Contadini

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Contadini
Negli ultimi 27 anni il numero delle persone che soffrono di malnutrizione è diminuito in media di 3,7
milioni all’anno. A questo ritmo, però, ci vorrebbero più di due secoli per vederla interamente sparire.
La Dichiarazione di Roma sulla sicurezza alimentare mondiale (1996) si era data l’obiettivo di “ridurre della
metà il numero delle persone sottoalimentate da qui al 2015”. Ma gli impegni presi dai governi e dalle
organizzazioni internazionali non sono stati né interamente rispettati né efficaci: il numero di persone che
soffrono la fame è diminuito solo di otto milioni all’anno, il che rinvia al 2035 la speranza di vedere ridotto
tale numero della metà, e al 2095 quella di vederlo azzerato. Secondo la FAO, su circa 800 milioni di
persone in situazione di sottoalimentazione cronica, i tre quarti (560 milioni) sono abitanti delle zone rurali
del pianeta: tra questi ci sono contadini che vivono in regioni poco favorevoli, più o meno privi di terra e
mezzi tecnici, e braccianti sottoimpiegati e mal pagati. Quanto al restante 25% dei non-rurali malnutriti
(circa 140 milioni di persone), sono in gran parte membri delle stesse famiglie contadine povere, condannate
all’esodo verso le bidonvilles delle città e che non hanno i mezzi sufficienti per vivere.
Nei Paesi poveri la “rivoluzione agricola” contemporanea, dotata di
una meccanizzazione pesante, non è penetrata che in alcune regioni
dell’America Latina, del Medio Oriente, dell’Asia, dell’Africa del
Nord e del Sud, ed è praticamente inesistente nell’Africa
intertropicale, nelle Ande e nel cuore del continente asiatico. Inoltre
questa meccanizzazione molto costosa ha potuto essere adottata solo
da una minoranza di grandi aziende che dispongono del capitale o
del credito necessari, mentre la grande maggioranza dei piccoli e
medi contadini continuano a praticare la coltura manuale o la
trazione animale.
Ma nelle regioni toccate dalla “rivoluzione verde”, moltissimi
piccoli contadini non hanno avuto i mezzi per investire e progredire.
Immense regioni di agricoltura pluviale, o sommariamente irrigate, sono rimaste tagliate fuori: le varietà
coltivate (miglio, sorgo, manioca, …) hanno beneficiato poco o nulla della selezione. Si può dire la stessa
cosa delle varietà locali di grano, mais, riso, … adattate a condizioni difficili (altitudine, siccità, …). Più di
un terzo della popolazione contadina del mondo, cioè circa mezzo miliardo di lavoratori agricoli (e quindi
più di un miliardo di persone che vivono dell’agricoltura), si trova così in uno stato di crisi.
A seguito della (…) liberalizzazione degli scambi internazionali, il calo tendenziale dei prezzi reali delle
eccedenze esportabili di grano, mais, riso, soia, … si è ripercosso nella maggior parte dei Paesi. Ma il calo
dei prezzi agricoli non ha riguardato solo questi prodotti: ha toccato anche le colture tropicali d’esportazione,
che hanno subito la concorrenza sia delle colture dei Paesi sviluppati (barbabietole contro canna da zucchero,
…), sia dei prodotti industriali di sostituzione (caucciù sintetico contro hevea, tessili sintetici contro cotone,
…).
Per la massa dei contadini ad agricoltura manuale, il calo tendenziale dei prezzi agricoli reali, che persiste da
più di cinquant’anni, ha comportato un abbassamento del potere d’acquisto. La maggioranza si è allora
trovata nell’impossibilità di acquistare attrezzi più efficienti e persino, a volte, di acquistare sementi
selezionate. In altre parole, il calo dei prezzi agricoli si è tradotto in un vero e proprio blocco dello sviluppo
della massa dei contadini meno favoriti.
Per rinnovare il minimo di attrezzatura necessaria per poter
continuare a lavorare, questi contadini devono allora fare
sacrifici di ogni tipo: vendere il bestiame, ridurre l’acquisto
dei beni di consumo, … e devono estendere quanto più
possibile le colture destinate al commercio. Essendo la
superficie coltivabile in queste condizioni limitata, devono
ridurre la superficie delle colture destinate all’auto-consumo.
L’alternativa è allora orientarsi verso quelle illegali: coca,
papavero, canapa, … .
Sempre meno attrezzati, ma sempre più malnutriti e mal
curati, questi contadini hanno una capacità di lavoro sempre
più ridotta. Sono dunque obbligati a concentrare i loro sforzi
nelle attività immediatamente produttive e a trascurare i lavori di mantenimento dell’ecosistema coltivato.
Così le terre mal diserbate peggiorano e le piante coltivate, prive di minerali e mal trattate, sono sempre più
soggette a malattie. Il degrado dell’ecosistema, la malnutrizione e l’indebolimento della forza per lavorare,
portano i contadini a semplificare i loro sistemi di coltura: quelli “poveri” prendono il sopravvento su quelli
più esigenti: la diversità e la qualità dei prodotti vegetali auto-consumati diminuiscono (…). Così la crisi
delle aziende agricole si estende a tutti gli elementi del sistema agrario: diminuzione dell’attrezzatura,
degrado e calo della fertilità dell’ecosistema, malnutrizione delle piante, degli animali e degli uomini, e
scadimento generale della situazione sanitaria. La non sostenibilità economica del sistema produttivo
comporta la non sostenibilità ecologica dell’ecosistema coltivato, la denutrizione e le malattie.
Impoveriti, denutriti e occupati a lavorare un ambiente degradato, questi contadini si avvicinano
pericolosamente alla soglia di sopravvivenza. Basta allora un cattivo raccolto per obbligarli a indebitarsi. A
questo punto il contadino è costretto a mandare i membri ancora validi della sua famiglia alla ricerca di
lavori esterni; il che indebolisce ancora la sua capacità produttiva. Infine, se queste nuove entrate non
bastano per garantire la sopravvivenza della famiglia, questa non ha altre soluzioni che l’esodo verso la città.
Questo processo di esclusione ha toccato i contadini più poveri, particolarmente numerosi nelle regioni più
sfavorite. Certe regioni hanno anche ereditato condizioni naturali (aridità, eccesso d’acqua, salinità, suoli
poveri, …), condizioni infrastrutturali e fondiarie (latifondo, sovrappopolazione, …) svantaggiose, ma hanno
anche praticato politiche particolarmente sfavorevoli all’agricoltura e al mondo contadino: sovvenzioni alle
importazioni agricole e alimentari, imposte sulle esportazioni, assenza di protezione contro le fluttuazioni dei
prezzi agricoli. (…)
Per quanto sfavorevoli e drammatiche siano le loro conseguenze, queste circostanze non devono
nascondere che la causa principale della miseria rurale e urbana e della fame che colpiscono i Paesi
agricoli poveri si trova in gran parte altrove. (…) Per ridurre l’immensa sfera di povertà oggi bisogna
puntare a un rialzo progressivo e prolungato dei prezzi delle derrate agricole nei Paesi poveri. Un tale rialzo
dei prezzi agricoli è in effetti un modo per aumentare i redditi del mondo contadino e dargli la possibilità di
investire e di svilupparsi, di frenare l’esodo, di limitare la disoccupazione e la povertà urbana, di innalzare il
livello generale dei salari e degli altri redditi. (…)
L’aumento dei prezzi delle derrate agricole di base deve essere progressivo, perché gli effetti negativi per gli
acquirenti non siano maggiori degli effetti positivi per i produttori, e occorrerà dare un aiuto alimentare ai
consumatori/acquirenti più poveri. Un aiuto che non può prendere la forma di una distribuzione di viveri
(…), a rischio di far abbassare i prezzi agricoli (e dunque, indirettamente, di (…) scoraggiare la produzione),
ma che può prendere la forma di tagliandi alimentari, distribuiti ai più poveri per comprare i viveri a un
prezzo normale. Questi potrebbero essere sovvenzionati dallo Stato, come negli Stati Uniti, o dagli aiuti
internazionali. Per promuovere un tale scenario, occorre innanzitutto istituire una nuova organizzazione e un
nuovo modo di regolazione degli scambi agricoli internazionali. In sostanza, la questione non è di scegliere
tra mondializzazione e non mondializzazione, ma di scegliere tra una mondializzazione ciecamente
liberale, che esclude i poveri, e una organizzata e regolata che porti vantaggio a tutti.
Marcel Mazoyer
Professore di Agricoltura comparata e sviluppo agricolo
all’Istituto Nazionale di Agronomia Paris-Grignon e alla Sorbona
Missione Oggi – marzo 2006