capitolo xxii - Dike Giuridica Editrice
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CAPITOLO XXII I contratti asimmetrici Sommario: 1. Primo, secondo e terzo contratto. – 2. Gli obiettivi della disciplina speciale del secondo e del terzo contratto. – 3. Il secondo contratto: consumatore-professionista. – 3.1. Il neoformalismo contrattuale: rinvio. – 3.2. Le clausole vessatorie. – 3.2.1. Regole di trasparenza e di interpretazione . – 3.3. Rimedi individuali e collettivi. – 3.3.1. La tutela meta-individuale (o collettiva): l’azione inibitoria. – 3.3.2. La tutela multi-individuale: l’azione di classe. – 4. Il terzo contratto. – 4.1. La subfornitura. – 5. Alcune conclusioni. 1. Primo, secondo e terzo contratto L’evoluzione del quadro normativo europeo e nazionale ha determinato, nell’ultimo decennio, l’elaborazione di un nuovo paradigma contrattuale: un modello di contratto governato da un insieme di regole che diverge in modo significativo dalla disciplina generale del contratto dettata dal codice civile. Il nuovo modello di contratto si basa sulla “qualità soggettiva” dei contraenti: essa costituisce la ragione e il criterio della speciale disciplina applicabile a contratti che si caratterizzano per l’asimmetria delle parti. Non si tratta però di un’asimmetria di natura socioeconomica, ma tecnica: debolezza del ruolo negoziale per ragioni di disinformazione, distanza, sorpresa, uso di tecnologie, pratiche sleali delle imprese, dipendenza economica, e simili. Nel nuovo modello rientrano i contratti del consumatore con il professionista e i contratti tra imprese, quando le rispettive posizioni siano – per le obiettive condizioni di mercato – significativamente asimmetriche in termini di potere contrattuale. Di qui l’elaborazione della categoria dei “contratti asimmetrici”: la locuzione allude a tutti quei negozi in cui si fronteggiano due soggetti di mercato caratterizzati da una significativa asimmetria di forza negoziale; asimmetria informativa, economica, relazionale che, per il fatto di derivare precisamente dalle rispettive “fisiologiche” posizioni di mercato, si presenta come asimmetria di tipo, per l’appunto, “fisiologico” e non patologico. 276 il contratto Il contratto asimmetrico si colloca ideologicamente agli antipodi del contratto disciplinato dal codice civile (c.d. primo contratto). Nell’ambito della categoria del contratto asimmetrico, il contratto tra professionista e consumatore viene idealmente designato con la formula “secondo contratto”, mentre il contratto tra imprese viene individuato con la formula “terzo contratto”. 2. Gli obiettivi della disciplina speciale del secondo e del terzo contratto Secondo e terzo contratto sono assoggettati a una disciplina speciale, derogatoria rispetto alla normativa codicistica applicabile al primo contratto. Gli obiettivi della regolazione speciale sono essenzialmente tre, fra loro connessi: tutela della parte debole, giustizia ed efficienza. I rapporti contrattuali dei consumatori e delle imprese sono rapporti fra parti con potere economico diverso: il contraente forte (il professionista, nel secondo contratto, o l’impresa forte, nel terzo contratto) ha la possibilità di prevaricare il contraente debole (consumatore o impresa debole) imponendogli un regolamento contrattuale squilibrato. La disciplina speciale mira a difendere la parte debole contro il rischio di prevaricazioni della parte forte. La difesa della parte debole soddisfa non solo un interesse individuale (quello della parte protetta), ma anche un interesse multi-individuale e metaindividuale. L’interesse multi-individuale è quello dei soggetti che appartengono alla stessa categoria del contraente debole: ad esempio, i consumatori. Proteggendo un soggetto debole che appartiene a una categoria di soggetti parimenti deboli, la disciplina speciale tutela valori e interessi meta-individuali: la giustizia dei rapporti contrattuali di mercato, l’uguaglianza sostanziale tra i soggetti dell’ordinamento (art. 3, comma 2, Cost.). Allo stesso tempo, impedire la prevaricazione dei contraenti forti sui deboli consente di selezionare tra operatori più efficienti e operatori meno efficienti: significa far prevalere sul mercato gli operatori che per il loro successo puntano non sull’abuso di una posizione di forza, ma sul miglioramento della qualità e sul contenimento dei prezzi, attraverso l’innovazione, la riduzione dei costi, la razionalizzazione dei processi produttivi e distributivi; significa, in altri termini, il corretto funzionamento del mercato (art. 41, comma 1, Cost.), per obiettivi di efficienza. 3. Il secondo contratto: consumatore-professionista Il Codice del consumo rappresenta il tentativo di ricostruzione unitaria di un nuovo modello contrattuale, nell’ottica di riconoscere e garantire una lista di diritti fondamentali dei consumatori afferenti: la tutela della salute; la Capitolo XXII – I contratti asimmetrici 277 sicurezza e la qualità dei prodotti e dei servizi; l’adeguata informazione e la corretta pubblicità; l’educazione al consumo; la correttezza, la trasparenza e l’equità nei rapporti contrattuali; la promozione e lo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; l’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza (art. 2 Cod. consumo). L’ambito di applicazione della disciplina del nuovo modello contrattuale è delimitato dalla nozione di consumatore e da quella di professionista. È consumatore “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, in contrapposizione al professionista, definito come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale” (art. 3, comma 1, cod. consumo). Nel rispetto delle indicazioni provenienti dalle fonti europee, la definizione generale contenuta nel Codice del consumo ribadisce che consumatore può essere esclusivamente una persona fisica, che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività. Mentre deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, che, invece, utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del “professionista” non è necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, essendo sufficiente che venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale. Si considera professionista (e non consumatore) anche la persona fisica che acquisti beni in vista del futuro esercizio di un’attività professionale. L’orientamento prevalente, fautore della teoria dello scopo obiettivo del contratto, non ravvisa la qualità di consumatore neppure nella persona fisica che abbia stipulato il contratto per finalità promiscue, cioè per soddisfare anche esigenze professionali. Ciò poiché, se una persona fisica agisce non solo per finalità personali o familiari, ma anche per finalità correlate all’esercizio di un’attività professionale, è in radice esclusa la ricorrenza di un atto compiuto “per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), del Codice del consumo1. È questa la posizione assunta dalla Corte di Giustizia, che trova fondamento nei seguenti argomenti: i) la definizione normativa di consumatore fa riferimento all’“uso estraneo all’attività professionale”, da cui discende l’esclusione degli atti compiuti per fini professionali; ii) tale interpretazione restrittiva è conforme alla natura derogatoria della regola del foro del 1 278 il contratto 3.1. Il neoformalismo contrattuale: rinvio Nei contratti del consumatore i vincoli di forma sono posti a tutela della parte debole del rapporto. Il fenomeno si definisce “neoformalismo contrattuale”: esso tende a favorire l’emersione del rapporto sottostante a ciascun atto negoziale, evolvendo verso una vera e propria mutazione genetica del ruolo stesso della forma del contratto, non più soltanto indice di serietà dell’impegno obbligatorio, o mezzo di certezza o idoneità agli effetti pubblicitari, ma strumento che consenta anche di rilevare l’eventuale squilibrio esistente tra i contraenti e di tutelare la parte debole del rapporto. La finalità principale della forma diviene la protezione del contraente debole: a dispetto della tradizionale visione statica, secondo cui la forma è uno strumento di estrinsecazione di un contenuto, si accoglie una visione dinamica, in cui la forma si presenta come una tecnica attraverso cui offrire tutela alla parte debole, assicurare la giustizia sostanziale dell’assetto contrattuale e, più in generale, perseguire una funzione ampia di moralizzazione dell’attività economica. Del neoformalismo contrattuale si è già detto nel capitolo sulla forma del contratto, al quale pertanto si rinvia. 3.2. Le clausole vessatorie La tutela del contraente debole è affidata non solo alle regole di forma, ma anche ad un sistema di controllo sostanziale del contratto2, basato sulle clausole vessatorie. Si definiscono tali le clausole che, «malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto» (art. 33, comma 1, cod. consumo). Il carattere vessatorio dipende da un significativo squilibrio, contrario a buona fede oggettiva. La clausola crea squilibrio quando modifica, a danno del consumatore, le posizioni contrattuali delle parti definite dal diritto dispositivo, che costituisce il parametro del livello ideale di equilibrio delle posizioni stesse. La vessatorietà non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, cioè alla natura e alle caratteristiche della prestazione contrattuale: qui si esprime la libertà di scelta dell’autonomia privata. Per la medesima ratio, la vessatorietà non riguarda neppure l’adeguatezza del corrispettivo di beni consumatore e risulta in linea con i principi di certezza del diritto e di prevedibilità del giudice competente che ispirano la convenzione di Bruxelles; iii) gli obiettivi di tutela del consumatore, quale parte debole cui si ispirano gli artt. 13-15 della Convenzione, sarebbero frustrati da un’interpretazione estensiva della nozione di consumatore, tale da comprendere anche gli atti compiuti per finalità promiscue. 2 E. Gabrielli, A. Orestano, Contratti del consumatore, in Dig. Priv., 2000. Capitolo XXII – I contratti asimmetrici 279 e servizi: lo squilibrio che determina il carattere vessatorio della clausola è uno squilibrio normativo, non economico, purché l’oggetto del contratto e il corrispettivo siano individuati in modo chiaro e comprensibile. Il giudizio di vessatorietà deve essere effettuato tenendo conto della natura del bene o del servizio, delle circostanze esistenti al momento della conclusione e delle altre clausole contenute nel contratto o in altro contratto con esso collegato (art. 34 cod. consumo). Il giudice deve valutare se la clausola in contestazione arreca un significativo svantaggio al consumatore, non controbilanciato da analogo svantaggio a carico del professionista, né da altra clausola prevista invece a suo vantaggio, in una visione complessiva del contratto. L’art. 33, comma 2, del Codice del consumo contiene un elenco di clausole (c.d. lista grigia) che si presumono vessatorie, salvo prova contraria (consistente nella dimostrazione dell’assenza di significativo squilibrio). La presenza di tale lista agevola il compito del giudice che, ove accerti che la clausola contestata è riconducibile ad una tipologia presente nella suddetta lista, ne dichiara la vessatorietà, senza soffermarsi né sul significativo squilibrio, né sulla contrarietà alla buona fede. Le clausole che rientrano nella lista grigia possono essere suddivise in due categorie: clausole di sbilanciamento e clausole di sorpresa. Nelle clausole di sbilanciamento, il significativo squilibrio si manifesta come asimmetria delle posizioni sostanziali o processuali delle parti: esse prevedono pesi o limiti a carico del consumatore e non anche del professionista, oppure vantaggi o agevolazioni per il professionista e non per il consumatore. Lo sbilanciamento può consistere: in un aggravamento delle responsabilità del consumatore; in un alleggerimento delle responsabilità del professionista; i una minorazione delle possibilità del consumatore di far valere pretese contro il professionista o difendersi dalle sue pretese. Qui il valore perseguito è l’uguaglianza fra le parti, o meglio quello specifico profilo dell’uguaglianza che è la reciprocità3. Nelle clausole di sorpresa, lo squilibrio consiste nel fatto che il consumatore è esposto a subire dopo la stipulazione situazioni contrattuali imprevedibilmente diverse da quelle che, secondo ragionevolezza, egli poteva attendersi; mentre il professionista è al riparo da ogni sorpresa. Le clausole della lista grigia sono colpite da una presunzione relativa di vessatorietà. L’onere della prova contraria grava sul professionista: spetta a lui dimostrare che la clausola, anche se in astratto vessatoria, non può ritenersi in concreto squilibrante. Viceversa, in caso di clausole non riconducibili alla lista grigia, spetta al 3 V. Roppo, Il contratto, cit., 859. 280 il contratto consumatore l’onere di provare che la clausola determina un significativo squilibrio. Una clausola può presentare gli elementi costitutivi della vessatorità e, tuttavia, non essere vessatoria, per la presenza di elementi impeditivi. Il primo elemento che immunizza dalla vessatorietà clausole altrimenti destinate a qualificarsi vessatorie è la coincidenza fra contenuto della clausola e contenuto di legge: non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge, cioè prevedono diritti del professionista o obblighi del consumatore già direttamente previsti dalla legge. Lo stesso vale per le convenzioni internazionali di cui siano parte gli Stati dell’Unione europea, ovvero la stessa Unione. Il secondo fattore impeditivo è la trattativa sulla clausola: non sono vessatorie le clausole oggetto di trattativa individuale (art. 34, comma 1, cod. consumo). La trattativa fa venire meno lo scopo della disciplina, cioè l’esigenza di tutela della parte debole del contratto, costretta ad aderire passivamente alle clausole imposte dal professionista. Su quest’ultimo grava l’onere della prova che la clausola è stata oggetto di trattativa con il consumatore. La trattativa non esclude comunque la vessatorietà delle clausole che rientrano nella black list: si tratta di clausole particolarmente penalizzanti per il consumatore, perché escludono o limitano la responsabilità del professionista per danni fisici; limitano i diritti e le azioni del consumatore in relazione a inadempimenti del professionista; vincolano il consumatore a contenuti contrattuali che egli non era in grado di conoscere. Anche se negoziate, tali clausole continuano a essere vessatorie. Vessatorietà della clausola equivale a nullità; più precisamente, a nullità di protezione (art. 36 cod. consumo). Sul regime della nullità di protezione si rinvia al capitolo precedente. 3.2.1. Regole di trasparenza e di interpretazione Il carattere vessatorio delle clausole redatte dal professionista può dipendere anche dalla violazione della regola di trasparenza: le clausole devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile (art. 35, comma 1, cod. consumo). La redazione non trasparente della clausola permette l’impugnativa della clausola stessa per vessatorietà derivante anche dallo squilibrio economico del contratto. Ciò che è generalmente escluso – cioè il sindacato del giudice sull’equilibrio economico del contratto – diviene ammissibile quando l’oggetto del contratto e il prezzo non sono individuati in modo chiaro e comprensibile (art. 34, comma 2, cod. consumo). In caso di dubbio sul significato di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore (art. 35, comma 2, cod. consumo): la norma Capitolo XXII – I contratti asimmetrici 281 sancisce il canone di interpretazione contro il predisponente, previsto anche dall’art. 1370 c.c. per le condizioni generali di contratto. 3.3. Rimedi individuali e collettivi La protezione del consumatore è affidata a strumenti di tutela individuale, meta-individuale (o collettiva) e multi-individuale (o di classe). Sono strumenti di tutela individuale l’azione di nullità di protezione e, in sede stragiudiziale, il recesso ius poenitendi. Di entrambi si è già trattato. La tutela meta-individuale è affidata a un soggetto rappresentativo di una categoria di soggetti (i consumatori): esso agisce non a tutela propria, ma della categoria rappresentata. Sono strumenti di tutela collettiva le azioni inibitorie previste dagli artt. 37, 139 e 140 cod. consumo. È multi-individuale la tutela di una pluralità di soggetti, appartenenti a una determinata classe, singolarmente considerati. È uno strumento di tutela di classe l’azione prevista dall’art. 140-bis cod. consumo. 3.3.1. La tutela meta-individuale (o collettiva): l’azione inibitoria Il codice del consumo prevede due diverse azioni inibitorie: quella disciplinata dall’art. 37 ha un campo di applicazione limitato alle clausole abusive; quella prevista dagli artt. 139 e 140 è estesa a tutte le materia disciplinate dal codice del consumo e a quelle ulteriori indicate nello stesso art. 139. L’azione inibitoria dell’uso delle condizioni generali di contratto di cui sia accertata l’abusività ha natura di rimedio preventivo. La funzione dell’azione è di rimuovere a monte, per tutti i potenziali destinatari (e in ciò sta il carattere collettivo del rimedio), quelle fonti di pericolo rappresentate dalle condizioni abusive. La legittimazione all’azione è riconosciuta alle associazioni rappresentative dei consumatori (a conferma del carattere meta-individuale del rimedio). Presupposto dell’azione è la sussistenza di giusti motivi di urgenza, cioè l’idoneità della clausola a incidere sui diritti fondamentali della persona o su beni primari. L’inibitoria del giudice previene la lesione. Nell’azione collettiva prevista dagli artt. 139 e 140, i poteri del giudice sono più ampi: la pronuncia può non solo inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori, ma può anche adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate. 3.3.2. La tutela multi-individuale: l’azione di classe L’azione di classe prevista dall’art. 140-bis cod. consumo è uno strumento poliedrico, perché consente di tutelare contemporaneamente interessi individuali, meta-individuali e multi-individuali. La parte può agire contempo- 282 il contratto raneamente per sé (tutela individuale) e per una serie di consumatori che vantano “diritti individuali omogenei” (tutela multi-individuale), tutelando in questo modo anche gli interessi della categoria dei consumatori (tutela collettiva, cui fa espressamente riferimento l’art. 140-bis, comma 1, cod. consumo, che riconosce la legittimazione ad agire anche alle associazioni di categoria, su mandato del singolo). Si può affermare che la tutela collettiva costituisca una finalità indiretta dell’azione: il soggetto agisce anzitutto per la tutela dei propri interessi e di quelli interessi individuali omogenei di altri soggetti appartenenti alla sua stessa categoria. La tutela collettiva costituisce una conseguenza riflessa e mediata della tutela individuale e di classe. Ed è infatti proprio sulla tutela di classe che è incentrato l’art. 140-bis, laddove fa riferimento ai “diritti individuali omogenei”. I diritti sostanziali individuali si dicono omogenei perché hanno uno o più punti in comune, mentre altri elementi variano: è il caso dei diritti che derivano da condizioni generali di contratto abusive, da illeciti in materia antitrust, da responsabilità per la fabbricazione o messa in circolazione di un prodotto difettoso, da clausole bancarie anatocistiche, etc.. Questi diritti rappresentano il fondamento dell’azione di classe, l’intima ragione della sua esistenza: in tanto vi è la necessità di introdurre un nuovo strumento in quanto vi sono pretese “individuali” che hanno tra di loro un’origine comune che le rende “omogenee”. L’omogeneità, dunque, non è che l’identità di titolo delle pretese avanzate dai soggetti danneggiati: essa evidenzia la loro fonte comune, consistente in un’unica condotta (o un’unica decisione) posta in essere dall’impresa ovvero, per dirla in linguaggio giuridico, in “un’unica questione di fatto o di diritto”. L’omogeneità, insomma, opera quale rapporto tra le posizioni soggettive delle vittime tra di loro rispetto all’unico centro di imputazione della condotta, che si riferisce all’impresa convenuta. È ciò che la legge americana chiama “commonality”. L’azione di classe è azione di accertamento della responsabilità e di risarcimento del danno. Sono tre le categorie di diritti individuali omogenei, individuate dall’art. 140-bis, che possono dar luogo all’azione di classe: (a) i “diritti contrattuali” di consumatori e utenti che si trovano, rispetto all’impresa, in una situazione omogenea, “inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.”; (b) i “diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore”; (c) il diritto al risarcimento del danno da “pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali”. I “diritti contrattuali” ricomprendono non solo i diritti derivanti da contratti con condizioni generali predisposte da uno solo dei contraenti (art. 1341 c.c.) e da quelli conclusi mediante moduli o formulari (art. 1342 c.c.), Capitolo XXII – I contratti asimmetrici 283 ma anche tutti gli altri diritti che “derivano da una fonte contrattuale”. Ed il riferimento ai “diritti” pare consentire la tutela di classe anche quando ad essere omogenei sono i diritti ma non i contratti, quando cioè le pretese di diversi consumatori sono le medesime ma i contratti sono unici per ciascun consumatore coinvolto. Riguardo alla responsabilità del produttore, il legislatore del 2009 ha scelto di non consentire l’azione di classe al di fuori del regime dei prodotti difettosi, limitandone dunque il contesto oggettivo e soggettivo di applicazione. I “comportamenti anticoncorrenziali”, al contrario delle pratiche commerciali scorrette, che sono disciplinate dal Codice del consumo (artt. 20 ss.), sono soggetti alla legge antitrust (legge 10 ottobre 1990, n. 287) e, in particolare, al suo art. 33, il quale prevede la competenza della Corte d’Appello per “le azioni di nullità e di risarcimento del danno”. Si tratta di una novità di grande rilievo. Con l’introduzione degli illeciti in materia antitrust nell’ambito dell’azione di classe, infatti, si apre la strada a quel private enforcement del diritto della concorrenza che da tempo appassiona il dibattito accademico. Soggetti legittimati a proporre l’azione di classe sono consumatori e utenti, cioè singoli individui. La legittimazione individuale non solo accosta l’azione di classe italiana al modello “aperto e diffuso” statunitense (class action), ma chiarisce che quelli protetti sono anzitutto diritti “individuali” e non “interessi collettivi”: le pretese “seriali” non sono pretese meta-individuali (“collettive”), ma appartengono agli individui e rappresentano dunque veri e propri diritti soggettivi. Resta però il fatto che l’azione è esperibile “anche mediante associazioni cui [il consumatore o l’utente] dà mandato”. Ciò, unito al dettato dell’art. 140-bis c.c., che individua nella tutela degli interessi collettivi una delle finalità dell’azione, conferma che l’azione di classe è anche indirettamente azione collettiva. Rilevanti sono le modalità di formazione della classe. Oltre all’attore (o agli attori) può esservi un numero più o meno ampio di potenziali attori, che però non hanno ancora esercitato alcuna azione. Essi possono scegliere in via autonoma se promuovere un giudizio individuale ovvero accedere all’azione di classe già intentata. In questo caso, essi “aderiscono” all’azione, mediante un atto formale che deve essere depositato in cancelleria, anche attraverso l’attore principale. Con l’adesione, disciplinata dal comma 3 dell’art. 140-bis, si producono una serie di conseguenze giuridiche in capo agli aderenti, prima fra tutte l’effetto del giudicato: “[l]a sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti degli aderenti” (comma 14). Specularmente, con l’adesione il consumatore rinuncia all’azione individuale fondata sullo stesso titolo (comma 284 il contratto 3). All’adesione si procede una volta che il giudice abbia provveduto alla definizione dell’oggetto del giudizio, quindi dopo l’ordinanza sull’ammissibilità e, soprattutto, dopo che all’ordinanza è stata data un’adeguata pubblicità, sempre secondo canoni ancora una volta fissati dal giudice4. È però possibile aderire anche in precedenza, addirittura contestualmente all’atto di citazione. 4. Il terzo contratto Il secondo ambito al quale si deve volgere l’attenzione è quello dei «conL’art. 140-bis, comma 14, cod. consumo stabilisce che “non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l’adesione assegnato dal giudice”. Da questa norma, secondo un orientamento della giurisprudenza, si trae il corollario che è l’ordinanza di ammissibilità dell’azione di classe a precludere la proposizione della medesima azione di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa: l’ordinanza di inammissibilità, per contro, non ne precluderebbe la riproponibilità. Un diverso orientamento della giurisprudenza non condivide questa soluzione, per le seguenti ragioni: i) l’art. 140 bis in nessuno dei suoi commi prevede espressamente la riproponibilità dell’azione collettiva che sia stata dichiarata inammissibile; la norma si limita a prevedere la libera riproponibilità dell’azione individuale (combinato disposto dei commi 3 e 15), non di quella di classe; ii) l’azione di classe non costituisce una mera forma processuale di tutela dei diritti, alternativa ed equipollente rispetto all’azione individuale; dichiarata inammissibile la prima, la libera riproponibilità della seconda impedirebbe di ritenere decisoria e definitiva la dichiarazione di inammissibilità. Secondo l’orientamento giurisprudenziale in esame, l’azione collettiva, per la maggiore pressione economica e psicologica in grado di esercitare sul professionista o produttore, offre a chi la propone una “valore aggiunto” rispetto all’azione ordinaria: in termini di maggior persuasività, più efficace coazione all’adempimento, minor costo economico per chi partecipa al giudizio. Ne consegue che, dichiarata inammissibile l’azione collettiva, il provvedimento che tale inammissibilità dichiari non potrebbe dirsi “non definitivo”, sol perché all’attore resti l’azione individuale. Quest’ultima azione, infatti, ha contenuto, scopi ed effetti ben diversi dall’azione collettiva: a) ha contenuto diverso, perché con essa non può promuoversi la tutela di “interessi collettivi”, al contrario dell’azione di classe; b) ha scopi diversi, perché l’azione individuale avente ad oggetto diritti del consumatore lascia l’attore in una posizione di evidente squilibrio dinanzi al convenuto, là dove la ratio dell’azione collettiva è con evidenza quella di riequilibrare tale rapporto, in chiara attuazione del precetto di cui all’art. 3 Cost., comma 2; c) ha effetti diversi, in quanto solo con l’azione collettiva il debitore è esonerato “da ogni diritto ed incremento” sulle somme pagate entro 180 giorni dal deposito della sentenza (art. 140 bis, comma 12). All’orientamento in esame appare di difficile compatibilità con l’art. 111 Cost., e col principio costituzionale di ragionevole durata del processo, una interpretazione che consenta la reiterazione del giudizio. Se davvero l’azione collettiva fosse sempre liberamente riproponibile dopo l’ordinanza di inammissibilità, non avrebbe alcun senso la norma che impone al giudice di ordinare “la più opportuna pubblicità” all’ordinanza di inammissibilità (art. 140 bis, comma 8). Il contrasto giurisprudenziale è stato rimesso alle Sezioni Unite (Cass., ord. 24 aprile 2015, n. 8433). 4 Capitolo XXII – I contratti asimmetrici 285 tratti tra imprese», e più specificamente l’ambito di quelle relazioni in cui le imprese contraenti si presentino (l’una rispetto all’altra) in situazione di asimmetria di potere contrattuale. A relazioni contrattuali così connotate fanno riferimento alcune normative che, con significativa novità, danno appunto rilevanza, anche in materia di rapporti contrattuali tra professionisti, a situazioni di debolezza di uno dei contraenti, sanzionando variamente l’abuso della posizione di forza, e ricorrendo a tecniche rimediali notevolmente distanti da quelle del modello contrattuale “classico”. Il riferimento è, principalmente, al d.lgs. n. 231 del 2002 (sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), alla l. n. 129 del 2004 (sul contratto di franchising) e, in particolare alla l. n. 192 del 1998, sulla subfornitura. 4.1. La subfornitura La subfornitura riguarda i rapporti di mercato asimmetrici tra un’impresa forte (committente) e un’impresa debole (subfornitrice). L’art. 1, comma 1, della legge n. 192 del 1998 individua due tipologie di contratto di subfornitura: i) la subfornitura di lavorazione, con cui il subfornitore si impegna ad effettuare lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dal committente; ii) la subfornitura di prodotto, che riguarda l’ipotesi in cui il subfornitore si impegna a fornire all’impresa committente prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica della committente o nella produzione di un bene complesso. Le due tipologie di subfornitura presentano un elemento comune: le lavorazioni o forniture sono eseguite in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente. Ciò evidenzia il dato essenziale della subfornitura: la dipendenza tecnologico-organizzativa (e quindi economica) del subfornitore rispetto al committente. A tutela del contraente economicamente dipendente dall’altro, la legge assoggetta il contratto di subfornitura all’obbligo di forma scritta, a pena di nullità. Nonostante l’invalidità, il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione (art. 2, commi 4 e 5): la subfornitura è una di quelle ipotesi eccezionali in cui il contratto, ancorché nullo, produce taluni effetti. La prescrizione della forma scritta, nel contratto di subfornitura, garantisce la trasparenza delle condizioni contrattuali a tutto vantaggio del subfornitore-contraente debole (non a caso, infatti, l’art. 2, 3° co., prescrive la forma