo convinti di poter concordare su qualche punto del pensiero del malato. Attenti sempre a non sopraffarlo (p.114). Queste parole tratte dal testo delineano la prospettiva in cui si pone 68 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA sibilitaÁ profonda dei malati mentali, come per esempio nel capitolo intitolato «Fare, non solo dire la veritaÁ ...». Finestra sulla vita di reparto e sul comportamento degli operatori sanitari, mi sembra visione umanissima e lucida (assolutamente non trascurabile, tanto eÁ un matto che parla), che interpella le nostre coscienze di medici, operatori pastorali, sacerdoti, religiosi. La confessione contiene addirittura una domanda escatologica, altro che delirio e nullitaÁ mentale: si tratta di una pagina esemplare di pastorale sanitaria. Qui la voce interiore del malato eÁ intatta e ci parla dell'etica insopprimibile dell'uomo, che chiede rispetto e spesso ci insegna la veritaÁ sostanziale, che noi invece, cosiddetti sani, spesso mascheriamo quando ci fa comodo. Non saraÁ che la loro ricerca di senso cosõÁ sofferente e fuori dalle righe, eÁ un umile baluardo che controbilancia i tanti fallimenti dell'umanitaÁ, agli occhi di Dio, come afferma un aneddoto della tradizione talmudica? ChissaÁ! Ma certamente l'autore eÁ riuscito ad avvicinarci un po' di piuÁ a queste particolari pietre scartate della vita, insegnandoci che abbiamo bisogno anche di loro. E' proprio vero, come dice Avalle nella conclusione, che bisognerebbe aggiungere al brano evangelico di Matteo sulle `Beatitudini': «Ero alienato e tu, nel deserto della mia anima, mi sei stato accanto e hai serrato la mia mano fra le tue ...» (p.116). Va infine riconosciuto il merito al CVS e ai Silenziosi Operai della Croce, che da alcuni anni a questa parte hanno ampliato il campo editoriale, di saper riconoscere e sostenere i contributi letterari piuÁ appropriati e moderni, atti a descrivere tutte le sfaccettature della sofferenza e della diversa abilitaÁ, in questo caso mentale, in cui vediamo tanto di noi stessi. 4. VERLATO M.L. - ANFOSSI M., Relazioni ferite ± prendersi cura delle sofferenze nel rapporto Io ± Tu, Ed. La meridiana, Molfetta (BA), 2006. Mi fa piacere richiamare l'attenzione dei lettori su questo libro scritto da due psicoterapeute, docenti di Psicologia clinica e Psicopatologia generale, perche oltre a suggerire interessanti novitaÁ nell'approccio al malato, si occupano anche del coinvolgimento del terapeuta. Il testo nasce come riflessione su di un cammino longitudinale di lavoro professionale, vissuto in continuo contatto fra loro. Infatti il libro sembra scritto da una sola persona, segno di un'armonia a quattro mani fra le due terapeute: pertanto i capitoli si snodano secondo una logica intrinseca e non come giustapposizione di ricerche individuali. Benedetta sensibilitaÁ femminile! Il pregio delle argomentazioni sta nel condurre il lettore verso una prospettiva piuÁ avanzata della relazione d'aiuto centrata sul cliente di stampo rogersiano. Essa resta comunque pilastro portante della comunicazione con il malato ma viene integrata e arricchita dalla teoria dell'attaccamento di Bowlby. Non esiste a nostro avviso ± dicono 69 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA le autrici ± incontro reale senza uno scambio reciproco. Dunque il terapeuta non fa piuÁ soltanto da specchio al paziente perche possa, nella narrazione, trovare il percorso risolutivo alle difficoltaÁ, valutando limiti e risorse, ma molto piuÁ deve sapersi coinvolgere affettivamente, pur badando alla propria stabilitaÁ interiore, per costituire la base sicura che al malato eÁ mancata nella sua formazione evolutiva, che puoÁ esporlo a invischiamenti e a successive incapacitaÁ di fronteggiamento in situazioni difficili. Il paziente realizza la sua vera personalitaÁ nell'incontro con il terapeuta, ma quest'ultimo realizza la sua vera personalitaÁ nell'incontro con il paziente e i distacchi, inevitabili ed efficaci, separano entrambi dalla reciproca influenza, verso cammini di vita personali. Siamo destinati a modificarci negli incontri. Rogers affermava che ogni uomo ha una potenzialitaÁ attualizzante, cioeÁ una duttilitaÁ ai cambiamenti, che dipende dalla buona strutturazione del SeÂ. Quindi se lo schema di riferimento interno appreso attraverso le prime esperienze, sensazioni, percezioni, significati, ricordi coscientizzati, eÁ ferito o incongruente perche presenta delle lacune, tanto piuÁ diventa vulnerabile il soggetto. E' comprensibile quanto sia importante allora tutto cioÁ in un'epoca in cui molti fattori, intrafamiliari e sociali, hanno contribuito e ancora contribuiscono a rendere fragile le personalitaÁ in formazione, minate a volte precocemente da esperienze dolorose, lutti, perdite, violenze. Spesso il vissuto eÁ tanto doloroso da essere ne- gato dalla coscienza e riposto nelle zone ombra dell'esistenza, ma tuttavia spesso affiora indirettamente in agiti, apparentemente incomprensibili, altrettanto violenti nei confronti di altri o autolesivi. E' a questo punto che entra in gioco la necessitaÁ di un terapeuta che aiuti il discernimento delle vere cause, di cui i comportamenti non sono che simboli. Bowlby eÁ convinto che dalle ferite interiori antiche si possa guarire attraverso una relazione terapeutica che sia un luogo sicuro dove favorire il contatto con se stessi, per prendere consapevolezza degli eventuali danni ricevuti, dai quali ci si difende con comportamenti reattivi. Se dunque il terapeuta diventa la figura di attaccamento che al bambino interiore del paziente, eÁ mancata, potraÁ innescarsi in quest'ultimo, il meccanismo di autoguarigione. Vengono qui prese in esame le persone suddivise per aree di attaccamento affettivo: della solitudine, della dipendenza, della discontinuitaÁ o contraddizione, e si mette in evidenza come una generazione contribuisca a strutturare in senso psicologico la generazione successiva, trasmettendole modalitaÁ relazionali, costrutti, stili di accudimento e attaccamento emotivo. Tutto attraverso esempi chiari narrati, che supportano le argomentazioni. Benche il testo non sia facilissimo da leggere, non eÁ di uso esclusivo di addetti ai lavori, perche ad un tratto, ti prende e ti coinvolge, entusiasmandoti alla delicatezza dei rapporti umani di cui siamo inevitabilmente corresponsabili e co-artefici. Pertanto, con 70 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA un po' di impegno, eÁ adatto a tutti coloro che vogliono dare spessore e qualitaÁ al loro servizio accanto alla persona, sia che soffra sia che viva nel benessere per accrescere la consapevolezza. L'enneagramma in questo libro eÁ uno strumento per comprendere lo sviluppo psicologico in etaÁ evolutiva e la tendenza spirituale dei vari enneatipi, secondo una ricerca fra le piste di conoscenza orientale, sviluppata da Claudio Naranjo, psichiatra cileno e appresa dall'autore del libro, David Hey. Immaginiamo l'infanzia come stadi graduali in cui portare a termine alcuni compiti: laddove il bambino incontra forti difficoltaÁ a realizzarli perche manca il supporto adeguato, si verifica una perdita dell'Essenza e contemporaneamente, proprio laddove il passaggio eÁ stato piuÁ traumatico, si forma la fissazione dell'ego che poi ci accompagneraÁ tutta la vita, con comportamenti reattivi ripetitivi. Spesso diciamo infatti: Sono fatto cosõÁ, oppure Dinanzi a questa situazione, per il mio carattere non posso far altro che questo!, giustificando cosõÁ la reazione e spesso senza domandarci se potevano esserci altre risposte piuÁ aperte alla considerazione dell'altro e dunque di noi stessi. Nella misura in cui comprendiamo cioÁ che ci manca, attingendo alle qualitaÁ degli altri, secondo le teorie della freccia e dell'ala, riempiamo il vuoto di Essenza di cui abbiamo bisogno e ci accostiamo al principio evangelico di ridiventare come bambini, aperti naturalmente alla fiducia, alla gioia, all'armonia, alla speranza. Possiamo agire finalmente da persone non piuÁ coatte ma autonome e mature. L'autore prende in considerazione ordinata tutti gli enneatipi, descrivendo per ciascuno, la qualitaÁ dell'Essenza, la fissazione personale e come essa 5. HEY D., I nove colori dell'anima, Ed. URRA ± Apogeo s.r.l., Milano, 2006. Quando nasciamo siamo ricchi di Essenza, cioeÁ della nostra vera e piuÁ completa natura spirituale. L'essenza eÁ composta di varie dimensioni o qualitaÁ, ciascuna delle quali prevale in ogni enneatipo. GiaÁ nelle prime esperienze relazionali da bambini, si assiste a varie diminuzioni dell'Essenza personale a causa delle ferite affettive in cui siamo coinvolti. In questo modo si forma l'ego, una mistura di essenza dimenticata e di fissazioni del comportamento reattivi alla paura di esistere. Fin dall'infanzia cioeÁ, i meccanismi di difesa ci costruiscono una corazza di stereotipi dentro cui il vero io anela alla pienezza psicologica e spirituale e ci chiede di essere liberato. Mi viene in mente come Michelangelo asseriva che quando scolpiva, liberava le forme che giaÁ vedeva entro i blocchi di marmo. Analogamente ciascuno di noi ha il compito spirituale di cercare il suo vero io, la propria Essenza (il trascendente che eÁ in noi), per diventare un essere umano completo, che conosce i lati ombra della sua personalitaÁ; questi, lungi dall'essere rinnegati, offrono chiavi di lettura dell'inconscio che permettono di far pace con i limiti e facilitano la crescita. 71 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA opera al nostro interno, rendendoci per esempio molto meticolosi, sempre aggressivi, paurosi, chiusi in noi stessi, tristi e melanconici, sempre troppo altruisti o pigri o presi dalla compulsione di agire. Poi riflette su come si possa integrare l'essenza guarendo la ferita originaria, che ci ha colpito, con la comprensione. Traccia inoltre una identitaÁ probabile di organizzazioni sociali e di nazioni che sembrano corrispondere alle varie fissazioni egoiche. Il libro, a mio parere, non tira conclusioni ma lascia la porta aperta a ulteriori considerazioni e approfondimenti di ricerca per il lettore, che guarderaÁ all'Enneagramma come ad una possibile griglia di lettura della vita. cui egli verifica, in particolare, depressione, malattie cardiache, asma, allergie, tumore al polmone. Stimolando il potenziale immunitario della persona, i piaceri aiuterebbero quindi a conservare la salute e ad accelerare i processi di guarigione. Tuttavia il piacere eÁ autentico e umano solo se include una dimensione spirituale, capace di andare oltre il livello fisico e soddisfare anche i gusti dell'intelligenza e della libera volontaÁ, producendo un effetto di equilibrio e di armonia fondamentale per il benessere profondo della persona. Esso infatti influisce sul modo di vivere, sull'attivitaÁ cerebrale, sul sistema ormonale e immunitario, sulla guarigione a livello fisico, psichico e spirituale. Con frequenti rimandi alle esperienze terapeutiche dell'autore, il volume descrive nel dettaglio le sue intuizioni e le sue analisi. 6. Y. SAINT-ARNAUD, Il piacere che guarisce, EDB, Bologna, 2006. L'autore di questo interessante volume, Padre Yvon Saint-Arnaud, oblato di Maria Immacolata, psicologo di fama internazionale, eÁ uno dei fondatori dei Centri canadesi di psicosintesi, la prassi psicologica per l'armonizzazione e lo sviluppo della personalitaÁ umana. «Il riso fa buon sangue» dice un antico adagio di saggezza popolare. Ma esiste una relazione verificabile fra piacere e guarigione? Secondo le ricerche dell'autore, tutta la vasta gamma dei piaceri umani possiede una funzione terapeutica nel trattamento delle forme patologiche, tra 72