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Anno XX - N. 4 ottobre-dicembre 2006
Sommario
EDITORIALE
M. CAPPELLETTO, La donna nella pastorale della salute ....................................3
IL MESSAGGIO DEL TRIMESTRE ..........................................................................6
STUDI
A. SCOLA, Aspetti innovativi della riabilitazione neurologica:
fondamenti antropologici delle implicazioni bioetiche..........................................7
I. MONTICELLI, Farsi prossimo..........................................................................23
PASTORALETN;
A. NARDIN, Colloquio pastorale ........................................................................29
D. CASERA, Lo smalto di Weinest: il Cristo farmacologo ..................................35
A. BRUSCO, La comunicazione con malati di Alzheimer ....................................44
TESTIMONI CONTEMPORANEI
F. URSO, Emmanuele Lozano Garrido...............................................................53
TESTIMONIANZE
A. ANSELMI, Il Padre nostro..............................................................................60
DOCUMENTI
BENEDETTO XVI, Messaggio per la XV Giornata mondiale del malato .............61
Card. D. TETTAMANZI, Lettera ai malati .........................................................64
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ...............................................................................66
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
E D I T O R I A L E
LA DONNA NELLA PASTORALE DELLA SALUTE
Suor Maria Cappelletto
Nell'attuale teologia e nella pastorale acquista un rilievo sempre piuÁ significativo la problematica relativa alla ministerialitaÁ della donna nella Chiesa.
Dopo l'ispirato magistero di Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI non teme di far sentire la sua voce in proposito, invitando a dare piuÁ spazio alle
donne nella Chiesa. Egli intende aprire loro nuovi possibilitaÁ e ruoli, anche
se non eÁ sua intenzione concedere loro il sacerdozio, essendo un sacramento e non un potere di cui la Chiesa puoÁ disporre a piacimento.
In varie circostanze, il Pontefice ha segnalato l'importanza della presenza
delle donne non solo nella dimensione carismatica, ma anche in quella istituzionale, riferendosi al loro apporto in alcuni dicasteri della Chiesa, nei Consigli parrocchiali, nella gestione di movimenti, nell'organizzazione di servizi diocesani, nella docenza scolastica e universitaria, nella ricerca teologica e in
altre discipline. Il papa invita le donne a utilizzare lo slancio e la potenza spirituale che le caratterizza, forza che rinnova la storia e la vita della Chiesa
nel cammino verso la santitaÁ. Egli confida nella donna e lancia una sfida alla
societaÁ attuale.
La donna, da parte sua, deve riscoprirsi persona chiamata a conformarsi
all'immagine di Cristo Signore; ella eÁ chiamata a sviluppare le proprie capacitaÁ umane, intellettuali e spirituali per far giungere il Vangelo nella famiglia e
nell'educazione, nel mondo della comunicazione e delle scienze, nell'ambito
delle leggi e della politica. Dovremmo rallegrarci, dice il papa, se il femminile
ottiene nella Chiesa il posto operativo che gli eÁ proprio: eÁ questo un invito alla riflessione sul valore della reciprocitaÁ uomo ± donna, battezzati, nella missione ecclesiale.
Nel cammino di vita cristiana alcune donne hanno scoperto la loro vocazione teologica, il desiderio d'immergersi nella comprensione profonda del
mistero di Cristo; esse possono offrire il loro apporto specifico allo studio della teologia, in fedeltaÁ alla fede ed al magistero della Chiesa.
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
EDITORIALE
Possiamo ora chiederci: qual eÁ oggi la visibilitaÁ della donna nell'ambito pastorale sanitario? La voce femminile viene ascoltata? Sicuramente un salto
qualitativo eÁ stato fatto, come appare anche dalla nuova Nota pastorale della
CEI: Predicate il Vangelo e curate i malati. La comunitaÁ cristiana e la pastorale della salute che riserva l'intero numero 58 alla valorizzazione del ruolo
della donna, consacrata e laica nella pastorale della salute, non solo auspicando, ma raccomandando la sua partecipazione attiva e corresponsabile. Il
suo inserimento nei progetti pastorali a favore dei malati e della promozione
della salute costituisce una risorsa che puoÁ determinare significativi cambiamenti, offrendo l'apporto di quelle caratteristiche che sono tipiche della donna.
Lo sguardo della donna, infatti, sa accogliere in modo particolare la dimensione della debolezza creaturale della persona umana, facendo in modo
che il sofferente non sia solo nella prova (cf. Nota CEI, n. 29; 53) ma possa
beneficiare della calda vicinanza della comunitaÁ guarita e sanante.
Anche a livello del sapere teologico-pastorale, dove esse sono state a lungo assenti, sia perche lo studio era loro impedito, sia per mancanza di strumenti conoscitivi, le donne possono dare un notevole contributo soprattutto
nello sviluppo della conoscenza esperienziale, che eÁ dimensione essenziale
della teologia.
Nel rispetto e nella promozione della vita umana molto eÁ stato fatto dalla
donna, ma molto rimane da compiere, e si auspica che:
- venga sempre piuÁ favorita la partecipazione della donna alla vita e alla
missione della Chiesa,
- venga allargata la presenza di donne competenti in posti di responsabilitaÁ nell'amministrazione ecclesiale,
- sia approfondito il problema dell'accesso della donna ai ministeri non ordinati della Chiesa (liturgia, giurisdizione),
- si esplorino le possibilitaÁ di collaborazione ecumenica,
- si formino i religiosi alla collaborazione uomo-donna, in base alla loro vocazione ecclesiale,
- si persegua la collaborazione religiosi-laici e con organismi ecclesiali interessati alla promozione femminile,
- si promuovano ricerche a carattere storico, antropologico, teologico e pastorale per offrire una base interdisciplinare scientifica e culturale allo
sforzo di migliorare i rapporti uomo-donna nella societaÁ, nella Chiesa,
nella pastorale della salute.
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EDITORIALE
SaraÁ utile alimentare la pazienza dei piccoli passi e occupare, da parte
della donna, tutti gli spazi che si aprono, fino a passare dall'esperienza al riconoscimento istituito.
Le donne operatrici pastorali amano sentirsi creative, non vittime. Nella relazione uomo-donna eÁ tempo di superare forme di subordinazione che intaccano il rispetto e la collaborazione vicendevole, forme di contestazione e
contrapposizione diffidente; d'altro canto non eÁ auspicabile nemmeno la cancellazione delle differenze.
Aprire spazi nuovi alle donne significa cambiare il volto della Chiesa, far
splendere il volto della Sposa di Cristo. Tutto si gioca sul piano della persona, sulla costitutiva reciprocitaÁ uomo-donna, paradigma dell'infinita dialogia
delle divine Persone. E' l'amore libero e gratuito in Cristo GesuÁ e nello Spirito
che muta il volto della Chiesa, ed eÁ anche compito delle donne credenti e
operatrici pastorali comprenderlo, viverlo e annunciarlo.
Che cosa eÁ Dio? domanda il bambino.
La madre lo stringe tra le braccia
e gli chiede: ``Che cosa provi?''.
``Ti voglio bene'' risponde il bambino.
``Ecco, Dio eÁ questo''.
Felice 2007!
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M E S S A G G I O
D E L
T R I M E S T R E
A mani Vuote
Le feste natalizie coincidono con il termine di un anno e l'inizio di uno nuovo. Intenso e spiriualmente profondo, il periodo liturgico del Natale ci invita a
volgere lo sguardo sia a quanto eÁ stato compiuto sia a quanto ci attende,
con un attegiamento dello spirito tutto particolare, come suggerisce il brano
che segue:
«O Signore, non ho, come i Magi che sono dipinti sulle immagini,
dell'oro da offrirti».
/«Dammi la tua povertaÁ!» /
«Non ho neppure, o Signore, la mirra dal buon profumo
ne l'incenso in tuo onore». /
«Figlio mio, dammi il tuo cuore» (F. Jammes).
La povertaÁ biblica eÁ, certo, anche il distacco dal possesso e dall'accumulo, ma eÁ
soprattutto l'apertura dello spirito a Dio, ai fratelli, al mistero. Il cuore non eÁ solo il
sentimento, ma eÁ soprattutto la coscienza. Ecco, allora, la vera offerta del Natale,
gradita a Cristo: darsi a lui e all'impegno per il prossimo senza riserve, nella passione, nella disponibilitaÁ, nella generositaÁ dell'amore. EÁ la riscoperta di una religiositaÁ
radicale che non si accontenta di qualche devozione o di qualche beneficenza, ma
che si irradia nell'esistenza trasfigurando giorni e opere, riso e lacrime, atti grandi e
azioni semplici. E, allora, l'augurio di ritrovare una fede autentica che alimenti la vita
e che colmi il corpo e l'anima, donando forza nella prova e serenitaÁ nella quotidianitaÁ. O almeno una tensione verso i valori piuÁ alti, abbandonando il chiuso orizzonte
dell'egoismo e sollevandosi dal pantano della banalitaÁ e della superficialitaÁ.
(G. Ravasi)
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S
T
U
D
I
ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE
NEUROLOGICA: FONDAMENTI ANTROPOLOGICI
DELLE IMPLICAZIONI BIOETICHE1
Card. Angelo Scola
1. Accomodarsi nella finitudine?
Qualche anno fa, di passaggio a
Monaco di Baviera, mi colpõÁ il titolo
di un saggio del giovane filosofo tedesco Marc Jongen, pubblicato sull'inserto dell'assai diffuso quotidiano Die
Zeit: L'uomo eÁ solo l'esperimento di se
stesso.1 L'autore vi postulava la necessitaÁ di lasciarsi definitivamente alle
spalle ogni traccia, per altro secondo
lui ormai quasi definitivamente illeggibile, della concezione classica di
matrice greca e giudaico-cristiana,
dell'uomo inteso come soggetto-persona, ed in quanto tale come provvisto di una irriducibile dignitaÁ, fonte
di diritti e di doveri ultimamente garantiti dal sistema delle leggi. Questo
passaggio epocale, non solo per Jongen ma per molti pensatori contemporanei che oramai attraverso la vulgata mediatica vanno imponendo una
simile concezione, sarebbe imposto
dalla realtaÁ stessa delle cose. La capacitaÁ che l'uomo ha acquisito, nell'era
post-genomica, di intervenire sull'origine della sua stessa vita e quella, se
non di vincere, almeno di ``controllare'' i processi della morte ed i fenomeni del dolore e della sofferenza
che sovente l'accompagnano, urge-
rebbero ad assumere questa oggettiva
concezione ``scientifica'' dell'uomo.
L'unica veramente dinamica, plasmabile, aperta a tutte le novitaÁ che gli
strabilianti risultati del binomio
scienze (biologiche) e (bio) tecnologie
non cesseranno di propiziare.
Se certa contemporaneitaÁ esplicita
in questo modo il divieto di Comte di
porre la domanda sul senso dell'esserci
(Dasein) di quell'essere (l'uomo) che
vive di domande sarebbe perche la
realtaÁ delle cose rende tale domanda
(filosofica e religiosa) un radicale
non-senso. Lo attesterebbero, a livello macro e micro, le scienze piuÁ svariate non ultimo la stessa antropologia ``scientifica' che da piuÁ parti postula la distruzione definitiva di ogni
fondamento e delle categorie ``identitarie'' e ``rappresentative'' che la sorreggono.2
EÁ forse finalmente apparso sulla
terra quel superuomo di cui parlava
lo Zarathustra di Nietzsche quando
affermava che «l'uomo eÁ qualcosa
che deve essere superato. Che cosa
avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri fino ad oggi hanno creato qualcosa che andava al di laÁ di loro stessi
(...) Che cos'eÁ la scimmia per l'uomo?
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
STUDI
Qualcosa che fa ridere, oppure suscita un doloroso senso di vergogna. La
stessa cosa saraÁ quindi l'uomo per il
superuomo: un motivo di riso o di
dolorosa vergogna».3 Non eÁ necessario spingersi fino a questo punto che,
tra l'altro, non rinuncia alla questione
filosofica del significato dell'uomo.
Basta ± si dice ± accettare con prudente e saggio realismo che i sentieri
della ricerca del ``significato ultimo''
sono definitivamente interrotti e stare
ai dati che le scienze ci offrono,
tentando di cavarne, di volta in volta,
il massimo vantaggio. Del resto non
era giaÁ Pascal ad affermare che «l'uomo supera infinitamente l'uomo»? Si
tratta solo di decidersi ad una lettura
veramente ``scientifica'' di questa antropologia dinamica.
Pur non condividendola, non intendo in alcun modo banalizzare questa posizione. Ne voglio rapidamente
scomodare accuse di relativismo e di
nichilismo per pronunciare condanne. La considero piuttosto l'espressione del travaglio epocale in cui siamo immersi in questo inizio di millennio, ben visibile anche ad altri livelli ed in altri processi in atto sul
pianeta quale la globalizzazione, la civiltaÁ delle reti, l'ingiustizia radicale
verso il Sud del pianeta e, soprattutto, il meticciato di culture con le dolorose implicazioni di terrore e di
guerra. La prospettiva della clonazione umana, pur non sconvolgendo in
se e per se il concetto biologico di
embrione nella sua origine, costituisce di fatto una rivoluzione di tale
portata nel modo di concepire la singolaritaÁ della persona umana in tutto
l'arco del suo sviluppo, da farci supe-
rare ogni dubbio filosofico circa il
fatto se sia o meno cominciata la
post-modernitaÁ. Infatti se il succedersi delle epoche eÁ segnato da irreversibili cesure, che ovviamente non
possono cancellare importanti elementi di continuitaÁ, allora la clonazione puoÁ essere considerata la cifra
della cesura tra modernitaÁ e post-moderno.
Nella prospettiva tracciata, la finitudine in cui versa non sembrerebbe
spaventare piuÁ l'uomo. L'angoscia di
heideggeriana e freudiana memoria
non apre piuÁ la domanda sull'essere
o almeno sulla consistenza profonda
dell'io. Ancor meno tale finitudine
urge la domanda ultima che daÁ vita
alla filosofia e che, comunque la si voglia definire, eÁ domanda religiosa
perche interrogazione misteriosa sulla
``X'' con la maiuscola che i popoli
hanno per lo piuÁ chiamato dio. Si
tratterebbe semplicemente di accettare la finitudine, agendo perche «il
mestiere di vivere» (Pavese) pesi sempre di meno grazie ai potenti mezzi
che scienze e tecnologie ci offrono.
Ne verrebbe, secondo i sostenitori di
questa scelta, un piuÁ realistico esercizio della libertaÁ non sganciato da valori. Mediante un accurato impiego
del criterio pratico del ``vietato vietare'', si potrebbe costruire una ``democrazia per procedure'' in cui la libertaÁ
individuale troverebbe finalmente come ragionevole limitazione solo un'adeguata riedizione della regola aurea
di Kant. L'etica stessa, rinunciando
ad assoluti, potrebbe favorire tolleranza, positiva attenzione all'ambiente, in particolare agli animali, assunzione finalmente autonoma e dignito8
ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola)
sa da parte dell'uomo della vita e della morte. Se ci decidessimo a riconoscere che l'uomo eÁ solo il suo proprio
esperimento, finirebbero integralismi, fondamentalismi di ogni sorta,
compresi quelli religiosi, con le violenze che da sempre ad essi conseguono.
Non eÁ il paradiso eterno promesso
dalle religioni, ma un paradiso terrestre ± almeno per noi cittadini del
Nord opulento del pianeta ± nel quale accomodarsi con un sufficiente
grado di soddisfazione e gaiezza.
Camillo, viene identificato con il Dio
di GesuÁ Cristo, il Deus caritas la cui
essenza eÁ appunto Amore.
La ragione della mia introduzione
non eÁ neppure legata, l'ho giaÁ detto,
ad una pessimistica valutazione del
nostro presente e del nostro futuro.
Non parlo mai di crisi, ma di travaglio e non sopporto quella che uso
chiamare ``la pastorale del corvo'': dipingere il mondo come una distesa di
cadaveri su cui gettarsi come corvi
gracchianti maledizioni perche la via
del bene eÁ stata abbandonata.
Sono partito volutamente da un rapido schizzo della mondovisione che
fa riferimento alla finitudine non solo
perche essa eÁ la piuÁ o meno innocente conseguenza dell`universalismo
scientifico''4 in cui oggi siamo immersi e quindi poco o tanto ha investito
noi tutti come l'aria che respiriamo,
ma soprattutto perche questo mi
sembra la via piuÁ diretta per intercettare le istanze profonde dell'esperienza umana elementare.
Se si prova che anche questa mondovisione non riesce ad estinguere
l'esperienza umana elementare, allora
significa che con essa resiste la domanda antropologica (filosofico-religiosa) di significato. Sono, infatti,
convinto che come in un terreno apparentemente ``morto'' e coperto di
detriti, a primavera spunta sempre
qualche filo d'erba, cosõÁ avviene per
le domande costitutive del cuore dell'uomo. Ed io che sono? Alla fine chi
mi ama? Chi mi assicura? Che senso
per il nascere e per il morire? E prima
e dopo? L'antropologia scientifica
della finitudine copre forse queste
domande, ma non le elimina. E l'e-
2. Riabilitazione neurologica
e bioetica
Perche partire da un simile quadro
per inserire i temi bioetici legati alla
vostra importante e, perche no?, affascinante ricerca e pratica clinica? La
riabilitazione neurologica, la cui origine eÁ recente, e di cui questo Centro e
voi stessi siete significativi esponenti,
eÁ senz'altro un'espressione assai positiva degli strabilianti risultati del connubio scienze-tecnologie. Eppure l'istituzione che organizza questo importante convegno ± il secondo in
poco tempo ± eÁ in se stessa la testimonianza di una mondovisione oggettivamente e qualitativamente assai
diversa da quella che abbiamo condensato nell'efficace formula di Jongen. Una mondovisione in cui la considerazione antropologica dell'uomo
in tutta la sua dinamicitaÁ, non rinuncia a vederlo come soggetto-persona
la cui dignitaÁ eÁ ultimamente garantita
da un essere personale trascendente
che in questa sede, sulle orme di san
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STUDI
sperienza della malattia, della sofferenza e della morte che pazienti, parenti ed operatori sanitari vivono eÁ
sufficiente a mettere in dubbio la pretesa che la finitudine basti a se stessa
e che l'uomo sia solo il suo proprio
esperimento.
Ancor piuÁ il dubbio sulla mondovisione che si accomoda nella finitudine eÁ insinuato dalle stesse questioni
bioetiche su cui voi intendete pronunciarvi accuratamente in questo
convegno. In che senso e percheÂ?
Benche la bioetica sia una disciplina
assai giovane, dai contorni spesso incerti, eÁ innegabile il dato che in pochi
anni ha fatto irruzione in tutti i campi
della sanitaÁ. E si sta accollando una
sequenza sempre piuÁ lunga e complessa di interrogativi che le scienze e
le tecnologie suscitano. Ascoltando le
domande che il plesso di scienze impiegato dalla medicina pone a partire
dal fatto che si occupa della salute
dell'uomo ± mette cioeÁ in campo le
questioni centrali della vita e della
morte -, la bioetica apre sempre e di
nuovo la questione dell'humanum
(antropologia filosofica) con le conseguenti mondovisioni. Queste domande si risolvono alla fine in un solo
grande interrogativo: l'anelito alla durata, all'infinito che sta al cuore della
domanda di salute del paziente eÁ
frutto di un errore di prospettiva?
L'infinito (Dio), comunque lo si pensi, una vita oltre la morte che orienti
la vita prima della morte, eÁ l'illusione
pietosa dietro cui nascondiamo la nostra incapacitaÁ psicologica di vivere
nella finitudine? Oppure l'anelito di
immortalitaÁ, questa aspirazione a risorgere dopo la morte nel nostro ``ve-
ro'' corpo, che tutti ci portiamo nel
cuore, eÁ una caparra di infinito? Finitudine o infinito? Quale eÁ alla fine la
cifra che scioglie l'enigma dell'uomo?
La comparsa della bioetica negli
ambienti della sanitaÁ, lo si riconosca
o meno, impone attraverso i brucianti
interrogativi che voi ben conoscete ±
dall'impiego delle cellule staminali
(quali?), fino all'accanimento terapeutico e all'eutanasia, dal delicato
rapporto economia-organizzazione
della sanitaÁ fino al diritto alla riabilitazione di persone sopra i 65 anni ±
che si affronti questa che eÁ la questione centrale.
In questo contesto posso svilupparle solo sommariamente. Per essere
il piuÁ possibile concreto, non intendo
affrontare la questione antropologica
in recto, ma piuttosto in obliquo. Reputo piuÁ utile che io mi limiti a rispondere a due domande: quale vita
e quale morte? L'aggettivo interrogativo quale chiarisce comunque subito
che il mio intento eÁ quello di offrire
una prospettiva antropologica, filosofica e teologica; d'altra parte scegliere
di non parlare direttamente di chi eÁ
l'uomo in quanto tale, ma della sua
vita e della sua morte permette di tener d'occhio le implicazioni bioetiche
che voi esaminerete, ma soprattutto
entra piuÁ direttamente nel campo del
vostro quotidiano lavoro di ricerca e
di clinica. Ancor piuÁ vorrebbe chinarsi a considerare l'attore indiscutibile del mondo della sanitaÁ, il paziente segnato dalla domanda di guarigione. Domanda spesso carica di sofferenza e non di rado posta sotto l'ombra della morte. Domanda che tocca
da vicino i rapporti primari decisivi
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ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola)
(parenti, amici, comunitaÁ) e non cessa di ferire l'operatore sanitario.
trasposizione meccanica, a livello di
sapere riflesso, della percezione sincretica per la quale il senso comune
coglie il novum radicale connesso coll'apparire con la specie umane dei fenomeni ``coscienza'' ed ``autocoscienza''. Personalmente sono convinto
che questo novum esista e che, nell'ottica di un sapere completo e rigorosamente articolato sull'uomo, sia,
alla fine, ben dimostrabile, ma questo
esige un impegno critico considerevole e mai scontato.
Un secondo esempio puoÁ ulteriormente illuminare dal punto di vista filosofico la delicatezza critica della nozione di vita e di storia della vita (quale vita?). Mi riferisco al principio di
individuazione di ``quel singolo'' uomo, espressione tanto cara a Kierkegaard. EÁ certo possibile mostrare, in
maniera adeguata, il principio che
presiede all'insorgere della differenza
personale che caratterizza il singolo
individuo all'interno della specie
umana e mostrare la diversa qualitaÁ
rispetto al principio di individuazione
che si daÁ all'interno della specie animale, ma eÁ un'impresa complessa. Infatti quando si parla di individuo
umano a cosa esattamente ci si riferisce? Al fatto che ogni uomo eÁ interamente uomo ed in questa ``appartenenza al genere'' consiste la sua individua unitaÁ, oppure al fatto che ogni
uomo eÁ indivisibilmente se stesso (individuo)? Non si potraÁ mai scegliere
per l'uno o per l'altro polo. Nel campo della contingenza, pertanto anche
per quella creatura finita che eÁ l'uomo, l'unitaÁ eÁ sempre polare (duale:
singolo-genere) e, quindi, fonte di
permanenti tensioni non sempre ``fa-
3. Quale vita?
Sulla vita e sulla storia della vita le
spiegazioni tranquillizzanti sono insufficienti. Oggi, spesse volte, esse
non sono all'altezza delle domande
reali. L'interesse crescente ± e talora
obbiettivamente squilibrato ± per il
mondo animale e per quello degli spiriti che caratterizza, sempre piuÁ, gli
abitanti del Nord del pianeta, confermano questo dato. Non solo, come
abbiamo detto, il riferimento alle
scienze biologiche (che sono alla base
della bioetica) mostra la complessitaÁ
(non l'impossibilitaÁ) dell'impresa di
definire con elementare chiarezza la
nozione di vita e il plesso di questioni
che ad essa si lega, ma anche a livello
delle discipline filosofiche e teologiche la questione della vita e di quale
vita chiama in causa una riflessione
critica complessa. Basti citare, per
esempio, il delicato problema dell'interpretazione del continuum che si daÁ
nel passaggio dalle diverse forme vitali (soprattutto da quelle dei primati
superiori a quella umana) in rapporto
alla qualitaÁ ontologicamente ``altra''
della vita umana. Se lanciando l'accusa di specismo taluni autori (Singer5)
hanno potuto trovare una accoglienza
notevole, influenzando fortemente il
clima culturale dominante, bisogna a
maggior ragione affrontare, senza
semplicistiche autosufficienze, le problematiche complesse ed articolate
legate all'apparire della coscienza e
dell'autocoscienza. Non basta una
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STUDI
cili da pensare''.
Tanto piuÁ che la possibilitaÁ della
``clonazione'' umana mostra l'insufficienza di una trasposizione automatica
± cioeÁ senza continui approfondimenti teorico-pratici, a livello della
convivenza civile e della sua regolazione statuale, di principi come quello della libertaÁ di coscienza individuale o quello della stessa regola aurea
(''non far all'altro cioÁ che non vuoi sia
fatto a te'').
Qual contenuto dare allora alle nozioni di ``vita'' e di ``storia della vita''?
Due mi sembrano i dati incontrovertibili.
Il primo prende avvio da una delimitazione e quindi, a prima vista, da
una negazione. L'identitaÁ della vita
umana, e quindi della persona umana, non puoÁ essere integralmente rilevata solo biologicamente (a livello di
una pura indagine di biologia positiva). Anzitutto gli atti del tendere all'altro e del partecipare alla sua azione
si distinguono dai puri fatti biologici,
nonostante siano condizionati dalla
situazione biologica in cui vengono
compiuti. In secondo luogo la vita e
l'identitaÁ dell'uomo si rivelano definitivamente nel suo continuo uscire
dallo stato presente, perche quella
dell'uomo eÁ una vicenda che sfugge,
in ogni direzione, ad uno spazio temporale chiuso. La vita e l'identitaÁ dell'uomo hanno una storia (passato) il
cui senso eÁ da leggere alla luce di
quel futuro che eÁ presente (incombe)
in ogni istante del tempo ma che non
si identifica con alcuno di essi.
Vani saranno percioÁ gli sforzi per
trovare tale identitaÁ solo nelle configurazioni delle componenti biologi-
che e delle catene genetiche (Grygiel6). In questo preciso senso eÁ assai
difficile cogliere la qualitaÁ essenziale
della vita umana personale se non si
riconosce in una datitaÁ ultima, che i
greci chiamavano physis (natura), l'intreccio profondo ed inscindibile tra
l'elemento bio-istintuale e quello psico-spirituale che lo trascende. Dice
Hoelderlin nella sua poesia ``Il reno'':
«Enigma eÁ il puro scaturire, anche il
canto puoÁ appena svelarlo, come cominci tale resterai, per quanto agisca
la costrizione e il rigore il piuÁ lo puoÁ la
nascita e il raggio di luce che al neonato va incontro». «Come cominci tale
resterai... il piuÁ lo puoÁ la nascita»: in
questo senso in ogni singolo uomo si
rivela un nucleo dato ed incoercibile
(l'umana natura). Nessuna cultura
puoÁ costruire ± per cosõÁ dire ± dal
niente, l'umana natura del singolo.
Inoltre «per quanto agisca la costrizione e il rigore» non si puoÁ evitare il
ruolo del «raggio di luce che al neonato va incontro». Il poeta conferma
che il carattere strutturalmente enigmatico dell'uomo rivela l'insuperabilitaÁ della unitaÁ duale di anima-corpo
che lo costituisce.
Queste constatazioni mi sembrano
far emergere una contraddizione centrale spesso riscontrabile nel dibattito
attuale intorno alle brucianti questioni bioetiche. Se si vuole veramente
stare anche a cioÁ che le scienze (soprattutto biologiche) ci dicono ± esse
ci attestano la natura come dato ±
non si puoÁ accettare una prospettiva
teoretica per la quale la natura umana
possa essere a tal punto plasmata dalla cultura da risultare creata da questa. L'esperienza del continuo cam12
ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola)
biamento che si verifica in ogni individuo non puoÁ essere acriticamente
elevata di per se stessa a espressione
di ``come le cose stanno'' per affermare la titanica pretesa che la cultura
produca la natura. Inoltre l'analisi
biologica dell'origine e dello sviluppo
dell'embrione non eÁ sufficiente a negare che il raggio di luce della sua costitutiva relazione all'altro (intesa non
come qualcosa di estrinseco o di giustapposto a tale dato [natura], ne come puro prodotto accidentale dell'autocoscienza umana, ma concepita
come qualcosa di originario, attraversi realmente il dato bio-istintuale per
dar origine alla vita umana di questa
singola persona. La vita e l'identitaÁ
dell'uomo implicano questo suo essere presente all'altro che passa attraverso la presenza stessa dell'altro a
seÂ. In questo senso il venire alla luce
dall'atto coniugale di amore di un padre e di una madre rappresenta una
elementare rivelazione di quale vita
sia la vita dell'uomo.
Come la tradizione del realismo insegna, la vita umana si coglie in quanto totalitaÁ unificata di una duplice dimensione: quella spirituale e quella
corporale, pensate in profonda unitaÁ
polare. Quella dell'uomo eÁ una unitaÁ
duale. Senza di essa eÁ impossibile dire tutto l'uomo. Qui dovremmo aprire un dialogo approfondito sull'origine e sul destino dell'uomo per spingere fino in fondo il confronto con la
mondovisione che propone di accomodarsi nella finitudine. Si potrebbe
cosõÁ mostrare la fondatezza dell'esperienza umana elementare (non importa se eÁ pre-scientifica!) secondo la
quale la vita umana, fin dal suo con-
cepimento, si rivela ontologicamente
inserita in una natura costituita dall'unitaÁ duale di anima e di corpo.
EÁ cosõÁ posto un primo insieme di
argomenti che differenzia in maniera
specifica la vita umana rispetto ad
ogni altro tipo di vita e costituisce
l'asse di risposta alla domanda ``quale
vita?''. Purtroppo la sinteticitaÁ di
queste formulazioni puoÁ far sembrare
questa mia riflessione, che pure era
partita dal riconoscimento della complessitaÁ della categoria di vita, quasi
come una captatio benevolentiae. Si
potrebbe obiettare: ``alla fine qui si ritorna a riproporre qualcosa di antico''.
Mi limito a ricordare che non esiste
criticitaÁ possibile al di fuori di un positivo che precede la critica e su cui la
critica possa esercitarsi. Il positivo mi
avviene (viene al mio incontro!).
L'autentica novitaÁ non eÁ necessariamente l'inedito, ma puoÁ essere il riproporsi dell'antico!7
Vi eÁ un secondo elemento, cui voglio fare cenno brevemente, necessario ai fini di cogliere la natura specifica della vita umana. EÁ indicato dalla
comprensione adeguata di un'altra
dimensione costitutiva dell'antropologia drammatica (unitaÁ duale). Mi riferisco alla polaritaÁ costitutiva di uomo/donna. Ogni uomo non eÁ solo
uno di anima e di corpo, eÁ uno anche
di uomo e di donna. EÁ la natura nuziale (sponsale) della persona umana
che la rende, ad un tempo, ricettacolo di amore e capace di amore. Non
pochi interrogativi oggi posti alla
bioetica stanno facendo progressivamente esplodere l'unitaÁ delle tre
componenti costitutive della nuzialitaÁ: la differenza sessuale, il dono di seÂ
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STUDI
(amore) e la feconditaÁ. La mentalitaÁ
contraccettiva ha diffuso su larga scala la possibilitaÁ di separare il rapporto
sessuale dall'amore e dalla feconditaÁ.
Con il fenomeno della fecondazione
in vitro e, soprattutto, con la prospettiva della clonazione, la differenza
sessuale e la procreazione possono diventare realtaÁ del tutto separate. Ma
la possibilitaÁ tecnica di dissolvere l'intreccio del fenomeno unitario della
nuzialitaÁ ± manifestazione oggettiva
dello ``specifico'' della vita umana intesa come evento singolare personale
di una natura ontologicamente informata dalla luce spirituale che la fa essere dall'altro e per l'altro ± piuÁ che
un potere, rivela l'impotenza della
cultura contemporanea a dare una risposta solida alla questione ``quale vita?''. In effetti la vita di ogni singolo
uomo eÁ naturalmente collocata nella
differenza sessuale considerata come
reciprocitaÁ (asimmetrica) che attraverso l'esperienza dell'amore si apre
oggettivamente alla feconditaÁ.
La domanda: ``quale vita per l'uomo?'' trova cosõÁ un'altra linea di risposta complementare a quella precedente.8 La vita umana eÁ, precisamente, quella vita che eÁ proporzionata alla natura propria della differenza sessuale, la quale consiste appunto in
una reciprocitaÁ (asimmetrica) oblativamente assunta dall'amore. Il fatto
di esistere sempre e solo come persone di sesso maschile o come persone
di sesso femminile non apre il singolo
ad una ricerca androgina ± oggi culturalmente assai diffusa ± dell'altra
metaÁ di se in vista della ricomposizione di un ``uno'' che, per gelosia, un
dio avrebbe all'origine diviso (Aristo-
fane di Platone), ma lo spalanca a
quel riconoscimento, carico di sorpresa, dell'altro come condizione della veritaÁ del proprio io. Riconoscimento che ha, nell'apertura al terzo,
la sua garanzia inestirpabile. Il significato della vita umana eÁ al cuore della
differenza sessuale propria degli uomini, qualitativamente diversa da
quella animale. A tal punto che uno
dei massimi geni del pensiero contemporaneo ha potuto affermare:
«l'atto dell'unione di due persone
nell'unica carne e il frutto di questa
unione dovrebbero essere considerati
insieme saltando la distanza del tempo».9
Qui si aprirebbe lo spazio per cercare un ulteriore fondamento antropologico della singolare identitaÁ della
vita umana e dell'uomo stesso. Questo ci porterebbe a scandagliare ulteriormente il denso mistero dell'uomo
per sciogliere l'enigma di questo essere che, nello stesso tempo, esiste e
non ha in se il fondamento del proprio essere. Senza predeterminare il
dramma del singolo a cui ognuno di
noi eÁ quotidianamente esposto nell'esperienza umanissima dell'alteritaÁ che
eÁ la maternitaÁ, la paternitaÁ, la figliolanza, la relazione tra l'uomo e la
donna e, in ogni caso, l'esperienza
dell'amore come tale, saremmo cosõÁ
condotti ± almeno quanti di noi hanno, per grazia, avuto il dono di incontrare l'origine stessa dell'amore in
Cristo GesuÁ ± a tentare paragoni arditi, sulla scorta dell'analogia, con la
nuzialitaÁ che vive all'interno degli
stessi rapporti intra-trinitari. Ma non
eÁ questa la sede per poter entrare in
simili affascinanti questioni che pure
14
ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola)
sarebbero di grande utilitaÁ per le implicazioni bioetiche delle vostre ricerche.
L'interrogativo ``quale vita?'', come
ogni questione elementare e percioÁ
universale, ha la forza di mettere in
campo un tale numero di problemi e
di tale densitaÁ da togliere il sonno a
quanti, tra i cultori della bioetica, si
illudessero di poter delimitare con facilitaÁ l'ambito della loro ricerca con
l'inesorabile interdisciplinarietaÁ che
vi eÁ implicata. In ogni caso si tratta di
un'inquietudine positiva per l'uomo e
per le scienze!
la piuÁ radicale delle alternative che
connotano l'esperienza umana elementare.
Nel 1995 formulando il documento Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, il Comitato Nazionale di Bioetica affermava: «La
morte non puoÁ essere considerata alla
stregua di un mero evento biologico o
medico: essa appartiene ad un ordine
completamente diverso, rispetto a
quello cui appartiene l'evento morboso
(...). La morte infatti propone all'uomo un compito propriamente morale:
quello di trovare un senso che guidi e
sostenga la sua libertaÁ, che come libertaÁ umana trova la sua radice nella consapevolezza da parte del soggetto della
propria invincibile caducitaÁ».10 Questa
affermazione, anche se bisognosa di
qualche rigorizzazione, eÁ importante
per almeno due ragioni.
Anzitutto pone una differenza qualitativa tra evento morboso ed evento
morte. Pur essendo spesso collegati, i
due eventi sono di natura diversa. La
morte non eÁ riducibile a mero evento
biologico cui si possa venire incontro
medicalmente. Indipendentemente
dal fatto, su cui non importa qui insistere, che anche l'evento morboso
non eÁ mero evento biologico ± questa
sarebbe una prima necessaria rigorizzazione da apportare al documento ±
qui eÁ importante rilevare che la notazione del Comitato Nazionale di
Bioetica introduce la dimensione antropologica come decisiva per affrontare la questione quale morte. Afferma, infatti, che essa eÁ «portatrice di
un signifcato».11
In secondo luogo lo stesso documento apre la strada alla ricerca di
4. Quale morte?
Chi vinceraÁ alla fine: la morte o
questa misera carne mortale? Anche
in questo dilemma eÁ racchiuso il terreno di confronto tra le due mondovisioni che abbiamo messo in campo.
Accomodarsi nella finitudine che
puoÁ, come abbiamo riconosciuto, dar
luogo a nobili ma ultimamente rassegnati stili di vita o assumere lo stile di
vita che proviene dalla sicura e consolante speranza della risurrezione
della carne, dipende alla fine dalla risposta data a questa ineludibile domanda. Infatti, come diceva l'inquietante romanziere francese Houellebecq, la morte eÁ come un rumore di
fondo che accompagna ogni istante
della vita di noi tutti. Ne ci si puoÁ illudere che le brucianti questioni
bioetiche, comprese quelle specifiche
che riguardano la riabilitazione neurologica, possano restare indifferenti
alla scelta antropologica di fondo con
cui si intende guardare a questa che eÁ
15
STUDI
questo significato nella direzione antropologico-filosofica che la morale
(potremmo anche dire la bioetica)
impone. Addirittura si spinge ad affermare che di fronte alla morte il
soggetto mette in gioco la radice stessa della sua libertaÁ che consisterebbe
nella consapevolezza della «propria
invincibile caducitaÁ». Anche questa
espressione necessita di maggior rigore, ma anzitutto conviene rilevare che
anch'essa ha il pregio di porre in primo piano un'altra volta l'urgenza dell'interrogativo antropologico quale
morte?
Neppure per la morte, come giaÁ
per la vita, ci si puoÁ fermare al biologico. Alla domanda quale morte?
conviene tutti cercare risposta se la libertaÁ vuol trovare il sentiero per misurarsi con l'altra inesorabile domanda: perche la morte? Altrimenti la caducitaÁ sarebbe veramente irriducibile
in senso assoluto e la vanitas di cui
parla il libro del Qoelet (1, 2: «VanitaÁ
delle vanitaÁ, tutto eÁ vanitaÁ») si stenderebbe come un'invisibile ma tenace
coltre su ogni aspetto dell'esistenza
umana esponendolo all'annichilamento. Ne verrebbe quella «schiavituÁ
del timore della morte» in cui «erano
tenuti tutti gli uomini», di cui parla la
Lettera agli Ebrei (2, 15), e da cui deriva l'insopprimibile sapore di estorsione che sempre si connette al morire dal momento che anche il suicida,
ed anche colui che, come Kolbe, sceglie di morire al posto di un altro, doveva comunque morire.
La risposta alla domanda quale
morte? interessa tutti: sia i cultori della tesi dell'accomodarsi nella finitudine, sia quelli che non rinunciano a
cercare il senso e il significato (fondamento) della vita, e percioÁ della morte, che riveli come la caducitaÁ non sia
irriducibile in senso assoluto. In altre
parole la questione suona cosõÁ: il tempo che passa eÁ inesorabile caduta nel
nulla o eÁ l'andare incontro ad una
Presenza che riscatta la caducitaÁ inoltrandola definitivamente nell'eterno?
La risposta di Rilke alla domanda:
quale morte? resta per me insuperabile: «DaÁ Signore a ciascuno la sua morte. La morte che fiorõÁ da quella vita, in
cui ciascuno amoÁ, pensoÁ, sofferse».12 EÁ
impressionante la profonditaÁ di questa risposta. Tutti noi lo sentiamo,
benche la nostra morte non possa essere da noi esperita se non nell'evento in cui si produrraÁ. Adorno non ha
ragione contro Rilke quando afferma:
«La famosa preghiera di Rilke eÁ un
miserevole inganno con cui si cerca
di nascondere il fatto che gli uomini
oramai crepano e basta».13 PercheÂ?
Perche Rilke cerca la risposta lungo
l'unica strada possibile ad una libertaÁ
finita (ma aperta all'infinito) come
quella umana. Paradossalmente la
sua risposta eÁ una potente domanda,
anzi eÁ un'invocazione rivolta a Qualcuno perche la mia morte sia il mio
compimento. CioÁ puoÁ avvenire solo
se il morire chiama in qualche modo
in causa la mia libertaÁ. La morte puoÁ
essere personale solo se si connette in
qualche modo alla mia libertaÁ.
Ma come parlare di libertaÁ a proposito della morte, come parlare di
morte come fioritura, percioÁ in un
certo senso pienezza e compimento
di vita, se essa possiede sempre il carattere di un'estorsione, anche nei casi estremi del suicida e di chi si conse16
ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola)
gna volontariamente al martirio?14
Certo, a prima vista questa obiezione
appare insuperabile. Non si daÁ risposta convincente alla domanda quale
morte? se non si scioglie il nodo tremendum che le eÁ sotteso: perche la
morte? Tra l'altro, questo eÁ il nodo
con cui ha permanentemente a che
fare la vostra ricerca e la vostra pratica clinica. EÁ il nodo che afferra alla
gola il paziente quando vi domanda
la guarigione. EÁ il punto in cui la domanda di salute si lega inestricabilmente con quella della salvezza. Lo
esprime bene Kafka: «Mi salverai?
Sussurra singhiozzando il giovane, abbagliato dalla vita che ferve nella sua
ferita».15
nessuno di fatto puoÁ sottrarsi.
Ogni atto della libertaÁ finita, anche
il piuÁ banale, come l'uscire da quella
porta, si puoÁ definire compiutamente
solo quando ``accade'', quando lo si
``performa''. Quindi non eÁ mai del
tutto dominabile a priori dalla mia
scelta. CioÁ significa che, a ben vedere,
il fatto per cui soprattutto la morte
non possa essere dominata dalla mia
scelta eÁ del tutto analogo a cioÁ che si
verifica in ogni atto della mia libertaÁ.
La finitudine si sente in ogni atto. Il
finito non eÁ l'infinito. Perche non sono Dio? Narcisismo e delirio di onnipotenza da una parte, ci spingono a
fingerci Dio, malinconia e disincanto
conducono ad accomodarci nella finitudine. Ma queste non sono risposte.
PiuÁ realista eÁ l'atteggiamento di chi,
lo ripeto, non riduce la propria libertaÁ a libertaÁ di scelta. Questa eÁ infatti
preceduta da un dato per cosõÁ dire
``naturale'': il mio essere situato nella
carne (corpo dato, natura) mi ``inclina'' in modo ``spontaneo'' ad assumere attitudini e comportamenti che
realizzino il mio bisogno di consistenza. Diciamo pure che mi soddisfino,
che siano un bene per me. San Tommaso ha ben espresso questo dinamismo, che sta alla radice della libertaÁ,
parlando di inclinazioni naturali come cioÁ che «conviene all'uomo come
natura vivente, animale e razionale».16 Ma vi eÁ un altro piuÁ importante
elemento che definisce l'ampiezza
della libertaÁ umana e che attraversa
tutta la libertaÁ di scelta e nello stesso
tempo la trascende. Il fatto che l'atto
della mia libertaÁ non sia catturabile
prima che io lo compia mi dice che
per porre in modo ragionevole anche
Come puoÁ la mia libertaÁ ± riprendo i termini del documento del Comitato Nazionale di Bioetica ± appropriarsi della morte se tutto sembra
conclamare il contrario? Solo se io riconosco che la mia libertaÁ non si riduce a pura libertaÁ di scelta. Solo se
riconosco che essa fiorisce su un prima che la desta e la attira. Un terreno
da cui la libertaÁ di scelta di ogni uomo trae la sua linfa lungo tutta l'esistenza, per poter giungere all'atto
estremo dell'abbandono nella morte.
Certo, l'evento della morte, in quanto
evento, non eÁ mai in senso assoluto
alla portata della scelta dell'uomo (se
non, come accenneremo, nel caso di
GesuÁ Cristo, quell'uomo singolare in
senso assoluto), ma cioÁ non impedisce alla libertaÁ di appropriarsene in
qualche modo. Anzi questo lavoro di
appropriazione eÁ il livello primario
dell'impegno etico ed ascetico della
vita di ogni persona. Impegno a cui
17
STUDI
l'atto banale di uscire da quella porta
devo disporre del significato ultimo
della libertaÁ stessa. Solo questo mi
consente alla fine tale atto. Questo significato deve essere della stessa natura dell'atto di libertaÁ. Non puoÁ essere percioÁ un'idea. Deve essere esso
stesso un evento che si dona in ogni
atto di libertaÁ perche io lo performi.
Questo evento eÁ una Presenza in
qualche modo assoluta che, piuÁ o meno consapevolmente, mi attira a se a
partire dalle inclinazioni naturali e attraverso tutti gli atti di libertaÁ che
compio lungo la mia esistenza. GiaÁ a
questo livello si puoÁ riconoscere che
in forza del suo carattere oblativo
questo evento eÁ Amore con la maiuscola.
In sintesi: nessun atto di libertaÁ puoÁ
essere ridotto alla pura libertaÁ di scelta. Anzi questa non puoÁ mai prescindere da una parte dall'assecondare
un'inclinazione che la precede e, dall'altra, dalla risposta dovuta all'Assoluto vitale (VeritaÁ-bene) che nella scelta stessa le si offre per permetterla.
Se si riflette con attenzione si deve
riconoscere che la morte mette in
campo in maniera particolarmente
acuta questi due fattori che, con la libertaÁ di scelta, sono costitutivi dell'atto di libertaÁ. Essa eÁ legata in modo
radicale alla datitaÁ finita della mia natura che mi precede ed in essa l'Assoluto mi interpella in modo ultimativo.
Pertanto l'impotenza ultima della dimensione di scelta di fronte alla morte non spersonalizza la mia morte. Al
contrario questa mancanza, dovuta
appunto alla caducitaÁ, spalanca l'uomo al compito della vita potenziare
gli altri due fattori che condurranno
la mia libertaÁ alla soddisfazione e cioeÁ
l'inclinazione naturale (le implicazioni bioetiche sono qui chiamate in
causa a livello antropologico, cosmologico e sociale!) e l'accoglienza dell'evento della veritaÁ-amore (qui riappare con forza l'insopprimibile domanda filosofico-religiosa che secondo Comte non si dovrebbe piuÁ porre). Nell'atto del mio morire il tempo
della libertaÁ di scelta termina e mi
vien chiesto un abbandono totale al
dono della VeritaÁ-Bene che, attraverso le inclinazioni naturali, giaÁ mi attirava a seÂ. In questo senso nella mia
morte si compie la mia libertaÁ. L'imperfetta libertaÁ di scelta, sempre di
nuovo ``costretta'' a mettersi in moto
a causa dell'insuperabile determinatezza del mio volere, trova soddisfazione nell'Infinito che viene al mio incontro. Si compie. Qui trova alla fine
risposta la domanda di salute-salvezza che chiede sempre guarigione, ma
che sa bene che la morte puoÁ essere
solo postposta e mai veramente in
senso pieno. Anzi, almeno nello stato
attuale della medicina, puoÁ essere
postposta solo per un tempo relativamente breve. Non saranno piuÁ i 70 o
80 anni del celebre Salmo. Vi aggiungeremo forse qualche decina di anni,
ma il tempo della vita eÁ sempre breve
e la sua qualitaÁ dopo una certa etaÁ eÁ
sempre precaria.
Non mi pare fuori luogo richiamare brevemente, soprattutto in questa
sede, la prospettiva teologica che l'evento di GesuÁ Cristo come fatto garantito dall'ininterrotta testimonianza
dei cristiani apre all'enigma della
morte. In GesuÁ Cristo si vede in modo straordinario come la morte sia
18
ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola)
del tutto personale. Egli diventa cosõÁ
la garanzia della mia personale morte
come abbandono singolare all'Evento
VeritaÁ-Bene.17 «La battaglia che il
Crocifisso, con la Sua morte singolare,
unica ed irripetibile, intrattiene con la
morte comune a noi uomini, ce la mostra come l'effettivo compimento della
libertaÁ nell'abbandono al luogo della
definitiva consistenza e della piuÁ totale
assicurazione: l'abbraccio carico di
amore del Padre. Cristo infatti accetta
liberamente (sponte) di morire innocente in nostro favore pur essendo
l'unico che poteva non morire. Se l'amore eÁ cioÁ che mi assicura ± come dimostra la risurrezione di Cristo caparra della mia risurrezione ± allora la
morte eÁ il momento in cui la mia libertaÁ di creatura finita incontra l'abbraccio della libertaÁ infinita del Padre che
la accoglie nella sua dimora di vita permanente, di eterna salvezza. Nell'atto
del morire scopriroÁ che non finisco nel
nulla. SaraÁ il momento della mia vera
nascita (non a caso la Chiesa celebra il
giorno della morte dei suoi santi come
il giorno della loro nascita, il dies natalis). La morte e la risurrezione di
GesuÁ nel suo vero corpo sono in realtaÁ
l'espressione piuÁ potente della Sua
eterna vitalitaÁ trinitaria, incontro del
Crocifisso con il Padre nello Spirito
Santo. ``In Cristo GesuÁ la mia morte
coincide con l'essere definitivamente
accolto in questa dimora permanente e
pacificante di amore. Per questo valutata in termini umani la morte eÁ semplicemente una fine, un puro e semplice passivo venir portato via. La follia
del cristianesimo consiste nel fare di
questo confine una specie di centro''
(Balthasar). Anche per chi non credes-
se in Cristo ma riconoscesse l'esistenza
di un Essere trascendente e personale,
o addirittura anche per chi dicesse caparbiamente di non credere in nulla,
nell'elemento di abban-dono contenuto nell'atto del morire eÁ impossibile
misconoscere una qualche esperienza
dell'amore. Comunque la si voglia
chiamare e quand'anche la si riducesse
a scarse e pallide vestigia, quest'esperienza dell'amore-abbandono contenuta nella mia morte dice la mia libertaÁ».18
5. Il soggetto e la cura
Per concludere queste troppo
frammentarie riflessioni antropologiche che offro alle vostre specialistiche
analisi bioetiche circa gli aspetti innovativi della riabilitazione neurologica,
voglio ricordare alcuni rilievi di carattere pratico solo a prima vista non direttamente pertinenti al tema.
Scaturiscono direttamente dalla visione antropologica (filosofico-teologica) che non riesce a rinunciare alla
domanda oggettiva sul significato. In
fondo la nostra risposta alle questioni
quale vita? e quale morte?- terreno su
cui la bioetica svolge la sua insostituibile funzione di mediazione tra la ricerca e la pratica clinica da una parte
e la visione dell'uomo che sempre in
essa entra in gioco (antropologia) dall'altra ± propone di coniugare amore
e medicina. Che si giunga fino a dare
a questo amore il nome di GesuÁ Cristo rivelatore del Padre che ci apre alla vita e ci accoglie nella morte mediante la nostra personale morte-risurrezione nel nostro vero corpo o
19
STUDI
salvezza sempre in gioco».21
Basti accennare a due conseguenze
contenute in quest'affermazione sintetica: entrambe possono aiutare a
star dentro con realismo alle contraddizioni tra soggetto e struttura, comprensibilmente implicate nell'esercizio della ricerca e della clinica medica
e presenti nei luoghi della cura.
La prima eÁ relativa all'importanza
del soggetto e alla necessitaÁ di mantenerne il primato nella pratica medica
e nell'organizzazione di una politica
sanitaria. In questo senso eÁ decisivo
notare che il soggetto in campo ±
sempre personale e comunitario ± resta anzitutto il paziente, i familiari e
gli operatori sanitari. Tuttavia, se
compiutamente considerato, esso
non puoÁ, oggi piuÁ che mai, non comprendere i molti corpi intermedi che
rendono vitale la societaÁ civile. Inoltre tale soggetto eÁ costituito dagli attori economici e istituzionali che ultimamente orientano una politica sanitaria. La nascita e lo svilupparsi del
volontariato ospedaliero, da una parte, cosõÁ come, dall'altra, l'attenzione
che famiglie, associazioni di quartiere
e parrocchie vanno sempre piuÁ riservando ai malati e agli anziani stanno
mettendo in moto un prezioso circolo
virtuoso di cui i soggetti economici e
le autoritaÁ istituite debbono tener
conto. Anzi sono chiamati a favorirlo
nel rispetto del triplice principio della
dignitaÁ della persona (che in questo
caso si traduce nel principio regolativo di dare a ciascuno la sua propria
morte-malattia), della solidarietaÁ e
della sussidiarietaÁ.
Dal punto di vista della struttura, il
rispetto della responsabilitaÁ persona-
che non si riesca ad accedere a questa
prospettiva eÁ impossibile alla fine
espungere la domanda di salvezza
(senso e significato) dalla domanda di
salute.
Non esiste criterio regolativo piuÁ
equilibrato e piuÁ conveniente del nesso salute-salvezza per pensare il rapporto tra soggetto, clinica medica e
luoghi deputati al suo esercizio. Solo
cosõÁ infatti l'azione dell'operatore sanitario e la cooperazione con essa del
paziente e dei suoi familiari eÁ per la
vita, e per la vita integrale.
Per illustrare questa affermazione
permettetemi allora di riproporvi alla
lettera, per brevitaÁ, quanto ho giaÁ
scritto altrove.19
Credo che la categoria appropriata
per trattenere questo sguardo integrale sia quella della ``cura''20 cui si
connette anche la ricerca. CosõÁ come
Dio che eÁ Padre si prende cura di
ogni uomo dal concepimento alla sua
morte naturale («Che cos'eÁ l'uomo e
perche te ne curi?» Sal 8), chinarsi
sulla malattia e sulla morte da parte
di chiunque non puoÁ che essere il
partecipare di questa cura. E qui non
si sta parlando soltanto della sfera
delle intenzioni e delle motivazioni
con cui i soggetti interagiscono in caso di malattia-morte, ma della modalitaÁ specifica con cui queste realtaÁ
vengono affrontate. La cura si esplica
infatti «mediante la sequenza degli atti
clinici concepiti come veicolo (sacramento) dell'arte terapeutica. L'arte terapeutica descrive la modalitaÁ con la
quale, all'interno del libero, personale
e comunitario rapporto medico-paziente-familiari i soggetti in azione si fanno carico della domanda di salute e
20
ASPETTI INNOVATIVI DELLA RIABILITAZIONE NEUROLOGICA (A. Scola)
le nel campo della salute deve offrire
i criteri di azione agli organizzatori e
agli amministratori della complessa
macchina socio-sanitaria. In particolare, essi dovranno affrontare il delicato problema dell'equa distribuzione delle risorse economiche, in un
campo difficile come quello dell'attivitaÁ sanitaria, non solo a partire dalle
leggi del mercato.22 Pertanto i criteri
per la allocazione e la razionalizzazione delle risorse destinate a tutelare il
diritto primario alla salute debbono
tener conto del principio che «l'uomo
vale di piuÁ per quello che eÁ che per
quello che fa».23 Si dice che ``la salute
non ha prezzo'', ma d'altra parte l'economia eÁ la scienza che mira ad ottenere il massimo dei risultati con il
minimo delle risorse. EÁ pertanto necessario cercare instancabilmente il
punto di equilibrio tra salute ed economia come risultato dell'effettivo
coinvolgimento di tutti gli attori che
sono in gioco. Tutti dovranno rendere conto al popolo sovrano che deve
pretendere dall'autoritaÁ costituita la
difesa dei suoi diritti, senza sottrarsi a
sua volta ai suoi doveri. Non esiste
infatti soltanto un diritto alla salute,
ma anche il dovere di vivere la vita
come un dono da custodire e da rispettare. Non si puoÁ sprecare la propria salute con scelte sbagliate di vita
che per giunta impongono a tutta la
comunitaÁ costi notevoli. Le istituzioni
educative devono far maturare in tutti il rispetto della persona, della vita e
della salute.
caritaÁ ha saputo produrre. Questo
Istituto ed il Fondatore, a cui si ispira, Camillo di Lellis, ne sono un
esempio preclaro. Lo testimoniano
altre figure di santi, non solo di quanti sono stati canonizzati dalla Chiesa,
ma di una schiera innumerevole ed
anonima di uomini e donne che nella
prova della malattia-morte hanno assicurato il primato dell'amore. Come? Mostrando ± da pazienti, da familiari, da operatori sanitari, da volontari, da amministratori e da politici della sanitaÁ ± che la vita e la morte
rappresentano per tutti una grande
educazione all'amore. Si ama veramente quando si ama in ogni istante
come se fosse l'ultimo istante. E la vita e la morte possiedono di per seÂ
questa natura ultimativa.
Note
1
Lectio magistralis tenuta presso l'Ospedale/IRCCS San Camillo di Venezia.
2
Cfr. M. JONGEN, Der Mensch ist ein eniges Experiment, in Feulleuron ± Die Zeit, 9
agosto 2001.
3
In proposito si veda l'assai discutibile
saggio di Laplantine: E. LAPPLANTINE, IdentitaÁ e meÂtissage: Umani al di laÁ delle appartenenze, EleÁuthera, Milano 2004.
4
F. NIETZSCHE, CosõÁ parloÁ Zarathustra, in
ID. Opere scelte, a cura di L. Scalero, Longanesi, Milano, 1964, 242-243.
5
Cfr. A. SCOLA, Il mistero nuziale 2. Matrimonio-famiglia, PUL-Mursia, Roma 2000,
82-83.
6
P. SINGER, Practical Ethics, Cambridge
University Press, Cambridge 1995.
7
S. GRYGIEL, Per guadare il cielo. Vita,
vita umana e persona, in ibid., 43-73.
8
Chesterton ce lo ricorda con la sua capacitaÁ di cogliere il paradosso: «se tutte le cose
rimangono quali erano, eÁ perche sono sem-
La storia della sanitaÁ, e non solo in
Occidente, eÁ segnata dalla genialitaÁ
creativa che il binomio intelligenza e
21
STUDI
pre nuove (...) SõÁ, il mondo eÁ sempre lo stesso, giacche tutto in esso eÁ sempre imprevisto», G.K. CHESTERTON, Il Napoleone di Notting Hill, Paoline, Milano 1961, 248-249.
9
Su questi temi cfr. A. SCOLA, Il mistero
nuzionale 1. Uomo-donna, PUL-Mursia, Roma 1998, 91-116.
10
H.U. VON BALTHASAR, La preghiera
contemplativa, Jaca Book, Milano, 1982, 89.
11
COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA, Questioni bioetiche relative alla fine della vita
umana, 14 luglio 1995, n. 1.
12
Ibidem.
13
«O Herr, gieb jedem seinen eignen
Tod. / Das Sterben, das aus jenem Leben
geht, /darin erLiebe hatte, Sinn und Not»,
R.M. RILKE, Das Buch von derArmut und
vom Tode, in ID., Das Stundenbuch (1903).
14
T.W. ADORNO, Minima moralia, Einaudi, Torino 1988, 284: «La distruzione biologica, che avviene nella morte, eÁ fatta propria
dalla volontaÁ sociale consapevole. Un'umanitaÁ a cui la morte eÁ divenuta non meno indifferente dei suoi membri puoÁ impartirla per
via amministrativa a un numero illimitato di
esseri umani. La famosa preghiera di Rilke eÁ
un miserevole inganno con cui si cerca di nascondere il fatto che gli uomini, ormai, crepano e basta».
15
Per quanto segue si veda una trattazione piuÁ articolata in A. SCOLA, Morte e libertaÁ,
Cantagalli, Siena 2004.
16
F. KAFKA, Un medico di campagna ±
Racconti, Feltrinelli, Milano 1962.
17
TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, Ia, Iae, a. 2.
18
Cfr. A. SCOLA, Morte e libertaÁ, op. cit.,
43-52; ID., «Se vuoi, puoi guarirmi»: La medicina tra speranza ed utopia, Cantagalli, Siena
2001.
19
A. SCOLA, Morte e libertaÁ, op. cit., 4649.
20
A. SCOLA, Morte e libertaÁ, op. cit. 5460.
21
Cfr. ID., ``Se vuoi, puoi..., 75-81.
22
Ibid., 67.
23
Cfr. Ibid., 107-127.
24
Gaudium et Spes 35.
``La Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione
e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico,
affinche le esigenze della giustizia diventino
comprensibili e politicamente realizzabili''.
(Benedetto XVI)
22
FARSI PROSSIMO1
Mons. Italo Monticelli
Il Card. Martini ha intitolato la sua quarta lettera pastorale, indirizzata alla Diocesi di Milano, «Farsi
prossimo» quasi per dire che non si puoÁ parlare della caritaÁ senza riflettere sulla parabola del buon
samaritano (Lc. 10,25-3-7) che ci fa conoscere chi eÁ il prossimo e come ci si fa prossimi.
1. Chi eÁ il prossimo
Anche noi come il dottore della
legge desideriamo conoscere chi eÁ il
prossimo o meglio come si fa a farsi
prossimo.
Un maestro di esegesi biblica,
commentando la parabola di Luca,
scrive cosõÁ:
«Nella parabola nulla eÁ detto del
ferito: non viene evidenziata la sua
identitaÁ, ma il suo bisogno. Che altro
sapere? Prossimo eÁ qualsiasi bisognoso che ti capita di incontrare, anche
lo sconosciuto.
Chi sia il prossimo da aiutare non eÁ
il frutto di una deduzione teorica, ma
un evento. EÁ colui nel quale ti imbatti, non importa chi sia. Questa universalitaÁ della nozione di prossimo ha
un fondamento, che qui non eÁ dichiarato ma che eÁ supposto dall'intero
Vangelo, e cioeÁ l'universalitaÁ dell'amore di Dio. EÁ con l'avvento di GesuÁ
che diventa chiaro che Dio ama ogni
uomo, senza differenze: ama i giusti e
i peccatori, i vicini e i lontani. GesuÁ
sposta l'attenzione dello scriba da
1
«chi eÁ il prossimo?» (dopo tutto eÁ
una questione teorica) a un'altra domanda, piuÁ concreta e coinvolgente:
che cosa significa amare il prossimo?
A dispetto della domanda dello scriba, la risposta di GesuÁ pone l'accento
sul verbo «amare» piuÁ che sul «prossimo» da aiutare. La parabola, infatti,
insiste con compiacenza sul comportamento del samaritano: si fermoÁ accanto allo sconosciuto, gli fascioÁ le ferite, lo condusse all'albergo, pagoÁ interamente il conto. Il samaritano non
si eÁ chiesto chi fosse il ferito, e il suo
aiuto eÁ stato disinteressato, generoso
e concreto. Ecco che cosa significa
amare il prossimo. Giunto, poi, alla
conclusione del racconto, GesuÁ pone
direttamente allo scriba una domanda che lo invita a spostare ulteriormente il suo interesse: «Chi di questi
tre ti sembra essersi fatto prossimo a
colui che eÁ incappato nei briganti?».
Dal prossimo come oggetto da
amare al prossimo come soggetto che
ama, questo eÁ il punto al quale la parabola vuole condurre. Chi sia il prossimo non si puoÁ definire, si puoÁ esserlo.
Lezione tenuta al Centro Camilliano di Formazione di Verona il 20 novembre 2006.
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
STUDI
Il problema risiede proprio qui. Non
chiederti chi eÁ il prossimo sembra dire
GesuÁ ma piuttosto fatti prossimo a
chiunque, abbatti le barriere che porti
dentro di te e che costruisci fuori di
te. Questo eÁ il vero problema. E cosõÁ
lo scriba che aveva un problema teologico da risolvere e aveva posto una domanda teorica si vede invitato a convertire se stesso» (B. Maggioni, Il racconto di Luca,, Cittadella Ed., Assisi,
2000, pp. 216-218).
2. Che cos'eÁ l'amore
Per capire che cosa eÁ l'amore devo
tornare a contemplare il Samaritano
della parabola lucana, e precisamente
mi devo soffermare su quel verbo che
l'ha mosso a dare un indirizzo nuovo
alla sua giornata, a capovolgere quanto il samaritano doveva fare quel
giorno che ha incontrato quell'uomo
mezzo morto in mezzo alla strada. Il
Samaritano antepone l'accoglienza
nei confronti del ferito al di sopra dei
suoi personali interessi: si trova in
viaggio, si ferma e, dice l'evangelista
Luca, che ne ebbe compassione.
Capire il significato di «avere compassione» eÁ andare all'origine del vero amore, quello che bisogna avere
verso chiunque si incontra.
CosõÁ Martini spiega la compassione
del Samaritano «Essa disegna l'intensa commozione e pietaÁ da cui fu afferrato un samaritano, che passava
per quella stessa strada. Non pensiamo soltanto a un risveglio di buoni
sentimenti. Poche pagine prima (cfr.
Lc. 7,13), la stessa parola eÁ usata per
descrivere la compassione di GesuÁ dinanzi al funerale del figlio della vedova di Naim. In altri passi della Bibbia
questa parola allude all'immensa tenerezza che Dio prova per ogni uomo. Dobbiamo pensare che con questa parola il racconto evangelico voglia descrivere un evento misterioso
che eÁ accaduto nel cuore del samaritano e lo ha, per cosõÁ dire, attratto
nello stesso movimento di misericordia con cui Dio ama gli uomini» (n.
2). E ancora: il samaritano, quando si
sentõÁ mosso a compassione fece «una
esperienza intensa che gli ha aperto
Si potrebbe sinteticamente dire:
«Il prossimo non eÁ colui che eÁ da
amare, ma colui che ama. Proprio
perche ama si fa prossimo».
Solo chi non ama sta a domandarsi
sterilmente chi eÁ il suo prossimo, chi
ama invece eÁ capace di individuarlo
qui e ora.
«Chiunque ha bisogno di me ± dice Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica ± e io posso aiutarlo, eÁ il
mio prossimo» (n. 15)
E il Card. Martini dice: «Il prossimo non esiste giaÁ. Prossimo si diventa. Prossimo non eÁ colui che ha giaÁ
con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinitaÁ psicologica.
Prossimo divento io stesso nell'atto
in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido
di fare un passo che mi avvicina, mi
approssima» (Farsi prossimo, n. 11).
Ma, chiediamoci, perche devo fare
un passo avanti per avvicinarmi all'uomo che incontro e amarlo? Sorge
allora il desiderio di conoscere che
cosa eÁ l'amore e quindi perche e come devo amare, per essere io il prossimo, per farmi io stesso prossimo di
chi incontro.
24
FARSI PROSSIMO (I. Monticelli)
sto con la novitaÁ del Nuovo Testamento: «La vera novitaÁ del Nuovo
Testamento non sta in nuove idee,
ma nella figura stessa di Cristo, che
daÁ carne e sangue ai concetti ± un
realismo inaudito. GiaÁ nell'Antico
Testamento la novitaÁ biblica non
consiste semplicemente in nozioni
astratte, ma nell'agire imprevedibile e
in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua
forma drammatica nel fatto che, in
GesuÁ Cristo, Dio stesso insegue la
«pecorella smarrita», l'umanitaÁ sofferente e perduta. Quando GesuÁ nelle
sue parabole parla del pastore che va
dietro alla pecorella smarrita, della
donna che cerca la dracma, del padre
che va incontro al figliol prodigo e lo
abbraccia, queste non sono soltanto
parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare.
Nella sua morte in croce si compie
quel volgersi di Dio contro se stesso
nel quale Egli si dona per rialzare
l'uomo e salvarlo ± amore, questo,
nella sua forma piuÁ radicale. Lo
sguardo rivolto al fianco squarciato
di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr.
19,37), comprende cioÁ che eÁ stato il
punto di partenza di questa Lettera
enciclica: «Dio eÁ amore» (1 Gv 4,8).
EÁ lõÁ che questa veritaÁ puoÁ essere contemplata. E partendo da lõÁ deve ora
definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova
la strada del suo vivere e del suo
amore» (n. 12).
Si puoÁ sintetizzare cosõÁ: Dio eÁ amore, l'amore viene da Dio, non da noi
e Dio ce l'ha mostrato nel suo Figlio.
Noi possiamo donare solo cioÁ che
abbiamo ricevuto.
gli occhi sul valore delle cose, gli ha
fatto vedere l'uomo bisognoso in una
luce nuova e vera, gli ha dischiuso
nuove possibilitaÁ di azione e lo ha
spinto a farsi prossimo» (n. 10).
Avere compassione eÁ un termine
tecnico che nell'Antico Testamento
indica sempre, soltanto ed esclusivamente l'azione di Dio verso gli uomini. Dio verso gli uomini ha compassione, gli uomini verso i loro simili
hanno misericordia, non compassione. Compassione significa restituzione di vita che solo Dio puoÁ dare.
Nel Vangelo, quando GesuÁ incontra la vedova di Naim, Egli prova
compassione e risuscita il figlio. Nella
parabola del figliol prodigo il padre
vede il figlio e ha compassione. GesuÁ,
quindi, attribuisce a un eretico, indemoniato e impuro l'atteggiamento che
solo Dio puoÁ avere: la compassione.
Si puoÁ dire che il Samaritano ha
fatto una esperienza intensa e particolare, che gli ha aperto gli occhi sul
valore delle cose, gli ha fatto vedere
l'uomo bisognosao in una luce nuova
e vera, gli ha dischiuso nuove possibilitaÁ di azione e lo ha spinto a farsi
prossimo, a esercitare una serie di
azioni piene di amore e di tenerezza.
In quel momento il Samaritano ha capito che cos'eÁ l'amore, e precisamente l'amore agapico.
3. Come amare
Per noi cristiani la novitaÁ dell'amore di Dio si coglie nella persona di
Cristo.
Ricordiamo la pagina dell'enciclica
«Deus caritas est» che ci presenta Cri25
STUDI
E cioÁ che abbiamo ricevuto dobbiamo a nostra volta donarlo. O piuttosto poiche l'amore non eÁ cioÁ che
Dio ha, ma cioÁ che Egli eÁ, dobbiamo
lasciare che si doni a noi.
Dio eÁ colui che dona, per cui l'uomo ama rispondendo al dono dell'amore di Dio. Il modo di amare di
Dio diventa la misura dell'amore
umano. Ecco l'impegno nostro nell'esercizio di caritaÁ: amare alla maniera
di GesuÁ Cristo. Vedere il prossimo
con gli occhi di Cristo per potergli
donare lo sguardo di amore di cui ha
bisogno.
S. Agostino parlava cosõÁ nel modo
di esercitare la caritaÁ: «Una volta per
tutte, dunque, ti viene dato un breve
precetto: abbi la caritaÁ e poi compi
tutto cioÁ che la caritaÁ ti fa volere. Se
taci, taci per amore. Se parli, parla
per amore. Se correggi, correggi per
amore. Se perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore, poiche da questa radice non puoÁ nascere
che il bene Se vuoi vedere Dio, hai a
disposizione l'idea giusta: Dio eÁ amore. Quale volto ha l'amore? Quale
forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo puoÁ dire. Tuttavia ha i piedi: sono quelli che conducono alla Chiesa. Ha le mani: sono
quelle che donano ai poveri. Ha gli
occhi, coi quali si viene a conoscere
colui che eÁ nel bisogno, come eÁ detto
nel salmo (40,2): Beato colui che ha
cura del povero e dell'indigente. Ha
orecchi, di cui parla il Signore: Colui
che ha orecchi per intendere, intenda. Queste varie membra non si trovano separate in luoghi diversi, ma
chi ha la caritaÁ vede con un colpo
d'occhio della sua mente tutto l'insie-
me. Tu dunque abita nella caritaÁ ed
essa abiteraÁ in te: resta in essa ed essa
resteraÁ in te».
4. L'amore per gli ultimi
La figura del mezzo-morto sulla
strada di Gerico ci aiuta a capire la
preferenza da dare ai nostri gesti di
amore.
Bisogna amare tutti: eÁ vero. PeroÁ la
preferenza va data a chi eÁ nel bisogno, nella necessitaÁ. La preferenza
verso i poveri indicataci da Cristo
non eÁ esclusione di nessuno, ma solo
precedenza per chi eÁ «ultimo nella fila» come dice, appunto, un documento breve ma denso della chiesa
italiana «bisogna decidere di ripartire
dagli ultimi» nell'esercizio della caritaÁ
(cfr. La Chiesa e le prospettive del paese, 1971, n. 4).
CosõÁ il Card. Martini spiega questo
tipo di preferenza:
«L'attenzione agli ultimi si fonda
su motivazioni ovvie e immediate. Sono i piuÁ bisognosi, i piuÁ trascurati, al
limite della resistenza: occorre intervenire con urgenza, con assoluta
prioritaÁ. In realtaÁ l'attenzione media
della gente eÁ rivolta ai bisogni medi.
Gli ultimi sono tali non solo per la situazione in cui versano, ma anche
perche non riescono a farsi sentire,
ad attirare l'attenzione.
EÁ importante allora che le ragioni
istintive di intervento a favore degli
ultimi vengano rese efficaci e risonanti dalle perentorie ragioni della caritaÁ.
Gli ultimi vanno preferiti perche sono coloro che GesuÁ ha maggiormente
26
FARSI PROSSIMO (I. Monticelli)
amato; sono coloro che hanno maggiormente bisogno della speranza che
deriva dall'amore pasquale. In loro la
Pasqua rivela piuÁ chiaramente la sua
capacitaÁ di essere una vittoria definitiva proprio sui mali piuÁ irreparabili.
A loro in modo particolare bisogna
dire che Cristo eÁ vicino; che anche
nella loro situazione eÁ possibile far
nascere un germe di amore. In loro
bisogna far sorgere urgentemente la
certezza che, se riescono a credere all'amore e a vivere nell'amore, hanno
trovato la salvezza» (n. 17,b).
Ancora Agostino ci eÁ di aiuto,
quando indica la necessitaÁ di amare
le persone, specie bisognose, che sono il Corpo di Cristo che continua ad
essere presente sulla terra: «Il Signore
nostro GesuÁ Cristo, salendo al cielo,
il quarantesimo giorno, ci ha raccomandato il suo corpo che doveva restare quaggiuÁ, perche prevedeva che
molti avrebbero reso onore a lui appunto perche ascendeva al cielo, ma
vedeva pure l'inconsistenza di tali resi
a seÂ, dato che questi tali avrebbero
calpestato le sue membra qui in terra.
Affinche nessuno fosse tratto in errore ± adorando il capo che sta in cielo ma calpestando i piedi che stanno
in terra ± ci ha precisato dove si sarebbero trovate le sue membra. Mentre ascendeva al cielo, disse le sue ultime parole, pronunciate le quali non
parloÁ piuÁ qui in terra. Il capo che doveva salire in cielo raccomandoÁ a noi
le sue membra che restavano sulla
terra e partõÁ. Ormai non ti puoÁ accadere piuÁ di sentire Cristo che parla
qui in terra.
Puoi sentirlo parlare, ma dal cielo.
E dal cielo, perche parloÁ? Perche le
sue membra erano calpestate qui in
terra. A Saulo, suo persecutore, disse
dal cielo: «Saulo, Saulo, perche mi
perseguiti?» (Atti 9,4). Sono salito al
cielo, ma rimango ancora in terra; siedo qui in cielo alla destra del Padre,
ma lõÁ in terra ancora patisco la fame,
la sete, ancora sono pellegrino. In che
modo ci ha raccomandato il suo corpo in terra mentre stava per salire al
cielo? Quando i discepoli lo interrogarono: «Signore, eÁ forse venuto il
momento in cui tu ristabilirai il regno
di Israele?». Sul punto di partire, egli
rispose: «Non tocca a voi sapere il
tempo che il Padre ha posto in suo
potere, ma riceverete la virtuÁ dello
Spirito Santo che verraÁ in voi e mi sarete testimoni». Vedete fin dove fa
giungere il suo corpo, vedete dove
non vuole essere calpestato: «Voi mi
sarete testimoni in Gerusalemme e in
tutta la Giudea, in Samaria e in tutta
la terra» (Atti 12, 6-8). Ecco dove rimango io, che pure ascendo in cielo;
ascendo perche sono la testa, ma il
mio corpo giace ancora quaggiuÁ. Dove giace? Per tutta la terra. Vedi di
non colpire, di non violare, di non
calpestare il mio corpo. Sono queste
le ultime parole di Cristo mentre
ascende al cielo».
Conclusione
Essere cristiani eÁ farsi prossimo di
tutti, eÁ amare tutti. Il Card. Martini,
al termine di un convegno sul farsi
prossimo diceva: «L'essere cristiani,
non eÁ caratterizzato dall'andare a
Messa alla domenica ma dal vivere
per gli altri, fondato sul fatto che si
27
STUDI
non limitarsi a fare qualche intervento personale, ma anche cercare e risanare le condizioni economiche, sociali, politiche della povertaÁ e dell'ingiustizia. In altre parole, per essere buoni samaritani nella societaÁ attuale, occorre fare qualcosa di piuÁ di quello
che ha fatto, secondo la parabola
evangelica, il buon samaritano nella
societaÁ di allora, meno complessa e
stratificata» (n. 7).
A noi tocca ora fare qualcosa di
piuÁ, dato che «l'amore eÁ possibile, e
noi siamo in grado di praticarlo perche creati ad immagine di Dio. Vivere l'amore eÁ in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo» (Deus
caritas est, n. 39).
va a Messa alla domenica. Non vive
dell'Eucaristia se non chi dona corpo
e sangue per i fratelli, come GesuÁ.
La Chiesa non ha altro modo di essere nella societaÁ: la sua ambizione eÁ
di servire, a partire dagli ultimi. Perche questo desiderio rimanga sempre
nella sua incandescenza, occorre mettersi alla scuola dei poveri, dei piuÁ
poveri, stare con loro, condividere il
piuÁ possibile con loro».
Come farsi prossimo sull'esempio
del buon Samaritano: EÁ possibile? EÁ
facile?
CosõÁ risponde, il Card. Martini,
nella lettera pastorale «Farsi prossimo»: «Nella societaÁ attuale, amare
con paziente concretezza il fratello
povero, bisognoso, oppresso significa
``Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno se non quello
di un amore vicendevole; perche chi ama il suo simile
ha adempiuto la legge'' (Rm 13,8).
Ogni uomo che ci eÁ vicino (prossimo) ci eÁ creditore,
nel senso che ha diritto, lo vogliamo o no,
alla nostra attenzione e alla nostra disponibilitaÁ.
28
P
A
S
T
O
R
A
L
E
DIALOGO PASTORALE
Suor Adriana Nardin
In questo articolo viene descritto l'incontro avvenuto in un ospedale milanese con una signora di 32 anni,
nubile, madre di una bambina malata di leucodistrofia, dipendente da un respiratore automatico. L'incontro ha avuto luogo durante l'ennesimo ricovero della figlia ed eÁ durato circa una ventina di minuti.
Piano pastorale
Come ogni mattina, anche in questo giorno, durante il tragitto in metropolitana, rivedo nella mente tutti
coloro che ho lasciato, la sera precedente, nei vari reparti di degenza dell'ospedale dove svolgo il mio servizio,
cercando di programmare la giornata
e il giro visita, consapevole sempre
delle inevitabili sorprese e dei `fuori
programma'. Naturalmente il pensiero corre alle persone degenti, grandi
e piccole, in gravi condizioni, in particolare ad Ines, affetta da una grave
forma di leucodistrofia e da circa
venti giorni ricoverata in neuro-rianimazione, intubata e collegata al respiratore meccanico. Ilaria ha quasi sei
anni e, causa la sua grave malattia e
l'inesorabile decorso negativo, eÁ pure
portatrice di gravi malformazioni fisiche.
L'esile suo corpicino, per la conformazione, mi rammenta un uccellino: eÁ sempre distesa, non si esprime,
si nutre attraverso un sondino nasogastrico, solitamente fatica a respirare
e va soggetta ad apnee che, se prolungate, le provocano arresti respiratori.
Assume terapia neurologica e va sog-
getta a clonie che le provocano forti
dolori, per questo, a volte, per riposare, necessita di una leggera sedazione.
Ilaria ha due occhi grandi ed espressivi che seguono chi, e tutto quello
che la circonda.
Conosco Ines e sua mamma Marisa
da molto tempo, proprio per i continui ricoveri. Nonostante le condizioni precarie di Ines, appena possibile,
Marisa ha sempre riportato a casa sua
figlia gestendo personalmente tutte le
pratiche infermieristiche e terapeutiche necessarie. Data l'estrema gravitaÁ
delle condizioni di Ines, in occasione
di questo ultimo ricovero, Marisa si eÁ
trovata davanti alla reale possibilitaÁ
di morte della figlia. Questa consapevolezza l'ha resa piuÁ vulnerabile, ma
allo stesso tempo ferma nel proposito
di fare il possibile perche la bimba
torni ancora a casa.
Pensando a Marisa e ad Ines ho
cercato di prepararmi mentalmente
all'incontro con la mamma, certa che
mi avrebbe posto interrogativi di tipo
etico±morale, dato che nei nostri ultimi dialoghi sono sempre `comparsi'.
Il mio obiettivo, nei suoi confronti,
eÁ quello di aiutarla ad accogliere la
possibilitaÁ di non portare a casa Ilaria
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
PASTORALE
nelle condizioni che lei vuole e a qualunque costo.
M2 Adesso vado su (sospira) provano
a stubarla (le lacrime cominciano
a rigarle il volto).
A3 Dai ... vieni un po' con me (La
prendo sottobraccio e mi incammino verso la porta dell'ufficio,
lei mi segue docile, sempre piangendo silenziosamente. Entriamo
e, mentre io appoggio la borsa e
mi tolgo la giacca, lei si siede stancamente sulla poltrona, poi mi
siedo di fronte a lei).
M3 Anche se so che giungeraÁ il momento in cui la mia bambina arriveraÁ al capolinea, non sono, e non
saroÁ mai pronta ad affrontarlo...
SõÁ... perche ho paura, suora
mia... Tanta paura...
A4 Hai paura... lo sento...
M4 Ho paura che senza tubo non ce
la faccia e che abbia ancora bisogno della macchina per respirare.
(Conoscendola percepisco che la
sua paura va oltre, peroÁ desidero
che sia lei ad esprimere tutti i suoi
timori. Le accarezzo le mani e le
passo dei fazzoletti di carta, percheÂ
le lacrime continuano a scorrere
copiose sul suo viso).
M5 Non voglio che la mia bambina
soffra... non voglio che viva attaccata ad una macchina. Desidero
che la mia bambina sia cosõÁ come
eÁ, e quando deve arrivare il momento della morte (sospira) non
deve avere tutti quei fili e quei tubi...Non voglio. Sono molto combattuta. Ha giaÁ sofferto tanto e
non voglio che soffra ancora e
inutilmente.
Ho chiesto al Signore che, se me
la deve lasciare... me la deve lasciare come prima di questo epi-
Osservazioni:
Il colloquio che mi accingo a scrivere eÁ uno degli ultimi ed eÁ avvenuto
nel mio ufficio, in dialetto veneto (i
vocaboli in italiano non sempre esprimono il vero senso e significato di cioÁ
che eÁ stato detto).
Il mattino del 30 ottobre 2006 sono circa le ore nove quando entro in
ospedale: come di consueto sosto in
portineria per salutare il personale
addetto e poi mi avvio verso le scale
per raggiungere la Cappella e il mio
ufficio che si trova all'interno.
Appena varco la soglia della Cappella noto la figura di Marisa inginocchiata su un banco. Subito penso che
in questi giorni eÁ invecchiata assai:
spalle curve, capelli crespi e arruffati,
lineamenti del viso tirati, borsa buttata sulla spalla, pantaloni e camicia
sgualciti ...
Colloquio
Mi avvicino a lei e le poso la mano
sulla spalla, iniziando cosõÁ il colloquio.
(A=Adriana, M=Marisa)
A1 Buon giorno Marisa...come va?
(mi guarda e appare evidente che
ha pianto).
M1 Ciao suora mia (accenna un sorriso), cosõÁ...cosõÁ...
A2 La tua bambina... (Marisa chiama
sempre cosõÁ sua figlia).
30
DIALOGO PASTORALE (A. Nardin)
A5
M6
A6
M7
A7
M8
sodio. Non sopporto l'idea che
muoia qui in ospedale, con tutte
quelle cose addosso.
Mi vuoi dire che desideri portare
a casa la tua bambina quando arriva il momento della morte, perche sia con te, con la nonna, nel
suo letto, con i suoi giochi...
Esatto...ma sono cosciente che
puoÁ essere diversamente. Vorrei
tanto che il Signore Dio mi ascoltasse... ma se vuole che la mia
bambina muoia in ospedale, almeno che non sia attaccata a
quella macchina, con tutti che vogliono fare di tutto, anche quello
che eÁ inutile, che non si puoÁ... (Silenzio... Per un momento non so
cosa dire e non so se eÁ bene riprendere il tema della sua richiesta al
Signore, oppure la preoccupazione
espressa dopo).
(pensosa) Che eÁ inutile... che non
si puoÁ...
Vedi ho avuto l'impressione che
si voglia tentare di tutto per far vivere la mia bambina. Ma come?
(quasi lo grida e tira su con il naso).
Hai questa impressione...
(interrompendomi e con foga) SõÁ...
ieri la dottoressa C., che proprio
non posso vedere (lo dice con rabbia e per un attimo non ci sono lacrime), parlandomi eÁ uscita con
questa frase (imita la voce ironicamente): «Tanto signora, se sua figlia vive, eÁ perche siamo noi a farla vivere...». Va bene essere realista, ma quella non sa cosa significa essere madre. Quella non ha
figli vero? (segno negativo con il
capo da parte mia). E glielo ho
detto sai... Vedremo un domani
quando ne avraÁ uno suo cosa faraÁ.
Io so... so da tanto tempo che,
prima o poi, con la mia bambina
arriveroÁ al capolinea... che moriraÁ. Ma non cosõÁ (alza la voce),
non cosõÁ (scoppia in singhiozzi e
si copre il viso con le mani. Conosco la dottoressa e ho un buon rapporto con lei, percioÁ mi propongo,
nel corso della giornata, di interpellarla. Intanto lascio Monica
piangere e, silenziosamente, le accarezzo i capelli crespi e disordinati: noto la sua stanchezza, le spalle
curve come se un peso enorme gravasse su di esse, mostra piuÁ della
sua etaÁ e provo compassione per
lei. Penso che ha buone capacitaÁ
per esprimere il suo parere e i suoi
desideri riguardo a Ilaria, percioÁ
provo a proporglielo).
A8 Puoi sempre esprimere il tuo parere...
M9 A chi? (alza la testa e fa un gesto
con la mano) Ma va! Mica ascoltano me quelli...
A9 Puoi sempre provare... (mi guarda scettica) Sei una donna intelligente, pratica, che sa cosa vuole.
Sei una mamma in gamba e fino
ad ora hai gestito e sostenuto
egregiamente una situazione
non facile, complessa, a volte grave...
M10GiaÁ... eÁ vero... Potrei dire al primario che, se la mia bambina ha
ancora bisogno della macchina...
(non riesce a continuare e piange)... Come posso vedere la mia
bambina che vive attaccata a
una macchina, senza guardarmi,
senza conoscermi... questa non eÁ
vita (parla piangendo). In questo
31
PASTORALE
modo la mia bambina non eÁ una
persona. E' vero, non parla, non
si muove, ma anche tu vedi come
mi guarda, mi riconosce e capisce
quando ci sono altre persone attorno a lei. Non vedi come riconosce anche te quando la saluti
e le parli e ti risponde con i suoi
`rumori' e pure sorride! (questo
eÁ vero). Non mi interessa se la
mia bambina eÁ cosõÁ: la amo cosõÁ
come eÁ, desidero che viva e che
muoia cosõÁ come eÁ, e non sedata
e attaccata a una macchina. La
mia bambina non ha mai avuto
gli atti respiratori che loro vogliono...E' sempre stato cosõÁ proprio
per la sua conformazione fisica e
la sua malattia. Se aspettano che
raggiunga da sola gli atti respiratori normali, rimaniamo in ospedale in eterno...
A10 Comprendo il tuo stato d'animo
Marisa e ti sono vicina (l'accarezzo). Da tutto cioÁ che mi hai comunicato fino ad ora mi pare di aver
compreso che i medici pensano
di provare a staccare Ines dal respiratore per vedere se ce la fa
da sola, altrimenti...
M11... altrimenti la aiutano ancora...
ma verraÁ il momento che non potraÁ far a meno della macchina e io
non ho nessuna intenzione a rimanere in ospedale ad aspettare
(si ferma, mette la testa fra le mani, sospira. Io rimango in silenzio.
Lei alza la testa mentre le lacrime
scorrono sul suo viso e i fazzoletti
si accumulano sul ripiano del vicino tavolo). Mamma mia... prego... prego tanto il Signore che
mi dia la forza per andare avanti
ancora, come ho sempre fatto.
Ne ho tanto bisogno. PeroÁ potrebbe lasciarmi la mia bambina,
anche se eÁ cosõÁ... Ho solo lei...(il
suo sguardo eÁ supplichevole. Mi alzo e l'abbraccio, il suo volto contro
il mio petto, piange silenziosamente. Dopo un lungo momento di silenzio dico:
A11 Monica, tutti possiamo chiedere
qualunque cosa al Signore, non
sempre, peroÁ, Lui ci esaudisce come desideriamo. Molto spesso lo
fa in altro modo e noi non lo comprendiamo subito, ma non ci abbandona. Non ci lascia mai soli...
Dio eÁ padre e ci ama di un amore
unico e infinito e ci pone sempre
accanto persone che ci amano e ci
aiutano, magari in silenzio, senza
farsi notare mai.
M12Lo so suora mia, ma molte volte mi
pare che tutto venga meno. A volte mi sento sicura e forte, altre mi
sembra diessere un muro impenetrabile anche al buon Dio. Tante
persone mi lodano, mi dicono
brava, ma io compio solo il mio
dovere di mamma. Anch'io mi
sfogo e dico sciocchezze. (Monica
ha sempre parlato con il viso contro
il mio petto (lei seduta, io in piedi),
poi ha alzato lo sguardo, si eÁscrollata e staccata da me. Si eÁgirata ha rovistato nella borsa appoggiata accanto a lei e ha estratto una foto
di sua figlia, scattata in casa in un
periodo di benessere. Me la porge
e io la guardo ammirata).
A12 Che bella che eÁ! (Marisa si alza, si
porta dietro di me e appoggia il
mento su una mia spalla. Insieme
guardiamo la foto).
32
DIALOGO PASTORALE (A. Nardin)
M13E' vero! Come faroÁ un domani
senza di lei...
A13 Un domani... e senza di lei (a bassa voce). Un domani da investire
diversamente.
M14Ci devo pensare, ma ora non ne
ho il coraggio... cioeÁ non lo voglio
(si stacca da me). Ora devo andare
dalla mia bambina. Ciao ci vediamo dopo.
A14 Va bene. Ciao e... grazie. (Marisa
eÁ uscita dallo studio piuÁ diritta e
apparentemente piuÁ sollevata. Alcune ore dopo sono andata in neuro-rianimazione e ho trovato Marisa molto piuÁ serena. Compatibilmente con i suoi problemi Ines cercava di respirare da sola e lei aveva
avuto il coraggio di esporre il suo
parere e i suoi desideri al primario.
Il suo sguardo era luminoso mentre mi comunicava che se la sua
bambina riusciva a rimanere quarantotto ore senza l'ausilio del respiratore, poteva portarla a casa).
anche ammirazione e rispetto. La sua
storia eÁ una delle piuÁ `dure' che io abbia ascoltato fino ad ora e molte volte
ho provato rabbia nei confronti della
persona che l'ha abbandonata, lasciandola sola con una situazione simile. Ascoltando Marisa spesso mi
sono commossa anch'io e penso che,
da ambo le parti, nessuna reazione
sia stata esagerata.
Marisa, nei nostri incontri mi ha
raccontato molte cose di seÂ, della sua
famiglia, della sua bambina. Quando
sei anni fa ha scoperto di essere incinta, il suo convivente l'ha messa di
fronte ad una scelta: o lui o il bambino. Dopo inutili tentativi e chiarimenti, senza troppe esitazioni, Marisa
ha scelto per il figlio che portava in
grembo, intraprendendo un cammino non facile, di sofferenze varie, a
volte gratuite, ma anche di maturazione e di liberazione, assumendosi
tutte le responsabilitaÁ inerenti alla
scelta fatta, senza colpevolizzare nessuno.
La stanchezza e lo stress accumulati in questi giorni hanno reso Marisa
vulnerabile e facile al pianto, e a controllare meno facilmente i propri sentimenti ed emozioni, come ha sempre
fatto. Probabilmente eÁ pure stanca di
combattere e da sola.
Da lei non ho mai sentito una parola cattiva nei confronti del padre di
Ines, non ho mai percepito pentimento o un lamento per la scelta fatta
e per le inevitabili conseguenze, ma
neppure per la stanchezza e la fatica
che comporta l'assistenza a sua figlia.
Marisa vive con la mamma (che lavora) e la nonna materna: ama precisare
che, con Ines, formano una famiglia
Analisi
La situazione che emerge dal colloquio eÁ abbastanza grave e anche complessa, sia per le condizioni fisiche di
Ines, sia per la grande sofferenza di
Marisa. Ella ha paura di affrontare
una nuova realtaÁ e di non essere in
grado di gestirla. Inoltre ha sempre
pensato di dare la possibilitaÁ a sua figlia di morire a casa, nel suo ambiente e ora la sente lontana, quasi irrangiungibile.
PiuÁ volte, nel corso dei nostri dialoghi, ma in particolare in questo, ho
provato compassione per Marisa, ma
33
PASTORALE
secondo il mio modo di pensare o di
agire. Inoltre Marisa ha forte dentro
di se il valore e il rispetto per la vita e
l'accoglie cosõÁ come eÁ perche eÁ dono
di Dio. Non so se ne sia cosciente,
ma sicuramente questo traspare da
ogni suo gesto, sguardo, azione.
Conosco Marisa da troppo tempo,
percioÁ, rivedendo questo incontro,
ho la sensazione di aver rivestito, con
lei, il ruolo di amica piuÁ che di pastore, anche se mi sento a mio agio in
tale ruolo.
Marisa con me eÁ sempre stata
aperta, confidenziale, fiduciosa, ma
anche rispettosa del mio essere suora
e del ruolo che rivesto all'interno dell'ospedale. Mi cerca quando arriva in
ospedale e, quando eÁ a casa mi telefona o mi scrive. Sento e percepisco,
peroÁ, che la nostra relazione, molto
semplice, eÁ costruttiva e improntata
sulla relazione di aiuto: penso di averla aiutata e di aiutarla ancora, soprattutto attraverso l'ascolto delle sue
emozioni, sentimenti, interrogativi,
ecc.
Per un prossimo incontro, date le
condizioni di Ilaria che, peggiorano
inesorabilmente, penso di affrontare
insieme l'eventuale perdita di Ilaria o,
quanto meno la possibilitaÁ di una respirazione tramite tracheotomia con
l'ausilio di un respiratore meccanico
domiciliare e quindi l'accoglienza di
questa nuova realtaÁ.
di donne, che si aiutano e si sostengono a vicenda. Ha anche due fratelli
sposati che le vogliono bene e che sono presenti, non solo affettivamente,
ma anche concretamente nelle varie
necessitaÁ. Marisa non lavora, eÁ sempre con Ines e espleta, in casa, tutte
le cure necessarie e le pratiche infermieristiche. Parla molto con la bimba
e, a volte, la sgrida pure: la piccola, a
modo suo, comprende. Nonostante i
continui ricoveri, appena possibile
Marisa ha sempre portato a casa la
sua bambina.
Marisa eÁ cristiana cattolica e credente e prega molto: eÁ cresciuta e vive in una famiglia dove si prega con
le preghiere tradizionali al mattino e
alla sera, inoltre nel tardo pomeriggio, con la nonna recita sempre il Rosario. Ha pure un modo tutto personale per pregare, per interpellare
Dio. Nelle occasioni in cui ho avuto
la possibilitaÁ di pregare con lei in modo spontaneo, ho sentito la preghiera
del cuore, la preghiera che esprime i
sentimenti e le emozioni di quel momento: per me sono momenti forti e
importanti, nei quali imparo molto.
Spesso la persona di Marisa, nella sua
disponibilitaÁ, accoglienza, dedizione
e nel suo dolore, mi richiama la figura
di Maria che ha sempre accolto, servito e sofferto nel silenzio. Richiamo
molto importante per me, propensa a
brontolare quando le cose non vanno
34
LO SMALTO DI WEINEST:
IL CRISTO FARMACOLOGO
Domenico Casera
Prendo lo spunto per questa conversazione da un biglietto pasquale
ricevuto da una mia alunna al Camillianum1, membro della eÂquipe multidisciplinare (sacerdoti cattolici, pastori protestanti, laici) del servizio pastorale al Poliklinikum di Norimberga.2 Il biglietto riproduce uno smalto
di Egino Weinest dal titolo, che puoÁ
sembrare un po' strano, di Cristo farmacologo. La farmacia eÁ una rivendita accogliente dei prodotti delle case
farmaceutiche, che oggi sono infinite.
Quella riprodotta nello smalto eÁ
propriamente la bottega dello speziale, dove l'esperto manipolatore di erbe medicinali, aromi, e droghe, creava le cosiddette medicine galeniche,
atte a contrariare e guarire i malanni
degli uomini. Ne ho presente una di
queste spezierie, all'ospedale di Santo
Spirito in Roma, una graziosa saletta
cinquecentesca, restaurata e riportata
alle linee e decorazioni originali. Negli scaffali e armadi alle pareti fanno
bella mostra vasi fittili di varia grandezza, anfore e maioliche pregiate.
Vien quasi fatto di pensare che Weinest si sia ispirato a quella «spezieria»
per la raffigurazione del Cristo farmacologo.3
Il titolo eÁ da prendersi in senso
analogico naturalmente, percheÁ Cri-
sto non offre prodotti farmaceutici in
senso stretto, siano essi galenici o immessi nel mercato dall'industria. Le
sue sono medicine spirituali intese a
dare il tono giusto al nostro mondo
interiore e sostenere una vita cristiana
vigorosa.
Ci identificheremo dunque ai tre
clienti raffigurati nello smalto, la donna col bambino, l'uomo e la donna
con una ricetta in mano ed esporremo al Cristo, accogliente e benevolo,
il nostro bisogno di chiarimento e di
illuminazione.
Con discrezione e semplicitaÁ senza
presunzione alcuna, mi porroÁ come
interprete delle sue risposte, come intermediario dei suoi farmaci sananti.
1. «Donna Pasquale»
Cosa significa? chiede non senza disagio una giovane donna, che continua: «Recentemente un sacerdote amico, vedendomi piuttosto abbattuta ±
mi succede spesso ± mi raccomandoÁ di
smetterla di rosolarmi nelle mie tristezze ed educarmi invece ad essere
«donna pasquale». Io non capivo e mi
misi a piangere. Cosa significa essere
«donna pasquale?»
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
PASTORALE
R. Apriamo il vangelo di Giovanni,
c. 20. Maria Maddalena va al sepolcro ch'era ancora notte, per rendere
alla salma di GesuÁ quegli onori funebri che non s'erano portati a termine
il venerdõÁ precedente per la gran fretta. Trova il sepolcro vuoto e corre ad
avvertire gli apostoli. Pietro e Giovanni si affrettano sul luogo a verificare. Non riescono a capacitarsi cosa
possa essere succeduto e tornano a
casa. Maria rimane, a piangere. Per
quattro volte, nel brano, si fa riferimento alle sue lacrime. Non si lasciava consolare, povera donna disperata
per questo nuovo, inspiegabile insulto a GesuÁ. In questo stato di profondo scoramento si volge verso il giardino e, vedendo un uomo ch'essa prende per il custode delle tombe, gli dice: «Sei stato tu a rimuoverlo! Dimmi
dove l'hai messo!» L'uomo la chiama
per nome: «Maria»: Era GesuÁ, il Risorto. Maria le si butta ai piedi in
adorazione profondissima. Colpisce
che la prima apparizione di GesuÁ Risorto sia stata riservata ad una donna
dal passato movimentato, guarita da
una gravissima forma di depressione.
GesuÁ voleva premiarla percheÁ, fin
dall'inizio della sua vita pubblica, con
altre pie donne beneficate, s'era messa al suo seguito «assistendolo con i
suoi beni», animatrice e antesignana
del generoso servizio femminile su
base volontaria, che poi ha onorato la
chiesa nel corso dei secoli (Lc 8,1-3),
e premiarla anche percheÁ gli era stata
vicina sotto la croce a provvido sostegno di sua madre (Mc 15, 40; Gv
19,29)4
La Risurrezione, il dono dei doni che
GesuÁ ci ha portato
Dopo il racconto di questa apparizione, nei vangeli non si parla piuÁ
della Maddalena. Ne sappiamo peroÁ
a sufficienza per vedere in lei l'apostola della risurrezione e il modello
del discepolato apostolico delle donne con funzioni non secondarie nelle
giovani comunitaÁ.
La risurrezione eÁ il dono dei doni
che GesuÁ ci ha fatto, che ci gratifica e
ci espande giaÁ in questa vita e daÁ ad
essa la connotazione ineffabile della
gioia e della solaritaÁ, fa di noi «uomini e donne pasquali». Il clima immesso nella nostra vita dalla Pasqua eÁ disteso, areato, dilata, rinfresca, diffonde sentimenti di buon vicinato e di
armonia. E poi non si conclude con
la vita terrena, ma la trascende, nella
partecipazione alla vita gloriosa del
Risorto. La nostra storia personale
non finisce nel nulla, ma si innesta
nell'eternitaÁ al seguito di Cristo, che
ci ha indicato la strada da seguire. La
sua parola eÁ veritaÁ affidabile e sicura
da accogliere con gratitudine e fede:
ci rivela il significato della vita attraverso la strada dell'amore, che confluisce nell'aldilaÁ della risurrezione.
La «veritaÁ» ci fa servi schietti, spontanei, autentici ± nel nostro rapporto
con Dio e, di conseguenza, con i fratelli. Per questo la nostra vita si caratterizza per la gioia della Pasqua, la
nota piuÁ alta del nostro spirito, la misura della nostra maturitaÁ rivestita,
compenetrata dalla luminositaÁ del
Cristo Risorto.
Il primo discorso di Pietro il giorno della Pentecoste eÁ un inno a Cri36
LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera)
sto vittorioso, modulato con le parole
di Davide riconoscente a Dio dopo
lunghi anni di lotte tribali, divenuto
alla fine capo riconosciuto dei regni
di Giuda e di Israele unificati:
le altre attitudini raccomanda la piacevolezza, o giovialitaÁ, o buona grazia, il contrario della scontrositaÁ o pedanteria, e noi potremo aggiungere
fotografando atteggiamenti frequenti,
il silenzio affettivo, un rapporto senz'anima. E insisteva: «Nessuno si presenti al malato con la fronte triste o
tesa». Questa stessa annotazione l'ho
trovata recentemente in una biografia
di Madre Teresa tratta dai processi
canonici per la canonizzazione. «Se
qualche volta una sorella si alzava al
mattino senza un'espressione gioiosa
sul viso, Madre Teresa le diceva di
tornare a letto e di dormire un altro
poco fino a quando si fosse sentita un
poco meglio. Spiegava sorridendo:
«Non possiamo andare in giro con lo
sguardo accigliato. I poveri hanno giaÁ
per conto loro abbastanza miseria da
non dover essere costretti a sopportare la nostra».5
«Sono fissi nel Signore gli occhi miei
per sempre,
con lui a fianco, incertezza non scuote.
Gioiscono cuore e sensi per questo
e tripudiano,
tutto il mio cuore riposa al sicuro.
Non eÁ da te abbandonare una vita
agli inferi,
lasciare che la fossa inghiotta
un fedele.
Tu la via alla vita mi insegni.
Quale gioia vedere il tuo volto,
quale gioia lo starti vicino!
(Sal 16,8-11, traduzione Turoldo-Ravasi)
Il dono della vittoria sulla morte ci
eÁ stato offerto da GesuÁ nel giardino
davanti alla sua tomba vuota. E' quello il luogo di nascita della nuova
umanitaÁ redenta e risorta. A partire
dal mattino di quella domenica benedetta, la nostra storia eÁ segnata dalla
gioia. La grazia della gioia rende effusiva la mia persona, che si apre alla
virtuÁ dell'amore e si avvia al servizio
degli altri anche attraverso i sentieri
del volontariato. Lo spirito si fa agile,
diventa maturo e benefico, si raffina
negli esercizi dell'amore, si lascia accompagnare da Dio nei luoghi della
miseria e si prepara all'incontro ultimo e definitivo col Cristo Risorto.
Un ricordo d'infanzia
La centralitaÁ della festa di Pasqua
con le sue ricadute sulla religiositaÁ
della gente eÁ messa in luce da una antichissima tradizione liturgica delle
valli dolomitiche dove sono nato. E'
un ricordo della mia infanzia che vi
trasmetto con semplicitaÁ. Ritorniamo
indietro, ai tardi anni venti. Abitavamo a quindici chilometri di strada
ferrata dalla cittaÁ ± capoluogo, Bolzano. Allora la veglia pasquale si celebrava il sabato santo, al mattino. Mio
padre mi prendeva con se per andare
a Bolzano, in duomo. La «veglia» trovava largo riscontro di devozione e di
fede. Il rito si svolgeva con impecca-
S. Camillo e Madre Teresa si accordano
S. Camillo, nelle sue Regole per
servire con perfezione gli infermi, tra
37
PASTORALE
bile solennitaÁ. Mi ricordo piccolo piccolo (dieci anni), nella prima fila della
corsia di centro, in piedi. Ero piazzato bene per osservare e cercar di capire. A un certo punto (ricostruisco
con le conoscenze di oggi) il celebrante intona il Gloria. Tutta la chiesa si illuminava, l'organo suonava a
distesa, i chierichetti agitavano a due
mani campanelli, crotoli e nacchere
di proprietaÁ della chiesa.
In mezzo a quel tripudio di luci e
di suoni, una sorpresa attira la mia attenzione: sul retro dell'altare maggiore c'eÁ qualcosa che si muove. Tramite
un marchingegno artigianale che fa
parte dei sussidi liturgici della chiesa,
si alza lentamente una bella statua lignea del Cristo Risorto, con lo stendardo della vittoria in mano. E non
finisce lõÁ. Anche le campane del duomo suonano a distesa e i loro rintocchi si diffondono a onde concentriche per largo raggio. Come le onde
di uno stagno provocate da un sasso
tirato a livello delle acque. Quei rintocchi arrivano agli altri campanili
della cittaÁ, e subito anche loro si uniscono alla gioia comune perche il Cristo eÁ risuscitato. Da loro il suono festoso arriva fino ai campanili delle
vallate, anche a distanze considerevoli dal capoluogo, fino ai villaggi piuÁ
lontani, sperduti sui pendii e sulle cime. In brevissimo spazio di tempo eÁ
un inno corale al Risorto che si eleva
da tutta la diocesi.
Mi chiedo come mai mio papaÁ, che
non era uomo di cultura (era cantoniere sulla ferrovia del Brennero), ci
tenesse a ritagliarsi quella giornata libera e a condurmi con se a Bolzano.
La sua religiositaÁ aveva l'intonazione
giusta, che del resto gli era stata trasmessa dall'insegnamento del Catechismo a scuola e da una tradizione
cattolica che, a quanto mi risulta, dura tutt'ora.
2. La ricetta della dolcezza
Sono una donna piuttosto spigolosa,
suscettibile. Anche autoritaria, intransigente. Sento che non dovrei. Offro
delle buone soluzioni, almeno cosõÁ mi
pare. Non vedo frutti. Cosa mi suggerisce perche la mia relazione sia piuÁ controllata, piuÁ rispettosa della persona,
piuÁ umana? E piuÁ fruttifera?
R. PiuÁ mite e umile, direbbe il Signore! (Cfr. Mt 11,29). Ma procediamo con ordine.
Le melarance di Santa Caterina
Erano tempi orribili quelli della
chiesa nel 1300. Caterina da Siena
(1347-1380), dotata di doni mistici
non rari in quell'epoca, s'impegna in
tutti i modi per il ritorno del papa
Gregorio XI da Avignone, dove la sede apostolica aveva traslocato da settant'anni, a Roma. Gli scrive piuÁ volte lettere appassionate ed energiche,
va ad Avignone di persona. Ebbe, alla fine, partita vinta (17 gennaio
1377). Dopo la morte di Gregorio
XI, il successore Urbano VI, che sentiva il bisogno del suo consiglio e delle sue preghiere, la volle a Roma. Per
il Natale 1378, Caterina fece al papa
un regalo, modestissimo, ma molto
simbolico. Gli mandoÁ cinque melarance conservate nel miele, da lei
38
LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera)
stessa preparate in un cestello di vimini. E le accompagnoÁ con una lettera di spiegazione, nella quale, alludendo alla terribile prova che stava
attraversando il papa (un gruppo di
cardinali aveva nominato un antipapa, iniziando uno scisma che duroÁ 37
anni), gli diceva che anche le melarance hanno di per se sapore amaro e
piccante, ma, con qualche amorevole
accorgimento, per esempio cospargendole di miele e lasciandole per
qualche tempo depositate, in modo
che il miele penetri a poco a poco
nella melarancia, ``la si puoÁ addolcire
quanto si vuole''. «Dilettiamoci di
questa dolce amaritudine, dopo la
quale seguita conforto di molta dolcezza. Confortatevi, dolcissimo padre, con vera umiltaÁ, senza alcun timore: che per Cristo Crocifisso ogni
cosa potrete...».6
Quasi per distrarre il pontefice dalle perfidie della sua curia e dall'angoscia che la situazione gli creava Caterina gli raccomanda di ``vivere la vita
secondo caritaÁ'', e di essere, con luciditaÁ e con ``dolcezza'', vicino agli
enormi bisogni sociali della sua Chiesa. E' sulla piattaforma dell'amore,
militando in essa con prioritaÁ, che saranno sconfitte le forze del male. Il
papa doveva trasfondere, nella parte
piuÁ sana e consapevole della Chiesa,
l'ampio respiro dell'amore.
L'amore eÁ in fondo il riverbero
della misericordia di Dio nella rete
dei rapporti tra gli uomini. Il programma paolino di non rendere male
per male, ma di compiere il bene davanti a tutti (Rm 12,17) doveva realizzarsi nell'apertura generosa e responsabile ai bisogni sociali di Roma.
Questo leitmotiv, ricorrente dell'opera di pacificazione di Caterina nelle
cittaÁ turbolente del suo tempo, trova
accenti ispirati anche sul letto di morte, nell'esortazione all'amore, al volersi bene, al comprendersi, all'``amatevi scambievolmente; figlioli miei carissimi, amatevi''.7
I tuoi testi, Signore, sono miele che stilla...
La metafora del miele, per indicare
la dolcezza che deve accompagnare il
rapporto di aiuto, eÁ riportata in vari
passaggi della Sacra Scrittura. Il profeta Ezechiele, che ormai da cinque
anni condivideva con i suoi connazionali l'esilio a Babilonia, vede una mano tesa verso di lui, che teneva un rotolo in mano e gli dice: ``Riempi il tuo
stomaco con questa pergamena''. Egli
esegue: era dolce come il miele. (Ez
3,1-3), aveva il sapore della dolcezza
del miele, si trattava delle parole di
Dio ch'egli doveva annunciare. L'immagine eÁ ripresa anche dall'Apocalisse: ``presi il libro e lo divorai, in bocca
lo sentii dolce come il miele'' (10,10).
La parola di Dio eÁ dolce al palato e
letizia per il cuore, ``eÁ la sola mia delizia'' (Sal 119,111). ``Quanto sono dolci i tuoi testi al palato, miele che stilla
mi sono alla bocca'' (Sal 119, 103).
Traduciamo per noi: offrire con buona grazia quei gesti d'aiuto che le situazioni ci richiedono, oltre che gradito e utile al prossimo, rende serena
e ``consolata'' la nostra anima.
39
PASTORALE
L'acqua viva e il pozzo del Piccolo Principe
belle e sante che derivano dalla ``fonte d'acqua viva'' alimentata e tenuta
efficiente in noi dal Signore.
Il pozzo della samaritana mi richiama quello, pur bello, ma di fantasia,
del ``piccolo Principe'' di Antoine de
Saint ExupeÂry. L'autore eÁ pilota di
professione. Costretto ad atterrare
nel deserto del Sahara perche qualcosa si era rotta nel motore, tenta di ripararla, inutilmente. Aveva acqua da
bere solo per una settimana ed eÁ preso dal panico. All'improvviso, si vede
davanti un bambino di sei anni, arrivato lõÁ in seguito ad una migrazione
di uccelli selvatici. L'aviatore eÁ un
tecnico esperto, ha una cultura alta,
vuol sapere chi eÁ quel frugolo vivace.
Ma quel folletto elude le domande,
ne pone di sue piuÁ semplici, e fa delle
affermazioni che al maturo pilota
sembrano infantili, ma poi si rivelano
piene di saggezza.
Comincia a farsi strada l'idea che
quel pupo era lui stesso quando aveva quell'etaÁ, e poi, affermandosi nella
vita l'aveva tacitato e schiacciato sotto il peso della cultura adulta. CosõÁ
discorrono tra loro facendo un giretto (viva la fantasia!) per gli asteroidi.
Incontrano cose semplici, una rosa,
una pecora, un annaffiatoio, un albero gigantesco, anche una volpe, ne
parlano tra loro, il pilota col linguaggio surreale della sua scienza, il bambino con quello piuÁ concreto della
sua spontaneitaÁ. Ed eÁ lui che fa lezione.
Arrivano ad un pozzo, sperduto in
mezzo al deserto. ``Il piccolo principe'' si accosta, vede che tutto eÁ pronto, la carrucola, il secchio, la corda;
stacca la corda, mette in moto la car-
La dolcezza e i termini affini di cui
eÁ ricco il dizionario italiano, tutti
molto belli e intercambiabili, come
mitezza, bontaÁ, gentilezza, elevatezza
d'animo, clemenza, sono attributi di
Dio, misericordioso e sollecito verso
gli uomini, come la tradizione biblica
del Primo Testamento e piuÁ ancora il
Secondo incontrovertibilmente ci dicono. Ma sono presenti anche in noi,
scritti nella nostra anima. Presenti in
nuce, in radice, ci dicono i teologi.
Semi buoni, depositati nel nucleo di
base della nostra persona pensante,
percheÂ, opportunamente sviluppati e
messi a frutto, assicurino alla nostra
vita l'impegno di rapporti positivi
con tutti, quei rapporti che ci realizzano come esseri sociali. Ci dice Martin Heidegger: l'attenzione all'altro,
la premura e la cura verso di lui (sorge) e la tenerezza, il farsi vicino, il farsi carico della sua situazione, sono fenomeni costitutivi del nostro ``esserci'' (dasein) nel mondo. I teologi sono
piuÁ a loro agio nel parlarci di quei
``fiumi d'acqua viva che sgorgheranno
dal nostro grembo di credenti'', parole dette da GesuÁ prendendo lo spunto dal prelevamento dell'acqua alla
fontana di Siloe, che, per otto giorni
consecutivi, si trasportava al tempio
per gli usi liturgici (cfr Gv, 7,38, alla
festa delle capanne). In precedenza,
nel lungo colloquio con la samaritana
al pozzo, le aveva detto: ``L'acqua che
io daroÁ diventeraÁ in lui una sorgente
d'acqua che zampilla per la vita eterna'' (Gv 4,16). Intendeva con queste
parole quelle germinazioni di cose
40
LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera)
rucola, gli par di sentire una musica.
``Svegliamo il pozzo, egli dice, e il
pozzo canta''. Issato il secchio sull'orlo, beve con gli occhi chiusi.
L'acqua eÁ fresca come una festa, fa
bene al cuore, eÁ un vero dono del Signore. Poi disse, seriamente: Voi, uomini della CiviltaÁ, coltivate 5000 rose
in un giardino e non trovate quello
che cercate. Basta una sola rosa e un
po' di quest'acqua.8 Bravo, piccolo
scricciolo, ci ricordi quella sorgente
d'acqua viva che eÁ in noi e noi poveri
adulti smemorati ricorriamo a cisterne screpolate, che non serbano acqua, ma fango (Ger 2,13).
gnosi senza dar soggezione.
Esempio insigne di filantropia, dice S. Gregorio di Nazianzo, che traduce quel versetto cosõÁ: imparate da
me che sono mite e filantropo. E
commentava: Sii tu (si rivolge a noi)
Dio per lo sventurato, imitando la
misericordia di Dio, cioeÁ quello che eÁ
Dio per tutti gli uomini tu devi esserlo per gli sventurati, attuando per il
suo bene una virtuÁ uguale a quella di
Dio ti devi esercitare nelle piuÁ umili
opere d'amore per il prossimo, al fine
di raggiungere la piuÁ grande e perfetta filantropia. Come imitatore di Cristo tu devi essere philantropos, in
quanto imitatore del philantropos
per eccellenza.9
Imparate da me che sono mite e filantropo
Contributo della dolcezza alla civiltaÁ
dell'amore
C'eÁ una formula particolare per
trasformare in dolcezza il nostro carattere ruvido e farne la nota distintiva nei nostri rapporti sociali? Ci sono
in noi germi cattivi, che producono
frutti cattivi. Ne ha fatto l'elenco S.
Paolo descrivendo tutto il negativo
che si manifesta nell'uomo cui eÁ mancata una corretta preparazione alla vita. Ma ci sono anche germi buoni
che, opportunamente riconosciuti e
coltivati, crescono e danno alla vita
un sapore di frescura e di bellezza. Si
tratta di predisposizioni al retto e al
giusto, che diventano attitudini.
Tra queste, c'eÁ la dolcezza. Di essa
eÁ inarrivabile modello GesuÁ: imparate da me, che sono mite (dolcezza e
delicatezza sono segni dell'amore) e
umile di cuore: umile di cuore significa che si accostava alla gente delicatamente, senza rudezze autoritarie, si
mescolava con naturalezza ai biso-
La dolcezza di GesuÁ ha fatto scuola. S. Paolo raccomanda al discepolo
Tito di evitare le liti, di essere mansueto, ``mostrando ogni dolcezza verso tutti'' (Ti 3,1-2). S. Ignazio di
Antiochia (? - 107) eÁ tradotto in catene a Roma per essere esposto alla fiere. Nella tappa della nave a Smirne,
riceve la visita di Polibio, vescovo di
Tralla (Cesarea), salito a bordo per
confortarlo. Egli scrive alla comunitaÁ
locale: ``Il comportamento del vescovo eÁ una grande lezione, la sua dolcezza una forza. Credo che anche gli
altri lo stimino... Anche voi, armandovi di una dolce pazienza, ricreatevi
nella caritaÁ. Amatevi l'un l'altro con
cuore indiviso''.10 La dolcezza dell'azione caritativa, accompagnata a naturale delicatezza e a maniere affabili,
eÁ un notevole contributo al fiorire
41
PASTORALE
della civiltaÁ dell'Amore. La dolcezza
eÁ garanzia di perfezione per ogni opera buona. Nessuno ce lo conferma
meglio di Giovanni XXIII, che ha lasciato scritto: ``Se nel correggere o
rimproverare una persona dovessi
usare tanta violenza quanta ne occorre per schiacciare una mosca, io ci rinuncerei''.
Per questo, fin dagli inizi della sua
vita sacerdotale, nell'affrontare doveri e responsabilitaÁ sempre piuÁ onerose, prendeva a modello S. Francesco
di Sales, l'uomo dell'equilibrio e della
dolcezza. Dice di lui: mai una nota
stonata nelle sue parole, o che andasse oltre la linea della compostezza e
della bontaÁ; nelle grandi fatiche dell'azione pastorale era solito ripetere:
``Io sono come colui che canta in un
bosco di spine''.11 Fin dal 1903, passava in sua compagnia il 29 gennaio,
festa liturgica del Santo che egli chiamava il mio santo dolcissimo: ``Se dovessi essere come lui, non mi rifarebbe nulla anche quando mi creassero
papa. Quante volte ne ho riletto la vita. Le sue sentenze mi scendono soavi
al cuore, mi sento piuÁ disposto ad essere umile, dolce, tranquillo, alla luce
dei suoi esempi''.12
ta al travaso della bile nel sangue, lo
rende giallo in tutto il corpo, cerca
un po' di sollievo all'ombra. L'uccellino lo fissa intensamente, canterellando note distensive. Lentamente, il
colore giallo del malato si trasmette
allo scricciolo e il malato eÁ guarito; lo
scricciolo, che da grigio eÁ divenuto
giallo, vola via cantando nel bosco.
La metafora eÁ evidente: per aiutare il
prossimo nei suoi problemi, devo attardarmi presso di lui e ascoltarlo,
giocare con lui la corda della dolcezza
e del cuore.
``La dolcezza di un amico rassicura
l'anime'' (Pr 27,9). Quella serenitaÁ attraente che segna il volto dei nostri
volontari, (``cuor contento ha il viso
sereno'' Pr. 15,13), quella ``festevolezza dolce'' che eÁ la loro tessera di presentazione, eÁ un grande dono, da ricuperare quando venga disgraziatamente a mancare.
Note
1
Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria, Roma.
2
Modernissimo Centro ospedaliero costruito in mezzo ai boschi in vicinanza della
cittaÁ.
3
In una saletta accanto vi eÁ un vecchio
marchingegno per la macerazione delle erbe,
mentre una gentile decorazione pompeiana
presenta le piante terapeutiche dell'orto botanico di proprietaÁ dell'ospedale. Vigeva allora il proverbio: hospitale sine erbario est veluti castrum sine armamentario, l'ospedale
senza l'erbario eÁ come un campo militare
senza armi.
4
Un gruppo di pie donne «lo seguiva e lo
serviva», dice Mc 15,41. Vedi Le donne che
GesuÁ incontroÁ di Elisabeth Moltman Wendel, Queriniana 1989; vedi la stupenda rap-
Lo scricciolo della Savoia
Nei miei vecchi appunti trovo trascritto questo delizioso racconto di S.
Francesco di Sales: c'eÁ in Savoia un
uccellino curioso che ha queste particolaritaÁ: eÁ grigio all'origine, e modesto, un passerotto, uno scricciolo,
non ha importanza. Vede sotto l'albero un pover'uomo che, colpito da itterizia, una malattia grave, che, dovu42
LO SMALTO DI WEINEST: IL CRISTO FARMACOLOGO (D. Casera)
presentazione della Maddalena che `sostiene'
anche fisicamente la Madonna nella grande
tavola della Crocifissione del beato Angelico
in San Marco a Firenze.
5
S. GAETA, Il segreto di Madre Teresa: Il
diario e le lettere inedite dei colloqui con GesuÁ
riportati alla luce dal processo di beatificazione, Piemme, 222, pp. 66-67.
6
E. GRANZOTTO, Caterina da Siena, umile
e sapiente vergine domestica, San Paolo 2003,
p. 152.
7
Ib., p. 179. Santa Caterina da Siena eÁ la
prima donna proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970. Secondo Sofia
Boesch, fu un segno di apertura di una nuova stagione nella storia della Chiesa. E.
Granzotto la definisce la teologa dell'amore
(pp. 163-169).
8
A. de SAINT-EXUPEÂRY, Il Piccolo Principe,
con illustrazione dell'autore, Tascabili Bompiani, 2000.
9
C. MORESCHINI, I Padri cappadoci, citato
nella voce `curare' del Dizionario di teologia
pastorale sanitaria, Camilliane, 1997. La riflessione sul Cristo filantropo era corrente
nel terzo secolo. San Giovanni Crisostomo
(345-903) l'ha introdotta nel suo canone (anche noi, sovrano filantropo, diciamo: santo
sei e santissimo); e cosõÁ S. Basilio (330-379)
nella sua anafora (preghiamo e invochiamo
te, filantropo buono, Signore!) S. Cirillo di
Gerusalemme (? 387) cosõÁ commenta l'anafora della tradizione apostolica in In alto i
cuori ``Bisogna tener alto i cuori verso Dio e
non in basso alla terra e agli affari terreni.
Con forza il sacerdote ingiunge di metter via
tutte le preoccupazioni della vita, le sollecitudini domestiche, e di tenere in cielo il cuore
verso il Dio filantropo''. In un formulario di
assoluzione di S. Basilio troviamo: «Fa che
siano tutti sciolti e liberati per mezzo dello
Spirito tuo santissimo, buono e filantropo....»
e piuÁ sotto: «Perdona, rimetti e condona a
noi, quale Dio buono e filantropo» (Vedi Cesare Giraudo, In unum corpus trattato mistagogico sull'Eucarestia, San Paolo 2001).
10
S. Ignazio di Antiochia, a cura di CarloCapitani, Mimep-Docete, 1996.
11
Giornale dell'anima, San Paolo, 2000,
p. 118.
12
Ib., p. 311.
``Le esperienze sane e salutari di cui GesuÁ eÁ sorgente e che preparano
l'accoglienza della salvezza, sono molteplici...: dona consistenza alla vita
e la centra, dinamizza l'esistenza potenziando il meglio di ognuno,
restituisce la dignitaÁ persa, aiuta ognuno a vivere con il proprio corpo
e ad esserne signori, lotta contro i comportamenti patologici di matrice religiosa,
sana i rapporti interpersonali cercando di creare una convivenza piuÁ solidale
e fraterna, offre una visione positiva della vita e indica, nella solidarietaÁ
e nell'amore, la via per la pienezza umana''.
43
COMUNICARE
CON I MALATI DI ALZHEIMER
Angelo Brusco
«CioÁ che in noi eÁ ferito,
chiede aiuto alle piuÁ minute cose della terra,
e lo trova»1
Introduzione
Mentre raccoglievo gli appunti per
questa relazione mi eÁ venuta tra le mani una breve poesia di Antonio Machado che mi sembra possa servire da
introduzione alla mia riflessione.
Sul vecchio olmo, spaccato dal fulmine
e a metaÁ ammuffito,
con le piogge di aprile e il sole di maggio
sono spuntate alcune foglie verdi.
Un muschio giallo sbiadito
macchia la corteccia biancastra
del tronco consunto e polveroso (...).
O olmo, prima che il fiume verso il mare
ti spinga per valli e dirupi
voglio annotare
la grazia del tuo ramoscello rinverdito.
Anche il mio cuore spera, proteso verso
la luce e verso la vita,
un altro miracolo della primavera.
Il morbo di Alzheimer causa nella
persona che ne eÁ colpita gli effetti
che il tempo e le intemperie hanno
causato al vecchio olmo, di cui parla
la poesia citata.
In questo inesorabile cammino che
porta al degrado fisico e psichico del-
la persona eÁ possibile mantenere nel
malato la capacitaÁ di far emergere
barlumi di luce e di vita, che rammentino a chi lo accompagna e lo cura la sua dignitaÁ di essere umano?
Che cosa eÁ la demenza?
Prima di rispondere a questo interrogativo possono essere di utilitaÁ alcune nozioni sulla demenza di cui
l'Alzheimer eÁ una delle principali
cause.
La demenza rappresenta l'esito di
una malattia ad andamento progressivo. Quando a una persona viene diagnosticata dal proprio medico una
demenza, Alzheimer o malattie ad essa correlate, cioÁ avviene perche quella
persona presenta chiari segni di compromissione della memoria, del pensiero e del comportamento.
I primi segni di malattia che la famiglia puoÁ notare sono rappresentati
da difficoltaÁ nella capacitaÁ di ricordare eventi recenti e nello svolgimento
di compiti quotidiani routinari e consueti. La persona in questione puoÁ
anche manifestare confusione, modi-
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco)
graduale e insidioso, e il declino della
persona eÁ generalmente lento. Attualmente la causa della malattia eÁ sconosciuta, e non esiste alcuna possibilitaÁ
di cura.
Questa malattia ha preso il proprio
nome dal dr. Alois Alzheimer, che
nel 1906 descrisse i cambiamenti intervenuti nel tessuto cerebrale di una
donna deceduta in seguito a una malattia mentale considerata allora insolita. Questi cambiamenti sono ora riconosciuti come le alterazioni cerebrali caratteristiche presenti nell'Alzheimer.
L'Alzheimer colpisce tutti i gruppi
sociali e non eÁ associata a una particolare classe sociale, al sesso, a un
particolare gruppo etnico, o a una
specifica localizzazione geografica.
Inoltre, sebbene l'Alzheimer sia piuÁ
comune tra gli anziani, anche persone
piuÁ giovani possono essere colpite da
questa malattia.
L'Alzheimer colpisce ciascuna persona in modo differente. Il suo impatto dipende in larga misura dalle
caratteristiche individuali preesistenti; in particolare, dalla personalitaÁ,
dalle condizioni fisiche e dallo stile di
vita della persona che ne eÁ colpita.
I sintomi dell'A. possono essere
meglio compresi in rapporto a tre fasi
del suo decorso: iniziale, intermedia e
terminale.
ficazioni della personalitaÁ e del comportamento, compromissione della
capacitaÁ di giudizio, difficoltaÁ nel trovare le parole, nel concludere un discorso o nel seguire una precisa direzione dal punto di vista ideativo.
La perdita di cellule cerebrali eÁ un
processo naturale dell'invecchiamento, ma nelle malattie che conducono
alla demenza si verifica a un ritmo cosõÁ veloce da impedire al cervello di
funzionare normalmente.
In una modesta percentuale di casi
la demenza eÁ trattabile e potenzialmente reversibile, ma nella stragrande maggioranza eÁ una malattia che
conduce alla morte.
Gli effetti della demenza tendono
ad essere meno gravi quando la malattia inizia in una fase molto avanzata della vita.
La malattia di Alzheimer eÁ responsabile di oltre la metaÁ dei casi di demenza. Al secondo posto si trova la
demenza vascolare, causata da una
serie di piccoli ictus che riducono
l'apporto di sangue al cervello. Questi ictus possono essere di entitaÁ modesta, ma il loro effetto combinato
puoÁ compromettere la facoltaÁ di pensare, ragionare, ricordare e comunicare.
Tra le altre possibili cause di demenza vanno ricordate: l'AIDS, la
depressione, la sindrome di Down,
disturbi metabolici, il morbo di Parkinson e il morbo di Pick.
Fase iniziale
La fase iniziale della malattia eÁ
spesso sottovalutata e diagnosticata
non correttamente da operatori sanitari, parenti e amici come espressione
della ``vecchiaia'' o come una normale
La malattia d'Alzheimer
L'Alzheimer attacca le aree cerebrali che controllano l'ideazione, la
memoria e il linguaggio. L'esordio eÁ
45
PASTORALE
componente del processo di invecchiamento. EÁ molto difficile identificare l'esatto momento dell'inizio della malattia, poiche questo eÁ graduale.
La persona puoÁ mostrare:
difficoltaÁ del linguaggio;
perdite significative della memoria
(soprattutto quella recente);
disorientamento temporale;
non riconoscimento di luoghi familiari;
- difficoltaÁ nel prendere decisioni;
- perdita d'iniziativa e motivazione;
- segni e sintomi di depressione e
aggressivitaÁ;
- perdita di interesse verso i propri
hobby e le proprie attivitaÁ.
Fase terminale
Questa fase eÁ caratterizzata da una
totale dipendenza del malato e dalla
sua inattivitaÁ. Il disturbo della memoria eÁ molto grave e le componenti fisiche del disturbo divengono piuÁ evidenti. La persona puoÁ:
- avere difficoltaÁ ad alimentarsi;
- non riconoscere parenti, amici, e oggetti noti;
- avere difficoltaÁ a capire o interpretare
gli eventi;
- essere incapace di riconoscere anche i
percorsi interni alla propria abitazione;
- avere difficoltaÁ a camminare;
- diventare incontinente per feci e urine;
- mostrare dei comportamenti inappropriati in pubblico;
- essere confinato a una sedia a rotelle o
a un letto.
Fase intermedia
Con il progredire della malattia, i
problemi diventano piuÁ evidenti e
stringenti. Il malato di AD presenta
difficoltaÁ nella vita quotidiana e:
- puoÁ dimenticare molto facilmente, in
particolare eventi recenti e nomi di
persone;
- non eÁ piuÁ in grado di vivere da solo
senza difficoltaÁ;
- eÁ incapace di cucinare, pulire o fare
acquisti;
- puoÁ divenire estremamente dipendente;
- necessita di assistenza per l'igiene
personale, per lavarsi e per vestirsi;
- sviluppa ulteriori difficoltaÁ del linguaggio;
- mostra la tendenza a smarrirsi ed esibisce altri disturbi del comportamento;
- si perde sia in famiglia sia in comunitaÁ;
- puoÁ presentare allucinazioni.
Non tutti i pazienti manifestano gli
stessi sintomi, e questi variano da individuo a individuo. Le ``fasi'' ora citate servono come guida, nel progredire della malattia, per chi si occupa
dei malati d'Alzheimer, affinche essi
siano consapevoli dei problemi che
possono presentarsi e per rendere
possibile una pianificazione dei bisogni assistenziali futuri. Nessun paziente svilupperaÁ la malattia in maniera identica a un altro.
Alcune delle manifestazioni tipiche
della malattia possono apparire ad
ogni stadio: per esempio, un comportamento menzionato nello stadio terminale della malattia potrebbe presentarsi anche nella fase intermedia.
Inoltre eÁ bene che chi assiste il pazien46
COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco)
te sappia che possono comparire, in
ogni stadio, brevi periodi di luciditaÁ.
Trattamento
Al momento non esiste un trattamento curativo per l'Alzheimer. Tuttavia, molto puoÁ essere fatto per aiutare il malato affetto da questa patologia e per diminuire il carico di chi
lo assiste. Consultare il proprio medico, l'assistente sociale o altre figure
professionali sanitarie per maggiori
informazioni al riguardo.
Si stanno conducendo ricerche per
mettere a punto farmaci in grado di
ridurre i sintomi dell'Alzheimer. Coloro che assistono un malato dovrebbero ottenere informazioni al riguardo direttamente da uno specialista.
Nell'attesa che la scienza trovi i rimedi necessari per debellare questa
terribile malattia, si sta facendo appello a tutte le risorse possibili, da
quelle tecniche a quelle comportamentali. Tra queste ultime va annoverata la comunicazione.
Le cause dell'Alzheimer
Attualmente la causa dell'Alzheimer eÁ sconosciuta: tuttavia, si sa che
cosa non causa l'Alzheimer. L'Alzheimer non eÁ causato da:
- una perdita di elasticitaÁ delle arterie;
- scarsa o eccessiva attivitaÁ intellettuale;
- malattie sessuali trasmissibili;
- infezioni;
- vecchiaia: non fa parte del normale
processo di invecchiamento;
- esposizione ad alluminio o altri metalli.
La diagnosi
Una diagnosi precoce eÁ utile al fine
di consentire a chi assiste il malato di
essere meglio preparato per far fronte
alla malattia e di sapere che cosa lo
aspetta. Una diagnosi eÁ quindi il primo passo necessario per una pianificazione del futuro.
Non esiste un test che consenta di
fare diagnosi dell'Alzheimer; la diagnosi viene fatta attraverso un'accurata raccolta della storia dei problemi
manifestati dalla persona, basata sulle
informazioni fornite dai familiari e
dagli amici, insieme a un esame fisico
e mentale dell'ammalato. EÁ importante escludere altre condizioni o malattie che causano perdita di memoria, come per esempio infezioni o disfunzioni tiroidee. La diagnosi di del
morbo d'Alzheimer puoÁ essere confermata solo da un esame neuropatologico post mortem del cervello.
L'interrogativo iniziale
In questo inesorabile cammino che
porta al degrado fisico e psichico eÁ
possibile mantenere nel malato la capacitaÁ di far emergere barlumi di luce
e di vita, che rammentino a chi lo accompagna e lo cura la sua dignitaÁ di
essere umano?
Comunicare con i malati di Alzheimer significa creare le condizioni che
consentono di mettere qualcosa in
comune. E questo anche quando la
situazione in cui si trovano le vittime
di questa malattia sembra eliminare
tale possibilitaÁ. Non eÁ forse questa
comunione che si crea tra il malato e
47
PASTORALE
chi lo assiste che coopera a produrre
quel passaggio dal curare al prendersi
cura, giustamente considerato come
uno degli assi portanti del processo
di umanizzazione dell'assistenza a chi
soffre?
Christian Bobin, in un prezioso libriccino in cui raccoglie le riflessioni
elaborate nelle visite al babbo colpito
dalla malattia di Alzheimer e ricoverato in una struttura, scrive: «Due beni sono per noi preziosi come l'acqua
o la luce per gli alberi: la solitudine e
la comunicazione. L'inferno eÁ il luogo
in cui questi due beni sono perduti.
Mio padre a volte abbozza una reazione di collera sulla porte del refettorio. Rifiuta di andare avanti come
se presentisse che piuÁ nulla lo separeraÁ da questa comunitaÁ morta, se non
la sua propria morte. La sua collera
cade quando scopre i volti di quanti
condividono la sua mensa, sempre gli
stessi, Li ha avuti accanto tutto il
giorno e stringe loro la mano a lungo,
come se li ritrovasse dopo una lunga
assenza. Rispondono alla sua stretta
di mano sorridendo debolmente: anche all'inferno la vita puoÁ risorgere
per un istante, sopraggiunta da non si
sa dove, intatta. Le basta un gesto».1
Nella stessa linea si muove la testimonianza di un sacerdote la cui
mamma eÁ stata colpita da Alzheimer.
Egli descrive la sofferenza nel vedere
questa donna cosõÁ significativa per lui
dimenticare con sempre maggior frequenza e, piano piano, farsi come assente, confondere i tempi, perdersi
nello spazio,... fino a non riconoscere
piuÁ ne se stessa, ne i suoi cari. Poi
continua: «Con un'immagine, una
donna di scienza ci spiegoÁ: il nostro
cervello eÁ come un meraviglioso e luminoso lampadario, addobbato di
numerose lampadine... ma, con lo
spegnersi di ciascuna di esse, poco a
poco, si fa sempre piuÁ buio fitto. Ma,
quando tutto sembra perso, scorgi
occhi ancora vispi in colei che ti ha
``portato'' e un sorriso che ti dice:
``Vieni qui, siediti giuÁ!''. CosõÁ, quando
meno te l'aspetti, dopo un gesto di
attenzione o, nel partire, saluti con la
mano, da colei che tu per primo dovresti ringraziare, ti senti dire: ``Grazie, ciao!''... e se nemmeno questo
senti, resta ancora spazio per tanti affettuosi baci. Del resto, non fa cosõÁ
una mamma col proprio bimbo, ancor incapace di parlare? Se piange,
con lui soffre, se ride, con lui sorride,
e osserva ..., e ascolta ..., e attende ...,
e ama. E se una mamma scende al
piano del suo figlio-bambino, non
puoÁ fare altrettanto un figlio-adulto
con sua mamma?».
Il linguaggio del cuore
Questa testimonianza trova conferma nelle parole di un gerontologo
spagnolo secondo il quale se eÁ possibile che il malato abbia perduto la testa, cioÁ non significa che abbia perduto il cuore. Il cuore si perde solo
con la morte. Fino a quando il cuore
pompa il sangue che ci mantiene vivi,
rimarraÁ viva la nostra identitaÁ, continueremo ad essere cioÁ che siamo; accade che saranno altri, coloro che ci
assistono, che ci diranno chi siamo,
attraverso ogni gesto o parola rivolta
al nostro cuore: piccoli gesti, espressioni di affetto, baci, cure, tenerezza... non cadono nel vuoto. Se eÁ certo
48
COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco)
che essi non cadono nei neuroni del
malato, essi peroÁ si depositano nel
cuore del malato. Per questo non sono mai sterili, non sono mai un sovrappiuÁ.
Se eÁ difficile, o impossibile, stimolare i neuroni eÁ peroÁ possibile e necessario stimolare il cuore, questa insostituibile intimitaÁ dove alloggia l'essere umano, cioÁ che lo fa essere, amare ed essere amato. Le dosi di amore
che amministriamo al malato non sono mai inutili. Arrivano dove devono
arrivare: al cuore dell'altro. E arrivano in tale maniera che a volte fanno
reagire lievemente i suoi neuroni, e riceviamo una risposta debole, minima,
quasi insignificante. Al contrario, essa
eÁ significativa. Indica, infatti, che la
memoria affettiva continua ad essere
viva, che piccoli gesti e parole di
amore ci mantengono in comunicazione con il malato, perche passano
attraverso il suo cuore.
Si puoÁ perdere la memoria recente
o remota, si puoÁ perdere la consapevolezza spazio-temporale, possono
prodursi alterazioni del linguaggio,
del pensiero e della personalitaÁ. Si
puoÁ arrivare ad una grave incapacitaÁ
di parlare, fino al mutismo assoluto,
all'impossibilitaÁ di conoscere e di agire, peroÁ non si perde la memoria del
cuore,2 perche al di laÁ dell'irragionevolezza sussiste a lungo la ragione del
cuore.
Se una comunicazione con chi eÁ
colpito dall'Alzheimer, nelle modalitaÁ
indicate sopra, eÁ sempre possibile,
cioÁ non significa che sia facile gestirla
appropriatamente, in maniera cioeÁ
che riesca di utilitaÁ al malato e a chi
lo assiste.
Numerosi, infatti, sono gli ostacoli
che i familiari e i vari operatori possono incontrare.
Innanzitutto eÁ da prendere in considerazione lo stile relazionale e comunicativo che esisteva tra il malato
e il suo entourage prima dell'insorgere della malattia. Non si puoÁ pretendere che l'incapacitaÁ di comunicare
correttamente durante tutta una vita
si trasformi improvvisamente quando
emergono i sintomi dell'infermitaÁ.
Spesso, il sopravvenire del morbo
puoÁ costituire un test di come si vivevano le relazioni e la comunicazione
nell'ambito della famiglia, come pure
dei contesti sanitari e assistenziali.
Non si possono, poi, trascurare i
sentimenti suscitati dalla malattia sia
in chi ne eÁ vittima sia in coloro che
sono chiamati a prendersene cura.
L'alterazione delle capacitaÁ comunicative del malato, accompagnate da
condotte inadeguate, quali irritabilitaÁ, ostilitaÁ, agitazione, movimenti incontrollati... suscita inevitabilmente
nei familiari e negli operatori numerosi sentimenti ed emozioni: sorpresa, disappunto, frustrazione, paura,
tristezza, rabbia, impazienza..., la cui
incidenza sul rapporto interpersonale
puoÁ essere piuÁ o meno grave.
Michele Serra, nel suo volume
«Cerimonie» descrive con stile tra il
tragico e il comico, ma in maniera accurata, il comportamento di un malato di Alzheimer nella prima fase del
decorso patologico. All'estraneo che
accompagnava il signore colpito da
questa malattia, un ambasciatore, il
modo di fare ripetitivo nelle parole e
nei gesti a causa della perdita della
memoria dei dati recenti, suscitava
49
PASTORALE
malcelata ilaritaÁ, ma diverse erano le
reazioni della moglie. Dopo un'ennesima ripetizione della stessa domanda
e della stretta di mano da parte del
marito, la signora «con lo sguardo fisso al marciapiede comincioÁ a imprecare in tedesco, e neppure a bassa voce. Aveva stabilito che l'Alzheimer
del marito era un'offesa rivolta specificamente a lei. `Muoviti, idiota' disse
in chiusura del suo sordo rosario di
imprecazioni».3
Come dimenticare, infine, che la
malattia di un membro della famiglia
puoÁ condizionare in maniera rilevante la vita di tutto il nucleo familiare,
suscitare conflitti sul modo di far
fronte alla condizione del malato, accendere sensi di colpevolezza, provocare giudizi pesanti sull'operare degli
altri?
Questi ed altri ostacoli fanno comprendere che la comunicazione con i
malati di Alzheimer va appresa attraverso un processo finalizzato al raggiungimento di modi di essere e di
abilitaÁ operative.
Tra gli atteggiamenti o modi di essere merita di essere ricordato in primo luogo il rispetto. Il situarsi di
fronte ad un malato di Alzheimer con
la consapevolezza che si tratta di un
essere la cui dignitaÁ non eÁ scalfita dall'infermitaÁ aiuta a differenziare i comportamenti inadeguati del malato dalla sua persona; impedisce di cadere
in giudizi infondati, consente di attivare le risorse, per quanto minime esse siano, che il malato ancora possiede.
Vi eÁ, poi, l'empatia, la capacitaÁ cioeÁ
di comprendere cioÁ che il malato vive
e di comunicargli tale comprensione.
La difficoltaÁ a recepire, decodificare,
ricordare correttamente quanto gli
viene detto, unitamente all'incapacitaÁ
crescente di esprimersi, causa nel malato una sofferenza che, spesso, si manifesta in atteggiamenti inappropriati.
Entrare in contatto con tale sofferenza attraverso l'ascolto attivo e l'empatia puoÁ costituire un mezzo efficace
per aiutarlo ad esprimere i propri
sentimenti e per produrre una riduzione di reazioni negative.
Questi atteggiamenti devono permeare il comportamento di chi assiste
i malati di Alzheimer durante tutte le
fasi della malattia; se ben praticate,
esse costituiscono il terreno in cui si
radicano le differenti modalitaÁ comunicative da adattare ai vari stadi della
malattia.
Le modalitaÁ comunicative da mettere in atto nella relazione con i malati di Alzheimer consistono nell'utilizzazione appropriata del linguaggio
verbale e non verbale. Molto eÁ stato
scritto a questo riguardo: accanto a
ricerche di carattere scientifico,4 si
possono trovare preziose indicazioni
concrete nei vari manuali dedicati alla
cura dei malati di Alzheimer.5
Tra le linee guida da seguire, alcune rivestono una particolare importanza:
- Adattare i propri modi di comunicare alla capacitaÁ di comprensione
del malato. CioÁ eÁ reso possibile dalla
consapevolezza e accettazione che si
sta parlando con una persona malata,
soggetta ad un progressivo deficit cognitivo. Non eÁ realistico, e nemmeno
rispettoso, pretendere dal malato
50
COMUNICARE CON I MALATI DI ALZHEIMER (A. Brusco)
prestazioni comunicative che egli non
eÁ in grado di dare. E' quindi importante parlare al malato con chiarezza
e molto lentamente, usare parole e
frasi molto brevi, semplici e concrete,
comunicare un messaggio alla volta,
usare frasi affermative. Essendoci nel
demente uno sfasamento tra la comprensione e l'espressione, che eÁ un
processo piuÁ lento, occorre ascoltare
con pazienza e attentamente, andando al suo ritmo. Soprattutto bisogna
evitare di sgridare il malato percheÂ
non risponde alle proprie attese, tenendo presente che il nostro linguaggio, verbale e non verbale, non veicola solo informazioni ma anche sentimenti ed emozioni. Diventa quindi
importante mantenere il piuÁ possibile
equilibrio e naturalezza: un atteggiamento sereno e l'incoraggiamento sono gli elementi piuÁ validi.
dere il senso di semplici frasi. Ne deriva che, soprattutto nelle fasi avanzate della malattia, acquistano rilievo e
importanza le modalitaÁ non verbali di
comunicazione.
Si tratta innanzitutto di apprendere a cogliere i messaggi che il malato
trasmette attraverso il linguaggio del
corpo. Scrivono due esperti del settore: i comportamenti considerati abitualmente imbarazzanti (deambulazione, grida ripetitive, cleptomanie...)
hanno un significato per la persona
demente. Bisogna dunque capirli e
considerarli come mezzi di comunicazione. Sapere che questo ha un senso
(anche se non sempre lo comprendiamo...) modifica la nostra condotta nei
riguardi della persona». 6
E, poi, comunicare con il malato
attraverso lo sguardo, il sorriso, il tono di voce che dovrebbe essere rassicurante e dolce, l'utilizzo di poche
parole scandite con chiarezza, il contatto fisico, la musica... Attraverso il
contatto fisico ± sia con gesti di affetto e di amicizia che con quelli finalizzati alla pulizia e alla medicazione del
corpo ± si possono comunicare carezze positive che, nella terminologia
dell'analisi transazionale, sono segni
di riconoscimento e offerta di sicurezza.
- Cercare di accompagnare in maniera appropriata il linguaggio verbale con quello non verbale, procurando che ci sia coerenza tra i due.
Quando si conversa con il malato, risulta quindi utile stargli molto vicino,
chiamarlo spesso con il suo nome,
toccare il suo corpo delicatamente,
mettersi di fronte a lui alla sua stessa
altezza, stabilire un contatto con lo
sguardo.
- Tenere presente che con il progredire della malattia il linguaggio
verbale si impoverisce e la capacitaÁ di
intrattenere attivamente una conversazione viene meno per l'incapacitaÁ
di tenere a mente cioÁ che eÁ stato detto precedentemente, fino al punto
che puoÁ risultare difficile compren-
Conclusione
Concludo con due osservazioni:
- E' piuÁ facile parlare della comunicazione con i malati di Alzheimer che
praticarla correttamente. Con questo
intendo esprimere la mia compren51
PASTORALE
sione per il peso spesso molto gravoso che le persone ± familiari e operatori ± impegnate nell'assistenza di
questa categoria di malati, devono
quotidianamente portare.
- Dall'esperienza con i malati di
Alzheimer ci arrivano molteplici mes-
saggi. Uno eÁ il seguente: «Quante parole vi dite, spesso senza realmente
comunicare; imparate ad ascoltare,
ad osservare, ad attendere, ad amare,
il linguaggio dell'amore non smetteraÁ
di sorprendervi!'».
Note
5
LAI G., Cambiamenti nella teoria della
conversazione e cambiamenti nella relazione
con i pazienti di Alzheimer, in «Psicoterapia
e scienze umane», 2(2001).
6
Cfr. Manuale per prendersi cura del malato di Alzheimer, Federazione Alzheimer Italia, Milano 1999.
7
C. PICHAUD, I. Thareau, Vivere con gli
anziani, Paoline, 2000, pp. 129-130.
1
BOBIN, CHRISTIAN, o.c., p. 21.
BOBIN CHISTIAN, Presenze, Perosini Editore, Zevio (VR), 2000, p. 23.
3
PRATT FRANCISCO, Perder la memoria,
perder el mayor tesoro, in Bermelo J.C. (a cura di ) «Cuidar a las personas mayores dependientes», Sal Terrae, Santander, 2003, pp.
109-110.
4
SERRA M., Cerimonie, Feltrinelli, Milano
2002, pp. 26-27.
2
``Tutti questi visi, tutti questi sguardi, tutte queste mani di uomini e donne
colpiti dal morbo di Alzheimer possono ancora vedere, sorridere,
gustare gioie e pene e scambiare tenerezza con altri.
Tutte le esperienze accumulate nel corso degli anni ci hanno dato la certezza...
che la comunicazione umana non si limita alla parola.
E che al di laÁ dell'irragionevolezza sussiste a lungo la ragione del cuore''.
ReneÂe Serbag-LanoeÈ
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EMMANUELIS LOZANO GARRIDO1
Testimone di gioia nella sofferenza
Don Filippo Urso2
Emmanuel Lozan Garrido, detto
«Lolo», laico prossimo agli onori degli altari, eÁ un figura di grande attualitaÁ per tutti i Christifideles Laici e la
loro chiamata universale alla santitaÁ.
EÁ l'immagine di un laico che seppe
accettare con gioia e serenitaÁ la volontaÁ di Dio nella sua vita, una vita
segnata da una grave malattia, la
spondilite anchilosante, che lo porteraÁ alla morte. Tale accoglienza serena
e gioiosa della chiamata alla santitaÁ eÁ
testimoniata dalle virtuÁ vissute in modo straordinario e dal totale coinvolgimento, nonostante la malattia e attraverso la stessa sofferenza, alla missione apostolica evangelizzatrice della
Chiesa.
Svolse, infatti, la missione di apostolo del Vangelo attraverso i massmedia, come articolista-periodista e
scrittore, dalla sua sedia a rotelle,
perfino nella cecitaÁ. Fu apostolo anche tra gli ammalati, coinvolgendoli
nell'opera di offerta di se e delle proprie sofferenze e preghiere per la
stampa cattolica, nella pia unione
chiamata «Sinai».
Attraverso il suoi consigli seppe
guidare e orientare molti giovani e
meno giovani nella vita spirituale,
tanto da vedere in lui un amico e confidente.
A questa attivitaÁ di apostolato non
fece mai mancare la preghiera che
scandiva tutta la sua vita; una preghiera fatta di meditazione, adorazione eucaristica e santo rosario, sostenuta dalla sua grande devozione alla
Vergine Maria e alla Chiesa.
1. Dall'Azione Cattolica alla condivisione della Passione
Emmanuel Lozan Garrido nacque
il 9 agosto 1920 in Linares (JaeÂn,
Spagna). I genitori, di profonda fede
cristiana, lo fecero battezzare il 5 settembre del 1920, presso la parrocchia
di S. Maria de Linares.
All'etaÁ di sei anni rimase orfano
del padre e nove anni dopo anche
della madre e del nonno materno; fu
la sorella maggiore a prendere le redini della famiglia.
La prima formazione nella vita cristiana la ricevette dalla madre e dal
nonno, per poi continuarla nel collegio dei Padri Scolopi. Di temperamento gioioso, si distinse fin da piccolo per la sua pietaÁ nella vita religio-
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
TESTIMONI CONTEMPORANEI
sa e all'etaÁ di nove anni ricevette la
prima Comunione. Fu questo un
evento molto importante per la sua
vita spirituale, tanto che ne scandiraÁ
l'anniversario durante il corso della
sua vita. L'anno successivo ricevette
il sacramento della Cresima.
Nel 1931, all'etaÁ di 11 anni entroÁ a
far parte come aspirante nell'Azione
Cattolica, dando testimonianza della
sua fede cristiana soprattutto in momenti difficili quali la guerra civile
(1936-1939) e la persecuzione religiosa, con la chiusura delle Chiese e il
divieto delle funzioni religiose. Nel
giorno del suo compleanno, il fratello
Agostino venne assassinato per le sue
idee religiose e per aver tentato di salvare un amico mentre lo arrestavano.
Lolo diede prova, in questa occasione, di amore misericordioso, perdonando gli assassini del fratello e discolpandoli, perche erano ignoranti e
senza formazione religiosa; inoltre
perdonoÁ colui che lo aveva denunziato durante la guerra civile, percheÂ
portava la santa Comunione.
Proprio durante questo cruento
conflitto, la gioventuÁ cattolica organizzoÁ delle attivitaÁ religiose clandestine e tra queste ci fu l'incarico per Lolo di portare la Comunione ad altri
fedeli. Questo apostolato clandestino
venne scoperto ed Emmanuel nel
1937 venne arrestato insieme a due
sue sorelle, Maria ed ExpectacioÂn. A
causa della sua fede religiosa rimase
tre mesi in prigione, dove non nascose il suo essere cristiano e dove continuoÁ il suo apostolato.
Uscito dal carcere, subito dopo
venne arruolato dall'esercito Repubblicano ed inviato al fronte presso la
compagnia dei mitraglieri, verso la
quale egli mostroÁ tutto il suo disgusto
perche non voleva uccidere; successivamente fu assegnato alla sezione delle trasmissioni. Proprio durante questo periodo, mentre svolgeva il suo
compito dentro una grotta molto
umida, iniziarono i dolori reumatici,
per cui venne ricoverato all'ospedale
di Berja, dove concluse la sua esperienza di guerra.
Nel dopoguerra dal 1939 al 1941
fu molto attivo nell'apostolato secolare presso l'Azione Cattolica di Linares, ricoprendo diversi incarichi, attirando altri a lavorare nell'A.C. e fondando dei centri in altre cittadine.
Nel frattempo, lavoroÁ in un negozio
di tessuti e portoÁ a compimento gli
studi fino al Magistero, alla Scuola
Normale di JaeÂn. Nel 1940 si distinse
per la pubblicazione dei suoi primi
articoli, nella rivista «Cruzada» della
gioventuÁ cattolica di Linares e per
l'organizzazione e partecipazione al
pellegrinaggio nazionale della gioventuÁ, presso la Basilica della Vergine
del Pilar in Spagna.
Nel 1942, con il cambio di governo, fu chiamato di nuovo al servizio
militare nella Caserma dell'Intendenza del Pacifico di Madrid, presso il
reparto dei viveri; anche in caserma
non arrestoÁ il suo apostolato e fondoÁ
un centro Castrense di Azione Cattolica con sala di riunioni e centro di
studi, a cui aderirono un notevole numero di giovani. Durante questo servizio militare si manifestarono i primi
segni chiari della malattia che lo accompagneraÁ lungo tutto il corso della
sua vita.
Il 20 Luglio del 1943 venne prima
54
EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso)
ricoverato in ospedale, poi riconosciuto inabile, interrompendo quindi
il servizio militare. La malattia progressiva e incurabile, una spondilite
anchilosante, fu lunga (28 anni) e dolorosissima e oltre a privarlo dell'uso
degli arti inferiori e superiori, lo rese
cieco e poi sordo. Dinanzi ad un male
cosõÁ devastante, Emmanuel non perse
mai il suo umore gioioso e allegro,
grazie alla sua profonda unione con
Dio, infondendo ovunque intorno a
se pace, serenitaÁ e fiducia. Visse questi anni della sua vita nella povertaÁ e
fu accudito amorosamente dalla sorella Lucia.
Nonostante la sofferenza invalidante, continuoÁ il suo apostolato e la
sua intensa attivitaÁ letteraria, vincendo nel 1953 il primo premio giornalistico per un articolo sui martiri, pubblicato sul «Signo», la rivista della
gioventuÁ di Azione Cattolica spagnola. Dalla sua sedia a rotelle pubblicoÁ
una decina di libri e moltissimi articoli (il cui contenuto ricco di fede,
coraggio e abbandono in Dio, tratta
del dolore, dell'Eucaristia, del sacerdozio e dell'apostolato familiare) e si
adoperoÁ per l'opera apostolica «Sinai», con lo scopo di impegnare le
persone malate, in un apostolato con
le proprie sofferenze e preghiere a favore del lavoro dei giornalisti. Ricevette premi e riconoscimenti anche a
livello nazionale e venne nominato
«Figlio prediletto della cittaÁ di Linares» dalle autoritaÁ civili, che alla sua
morte gli dedicarono una piazza.
Nel 1958 si recoÁ a Lourdes con
l'intenzione di crescere nell'amore di
Dio e di offrire alla Madonna la sua
feconda allegria.
Il 3 Novembre 1971 concluse la
sua esistenza terrena dopo una terribile agonia, stringendo un crocifisso
tra le mani. La sua morte fu un dolore per tutta la cittaÁ; fu grande il concorso di partecipazione di autoritaÁ,
giornalisti e amici da diversi punti
della Spagna. L'omaggio riservatogli
fu un segno della sua santitaÁ. Nelle
ore della veglia non mancarono persone che cercarono il contatto con
oggetti di pietaÁ per conservare con seÂ
delle reliquie, considerandolo un santo.
2. La malattia vissuta santamente
Fu nel modo in cui visse la sua malattia che Lolo si santificoÁ in modo
supremo e manifestoÁ la sua grande
fede: uno dei fratelli riferisce che
«era grande la fede che aveva e la sua
speranza stava posta in Dio. Senza
questa grandezza sarebbe stato difficile sopportare i terribili dolori che
dovette sostenere» (Summ., p. 156,
n. 488); e la sorella Lucia testimonia
che durante la lunga assistenza mai
vide il fratello andare in crisi nella fede: «Non ricordo mai di aver notato
crisi nella sua vita di fede» (Summ.,
p. 44, n. 142). Fu una malattia lunga,
sempre accompagnata da forti dolori,
ma anche da grande gioia, frutto dello Spirito (cf. Gal 5,22), e da una volontaÁ di apostolato attraverso la stessa
sofferenza, attraverso la quale comunicava nei suoi scritti ± e a quanti lo
visitavano ± la sua fede «ferma e sincera».
Poneva ogni sua fiducia nella misericordia di Dio, per questo non si di55
TESTIMONI CONTEMPORANEI
speroÁ mai (cf. Summ., p. 18, n. 64).
Dinanzi alla progressiva distruzione
del corpo la speranza risaltava maggiormente, come afferma P. Mendoza
s.j.: «In tutti i suoi scritti quasi sempre appare una chiamata alla speranza, alla fiducia in Dio, una certezza
che la felicitaÁ eterna si riceve in cielo»
(Summ., p. 6, n. 10).
Fu sempre forte nel dolore, senza
mai gloriarsene, ma sempre umilmente confidava in Dio e poneva ogni sua
forza nella misericordia divina (cf. Ef
4,13), accettando il calvario e la morte con pazienza e sopportazione cristiana: egli stava «nelle mani di Dio
fino a quando Egli non avrebbe deciso di chiamarlo all'altra vita»
(Summ., p. 13, n. 38).
Emanuel accettoÁ sempre la volontaÁ
di Dio, conscio di essere solo una
creatura che doveva sottomettersi
umilmente a suo Signore; e tutto cioÁ
avvenne attraverso la sopportazione
di molte lotte interiori, nella accettazione della progressione della malattia, come lascioÁ intendere alla sorella
Lucia quando questa le disse che l'ulteriore aggravamento della malattia
gli dovraÁ essere costato molto: «Altre
cose mi sono costate molto di piuÁ»
(cf. Summ., p. 45, n. 143).
Definito «il Giobbe del nostro
tempo» (cf. Summ., p. 131, n. 413),
nell'infermitaÁ e nei dolori, per tanti
anni, sopportoÁ con costanza la malattia (cf. Summ., p. 187, n. 559); anzi
non solo non chiese mai nulla, ma
ringrazioÁ Dio per la sua sofferenza.
Nonostante le condizioni fisiche di
completa immobilitaÁ fu forte, fermo
e costante nella sua volontaÁ di apostolato di annuncio del Vangelo, e at-
traverso la sua stessa sofferenza (cf.
opera apostolica «Sinai»), al fine di
far conoscere Dio e di servire il prossimo, tenendo contatti con tutti gli
associati sia per corrispondenza che
per telefono (cf. Summ., p. 75, n.
232).
Il Card. Ortas parloÁ di Lolo come
di un candidato alla gloria degli altari, perche nei libri dei santi e dei beati
della Chiesa non sono entrati solo
quelli che hanno versato il loro sangue per Cristo, ma anche, i maestri
della fede. E se non sparse il sangue
per la fede, fu certamente un grande
esempio di pazienza nel dolore, tanto
che lo definõÁ come «il sacramento del
dolore in linea con la Regina dei Martiri» sotto la croce di GesuÁ (Informatio, p.158).
La sorella Lucia, testimone degli
anni di dura sofferenza e della morte,
eÁ testimone del fatto che negli anni
piuÁ dolorosi che Dio permise, mai ne
parloÁ con lei (cf. Summ., p. 112, n.
347). La contemplazione del crocifisso convertiva il suo dolore in dolore
luminoso ed era fonte di grazia missionaria per il prossimo; il fratello Jose Maria cosõÁ riferisce di questo dolore fecondo ed apostolico: «Lolo visse
la sua infermitaÁ con una fortezza che
considero simile a quella dei martiri,
con la differenza che il suo martirio
non fu cosa di un minuto, ma di molti anni. Tutti i suoi dolori [...] li offriva al Signore. [...] Lolo lavorava [...]
in quegli anni della sua infermitaÁ, cieco e immobile, senza movimento alcuno. Per me l'unico movimento che
poteva fare era quello di sorridere, e
questo sorriso era meraviglioso. Sempre lo ricordo con quel sorriso che
56
EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso)
infondeva allegria» (Summ., p. 156,
nn. 488-489). Dunque, fu grande e
costante la sua disponibilitaÁ ad accettare il progredire della sua invaliditaÁ
fisica, senza mai perdere l'allegria; neÂ
mai si lamentoÁ per il particolare disagio nell'alimentazione semplice e poco varia che gli veniva offerto.
preghiera e dal suo raccoglimento e
avvertivano la presenza di Dio nella
sua stanza; riferisce il suo medico:
«Sono convinto che quando restava
solo parlava con Dio con la certezza
di averlo presente nella sua stanza,
che lo accompagnava nel suo dolore»
(Summ., p. 91, n. 280). Riceveva
l'Eucaristia ogni giorno e talvolta pote ascoltare la Messa in casa, con
grande edificazione degli stessi sacerdoti (cf. Summ., p. 78, n. 239).
3. La sua vita di preghiera
Tutta la sua forza la riceveva dalla
preghiera e dall'amore di Dio e del
prossimo: si alzava ogni mattino alle
6 e iniziava la giornata con la preghiera che, poi, era incessante per tutto il
corso della giornata e grazie alla quale alimentava e sosteneva la sua salda
fede.
La sorella Lucia, che lo assistette
lungo tutto il corso della sua malattia,
testimonia che «Tutta la vita di Lolo
fu un'offerta permanente alla volontaÁ
di Dio e, al tempo stesso, un atto
continuo di amore a Dio» (Summ., p.
46, n. 150).
Il suo amore filiale verso Dio lo
manifestava nella confidenza con la
quale si rivolgeva a Lui nella preghiera quotidiana e con il docile abbandonarsi alla Sua paterna volontaÁ, cosõÁ
come ci eÁ riferito da un amico d'infanzia: «Lolo era convinto che Dio gli
riservava un amore di predilezione e
che la sua infermitaÁ fosse un regalo di
Dio perche fosse piuÁ unito a Lui»
(Summ., p. 27, n. 99).
Questo amore si rifletteva nella sua
vita di intensa preghiera: meditazione, adorazione eucaristica, recita del
santo rosario; coloro che lo visitavano
venivano contagiati dal suo spirito di
4. L'attivitaÁ di periodista e scrittore
Nei suoi scritti religiosi comunicava il suo amore a Dio e al prossimo:
si sentiva apostolo di questo amore
«per questo parlava e scriveva costantemente su temi religiosi» (Summ., p.
6 n. 10).
Nella sua attivitaÁ di giornalista e
scrittore e nelle condizioni di ammalato cronico e grave, seppe dare consigli illuminati a quanti gli si accostavano: tutti ne uscivano edificati, trovando risposte sagge alle loro domande e imparando ad alzare di piuÁ lo
sguardo verso il Cielo.
Nei suoi libri e articoli emerge
sempre l'attaccamento al Magistero
della Chiesa, nelle questioni di fede e
di morale (cf. Informatio, p. 143). Le
testimonianze di quanti lo conobbero
parlano dei suoi giudizi ponderati come figlio vero e fedele della Chiesa
(cf. Summ., p. 131, n. 415), che seppe discernere le giuste interpretazioni
sul Concilio Vaticano II, contro ogni
allarmismo da parte dei giornalisti.
EÁ vivo anche un sano e forte senso
della giustizia sociale e un continuo
57
TESTIMONI CONTEMPORANEI
riferimento alla dottrina sociale della
Chiesa, considerata come la sua magna charta nella difesa degli operai,
sottoposti a ingiustizie da parte di alcune aziende industriali (cf. Summ.,
p. 118, n. 372).
Nei suoi scritti emerge altresõÁ il suo
amore alla Madonna.
Non si avvalse del consenso suscitato nei lettori dai suoi scritti, per arricchirsi, volendo sempre vivere in modo
sobrio e povero, cosõÁ come si deduce
dalle pagine da lui scritte sulla povertaÁ
evangelica, che lui stesso viveva con
dignitaÁ e grandezza d'animo.1
Fu consigliere prudente di tanti
giovani, facendo sue le loro inquietudini e partecipando con loro all'apostolato, tanto che la sua abitazione divenne una succursale del centro di
Azione Cattolica (cf. Summ., p. 106,
n. 323). Ricorda una giovane: «Che
[grande] conoscenza aveva dell'animo, cosõÁ da entrare in sintonia con
noi!» (cf. Summ., p. 111, n. 340).
Nelle conversazioni cercava sempre
di scomparire dalla scena e se si trattava di parlare della sua malattia egli
sviava il discorso per parlare di altro
(cf. Summ., p. 130, n. 411). Nonostante la fama di cui godeva, la venerazione e gli onori di cui fu oggetto,
non dava importanza a tali riconoscimenti perche «Si considerava inferiore agli altri» (Summ., p. 15, n. 51).
Fu saggio ed equilibrato nelle decisioni in merito all'apostolato, come
pure per l'opera apostolica «Sinai» di
sensibilizzazione degli ammalati, per
l'offerta delle loro preghiere e sofferenze, per la diffusione della stampa
cattolica.
Lolo fu anche molto nobile in materia di castitaÁ. Non lo si sentõÁ scherzare mai su questo argomento e
quando talvolta riferiva aneddoti
scherzosi era sempre decoroso: «uomo molto delicato, che mai lo si vide
scherzare [...] su questa materia» (cf.
Summ., p. 9, n. 20; cf. p. 60, n. 190).
Nell'azienda di commercio dove lavoroÁ, seppe relazionarsi con le donne
con straordinario rispetto e amabilitaÁ,
ricco nella sua vita della presenza di
Dio (cf. Summ., p. 71 n. 222) e della
devozione alla Vergine Maria.2 Alle
donne dedicoÁ uno scritto sulla loro
dignitaÁ.
5. L'apostolato
Dall'amore di Dio aveva origine e
si edificava il suo amore al prossimo.
Faceva suoi i problemi degli altri e
portava la sua testimonianza di malattia come balsamo per i dolori e la disperazione altrui (cf. Summ., p. 129,
n. 405). Inoltre, verso il prossimo la
sua pietaÁ si concretizzava nell'offerta
della sua vita di sofferenze, nella riconciliazione con i nemici e nel sorriso e affabilitaÁ con tutti (cf. Summ., p.
135, n. 426).
Testimonianza del suo amore al
prossimo fu l'opera apostolica «Sinai», fondata per aiutare ± con le offerte di preghiere e sofferenze degli
infermi ± il giornalismo cristiano; e
quando non poteÁ piuÁ esercitare l'apostolato come quando era in salute,
decise ± per la sua sete di salvare le
anime ± di scrivere per aiutare chi
soffriva, attraverso la testimonianza
della sua sofferenza (cf. Summ., p. 7,
n. 13; p. 28, n. 100).
58
EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso)
6. Conclusione
genere, dei mass media, nonche una
bella testimonianza di vissuto della
malattia per ammalati, disabili e per
ogni operatore sanitario.
GiaÁ durante la sua vita i concittadini e i sacerdoti di Linares parlavano
di lui con di un santo, di un uomo di
Dio. Molti furono edificati nella vita
interiore dai suoi scritti e cercarono
di incontrarlo per esserne aiutati spiritualmente.
Alla morte e ai funerali continuoÁ a
manifestarsi la fama di santitaÁ di Lolo; furono, infatti, molte le lettere e
gli articoli scritti in tutta la Spagna
per celebrare la sua straordinaria testimonianza di vita cristiana.
Dopo la sua morte continua l'amore e la devozione verso di lui, soprattutto negli ospedali, dove viene pregato come intercessore.
Anche se la sua figura non eÁ molto
nota ± e l'obbiettivo di questo articolo eÁ proprio quello di farla conoscere
±, la sua vita cristiana eÁ di grande attualitaÁ per l'uomo di oggi, che tanto
esorcizza la sofferenza e la morte. Lolo ha saputo rispondere dalla sua carrozzella alla chiamata alla santitaÁ e ha
saputo vivere la vocazione di laico
nella Chiesa secondo gli insegnamenti
del Vaticano II. PuoÁ essere un eloquente modello per i giovani di Azione Cattolica, per i laici impegnati nel
mondo del giornalismo cattolico, e in
Note
1
Per questa breve riflessione cf. CONGREPositio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, Roma 1999
e R. HIGUERAS AÁLAMO ± P. CAÂMARA RUIÂZ, La gioia
vissuta. Vita, profilo spirituale e opere del Servo di Dio Manuel Lozano Garrido, «Lolo»
(1920-1971), Cinisello Balsamo 2006. Le traduzioni dallo spagnolo dell'Informatio e del
Summarium sono nostre.
2
Filippo Urso, sacerdote dell'Arcidiocesi
di Taranto, eÁ docente di Scienze Bibliche all'Istituto di Scienze Religiose «R. Guardini»
di Taranto e Direttore dell'Ufficio Diocesano
e Regionale per la Pastorale della Salute.
3
Visse, infatti, povero lungo il corso della
sua vita, guadagnando il pane con il lavoro
delle sue mani e mettendo a disposizione degli altri quello che aveva: attesta la sorella
Lucia: «Non chiedeva niente che non fosse
necessario, la sua povertaÁ fu edificante. Piuttosto si preoccupava che a me e alla ragazza
che si prendeva cura di noi non mancasse
nulla» (cf. Summ., p. 110, n. 338).
4
Una volta, per la richiesta di tessuti fatta
da una casa di prostituzione, impedõÁ che andasse un ragazzo a portarli e decise di andare
lui personalmente, perche il ragazzo non si
scandalizzasse (cf. Informatio, p. 164).
GATIO DE CAUSIS SANCTORUM,
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Z
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IL PADRE NOSTRO
Il Padre ha impresso nel cuore di
ogni uomo il suo sigillo d'amore, vale
a dire un'azzurra nostalgia d'infinito,
una sete inestinguibile d'eternitaÁ che
nessuno puoÁ spegnere, ma la sorpresa
consiste nel fatto che tracce di tutto
questo si possono trovare laÁ dove meno ci si aspetta.
Fino ad oggi non eÁ stato ancora inventato un acido corrosivo cosõÁ potente che riesca a cancellare il marchio di fabbrica che il Creatore, fin
dall'inizio dei tempi, ha stampato in
ogni essere umano: ``Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza». Dio non si cancella anche se
molti ci hanno provato lungo il corso
dei secoli.
Quel mattino, verso la fine di un
rigido inverno, prima di recarmi in
reparto, avevo fatto quattro passi nel
giardino, contemplando le gemme
sugli alberi che stavano per sbocciare
e riempiendomi i polmoni col profumo inebriante del calicanto. Quindi
salii le scale per iniziare la solita visita. Entrai in una cameretta a tre letti,
nel reparto femminile di medicina.
Due malate mi salutarono, mentre la
terza, vicino alla finestra dopo avermi
guardato, si giroÁ dall'altra parte. Succede. Il giorno seguente, forse visto
che non avevo una faccia patibolare,
l'ammalata in questione mi disse che
era atea e non credeva nell'esistenza
di un Essere supremo e nemmeno
nella vita eterna. «Con la morte finisce tutto, quando cala il sipario si
scompare nel nulla». Aggiunse ancora: «So che lei la pensa diversamente,
ma per me le cose stanno cosõÁ e sono
sicura di quello che dico».
In ogni caso aveva lasciato per testamento il desiderio di essere sepolta
vicino al muro del cimitero del paese,
perche accanto s'ergeva un maestoso
cipresso. Forse in primavera le sue
ossa sarebbero state scosse da un fremito quando il vento avrebbe danzato tra i rami dell'albero. Io guardavo
e ascoltavo attentamente il suo discorso e, ad un certo momento, le
dissi che rispettavo le sue opinioni
anche perche ciascuno eÁ artefice del
suo destino e deve assumersi le proprie responsabilitaÁ. In ogni caso la
ringraziai per la sua sinceritaÁ e le assicurai che sarei passato ancora per salutarla e ``chiacchierare'' con lei e le
altre due, che erano del mio stesso
parere.
E fu cosõÁ che arrivoÁ la domenica e,
dietro loro richiesta, portai alle altre
due l'Eucaristia e, prima di porgere
la particola, recitai il Padre Nostro,
adagio e con molto sentimento, convinto che il Padre amasse anche lei.
Al termine l'ammalata mi pregoÁ di
avvicinarmi e, con un sorriso smagliante, mi disse: «Ma lo sa che quelle
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
EMMANUELIS LOZANO GARRIDO (F. Urso)
dopo venne dimessa e mi recai a salutarla. Ed essa mi chiese di ripetere
per lei quelle meravigliose parole.
Naturalmente accettai l'invito.
E fu in quell'occasione che compresi la valenza, la pregnanza di quell'aggettivo possessivo ``nostro'' che
GesuÁ ha piazzato dopo la parola Padre: Dio eÁ Padre di tutti, dei credenti,
degli atei e dei miscredenti e anche di
quella signora vicino alla finestra.
Pensiamo a questo quando al termine dell'orazione domenicale, diciamo: «Amen!» «CosõÁ eÁ!».
parole mi hanno toccato il cuore. Sono bellissime e non le avevo mai sentite. Le ha inventate lei?».
Io non volevo certo appropriarmi
dei diritti d'autore di un Altro e le
spiegai che erano state inventate, dietro richiesta dei suoi amici, da un certo Cristo GesuÁ e che da secoli tutti
quelli che credono in Lui le recitano
in tante lingue, ma con la stessa fede
e intensitaÁ in ogni parte del globo. E'
la preghiera internazionale e multinazionale e ad essa si ispirano tutte le
altre preghiere della Chiesa. Il giorno
Padre nostro che sei nei cieli... dacci oggi il nostro pane quotidiano:
fa che nessuno dei tuoi figli si veda privato dei frutti della terra;
che nessuno soffra piuÁ l'angoscia di non avere il pane quotidiano
per se e per i suoi cari.
Fa' che tutti, ripieni dell'immenso amore con cui tu ci ami,
sappiano solidamente distribuire quel pane
che tu ci dai tanto generosamente.
Giovanni Paolo II
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MESSAGGIO DI SUA SANTITAÁ BENEDETTO XVI
PER LA XV GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
Seoul, Korea ± 11 febbraio 2007
scienze mediche spesso offrono gli
strumenti necessari ad affrontare
questa sfida, almeno relativamente ai
suoi aspetti fisici. La vita umana, comunque, ha i suoi limiti intrinseci, e,
prima o poi, termina con la morte.
Questa eÁ un'esperienza alla quale eÁ
chiamato ogni essere umano e alla
quale deve essere preparato. Nonostante i progressi della scienza, non si
puoÁ trovare una cura per ogni malattia, e, quindi, negli ospedali, negli
ospizi e nelle case in tutto il mondo ci
imbattiamo nella sofferenza di numerosi nostri fratelli e numerose nostre
sorelle incurabili e spesso in fase terminale. Inoltre, molti milioni di persone nel mondo vivono ancora in
condizioni insalubri e non hanno accesso a risorse mediche molto necessarie, spesso del tipo piuÁ basilare, con
il risultato che il numero di esseri
umani considerato ``incurabile'' eÁ
grandemente aumentato.
Cari fratelli e care sorelle,
l'11 febbraio 2007, giorno in cui la
Chiesa celebra la memoria liturgica
di Nostra Signora di Lourdes, si svolgeraÁ a Seoul, in Corea, la Quindicesima Giornata Mondiale del Malato.
Un certo numero di incontri, conferenze, raduni pastorali e celebrazioni
liturgiche avraÁ luogo con i rappresentanti della Chiesa in Corea, con il
personale sanitario, i malati e le loro
famiglie. Ancora una volta, la Chiesa
guarda a quanti soffrono e richiama
l'attenzione sui malati incurabili, molti dei quali stanno morendo a causa
di malattie in fase terminale. Essi sono presenti in ogni continente, in
particolare in luoghi in cui la povertaÁ
e le difficoltaÁ causano miseria e dolore immensi. Conscio di tali sofferenze, saroÁ spiritualmente presente alla
Giornata Mondiale del Malato, unito
a quanti si incontreranno per discutere della piaga delle malattie incurabili
nel nostro mondo e incoraggeranno
gli sforzi delle comunitaÁ cristiane nella loro testimonianza della tenerezza
e della misericordia del Signore.
La Chiesa desidera sostenere i malati incurabili e quelli in fase terminale esortando a politiche sociali eque
che possano contribuire a eliminare
le cause di molte malattie e chiedendo con urgenza migliore assistenza
per quanti stanno morendo e per
quanti non possono contare su alcu-
L'essere malati porta inevitabilmente con se un momento di crisi e
un serio confronto con la propria situazione personale. I progressi nelle
62
DOCUMENTI
na cura medica. EÁ necessario promuovere politiche in grado di creare
condizioni in cui gli esseri umani possano sopportare anche malattie incurabili ed affrontare la morte in una
maniera degna. A questo proposito, eÁ
necessario sottolineare ancora una
volta la necessitaÁ di piuÁ centri per le
cure palliative che offrano un'assistenza integrale, fornendo ai malati
l'aiuto umano e l'accompagnamento
spirituale di cui hanno bisogno.
Questo eÁ un diritto che appartiene
a ogni essere umano e che tutti dobbiamo impegnarci a difendere.
Desidero incoraggiare gli sforzi di
quanti operano quotidianamente per
garantire che i malati incurabili e
quelli che si trovano nella fase terminale, insieme alle proprie famiglie, ricevano un'assistenza adeguata e amorevole.
La Chiesa, seguendo l'esempio del
Buon Samaritano, ha sempre mostrato particolare sollecitudine per gli infermi. Mediante i suoi singoli membri
e le sue istituzioni, continua a stare
accanto ai sofferenti e ai morenti, cercando di preservare la loro dignitaÁ in
questi momenti significativi dell'esistenza umana. Molti di questi individui, personale sanitario, agenti pastorali e volontari, e istituzioni in tutto il
mondo, servono instancabilmente i
malati, negli ospedali e nelle unitaÁ
per le cure palliative, nelle strade cittadine, nell'ambito dei progetti di assistenza domiciliare e nelle parrocchie.
le. Vi incoraggio a contemplare le
sofferenze di Cristo crocifisso e, in
unione con Lui, a rivolgervi al Padre
con totale fiducia nel fatto che tutta
la vita, e la vostra in particolare, eÁ
nelle sue mani. Sappiate che le vostre
sofferenze, unite a quelle di Cristo, si
dimostreranno feconde per le necessitaÁ della Chiesa e del mondo. Chiedo
al Signore di rafforzare la vostra fede
nel Suo amore, in particolare durante
queste prove che state affrontando.
Spero che, ovunque voi siate, troviate
sempre l'incoraggiamento e la forza
spirituali necessari a nutrire la vostra
fede e a condurvi piuÁ vicini al Padre
della vita. Attraverso i suoi sacerdoti
e i suoi collaboratori pastorali, la
Chiesa desidera assistervi e stare al
vostro fianco, aiutandovi nell'ora del
bisogno, e quindi, rendendo presente
l'amorevole misericordia di Cristo
verso chi soffre.
Infine, chiedo alle comunitaÁ ecclesiali in tutto il mondo, e in particolare
a quante si dedicano al servizio degli
infermi, di continuare, con l'ausilio di
Maria, Salus Infirmorum, a rendere
un'efficace testimonianza della sollecitudine amorevole di Dio, nostro Padre. Che la Beata Vergine, nostra
Madre, conforti quanti sono malati e
sostenga quanti hanno dedicato la
propria vita, come Buoni Samaritani,
a curare le ferite fisiche e spirituali
dei sofferenti. Unito a voi nel pensiero e nella preghiera, imparto di cuore
la mia Benedizione Apostolica quale
pegno di forza e di pace nel Signore.
Ora, mi rivolgo a voi, cari fratelli e
care sorelle che soffrite di malattie incurabili e che siete nella fase termina-
Dal Vaticano, 8 dicembre 2006
Benedetto XVI
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DOCUMENTI
LETTERA AGLI AMMALATI
Card. Dionigi Tettamanzi
Carissima, Carissimo,
umanitaÁ.
Ascolti la radio e forse tra tante notizie e discussioni e musiche preferisci quella frequenza che ti aiuta a pregare, a sentire la compagnia di un popolo che ascolta la parola di Dio e
confida nella materna intercessione
di Maria.
Proprio ora avverti come sia importante saper ascoltare. EÁ un atteggiamento spirituale cui ho invitato
tutte le famiglie avviando il nuovo
Percorso Pastorale della Diocesi
``L'amore di Dio eÁ in mezzo a noi''.
La prima tappa si intitola ``Famiglia
ascolta la parola di Dio''.
Anche a te, fratello, sorella, costretto dall'etaÁ e dalla malattia a lunghe ore di solitudine, vorrei raccomandare: ascolta, impara ad ascoltare, insegna ad ascoltare. Nelle vite
frettolose e indaffarate, sii tu la presenza paziente, pronta a raccogliere
le confidenze, disponibile alla benevolenza che, mentre ascolta, incoraggia, senza giudicare, senza indiscrezione. Nel momento in cui eÁ forte la
tentazione di ripiegarsi sui propri mali, sii tu la presenza amica che tende
la mano e offre il proprio tempo per
restituire un po' di sorriso. Non lasciarti andare al lamento, non chiuderti su te stesso, piuttosto ascolta e
consola, ascolta e cerca di compren-
ti confido che nella notte di Natale,
mentre saroÁ intento a prepararmi alla
solenne celebrazione, avroÁ, come
ogni anno, un pensiero particolare
per te e per coloro che come te non
potranno partecipare alla Messa di
mezzanotte.
Forse eÁ la prima volta che sei costretto a stare in casa o nel letto di un
ospedale, proprio tu che non hai mai
mancato ad una Messa di Natale.
Forse giaÁ da anni le condizioni di salute e il peso degli anni riducono la
notte di Natale a una lenta successione di ore in attesa del sonno, quasi
una notte come tutte le altre.
Ad ogni modo io penseroÁ a te, con
il desiderio di vederti, di stringerti la
mano, di dirti una parola di incoraggiamento. So che sai ascoltare.
Ascolti con avida trepidazione
quando il tuo medico parla con i tuoi
di casa e sei spaventato quando abbassano la voce: ascolti con il desiderio di sentire l'annuncio del miglioramento delle tue condizioni.
Ascolti con commossa gratitudine i
parenti e gli amici che vengono a trovarti: talora sono parole di circostanza, ma per te sono il segno che ancora
c'eÁ chi aspetta un tuo parere e condivide con te un frammento di vita e di
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DOCUMENTI
perdonarsi, intorno ad una persona
cara che attraversa i giorni della prova.
Ascolta! L'attitudine all'ascolto
puoÁ renderti pagina di Vangelo scritta nella carne e nelle lacrime, nell'attesa e nell'inquietudine; pagina di
Vangelo perche saprai trasformare la
paura in affidamento, il lamento in
preghiera, le attenzioni che gli altri
hanno per te in ringraziamento, le attenzioni che tu dedichi agli altri in
una intercessione. Chi ti incontra, chi
viene a visitarti possa leggere questa
pagina di Vangelo, piuÁ persuasiva di
ogni predica e piuÁ illuminante di ogni
ragionamento, perche scritta proprio
da te nella tua malattia.
E se sei capace di un ascolto cosõÁ,
prova a immaginare con quale tenerezza premurosa ti ascolta il Signore!
Lui che si commuove per chi soffre,
che prova compassione per coloro
che sono tormentati, Lui certo ascolta la tua preghiera, viene in aiuto alla
tua debolezza e non tarderaÁ a rivelarti
la sua misericordia.
Per questo, celebrando la Messa di
mezzanotte, cui forse parteciperai dal
tuo letto, invocheroÁ per te pronta
guarigione e un santo, felice Natale
insieme ai tuoi cari e con tutti gli uomini che Dio ama.
dere, ascolta e cerca le poche parole
necessarie per aprire uno spiraglio di
speranza.
Ascolta! Non trascurare di ascoltare GesuÁ che ha parole di vita eterna.
In ogni casa ci dovrebbe essere la
Bibbia, ma forse in casa tua eÁ piuÁ necessaria. Se non ce l'hai, chiedila come un dono per questo Natale.
Ascolta la parola di Dio! La parola di
Dio eÁ GesuÁ, il Verbo fatto carne, l'amico fedele che prende in disparte
chi ha bisogno di essere guarito, per
rivelargli le vie misteriose del suo
amore crocifisso.
Ascolta! Chi sa ascoltare la parola
di Dio e le confidenze degli altri eÁ come quella pagina bianca sulla quale
gli Angeli dei dipinti antichi scrivono
pagine di Vangelo. In lettere d'oro
scrivono: ``Gloria a Dio nell'alto dei
cieli e pace in terra agli uomini che
Dio ama''. Dopo tanti secoli non ci
sono piuÁ angeli sulla grotta di Betlemme: non giaÁ perche sia finito il
cantico dell'esultanza, ma percheÂ
hanno lasciato agli uomini di continuare il lieto annuncio. Tu che sai
ascoltare, saprai certo unirti all'immenso coro che ancora e ancora dice:
``Gloria a Dio'', perche il suo amore
s'eÁ fatto premura e dono del Consolatore per chi piange e soffre nel corpo
e nello spirito e ancora dice ``Pace
agli uomini'', perche la fragilitaÁ di chi
eÁ ammalato puoÁ essere una predica
piuÁ incisiva di tante prediche e aiutare persone e famiglie a ritrovarsi, a
Il tuo Affezionatissimo Arcivescovo
Card. Dionigi Tettamanzi
Natale 2006
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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
A cura di Ornella Scaramuzzi
1. BIANCHI L., C'era una volta Pasqua al
mio paese, Gribaudi, Milano, 2006,
pp. 121..
Ho «la speranza che, se non proprio interesse, almeno un briciolo di
gioia questa storia e le altre vi abbiano recato»: eÁ quanto si augura l'autore nell'ultima pagina del suo scritto.
Posso affermare con sinceritaÁ che
don Luisito Bianchi ha pienamente
raggiunto il suo scopo: non solo ha
suscitato in me interesse e gioia, ma
anche una profonda serenitaÁ interiore
al ricordo di una societaÁ civile e religiosa che egli descrive minuziosamente e che ho vissuto anch'io nell'infanzia nel mio paese natio lucano.
E mi ha fatto «sognare» rendendomi
contemporaneo e amico dei protagonisti dei racconti!
Dopo La Messa dell'uomo disarmato (Sironi, 2003), divenuto un autentico caso letterario, anche il nuovo libro C'era una volta Pasqua al mio
paese promuove a pieni voti il sacerdote, che non piuÁ giovanissimo (eÁ nato nel 1927), ha vissuto le tappe piuÁ
diverse del suo ministero pastorale
attraverso molteplici esperienze: insegnante, traduttore, prete operaio e
inserviente di ospedale e, attualmente, cappellano presso il monastero
benedettino di Viboldone (Milano).
Come confessa nella prefazione,
don Luisito ha letto negli spazi vuoti
delle pagine dei Vangeli per trarne le
storie dei personaggi minori e piuÁ originali degli eventi pasquali di GesuÁ:
«Tra una pagina e l'altra dell'evangelo c'eÁ uno spazio bianco che puoÁ essere occupato dalla tua fantasia, e anche la fantasia eÁ una cosa seria se non
invade le righe» (p.17). Ne sono scaturiti 13 godibilissimi «bozzetti», nei
quali il lettore viene sollecitato prima
a conoscere le tradizioni familiari e
popolari della settimana santa che
fiorivano nei piccoli paesi fino agli
anni cinquanta dello scorso secolo e
poi eÁ invitato ad ascoltare le storie
«fantastiche» di chi ha trovato troppo poco spazio nei racconti degli
evangelisti: il ragazzo rimasto nudo
nelle fasi concitate dell'arresto di GesuÁ, l'asino che portoÁ sulla sua groppa
il Messia osannato dalla folla e la sua
genealogia, la goccia d'acqua del catino di Pilato, il servo Malco che ebbe
l'orecchio tagliato da Pietro nel Getsemani, la Veronica identificata nella
donna guarita dalle sue perdite di
sangue, il soldato della spugna ed il
centurione del Golgota, le guardie
del sepolcro, l'altro Didimo, ...
I racconti, definiti «scherzi della
nostalgia» dallo stesso autore, sono
«fantastici» nel duplice significato di
frutto della fantasia del cuore e di
straordinaria bellezza. Al lettore, ragazzo o adulto che sia, viene chiesta la
Insieme per Servire n. 70 - Anno XX n. 4 - ottobre-dicembre 2006
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
capacitaÁ di saper volare nel mondo
della fantasia, che non eÁ sinonimo di
irrealtaÁ, ma mezzo e via per raggiungere la realtaÁ di un altro mondo altrettanto vero, dove possono entrare e vivere solo i «puri di cuore».
La prefazione di Alessandro Pronzato, un altro fecondissimo prete, arricchisce la pubblicazione con il riconoscimento della capacitaÁ dell'autore
di saper usare finemente la penna, a
differenza di tanti confratelli: «Oggi,
di preti che pubblicano libri ce ne sono parecchi in circolazione, forse anche troppi (quelli che leggono, molto
meno). Ma chierici che sappiano tenere la penna in mano come Dio comanda non sono numerosi» (p.6).
Il libro di don Bianchi nutre lo spirito e sa parlare ai cuori semplici di
bambini, perche egli eÁ rimasto un
bambino nel cuore.
(p. Leonardo Di Taranto)
dei credenti pugliesi contro il trasferimento dei cacciabombardieri F16
americani dalla Spagna a Gioia del
Colle, che giaÁ ospitava i Tornado
americani. Per questo prepara, nell'
`88, un documento firmato dai vescovi della metropolia di Bari, affermando decisamente che la Puglia, dalla
sua stessa geografia, eÁ chiamata ad essere arca di pace, non arco di guerra.
Sono solo alcune delle innumerevoli
iniziative comunitarie prese dal vescovo.
Costruire la cittaÁ attorno alla fontana antica che eÁ Cristo, eÁ il progetto
del Vescovo: l'architettura di essa sta
nel brano di Isaia: «Il Signore mi ha
mandato a portare il lieto annuncio ai
poveri, a fasciare le piaghe dei cuori
spezzati...» mentre il punto di arrivo
sta nell'altro brano di Isaia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro
lance in falci...».
Il pericolo dei tanti anti-Isaia politici eÁ reale ± dice don Tonino ± e vorrebbero ridurci a garantisti della sicurezza dei potenti, ma ai disegni di
guerra occorre opporre la fermezza
della ragione dialogante e della pace.
Dal brano evangelico sulle tentazioni di GesuÁ, don Tonino trae le immagini efficaci per esprimere il suo
disegno. Ci sono infatti tre pietre da
svellere perche producono guerra: il
profitto (I tentazione) o la tentazione
economica; il potere politico (II tentazione); il prodigio ovvero il fatalismo
dell'attendere che le cose si risolvano
dall'alto (III tentazione).
A queste tre P da gettare, si oppongono altre tre P, le pietre utili per
costruire il futuro degli uomini: Parola, della quale bisogna scoprire la pa-
2. BELLO DON TONINO, Pace ± quanto
resta della notte?, Edizioni Messaggero, Padova, 2006.
Per tutta la vita don Tonino Bello,
vescovo della diocesi di Molfetta fino
al 1993, ha sostenuto i valori della pace e questo libro raccoglie alcune sue
inedite conferenze sul tema, tenute
nel 1986, per i ministri provinciali dei
frati Minori d'Italia, per i frati Minori
di Lombardia, per la manifestazione
per la pace a Giovinazzo. Ne risulta
una esegesi teologica formidabile e
assolutamente concreta. Infatti apre
nella sua diocesi la Casa per la pace,
come centrale di animazione pacifista
sul territorio, organizza la protesta
67
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
cifica violenza ermeneutica; Protesta,
con la quale dobbiamo manifestare la
profezia della Parola; Progetto, che
vuol dire disegnare strade di pace assumendosi senza paura il rischio dell'utopia.
GesuÁ usa la sua croce come una
trivella per scavare il pozzo della pace
e infatti le prime parole del Risorto
sono: «Pace a voi!». Dunque la offre
come dono prezioso della sua fonte,
alla quale peroÁ bisogna volere abbeverarsi per diventare costruttori di
pace al suo fianco.
Sta a noi costruire le reti idriche
per portare la pace fino agli estremi
confini della terra, radicati nella coscienza trinitaria in cui la prima si coniuga necessariamente con la giustizia
e la salvaguardia del creato.
Il breve libro offre altri spunti di
riflessione molto interessanti che cattureranno certamente l'attenzione del
lettore, introducendolo vigorosamente nell'etica del volto dell'altro.
l'autore accanto ai malati di mente.
Ascolto incondizionato, e allora forse
si puoÁ iniziare a comprendere la logica interiore di certi deliri in cui affiora un messaggio attraverso il quale il
paziente esce dal silenzio per esplodere in una comunicazione solo in
apparenza distorta. Come nel famoso
quadro, L'urlo di Munch, l'uomo,
scarnificato e sfigurato dal dolore psichico, protegge la sua testa con le
mani mentre in un supremo sforzo,
immagino, emette un grido verso
quell'esistenza reale in cui non si riconosce piuÁ.
Solo l'ascolto puoÁ liberare un po' il
malato dalla paura di cioÁ che vive nella sua immaginazione, senza per questo cercare di fargliene riconoscere il
senso sbagliato per la nostra logica,
altrimenti si rischierebbe di perdere
forse per sempre, il contatto fievole,
cercato dal malato che potrebbe richiudersi nel silenzio.
Ma, soprattutto, il grande merito
del libro eÁ, secondo me, il fatto che
l'autore, riportandoci in ogni capitolo
un delirio diverso, lo paragona al
pensiero di filosofi, teologi, poeti latini e greci, sottolineandone la logica
di fondo. Pensiero illogico o pensiero
parallelo di chi, ferito dalla vita nella
sua fragile sensibilitaÁ, si eÁ isolato e ritirato in un altro mondo, per non morire schiantato da una logica per lui insostenibile.
Si susseguono pagine bellissime,
evocative di un passato che ancora
costituisce la trama tessuta male del
delirio. In essa si intravede la societaÁ
cambiata e il parlare dei malati ne eÁ
lo specchio.
Stupisce quanto resti intatta la sen-
3. AVALLE V. - TENAGLIA T., Il delirio ha
un significato? Voci di persone dalla
psiche disturbata sommessamente interpretate con affetto, Ed. CVS, Roma,
2004.
Un delirio va ascoltato con il rispetto che si deve per le cose che non capiamo... in silenzio, forse a capo chino,
intervenendo con delicatezza solo
quando siamo convinti di poter concordare su qualche punto del pensiero
del malato. Attenti sempre a non sopraffarlo (p.114).
Queste parole tratte dal testo delineano la prospettiva in cui si pone
68
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
sibilitaÁ profonda dei malati mentali,
come per esempio nel capitolo intitolato «Fare, non solo dire la veritaÁ ...».
Finestra sulla vita di reparto e sul
comportamento degli operatori sanitari, mi sembra visione umanissima e
lucida (assolutamente non trascurabile, tanto eÁ un matto che parla), che interpella le nostre coscienze di medici,
operatori pastorali, sacerdoti, religiosi. La confessione contiene addirittura una domanda escatologica, altro
che delirio e nullitaÁ mentale: si tratta
di una pagina esemplare di pastorale
sanitaria.
Qui la voce interiore del malato eÁ
intatta e ci parla dell'etica insopprimibile dell'uomo, che chiede rispetto
e spesso ci insegna la veritaÁ sostanziale, che noi invece, cosiddetti sani,
spesso mascheriamo quando ci fa comodo.
Non saraÁ che la loro ricerca di senso cosõÁ sofferente e fuori dalle righe,
eÁ un umile baluardo che controbilancia i tanti fallimenti dell'umanitaÁ, agli
occhi di Dio, come afferma un aneddoto della tradizione talmudica?
ChissaÁ! Ma certamente l'autore eÁ
riuscito ad avvicinarci un po' di piuÁ a
queste particolari pietre scartate della
vita, insegnandoci che abbiamo bisogno anche di loro. E' proprio vero,
come dice Avalle nella conclusione,
che bisognerebbe aggiungere al brano evangelico di Matteo sulle `Beatitudini': «Ero alienato e tu, nel deserto
della mia anima, mi sei stato accanto e
hai serrato la mia mano fra le tue ...»
(p.116).
Va infine riconosciuto il merito al
CVS e ai Silenziosi Operai della Croce, che da alcuni anni a questa parte
hanno ampliato il campo editoriale,
di saper riconoscere e sostenere i
contributi letterari piuÁ appropriati e
moderni, atti a descrivere tutte le
sfaccettature della sofferenza e della
diversa abilitaÁ, in questo caso mentale, in cui vediamo tanto di noi stessi.
4. VERLATO M.L. - ANFOSSI M., Relazioni ferite ± prendersi cura delle sofferenze nel rapporto Io ± Tu, Ed. La meridiana, Molfetta (BA), 2006.
Mi fa piacere richiamare l'attenzione dei lettori su questo libro scritto
da due psicoterapeute, docenti di
Psicologia clinica e Psicopatologia generale, perche oltre a suggerire interessanti novitaÁ nell'approccio al malato, si occupano anche del coinvolgimento del terapeuta.
Il testo nasce come riflessione su di
un cammino longitudinale di lavoro
professionale, vissuto in continuo
contatto fra loro. Infatti il libro sembra scritto da una sola persona, segno
di un'armonia a quattro mani fra le
due terapeute: pertanto i capitoli si
snodano secondo una logica intrinseca e non come giustapposizione di ricerche individuali. Benedetta sensibilitaÁ femminile!
Il pregio delle argomentazioni sta
nel condurre il lettore verso una prospettiva piuÁ avanzata della relazione
d'aiuto centrata sul cliente di stampo
rogersiano. Essa resta comunque pilastro portante della comunicazione
con il malato ma viene integrata e arricchita dalla teoria dell'attaccamento
di Bowlby.
Non esiste a nostro avviso ± dicono
69
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
le autrici ± incontro reale senza uno
scambio reciproco. Dunque il terapeuta non fa piuÁ soltanto da specchio al
paziente perche possa, nella narrazione, trovare il percorso risolutivo alle
difficoltaÁ, valutando limiti e risorse,
ma molto piuÁ deve sapersi coinvolgere affettivamente, pur badando alla
propria stabilitaÁ interiore, per costituire la base sicura che al malato eÁ
mancata nella sua formazione evolutiva, che puoÁ esporlo a invischiamenti
e a successive incapacitaÁ di fronteggiamento in situazioni difficili.
Il paziente realizza la sua vera personalitaÁ nell'incontro con il terapeuta, ma quest'ultimo realizza la sua vera personalitaÁ nell'incontro con il paziente e i distacchi, inevitabili ed efficaci, separano entrambi dalla reciproca influenza, verso cammini di vita
personali. Siamo destinati a modificarci negli incontri.
Rogers affermava che ogni uomo
ha una potenzialitaÁ attualizzante, cioeÁ
una duttilitaÁ ai cambiamenti, che dipende dalla buona strutturazione del
SeÂ. Quindi se lo schema di riferimento interno appreso attraverso le prime esperienze, sensazioni, percezioni,
significati, ricordi coscientizzati, eÁ ferito o incongruente perche presenta
delle lacune, tanto piuÁ diventa vulnerabile il soggetto.
E' comprensibile quanto sia importante allora tutto cioÁ in un'epoca
in cui molti fattori, intrafamiliari e sociali, hanno contribuito e ancora contribuiscono a rendere fragile le personalitaÁ in formazione, minate a volte
precocemente da esperienze dolorose, lutti, perdite, violenze. Spesso il
vissuto eÁ tanto doloroso da essere ne-
gato dalla coscienza e riposto nelle
zone ombra dell'esistenza, ma tuttavia spesso affiora indirettamente in
agiti, apparentemente incomprensibili, altrettanto violenti nei confronti di
altri o autolesivi.
E' a questo punto che entra in gioco la necessitaÁ di un terapeuta che
aiuti il discernimento delle vere cause, di cui i comportamenti non sono
che simboli. Bowlby eÁ convinto che
dalle ferite interiori antiche si possa
guarire attraverso una relazione terapeutica che sia un luogo sicuro dove
favorire il contatto con se stessi, per
prendere consapevolezza degli eventuali danni ricevuti, dai quali ci si difende con comportamenti reattivi.
Se dunque il terapeuta diventa la
figura di attaccamento che al bambino interiore del paziente, eÁ mancata,
potraÁ innescarsi in quest'ultimo, il
meccanismo di autoguarigione.
Vengono qui prese in esame le persone suddivise per aree di attaccamento affettivo: della solitudine, della
dipendenza, della discontinuitaÁ o contraddizione, e si mette in evidenza come una generazione contribuisca a
strutturare in senso psicologico la generazione successiva, trasmettendole
modalitaÁ relazionali, costrutti, stili di
accudimento e attaccamento emotivo. Tutto attraverso esempi chiari
narrati, che supportano le argomentazioni.
Benche il testo non sia facilissimo
da leggere, non eÁ di uso esclusivo di
addetti ai lavori, perche ad un tratto,
ti prende e ti coinvolge, entusiasmandoti alla delicatezza dei rapporti umani di cui siamo inevitabilmente corresponsabili e co-artefici. Pertanto, con
70
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
un po' di impegno, eÁ adatto a tutti
coloro che vogliono dare spessore e
qualitaÁ al loro servizio accanto alla
persona, sia che soffra sia che viva nel
benessere per accrescere la consapevolezza.
L'enneagramma in questo libro eÁ
uno strumento per comprendere lo
sviluppo psicologico in etaÁ evolutiva
e la tendenza spirituale dei vari enneatipi, secondo una ricerca fra le piste di conoscenza orientale, sviluppata da Claudio Naranjo, psichiatra cileno e appresa dall'autore del libro,
David Hey.
Immaginiamo l'infanzia come stadi
graduali in cui portare a termine alcuni compiti: laddove il bambino incontra forti difficoltaÁ a realizzarli perche manca il supporto adeguato, si
verifica una perdita dell'Essenza e
contemporaneamente, proprio laddove il passaggio eÁ stato piuÁ traumatico, si forma la fissazione dell'ego
che poi ci accompagneraÁ tutta la vita,
con comportamenti reattivi ripetitivi.
Spesso diciamo infatti: Sono fatto cosõÁ, oppure Dinanzi a questa situazione, per il mio carattere non posso far
altro che questo!, giustificando cosõÁ
la reazione e spesso senza domandarci se potevano esserci altre risposte
piuÁ aperte alla considerazione dell'altro e dunque di noi stessi.
Nella misura in cui comprendiamo
cioÁ che ci manca, attingendo alle qualitaÁ degli altri, secondo le teorie della
freccia e dell'ala, riempiamo il vuoto
di Essenza di cui abbiamo bisogno e
ci accostiamo al principio evangelico
di ridiventare come bambini, aperti
naturalmente alla fiducia, alla gioia,
all'armonia, alla speranza. Possiamo
agire finalmente da persone non piuÁ
coatte ma autonome e mature.
L'autore prende in considerazione
ordinata tutti gli enneatipi, descrivendo per ciascuno, la qualitaÁ dell'Essenza, la fissazione personale e come essa
5. HEY D., I nove colori dell'anima, Ed.
URRA ± Apogeo s.r.l., Milano, 2006.
Quando nasciamo siamo ricchi di
Essenza, cioeÁ della nostra vera e piuÁ
completa natura spirituale. L'essenza
eÁ composta di varie dimensioni o qualitaÁ, ciascuna delle quali prevale in
ogni enneatipo. GiaÁ nelle prime esperienze relazionali da bambini, si assiste a varie diminuzioni dell'Essenza
personale a causa delle ferite affettive
in cui siamo coinvolti. In questo modo
si forma l'ego, una mistura di essenza
dimenticata e di fissazioni del comportamento reattivi alla paura di esistere. Fin dall'infanzia cioeÁ, i meccanismi di difesa ci costruiscono una corazza di stereotipi dentro cui il vero io
anela alla pienezza psicologica e spirituale e ci chiede di essere liberato.
Mi viene in mente come Michelangelo asseriva che quando scolpiva, liberava le forme che giaÁ vedeva entro
i blocchi di marmo. Analogamente
ciascuno di noi ha il compito spirituale di cercare il suo vero io, la propria
Essenza (il trascendente che eÁ in noi),
per diventare un essere umano completo, che conosce i lati ombra della
sua personalitaÁ; questi, lungi dall'essere rinnegati, offrono chiavi di lettura dell'inconscio che permettono di
far pace con i limiti e facilitano la crescita.
71
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
opera al nostro interno, rendendoci
per esempio molto meticolosi, sempre aggressivi, paurosi, chiusi in noi
stessi, tristi e melanconici, sempre
troppo altruisti o pigri o presi dalla
compulsione di agire. Poi riflette su
come si possa integrare l'essenza guarendo la ferita originaria, che ci ha
colpito, con la comprensione. Traccia
inoltre una identitaÁ probabile di organizzazioni sociali e di nazioni che
sembrano corrispondere alle varie fissazioni egoiche.
Il libro, a mio parere, non tira conclusioni ma lascia la porta aperta a ulteriori considerazioni e approfondimenti di ricerca per il lettore, che
guarderaÁ all'Enneagramma come ad
una possibile griglia di lettura della
vita.
cui egli verifica, in particolare, depressione, malattie cardiache, asma,
allergie, tumore al polmone.
Stimolando il potenziale immunitario della persona, i piaceri aiuterebbero quindi a conservare la salute e
ad accelerare i processi di guarigione.
Tuttavia il piacere eÁ autentico e umano solo se include una dimensione
spirituale, capace di andare oltre il livello fisico e soddisfare anche i gusti
dell'intelligenza e della libera volontaÁ,
producendo un effetto di equilibrio e
di armonia fondamentale per il benessere profondo della persona.
Esso infatti influisce sul modo di
vivere, sull'attivitaÁ cerebrale, sul sistema ormonale e immunitario, sulla
guarigione a livello fisico, psichico e
spirituale. Con frequenti rimandi alle
esperienze terapeutiche dell'autore, il
volume descrive nel dettaglio le sue
intuizioni e le sue analisi.
6. Y. SAINT-ARNAUD, Il piacere che guarisce, EDB, Bologna, 2006.
L'autore di questo interessante volume, Padre Yvon Saint-Arnaud,
oblato di Maria Immacolata, psicologo di fama internazionale, eÁ uno dei
fondatori dei Centri canadesi di psicosintesi, la prassi psicologica per
l'armonizzazione e lo sviluppo della
personalitaÁ umana.
«Il riso fa buon sangue» dice un
antico adagio di saggezza popolare.
Ma esiste una relazione verificabile
fra piacere e guarigione? Secondo le
ricerche dell'autore, tutta la vasta
gamma dei piaceri umani possiede
una funzione terapeutica nel trattamento delle forme patologiche, tra
72