Padre Ernesto Balducci. "Verso l`uomo inedito"

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Padre Ernesto Balducci. "Verso l`uomo inedito"
Padre Ernesto Balducci. "Verso l'uomo
inedito"
di P. Annibale Divizia
Gli uomini del futuro saranno uomini di pace o non saranno Tre
osservazioni preliminari Nel presentare il programma di quest’anno 2004
credo sia opportuno premettere tre osservazioni, importanti per tutti, ma in
modo particolare per coloro che della Fondazione Ernesto Balducci si
sentono, in varia misura, collaboratori attivi e interessati e non semplici
fruitori delle sue attività.
La prima osservazione riguarda me, i miei Confratelli Scolopi e tanti amici
della Fondazione, della Comunità di Badia e della stessa rivista
Testimonianze. Tutti abbiamo conosciuto personalmente il P. Balducci.
Per questo esiste per tanti di noi un Balducci edito, per usare una
terminologia che è caratteristica della tematica di quest’anno; è il Balducci
della memoria, dell’indimenticabile rapporto amicale e conviviale con lui; è
il Balducci che rientra nella sfera nostro privato e che ha forse segnato
profondamente le nostre stesse scelte di vita. Di questo Balducci sentiamo
ancora la mancanza e, forse, profonda nostalgia. Ma sappiamo bene che le
esperienze personali, belle o brutte che siano, sono come la lente che avvicina
l’immagine, ma tende anche a deformarla.
Oggi, invece, per tutti noi fare riferimento all’eredità balducciana
presuppone, per quanto possibile, uno sforzo intellettuale, scientificamente
guidato, che sia capace di cogliere nella lunga e articolata lezione di P.
Ernesto, soprattutto quelle intuizioni, - e sono tante – che ci introducono al
Balducci absconditus. Sono quelle intuizioni profetiche che, mentre nel
passato davano a chi lo ascoltava o leggeva risposte illuminanti, spesso
provocatorie, oggi dimostrano di avere in sé una tale carica di ulteriori
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sviluppi, da renderle, a distanza di anni, più attuali e spendibili che nel
passato. Non erano, allora, che gemme, che il tempo ha dischiuso.
Ad esse, proprio il passare degli anni ha dato forza , consistenza ed
evidenza.
Il tema scelto dal comitato scientifico della Fondazione Ernesto Balducci per
l’anno in corso L’uomo inedito: gli uomini del futuro saranno uomini di
pace o non saranno, rientra certamente fra queste; anzi tra le tante intuizioni
profetiche balducciane, è quella che meglio e più compiutamente le riassume,
in quanto punto di arrivo della sua lunga, sofferta e coraggiosa ricerca non
solo culturale, ma anche esistenziale.
Una seconda osservazione riguarda la tipologia della lezione di P. Balducci.
I suoi scritti e i suoi numerosi interventi oratori non sono stati mai pure e
semplici elucubrazioni teoriche, fatte a tavolino, da uomo di cattedra che
scrive a parla alla ristretta cerchia degli addetti ai lavori. La riflessione
balducciana si articola nell’arco di mezzo secolo, incarnata profondamente e,
direi, continuamente alimentata dalle contraddizioni del tempo, intensamente
vissuta da P. Balducci in un continuo alternarsi di entusiasmi e sconfitte,
sogni diurni fatti a occhi aperti e speranze deluse.
La sua è sempre stata una presenza militante e i suoi interventi non sono stati
mai asettici. Essi si nutrono continuamente della concretezza della storia,
della cronaca e delle sue numerose e spesso tragiche vicende. Una presenza di
credente e di intellettuale incarnata nel tempo, che Balducci considera,
contemporaneamente, tempo di Dio e tempo dell’uomo.
La Fondazione Ernesto Balducci, nel dare un taglio alla sua annuale
programmazione, non può dimenticare questo elemento di concretezza, che
caratterizza la testimonianza di vita del P. Ernesto e la grande mole della sua
produzione scritta.
Ne deriva che per noi rifarci a lui e al suo pensiero ha senso soltanto se ci
lasciamo provocare anche noi dalle sfide del mondo in cui oggi viviamo,
abbandonando le astrattezze delle dissertazioni accademiche. Coinvolti
operativamente dalle tante, spesso drammatiche vicende di un mondo in crisi
e alla ricerca di un futuro umanamente possibile, dalla lezione di Balducci
assumiamo molte sue analisi come criterio interpretativo della realtà che
cambia e operativamente le applichiamo nella ricerca sofferta di risposte
efficaci.
La terza osservazione riguarda il criterio ermeneutico che deve guidarci
nel leggere e interpretare la diversificata produzione scritta del P.
Balducci. Data la variegata gamma dei suoi interventi e il processo evolutivo
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delle sue riflessioni, va evitata una eccessiva settorializzazione della sua
personalità.
Del P. Balducci diciamo che fu un intellettuale, un politico, un pensatore, un
uomo del dissenso, un profeta, un prete scomodo, un educatore, un
antropologo, un maestro… e la serie potrebbe continuare. Pur considerando
utile ai fini di uno studio sistematico del suo pensiero, approfondire ora un
aspetto ora l’altro della sua testimonianza, non vanno dimenticate come
criterio interpretativo della sua multiforme presenza nella storia della seconda
metà del secolo scorso, alcune sue affermazioni particolarmente significative.
In quella che possiamo considerare la sua autobiografia, l’intervista di
Luciano Martini Il cerchio che si chiude, l’autore dell’intervista afferma che
fu lo stesso Balducci a scrivere di suo pugno la conclusione alla sua intervista.
In essa troviamo tre affermazioni che sembrano contraddire il suo lungo
cammino intellettuale, nel quale lui stesso parla di svolte culturali epocali e di
svolte antropologiche. La prima affermazione dice: Sebbene mi trovi in zona
laica, non mi sposto di un capello dal mio asse evangelico.
La seconda viene poco dopo e riguarda il suo itinerario culturale: la mia è, per
usare l’espressione di un Padre greco, una fuga immobile. La terza chiude il
libro; descrive il fascino notturno di quando, da bambino, rimaneva estasiato a
contemplare il vicino convento di clausura, e quel suo affacciarsi all’altro
versante della vita, dove il tempo ha ritmi diversi dal nostro, è un tempo
inutile, è il tempo dell’Essere. Potrei dire – conclude Balducci – che io da
quella finestra non mi sono mai mosso.
Riassumendo:
- essere capaci di leggere nel Balducci edito del rapporto con lui il Balducci
inedito, con il dito decisamente puntato verso il futuro;
- accogliere la sua lezione come supporto a un impegno militante,
- ricercare nella molteplicità dei suoi tanti interventi il filo rosso che tutti li
unisce,
costituiscono per la Fondazione Balducci e per tutti noi i criteri guida
irrinunciabili nelle attività e nel programma specifico dell’anno 20032004, che stiamo presentando.
Il programma 2003-04 Innanzi tutto il tema generale del programma: L’uomo inedito: gli
uomini del futuro o saranno uomini di pace o non saranno. Nel titolo sono facilmente
riscontrabili delle costanti del pensiero balducciano: • la centralità dell’uomo nel duplice
volto di homo editus e homo absconditus nella prospettiva dell’uomo planetario; • il futuro
quale adventus dell’uomo inedito, che è irruzione di novità e sovvertimento dell’esistente;
• il riferimento onnicomprensivo alla pace nella prospettiva di una umanità nuova e di un
nuovo umanesimo, connotati innanzi tutto nel senso della pace e della nonviolenza.
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Il programma prevede una articolazione tematica schematicamente riassumibile in tre fasi:
Le premesse, l’analisi critica, le prospettive Ad esse corrispondono tre momenti
consequenziali nell’approccio al tema: Verso l’uomo inedito; Dall’uomo absconditus
all’uomo editus; Il futuro dell’uomo inedito. Primo momento Il Seminario del 5 dicembre
2003, con la partecipazione di Giuseppe Barbaglio, Raniero La Valle, Raul Mordenti e la
presentazione della tematica L’uomo inedito di Ernesto Balducci da parte di Luciano
Martini e di Bruna Bocchini Camaianni, ha costituito la premessa conoscitiva e
introduttiva del primo nucleo tematico: Verso l’uomo inedito. Secondo momento Gli
incontri quindicinali dei mesi avvenire (Febbraio-Maggio 2004) saranno caratterizzati da
approfondimenti e riflessioni critiche sul tema Dall’uomo absconditus all’uomo editus.
Una sequenza di tematiche altamente impegnative, che vedranno alternarsi personalità
della cultura di varia estrazione ideologica e disciplinare. Sono stati già contattati Di
Piazza, Vattimo Bianchi, Florio, Forte, Rizzi, Cacciari.
In linea di massima queste saranno le tematiche specifiche su cui saremo
chiamati a riflettere:
1. La fine dell’etnocentrismo;
2. Dall’umanesimo integrale all’umanesimo del limite;
3. L’io multiplo: ovvero io sono l’Altro;
4. La transizione all’Altro: determinismo e plasticità;
5. La Croce come luogo di transizione all’Altro;
6. Futuro dell’uomo, futuro per l’uomo nell’epoca della globalizzazione;
7. Verso una cultura di pace: la fecondazione della diversità;
8. La scommessa etica del futuro.
Otto tematiche, in media due al mese, che solo apparentemente ci si
presentano astratte; esse dovrebbero offrire a tutti gli strumenti culturali e
cognitivi in grado di tradursi poi in concrete indicazioni di scelte politicoculturali, suggestioni teoriche, sempre però ancorate ad una analisi critica e
razionale della realtà. Terzo momento Il terzo momento del programma
(Novembre-Dicembre 2004), ci porterà a riflettere sul tema: Il futuro
dell’uomo inedito. In questa fase delle Prospettive si approfondiranno quegli
aspetti che lo stesso Balducci indicava come linee sperimentali:
1. L’ecumenismo creaturale;
2. L’etnocentrismo critico;
3. La non-violenza e la pace;
4. L’interdipendenza planetaria;
5. La religione creaturale;
6. L’etica creaturale;
7. L’etica planetaria.
Per la trattazione di queste tematiche si pensa di coinvolgere intellettuali come Vega,
Molari, Rossi, Lotti, Allegretti, Coda, Agnoletto. E’ in programma anche l’organizzazione
di un Convegno, durante il quale in una apposita tavola rotonda si cercherà di dare una
risposta alla domanda centrale, implicita alle riflessioni dell’intero ciclo: L’autogenesi
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dell’uomo inedito: ipotesi o realtà?
Come vedete, si è messo in moto un ricco programma, con la trattazione di tematiche
balducciane; negli incontri, più che una analisi sistematica e critica delle posizioni del
Balducci edito, si affronteranno le diverse tematiche a partire da Balducci. Compito
prioritario della Fondazione Ernesto Balducci, infatti, non è quello di conservare un
patrimonio museale, per ricco che esso sia, ma di accogliere e diffondere una lezione viva,
che non cessa di essere attuale.
Attualità di una lezione La riflessione di Balducci quando, negli anni ottanta,
approfondiva la tematica dell’uomo planetario – la pubblicazione del libro è
del 1985 – partiva da una constatazione e da una domanda: - La
constatazione: nell’era atomica la coscienza morale chiama l’umanità a una
nuova universalità; essa, in negativo, richiede la messa tra parentesi la storia,
e, in positivo, l’adozione dell’appartenenza alla specie come unico criterio
sufficiente di scelta morale.
In questa visione il futuro non potrà fondarsi che sul postulato dell’unità
morale del genere umano, una prospettiva che non ha riscontri validi nelle
nostre culture ereditarie.
- La domanda: Giunto in modo inatteso sulla frontiera dell’ultima scelta tra
morte e vita, può l’uomo affidarsi al messaggio di salvezza che ancora gli
viene trasmesso dalle grandi religioni del passato? … Ascoltati sulla nuova
frontiera, questi messaggi riescono ancora ad avere un senso? Entrambe,
constatazione e domanda, a quasi venti anni di distanza, si dimostrano né
retoriche, né obsolete; esse, anche per il nuovo millennio, conservano la loro
pregnanza e attualità Anzi, la situazione storica, economica, politica e sociale
del globo le rende oggi più vive che nel passato, e scuotono nella coscienza
dell’uomo prospettive obbliganti che non siano di fuga dal mondo
La dottrina americana della guerra preventiva come affermazione ed
esportazione della cosiddetta democrazia occidentale, il terrorismo e
l’estensione dei conflitti, della instabilità, della miseria e della paura, il
paventato scontro tra civiltà occidentale e orientale, falsamente identificato
come scontro tra cristianesimo e islamismo, l’estendersi dei conflitti armati in
tante aree del globo, il silenzioso proliferare delle armi nucleari; le
inarrestabili migrazioni dal terzo mondo e il conseguente estendersi di società
multietniche e interreligiose; il positivo emergere dei popoli del Sud del
mondo, che fanno sentire la loro voce nelle assise internazionali; tutti
fenomeni, che, in negativo e in positivo, ci dicono l’urgenza di radicali
cambiamenti e della necessaria fondazione di un umanesimo nuovo.
Il superamento di un presente così problematico diventa per la nostra
coscienza un imperativo etico; tale lo sentì il P. Balducci nella vita e nei suoi
scritti. Esso viene lasciato come preziosa eredità alla coscienza di ciascuno di
noi e a tutti coloro che rifiutano e contrastano l’annientamento della specie
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umana dalla faccia della terra. Lo status questionis Il tema dell’uomo inedito e
dell’umanesimo planetario è, quindi, attuale. Non è questo il momento di
affrontarlo; altri lo faranno nei prossimi incontri. E’, però, doveroso da parte
mia, in questa presentazione del programma annuale, illustrarne almeno lo
status questionis, con la relativa explicatio terminorum, e sottolinearne alcune
implicazioni. E’, questo, un metodo molto usato in un lontano passato; averlo
abbandonato nelle nostre dissertazioni non ha certamente accresciuto la
chiarezza del nostro parlare. Nel presentare lo status questionis seguirò
soprattutto alcuni appunti dello stesso Balducci, non ancora pubblicati; sono
forse lo schema di una sua conferenza, che ha come titolo Il senso del futuro
che viene. Il senso del futuro che viene, per l’uomo occidentale - dice
Balducci citando Levinas - è il superamento di sé che esige l’epifania
dell’Altro.
Principio fondante di questo umanesimo del futuro è mettere per soggetto
l’uomo in quanto membro della specie, lasciando in secondo ordine tutto il
resto. P. Balducci, con quella capacità tutta sua di saper cogliere con l’occhio
del profeta i segni dei tempi, di questo futuro già vede il moltiplicarsi dei
segni che ne sollecitano l’avvento: 1. l’impossibilità di estendere il modello di
sviluppo a tutti gli abitanti della terra. Di questo modello vediamo i risultati
negativi nello squilibrio ecologico e nella frattura Nord e Sud; 2. la
rivoluzione cibernetica che ha messo in crisi l’homo faber; 3. l’impossibilità
di estendere a tutte le culture la memoria occidentale, in quanto i popoli si
riappropriano della loro memoria. L’umanità è ricca di imprevisti; ci si
convince sempre di più che l’umanità europea non è l’incarnazione di una
idea assoluta, ma solo un tipo antropologico empirico e relativo, come la
Cina, l’India. Le razze e le culture
Nell’affrontare queste tematiche, il riferimento alle razze e alle culture è
d’obbligo. E P. Balducci così le definisce.
Le razze sono invenzioni della nostra specie. La differenziazione razziale è
dovuta all’adattamento dell’organismo all’azione del calore e della luce; solo
nei tempi storici hanno assunto un significato simbolico di tipo sociale e
culturale. Le culture, invece, sono i risultati di diverse soluzioni date al
rapporto tra gruppo umano e ambiente vitale. Esse – scrive Balducci in questi
appunti - vanno intese come parziali realizzazioni dell’uomo possibile che è
l’uomo totale. La combinazione fra l’esigenza della totalità e il dato di fatto
della parzialità fa sì che le culture siano l’una verso l’altra in stato di
aggressività reale o potenziale. La categoria del “barbaro” è intimamente
connessa alla propria identità culturale. Ma il rigetto del barbaro che è fuori,
è anche il rigetto di una possibilità che è dentro e dunque dell’homo
absconditus.. L’homo absconditus Ma chi è questo homo absconditus? P.
Balducci così risponde: Chiamerò l’uomo così come si è culturalmente
determinato dinanzi a se stesso homo editus, l’uomo venuto alla luce,
sottintendendo con questo che egli non è l’uomo totale. L’uomo totale non è
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soltanto ciò che l’uomo sa di essere, né soltanto ciò che l’uomo sa di poter
essere: l’uomo totale è un postulato scritto nel nocciolo ontologico
dell’uomo, e cioè nell’insieme delle possibilità umane che non sono ancora
venute alla luce.
Quest’uomo possibile – conclude Balducci – lo chiamerò homo absconditus.
Nell’analisi balducciana il tempo proprio dell’homo absconditus non è né
l’eterno, né il presente, né il passato, ma il futuro, da intendere come
adventus.
Scrive Balducci: Il tempo dell’homo absconditus è il futuro, è l’evento ultimo
in cui le possibilità inedite si saranno tutte realizzate. Questo futuro non è
dunque la proiezione del presente (futurum); è al contrario l’irruzione piena
delle novità, che ci viene avvertita (adventus), nella successione
dell’esperienza, come minaccia all’ordine esistente, come rovina dell’homo
editus e insieme come progressivo trapasso dall’esistenza all’essenza. Il
futuro e la coscienza Se è vero che il tempo dell’homo absconditus è il futuro,
è altrettanto vero che il futuro passa necessariamente attraverso la coscienza
dell’uomo. Per P. Balducci, infatti, è la coscienza l’organo del futuro. La
condizione degli uomini è quella di essere programmati dal passato, un
passato che continuamente ci riprende. E questo per Balducci è peccato, in
quanto peccato vuol dire cedere al passato. In questa visione, che è biblica,
l’apertura verso il futuro, è il bisogno di liberarsi dal passato; è il
superamento della legge scritta, è il superamento dell’uomo edito. A guidarci
in questo arduo compito è la coscienza. Ma anche la coscienza deve cessare
di essere in noi un organo di recezione e di esecuzione, per diventare un
organo di scoperta, di perlustrazione per cogliere il futuro che sta venendo
verso di noi. In un mondo in cui tutto deve essere nuovo, nuovi i sistemi,
nuova l’economia, nuova l’immagine, nuova la politica, nuove le
occupazioni, e via dicendo, solo una coscienza rettamente illuminata può
cogliere la novità che vale, quella novità - dirà Balducci in una delle sue
ultime omelie – che apre e realizza in progressione il regno di Dio. Il
rapporto con l’altro L’homo absconditus ha come postulato l’unificazione del
genere umano, da realizzare – nota Balducci – non attraverso l’egemonia di
una cultura sulle altre, ma attraverso la mutua compenetrazione delle
culture. Fondamentali, quindi, la consapevolezza della presenza dell’altro e il
rapporto dialettico tra identità e alterità , che è proprio delle diverse culture,
nella prospettiva dell’uomo planetario.
Con sintetica precisione scolastica, così Balducci ci presenta i diversi
modi di considerare e rapportarci con l’altro:
1. L’altro che è riconosciuto identico a sé, ma in vista dell’assimilazione. E’
quanto ha fatto l’occidente con la pretesa di trasformare la propria egemonia
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di civiltà in una unificazione culturale. Rientrano in questo processo di
assimilazione, anche se i mezzi usati sono diversi, tanta parte della storia
delle missioni ad gentes, i processi di occidentalizzazione delle tribù della
terra nella cultura, nella religione e nell’economia; ultima, ma non meno
pericolosa, la dottrina di Bush riguardo l’esportazione della democrazia nel
mondo. Oggi assistiamo al fallimento di questi tentativi.
2. L’altro riconosciuto come il diverso, ma riducendo la diversità a
inferiorità. La storia ci insegna che l’elenco delle dicotomie legate alla
diversità è infinito; ogni tempo, ogni luogo e ogni cultura ha costruito le
proprie: la donna diversa dall’uomo, i neri diversi dal bianco, gli indios
diversi dagli spagnoli, gli schiavi diversi dai liberi; e poi ricchi e poveri, sani
e malati, ariani ed ebrei, occidentali e orientali, credenti e non credenti, paesi
buoni e paesi canaglia… e via dicendo. La storia, però, sta lì anche a
dimostrarci che il passaggio dalla categoria della diversità a quella della
superiorità è sempre molto breve. E dove ci sono i superiori, ci sono sempre
tanti altri inferiori. Né manca mai l’intellettuale di turno che scrive libri a
giustificare l’assunto.
3. L’altro va riconosciuto insieme diverso e uguale. Il che significa collocare
la pienezza umana al di sopra della propria particolarità. E’ questa
prospettiva, cioè il pieno riconoscimento che l’altro è insieme diverso e
uguale, che esige l’impegno etico della costruzione di un umanesimo nuovo.
Nel rapporto dialettico tra identità e alterità, il dono che oggi ci viene dagli
altri, dai cosiddetti barbari delle tante tribù della terra, è quello di fornirci
l’occasione storica di scoprire la nostra umanità più profonda (l’homo
absconditus), e di aprirci all’avvento dell’uomo planetario.
In questa prospettiva. l’Altro – per P. Balducci – è l’altra faccia di noi stessi,
la faccia dell’uomo inedito…. Noi portiamo in noi qualcosa che è altro da
noi…; questa alterità è la luce, la potenzialità obiettiva di forme umane più
alte in cui le culture si comprendono l’una con l’altra, in cui le alterità non si
annullano né si assimilano, ma restano tali nel gioco dello scambio reciproco
in vista di intese sempre più alte. E’ all’interno della dialettica tra identità e
alterità che si evidenzia la nostalgia del totalmente Altro, del volto invisibile
di Dio. Esso si manifesta nelle forme diverse delle culture, ma nessuna di
quelle forme è Lui, Egli è sempre il totalmente Altro.
Chiunque percorre il difficile sentiero alla scoperta dell’alterità – scrive
Balducci -, lo sappia o no, si avvia verso il totalmente Altro. Averne
nostalgia significa aver acquisito la massima delle saggezze.
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Alcune implicazioni:
Cristianesimo e uomo planetario
Oltre lo status questionis e l’explicatio terminorum della tematica dell’anno,
in questa presentazione vanno evidenziate anche alcune implicazioni, prima
fra tutte quella a cui la precedente citazione sulla nostalgia del totalmente
Altro ci introduce. Si tratta del rapporto tra l’avvento dell’uono inedito e
cristianesimo. Il tema non è astratto, ma va letto dall’angolatura molto
concreta del rapporto esistenziale tra il P. Balducci credente e uomo della
Parola e l’intellettuale antropologo che, a riguardo, proprio nell’ultima fase
delle sue ricerche, incentrate prevalentemente su queste tematiche, rilascia
dichiarazioni a dir poco provocatorie.
Così P. Balducci chiude l’articolata riflessione de L’uomo planetario:
Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano
per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non
mi cerchi. Io non sono che un uomo.
Né meno provocatoria è la sua affermazione: la qualifica di cristiano mi
pesa.
Sono solo provocazioni e frasi ad effetto per la captatio benevolentiae di un
certo mondo, o l’espressione di convincimenti profondi?
Sempre su questa linea, è ricorrente nella saggistica il tema della laicità di
Balducci, letta da non pochi pusillanimi come tradimento della sacralità
propria della professione di fede, e considerata da altri come approdo
definitivo di Balducci in partibus infidelium.
Laicità e fede
E’ un tema avvincente, ma non è questo il momento di affrontarlo. Rimando
al bel libro di Luciano Martini La laicità nella profezia. Cultura e fede in
Ernesto Balducci. Più di qualche intervento nel programma di quest’anno ci
porterà a riflettere sul tema. Per ora, penso sia doveroso sottolineare due
aspetti che le nostre analisi sulla lezione balducciana non possono
accantonare.
Il primo riguarda la dimensione diacronica del suo pensiero. Dobbiamo
dare per acquisito il fatto che la lezione di Balducci non fu sempre la stessa;
gli faremmo un gravissimo torto, se nel presentare l’attualità del suo pensiero,
non fossimo capaci di coglierne, criticamente e scientificamente, il suo
divenire lungo il corso degli anni, attraverso passaggi e svolte antropologiche
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da lui profondamente sofferte e coraggiosamente affrontate.
Il secondo rilievo riguarda la dimensione sincronica della sua lunga e
articolata esperienza di vita. Faremmo un gravissimo torto al P. Balducci e
ne falseremmo la ricca eredità di testimone della Parola prima e di
intellettuale poi, se non ricercassimo nel suo divenire personale e intellettuale
il motivo profondo che lo porta a definire immobile la sua fuga, e ad
affermare non mi sposto di un capello dal mio asse evangelico.
Su questo duplice fronte di analisi e di ricerca lo stesso Balducci ci invita a
ricorrere, laicamente, all’adozione tanto del principio che sta alla base
dell’intelligenza scientifica, quanto degli strumenti approntati dalla tecnica;
ma, nello stesso tempo, la nostra onestà intellettuale ci obbliga a non mettere
tra parentesi, o relegare nella sfera del privato, il fatto che P. Balducci, prete e
credente, ogni domenica, con una costanza che solo profondi convincimenti di
fede possono giustificare, celebrava l’Eucaristia con la comunità di Badia,
Religione e Vangelo
Non tener conto di questa duplice dimensione (diacronica e sincronica), ci
porterebbe a proporre un Balducci a dir poco schizofrenico, quello cioè del
brillante intellettuale ascoltato, letto e applaudito, ma anche profondamente
avversato, e quello che indossa gli abiti del prete ed entra nel ruolo di ministro
della Parola e dell’Eucaristia.
E’ certo che, come scientificamente motivata e stringente fu la sua critica
verso le manifestazioni e le contraddizioni antropologiche dell’homo editus,
così non meno scientificamente motivata e stringente fu la sua critica verso
tutte le manifestazioni religiose edite, prima fra tutte il cristianesimo, la sua
storia e tante sue forme di presenza culturale. Ma, in analogia con quanto lui
dice dell’uomo edito, il cui necessario superamento deve portare all’adventus
dell’homo adsconditus, dell’uomo totale con tutte le sue potenzialità
planetarie, allo stesso modo dal superamento delle religioni storicamente
edite, dovrà scaturire – scrive Balducci - l’unica religione all’altezza della
nuova età della nostra specie: la religione che assume come valore sommo la
salvezza dell’uomo, anche mediante il dono della propria vita.
Questo convincimento di Balducci sempre più si fa strada, anche tra i
responsabili delle diverse confessioni religiose; l’incontro di Assisi non ne
è che un segno aurorale, ma significativo.
Oggi, infatti, di fronte a un fondamentalismo islamico che in nome di Dio
distrugge vite innocenti; di fronte a un Bush che sempre in nome di Dio
teorizza la guerra preventiva e si avventura in folli guerre di sterminio; di
fronte a un cristianesimo che per secoli nelle forme più svariate, non esclusa
l’unione della croce con la spada, ha predicato e spesso imposto un Dio edito,
straniero e dalla pelle bianca; di fronte a queste e ad altre bestemmie, che
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hanno profanato e continuano a profanare sia il mistero di Dio che la dignità
dell’uomo, anche noi sentiamo di dover ripetere, con il P. Balducci,
l’invocazione del maestro medioevale Eckhart:
O Dio, liberami da dio!. Come credenti – scriveva Balducci nel gennaio del
1991 – non possiamo superare le radici di questi fanatismi mortali se non
annientandoci in quel Venerdì Santo in cui Colui che in nome di Dio fu ucciso
ci ha rivelato che il nome di Dio è il nome dell’uomo e che il luogo in cui si
realizza il Regno di Dio non è nel tempio, nel pinnacolo, nei labari, ma
nell’uomo vivente, anzi nell’uomo che più soffre. E questo, capite bene, non
significa essere iconoclasta della religione, ma semplicemente annunciare il
Vangelo sine glossa.
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