STORIA DI ALEX

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STORIA DI ALEX
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STORIA DI ALEX
di
Caporale Mauro
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1.
1993: l’autoradio gridava lo storico inno dei T-REX: “Jaw war” (1971). Alex
era con la sua Uno bianca in Corso Umberto, procedeva ad andatura lenta e
tranquilla e intanto la sua mente viaggiava com’era solito fare spesso.
Estraniarsi ogni tanto dalla realtà era per lui un motivo per vivere (e a volte
anche per sopravvivere), e quindi lo faceva incurante di quello che potevano
pensare gli altri.
Ad ogni modo, egli stava per andare a provare col suo gruppo, i “Gipsy
Raindogs”, nati da poco, ma già con le idee chiare; il loro motto era
sperimentare, sperimentare e sperimentare: incunearsi in luoghi sonori
ancora inesplorati e, badate bene, si è nel 1993 e quindi l’impresa era
abbastanza ardua considerando la neonata ondata di “Grunge” quasi
fossilizzante e stereotipata. Pensava dunque a cosa avrebbero provato, ed
era estremamente eccitato! Era una passione che aveva nel sangue, e la
coltivava con estrema dedizione. Alex pensava che se suoni (ma anche se
scrivi, se dipingi, se fotografi o giri qualcosa con la tua “camera”, se ti dedichi
all’arte, insomma), non hai scelta: devi vincere la pigrizia e fottertene di
pensare che magari le persone ti giudicheranno un pazzo: devi coltivare e
soprattutto ricercare l’ispirazione in quasi tutto ciò che fai o che ti accade
quotidianamente!!!
Bene, dicevamo: Alex in C.so Umberto, scappava ora in quanto si era reso
conto che erano già le 21,00 e come al solito era in ritardo! A un certo punto
sente un botto tremendo, poi un altro e un altro ancora: questa volta vede
delle scintille, mentre più buchi si aprono nella portiera di destra.
“Cosa cazzo succede!” - pensa; frena di botto (un po’ troppo forse, dato lo
spavento e l’inconsapevolezza verso ciò che stava accadendo), e l’ultima
cosa che riesce a
vedere è il volante della sua utilitaria che si avvicina
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sempre di più alla sua faccia, sempre di più, e ...Buummm!!! Un flash
accecante, e subito dopo buio completo.
Fortunatamente, dopo un po’ si sveglia e si riprende: è molto intontito
dall’accaduto, e dopo un po’ ricorda: la sua Uno è andata a schiantarsi sul
semaforo, che è rimasto piegato. Esce dunque dalla macchina e vede di
fronte a lui, di spalle, un uomo alto, capelli bianchi corti: indossa un
impermeabile alla Humphrey Bogart ed ha un mitragliatore in mano. La prima
cosa che gli passa per la mente è: “Ma da che cazzo di film esce fuori questo
?!!”. È spaventato, si sente il cuore in gola, ha la lingua secca: si avvicina al
bidone della spazzatura e prende una bottiglia in mano. Si dirige verso
l’uomo dunque, cercando di non fare molto rumore: trema, palpita, suda, è
ansante ma soprattutto terrorizzato da ciò che sta accadendo e che ha
dell’incredibile!! L’uomo è ancora di spalle. Ormai gli è addosso, alza il
braccio destro; il “cacciatore” si sta per voltare, allora Alex lo colpisce con la
bottiglia che ha in mano sulla testa, con tutta la forza che ha in corpo. Poco
prima di colpirlo però si accorge che l’arma che impugnava era una semplice
bottiglia di plastica!!!
Alex apre gli occhi dunque, è nella sua camera da letto: era tutto un cazzo di
incubo!!
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Alex era un tipo strano: suonava già da 5 anni, dal vivo si era esibito soltanto
2 volte e un po’ per pigrizia si limitava a suonare “cover”, senza mai essersi
confrontato col problema del “songwriting”, se non un paio di volte con
discreti risultati.
Respirava aria di cambiamento: tutto era motivo di stimoli, anche le piccole
cose che magari ai suoi coetanei (Alex aveva 23 anni) passavano sotto gli
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occhi senza suscitare particolare interesse, a lui parevano essere linfa vitale:
guardava molti film, adorava ascoltare la radio: quella misteriosa scatola che
per qualche misterioso motivo riusciva a renderti partecipe del vinile che
girava in qualche stazione radio: tutto ciò stimolava la sua fantasia, lo faceva
sognare, e non era raro che lui la sera trovasse più interessante sentirsi ad
esempio “Planet Rock” leggendo contemporaneamente un buon libro preso
in Biblioteca Comunale per risparmiare, fumandosi quel mezzo pacchetto di
sigarette.
A volte preferiva fare questo piuttosto che uscire: egli cercava di risparmiare
quel tanto necessario per vedersi quei 2-3 concerti al mese, scelti bene tra
tutti quelli che si tenevano nei dintorni di “Parmacityrocker”, la città dove si
era trasferito e dove lavorava da ormai più di 5 anni. L’Università non l’aveva
mai voluta iniziare, perché preferiva farsela lui la cultura piuttosto che farsela
imporre da quei professoroni tutte parole e cavilli e poca sostanza. Meglio
lavorare da subito, essere indipendente e godersi la vita per un po’, facendo
ciò che gli piaceva di più: suonare e seguire i concerti dei gruppi più sinceri,
quelli che dichiaratamente si ispiravano ai felici trascorsi musicali dei ‘60 e
’70.
Ripensando a tutto questo, egli quindi proseguiva pensando a ciò che
avrebbero provato oggi: il giorno prima c’era stato il mercatino del Giovedì
sotto le colonne di via D’azeglio e aveva trovato insieme ai suoi raindogs un
vecchio Mellotron: gliel’avevano dato per 50 carte, doverosamente
raccimolate tra tutti i componenti del gruppo; sarebbe sicuramente nato
qualcosa di particolarissimo con quello strumento, tanto caro al vecchio Tom
Waits. Non importava infatti che nessuno di loro lo sapesse suonare: si
sarebbero fatti prendere da quello che sarebbe nato mentre provavano, di
solito era sempre così, e quello che veniva fuori era sempre qualcosa di
molto personale: una sorta di mix dell’ego di questi 4 “cani bagnati gitani” che
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molto spesso convinceva molte più persone dei semplici supporter morali e
spirituali.
Ordunque, cazzo, dicevamo: il nostro amico si risveglia nella sua stanza,
riconosce i poster del Cineforum, e il santo bevitore...ehm, pardon! Il santo
protettore Tommy “raindog” Waits sulla sua testa. Realizza di essere a
Parma, la sua seconda città in cui risiede per lavoro; l’incubo appena avuto
riguardava “his own chrismast city”: Taranto. Si era ambientato molto bene a
Parma, ma molto spesso, come d’altronde comprensibile, la nostalgia lo
assaliva. I ricordi, le sensazioni, le illusioni da adolescente (e anche tardoadolescente!) lo prendevano alla sprovvista nei momenti più impensabili,
anche se a volte era lui a chiamarseli, quando ad esempio ascoltava “The
weeping song” di quell’assassino rubacuori di Nicola Caverna.
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Siamo nella sala prove dei “Gipsy Raindogs”: i quattro provano con passione
i vecchi pezzi, ma Alex non è in perfetta forma: suona l’elettrica, ma perde
dei colpi: è distratto e sembra come essere rapito da qualche pensiero
oscuro che lo tormenta. Jenny, la bassista, lo sfotte un po’:
“Allora Alex, chi è la fortunata a cui stai pensando? Ne vale la pena almeno?”
“Non ti preoccupare Jenny, non sei tu la sfortunata, e poi lo sai che non
potrei tradire la mia bassista prediletta nemmeno con il pensiero!” - risponde
a tono Alex.
Continuano dunque la Jam-session con il nuovo pezzo blues che stavano
creando l’ultima volta; stavolta però c’è anche Georgie che si diletta con il
Mellotron: e il tutto funziona eccome!! Ma il nostro Alex non sta bene: suda e
trema, ripensando all’incubo dell’altra sera, si lascia suggestionare pensando
che magari è un sogno premonitore di qualche sciagura di chissà quale
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entità. Sono così costretti ad interrompere la session, si salutano e Alex
ritorna a casina, dove il buon fornetto chiama!! Si rilassa dunque sul letto
ascoltandosi “Raindogs” di Tom Waits, forse l’album che amava di più del
buon vecchio Tom. Non gli va di cucinare, e quindi decide di ordinarsi una
buona pizza da Pasquale: 5.000 lire compresa consegna a casa va più che
bene! Ma mentre sta per alzare la cornetta squilla il telefono: è Jenny che gli
domanda cosa avesse avuto stasera, se c’era qualcuno nella sua vita
adesso, e cose di questo genere. Alex, un po’ forzatamente, le risponde
dicendo che in realtà non c’era nessuno: aveva solo mangiato poco, e forse
aveva avuto un calo di zuccheri.
“Ti va di stare un po’ insieme stasera, Alex? Mi sa che hai bisogno di
compagnia... meglio se femminile” - si butta lei.
”Si, forse hai ragione, Jenny. Mangi una pizza? Stavo per ordinare da
Pasquale una diavola.”
“OK perfetto, una anche per me, arrivo in 5 minuti, BYE-BYE.”
“A dopo, Jenny.”
Tatam...Tatam...Tatam!!
Sono le tre note della coda di “Innocent when you
dream” di Tom Waits che Alex ha riutilizzato brillantemente come suoneria
del citofono. Sarà Jenny? Si, è lei, ed è vestita pure in modo molto attillato e
attraente - quasi quasi pensa lui!!
“Sali, la porta è aperta” - le dice rispondendo al citofono. Si baciano in modo
casto; Alex dice che ha già ordinato le pizze, tra mezz’ora dovrebbero
arrivare. Lei annuisce, e intanto mette mani nei suoi Cd, cosa che Alex
odiava, ma tollerava in modo diplomatico.
“Ma hai anche “Swordfishtrombones” di Tom Waits!” - sostiene con finta aria
sorpresa lei.
“Jenny, quante volte te lo devo dire che ho tutto del vecchio zio Tom!”
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“C’è un pezzo che conosco bene e mi piacerebbe sentire, è “Shore leave”,
posso metterlo?”
“Davvero lo conosci? È anche il mio preferito: sai che tratta di un carcerato
che scrive una lettera alla sua amata? Io amo quel pezzo: cazzo, è poesia
musicata!! Mettilo pure, non aspetto altro!” - si fa un po’ prendere
dall’emozione lui.
Si crea una bella atmosfera tra i due - devo dirvi in tutta sincerità - la musica
è quella giusta, lei è molto carina e disponibile: si guardano negli occhi e
sembra esserci la scintilla. Alex però non può levarsi dalla mente quell’incubo
così realistico della notte precedente, e può dunque risultare un po’
impacciato agli occhi di lei. Ora sono seduti vicino, lui le accarezza le braccia
e le sorride, lei è anche presa: ora lui si alza per cambiare pezzo, e proprio in
quel momento :
Tatam...Tatam...Tatam!!
Il buon vecchio Tom ricorda ai due
piccioncini che è arrivata l’ora della pappa. Alex paga come da copione le
pizze, e ora i due sono seduti di fronte a gustarsi questa diavola di Pasquale
con una bottiglia ghiacciata di birra Raffo appena uscita dal congelatore.
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Siamo in soggettiva e il nostro punto di vista coincide con quello di un uomo
che vaga in bicicletta, di notte, a Parma dalle parti della discesa del ponte di
Caprazucca. La notte è fumosa, e non si sente anima viva in giro. Sembra di
essere a Londra piuttosto che a Parma, e Jack lo Squartatore può essere
dietro ogni angolo pronto ad assalirci. L’uomo procede molto lentamente, ma
piano piano aumenta la velocità sempre di più; la bicicletta non ha una buona
tenuta di strada, e ci sono molte buche che rendono un po’ incerto
l’andamento in bicicletta del nostro personaggio. In prossimità della curva
che porta alla Strada al ponte di Caprazucca vediamo venire dietro di noi a
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velocità pazzesca una Renault 5 con la carrozzeria completamente
carbonizzata guidata da un pazzo, da una figura che però riusciamo solo a
intravedere in modo non dettagliato. La macchina ha le 4 frecce accese, e
procede con sgommate ad una velocità davvero inquietante e sproporzionata
rispetto al luogo in cui ci troviamo; altro particolare inquietante: il “pirata” non
ha le 4 porte. Ce lo vediamo venire dietro di noi a tutta velocità: il viandante
cerca di spostarsi, ma il pirata sembra percepire le sue mosse in anticipo: si
sposta in parallelo, sale sul marciapiede, vi scende, romba col motore: ecco
che per un pelo Alex lo evita per miracolo.
Ma il pazzo-pirata non si arrende: si esibisce in un brusco testa-coda, e si
rimette in posizione d’attacco, proprio di fronte ad Alex il quale è
letteralmente sconcertato e terrorizzato: non crede ai suoi occhi e non sa
cosa fare; ora si ferma un attimo e osserva questa figura scura al volante, e
dalla fisionomia gli sembra familiare. Ora però non è il caso di fermarsi a
pensare: egli è di nuovo all’attacco, e Alex non può fare altro che fuggire, non
prima però di essere riuscito a vedere meglio di chi si tratta! Gli va dunque
incontro, ed è un grave errore perché il pazzo-pirata la prende come una
sfida, e accelera subito verso di lui, sgommando abbondantemente. Alex si
sporge, ma ancora non distingue la figura: i due vanno uno incontro all’altro,
testardi, ed Alex è rapito dalla curiosità, che prevale in questo caso sul
buonsenso. Il pazzo prevede gli spostamenti di Alex, il quale ora sale sul
marciapiede, ma vi scende subito notando che anche il pazzo vi sale
strisciando la fiancata al muro incurante della carrozzeria già carbonizzata.
Ed è proprio mentre Alex scende dal marciapiede che si rende conto di un
particolare lampante, ma è troppo tardi: con una brusca e improvvisa virata il
pazzo fa cadere il nostro Alex a terra: vediamo solo il manto stradale e poi
...buio!!
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Alex si sveglia di soprassalto: è a casa sua, Jenny sta dormendo affianco a
lui : non è il caso di svegliarla, meglio andare in bagno a lavarsi la faccia e a
vomitare l’incubo che la sua mente ha appena concepito.
I nostri due piccioncini si erano dunque addormentati: la stanchezza era
prevalsa sulla libido, e le ninne nanne dello zio Tom avevano aperto loro le
porte al regno dei sogni. O degli incubi, dipende dai punti di vista.
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Alex era dunque terrorizzato da questi incubi, non ne capiva la natura e
soprattutto era incuriosito dal misterioso personaggio che tentava di
assassinarlo ripetutamente in sogno.
“Pensi che mi abbiano fatto qualche malocchio?” - domanda a Jenny.
“Ma no, vedrai, sarà soltanto un periodo di stress passeggero” - lo consola
lei, mentre gli accarezza i capelli, dolce e materna.
“Sarà pure passeggero, ma sicuramente io non me lo scorderò per molto
tempo. E poi che cazzo vuole da me questo maniaco omicida? Non credo di
avere nemici o di odiare qualcuno in particolare, a parte quello stronzo di mio
padre.”
“Tu vedi troppi film, e nella notte rielabori le sequenze “Pulp” che ti hanno
scosso: secondo me dovresti essere un po’ più a contatto con la realtà!”
“Senti chi parla, perché tu credi di essere normale?” - risponde a tono Alex;
“No ma posso avere delle opinioni e darti dei consigli, come quello di
baciarmi ora, in questo preciso istante.”
“Altrimenti?” - incuriosito ed eccitato risponde Alex.
“Altrimenti tieniti pure stretti i tuoi incubi!”
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“Ehi, non voglio mica fare la parte del frocio: ho sempre avuto una particolare
predilezione per te.” - e la bacia da vero seduttore: gli piace molto Jenny, è
così dolce e poi la trova molto attraente.
Col passare del tempo però gli incubi non finivano, anzi aumentavano a
dismisura: non era una cosa passeggera come aveva pronosticato Jenny,
anzi a lungo andare, a dire il vero, stavano angosciando il nostro Alex che
ora aveva deciso di prendersi una settimana di malattia dalla ditta di trasporti
per cui lavorava: doveva riflettere e aveva bisogno di tempo e riposo come gli
aveva suggerito sua madre dall’ultima telefonata. Ma da cosa si doveva
riposare, mica lo aveva capito! Nei giorni successivi Alex rimase molto in
casa a sentirsi e risentirsi le perle della sua discografia e si rivide per ben tre
volte di fila il bellissimo “Big Time” di Tom Waits, il video-concerto più insolito
e suggestivo che un musicista possa concepire.
Ma più passavano i giorni, più gli incubi gli parevano realistici e il maniaco
assassino continuava ad apparirgli in contesti sempre più diversi e in
situazioni al limite del paranormale. Il guaio è che gli pareva di aver
individuato qualche particolare in merito alla sua figura, ma non riusciva
assolutamente ad individuarlo, anche perché prima di vederlo in faccia
accadeva sempre che si svegliasse di soprassalto. Jenny lo andava a trovare
spesso, gli portava la spesa e cercava di accudirlo nella speranza che si
trattasse di un semplice periodo di stress. A lui faceva piacere, ma dato che
di giorno in giorno la sua angoscia peggiorava sempre di più, nell’ultimo
periodo stava incominciando a trattarla male: neanche lui sapeva spiegarsi il
perché, ma probabilmente la routine cominciava ad ossessionarlo.
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Era arrivato il così tanto atteso giorno del concerto di Nick Cave a Milano, e
Alex era già in fibrillazione: aspettava Jenny per le 17,00: poi avrebbero
preso l’interregionale per Milano e così alle 19,00 sarebbero arrivati nella
città “da bere” dei tempi che furono. I soliti organizzatori non potevano
scegliere posto con peggiore acustica: il Palalido infatti era quanto di peggio
potesse offrire Milano in termini di diffusione armonica del suono: la musica
di Cave non si meritava questo, e sarebbe stato più giusto boicottarlo in
modo da rendere consapevoli gli organizzatori dell’errore commesso. Chissà
se Cave avrebbe fatto “Jack the Ripper”: era la canzone di chiusura
dell’ultimo, sconvolgente, “Henry’s dream”, e Alex la considerava un
capolavoro, specie per la sua intensissima interpretazione insieme alla “bad
attitude” della band di Cave, i “Bad seeds”.
“Hai portato la macchina fotografica, Jenny?”
“Si Alex, ma ci sarà modo di riuscire a farne qualcuna?”
“Cara la mia Jenny, non ti rendi forse conto di quante foto ho potuto fare in
questi anni di concerti? Potrei vivere di rendita soltanto vendendo le mie fotoreportage dei concerti più importanti che ho visto.”
“Oh, scusa, dimenticavo che sei un feticista della memoria e del ricordo in
generale: ma come cazzo fai, dove lo trovi lo spazio per conservare tutte le
puttanate che ti tieni inutilmente conservate?”
“Mi sa che adesso stai rompendo un po’ troppo le palle: ognuno ha le sue
deformazioni, professionali e non. Non sei forse tu che ti collezioni tutte le
bottiglie di vino che ti scoli? Ieri mi è sembrato di notare addirittura un
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cartone di Tavernello tra la collezione enologica che vantate tu e le tue
coinquiline! Adesso sono pronto cara, possiamo andare.”
“OK caro: prego, dopo di te.”
“Grazie, cavaliera! Chiudo io.”
Si avviano così verso la stazione: Alex è contento, ma s’incazza quando
Jenny parla a sproposito, e allora la prende per il culo. Per la strada
incontrano Georgie e si mettono d’accordo per suonare il giorno dopo,
chiaramente di sera, dopo aver dormito tutta la mattina.
“Mi spiace Alex di non poter venire, ma stasera devo vedere Sarah, le avevo
promesso di portarla fuori a mangiare. Lo sai che lei non gradisce tanto i
luoghi affollati!”
“Si, però potevi andarci domani con lei. Vabbè, comunque it’s ok! Buona
cena, ci sentiamo domani prima di cena.”
“Ok, a domani. Ciao Jenny.”
“Ciao, Georgie. Salutami Sarah e dille che non la perdono per essersi persa
il mio Nick.”
Siamo in treno, i due trovano posto quasi subito, e si abbandonano ad
effusioni soft. Alex sta bene, è contento, anche se gli incubi stavano
peggiorando il suo self-control; ma Cave era un placebo in questi casi: chi
meglio di lui poteva incarnare il dualismo Amore-Morte, Bene-Male che Alex
stava vivendo in questo periodo? Vederlo per Alex era quasi una terapia, e
comunque le sue esibizioni sono sempre state un’esperienza unica per la
loro intensità e per le soluzioni catartiche che si materializzano in mille
soluzioni sonore al limite dell’umano.
Il treno stranamente arriva in orario, ed ecco che alla stazione c’è Joe che li
è venuti a prendere: dalle prime anticipazioni si dice che come supporter ci
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sarà Hugo Race, che a tratti ha anche militato nei “Bad seeds”: oggi aprirà il
concerto come one man band.
“Lo sapevo che da Cave non c’è da rimanere delusi: ci propone 2 concerti in
una sera, entrambi sicuramente di notevole intensità: grande Nick, è per
questo che lo amo!” - dice Alex rivolto a Joe.
“Si è vero, ma dobbiamo sbrigarci: prendiamo per Lotto, che alle 20,00
aprono i cancelli, e se vogliamo vedere qualcosa è meglio arrivare prima.”
“It’s ok Joe, guidaci nei meandri di questa metropoli che io conosco appena e
di cui tu invece conosci i segreti che a noi umani possono al limite soltanto
trasparire!”
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Palalido: la folla è già notevole, ma i tre riescono a entrare dalla porta
carraia: c’è Steve che li facilita, collega di Joe e Alex in altri lavori al Forum di
Assago. I nostri sono nel Palalido dunque, e praticamente in seconda fila:
nasceranno dei bei quadri dalle foto che faranno: Alex ne è sicuro! L’attesa è
sempre il periodo più scoglionante: intanto parlano dei rispettivi progetti e
intenzioni.
“Ce n’erano di opportunità qui al Nord per chi voleva davvero farsi il culo in
qualsiasi ambito” - pensava Alex. Anche Joe era dello stesso avviso, ma il
difficile era riuscire ad inserirsi nei canali giusti e non perdere mai tempo.
Discorso del cazzo, ma giusto.
Alle 20,30 Hugo Race sale sul palco con la sua acustica Gibson e un
cappello nero da cow-boy molto scenografico; attacca con una cover di Bob
Dylan, “It’s alright, Ma...” e per Alex non poteva esserci inizio migliore: era
forse il pezzo da lui preferito del menestrello Bob: abbraccia Jenny, e già si
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profila una grande sintonia tra il pubblico e Race. Il concerto prosegue con
alcuni pezzi dei precedenti album dei True Spirit, e con un pezzo finale che
manda in visibilio tutti: uno strumentale acustico all’elettrica slide questa
volta, molto suggestivo e proveniente forse da chissà quale universo
parallelo.
Race si era esibito dunque per quasi un’ora, ma ai tre pareva che fossero
passati chissà quanti anni luce dall’attacco dylaniano.
“Cosa vi è sembrato di Marte? Personalmente ci sono appena stato, e posso
dirvi che non c’è vita, ma il paesaggio è qualcosa di apocalittico!” - dice Alex
rivolto ai due.
“Io sono stata proiettata nella Via Lattea: c’erano milioni di stelle, e io volavo
e le scansavo con estrema facilità” - replica Jenny.
“Questo è il potere suggestivo della buona musica.” - sostiene a ragione
Alex.
“Io più che su Marte, ero proiettato sul Pianeta Arte!” - dice Joe, sempre più
enigmatico e ironico.
Meno male che Alex aveva pensato all’abbeveraggio: Steve li aveva fatti
passare, e così aveva potuto introdurre tre belle Raffo da 66: nell’attesa non
restava che aprirle e brindare a questa magnifica serata, e all’arrivo di Cave!
Alle 22,00 infatti l’assassino rubacuori sale sul palco: ha il solito bellissimo
completo gessato nero da gangster, con camicia bianca informale. È sempre
il solito! I Bad seeds sono anch’essi eleganti e ben curati da gentlemen,
mentre Blixa in più indossa un bellissimo cappello da cow-boy tipo quello di
Race, soltanto che è bianco, con una banda nera che riprende il motivo della
camicia di seta, per l’appunto nera. Alex fa notare ai due amici le decorazioni
bianche in stile country-western presenti sul colletto della camicia di Blixa,
davvero azzeccate e molto eleganti.
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Anche qui i nostri tre sono coinvolti sin dall’inizio: del resto non può essere
altrimenti dato l’attacco con “The Mercy seat” acustica, ballatona tesa fino
all’ultimo respiro che tratta dell’ultimo giorno di un condannato a morte: dei
suoi deliri e delle sue riflessioni prima di morire, fino all’ammissione a se
stesso di essere stato lui l’autentico colpevole dell’omicidio; il carisma di
Cave poi fa il resto e trascina il pubblico all’Inferno senza nemmeno farlo
passare per il Purgatorio.
Un crescendo catartico di estrema intensità e dilatato al punto giusto rispetto
all’originale: così si può definire l’interpretazione del pezzo. Alex ha già fatto
10 foto, con le inquadrature più assurde, una in particolare riprende Cave
con la sigaretta in mano e il microfono nell’altra: “Sicuramente ne ricaverò un
poster”- pensa Alex mentre l’approccio aggressivo dei Bad seeds viene
sottolineato con un’altra cavalcata sonora: “From her to eternity”, e il pubblico
è già in delirio: si capisce che sarà un’esperienza unica, com’è del resto per
ogni loro singolo concerto. La scaletta infatti prevede tutti i pezzi più
importanti che Alex sperava tanto venissero realizzati, e “The Ship song”
inaugura la parte del concerto più rilassata, e romantica: il lato più luminoso
dei nostri Semi Cattivi, altrettanto suggestivo e ispirato, sempre di buon
auspicio e comunque molto sentito e ben realizzato. Si può dire che Alex era
cresciuto con Cave, insieme all’altro suo mito dello Zio Tom, conosciuti per
caso una sera d’estate del 1990 ascoltando per radio “Planet Rock”, il mitico
programma di Raistereo2 poi diventato per lui un must. Se lo sentiva ogni
notte infatti, prima di andare a letto, e quanti CD e gadgets aveva vinto grazie
a loro! Forse pochi riuscivano a capire quello che provava lui ascoltando
questa musica e questi programmi, ma a lui poco interessava: lui stava bene
così!
Appena attacca “John Finn’s wife”, Cave scende sul parterre stupendo tutti lì
nelle prime file. Anche questa è un’intensissima cavalcata aggressiva, ma a
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differenza delle altre nel finale muta completamente la melodia e diventa una
suadente ballata romantica: è a questo punto che Cave improvvisa un tango
con i fan delle prime file; l’atmosfera è di fratellanza e familiarità col pubblico.
“Esibizioni così difficilmente si vedono” - pensa Alex, mentre Cave gli passa
proprio davanti: il nostro può allora abbracciarlo e dargli in mano un
demotape dei suoi Gipsy Raindogs: chissà se l’avrebbe mai ascoltata quella
cassetta, ma ad Alex andava bene così, sinceramente poteva andarsene a
Parma più che soddisfatto quella sera.
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Il concerto era stato unico, al di là di ogni aspettativa, e Cave aveva
dimostrato l’affetto per il suo pubblico con la ballata di chiusura, in cui aveva
chiamato come special guest nientemeno che il grande Shan McGowan dei
Pogues, suo grande amico: insieme avevano intonato “New morning”, mentre
Blixa lanciava verso il pubblico un mazzo di rose rosse: aveva più volte
dichiarato che senza i fan la loro stessa esistenza sarebbe stata priva di
senso.
“Io non so proprio da dove la trovino l’ispirazione, ma sinceramente penso di
amare Cave, e i Bad Seeds: è sempre un’esperienza incredibile seguire un
loro concerto, e poi lui ha questa importante presenza scenica molto
carismatica che lo contraddistingue.”
“Sure Alex, e poi il finale con McGowan dove lo vuoi mettere? Io non me lo
aspettavo proprio: solo quel pezzo valeva l’entrata del biglietto.” - risponde
Joe anch’egli entusiasta.
“Che non abbiamo pagato nemmeno!” - ricorda Alex ai due.
“A proposito Joe, ringrazia Steve da parte mia, avanza da me un bacio sulla
fronte!” - anche Jenny è molto compiaciuta.
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“Alex, io scappo al Leoncavallo, stasera c’è la Gang che suona tutta la notte!
Sai com’è qui a Milano, no? Finisci da una parte e inizi dall’altra! Volete
venire?”
“No, grazie Joe. L’ultimo treno è all’1,30 circa, e domani devo riprendere a
lavorare se Dio vuole! Jenny poi è stanca. Per oggi passiamo!”
“OK, io scappo, sennò perdo il treno. Ciao Jenny, ci si vede ragazzi. Bella lì!”
“Ciao Joe” - rispondono in coro i nostri due piccioncini, mentre lo speaker
della metro annuncia che da Cadorna il prossimo treno per Milano Centrale
arriverà tra 10 minuti.
Anche se siamo ancora a Settembre, fa freddo: specie questa sera, in cui
appaiono già i primi barlumi di nebbia. La metro appare dunque
estremamente deserta: sono le 23,50 e il silenzio avvolge Alex e Jenny che
aspettano il treno contenti del memorabile concerto a cui hanno appena
assistito.
“Quante foto hai fatto, Alex?”
“Il rullino non si è ancora riavvolto. Vediamo... Ah, ne è rimasta una: dài,
facciamocela qui sulla scala mobile!”
“No, ho le occhiaie!”
“Dài Jenny, ma chi se ne frega, è per ricordo! Sto scattando, eh? 1, 2 ...3 “ CLICK! - Il tutto era stato immortalato da Alex: ora l’automatica stava
riavvolgendo il rullino. Ora si baciano e si coccolano uno nelle braccia
dell’altro: “Chissà se domani ce la farò ad alzarmi di nuovo per andare a
lavoro”- pensava Alex, mentre notava che l’angoscia stava ritornando: Cave
era riuscito a placarla semplicemente: lo aveva portato in un’altra
dimensione, ma gli incubi notturni non lo avevano abbandonato nei giorni
precedenti, anzi si erano intensificati. L’ultimo incubo addirittura vedeva il
maniaco trasformarsi in un serial-killer che arrivava a puntargli addosso una
Magnum 45. Alex si sentiva come una mosca finita nella tela del ragno dei
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suoi stessi incubi, e il ragno era quel pazzo-maniaco-pirata che intravedeva
sempre in silhouette e mai distintamente. Una vedova nera, molto pelosa:
così l’avrebbe descritto se gli avessero posto questo quesito.
“Alex, mi passi una sigaretta?”
“Si, ma non ho da accendere. Ah, perfetto: ce l’hai tu.”
Nel prendere le sigarette, ad Alex cade il biglietto del concerto, che lui tanto
maniacalmente voleva conservare come aveva fatto con i precedenti: prima
che cada tra i binari della metro si alza e corre a prenderlo. Il passaggio della
metro dalla direzione opposta aveva infatti dapprima allontanato il biglietto, e
poi lo aveva attirato in quella direzione. Con un piede sulla linea gialla, Alex
ce la fa a salvare il suo cimelio: che culo! Lo ripone dunque nel marsupio e si
volta per andare a sedersi accanto a Jenny.
Appena si volta la vede in piedi sulla linea gialla, ed ha un attimo di
mancamento: la stanchezza gli gioca uno scherzo! Ma ciò che vede è realtà
o finzione? Jenny non è sola come prima, ma c’è qualcuno che non riesce a
distinguere che la tiene ferma. Una figura oscura di cui riconosce
l’impermeabile nero! È il maniaco-assassino del suo sogno, ha lo stesso
impermeabile di pelle nera, e la stessa fisionomia. Mentre la trattiene, Alex
ha solo il tempo di gridare con tutta l’aria che ha nei polmoni : “Noooooooo!!”
mentre il maniaco la spinge verso i binari della metro. Il nostro Alex può
soltanto buttarsi nel tentativo di salvare la sua amata proprio mentre il
conducente della metro per la Centrale suona a più non posso per avvertire i
due: è troppo tardi però! E soprattutto il fossato è troppo alto perché i due ce
la facciano a salvarsi.
Chi era l’assassino? Perché ce l’aveva con Alex e con la sua ragazza! Che
cosa gli aveva fatto? Ma soprattutto CHI ERA! Era suo padre, quel bastardo
che poteva volere solo del male per lui, oppure era Alex stesso, in una sorta
di doppia identità misteriosa e nascosta? Questi erano gli ultimi pensieri che
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avvolsero Alex prima che la metro lo seppellisse insieme alla sua amata.
Nella metro vuota dopo il rumore dell’impatto e del clacson dell’autista,
l’unica cosa che sentiamo è il ritornello di DEATH IS NOT THE END di Bob
Dylan fischiettata dal misterioso maniaco mentre se ne va verso l’uscita di
servizio.
Chissà se qualcuno avrebbe mai sviluppato l’ultima foto impressa nella
pellicola della macchina fotografica che giaceva ora per terra, quell’ultima
foto che ritraeva per l’ultima volta insieme e felici Alex e Jenny.
FINE