Novembre 2009 - VII Congrès de l`Association Mondiale de

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Novembre 2009 - VII Congrès de l`Association Mondiale de
Numero 5 – Nov Dec 2009 – Association Mondiale de
Psychanalyse
PAPERS
Bulletin Electronique du Comité d'Action de l'École-Une
Version 2009-2010
Sommario
Lizbeth Ahumada Y.
Editoriale
Ernesto Sinatra
L'inconsistenza dell'Altro
Due versioni del pragmatismo
Kuky Mildiner
Bordo di sembiante
Enric Berenguer
Sembianti e sinthomo: tra Sinn e Bedeutung
Maurizio Mazotti
La congiunzione di sembiante e sintomo:
il tornaconto secondario della nevrosi ossessiva in Freud
Shirley Sharon-Zisser
“Pe(a)ra-Dire” :
On Dante's Sinthomatic Use of the Semblant
Stella Harrison
Virginia Woolf, battaglia verso un sinthomo
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Editoriale
La parola ai sembianti…della Escuela
Il binomio tematico proposto da Jacques-Alain Miller per il Congresso della AMP-2010,
“ semblants e sinthome ” ha orientato il lavoro delle Scuole l'ultimo anno, producendo risultati
concreti: l'edizione del Scilicet, giornate, serate cliniche, ecc. In un certo modo, è questo un
lavoro che ha implicato la sospensione delle certezze relative ai concetti, alla loro operatività
nella esperienza; ha permesso di rinnovare la questione e anche dare posto alla sorpresa, alla
scoperta. Il binomio é stato usato anche come i binocoli che avvicinano l'oggetto nella realtà,
nel caso delle Scuole, per esaminare da vicino diverse esperienze: la cura, la sua fine, la passe.
Ebbene, la Scuola stessa è richiamata -dal suo interno- per cercare di capire come, nella pratica,
questo paio, questa coppia semblants e sinthome diventi operativa. Come siano situati i suoi
punti di incontro, il suo irriducibile, la sua tensione. Un esempio di ciò saranno i casi portati alle
Giornate cliniche del Congresso, casi che mettono in evidenza ancora una volta la inventiva, la
creatività, il coraggio con cui può vestirsi il desiderio dell'analista. Non senza i dovuti sembianti
- il primo dei quali il transfert- sorta di passino, di filtro che coglie la sostanza particolare di
godimento di cui il soggetto analizzante si fa preda. Non c'è dubbio che sarà questa una Giornata
indimenticabile.
L'interesse per i semblants e il sinthomo nel rapporto con l'Altro -il cui statuto é sempre
problematico- introduce la questione del se sia possibile derivarne una operazione di estrazione,
intesa come riduzione dei sintomi al sinthomo. Vale a dire, considerare la possibilità del fatto che
dai sintomi della Scuola si possa estrarre un sinthomo. Doppio versante: la Scuola sembianti (se
siamo o meno all'altezza) e la Scuola sinthomo. Lacan si era interessato ai sembianti relativi alla
convivenza tra i psicoanalisti, in particolare quelli che disturbano al punto di istallarsi come una
ciste nella vita istituzionale, quel legame particolare...
Ricordiamoci per esempio quanto alludeva Lacan nel 1956, in "Situazione della Psicoanalisi"
quando parlava di I Ben-Necessari, Le Sufficienze, Le scarpe strette….”, quelle caste d'inerzia, di
godimento accumulato, infilati come sasseti nella "scarpa" della psicoanalisi, a contromano del
discorso analitico. E' lecito dunque pensare che occorre esaminare permanentemente quali siano
questi sembianti, che faccia essi abbiano oggi, come si possano nominare, se rispondano o meno
a nuove abitudini, se si nascondano dietro l'ordine degli ideali che invece si combattono.
Vorremmo mettere in rilievo un elemento che non manca d'interesse, nonostante non sembri
decisivo. Mi riferisco al nome specifico con il quale la Escuela risponde nell'universo delle
Scuole, e anche di fronte all'Altro Sociale riguardo il quale è direttamente coinvolta. Potremmo
chiederci ad esempio sé il nome di una Escuela che include il nuovo como modo di nominarsi
vada a identificare una nuova forma d'incontro, un legame impregnato dal nome con cui
rappresentarsi. Si constata che è un nome che invita al chiarimento: Nuova, nuova riguardo cosa?
recente, giovane, candida, ingenua, spontanea? Perché non ricordare che uno dei nome proposti questo da Jacques-Alain Miller- in occasione dell'atto di battesimo della NEL era stato La
Escuela del Vínculo Analítico, EVA! - non è andato. Ci sono state manifestazioni di
inquietudine, il nome di una donna per nominare una Scuola.. anche sé evocava la primissima
donna, o forse proprio per questo. Così, si è deciso di passare da una marca primaria alla
instaurazione del nuovo.
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EVA sottolineava un vincolo e non una relazione, questo era il suo merito. Si trattava - si trattadi vincolare diversi luoghi di azione della psicoanalisi di orientamento lacaniano in un
continente, ma che non amano riconoscersi come una sola entità - nel senso per esempio della
Comunità Europea- .
Non abbiamo ancora finito di scrivere ciò che di sintomatico trascina il nostro nome, ma è già
evidente che i passi che portano verso la costituzione di Una Escuela inciampano in una certa
inibizione, un impedimento, un turbamento... Istituire un sembiante di distinzione unitario
implica l'illusione della somiglianza e della vicinanza. Siamo certi che dietro questa funzione o
proprio dovuto a questa, ci sia un annodare che sarebbe poi il suo sostegno. C'é dunque un
legame tra analisti riuniti sotto il significante Scuola, ma anche da ciò che rappresenta la Scuola
nel mondo, sia pure nel mondo della psicoanalisi. Significante che incide in un modo o nell'altro
sulla natura di questo legame. C'é il reale della psicoanalisi che impedisce che ci sia Analista, e
ci sono i sembianti che lo circoscrivono e lo coprono. C'è sembiante perché c'è il reale, nel caso
della Scuola di psicoanalisti si coglie ancora meglio.
Il Papers 5 si compone di sei lavori che con diversi accenti, stili e riferimenti, si sforzano per
situare la faglia in cui s'introduce l'incontro tra sembiante e sinthomo. In altre parole, il
sembiante come circuito obbligato di trattamento che svela ciò che è impossibile da
"sembiantizzare", l'irriducibile del sinthomo.
Enric Berenguer e Maurizio Mazzotti scelgono dei riferimenti freudiani per situare come si tessa
il rapporto tra sembianti e sinthomo. Shirley Sharon-Zisser e Stella Harrison propongono
Dante e V. Woolf, come casi specifici nel localizzare l'uso speciale del sembiante in rapporto al
sinthomo. Ernesto Sinatra s'interessa nel differenziare le conseguenze del concetto di
inconsistenza dell'A per il nominalismo –di Rorty– e della psicoanalisi di Lacan. Infine Kuky
Mildiner, studia lo statuto preciso del nome come “un bordo di sembiante”.
In effetti si tratta di un gruppo di lavori il cui interesse consiste nelle novità che introducono, sia
dalla prospettiva scelta, sia dal dettaglio di un elemento lanciato a giocare nella relazione tra i
sembianti e il sinthomo. Il lettore lo noterà.
Lizbeth Ahumada Y.
Traduzione di Laura Rizzo
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L’INCONSISTENZA DELL’ALTRO
Due versioni del pragmatismo
Ernesto Sinatra
Potrei cominciare ponendo la differenza tra l’inconsistenza e l’inesistenza dell’Altro, per
giungere rapidamente a distinguere l’incompletezza e l’inconsistenza dimostrando ciò che il lato
maschile delle formule della sessuazione deve all’Altro lato, al femminile (dato che la mancanza
di un elemento che ‘fa impazzire’ l’uomo che cade nella nevrosi osssessiva rende l’insieme
maschile incompleto: invece l’impossibilità di chiudere l’insieme della parte femminile facendo
Uno, lo lascia inconsistente).
Ma, per collocare l’inconsistenza dell’Altro ho preferito non prendere la via della struttura che
indica la sessuazione piuttosto ho preso una conseguenza di questa nella filosofia politica. Questa
via è quella del dibattito tra il pragmatismo psicoanalitico ( che si ricava dall’ultimo
insegnamento di Jacques Lacan) ed il pragmatismo nominalista di Richard Rorty ( che l’autore
definisce “ironia liberale”).
Per andare al punto: l’inconsistenza dell’Altro per il nominalismo di Rorty si rileva nel fatto che
non ci sono fondamenti ultimi; ci sono solo fatti contingenti, che rendono inconsistente –in un
solo colpo- il linguaggio (nella sua filosofia del linguaggio), la coscienza e la morale (sede della
sua filosofia morale) e i fatti del mondo (la sua filosofia politica): Dio non è il garante ultimo
degli atti umani, quanto il linguaggio non è la totalità onnisciente e l’io non è il centro del unotutto.
La contingenza del linguaggio, dell’io e dei fatti del mondo sono tributari dell’inconsistenza del
buon Dio: Rorty e la sua crociata nominalista inventa una utopia con la quale si pretende ‘dedivinizzare il mondo’.
Si avrebbero solamente metafore utilizzate per il quotidiano con le quali si creerebbe la finzione
di un “lessico ultimo”, che potrebbe –pertanto- essere modificato: le ri descrizioni metaforiche si
produrrebbero senza alcun resto, trascinando con sé la categoria del reale. “le rivoluzioni
scientifiche sono ‘ridescrizioni metaforiche’ della natura prima che intellezioni della natura
intrinseca alla natura”
Dalla sua prospettiva, tuttavia, la psicoanalisi potrebbe servire solamente se qualcuno arriverà ad
adottare una invenzione differente da quella con la quale si “torturò” sintomaticamente; la
formula sarebbe più o meno così: “ se la tua invenzione non ti serve per essere felice nella tua
modalità di vita, cambiala con un'altra che ti soddisfi di più”.
Dall’ultimo insegnamento di Lacan questa formulazione è tanto vera quanto falsa, verifichiamo
perché, per provare a posteriori il punto esatto nei quali entrambi i valori di verità – vero e falso
– mancano il reale.
In primo luogo, è vera perché questo è esattamente il fantasma: una invenzione che da conto
della verità menzognera di ognuno, finzione con la quale - per ottenere una soddisfazione - si fa
esistere l’Altro come agente: cioè un ordine di linguaggio che determina una forma di vita per
estrarre con essa una soddisfazione, sostenuta sempre al prezzo della de-.responsabilizzazione
dell’Uno nei confronti dell’Altro.. Fino a qui potremmo essere d’accordo con Rorty: il fantasma
è la finzione che soddisfa…fino a che finisce di soddisfare.
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In secondo luogo, sosteniamo invece che questa formulazione sia falsa. Iniziamo da una
semplice ragione: uno non cambia i fantasmi come chi sposta i mobili di una stanza, c’è qualcosa
che resiste al cambio di finzione’, preteso da Rorty,: una ‘oscura soffisfazione’ resiste sempre al
‘cambiamento di finzione’; se proseguiamo la nostra metafora speciale, Rorty rilancerebbe
proponendo di cambiare i mobili…con altri mobili cosa che equivarrebbe ad un cambio di
fantasmi.
Dal nostro orientamento sappiamo di quest’impossibilità: se ognuno che abbia la libertà di
cambiare la sua finzione con un’altra più conveniente e in tanto e in quanto i gusti divergono…
esisterebbe qualcosa come un supermercato di fantasmi! ( sebbene uno possa scambiare fantasmi
con il partner e goderne, in questo la questione sarebbe più radicale: ti do il mio, tu mi dai il tuo).
Ma –diciamo- più in là della verità e del falso c’è il reale in gioco; ogni finzione è intelaiata
intorno ad un vuoto strutturale: l’inesistenza della relazione sessuale, solidale con l’inesistenza
dell’Altro è ciò che determina la funzione tampone del fantasma. Il fondamento del reale
lacaniano dell’inconsistenza dell’Altro e la nostra differenza maggiore con il nominalismo di
Rorty è che l’Altro è un’invenzione solamente a partire dall’assenza (absens) del rapporto
sessuale.
Per Rorty la conseguenza immediata dell’inconsistenza dell’Altro è costituita dal patto dai
‘produttori d’ironia liberali’:
“I liberali…pensano che gli atti di crudeltà siano il peggio che si possa fare… ‘produttori
d’ironia’ designa le persone che riconoscono la contingenza delle loro credenze e dei loro
desideri più fondamentali: persone sufficientemente storiciste e nominaliste per aver
abbandonato l’idea per cui queste credenze e queste desideri fondamentali rimandano a
qualcosa più in là del tempo e del caso. Per il non c’è alcuna risposta alla domanda: Perché
non essere crudele? non c’è né alcun appoggio teorico che non sia passare dalla credenza per
la quale la crudeltà è orribile… Colui che crede che per le domande di questo tipo ci siano
risposte teoriche ben fondate –algoritmi per la risoluzione di dilemmi morali di questa specie –
è proprio, nel fondo del suo cuore, un teologo o un metafisico. Crede che esista, più in là del
tempo e del caso, un ordine che determina il nucleo dell’esistenza umana e stabilisce una
gerarchia di responsabilità.”
Il reale, epicentro della finzione del fantasma, ritorna come fixiòn, frutto della condensazione
delle parole spagnole “ficciòn” (finzione) e fijaciòn (fissazione), nel centro dell’utopia rortyana:
dato che il godimento, espulso con le ‘ri-descrizioni metaforiche’ ( visto che si sarebbe
solamente conservato ciò che soddisfa della nuova ficciòn) ritorna nella filosofia politica di
Rorty come il problema della ‘crudeltà sul simile’.
In effetti, rimpiazzando una finzione con un’altra si forclude il godimento che li comanda e che
spinge a siglare un patto tra i produttori d’ironia liberali per astenersi dall’esercitare la crudeltà
sui simili.
Come si nota, la condizione per banalizzare la psicoanalisi con un dispositivo di ricambio di
finzioni si paga nella sua teorizzazione con il ritorno del reale processato da un fantasma di
crudeltà, “finzione realista” (usiamo questo neologismo) che sostiene il nominalismo storicista di
Rorty.
Traduzione di. Pietro Enrico Bossola
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Bordo di sembiante
Kuky Mildiner
Nella presentazione del tema per il VII Congresso dell’AMP, Jacques-Alain Miller propone di
“articolare una dialettica del senso e del godimento nell’esperienza analitica e manifestare nei
nostri lavori il bordo di sembiante che situa il nucleo di godimento, non cancellare il sembiante
ma recuperarlo”.
Prendere il bordo del sembiante a partire dalla nominazione, si tratta di questo, a partire dal nome
e dall’atto di nominare che esso implica.
Un riferimento obbligato per questo Congresso è il corso “Della natura dei sembianti”. Lì J.-A.
Miller definisce il sembiante come “ciò che fa credere che ci sia qualcosa là dove non c’è”. 1 Nel
cammino verso il nodo borromeo, prospettiva che stipula l’equivalenza dei tre registri, il
sembiante è una tappa che ci permette di trattare insieme il simbolico e l’immaginario. Ma,
chiarisce Miller, sostenere che il sembiante non abbia nessuna relazione con il reale vorrebbe
dire essere nominalista, cosa che, secondo Lacan, un analista non potrebbe mai essere. Come
situare allora la relazione del sembiante con il reale? Un taglio possibile è quello che lo propone
come ex-sistente a partire dal nome. Riprendendo una citazione del “Risveglio di primavera” dove Lacan situa “[…] il Nome come ek-sistenza”,2 cioè il sembiante per eccellenza -, J.-A.
Miller afferma: “Il nome, senza dubbio, è dell’ordine del sembiante ma tutto il problema è che
questo sembiante finisce per esistere”.3 E aggiunge “[…] un nome che ex-siste è la perfezione
del sembiante”. E’ ciò che metterò al lavoro come un modo di situare il bordo del sembiante.
Rispetto all’ex-sistenza: sappiamo che “[…] diventa una categoria dell’ultimo insegnamento di
Lacan. È quello con cui si qualifica, parlando con proprietà, il reale”.4 “La posizione dell’exsistenza si realizza una volta che si è attraversato l’ordine delle cause, cioè un ordine di senso”.
Questa nozione modifica quella di conseguenza giacché introduce una discontinuità tra
l’antecedente e il conseguente. Sussiste il conseguente disarticolato e liberato dell’antecedente.
È un risultato, ma un risultato che resta incluso, mentre si cancella l’operazione dalla quale
risulta. Differente dal “supposto” che resta annodato alla condizione.
Rispetto al nome: è nel Seminario XXII che Lacan si interessa particolarmente all’atto di
nominare. Cosa dice rispetto a questo? “La nominazione è l’unica cosa della quale siamo sicuri
che fa buco”.5 “Nella linguistica si distingue il “dar nome” dalla comunicazione”.6 “Nominando
la chiacchiera, parlando propriamente, si annoda a qualcosa del Reale”.
E contrappone ciò che può essere compreso, il per tutti, da ciò che sta fuori da ogni
comprensione, il per uno. Nella comunicazione sarebbero in primo piano: o il riferimento –
quello di cui si tratta – o l’Altro a cui ci si dirige.
Invece nel nominare si mette in questione l’”evidenza” della comunicazione, lo dice in un modo
molto interessante, giocando con l’equivoco ”io mi sforzo semplicemente per vuotarvi (les
evider), ciò che non vuole dire lo stesso, poiché vuotare (vider) riposa su vuoto (vide) e evidenza
(evidence) su vedere (voir)”.7 Da ciò si deduce che il nome rimette al “senza referente”,
“denuncia il miraggio del riferimento”.8
Anche nella lezione 11 di questo Seminario situa la nominazione come l’introduzione di un
quarto elemento nel nodo. Quarto elemento che nel Seminario XXIII riferirà al sinthomo.
La teoria del nome è in rapporto con le teorie dei nomi propri e di quelli comuni (e di questi con
lo scritto). Il nome proprio necessita di un trattamento logico speciale, presenta una difficoltà
6
specifica nella misura in cui resiste alla traduzione per funzioni.
In questo punto lo mette in relazione con lo scritto. Nell’epilogo del Seminario XI Lacan fa una
differenza tra i suoi Scritti (non-per leggere) e la trascrizione del suo Seminario, perché si legga.
Dice che già prima è stato stabilito questo acume rispetto allo scritto tramite Joyce, il quale
introdusse lo scritto come non per leggerlo; lì, dice Lacan, sarebbe meglio che si dicesse “lo
intraduco”, dal momento che fa della parola traffico al di là delle lingue.
È interessante situare il rispetto, che anche nella Bibbia, riferito al nome di Dio, si situa come
uno scritto di quattro lettere in ebreo, non per leggere. Si pronuncia in molteplici modi: Adonai,
Elohim, ecc., ma quello che si scrive non si potrà leggere.
Anche nel Seminario XXII, a proposito del tema di nominare, parla degli ebrei che sono stati
molto gentili a spiegare cos’è ciò che chiamano padre: “Lo fanno in un punto di buco che non
possiamo immaginare incluso … io sono quello che sono… questo è un buco, no? Un buco,…
ciò inghiotte, e in seguito ci sono dei momenti in cui ciò torna a sputare, cosa? Il nome”.
Rispetto a questo J.-A. Miller, nel suo corso “Il disincanto della psicoanalisi”, situa che il “senso
della pratica non è pensabile… se non funziona il rovescio della psicoanalisi, che è il discorso
del padrone e il padrone installato nel suo luogo. Per ottenere che il soggetto ritorni a sputarlo, è
necessario che in primo luogo sia stato segnato da questo significante”.
Tornare a sputare il nome implica il movimento di un analisi. Dal discorso del padrone al
discorso dell’analista.
Se prendiamo il cammino che va dal sembiante nel discorso dell’inconscio a quello del discorso
dell’analista, si possono situare questi due valori differenti dell’S1. Nel discorso dell’inconscio,
il significante padrone (nel luogo del sembiante) è come la gloria di un marchio che si ripete e
che porta al senso, con un modo particolare di elaborare il godimento. Il godimento che sarà
sempre attraverso tutte le significazioni, attraverso tutti gli effetti di senso dai quali si deduce la
posizione soggettiva.
Nel discorso analitico, “dal lato dell’analista, esiste farsi l’essere di abiezione. Ma questo non è
tutto. Dal lato dell’analizzante, l’Uno si assume, benché risulti posto a lavorare lì. È posto a
lavorare, già che alla fine risulta essere prodotto”.9 E’ così che “Qualche volta è dal discorso
dell’analista che può sorgere un altro stile di significante padrone”.10
Credo che “tornare a sputare il nome” si potrebbe pensare, in questo senso, come il sorgere di un
altro stile di S1. Implica un tornare ai “fondamenti” insieme ad un atto di invenzione.
Allora è questo S1, come nome “prodotto”, “sputato” nel discorso dell’analista, S1 che non
chiama la significazione, ma è effetto dei giri detti in un analisi, che possiamo situare come nome
che ex-siste come bordo di sembiante singolare.
Un nome prodotto, che torna come ex-sistente, può essere preso come bordo di sembiante.
Traduzione di Grazia D'Arino
1
Miller, J.-A., “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, Astrolabio Roma 1987, n. 11, p. 128.
Lacan, J., “Risveglio di primavera”, in La Psicoanalisi, Astrolabio Roma 1987, n. 7, p. 12.
Miller, J.-A., “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, op. cit., p. 126.
4 Miller, J.-A., “La ex-sistenza”, in Il reale e il senso
5 Lacan, J., Il Seminario,Libro XXII, inedito, lezione 10.
6 Ivi.
7 Ibidem, lezione 7.
8 Laurent, E., Editorial, Papers, febbraio 2009.
9 Laurent, E., “La carta robada y el vuelo sobre la letra”, in Sintomo e nominazione, Collecciòn Diva, Bs. As. As., p.
171.
10 Lacan, J., Il Seminario, Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi Torino 2001.
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Sembianti e sinthomo: tra Sinn e Bedeutung
Enric Berenguer
La domanda su come trovare nell’insegnamento di Lacan indicazioni relative alla tensione
tra sembianti e sinthomo, a modo di antecedente del problema che ci poniamo, mi porta in primo
luogo al Seminario X, “L’Angoscia”. Nella presentazione di questo seminario, Jacques-Alain
Miller ci faceva notare che una chiave fondamentale per leggerlo è la questione della
Triebregung,(1) il moto pulsionale, impossibile da rappresentare sul piano speculare. Tutta la
riformulazione, in quel seminario, dello stadio dello specchio ci parla delle vicissitudini dello
sforzo per far passare al sembiante, quel che per sua natura, sembra essere irrimediabilmente
escluso da esso. L’angoscia marca un momento privilegiato di quel passaggio, o non passaggio.
Ci autorizza a pensare che abbiamo a che fare con il sembiante, più in là di quello che è
speculare, il fatto che, nello schema ottico, si tratta di uno stadio dello specchio costruito sul
campo stesso dell’Altro. Anche perché la declinazione delle forme di quello che appare nel luogo
dell’impossibile a essere rappresentato (giustificando l’espressione di Lacan “manca la
mancanza”) introduce la dimensione di una apparenza, di qualcosa che si fa passare per l’oggetto
causa. Così, soltanto la mancanza stessa nel piano della rappresentazione sembrerebbe essere la
contropartita valida, non fallace, il partner adeguato al silenzio cieco della pulsione. Se
l’angoscia non inganna, è perchè il “qualcosa” (etwas) che appare, come luogotenente
dell’oggetto causa, nel campo di battaglia del sembiante, compromette la sua stabilità, lo
minaccia e lascia persistere, al di là della rappresentazione, qualcosa di una presenza
ineliminabile. Il passaggio per l’angoscia, tuttavia, sembra essere nella via di una soggettivazione
necessaria, qualcosa che richiama una rappresentazione dell’irrappresentabile. Perché, in fin dei
conti, ci sarebbe soggettivazione senza qualche forma di rappresentazione? La risposta è, al
tempo stesso No e Si, questa è la questione. E il sinthome ha a che fare con questo.
In ogni caso, che cosa c’è più in là della strettoia dell’angoscia? Troviamo risposte al
riguardo sia nella teoria che nella clinica: quel che vi si trova lì, altro non è se non il sintomo. Su
questo punto, s’impone un ritorno ad Inibizione, sintomo e angoscia, oltre a “Die Wege der
Symptombildung”, la conferenza numero XXIII di Introduzione alla psicoanalisi, testo segnalato
anni addietro da Jacques-Alain Miller nella lettura che propose nel “Seminario di Barcellona”
(2). Di che si tratta? Di quello che sintetizzeremo sottolineando un’idea che introduce Freud nel
capitolo V di Inibizione, Sintomo e Angoscia: del trionfo della formazione del sintomo
(Symptombildung) . Riporto il brano: “E’ un trionfo della formazione sintomatica riuscire a
mescolare la proibizione con il soddisfacimento, a far sì che il comando o il divieto
originariamente difensivi assumano anche il significato di un soddisfacimento, processo in cui
vengono sovente utilizzate vie di collegamento quanto mai artificiose. In questa operazione si
mostra quella tendenza alla sintesi propria dell’io di cui abbiamo già parlato”. (3)
Dunque, in che cosa consiste questo trionfo? Lo si può considerare in diverse forme, ma nel
contesto che adesso ci interessa, possiamo dire che il sintomo sembra trionfare laddove tutti i
sembianti sembrano condannati al fallimento. Ma forse bisogna prendere questa stessa formula
del tutto sul serio per poter estrarre da essa le conclusioni necessarie. Infatti, che il sintomo
trionfi laddove i sembianti falliscono suppone che, in un certo modo, occupi il suo posto, vale a
dire, venga a svolgere lì, e non in un altro luogo, la sua funzione. Si tratta, dunque della
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formazione (Bildung) del sintomo, non del suo riferimento e, in questo contesto, l’artificiosità
delle sue vie evoca, senza dubbio, il sembiante.
Che cosa implica, quindi, che il sintomo venga al posto di ciò che non ha rappresentazione?
E che cosa implica questo se, infine, viene a farlo nello spazio stesso del sembiante? In prima
istanza, c’è una risposta facile e breve, quando si sostiene che il sintomo appare lì, per usare
un’espressione di Freud in un altro contesto, per via di levare, vale a dire, per una via negativa,
come quello che fa fallire ogni sembiante, lo decompleta, lo buca. Il sintomo, così, apparirebbe
nel campo del sembiante come un buco, simile in questo senso, al luogo –phi che Lacan inscrive
nei suoi schemi ottici del Seminario X.
Questa dimensione, per così dire negativa del sintomo esiste, e ci porterebbe a pensare il
rapporto tra sembianti e sintomo come una pura opposizione. Il sintomo, quindi, non sarebbe un
sembiante, né avrebbe niente a che fare con esso. Ma in questo modo non staremmo descrivendo
tutti gli aspetti del sintomo. Lo stesso Freud, in Inibizione, Sintomo e Angoscia, distingue la
dimensione negativa del sintomo, che confina in molti punti con l’inibizione, dalla sua
dimensione positiva come destino della pulsione, con tutto quello che implica di transazione e
finisce ad occupare inoltre un luogo privilegiato nell'Ich. E, di fatto, quando parla del trionfo
della formazione dei sintomi, si riferisce anche al suo lato di destino di una soddisfazione
pulsionale reale. Il sintomo, quindi, ha il suo lato di sembiante, ma sembiante che è veicolo di
una soddisfazione reale.
L’elaborazione di Lacan intorno alla nozione di sinthomo sottolinea ancora di più, se è il
caso, il lato positivo del sintomo, non soltanto come destino della pulsione, vale a dire, come
godimento, ma anche come qualcosa con rispetto a cui è possibile pensare una certa modalità
fondamentale di identificazione. Modalità, d’altra parte, vincolata a una definizione della fine
dell’analisi. È ciò che si esprime in questi termini: “identificarsi con il sintomo, mantenendo le
sue garanzie, una specie di distanza”.(4) Situare lo specifico di questo identificarsi suppone, in
qualche modo, poter pensare la relazione del sintomo con il sembiante in termini che non siano
di pura esclusione.
Tornando, quindi, al nostro schema ottico trasformato, questo implicherebbe che il sintomo
compare in -phi, ma non, certamente, sotto la modalità di i'(a), se non con qualche altro modo di
positività che bisognerà determinare, specificando che rapporto ha quest’ultima con il sembiante.
Riprendiamo i termini sottolineati da Jacques-Alain Miller nel seminario di Barcellona:
Sinn e Bedeutung di sintomo. La cosa più immediata, come dicevamo prima, è pensare che il
sintomo compare là attraverso la sua dimensione di formazione (Symptombildung), quella che lo
fa simile al senso. Si tratta invece piuttosto di come si può situare lì stesso la Bedeutung del
sintomo, che rimanda alle Wege prima che alla Bildung, il cui centro invisibile è l’ordine della
fissazione libidinale.
Allora, non c’è nessun terzo termine possibile che articoli, nel sintomo, Bildung (o Sinn, o
piuttosto entrambe queste cose) e Bedeutung? Miller segnalava in quel periodo una serie di
proposte per la ricerca. Tra queste proposte, sottolineo le ultime tre: “... 2º Se il reale e il senso
sono completamente separati e si escludono, la psicoanalisi non è altro che una truffa; 3º Come
incidere, a partire dagli effetti di Sinn, in un godimento senza senso?; 4º Esiste forse un effetto
reale di senso” (5)
E, certamente, in questo punto preciso, è in gioco la questione del sinthome. Così, poco più
avanti, dopo aver evocato che “infine, dentro lo psichico stesso, Freud individua un reale
9
nascosto nel fantasma” (6) (in riferimento alla fissazione), Miller conclude: “Si può dire che il
termine sinthomo si riferisce al legame tra fantasma e fissazione” (7).
Mi sembra che, per quello che adesso ci interessa, possiamo sottolineare questo termine,
quello di connessione, come un nome per il sinthomo che ci permette di articolare il problema
presentato.
Infatti, la affinità del sintomo con il sembiante concerne il suo lato fantasma, mentre la sua
affinità con il reale, opposto al sembiante, risiede nel suo lato fissazione di godimento. Ebbene,
si può pensare in due modi diversi ciò che succede tra l’uno e l’altro. Uno di questi modi,
sarebbe quello di pensare che a questa prima definizione del sinthomo si applica, senza alcuna
modifica, la scrittura proposta dallo stesso Jacques-Alain Miller: reale//sembiante, con due barre
che iscrivono l’impossibilità, l’eterogeneità, il non rapporto.
Se si pensa così, la stessa divisione insalvabile si riprodurrebbe inalterata all’interno del
sinthomo. In ogni caso, ci troveremmo, in apparenza, con una remissione en abîme dello stesso
problema da un livello ad un altro e, in questo senso, le due facce del sintomo non sarebbero
altro che una vicissitudine in più della stessa cosa. Il sinthomo, allora, che cose aggiungerebbe
alla descrizione dei due aspetti eterogenei del sintomo? E, quindi, come capire una forma di
identificazione che andasse a situarsi precisamente là, in quello iato assoluto?
Credo, quindi, che si possa fare una lettura diversa se si sottolinea l’elemento connessione,
anche nella definizione del sinthomo, già citata. Questo implica capire il sinthomo nella sua
dimensione di singolarità, potremmo anche dire di singolarità elementare, in cui, in qualche
modo, la doppia barra tra reale e sembiante resta in sospeso. Il sinthomo, pensato in questo
modo, introduce una connessione nello stesso posto di una connessione impossibile. Ma, di che
natura è questa connessione? Non può essere di qualsiasi natura.
Bisogna insistere sulla questione della singolarità in un doppio senso. Da un lato, il
sinthomo come singolarità che sospende la non articolazione tra sembiante e reale. Dall’altro
lato, che questo può soltanto essere il prodotto di un’operazione singolare in un soggetto. Così,
non ci sarebbe altra connessione se non la singolarità stessa. Detto in un altro modo, la
connessione non è altro che una lettura di quella singolarità come tale, che suppone lo scritto. La
singolarità supera la logica del significante. La connessione non può essere altro se non
un’operazione sulla marca, in ciò che essa ha di contingenza assoluta. (8)
Da questa prospettiva, il sinthomo è inseparabile dall’identificazione con il sintomo,
poiché, che cos’è quest’identificazione se non, fondamentalmente, identificare la connessione
singolare tra la fissazione di godimento e il senso goduto? Identificarla, per identificarsi con essa
mantenendo una sorta di distanza. Il soggetto è in quella stessa connessione.
Per quanto riguarda la distanza che, tuttavia dovrebbe mantenersi, e che non può essere
metrica, richiede, per poter pensarla, la nozione di litorale. Una tale connessione, che sospende
l’impossibilità, non per questo è capace di abolire l’eterogeneità. Soltanto il delirio, forse, fa
sembiante di che tale eterogeneità si annulli e sia questo uno dei sensi della formula di Schreber,
sottolineata da Lacan: alles Unsinn aufhebt.(9)
Traduzione di Biancamaria Lenzi
10
(1) Jacques-Alain Miller, L’angoscia. Introduzione al Seminario X di Jacques Lacan. Macerata:
Quodlibet Studio, 2006, p. 104 (98-104).
(2) Jacques-Alain Miller “A proposito di Die Wege der Symptombildung”. Seminario di Barcelona I
in “La Psicoanalisi” n. 23. Roma: Astrolabio, 1998. p. 45-95.
(3) Sigmund Freud, “Inibizione, sintomo e angoscia”, Sigmund Freud. Opere. 10 Inibizione,
sintomo e angoscia e altri scritti 1924-1929. Torino: Bollati Boringhieri, 2003. pag. 261. La
sottolineatura è mia.
(4) Jacques Lacan, “Linsu que sait de l'Une-bévue s'aile à mourre”, 16 de noviembre 1976.
(5) Jacques-Alain Miller. op. cit., pág. 89.
(6) Ibid. pág. 92.
(7) Ibid. Pág. 94.
(8) Mi ricollego qui alle interessanti elaborazioni di Marie-Hélène Roch, pubblicate in Papers
Bulletin Electronique du Comité d'Action de l'École-Une Version 2009-2010 – Versione italiana, Numero 4 Octobre 2009 – Association Mondiale de Psychanalyse, dal titolo: “Dal litorale, in psicoanalisi”.
(9) Jacques Lacan, “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi” in “Scritti.
Vol. II. Torino: Einaudi, 2003. p. 570
La congiunzione di sembiante e sintomo:
il tornaconto secondario della nevrosi ossessiva in Freud
Maurizio Mazzotti
Quando Freud introduce il concetto di tornaconto secondario del sintomo ci troviamo di fronte ad
un livello di soddisfazione diversa dalla soddisfazione generata dal rimosso che si traduce
sempre in sofferenza. Il tornaconto secondario fa intervenire un rapporto diverso tra sintomo e
soddisfazione, che si pone al di là della rimozione, laddove il sintomo diventa di fatto una sorta
di plus di soddisfazione. Per il suo tramite fa il suo ingresso una soddisfazione supplementare
che cambia il grado di implicazione del soggetto nel sintomo, nel senso in cui è con il tornaconto
secondario che il sintomo può, diciamo, passare di grado e assurgere alla dimensione
dell'irrinunciabile, cosa nient'affatto implicata, in prima istanza, per Freud, dalla soddisfazione
ancorata al rimosso.
Si può essere certi della presenza di un tornaconto secondario del sintomo, dice Freud, in tutti i
casi in cui la sofferenza si prolunga per un certo tempo, abbastanza a lungo, per cui dobbiamo
presumere che intervenga un fattore aggiuntivo, che ha un ruolo stabilizzante rispetto alla
difficoltà procurata dal sintomo-sofferenza. Il tornaconto secondario tende sempre per Freud a
controbilanciare la portata disfunzionale della sofferenza indotta dalla rimozione, dando al
sintomo-sofferenza un “impiego utile” che può farlo assurgere al rango di modus vivendi del
soggetto.
11
Questo doppio binario della soddisfazione del sintomo è già presente nel caso di Dora: da un
lato c'è il sintomo come metafora, soddisfazione sostitutiva della pulsione orale via
l'identificazione al padre, da un altro lato c’è un certo grado di soddisfazione aggiuntiva, non più
metaforica ma che si serve piuttosto del sintomo come strumento per controbilanciarne gli effetti
di sofferenza, destabilizzanti. Qui non c’è congiunzione ma disgiunzione tra semblant e sintomo:
da un lato il semblant, l’identificazione inconscia, che sostiene la metafora, da un altro il plus di
godimento del sintomo come “impiego utile”, non metaforico.
In Inibizione, sintomo, angoscia Freud avrà modo di precisare la differenza del tornaconto
secondario dell'isteria da quello presente nella nevrosi ossessiva. Nella nevrosi ossessiva il
tornaconto secondario è intrinseco a quella che Freud chiama "lotta difensiva secondaria"1, la
lotta che tende il più possibile ad “incorporare il sintomo nell'io”, laddove appunto l’ossessione
punta a cercare un legame conciliativo più forte possibile con il sintomo. Freud dice che la “lotta
difensiva secondaria” ingaggiata dall’ossessione è una lotta che si situa al di là della rimozione e
non è presente nell'isteria, perchè, a parere di Freud, non necessaria in quanto l'isteria, nella sua
lotta con la pulsione, si avvale esclusivamente della rimozione consegnando il rimosso al suo
destino nel sintomo di conversione, per poi, in un certo senso, non occuparsene più.
Quello che divide l'isteria dall'ossessione, rispetto al tornaconto secondario, è quindi il
discrimine della rimozione: la prima ci si attiene interamente e non chiude, di conseguenza, mai
la partita con il rimosso, mentre la seconda, l'ossessione, abbandona il terreno della rimozione
per passare oltre, ad altri mezzi: attraverso la strategia dell'incorporazione del sintomo
l’ossessione vuole chiudere il conflitto con il rimosso per realizzare la massima funzionalità del
tornaconto secondario, attraverso la congiunzione tra semblant e sintomo, risultato che resta
invece difficile da raggiungere nell'isteria.
La congiunzione tra semblant e sintomo vuol dire che sintomo e sembiante giungono a
confondersi, come accade a certe figure che spariscono alla vista perchè si confondono
perfettamente col paesaggio. Nella prospettiva ossessiva della conciliazione del soggetto con il
sintomo, quest’ultimo si fa “rappresentante di interessi importanti”2 del soggetto, nota Freud, il
che vuol dire che il sintomo si rende sembiante in un sistema di valori e/o sapere. Il legame
conciliativo del soggetto con il sintomo viene così raggiunto attraverso questa operazione di
trasformazione che oblitera ogni rapporto del sintomo con la castrazione, dunque con
l’inconscio, per farlo assurgere a sembiante di valore. Questo risultato così ampiamente
conciliativo tra il sintomo e l'io giunge dopo che la lotta difensiva ha fatto sì che tutte le
restrizioni, difficoltà e limitazioni del sintomo cambino di senso e diventino a poco a poco dei
tratti integrati per esempio ad un sistema di valori morali, di sapere, di precisione e così via. La
lotta difensiva dell’ossessione opera quindi in senso contrario alla rimozione, il conflitto col
rimosso sembra azzerato e la lotta contro la pulsione definitivamente vinta. Il punto è che questa
lotta difensiva secondaria, nell’ossessione, è essa stessa pervasa di godimento, è infiltrata di
soddisfazione.
Nell’ossessione quindi la soluzione conciliativa con il sintomo, procedendo nella via di una
assimilazione del sintomo a plus di sembiante, è quella che mette in scacco l’inconscio, la sua
decifrazione, poiché fa sì che la stessa operazione di congiunzione tra sembiante e sintomo,
ottenuta dalla lotta difensiva secondaria, sia pervasa di un godimento che l’ossessione rifiuta
accanitamente di cedere e come proprio questo rappresenti, paradossalmente, l’osso intrattabile
dell’ossessione.
Si misura qui dunque come questa conciliazione ossessiva con il sintomo sia una conciliazione,
possiamo dire, di pura finzione, che ostacola l’effettuazione della conciliazione cui tende
l’analisi, la conciliazione che inizia dove finisce la congiunzione possibile del sembiante e del
12
sintomo che chiude all’inconscio, dal momento che il percorso di un’analisi va verso la possibile
conciliazione soggettiva con ciò che nel sintomo non è sembiante, ma che non è isolabile come
tale senza aver decifrato, elaborato analiticamente il rapporto del sintomo con l’inconscio, senza
aver fatto decantare il godimento da tutti i suoi semblant.
1.
2.
S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, in Opere, v. 10, oringhieri, Torino 1978, p. 250.
S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, in Op. Cit. p. 249.
“Pe(a)ra-Dire” :
On Dante's Sinthomatic Use of the Semblant
Shirley Sharon-Zisser
La psicoanalisi non si rivolge alla letteratura per scoprirvi ciò che è già noto, scrive Lacan in
Lituraterra; essa approccia il testo letterario allo stesso modo in cui approccia ogni caso clinico
nella sua particolarità: per apprendere qualcosa in più sugli enigmi che costitutiscono il suo
oggetto.1 Enigmi che includono la natura delle risposte soggettive in un incontro con ciò che
precede il freudiano giudizio di qualità, il giudizio del principio del piacere, che determina
l'accesso alla rappresentazione. Un incontro con i resti che sfuggono a questo giudizio, che
rimangono fuori rappresentazione e al di là del bene e del male, dice Lacan, 2 che rimangono, in
termini freudiani, della natura de "la cosa". La cosa materna della quale Lacan parla come di un
"partner inumano, terrificante"3: la madre non castrata i cui capricci non conoscono legge; agente
di una soddisfazione primordiale che può essere altrettanto una catastrofe e che in ogni caso deve
essere resa perduta, spinta fuori dall'economia dell'inconscio in una operazione di Ausstossung
che prepara la strada alla rappresentazione psichica e alla mancanza soggettiva che è il suo
corollario, una mancanza originaria per la quale un altro nome, come insegna Jacques-Alain
Miller nel suo corso Della natura dei smbianti, può essere il fallo materno.4
Il Paradiso di Dante comincia con l'incontro della guida del poeta con un partner inumano, al di
là di ogni rappresentazione, al di là di ogni sembiante, un partner la cui sola designazione
possibile è quella di una cosa "Vidi cose", dice il poeta del suo ritono da un regno trascendentale
fantastico il cui nome immaginario è "ciel"; cose che ritiene impossibili da dir di nuovo "ri-dire",
da trasporre nel regno della "memoria", delle tracce mnestiche, della articolazione significante.5
"Cose" che descrive come il prodotto di un movimento mentale di pressione ("appressando"[riga
7]) isomorfico alla componente motrice della pulsione (Drang) teorizzata da Freud,6 verso
l'oggetto del desiderio ("suo disire" [riga 7]), oggetto causa del desiderio. Più avanti nel primo
canto, la "Cosa" inarticolabile si veste della fenomenale brillantezza di Beatrice, la Dama cortese
poetizzata, fatta di parole e immagini, sostanza del sembiante, la Dama la cui funzione per il
poeta cortese è di "circoscrivere e di rendere la Cosa presente e assente", insegna Lacan nel
settimo seminario. E non ancora assente abbastanza, non sufficientemente "svuotata da ogni
13
sostanza reale" e fatta la pura, sublimata sembianza, che Lacan individua come condizione per
ricevere una serenata.7 Incontrare lo sguardo di Beatrice, dice la guida di Dante, lo precipita in
una esperienza di "transumanar" (riga 69) - una trasgressione nell'al di là di ciò che è umano, una
trasgressione nel regno del "partner inumano, terrificante" che Lacan designa come quello di
Das Ding. Una trasgressione che rompe il sembiante, inabilita il lavoro poetico con il
significante e l'immagine così da produrre l'effetto di senso di poesia, ciò che Lacan chiama il
"sens-blant".8 L'incontro con la Cosa, scrive la guida di Dante, "significar per verba non si
poria" (righe 70-71). Impossibile perchè implica precisamente il recupero della posta in gioco la
cui perdita è la condizione della rappresentazione.
Nel momento in cui questo recupero ha luogo nella vita del soggetto nevrotico non è solo la
rappresentazione poetica che finisce. Nel momento in cui la parola non uccide sufficientemente
la Cosa grazie all'operazione della metafora paterna, lo stesso desiderio, spiega Lacan nel
seminario sul desiderio e la sua interpretazione, si estingue. In quel momento, così come è
narrato per Edipo alla fine di Edipo a Colono, così come è descritto da Freud nella sua analisi del
sogno di un paziente ossessivo su suo padre morto senza saperne nulla, anche il soggetto
nevrotico è lasciato con il crudo "dolore di esistere", non mitigato dal desiderio.9 Qualcosa non
avviene nel registro del desiderio e della rappresentazione, del simbolico. Forse anche nel
registro dell'immaginario il cui nodo con il simbolico è produttore del sembiante. E ancora i
detriti del simbolico e dell'immaginario nel punto del loro errore, insegna Lacan nel
ventitreesimo seminario, diventano il materiale di un quarto registro, quello del sinthomo, 10 dal
quale il soggetto può creare una supplenza che potrebbe rendere tollerabile il suo godimento,
mitigare il dolore di esistere. E' precisamente ciò che lo confronta con la rovina della
rappresentazione, con ciò che "intelletto" e "memoria" (righe 8-9), luoghi di rappresentazioni di
parole, non ammettono, dice la guida di Dante, che ne farà "materia del mio canto" (riga 12). La
sua canzone come supplenza.
La supplenza, insegna Lacan nel ventitreesimo seminario, è creata dall'annodamento dai resti del
simbolico e dell'immaginario di un particolare soggetto (materiale del sinthomo come registro), e
di ciò che del simbolico rimane operativo per questo soggetto.11 Di questo annodamento dei resti
sintomatici e di parti del discorso dell'Altro Lacan dice nel ventitreesimo seminario: "questo è il
luogo in cui è l'artista".12 E' la supplenza ad indicare la particolarità del sinthomo come registro,
il sinthomo come strumento che serve da punto di ancoraggio, che condensa qualcosa del
godimento insopportabile del soggetto. Nel caso dello stile precoce, epifanico, di James Joyce,
sono le immagini delle parti del corpo annodate con la forma convenzionale del blasone retorico
per produrre la supplenza della scrittura dell'ego, ad indicare la frammentazione del corpo
immaginario di Joyce. Nel caso dello stile più tardo di Joyce, per esempio come si manifesta in
Finnegan's Wake, è l'annodamento delle lettere della lingua inglese con forme felici di parole e
grammatica inglesi a produrre la supplenza di godimento neologistico, che indica la
decomposizione della lingua inglese al livello della lettera, per Joyce, benchè non (come nel caso
dei romanzi tardi di Virginia Woolf) fino al grafismo che è il sostrato della lettera e il suo al di
là.
Ma quando la matera del sinthomo come registro non è la lettera o il suo grafismo come substrati
di rappresentaione, ma il rudere della rappresentazione stessa, come attesta la guida di Dante
all'inizio del Paradiso, con cosa potrebbe essere annodato, e come? In ogni punto del primo
canto di Dante in cui la Dama (Beatrice) emerge come parte della fabbrica immaginaria di un
testo cortese, che non raffigura la Cosa come presente e assente, ma forse troppo presente per il
poeta, che ne è l'effetto, una forma rethorica viene a scriversi: un simile epico. Quando Beatrice
14
appare per la prima volta nell'emisfero sopra la guida, guardando il sole, ciò che appare al posto
di una descrizione di lei è un racconto in miniatura estraneo al mondo della narrativa, tipico della
similitudine epica: "aquila si non li s'affisse unquanco" (riga 48). Quando il poeta viene descritto
mentre fissa i suoi occhi in quelli di Beatrice, che sono fissi sul sole, e successivamente
sottoposti a un effetto riferito come "tal dentro" (line 68), al posto di una descrizione degli effetti
troviamo un altro racconto in miniatura estraneo al mondo della narrativa e ad esso collegato per
mezzo di una delle varietà della copula similaica: "qual si fé Glauco nel gustar de l'erba / che 'l
fé consorto in mar de li altri dei" (righe 68-69). È a questo punto del testo che la guida di Dante
articola ancora una volta i limiti apparenti della potenza poetica, la sua finitudine di fronte al
continente oscuro della Cosa al di là del significante (righe 70-71). Eppure, di fronte
all'impossibile, che non cessa di non scriversi, ci appare, dopo la separazione di un punto e
virgola, un punto di riferimento per una soluzione contingente che serve a posteriori come punto
di capitone che sincronizza la funzione dei simili epici che scandiscono il primo canto con il
livello della sua micro-struttura, nello stesso tempo in cui chiarisce il loro posto all'interno della
macro-struttura del Paradiso: "però l'essemplo basti / a cui esperienza grazia serba" (righe 7172).
"Essemplo" è il nome di Dante (un sembiante) per ciò che non cessa di non scriversi al limite
delle macerie della rappresentazione e che si svolgerà nei trentatre canti del Paradiso.
"Essemplo" può essere anche il nome del simile epico che Dante situa nel posto della "cosa"
(riga 5), la cosa che non può essere detta. "Si," "qual si,", "come"---queste sono le copule su cui
Dante impernia il suo simile epico . Sono copule dell'ordine di ciò che è inferiore all'ontologia
sottesa alla copula metaforica: "è", produttiva della illusione filosofica dell'Essere13 e al tempo
stesso dell'ordine di ciò che Jacques-Alain Miller insegna essere antitetico a quello che la
filosofia sposta dalla categoria dell'Essere: il reale.14 Copule che si dichiarano dell'ordine di ciò
che sembra, del sembiante.
Un poema che si colloca intorno al vacuolo della Cosa e annoda i rottami propri all'incontro con
la Cosa costitutivi del sinthomo del poeta con le convenzioni del poema epico come parte del
discorso dell'Altro per mezzo di copule similaiche, dichiarando la loro natura di sembiante e
inaugurando sembianti (similitudini epiche), che prendono il posto di ciò che non si può dire,
sineddocizzando la funzione della poesia stessa come una supplenza per quello che la guida del
poeta colloca come impossibile per lui da dire di nuovo (ri-dire) (riga 5): questa è la particolarità
poetica e clinica del Paradiso di Dante. Il Paradiso, poi, è un oggetto poetico che, anche se fa
vacillare i sembianti del poeta "intelletto" e "memoria" (righe 8-9), così come i sembianti
vacillano di fronte alla Cosa, rimane un oggetto che, come poéisis, è segnato dal sembiante,15 e
che è prodotto da un annodamento dei registri del sinthomo e del simbolo per mezzo di ciò che è
dell'ordine del sembiante (le copule di similitudini epiche). Il Paradiso è un oggetto-supplenza
che, a causa dell'impossibilità di Dante di "ri-dire" (riga 7), sostituisce non un variabile e
vacillante semi-dire, ma un para-dire: un detto accanto parallelo all'essere-accanto (par-être) che
è il destino dell'essere parlante16. Non è la verità che, come insegna Jacques-Alan Miller, mente
in quanto si tratta di una elucubrazione di sapere relativa ad una modalità costitutivamente opaca
di godimento,17 ma una modalità di godimento in sé.
Il Paradiso di Dante costituisce una poiésis - una fabbricazione che riposa su un dire18 - che
opera come un para-dire sinthomatico che condensa qualcosa del godimento intollerabile della
Cosa, collocando un limite contingente su questo godimento per renderlo tollerabile per il poeta.
Un para-dire fatto del sembiante che diventerà parte del nome proprio di Dante, la sua perversione. Al Nome-del-Padre, la versione del padre come "sembiante per eccellenza", 19 che
potrebbe avere effettuato la separazione dal godimento intollerabile di das Ding, Dante
15
sostituisce un'invenzione poetica singolare, l'invenzione di una speciale modalità di parlare
(modo de dire) la cui funzione non è la dimensione del senso goduto della significazione, ma
dello stile, del godimento della lettera al di là di senso, e smette di cercare un "ri-dire" del reale.20
Quando il para-dire è altrettanto operativo del padre-dire, indice di un saperci fare con i detriti
dell'immaginario e del simbolico reso effettivo dal vacillare della metafora paterna, un saperci
fare che è a fondamento di uno stile, esso non è tale a causa della produzione di una perdita - la
cessione del poema - , fatta del tessuto del sembiante, come oggetto sinthomatico che effettua la
separazione dall'orrore della Cosa?
Ciò indica che nel caso di Dante il "partner-sembiante" non è il contrario del "partner-sintomo" 21,
ma il suo substrato. E solleva una questione: nel caso dl Paradiso di Dante qua pe(a) ra-dire, "il
bordo del sembiante che colloca il nucleo di godimento" 22 è allo stesso tempo sinthomo e ciò che
pone un limite contingente sull'impossibile, cessa di non essere iscritto al bordo del sembiante
con il reale. In tal caso, non è forse il poeta cortese che fa la serenata alla Dama, come il parlêtre
reso effettivo da questo trattamento del reale per mezzo di uno stile, situato sul lato femminile
del grafo della sessuazione, in quella che Eric Laurent chiama una posizione femminile di
essere?23
1 Lacan, J. Le Séminaire, livre XVIII: D'un discours qui ne serait pas du semblant, Paris, Seuil. 2006, pp. 114-115.
2 Lacan, J., The Seminar, Book VII: The Ethics of Psychoanalysis, trans. D. Porter, New York: Norton, 1994, p. 63.
3 Ibid, p. 150.
4 J.-A. Miller, L'Orientation lacanien: "De la nature des semblants," course in the Department of Psychoanalysis,
University of Paris VIII, lesson of 27 May, 1992, unpublished. See also, M.-H. Blancard, "Le 'vrai nature' du phallus
et l'operation analytique," Papers: Bulletin Electronqiue du Comité d'Action de l'École-Une Vesrion 2009-2010 ,
Association Mondiale de Psychanalyse (July 2009, no. 3), p. 14.
5 Alighieri, D. The Divine Comedy 3: Paradiso, trans. And ed. J. Kirkpatrick, Harmondsworth: Penguin, 2007
(italian-English edition), canto 1, lines 5-9. All further references to Dante's Paradiso are by line number in the first
canto and will be incorporated into the text.
6 Freud, S. (1915c), "Instincts and their Vicissitudes," The Standard Edition of the Complete Psychological Works
of Sigmund Freud, trans J. Strachey et al., London: Vintage, 2001, 24 vols, vol. 14, p. 121.
7 J. Lacan, The Seminar, Book VII, Op. cit., p. 141.
8 Ibid, p. 149.
9 J. Lacan, Le Séminaire, livre XXIV: L'insu que sait de l'une bévue s'aile à mourre, lesson of 10 May, 1977
(unpublished).
10 J. Lacan, Le Séminaire, livre VI; Le desir st son interpretation, lesson of 7 January, 1959 (unpublished).
11 J. Lacan, Le Séminaire, livre XXIII: Le sinthome, Paris: Seuil, 2005, pp. 20-23.
12 Ibid, p. 23.
12 Ibid.
14 J. Lacan, The Seminar, Book XX: Encore, trans. B. Fink, New York: Norton, 1998, p. 31.
15 J.-A. Miller, L'Orientation lacanien."De la nature des semblants," Op. cit., lesson of 25 March, 1992.
16 J.-A. Miller, L'Orientation lacanien, "Choses de finesse en psychanalyse," course in the Department of
Psychoanalysis, University of Paris VIII, lesson of 21 January, 2009 (unpublished).
17 J. Lacan, The Seminar, Book XX: Encore, Op. cit., p. 44.
18 J.-A. Miller, L'Orientation lacanien, "Choses de finesse en psychanalyse," Op. cit., lesson of 21 January, 2009.
19 Ibid, lesson of 14 January, 2009.
20 J.-A. Miller, L'Orientation lacanien."De la nature des semblants," Op. cit., lesson of 26 February, 1992.
21 J.-A. Miller, L'Orientation lacanien, "Choses de finesse en psychanalyse," Op. cit., lesson of 13 May, 2009.
22 J.-A. Miller, L'Orientation lacanien: " Le partenaire-symptom," course in the Department of Psychoanalysis,
University of Paris VIII, lesson of 17 December, 1997 (unpublished).
23 J.-A. Miller, "Semblants et sinthome," Cause Freudienne 69 (2008), p. 128.
24 E. Laurent, "Feminine Positions of Being," Psychoanalytical Notebooks 5 (2001), p. 57.
16
Virginia Woolf, battaglia verso un sinthomo
Stella Harrison
Lalingua inglese
La lingua inglese non dispone del termine di «godimento». Lalingua inglese è in difficoltà con
questo significante aperto a tutti i tipi di traduzioni, tradimenti, insidie. Nessun « enjoyment »,
(piacere, sperimentazione della gioia, gratificazione, ndt) né « joy », (gioia, allegria, grande
piacere, felicità, diletto, ndt) può restituire il maltolto. Potrebbe essere che nell’erranza con
questo termine, talvolta tradito fino al rude « sexual enjoyment », l’inglese indichi la sua
difficoltà a « risparmiare », il reale attraverso le parvenze1. Leggiamo ciò che pensava Lacan nel
75 : «credo che è lalingua inglese che fa ostacolo (…) Quelli che mi leggono così, di tanto in
tanto, possono alla fine farsi un’idea della difficoltà che comporta il tradurmi nella lalingua
inglese. Occorre ugualmente riconoscere le cose come sono, non sono il primo ad aver constatato
questa resistenza della lalingua inglese all’inconscio»2 Questo punto è prezioso perché ci indica
in quale lingua ha nuotato Virginia Woolf. Raccomandiamo tuttavia di leggerla anche nel testo,
di frequentare la lalingua di Virginia, più leggera, più incisiva della sua traduzione. E’ nel suo
Journal, tradotto in francese e pubblicato nel 2008, che testimonia, particolarmente, di un
rapporto ardito con il codice. Sembra cercare nella scrittura un discorso che non è di parvenza,
adoperandosi nello stesso tempo a denunciare quanto tutto il discorso sia invece parvenza. Se
non evoca, come Joyce, il desiderio di passare alla posterità, ha nondimeno bisogno di scrivere
ed essere applaudita senza tregua. Non fa mai scalo, non può ancorarsi alla scrittura per ripararsi
dal reale, né può soddisfarsi del sinthomo, lei si mette alla prova per costruirlo.
Victoria, (1837-1901), Virginia. (1882-1914) e il terremoto delle parvenze.
La Regina vittoria è forse all’origine del «fenomeno stupefacente della scoperta dell’inconscio»3
dice Lacan. Con Freud, edito dalla Hogarth Press fondata da Leonard e Virginia Woolf nel 1917,
c’è tutta una corrente letteraria che bollirà nel crogiolo della repressione sessuale che è
l’Inghilterra vittoriana. James Joyce con Ulisse, (1922), Finnegan’s Wake, ( 1939), Virginia
Woolf, i suoi saggi letterari, molti dei suoi romanzi e il suo Journal sconvolgono la scrittura in
Inghilterra all’entrata del XX° secolo. Una camera per sé, Tre Ghinee trattano la condizione
femminile e l’intimità, Orlando (1928) risponde all’imbarazzo del sessuale attraverso la gloria
dell’androgino. Sorge da qui una scrittura che tende ad affrancarsi dalle leggi di genere rese
rigide da Vittoria. Si cerca, nel stream of consciousness, (flusso della coscienza ndt), tecnica
letteraria introdotta nel 1980 dal psicologo Williams James, fratello del romanziere Henry, di
essere il più vicino all’esperienza. Il « ripostiglio», che è il suo Journal, come lo nomina Virginia
stessa, è una giustapposizione di avvenimenti eterocliti: dalla guerra, a Hitler, alla natura e la sua
primavera, alla nascita della psicoanalisi, a Ulisse di Joyce. Poche buone maniere, qui. Ad
eccezione dei codici e discorsi stabiliti. Avendo per armatura il suo Journal Virginia non è
destinata a residenza fallica.
Questi 30 volumi che lo compongono, appunti, quaderni, raccoglitori, « battaglia contro la
depressione»4, noi la diremo battaglia contro il reale, battaglia che precipita le parvenze,
tentativo di sinthomo. La parola è qui convocata a sempre meglio tagliare la Cosa, fuori dal
rivestimento. Si tratta per VW, come dice di lei Sophie Marret, di «catturare nel significante, al
17
di là della parvenza dell’imamgine, il reale che gli è ordinariamente sottratto» 5. Virginia conduce
questo combattimento quasi ogni girono prima dei suoi 15 anni, senza che questo stream of
consciousness argini la sua certezza di «ritornare folle», come scriverà a suo marito prima di
raggiungere il flusso del fiume che la trascinerà a 59 anni.
« Filosofia » di VW
In «La natura delle parvenze»6, Jacques-Alain Miller ci dice che qualche punto di capitone è
sufficiente a fare da «fermaglio» tra il simbolico e l’immaginario per il bambino che costituisce
il suo mondo con il disegno. Si dà il caso, tuttavia, che la questione è di sapere se il reale sia ben
riducibile alla parvenza.
Virginia Woolf, non opera questa riduzione e non disegna.
La sua « filosofia», all’opposto, è «l’idea che dietro la bambagia si nasconde un disegno; a cui
noi - voglio dire tutti gli esseri umani – siamo collegati; che il mondo intero è un’opera d’arte;
che noi partecipiamo all’opera d’arte»7.
Dovrà scrivere senza sosta per rivelare il « Moments of Being », momento d’essere della Cosa,
(titolo del saggio che redige poco prima del suo suicidio, tradotto in francese Istante di vita).
“But what is the thing that lies beneath the semblance of the thing ?” 8, («Cosa si nasconde sotto
l’apparenza della cosa?»), s’interroga. La sua ricerca è mistica. Per la scrittura deve rivelarsi ciò
che sta dietro la parvenza, l’essere e non « la parvenza d’essere che è l’oggetto a », come dice
Lacan9.
Uso delle parvenze. Proposizioni:
1. VW, cerca di fare della scrittura un sinthomo che la tenga insieme, e la sua posizione rispetto
alle parvenze è duplice. Senza essere isterica, è tuttavia ben divisa nel suo godimento. Il
godimento fallico può stabilizzarla come tenteremo di evidenziare, ma la battaglia è ardua : «Oh!
Ecco qui che incomincia ad avvicinarsi … quest’orrore … L’effetto fisico è di un’onda dolorosa
che s’ingrossa nella regione del cuore (…°) Non posso più affrontare quest’orrore! (è l’onda che
si infrange su di me)» 10.
2. VW, ha accesso al «godimento Uno», questo godimento che « lascia in sofferenza l’Altro
godimento, detto femminile che, per non essere passato al significante, apre sull’infinito della
pulsione di morte», come lo scrive Marie-Hélène Blancard a proposito dell’isterica11 Tuttavia, è
precisamente perché l’oggetto a deriva, resiste « ad essere la parvenza che faccia da confine
all’illimitato di questo godimento mortifero»12, che la sua battaglia non è quella di un’isterica.
Lo leggiamo imperativamente in inglese il 3 giugno 1929, qui fallendo la traduzione, a nostro
avviso, la deriva soggettiva ( to sink: annegarsi, affondare ), il brusio metaforico, il reale stesso in
cui si annega Virginia : « Directly I stop working I feel that I am sinking down, down » 13.
(«Appena cesso di lavorare, affondo di più in più nel profondo » 14). VW, scrive per non
sprofondare.
- Lei sembra non aspettarsi nulla dalle parvenze, tanto le barrano la via alla trasparenza della
parola, indispensabile all’accesso diretto all’essere della Cosa, è ciò di cui testimonia senza
interruzione. Talvolta si mostra invasa da un dolore che attende solo la scrittura e i suoi effetti
terapeutici. E’ dubbiosa, rigetta tutte le forme di possesso, ne ride delle parvenze falliche:
18
« Si può veramente essere innamorati di una casa ? Non c’è qui qualcosa di sterile e lo spirito
non si inaridirebbe a questo genere di passioni? (…) E io non ho voglia di possedere dei beni »15
- Talvolta, all’opposto, dà a vedere di appoggiarsi sulle parvenze. Il suo legame con Leonardo la
àncora all’esistenza. Aspira anche a quantificare il suo godimento, conta il numero di copie
vendute dei suoi libri, il numero di anni trascorsi dalla morte di sua madre, di suo padre. Né il
Penisneid, l’Invidia del pene, né le tre K. Freudiane, Kinder, Küche, Kirche, bambino, cucina,
chiesa, la orientano e se non teme la perdita dell’amore dell’oggetto, è la perdita dell’amore del
suo ambiente attorno per le sue opere che lei teme. E’ la perdita dell’oggetto che teme. Nel
marzo 1937, attende nell’orrore, così scrive, gli elogi per il suo ultimo romanzo Les années, Gli
anni. Leggiamo come guarisce dalla sua « follia fredda»: «Perché è sorta improvvisa come una
nuvola carica di pioggia, per scaricare tutta la sua acqua fredda? Perché mi ero interrotta per
scrivere sui dipinti; e poi al teatro ho improvvisamente pensato che la Book Society, la Casa
Editrice, non aveva nemmeno raccomandato Gli Anni».16 Virginia partecipa, senza dubbio, a
questa ricerca evocata da J.-A. Miller: « Se si vuole cercare l’essere nel senso dell’ontico, lo si
trova nel sinthomo e non nelle parvenze che sono gli oggetti a »17.
Intreccia senza tregua buona educazione e irriverenza nel suo Journal, ribelle a fare uso del
discorso stabilito.
Ironia alla mano, per tutta la vita cerca di cogliere la realtà, fuori parvenza, accanendosi, nello
stesso tempo, a mostrare come tutto il discorso è parvenza. Che dire della sua ironia, «ironia »
che, secondo J.-A. Miller : «dice che l’Altro non esiste, che il legame sociale è in fondo un
imbroglio, che non c’è discorso che non sia parvenza? »18 Nel 1921, dopo avere incontrato Vita
Sackville-West, che pure sarà per lungo tempo la sua eletta, le fa questo ritratto: «incantevole,
brillante, aristocratica Sackeville-West. Non è per niente di mio gusto, più esigente – rubiconda,
baffuta, variopinta come una cocorita, possedente tutta l’agile spigliatezza dell’aristocratica, ma
non lo spirito dell’artista»19 E ancora, nel 1927: «Quanto alla sua poesia o alla sua intelligenza,
non posso dire nulla con certezza (…) non innova mai … Raccatta ciò che la marea trascina ai
suoi piedi »20
« Efficacia della lalingua »21 ma fiasco del sinthomo ?
Affermiamo che il simbolico di Virginia Wolf è reale perché si risolve nel legare questo
annodamento: cosa, linguaggio, scrittura. Né il linguaggio né lalingua le permettono, da soli,
l’avvento e l’uccisione della Cosa :
- febbraio 1937: « Mi sento come l’uomo che doveva continuare a danzare sui mattoni ardenti.
Non posso permettermi di fermarmi» (La lingua inglese «Can’t let myself stop »22 è più rude
della traduzione francese che c’invita a condividere le parvenze e al codice di buona condotta,
precisamente poco apprezzato da Virginia).
- marzo1937: L’imperativo del godimento insiste: « E io so che ho bisogno di continuare a
danzare sui mattoni ardenti fino alla morte »23
-- luglio1937: In modo martellante lei ripete questo stesso grido, nel mezzo della conferenza (il
documento è inedito): “I am so composed that nothing is real until I write it ” 24 («Sono fatta in
un modo tale che per me niente è reale finché non lo scrivo »).
-- aprile1939: « E’ la testimonianza di una cosa reale al di là delle apparenze, e io la rendo reale
traducendola in parole. E’ solo traducendola in parole che le do la sua intera realtà. Questa intera
realtà significa che essa ha perduto il suo potere di ferirmi »25.
19
Perché Virginia non giunse ad un saper-fare più solido con il suo dolore? « Un tempo io pensavo
tutti i giorni a lui e alla mamma; ma scrivendo La Promenade au phar, La Passeggiata al faro, li
ho seppelliti nel mio spirito (…) Ciò di cui rimango persuasa, è che entrambi mi ossessionavano
in un modo malsano; e che scrivere su di loro fu un atto necessario (…) Fino alla quarantina, la
presenza di mia madre mi ossessionò. Sentivo la sua voce, la vedevo (…)26, scrissi il libro
velocemente. E quando fu scritto, cessai d’essere ossessionata da mia madre. Non sento più la
sua voce; non la vedo più. Suppongo feci per me ciò che gli psicoanalisti fanno per i loro
malati»27. Precisamente.
Virginia Wolf non troverà più rifugio fino alla sua fine, malgrado questa costrizione a scrivere, a
tutto stendere giù sulla carta (« write down »), merluzzo, salsicce, stoccafisso 28… E’ questa
realtà, legna da ardere nel fiume che l’inghiottirà? «Ciò che può sperare, è di appoggiarsi alla
realtà per fare barriera al reale » dice di lei Jacques Aubert 29.
Se la produzione del sinthomo non ha per conseguenza automatica la protezione del « reale
traumatico»30, rimane difficile affermare che Virginia Wolf giunga a « fare della lettera un uso
che non sia parvenza», come dice J.-A. Miller a proposito del sinthomo31 che giunge al punto in
cui noi cogliamo, a leggere Guillaume Belaga che produce una verità, che «non si parla né si
grida ma si scrive »32
VW giunge a ridurre l’elemento significante del sintomo allo statuto di lettera, fino a produrre
«un S1 che la sostiene e l’orienta nella singolarità del suo modo di godere »? Potremmo
affermare che il suo cruccio non è stato quello della lettera, delle parole, come Joyce, come
Mallarmé, ma per lei si è trattato di venire a capo della realtà, con tutti i mezzi. Si è stremata nel
tentare di scrivere delle sintassi diverse per il Journal, la finzione, i saggi, il teatro con questa
preoccupazione: rivelazione della realtà e del lutto dell’oggetto.
E che dire del suo suicidio se non che, a leggere Lacan nel 1971, come la scrittura, rimane un
tentativo mancato per il suo godimento?
Traduzione di Valerio Canzian
J.-A. Miller, « La nature des semblants », « Della natura dei sembianti », 18, 12, 91».
J. Lacan, Le Séminaire XXII- R.S.I , 1974-11 febbraio 1975.
3 Ibid .
4 V. Woolf, Journal intégral, 1915-1941, traduzione di Colette- Marie Huet et Marie-Ange Dutartre , La
Cosmopolite, Stock, settembre 2008, p.222.
5 S. Marret, « Divagazioni », Le pur et l’impur, Il puro e l’impuro, sotto la direzione di Catherine Bernard et
Christine Reynier, Colloquio de Cerisy, p.111.
6 J.-A. Miller, « La nature des semblants », Della natura dei sembianti 26/02/92).
7 V Woolf, Instants de vie, p.80. Istanti di vita, p. 80.
8 V. Woolf, “A sketsch of the past”, Moments of Being, “Uno schizzo del passato”, Momenti d’essere, New-York,
Harcourt Brace, Jovanovitch, 1985, p 50.
9 J.Lacan, Le Séminaire Libro XX, Encore, p. 87. Il seminario Libro XX, Ancora, p. 87.
10 V. Woolf, Journal intégral, Giornale integrale, p.157.
11 M. H. Blancard, Semblants et sinthome, Sembianti e sinthomo, testi riuniti da J. – A. Miller, collettivo, Scilicet,
École de la Cause freudienne, 2009, p.65
12 Ibid.
13 V. Woolf, The Diary of Virginia Woolf, Il Diario di Virginia Wolf, Édition Anne Olivier Bell, Assistita da Andrew
Mc Neillie, Volume 3, p. 235.
14 Ibid., p.764.
15 Ibid., p 725.
16 Ibid., p 1245.
1
2
20
J.-A. Miller, L’Orientation lacanienne, L’orientamento lacaniano « Choses de finesse en psychanalyse, Cose di
finezza in psicoanalisi» 15 aprile 2009.
18 J.-A. Miller, « Clinique ironique », « Clinica ironica », La Cause freudienne n° 23 page 7.
19 V. Woolf, Journal intégral, p. 249
20 Ibid., p.222
21 J. Lacan, Le Séminaire de Caracas, L’Âne, aprile-mggio 87.
22 V. Woolf, Journa lintégral, p. 1237.
17
23
Ib
Ibid., p. 1249.
V. Woolf, Memorie di Julian Bell. The Platform of Time Memoirs of Family and Friends Hesperus, 2008, La
piattaforma del Tempo delle Memorie di Famiglia e Amici Hesperus, 2008.
25 Ibid., p.80
26 Instants de vie, Istanti di vita, p.91, tradotto dall’inglese da Colette-Marie Huet, Nouveau cabinet Cosmopolite,
Stock, 1976, Paris.
27 Ibid p 89.
28 Haddock & sausage meat. I think it is true that one gains a certain hold on sausage & haddock by writing them
down 1. Merluzzo & salsiccia. Penso sia vero che si guadagna una certa padronanza su salsicce & merluzzo
scrivendone. The Diary of Virginia Woolf, Il Diario di VW. Édizione Anne Olivier Bell, Assistita da
Andrew Mc Neillie, Volume 5, p.358.
Journal intégral, « Haddock et saucisse au menu. C’est vrai, je crois que l’on acquiert une certaine maîtrise
sur la saucisse et la merluche en les couchant sur le papier », p.1526. «Merluzzo e salsiccia per menù. E’
vero, credo che si acquisisca una certa padronanza su salsicce e merluzzo stendendole sulla carta », p.1526
29 J. Aubert, « Positions », Identité, politique, écriture, Identità, politica, scrittura, sotto la direzione di Françoise
Duroux, « Indigo, agosto 2008, p 94.
30 G. Belaga, Semblants et sinthome, Sembianti e sinthomo, op.cit., p 354.
31 J.-A. Miller, L’Orientation lacanienne, « Tout le monde est fou », 14 mai 2008. L’orientamento lacaniano, « Sono
tutti folli », 14 mai 2008
32 G.Belaga, op.cit., p.354.
24
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Délégué général AMP
Eric Laurent
Comité d'action de l'Ecole-Une
Lizbeth Ahumada
Marie-Helene Blancard
Luisella Brusa
Anne Lysy
Ana Lydia Santiago
Silvia Tendlarz
Hebe Tizio
Design
Joao Carlos Martins
Réalisation
Philippe Benichou
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