la storia della famiglia nei ricordi di carlo pinarello

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la storia della famiglia nei ricordi di carlo pinarello
OTTANT’ANNI DI VITA A CATENA DI VILLORBA
nei ricordi di
CARLO PINARELLO
di Adriano Favaro
2
OTTANT’ANNI DI VITA A CATENA DI VILLORBA
nei ricordi di
CARLO PINARELLO
***
di Adriano Favaro
1
RINGRAZIAMENTI:
Un mio particolare cenno di riconoscenza va anzitutto alla Sig.ra Antonia Zanini
per la sua costante e ultradecennale opera di sostegno alle mie iniziative per
Catena di Villorba, oltretutto svolta a titolo di puro volontarismo.
Un ringraziamento va, ovviamente, a tutta la mia famiglia per non avermi mai
fatto mancare un valido sostegno anche in momenti a volte di notevole difficoltà,
nella vita di tutti i giorni, nel lavoro e nelle mie tante iniziative per Catena di
Villorba.
Carlo Pinarello
La foto di copertina:
La popolazione di Catena di Villorba raccolta attono alla sua chiesa. E' il 13 aprile 1975 ed è
in corso la prima inaugurazione del Monumento ai Caduti "Bocia del '24 e Ragazzi del '99".
E’ una immagine di autentica partecipazione corale, risalente a tempi nei quali ancora non
c'era il traffico attuale e neppure il sottopasso stradale.
SOMMARIO
Introduzione
7-8
Carlo Pinarello e Antonia Zanini: un lungo sodalizio
9-10
Dalle memorie di Carlo Pinarello un contributo alla storia del paese di Catena di Villorba
11-12
Carlo Pinarello e Papa Giovanni XXIII°
13-14
Carlo Pinarello e la vita di via Marconi
15-16
La storia della famiglia Pinarello di Catena di Villorba.
17-18
La tragica fine di Cipriano Pinarello
19-21
Pietro Pinarello
Bombe americane per Marsiana Pinarello
21
22-25
I fratelli Giuseppe, Maria e Angela Pinarello
26
La storia della sua famiglia nei ricordi di Carlo Pinarello
28
La classe 1924
31-32
La lunga strada dei Pinarello per conquistare il benessere
34-44
L'antica "Cal dee roe"
35-42
Carlo con i partigiani
45-46
Pugni e baruffe
47
I ricordi di Elsa Torresan
52-54
I ricordi di Floriana e Paolo Pinarello
48-53
L'antica osteria "da Coppi" e l'officina Pinarello
57-60
Catena di un tempo
61
Il primo distributore del paese
63-64
Il paese di Catena nel Settecento
65-66
Antiche ville e rustici di Catena
64-68
Poverta' e sottosviluppo a Villorba nel primo dopoguerra
69
Le nostre grandi campane: gara tra Lancenigo e Villorba
70
L'antico molino Curtolo
73
Personaggi indimenticabili di Catena: "Lole" Capeet
77-78
Personaggi indimenticabili di Catena: la maestra Assunta Bassan
79-80
Personaggi indimenticabili: il cavaliere di Vittorio Veneto Emilio Roveda
81
Personaggi indimenticabili: il sindaco maestro Luciano Durigon
82
Personaggi indimenticabili: il tenore Mario Del Monaco
83-86
Nasce la mitica bici Pinarello
87-88
La storia di "Nani" Pinarello
89-90
I corridori di contrada -"Pinarello, la maglia nera è diventato un artista..."
95-98
L'unione ciclisti trevigiani e la storia del ciclismo trevigiano
95-96
La storia del ciclismo trevigiano di Ernesto Brunetta
La contrada del ciclismo
I Pinarello, due fratelli che hanno fatto la storia di Catena...e non solo!
97-100
101-102
103
La storia del club Indurain di Catena di Villorba
105-122
Il Giro d'Italia...che passione! La storia
123-126
Il 77° Giro d'Italia (1994) passa per Catena
126
L' 81° Giro d'Italia: la tappa volante di Catena di Villorba
127-134
Il campione Felice Gimondi a Casa Marani
135-136
L'indimenticabile Berto Amadio
139-140
La grande mostra permanente di opere d'arte dedicate al ciclismo
141-144
Opere d'arte a perenne memoria dei campioni del ciclismo
145
Campionato mondiale ciclismo su strada sul Montello-1985
146
La galleria d'arte di Carlo Pinarello
147-152
Adolfo Grosso campione trevigiano del passato ritratto nella galleria d'arte Pinarello
153-154
Il gruppo di amici con i Pinarello di fronte al dipinto "Nani Pinarello -maglia nera"
155-156
La storia del ciclismo nei ritratti
159-164
Adriano Durante un campione di casa nostra
167
I campioni nei dipinti di Gina Roma
168-180
L' 81° Giro d'Italia, nel segno di Marco Pantani, passo' per Catena
175-176
Ciclismo in rosa
181-182
Una vita per la bicicletta
185
Come realizzò quest'opera la pittrice Gina Roma?
186
Un archivio di fotografie sul mondo del ciclismo...e non solo
190
Cenni biografici dei campioni presenti nelle opere della galleria Pinarello
200
L'impegno di Carlo Pinarello nella associazione Bocia del '24 e Ragazzi del '99
207
La classe del 1924
208
Una roccia del Montello per il monumento ai caduti
209
Emilio Roveda Cavaliere di Vittorio Veneto
225-227
I Ragazzi del '99 offrono la bandiera tricolore alla scuola media di Villorba
239-240
Gina Roma e i colori del sacro a Catena di Villorba
243-244
I dipinti di Gina Roma a Catena nei ricordi di Carlo Pinarello
245
Profilo Biografico di Gina Roma
246
Gina Roma e la chiesa di Catena
249-250
Il saluto della comunita' a don Domenico Trivellin
281-282
Gente di Catena insieme per socializzare e condividere passioni ed entusiasmi
283-284
La visita al cimitero militare italiano di Westhausen a Francoforte sul Meno
L'associazione dei Carli di Villorba
285-298
299
Personalità di rilievo per la storia sociale di Catena
301-302
L'associazione degli "Alcioni" d'Italia...un modo allegro per stare insieme
303-307
I luoghi della socializzazione
La tradizione delle grandi cene collettive della famiglia Marchetti
308
309-320
7
INTRODUZIONE
Questo libro racconta a tutti coloro che vorranno accostarsi alle sue pagine, la storia di
una persona che ha trascorso la sua vita operosa tutta all’interno della comunità della piccola frazione di Catena di Villorba (TV),
Carlo Pinarello, classe 1924
posta sulla strada che da Treviso, fin dai tempi
antichi, porta al Piave per Lovadina.
All’incrocio di questa antica via con quella
ancor più vetusta della Postumia romana,
sorge Catena.
Conosco Carlo Pinarello, il protagonista di
questa storia, da tempo immemorabile: ma
chi non lo conosce a Villorba, nel trevigiano
ed anche altrove?
La sua è una famiglia laboriosa come poche,
industriosa nel vero senso della parola, tanto
da aver a suo tempo avviato,assieme al fratello Nani, una fabbrica di biciclette nota ormai
in ogni angolo del mondo.
Ma Carlo Pinarello è noto nel territorio
soprattutto per la sua sensibilità umana, per
l’amore per lo sport e per l‘arte, per lo spirito
“sociale” che lo anima: attorno a lui, vero
motore della socializzazione a Catena, in questi ultimi 50 anni è accorsa tanta gente per
aiutarlo a costruire questa sua idea di vita
comunitaria, in questo suo sforzo di aggregazione.
Tante le iniziative che lo hanno visto protagonista:l’Associazione Miguel Indurain, la
costruzione e inaugurazione del monumento
ai Bocia del ‘24 e Ragazzi del ‘99,
l’Associazione dei Carli di Villorba, la realizzazione per la chiesa di Catena di una serie di
splendide opere d’arte della pittrice Gina
Roma, senza dimenticare le tante gare ciclistiche organizzate, le gite sociali di cui fu animatore e tante altre iniziative che troverete
descritte nelle pagine di questo libro.
Tuttavia l’iniziativa di Carlo con la quale ha
impresso un segno di rilievo nella memoria di
tanta gente, anche per l’inconsueto impatto
visivo, è stata la sua straordinaria ed innovativa decisione di sbarazzarsi delle insegne pubblicitarie di cui era costellato il suo negozio,
come avviene ovunque oggigiorno. Una invasione alla quale Carlo si è opposto ed ha voluto sulle pareti esterne della sua attività commerciale, invece di tanti cartelli pubblicitari,
tante opere d’arte realizzate su formelle di
ceramica di grandi dimensioni e in affresco,
realizzate da artisti diversi ed aventi per soggetto i campioni del ciclismo, a testimonianza
del grande amore per lo sport, suo e della sua
famiglia. Credo proprio che Carlo Pinarello
con l’iniziativa di esporre sulle pareti esterne
della sua casa-negozio le numerose opere
d’arte, abbia inconsciamente ripercorso l’antica tradizione della nostre case e ville di campagna che un tempo i proprietari erano orgogliosi di adornare, proprio nelle pareti esterne,
di affreschi con immagini di santi, meridiane,
ex-voto, scene della storia biblica, con la
dichiarata finalità di trasmettere al passante il
piacere di una visione edificante di immagini
sacre, ma a volte anche profane, rappresentando così, in definitiva, cultura e credenze
8
del committente. Carlo Pinarello, uomo di
sport, passione alla quale in fondo ha dedicato gran parte della sua vita, non poteva che
voler trasmettere, ai tanti passanti e clienti che
hanno transitato nei decenni di fronte alla facciata della sua abitazione-negozio, il suo
credo, la sua fede sportiva, il motore di gran
parte delle sue attività. E ancor oggi la gente
che passa per Catena di Villorba osserva con
piacere e curiosità i volti dei tanti campioni,
dei ed eroi di questo nostro tempo.
Nella foto sopra:
Festeggiamenti per gli 80 anni di Carlo Pinarello. Nato il 6 maggio 1924 a Lancenigo, si è sposato con Elsa Torresan il 15 febbraio 1953. Qui compare con la moglie ed il fratello Giovanni
“Nani” Pinarello.
9
CARLO PINARELLO e ANTONIA ZANINI
-un lungo sodalizio-
Una bella istantanea di Carlo Pinarello e Antonia Zanini ricevuti da Papa Giovanni Paolo
II durante uno dei suoi soggiorni nella residenza di Lorenzago di Cadore. Un’ immagine
analoga viene riproposta anche a pag. 15.
10
Sopra: I cavalieri del Lavoro Carlo Pinarello e Antonia Zanini assieme a Giovanni Pinarello (a
sin.) e Fabio Grespan (a dx.) all’atto della nomina (1984).
In queste due immagini Carlo Pinarello e Antonia Zanini in due diversi momenti.
Il sodalizio culturale e di civiche passioni, tra Carlo Pinarello e la sig.ra Antonia Zanini è stato
ultradecennale: non c’è iniziativa di Carlo Pinarello che non abbia avuto in Antonia Zanini un
valido supporto, vero braccio destro di Carlo nel dar vita e sostanza alle sue tante idee ed iniziative che sono state avviate negli ultimi trent’anni.
Antonia Zanini è stata ed è per il paese di Villorba una di quelle figure quasi istituzionali, stimata Presidente di Circolo, Cavaliere della Repubblica, Presidente della Pro Loco e Segretaria del
Sodalizio “Ragazzi del ‘99-Bocia del ‘24 di Villorba”.
DALLE MEMORIE
DI CARLO PINARELLO UN
CONTRIBUTO ALLA STORIA DEL PAESE
11
el 2005 Carlo Pinarello spinto dal
bisogno di tramandare ai nipoti, ai
famigliari tutti, ai tanti compaesani
le memorie della sua difficile e laboriosa
esistenza, inizia a scrivere le sue memorie
su di una agenda che riportiamo nella pagina a fianco.
Carlo Pinarello ha frequentato solo le elementari ed in condizioni precarie: non aveva
certo il tempo di ripassare le lezioni dopo la
scuola, vista la dura lotta per procurarsi di
che sfamarsi in quei tempi difficili della sua
infanzia..
Proviene da una delle più povere famiglie
del paese e, pur essendo stato a scuola uno
dei migliori alunni della maestra Bassan,
tuttavia dovette abbandonare ben presto gli
studi per buttarsi nella battaglia della vita.
Il suo mestiere dunque non fu quello di tenere la penna in mano, di scrivere e non potè
nemmeno coltivare questo aspetto: ecco
allora la scrittura incerta e a volte sgrammaticata di quest’uomo di oltre ottant’anni, ma
quanta forza, determinazione, impegno
sociale esprime con quello che ha realizzato
negli anni e che ha tentato di mettere per
iscritto.
Così, come sempre, Carlo ricorre alla fidata
“consulente” la sig.ra Antonia Zanini per un
parere sul miglior mezzo per tradurre la sua
vicenda umana, le sue memorie, in un testo
che le possa diffondere e tramandare.
Antonia Zanini è stata ed è per il paese di
Villorba una di quelle figure quasi istituzionali: per decenni stimata insegnante,
Presidente di Circolo, Cavaliere della
Repubblica, Presidente della Pro Loco, è
stata formidabile animatrice a fianco di
Carlo Pinarello della vita socio-culturale del
paese.
Antonia Zanini indicò nella persona del sottoscritto il possibile “traduttore” della
“vicenda storica ed umana” di Carlo
N
Pinarello.
Quando Carlo si rivolse a chi scrive mi sentii davvero onorato: mio padre Lino Favaro
è anch’esso un Bocia del ‘24, come Carlo ha
vissuto difficoltà e privazioni prima di riuscire a risollevarsi economicamente ed ho
avuto sempre ammirazione per queste generazioni che hanno saputo affrontare tempi
ben più difficili degli attuali, uscendo dai
disastri di una guerra ed avere ancora la
forza di ricostruire, di ingegnarsi e trovare le
vie per uno sviluppo sociale ed economico
del quale godiamo ancora i benefici.
Accettai pertanto ben volentieri: iniziai
quindi a frequentare casa Pinarello a Catena,
registrando le nostre conversazioni e visionando la gran quantità di immagini che la
famiglia Pinarello ha raccolto a documentazione della loro storia.
La stragrande maggioranza di queste risalgono ovviamente agli anni posteriori al
dopoguerra.
Un po’ alla volta la sua storia è venuta alla
luce raccogliendo volta a volta dei frammenti che a Carlo parevano magari insignificanti ma che alla fine, tessera dopo tessera, hanno permesso di costruire un mosaico
che rappresenta abbastanza fedelmente la
sua storia.
Importante è stato l’apporto, in quest’opera
di ricostruzione, di Antonia Zanini che ha
messo a disposizione il suo personale e
vasto archivio di fotografie, articoli di quotidiani, lettere, appunti relativi agli ultimi
quarant’anni di storia culturale e sociale del
paese che l’ha vista protagonista a fianco di
Carlo Pinarello.
12
Sopra: Il manoscritto di Carlo Pinarello. Carlo iniziò a scrivere le sue memorie su
questa agenda.
13
Una bella istantanea di Carlo Pinarello ricevuto da
Papa Giovanni Paolo II durante uno dei suoi soggiorni nella residenza di Lorenzago di Cadore.
14
15
CARLO PINARELLO E LA
VIA MARCONI, IL FULC
Carlo Pinarello di fronte al suo distributore di benzina, vero fulcr
anche alla presenza, di fronte, della famosa “Osteria da Coppi”, q
zione per tutto il paese. In questa fotografia degli anni ‘70 si nota
A VITA DI VIA MARCONI
16
CRO DI QUESTA STORIA
ro della vita paesana. Grazie al suo distributore sempre aperto ed
questo luogo é divenuto punto di incontro, di dialogo e socializzaanche la frenetica vita del paese di Catena.
17
LA STORIA DELLA FAMIGLIA
PINARELLO DI CATENA
Virginia Guerretta, mamma di Carlo Pinarello
i Virginia Guerretta scrisse un giornalista de “ La Gazzetta dello Sport” ( 7
gennaio 1965): “...la miseria la ricorda
ogni tanto e insegna più della ricchezza.
La ricorda attraverso sua madre che oggi non
ha acceso la stufa in casa e così c’è freddo.
Perché lei quando è sola non l’accende mai.
Cosa se ne fa del fuoco a 75 anni, quando non
ne ha potuto godere negli inverni della sua vita
più bella? Eppure dodici figli li ha messi al
mondo, al freddo. “Dodici figli, e mangiar
D
poco” dice Nani. “Questa è stata la sua vita”.
E lei, una donna nera, due occhi ancor vivi,
pungenti, si schermisce come d’una immeritata
lode: “Facevano tutti così nelle nostre campagne”.
Al freddo, un freddo che le accompagnava fin
dall’infanzia. Poi prendevano marito, se ne
andavano spose per cambiare miseria. Una vita
puntuale soltanto nel male, nei dispiaceri...”
18
Lorenzo Pinarello, padre di Carlo Pinarello
icorda Carlo: “Dopo una vita dedicata
interamente al lavoro mio padre morirà
a 69 anni a causa di una scheggia che
gli si era conficcata in una gamba in occasione
del bombardamento americano (1945) che
aveva colpito la nostra casa di allora, posta a
Lancenigo dove eravamo sfollati.
Il medico che aveva tenuto in cura per circa 10
anni (aveva lo studio a Treviso in Piazza del
Grano) la ferita di mio padre, ad un certo
punto decise di cucire la ferita che suppurava,
R
ma fu peggio perchè questa finì in cancrena.
Mio padre soffrì molto e Bepi Carer che abitava qua vicino, in via Borgo, diceva di sentire le
urla ed i pianti di mio padre, “pensa poro fiol
quanto ch’el sofriva e sì che’el jera uno de
quei forti che prima de lamentarse...”.
19
LA TRAGICA FINE
DI CIPRIANO PINARELLO
guadagnava un po’ di più (n.b.:il
lavoro in fornace era più pesante per l’altissimo calore che si
sviluppava dentro al forno dove
bisognava entrare per prelevare
con una carriola i mattoni appena cotti. Chi ci lavorava aveva
vita breve), ma il Bettiol, invece
lo mise nella cava a tirar su creta,
e a spingere carrelli: si sentì umiliato e decise di licenziarsi e
trovò lavoro all’Officina del Gas
alla stazione dei pullman di
Treviso.
A fianco: Cipriano Pinarello fratello di
Carlo, morì nel febbraio 1946. Aveva trentatrè anni, lasciò tre figli e la moglie Gemma
Grespan
I fratelli di Carlo Pinarello furono:
Nani, Piero, Cipriano, Angina, Bepi,
Maria, Angin, Marsiana e altri tre
che morirono appena nati.
Della numerosa schiera di figlioli di
Lorenzo Pinarello e Virginia
Guerretta solo tre sono ancora
viventi: Nani, Carlo e Maria.
Ecco alcuni ricordi di Carlo a proposito della storia, a volte tragica, di
alcuni dei suoi tanti fratelli :
“Cipriano era della Classe del
1912.... prima del bombardamento di
Treviso lavorava alla fornace Bettiol
di Lancenigo, e sperava tanto di
essere scelto per andare a lavorare
dentro alla fornace, ai forni, dove si
SOTTO IL BOMBARDAMENTO
DI TREVISO
Il giorno del bombardamento di
Treviso del 7 aprile 1944 (L’attacco
americano provocò 1600 vittime fra
i civili e la distruzione o il danneggiamento di oltre l’80 % del patrimonio edilizio, ivi compresi i principali monumenti storici e artistici)
lui e Piero Torresan (Piero, Toni e
Marcello Torresan abitavano qui in
paese alla Strada Bassa, alla
Crosera) erano al lavoro ma si salvarono perchè avevano trovato riparo
in un rifugio che, raccontarono, si
scuoteva tutto per le esplosioni che
20
Una drammatica immagine di una via di Treviso danneggiata dai bombardamenti alleati il 7
aprile 1944
colpivano l’Officina del Gas.
Sopravissuti al bombardamento
vestiti da lavoro, cioè di stracci
mezzi bruciati (d’altra parte erano
addetti ad alimentare il forno a carbone e le tute di lavoro si riducevano in stracci in poco tempo) si diressero subito verso casa, a Catena di
Villorba. Per strada incontrarono un
loro collega, un certo Lorenzon
detto “Biciarin”, il quale, vistili
“spasemai”, abbracciati stretti dallo
spavento, li accompagnò a casa a
Catena.
Dopo alcuni mesi Cipriano riprese a
lavorare: doveva andarci in biciclet-
ta, allora non c’erano altri mezzi.
Visto che la bicicletta gli era stata
distrutta dalle bombe gliela prestammo Nani ed io: era una bicicletta che
ci era stata consegnata da un cliente,
per aggiustarla, cioè dal fratello di
Piero e “Gusto” Armenter, uno qui di
Catena; l’avevamo già riparata e
così, temporaneamente, Cipriano la
usava per recarsi al lavoro, anche se
era senza fanale.”
Il fatto tragico della storia di
Cipriano lo ricorda con esattezza
anche la moglie di Carlo che racconta: “Una sera del febbraio 1946
all’ex-Casa del Fascio che sorgeva
dove ora c’è il Municipio, a
Carità di Villorba, c’era una
festa e Carlo ed io stavamo
ballando,
d’altra
parte
era
Carnevale: ad un tratto si sentì un
colpo sordo, poi due ragazzi scesero
da un’auto e di corsa si avviarono
verso la stazione di Lancenigo.
Alla nostra richiesta di informazioni
su quel rumore sordo dissero che
non era successo nulla.
Invece verso le quattro del mattino
Gildo Fuser trovò Cipriano nel fosso
che costeggia la Pontebbana, a fianco di villa Angelica .
Aggiunge Carlo: Un’auto condotta
credo da “imbriaghi, da do briganti”
lo aveva ammazzato: “el gera uno
dei meio omeni del paese”.
Aveva trentatrè anni, lasciò tre figli
e la moglie Gemma Grespan.
Le indagini non ebbero alcun risultato, allora a Spresiano c’era un
21
maresciallo dei Carabinieri che sembrò non avere molto interesse per
questa vicenda.
Abitavamo tutti nella stessa casa e
così per un anno abbiamo mangiato
tutti assieme fino a quando nostra
cognata Gemma trovò lavoro alla
filatura Monti di Maserada.
NOTA STORICA
Piero PINARELLO
Uno dei fratelli di Carlo, Piero
Pinarello, della Classe del 1911, a 24
anni, nel 1935, volle andare a combattere volontario nella guerra di Spagna,
la terribile guerra civile che durò dal
1936 al 1939.
Ricorda Carlo che “...con i soldi della
sua diaria cominciammo a mangiare
qualche buon pasto, perchè Piero ci
inviava a casa i soldi della diaria guadagnati facendo il soldato...”.
Dopo lo scoppio della guerra civile in
Spagna (18 luglio 1936) il regime fascista
italiano decise di correre in soccorso dei
nazionalisti spagnoli guidati da Francisco
Franco, capo della giunta militare.
La partecipazione italiana fu eccezionale:
74.285 soldati con 1.930 cannoni, 10.135
mitragliatrici, 240.747 fucili e 7.663 automezzi; 5.699 aviatori con 763 aeroplani; 91
unità navali.
Sul fronte opposto dei repubblicani ci furono altri italiani, i volontari delle brigate
Internazionali, inquadrati in una forza
internazionale cui partecipavano 40.000
volontari di 52 paesi dei cinque continenti.
I volontari italiani, inquadrati nella
Brigata Garibaldi, furono circa 3.350.
Numerosi furono i caduti in entrambi gli
schieramenti.
BOMBE AMERICANE PER
MARSIANA PINARELLO
22
a guerra era certo finita il 25
aprile del 1945 (In quel giorno il Comitato di Liberazione
Nazionale lanciava la parola d’ordine dell’insurrezione: da allora il 25
aprile è Festa della Liberazione), ma
in giro c’erano ancora tedeschi e gli
americani ci bombardavano di continuo, in particolar modo lungo la ferrovia che a Catena attraversa in
lungo tutto il paese.
Durante uno di questi bombardamenti anche Nani venne ferito ad una
gamba e così siamo dovuti sfollare
nel Borgo di Lancenigo, lontano
dalla ferrovia e ci rimanemmo fino
alla liberazione effettiva.
Ma l’ultima “ora de guera” gli americani ci hanno bombardato anche
l’abitazione dove eravamo sfollati:
mia sorella Marsiana di tredici anni
venne uccisa, mia madre e mio padre
feriti, morirono un’altra mia cugina
ed uno zio ed iniziò così il nostro
Calvario. Come noi era stato colpito
anche il nostro vicino di casa
“Papusse” Zanatta.
Accadde tutto in un momento: era
festa quel giorno, era terminata la
guerra, festeggiavamo la Liberazione
ed io ero in attesa che i miei amici
partigiani venissero a chiamarmi per
far festa, ma quella sera Nani ed io
(allora avevo ventuno anni) non eravamo in casa, infatti “de note dormivimo nea tieda del santoeo Vittore
Pinarel” a quattrocento metri di
distanza, al di la della strada del
Borgo, e questo ci salvò: tra i giova-
L
Marsiana Pinarello, l’amatissima sorella di Carlo
Pinarello colpita dalle bombe alleate nel 1945.
23
347
Lapide in memoria di Marsiana Pinarello, sorella di Carlo. "Marsiana Pinarello 19321945. Nel 50° anniversario amici del '32 a perenne ricordo 30 aprile 1995"
ni partigiani che erano appena giunti a
trovarci, credendo di incontrarci nella
nostra casa, c’erano Gusto Carniel (
aveva l’osteria al Canile), poi c’erano
anche Bruno Gagno e suo fratello gemello Carlo 1.
Ad un tratto suonò l’allarme, mi affacciai
al balcone della cucina di mio “santolo
Pinarel”, sotto il cui portico avevamo iniziato nuovamente a riparare biciclette, e
vedemmo le bombe sfrecciare in direzione della nostra casa: erano aerei americani che vedendo un assembramento di persone pensarono bene di sganciare delle
bombe e mitragliare.
Corremmo immediatamente verso casa.
Incontrai per strada mia sorella Maria che
stava correndo verso di me per venirmi a
chiamare: si salvò per questo.
Corremmo dunque a casa, le bombe
erano appena scoppiate, tutto era distrutto: subito abbiamo provveduto ad estrarre i familiari dalle macerie: Marsiana era
ancora in vita e le sue uniche parole furono “i a colpio, i a colpio”, subito dopo
morì (n.d.a.: a sua memoria le verrà intitolata una via al centro di Catena).
Provvedemmo a trasportare in Ospedale,
a Casier, mia sorella e mia mamma, che
era stata colpita dalle bombe mentre era
in cucina ed era stata ferita alla schiena da
due schegge, ed anche il papà, “a xè stada
dura quea matina !..” afferma sconsolato
Carlo Pinarello.
Come noi era stata colpita, non da
bombe, ma da sventagliate di mitraglia,
anche la famiglia dei “Gati” (famiglia
Gatto), la famiglia di “Papusse” Zanatta
il cui soprannome deriva da “papusse” (
“scarponsin de pano tenaro” precisa
Carlo ) faceva il ciabattino nel Borgo.
Suoi figli erano Gregorio e Ferruccio,
mentre loro cugina era Lina Zanatta in
Gatto che poi sposò uno “dea Pisoera”.
1: Abitavano a Fontane ma erano di Villorba,
prima abitavano di fronte alla cartiera
Marsoni, poi Carlo venne ad abitare a
Catena.
24
Alfredo Gianfreda al microfono. Gianfreda, originario di Catena di Villorba poi emigrato in
Australia, era coetaneo di Marsiana Pinarello poi uccisa da bombe americane il 25 aprile 1945.
Chiese al Comune di Villorba di ricordare la sua coetanea intitolandole una strada.
A sin. Alfredo Gianfreda. A dx il parroco Don Mariano. Al centro la moglie di Paolo Pinarello
con la bambina Virginia.
25
La lettera con la quale Alfredo Gianfreda, un concittadino villorbese emigrato in Australia, chiede al Comune l’intitolazione di una via al nome di Marsiana Pinarello:
“Al Sig. Assessore Comune di Villorba
Il sottoscritto Alfredo Gianfreda, nato in codesto comune il 4-2-1928, inoltra la presente come
“Memorandum” per la citazione di una via - o viale - (a Catena) alla memoria della cara giovanetta: “MARSIANA PINARELLO” morta nell’ultimo giorno della brutale guerra “non voluta” del 1940-’45, da una inutile bomba sganciata da un criminale pilota anglo-americano.
Questa giovanetta non è stata solo coetanea, bensì strettamente amica di giochi con le mie sorelle minori.
Per fare una cosa buona non è mai troppo tardi specialmente non solo insegnando ai giovani,
ma dare un simbolo di merito alla memoria basato sopratutto nei sentimenti di grande “Umana
Pietà”.
Alfredo Gianfreda
I FRATELLI PINARELLO
GIUSEPPE, MARIA E ANGELA
26
Riportiamo di seguito alcune succinte
notizie biografiche su altri fratelli
Pinarello:
GIUSEPPE PINARELLO:
Della classe 1920 (+1990), fece il militare a Roma dove conobbe la moglie
Severina che poi sposò a 18 anni.
Alpino fece la guerra in Grecia e
Albania. Ha avuto un figlio, Cipriano,
nato nel 1949.
Angela Pinarello.
MARIA PINARELLO:
Della classe del 1926 sposò giovane un
valente tecnico, Gino Mondini e con lui
si trasferì a Milano. Ha un figlio, Carlo,
ingegnere meccanico.
ANGELA PINARELLO:
Era della classe 1916 ; morì nel 1936 a
soli 20 anni.
A sin. Giuseppe “Bepi” Pinarello.
A dx. Giovanni “Nani” Pinarello
27
Regno Lombardo Veneto
Provincia di Treviso
Treviso
questo giorno di giovedì 23 marzo 1854,
regnando
S. M.I.R.A. Francesco Giuseppe Primo Imperatore d’Austria,
d’Ungheria, Boemia, Lombardia, Venezia, ecc.
Comparsi personalmente innanzi di me Notaio ed alla presenza delli due qui pure sottofirmati
noti ed idonei testimoni il sig. Ferdinando Alberghetti di Pietro e Giuseppe Pinarello fu
Angelo possidenti
domiciliati in Parrocchia di Lancenigo,
divennero d’accordo a stipulare
il seguente atto....
Regio Ufficio del Registro pegli Atti Civili e Successioni di Treviso
Certificato di denunciata successione
Su iudice all’articolo sedici del Regolamento per la conservazione dei catasti approvato col
Reale Decreto 24 dicembre 1870 n.6151
si certifica
essere stato dichiarato a questo ufficio mediante denuncia registrata il dì 11 settembre 1883 al
n.726-118 volume 14 atti pubblici
e posta al n. 118 vol. 32 successioni che
PINARELLO ANTONIA qm. GIUSEPPE
morì in Lancenigo di Villorba nel giorno tredici maggio 1883 e che la sostanza consistente in
beni immobili da essa defunta abbandonata appartiene in forza di legge ai figli Moro, Beatrice,
Luigi, Maria, Antonio, Erminia, Giuseppe ecc. ecc...
Villorba 23 giugno 1923
All’Ill.mo Sig. Commissario Prefettizio di Villorba per la Regia Questura di Treviso.
Il sottoscritto
Pinarello Sante esercente
del Comune di Villorba
fa istanza alla S.V. Ill.ma onde ottenere
a rinnovazione pel 1923 della licenza
per la minuta vendita di liquori.
Sperando un benevolo accoglimento
sentitamente ringrazia.
Unisce le prescritte marche da bollo ed il foglietto della licenza da rinnovare.
A lato: La trascrizione di alcuni documenti relativi alla famiglia Pinarello che provano la passata floridezza economica della stessa.
LA STORIA DELLA FAMIGLIA
NEI RICORDI DI CARLO PINARELLO
I PINARELLO
“‘NA FAMEIA DE CARIOTI”
Della lunga storia della sua famiglia racconta Carlo Pinarello:
“Sono nato a Vascon nella casa Faiet, il 6
maggio 1924 da famiglia poverissima: “fa
conto che jerimo i pi’ poreti de tuto el paese”.
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Anticamente la mia famiglia proveniva da
San Florian (San Floriano con Olmi fa parte
del comune di San Biagio)
Era una famiglia composta da circa ottanta
persone: mio padre aveva ben 14 fratelli, e lui
era il più giovane.
-Eredità di Pinarello Antonia -1883, Treviso
Regio Ufficio del Registro Atti Civili di
Treviso. Certificato di denunciata successione... Pinarello Antonia qm Giuseppe noti in
Lancenigo di Villorba nel giorno 13 maggio 1883 e che la sostanza consistente in beni immobili
da essa defunta abbandonati, appartiene in forza di legge ai figli Moro, Beatrice, Luigia, Maria,
Antonio, Erminia, Giuseppe ecc..."
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n tempo la mia famiglia era una delle
più ricche famiglie di Lancenigo
(“come Pinarei sarissimo de fameja
vecia del Borgo, visin dei Crosato, passà
Camusa, ghe jera a nostra casa granda”) e
lavorava ben ottanta campi distribuiti tra
Villorba e San Floriano.
La nostra stalla era ricca di almeno 15 cavalli, trattandosi di una famiglia di “carioti”, così
un tempo erano chiamati i conducenti di carri.
I carri erano di vari tipi, alcuni erano anche
finemente intarsiati; se i carri erano trainati da
buoi servivano soprattutto per i lavori dei
campi, se erano trainati da cavalli servivano
per attività di trasporto.
“Bareon” era detto proprio il grande carro da
trasporto, robustissimo, per carichi pesanti.
Purtroppo il benessere di quei tempi venne
sperperato nelle osterie dagli uomini della mia
famiglia: infatti a casa si raccontava che i
nostri cavalli, anche se gli uomini nel carro
dormivano, sapevano di doversi fermare alle
solite osterie, “i se gà magnà i schei co’ e
ombrete”, d’altra parte in quegli anni “ghe
iera soeo el lavorar e le ombrete”.
U
Allora si trasportava ghiaia del Piave a
Treviso ed anche a Venezia; in quei tempi
altra grande famiglia di “carioti” era quella
dei De Santi da Lovadina che “i pasava tuto el
giorno par Caena col bareon grando” per trasportare anche loro ghiaia verso Treviso e
Venezia.
Sopra: Abitazione dei Pinarello durante la 2.a
Guerra Mondiale, è posta al Borgo di
Lancenigo, poco lontano da quella antica della
famiglia.
Vicino a questa casa abitava anche Campion
che vendeva il pesce. Di fronte , al di là della
strada, c'era anche una "Frasca" e la bottega
di biciclette di Attilio Schileo, poi vicino c'era
anche la bottega vecchia di Camussa, là sotto
alla tettoia. Più lontano c'era la casa vecchia
di Candido Vian, proprio di fronte all'osteria:
"Hai conosciuto Elvira Viana e la Nesta Viana?
Done beissime, de quee masce de prima clase".
Purtroppo tanta gente che abitava qui e che
conoscevo, se n'è andata...e testimoni degli
anni dei bombardamenti alleati non c' n'è più.
30
Atto notarile che attesta come già alla metà dell’800 (1854 - 23 marzo 1854- Treviso.) i Pinarello
fossero facoltosi possidenti in Lancenigo:
“1854-Giuseppe Pinnarello fu Angelo, possidente domiciliato in Parrocchia di Lancenigo.
Treviso. Regno Lombardo Veneto-Provincia di Treviso. Questo giorno di giovedÏ 23 marzo 1854.
Regnando sua Maestà Imperial Regia Austriaca Francesco Giuseppe Primo Imperatore d'Austria
Re d'Ungheria, Boemia, Lombardia, Venezia ecc.
Comparsi personalmente innanzi a me Notaio ed alla presenza delli due pure sottofirmati noti ed
idonei testimoni al Sig. Ferdinando Alberghetti di Pietro e Giuseppe Pinarello fu Angelo, possidente domiciliato in Parrocchia di Lancenigo, divennero d'accordo a stipulare il presente
atto...ecc."
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LA CLASSE 1924
G
G
S
E
A
Gli alunni della Classe 1924 nel settembre 1931. Da sin. in alto: il primo è
Guido Zambonetto; il secondo è Carlo Pinarello.
Si riconoscono anche altri suoi compagni: Virginia Romano, Giuseppina Savian,
Ernesto Cortesia, Pietro Coracin ecc.
A destra l’amatissima maestra Assunta Bassan.
32
33
Da questo documento veniamo a conoscenza che ancora nel 1923 le economie
dei Pinarello erano sufficientemente floride.
LA LUNGA STRADA PER
CONQUISTARE IL BENESSERE
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...NANI E CARLO DIVENTANO
VENDITORI DI FAVA
Arrivati all’età di dieci o undici anni,
Nani ed io abbiamo cominciato ad andare a Camalò dove c’era una coltivazione
di fava: compravamo una certa quantità
di fava, la cucinavamo, poi la lasciavamo
per parecchio tempo nell’acqua corrente
del Canale della Vittoria affinchè si
depurasse e perdesse il caratteristico
gusto amaro. Poi la ponevamo in dei
cestelli e andavamo per le stalle dei contadini dove si teneva il “filò”: così fidanzate, genitori, nonni e bambini comperavano bicchieri di fava a 10 centesimi per
bicchiere e noi potevamo tornare a casa
con un bel po’ di franchi, da cinque a otto
franchi alla volta. Crescendo arrivammo L’unica fotografia di Carlo Pinarello da ragaza vendere anche arance e così si mangia- zo, nel settembre 1931. La famiglia poverissima non poteva permettersi il costo di una fotova.
...MANGIAVAMO POLENTA DA
UNA VECCHIA “CALIERA”
grafia. Un velo di tristezza sembra attraversare il volto di questo ragazzo: la vita era molto
dura allora, la fame tantissima e se voleva
mangiare doveva dare la caccia ai gatti che
poi finivano in pentola.
Quando ebbi tre anni la mia famiglia
venne ad abitare a Catena vicino all’osteria di Arturo Cortesia: la nostra casa
confinava con il gioco della “borela”, un
gioco frequentato da tanta gente .
Qui Nani ed io avevamo cominciato fin
da piccoli a rilanciare ai giocatori le
bocce e rimettere in piedi i birilli che i
giocatori gettavano a terra.
Ogni due o tre partite i giocatori ci portavano trenta, cinquanta, anche ottanta
centesimi e noi in cinque/sette ore potevamo portare a casa da una a cinque lire
per partita .
Quando finivamo di seguire le partite, e
andavamo a casa, mia madre ci chiedeva
i soldi e ci mandava di corsa dal mugnaio
a prendere due chili di farina e un’oncia
d’olio e un’aringa e così alla sera si mangiava polenta e aringa.
Mia mamma ci faceva la polenta in una
“caliera” vecchia con dei fori sui bordi:
così mentre la polenta si cucinava, attraverso questi fori la polenta fuoriusciva
un po’ alla volta formando tanti piccoli
bocconcini che noi bambini, che attendevamo attorno al paiolo, aspettavamo con
ansia che si affumicassero.
Eravamo pronti a prendere queste particelle di polenta abbrustolite con un
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L’ANTICA “CAL DEE ROE”
In questa vecchia foto degli anni ‘60 ecco com’era la vecchia casa
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della “Calle dee Roe”, dove visse l’infanzia Carlo Pinarello. Il rustico
è segnato anche nelle mappe del ‘700. Racconta Carlo Pinarello che il
nome della via deriva dal fatto che vi abitava un tempo una vecchina che
aveva l’abitudine, data la povertà estrema, di accendere il fuoco con dei rovi,
in dialetto veneto “Roe”, che andava a raccogliere al di là della Piavesella,
dove crescevano abbondanti su di una “mutara”, una collinetta di terra.
Il corso d’acqua della Piavesella a quel tempo si attraversava in bilico su due
corde tese da una sponda all’altra...
bastoncino di legno per farne dei
bocconcini.
Frequentai la scuola elementare
posta a Catena prima della ferrovia, a
fianco della chiesa vecchia e avevo come
maestra Assunta Bassan.
Con lei feci due o tre anni di scuola .
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...CI ARRANGIAVAMO PER
RISCALDARCI E MANGIARE
Al mattino quando uscivamo da casa la
mia povera mamma diceva a me e Nani
(eravamo i figli più grandi) "Cei, qua no
ghe xè pì legne par el fogo", allora noi
andavamo a raccogliere qualche fascina
di stecchi nelle siepi: allora non si poteva tagliare un ramo grande, "'na pranda", era proibito. Se si era colti dal proprietario mentre si tagliava un ramo
erano guai. Ma il bisogno ti insegna
come sopravvivere: Nani ed io ci arrangiavamo e spaccavamo un bel ramo
grosso di robinia, lo tiravamo via lontano
dal ceppo portandolo un po' più lontano,
poi, dopo tre/quattro giorni, quando le
foglie ormai erano belle secche, potevamo andarlo a riprendere e portarlo a casa,
perché adesso si poteva eventualmente
dire al proprietario che si trattava di un
ramo trovato morto e non tagliato da noi:
la raccolta di rami secchi era permessa.
Per la raccolta delle spighe (la spigolatura) invece dovevamo alzarci presto alla
mattina: alle 4-4,30 e nei giorni successivi a quelli in cui si era trebbiato il frumento, andavamo a spighe raccogliendole direttamente dai "mignoni", dai covoni; ne prendevamo una bella manciata e
fingevamo di averle raccolte tra quelle
rimaste a terra nei campi dopo la trebbiatura, cosa che era permessa.
Quando andavamo a fare queste raccolte,
dalle parti della casa dei "Joiet", avevamo cura di fare un'altra importante ope-
razione: mentre passavamo attraverso i
campi di Raina, Made e Timunsel, diretti alla raccolta delle spighe, incontravamo vicino al cimitero due piccoli fossi
che prendevano l'acqua dalla Bretella: un
fossetto si dirigeva verso il Borgo di
Lancenigo, l'altro invece si dirigeva
verso Catena.
Ora, mentre attraversavamo questi fossi,
chiudevamo il chiusino posto di traverso
al canale così, mentre noi eravamo intenti alla spigolatura, l'acqua scemando un
po' alla volta lasciava in secca tanti piccoli pesci (soprattutto "spinarioe") che
poi raccoglievamo con cura al nostro
ritorno.
Così anche per quel giorno avevamo
qualcosa da mangiare.
Quando il giorno dopo tornavamo per i
campi a spigolare correvamo a chiudere
il chiusino dell'altro canale (quello dove
avevamo fatto la pesca il giorno precedente era infatti quasi esaurito nelle sue
"risorse ittiche") e così potevamo portare
altro pesce a casa che mia mamma poi
friggeva per noi.
Quei pescetti erano "spinarioe", cioè
pesci che avevano due spine laterali vicino alla testa ma, una volta fritti, con
quella fame che avevamo non sentivamo
per niente le spine. Aggiunge Carlo:
“Ecco cosa vorrei: tornar ancora a passare di fronte alla casa dei "Joiet" perché è così tanto che non ci passo”.
...ANDAVAMO ANCHE A RANE
Andavamo anche a rane e ci preparavamo la fiocina con le stecche di ombrello,
che sono di acciaio, infilandone le punte
in una base di legno: acchiappavamo
pesce bianco e rane, che ricordo erano di
due specie: rane verdi, grosse e buonissime, e rane "pisote", scadenti come qualità: mia madre le preparava fritte o "in
tecia", se non c'era olio per friggerle si
usavano " i scorsi de lardo", le così dette
"frisseghe" o "ciccioli". Mangiavamo
anche "i sciosi", eccome se li mangiavamo, ancora adesso li mangiamo, ce ne
sono così tanti qua in fondo al terreno,
vicino alla canaletta e che buoni che
sono. Una volta prendevamo su anche
quelli piccoli ora invece i piccoli li
lasciamo là. Andavamo a sciosi di notte
con la pioggia e mia mamma era contenta quando li portavamo a casa, li cucinava subito e noi li mangiavamo ancora
prima che si cuocessero, quando erano
appena lessi, tanta era la fame che avevamo.
A "bogoi" invece non andavamo noi, ce
n'erano lungo la Piavesella dove crescevano dei canneti: ma non andavamo a
raccoglierli perché non si faceva un bel
boccone, non si faceva un contorno valido, i "bogoi" si vedevano solo in osteria,
o quando passavano a venderli.
...MANGIAVAMO ANCHE I GATTI
Mangiammo anche molti gatti:"gati sì,
gati sì, tanti gati, tanti gatià ma el gato
iera rico ciò": quando la Erica, “detta
Amabile Caretina strasera" passava con
il suo carrettino trainato da un asinello
("a vegnea fora a strase") consegnavamo a lei le pelli dei gatti che avevamo
ucciso. Lei viveva alle Castrette in un
casupola vicino all'incrocio della via
Centa con la Pontebbana. Ricorda Carlo:
"mariavercora ciò, ciapavimo 20/30
schei dea pee e te gavei a carne da
magnar": allora con la pelle dei gatti si
fabbricavano " e manisse", i guanti per
le biciclette. Ricordo che una volta "go'
portà via on gatto a Bepi Muner de quà
(Catena). Maria Vergine che bon".
Se catturavamo un gatto a Catena non si
poteva ovviamente venderne la pelle
nello stesso posto, perché spesso era ben riconoscibile.
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“...MAGNAVIMO I SCIOPETI”
Raccoglievamo anche tante erbe commestibili come "sciopeti", "bruscandoi",
"raici mati", "gaeti", "carleti" e "rosoine" ma anche "piantadene" che "e xe
tanto bone": altra erba che mangiavamo
spesso erano i "becasei", ovvero si trattava di erbe che assomigliavano alle "lengue de vaca" dalle quali usciva una
punta lunga anche 30/40 centimetri, buonissima da mangiare, ricordo che si mangiava senza cuocerla, appena colta, ed
era dolcissima. Avevamo sempre con noi
il coltello: una volta per tener su i pantaloni si usava un "senturel", ovvero due
strisce di stoffa cucite sul retro dei pantaloni e poi incrociati sul davanti con un
nodo.
Così noi riponevamo il coltellino sulla
schiena, infilato nel "senturel" e ci serviva per tagliare legna, per raccogliere verdure ecc.
La nostra mamma al mattino ci diceva:
ragazzi, oggi manca questo, manca quello e noi dovevamo provvedere.
Oltre al coltello avevamo a disposizione
anche la fionda ma quella la usavamo per
fare il tiro a segno con le "cicare", gli
isolanti di porcellana o vetro che stavano
sui "pai dea luce", sui pali dell'illuminazione pubblica. Facevamo a gara tra
ragazzi a chi centrava più isolanti.
39
L’ANTICA “CAL DEE ROE”
Gli edifici della Cal dee Roe visti dal lat
l’antico aspetto degli edifici. Si nottino i
va le abitazioni. Si osservino i panni fre
Ancora doveva arrivare l’asettico bagn
40
to Ovest. In questa fotografia degli anni ‘60 si può notare come fosse rimasto intatto
i filari di “stroperi” lungo il fosso che delimitava il vigneto dal terreno che circondaeschi di bucato stesi ad asciugare al sole ed il casotto del “cesso” esterno (latrina).
o interno alle abitazioni.
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...LA NOSTRA GIORNATA
DA RAGAZZI
La nostra giornata aveva sempre lo stesso svolgimento: prima andavamo "in
mòsina" (elemosina) e così ci davano un
po' di farina, poi andavamo per le siepi a
raccogliere la legna necessaria.
La verdura veniva condita con il lardo e
soprattutto con il sego del maiale, perché
quando si uccideva il maiale ci davano
un po' di sego che era prezioso in cucina.
Era bello vedere il lardo che si fondeva
per diventare sego. Ma se qualche volta
ci davano una fetta di lardo da portare a
casa, magari con quella vena di carne che
gli rimane addosso, spariva subito mangiato magari con un po' di polenta: "el
iera bon ciò el lardo".
Chi uccideva i maiali qui attorno erano i
"porseeri", come Vittorio Conte, professionista vero, che insegnò il mestiere a
Narciso Marchetto; poi anche Nadal
Conte imparò a fare "el porseer". Anche
Tarcisio Breda, fiol de Bepi Breda, sapeva uccidere i maiali, ma lo faceva solo
per casa come tanti altri.
Noi bambini eravamo sempre in giro per
le case dei contadini quando era tempo di
uccidere il maiale, perché così ci davano
le "frisseghe" di maiale da portare a casa.
"Vemo tegnuo qualche gaina, do', tre
gaine": in realtà a casa non avevamo
nulla da dar da mangiare alle galline, per
cui dopo alcuni tentativi rinunciammo a
tenerle, non avevamo nemmeno un prato
dove lasciarle pascolare.
Quando avevamo desiderio di un uovo
andavamo a raccoglierlo "dai coati". Hai
presente quella casa dei Benetton?": qua
so’ ea crosera del borgo: drio a casa 'na
volta ghe jera on fassiner longo vintitrenta metri". Le galline ovviamente
facevano le uova nei loro nidi sotto "el
fassiner". Noi ragazzi che passavamo per
la strada davanti ai "Timunsei" mettevamo la mano dentro ai buchi della rete
metallica e prendavamo le uova che ci
servivano: lavoravamo sempre per mangiare. Fa riflettere il fatto che seppure noi
ragazzi compivamo questi furterelli, tuttavia le famiglie qua attorno dove rubavamo le uova, "i Manci", "i Breda", "i
Nobe", "i Piatei", "i Toresani", a noi
bambini non ci hanno mai "dato bote"
(picchiato). E' noto che un tempo se
qualcuno veniva sorpreso a rubare se
catturato doveva subire un duro pestaggio: a noi nessuno ci disse una sola parola, anche se era noto come ci provvedevamo di cibo: ci rispettavano. Io credo
dipendesse dal fatto che un tempo la
nostra famiglia era stata ricchissima e
aveva sfamato numerose famiglie del
paese.
L’ANTICA “CAL DEE ROE”
42
La “Cal dee Roe” vista dall’attuale via Marconi: così appariva questo caratteristo edificio negli anni ‘60. Ora dopo interventi strutturali non è più riconoscibile.
43
...ZOGAVIMO A “TAJA”
Una volta siamo tornati a casa senza il
solito legname che raccoglievamo perchè
ci eravamo fermati sulla Postumia, dove
un gruppo di ragazzi giocava a "Taja"
con i bottoni: si faceva un segno per terra
sulla polvere, si gettava avanti una
moneta da "diese schei", poi si buttava il
proprio bottone: quello che lo gettava più
vicino alla riga tracciata aveva il diritto
di tirare per primo un sasso sulla moneta:
se riusciva a farla girare (sperussar) la
vinceva. Bene, quel pomeriggio incontro
Carletto Carrer, Alvise Carrer "el forner",
Nisio Carrer e Giulio Carrer (erano fratelli) : e quella sera, dopo aver giocato e
vinto, torno a casa con ben due franchi e
quaranta centesimi in tasca, li avevo battuti tutti, ma tornai a casa senza legne.
Mi sedetti sull'uscio di casa tutto soddisfatto. Mia madre appena mi vide subito
mi apostrofò: eccoti qua senza una fascina di legna "Gnanca 'na fassina de
legne". Risposi: "Mama go' zogà i "taja"
e go' vinto do franchi e quaranta". Dopo
un po' sento mia madre che mi dice:
"Carlo se mi dai ottanta centesimi andiamo a comprare due chili di farina da Bepi
Muner", Glieli concedo. Attese un altro
po' di tempo (vedeva che ero tutto soddisfatto di me e non aveva il coraggio di
chiedermi subito tutta la somma che
avevo vinto) e poi mi dice: Carlo se hai
altri ottanta centesimi "vao tor 'na onsa
de oio": "na onsa" era l'equivalente di un
bicchierino di olio. Dopo altro tempo mi
dice: Carlo se hai ancora sessanta o
ottanta centesimi andiamo a comprare
una bella "renga" (aringa). Così quella
sera mia madre imbastì la cena con
polenta, aringa e olio: sai come si cena
con l'aringa? Si prende l'aringa, la si divi-
de in due nel senso della lunghezza, gli si
versa sopra un po' d'olio, poi con la fetta
di polenta dura " se tociava sora a renga"
ma l'aringa ovviamente non si consuma
mai strofinandola solo , per cui si mangiava tanta di quella polenta che catturava un po' del gusto dell'aringa stessa.
Una aringa bastava per una cena di dieci
persone: la si divideva solo alla fine,
quando la polenta era quasi finita.
"Credo de aver visuo proprio i pezo ani
de tuti quanti, credo". Il mio primo pasto
vero io ho cominciato a farlo quando
avevo vent'anni, cioè quando ormai era
tempo di andar soldato.
...‘NDAVIMO A CACCIA
DE “OSEETI”
Altra importante fonte di sostentamento
per noi era la cattura di uccellini sui tetti,
ancora nel loro nido : ricordo che li prendevamo implumi e li portavamo da
nostra madre a cucinare. Anche per le
siepi andavamo a caccia di nidi di redestole, quelli dei merli erano troppo alti: ci
era facile catturare i nidi di "parussole"
che facevano il nido dentro ai tronchi
vuoti dei "moreri" (gelsi): allora mettevamo il braccio dentro al tronco e catturavamo gli uccellini nel nido quasi appena nati: noi avevamo il compito di procurare cibo perché a casa c'erano
nove/dieci bocche da sfamare. Ricordo
che mia mamma, tanto severa quando
"fasevimo maegrasie grandi", se portavamo a casa qualcosa lei lo prendeva,
bisognava che lo facesse, perché avevamo fame. Tuttavia nella nostra povertà
non abbiamo mai rubato conigli, galline,
mai, proprio mai.
44
...FASEVIMO EL BAGNO NUDI
Non abbiamo mai saputo che cosa fossero i monti ed il mare quando eravamo
piccoli: il bagno d’estate lo facevamo nel
canalone qui vicino a casa e senza
mutande, nudi. Il canalone è quello che
scorre vicino alla ferrovia dove casellante era Primo Pinese. Noi sguazzavamo
nudi nell’acqua quando un giorno questo
esce dal casello come una furia urlando e
rincorrendoci: “el me ga’ fato ciapar una
de quee spasemae” che ancora la ricordo:
era un ferroviere forte e tremendo e non
voleva ci mettessimo nudi perchè aveva
le figlie che ci potevano vedere. Aveva
tre ragazze, la Maria, la Santina e la
Norina. Allora in paese quelli che si mettevano a fare il bagno nudi erano considerati dei “porseoni”. Ma cosa vuoi allora non c’erano nemmeno le mutande per
noi, come potevamo fare il bagno vestiti?
...A MAESTRA BASSAN
La maestra Bassan piuttosto di tenermi
con sè mi bocciava perchè disturbavo
troppo, così avvenne per tre anni, anche
se ero bravo a scuola. Quando poi sono
passato in quinta elementare, con il maestro Ferin, le cose andarono molto
meglio. Quando avevamo il compito in
classe io terminavo sempre prima degli
altri poi, visto che ero sempre irrequieto,
mi lasciava un'oretta di "buona uscita",
così mi sfogavo un po', ed anche per evitare che passassi il compito agli altri.
"Cosa vuoi," aggiunge Carlo, "avevo i
sassi sotto il banco", intendendo dire che
era irrequieto, non riuscivo a stare composto e tranquillo per troppo tempo in
classe, non stavo mai fermo, chiamavo i
compagni, disturbavo e Ferin aveva perfino paura di picchiarmi, come si usava
allora, perchè ero già bello robusto, e
temeva soprattutto i miei calci. Una volta
che mi aveva picchiato in classe, quando
inforcò la bicicletta per andarsene io
presi la fionda, mirai alla "gemma" (catarifrangente) della bicicletta e la colpii in
pieno anche se ormai era un po' lontano,
mandandola in frantumi: il maestro ebbe
un sussulto di spavento ma non si fermò,
nè disse alcunchè e se ne andò senza fermarsi.
Aggiunge la moglie di Carlo: "Oggi un
fatto di questo genere meriterebbe l'istituto di correzione ma allora i maestri
erano più tolleranti. "
45
CARLO CON I PARTIGIANI
Allora lavoravo nella cartiera Marsoni,
anche se per pochi mesi: ero di leva e mi
dovettero licenziare.
A quel tempo c’erano solo due alternative:
o si andava a far il militare a Salò, o si
andava con i partigiani in montagna.
Ho preferito la montagna e ci andai con un
mio amico e vicino di casa, Tilio Galiasso:
abitavamo tutti e due nella “Calle dee
Roe”.
In montagna con i partigiani stavamo nella
zona di Combai, poi fascisti e tedeschi ci
cacciarono in Cansiglio .
In questa ritirata i tedeschi hanno ucciso
sei dei nostri amici, con loro Nich, il suo
nome di battaglia (era da Revine Lago)
ben voluto da tutti.
Durante la ritirata siamo giunti al monte
Pizzoc e poi sempre in ritirata abbiamo
Carlo Pinarello ad una manifestazione
attraversato tutto il Cansiglio e riparammo
i questo capitolo della sua vita
a Sacile.
Carlo Pinarello parla con una certa Da qui, a piedi, attraverso le campagne in
difficoltà, certamente a causa delle pochi uomini siamo giunti a Maserada sul
sofferenze che dovette patire in quei
Piave, poi a Salettuol: ci dividemmo dopo
tempi, in particolare nel vedere trucidati
che ebbi indicato ai compagni la strada
tanti compagni.
più breve per raggiungere i rispettivi paesi.
Racconta: “Dalla nostra officina abbiamo Mi fermai da una famiglia di mia conoascoltato per radio l’annuncio della dichia- scenza e questi avvisarono poi i miei famirazione di guerra di Benito Mussolini il 10 gliari.
giugno 1940: Mussolini parlava dal balco- Mia sorella Maria venne a trovarmi in
ne di palazzo Venezia a Roma. Erano le
bicicletta: vi salii e mi accompagnò a San
ore sedici e trenta e Nani è partito di corsa Giacomo di Roncade e quindi a Ca' Tron.
a casa ad avvisare nostra mamma, perché
In quel periodo in centro di Roncade era
lui era in età da militare: fece il militare a
stata uccisa Franca detta "Favea".
Roma, nel corpo dell’aviazione e quando
A Ca' Tron morirono poi Menon e
giunse l’otto settembre 1943 (armistizio di Speranzon, la stessa sorte poi toccò anche
Cassibile), tornò a casa come tutti gli altri a Ijeto Mansan.
militari, portandosi però appresso, fuori
Nel frattempo i miei di casa mi trovarono
della caserma, una forma di formaggio
un lavoro da Toni Benetton a
grana.
Sant'Artemio: qui costruivamo i gasometri
Salito sul treno con la forma di formaggio a carbone che servivano per alimentare le
iniziò a mangiarne: purtroppo il treno
auto, in particolare i camion con le ruote
erano pieno zeppo di soldati che pretesero piene, utilizzati per trasporti. Così con
di avere la loro parte del formaggio.
quel camion Schena Amadio portava da
Arrivato a Treviso tornò a casa in divisa.
mangiare ai partigiani su nel Combai e
D
portava a casa legna da ardere.”
Arrivarono gli ultimi giorni di guerra, detti
"della Liberazione", Nani ed io lavoravamo ancora ma negli ultimi quattro giorni
si presentò uno dei capi della Resistenza e
ci disse di prendere il fucile minacciando
che, in caso contrario, non avremmo più
lavorato: così abbiamo lasciato il lavoro e
siamo andati con i partigiani. Come prima
uscita siamo andati a Maserada, ci siamo
presentati ai tedeschi e questi si sono arresi tutti; poi siamo andati a villa Ancillotto,
vicino al cimitero di Lancenigo, e anche là
i tedeschi si sono arresi. In quel momento
sono però giunti anche altri partigiani
della zona di Santa Maria del Rovere i
quali erano animati da ben altre idee,
infatti iniziarono a caricare su un camion
tutto quello che potevano caricare. I tedeschi nostri prigionieri ci avvisarono però
che era imminente l'arrivo di una pattuglia
di loro commilitoni: immediatamente noi
che non avevamo alcun desiderio di rimanere per rubare ci siamo nascosti dietro
alla villa, abbiamo attraversato l'acqua del
fiume Melma e ci siamo messi in salvo.
Gli altri invece rimasero in villa e all'arrivo dei tedeschi ne seguì una sparatoria ed
i partigiani rimasti ebbero la peggio con
diversi morti.
Tra i caduti ricordo Gildo Schileo, il postino di allora che aveva altri due fratelli,
uno dei quali era Alessandro, il più anziano e l'altro soprannominato "Spae".
Alessandro Schileo fuggì e se ne persero
le tracce, "Spae" il più giovane che era
stato catturato, venne portato nella Villa
Dal Vesco a Breda, allora Nani ed io assieme a Giulio Pinarello del Borgo di
Lancenigo, Giovanin Buso e altri, siamo
andati là per liberarli e li abbiamo trovati
prigionieri dei tedeschi: prima di noi erano
giunti altri partigiani e ricordo una scena
crudele: alcuni stavano massacrando i
tedeschi con calci e pugni. Quando siamo
arrivati noi hanno smesso di picchiare ed
abbiamo dato loro delle sigarette così si
sono tranquillizzati.
46
Carlo Pinarello negli anni ‘50
Purtroppo quando questi tedeschi sono
stati portati nella cartiera di Mignagola è
successo di tutto, non abbiamo saputo
altro.
Poco dopo si sentì sparare ovunque ed era
segno che la guerra era finita: tutti noi partigiani abbiamo festeggiato e siamo tornati
a casa.
47
PUGNI E BARUFFE
egli anni della mia giovinezza
ricordo anche alcune baruffe, che
un tempo succedevano con facilità tra i giovani nel frequentare osterie e
balere:"avrò avuto vent'anni quando frequentavo una balera di Nervesa della
Battaglia. Ricordo che quel locale mi era
molto famigliare, ero di casa in quel
posto. Ci venivo al sabato sera ed alla
domenica sera con alcuni amici che abitavano dalle mie parti. Ero molto considerato in quel locale, avevo come si dice
"la situazione in mano" con le donne,
cioè rapporti di amicizia, confidenza,
autorevolezza, ed anche gli uomini mi
rispettavano. Perciò accadeva spesso che
questi, anche se abitanti a Nervesa,
venissero proprio da me per chiedermi di
presentar loro la tal ragazza, di mettere
una buona parola per poter ballare con la
tal'altra, ecc. Io mi prestavo ben volentieri al gioco. Un giorno tuttavia quelli del
posto evidentemente avevano deciso di
togliersi dai piedi questo forestiero che
aveva un così grande ascendente sulle
ragazze del luogo e così mi vedo venire
incontro fuori della balera i più forti con
i pugni chiusi, pronti per battermi: uno di
questi mi viene addosso ma a quel tempo
avevo un braccio scattante. Lo distesi per
terra come fulminato. Scapparono tutti,
se ne andarono senza nulla obiettare
anche i carabinieri che passavano in quel
momento da quelle parti.
Sempre in quegli anni avevo due-tre
morose che frequentavo alternativamente: iniziavo il sabato sera a fare il giro per
far loro visita e per portarle a ballare, poi
al lunedì sera era invece la volta di un'altra morosa, la mia attuale moglie: il
padre di lei non mi vedeva di buon
occhio tanto che brontolava e mi rimproverava dicendo che non facevo mai visita a sua figlia di sabato o domenica.
Bene, in quel periodo andavo spesso a
ballare in località Olmi di San Biagio con
una bella ragazza che era però già fidan-
D
zata, ma che a ballare ci veniva senza il
moroso. In una occasione ci andai con
degli amici senza avvertirla prima e lei ci
venne purtroppo assieme al legittimo
fidanzato. Quando vide che ballavo con
altre lei lasciò il fidanzato e per tutta la
sera mi stette addosso ballando solo con
me. L'altro ovviamente se ne risentì.
Uscimmo e la accompagnai a casa come
si usava un tempo. Percorrevamo una
strada inghiaiata circondata da alte siepi.
Ad una curva spunta fuori il moroso tradito il quale senza fare parola sferra un
tremendo pugno nel volto di questa
ragazzina che per il colpo sbattè la testa
contro un'albero che costeggiava la strada. Come la colpì al volto lui pure fu colpito da un tremendo pugno che gli sferrai
in faccia, stramazzò per terra, ricordo
come ora lui grande e grosso disteso
sulla ghiaia, aveva battuto il capo ed
aveva i capelli lungi scompigliati per
terra, credetti di averlo ucciso e scappai a
cercar aiuto per salvarlo correndo a chiamare i miei amici che erano ancora nella
balera. Tornammo: il moroso tradito si
stava bagnando la faccia con l'acqua del
fosso, la ragazza era scappata a casa.
Non l'ho più rivista ma da poche settimane ho saputo che fa la parrucchiera a
Santa Maria del Rovere...chissà se si
ricorda di quel fatto.
In tutta la mia vita ho fatto a pugni solo
tre volte, poi mi son detto “Carlo è
meglio che lasci perdere perché qui una
volta o l'altra finisci male”: bene, la terza
volta accadde qui a Catena all'osteria da
Coppi quando uno mi insultò, io risposi
con un colpaccio e lo distesi dritto per
terra, basta, non successe più. Allora
però avevo un braccio buono da pugni,
non ero molto grosso, ma avevo un braccio velocissimo.
I RICORDI DI ELSA TORRESAN
48
Fine anni ‘40. Carlo Pinarello con amici ad una festa. Si riconoscono da sin: Giovanni Serafin;
Luciano Grespan; Elsa Torresan; Carlo Pinarello; Bruna Furlanetto
i quei tempi ormai lontani, ricorda Elsa Torresan, moglie di
Carlo: “Sono nata a Fontane in
una piccola casetta posta tra la
Piavesella e la Pontebbana, dopo il
Palaverde in via 25 aprile.
Quando ero piccola erano tempi duri ma
a casa mia non facevamo la fame come
a casa di Carlo e non siamo mai andati
in elemosina.
Mio padre difatti faceva il carrozziere ed
inoltre era invalido di guerra per cui
aveva una piccola pensione: lavorava
alla Carrozzeria Veneziana di Mestre
dove era molto apprezzato come decoratore delle carrozzerie delle auto, un
lavoro nel quale eccelleva in particolare
D
nello stendere a pennello quelle righe
dorate che un tempo decoravano le fiancate delle automobili.
A casa insomma c'era un certo benessere
anche se non mangiavamo spesso
bistecche.
-Aggiunge Carlo: "... racconta un po'
quanti giorni alla settimana lavorava!
Che lavorava dal mercoledì al sabato!"
-Risponde la moglie: "sì, andava così:
lui al sabato aveva la paga e subito
andava a far festa in osteria dove prendeva una bella sbornia, così poi rimaneva a letto fino al martedì, quando il suo
compagno di lavoro, Pattaro, veniva a
trovarlo dicendogli: "Angelo, il padrone
mi dice di chiederti se puoi venire al
49
lavoro". Mio padre rispondeva come
sempre: "Sì doman vegno".
-"Insomma era un artista di prima qualità nel suo lavoro come decoratore
d'auto e molto richiesto: aveva una
mano ferma come pochi nello stendere
le decorazioni sulle carrozzerie".
Poi andammo ad abitare a Lancenigo
vicino alla stazione ferroviaria in via
Dante. Durante la 2.a Guerra Mondiale
il cortile di questa casa (era un grande
prato a fianco della ferrovia) era sempre
pieno del bestiame requisito dai tedeschi.
Noi avevamo molta paura dei bombardamenti dell'aviazione alleata: vedevamo in continuazione aerei passare e
così una volta effettivamente ci colpirono la casa distruggendola. Dovemmo
andare sfollati nella casa grande dei
Benettoni al Borgo di Lancenigo, dove
era sfollato anche Carlo.
Aggiunge Carlo: "vedevo sempre passa-
re per la strada questa bella ragazza e
allora un po' alla volta facemmo amicizia e poi si sa come vanno queste cose,
ci mettemmo assieme".
Aggiunge la moglie: " al Borgo eravamo difatti tutti e due sfollati e abitavamo vicini, sua sorella, quella che venne
uccisa dalle bombe alleate, era amica di
mia sorella più piccola".
Aggiunge la moglie: "La guerra era finita da poco ed io ero ragazza e la domenica pomeriggio si usava andar a ballare
all'ex-casa del fascio a Carità di Villorba
(alla sera con il buio neanche a pensarci
di andare a ballare): ricordo che ballavamo, io avevo degli zoccoletti neri lucidi
lucidi proprio belli, scarpe neanche a
parlarne, non c'erano soldi.
Purtroppo io sapevo ballare poco, Carlo
ancora meno e così ballando lui mi
pestava i piedi ed una volta i miei zoccoletti finirono in mezzo alla pista da
ballo".
50
Aggiunge Carlo: "Erano tempi molto
diversi da oggi, ricordo che una volta lei
era seduta su un muretto assieme a
Letizia Minatela, cognata di Piero
Minatel (abitava allora vicino alla
moglie di Carlo): io passavo di lì in
bicicletta e deciso, di slancio, la prendo
per un braccio e la faccio salire sulla
canna della mia bicicletta e ce ne andiamo.
Questo l'ho fatto senza esitare, senza
pensarci su nemmeno un secondo, ma
tutte le donne presenti si scandalizzarono: "varda come ch'el monta su ch'ea
tosa", era una libertà che allora non ci si
poteva prendere con una ragazza e che
fece chiacchierare parecchio le male lingue.
Allora continua Carlo, "portar via cussì
'na tosa no a jera 'na roba tanto par
ben" e c'era da rischiare di essere pestato dal padre della ragazza " che par
queo... el gera bon da batue", a parte
che, aggiunge, ero ben temprato e non
avevo paura di nulla.
In questa pagina e nella precedente:
Scampagnata nel Montello. 18 Aprile 1948.
Quel giorno si effettuavano le elezioni del
nuovo parlamento italiano del dopoguerra e il
gruppo di amici, essendo proibita la circolazione in città per motivi di sicurezza, decisero
di fare una scampagnata nel Montello: qui
sono di fronte alla trattoria Vettorel, località
SS. Angeli.
Si possono qui riconoscere da sin:
1-Alessandro Poletto da Catena, detto
"Issandro"
2-Carlo Pinarello
3-Ugo Zambonetto da Catena
4-Avio Zuccarel di Catena.
La moto in primo piano era di proprietà di
Guido Gatto da Catena, pilota aereonautico
51
Scampagnata sul Montello. 18 Aprile 1948.
Nane la mia camicia da sposo, visto che
doveva andare a ballare.
Allora di riscaldamento non si parlava,
Carlo Pinarello riprende il suo racconto d'altra parte eravamo abituati al freddo.
e ricorda: “...L'officina prima era là
Ricordo che quando ero piccolo andavadove adesso a Catena c'è la farmacia.
mo a dormire con l'ombrello perché dal
Quando ci siamo sposati lì avevamo
tetto entrava pioggia dai tanti buchi,
l'officina e Nani aveva la sua camera:
addirittura a volte indossavamo la mansopra nel "graner" dormivamo noi.
tellina impermeabile e se non era piogDove siamo adesso c'era solo terra e ci
gia era "el caivo" che entrava in camera
costruimmo l'officina. Quando venimmo dalle fessure.
qui a Catena non comprammo subito la Quando andai dal parroco, che allora era
terra.
il famoso e terribile don Fulmine, questi
Ci eravamo sposati il 15 febbraio 1953
mi disse che dovevo sposarmi al sabato
(allora la mamma di Carlo aveva una
sera perchè avevo messa incinta la mia
camera in affitto dai Marotti di Catena) futura moglie: infatti era tradizione che
poi nel ‘54-’55 comprammo la terra e
le donne che si sposavano incinte dovenel ‘57 costruimmo l'officina attuale.
vano sposarsi alle 18-18,30 del sabato
Quando ci sposammo mio fratello Nani sera, mentre a quelle che non erano
dovette andar a dormire nel granaio per incinte era permesso sposarsi alla domelasciarci libera la camera. In cambio il
nica mattina.
giorno dopo il matrimonio prestai a
Io però spiegai che con i tempi difficili
AI TEMPI DEL NOSTRO
MATRIMONIO
52
Elsa Pinarello con la prima automobile della famiglia.
Quest’auto, una FIAT 600, era l’orgoglio della famiglia Pinarello. Ricorda Carlo: “...Andavamo
avanti così guadagnando abbastanza e abbiamo comperato la prima automobile una Topolino
furgonata. Quell'anno nostro padre stava morendo ma dal letto, attraverso la finestra, ha voluto
guardare l'auto nuova: pochi giorni dopo è morto.”
che c'erano, perdere la giornata di lavoro del sabato sarebbe stato troppo
pesante per la mia famiglia, visto che al
sabato si lavorava di più.
Don Fulmine aveva il cuore buono e
così mi disse di sposarmi quando lo
desideravo io: dissi che mi andava bene
sposarmi alla domenica mattina dopo
messa ultima, verso le 11,30.
Acconsentì. Ci siamo sposati nella chiesa di Lancenigo, ci eravamo andati con
tre auto ma avevamo ben 50 invitati per
cui la gran parte ci venne a piedi. In
chiesa ci siamo arrivati tardi perché le
sbarre del treno nella stazione di
Lancenigo erano chiuse: arrivammo giusto dopo che la messa ultima era finita
verso le undici e mezza del mattino.
Quando, finita la cerimonia uscimmo
dalla chiesa, tutti quelli da Lancenigo
che incontravamo mi chiedevano:
"quanti soldi hai dato al prete perché ti
permettesse di sposarti a quest'ora?"
Erano meravigliati perché era noto che
Don Fulmine era un parroco buono ma
molto severo, uno che raramente permetteva che venissero trasgredite certe
regole. Fu una gran meraviglia per tutti:
allora le coppie che si sposavano attendendo un figlio non
potevano assolutamente sposarsi di domenica.
Mio compare fu "Cici" Serafin Schileo,
una delle persone più ben sistemate di
Catena: noi eravamo poveri allora e
così non facemmo fare nemmeno una
fotografia e così non ho un ricordo fotografico da mostrare oggi, d'altra parte
nel 1953 erano tempi duri . Il giorno
che ci siamo sposati il pranzo si fece in
casa: chiamammo una brava cuoca e
poi c'era una mia cugina ed un'altra
donna che davano una mano. La festa
fu bella. Nani però aspettò che tutti
andassero via per tirare fuori il letto e
dormire nel granaio dove era appena
53
finito il pranzo di nozze (Nani è il fratello più anziano di Carlo ma si sposò 6
anni dopo di lui). Ricordo che ballammo alla musica della fisarmonica.
Aggiunge la moglie di Carlo: "Il giorno
dopo il nostro matrimonio era l'ultimo
giorno di carnevale e così Nane mi
disse: "potresti prestarmi la camicia di
Carlo che devo andare a ballare? " Mi
diedi subito da fare a lavare e stirare la
camicia. Quando la indossò mi disse:
"se vede che a xe 'na camisa da
sposo?". Lo rassicurai che non si vedeva anche se era facile capire che si trattava di una camicia da sposo, infatti sul
davanti aveva tutte le pieghette come
hanno di solito le camice eleganti che si
indossano con lo smoking.
LA FINE DI MIO PADRE
ome ho già detto, mio padre
morirà nel 1955 a soli 69 anni a
causa di una scheggia che gli si
era conficcata in una gamba in occasione del bombardamento americano
(1945) che aveva colpito la nostra casa
di Catena di allora.
Quando lo ricoverammo in ospedale
mio padre mi confidò che lui tutti i suoi
risparmi li conservava nella camicia: ci
abbiamo trovato settantamila lire, con le
quali abbiamo fatto subito il funerale di
nostra sorella Marziana. Con quei soldi
abbiamo aiutato i nostri genitori che
avevano bisogno di cure, ma in un anno
dalle settantamila lire che avevamo in
tasca ci ritrovammo con settantamila di
debito.
Questi soldi in parte li avanzava
Paglianti (nota 1) e tanti altri che ci fornivano materiali per costruire le nostre
biciclette.
Mio padre, prima di morire, dal letto,
attraverso la finestra, ha voluto guardare
l'auto nuova, la nostra prima automobile
C
che avevamo appena comperato, una
Fiat Topolino furgonata: la moglie di
Carlo ricorda che lo aiutò a sollevarsi
dal letto per osservare l’auto fuori dalla
finestra...guardò, e senza una parola si
accasciò sul letto contento, pochi giorni
dopo morì.
(Nota 1: Giovanni e Carlo appresero i primi rudimenti
come costruttore di bici già prima della guerra quando
Nani era poco più che quindicenne, presso la ditta
Paglianti e a Catena, a casa propria. Già nel 1922,
infatti, loro cugino Alessandro aveva iniziato, in una
piccola officina, a costruire biciclette, come dimostra la
Medaglia d´Oro ed il Diploma di Partecipazione alla
Fiera di Milano del 1925.)
I RICORDI DI FLORIANA
E PAOLO PINARELLO
54
che andava al di là di questo e molti
compaesani di Catena ricorderanno di
essere stati aiutati economicamente da
Carlo Pinarello, anche se mio padre non
ne farà mai i nomi (nota 1).
FLORIANA: “Papà io l'ho visto sempre con la tuta da lavoro, sporco di
E' vero che nei quadri qui esposti ci
grasso per le biciclette, lavorava semsono anche ciclisti che non sono poi
pre, anche di domenica, perché la nostra divenuti famosi, ma alla gente di Catena
clientela era ed è fatta di gente del
piace anche così e tanti tanti nostri conposto, parenti, conoscenti, amici, quindi cittadini che sono emigrati o sono andapiù che clienti e mio padre ci ha inseti ad abitare lontano od anche vecchi
gnato ad essere sempre disponibili: qui ciclisti che ricordano le vecchie glorie,
non abbiamo mai rifiutato un cliente
quando passano da queste parti si ferperchè arrivava fuori orario.
mano e si congratulano con papà per la
Dell'osteria da Coppi ho il ricordo di
bella idea di esporre queste opere e mio
quella televisione che in casa non avepadre è felice perché questo per lui vuol
vamo e che mi attirava tanto, purtroppo dire essere ripagato di tutto quanto ha
l'oste la accendeva solo per i telegiorna- fatto negli anni.
li ed a quell'ora l'osteria si riempiva,
ricordo tanta gente di allora ed in parti- PAOLO:
colare la figura di Vittorio Grespan che Se c'era una differenza tra i due fratelli
prendeva una sedia, la girava e ci si
Pinarello, mio padre e mio zio Nani,
sedeva appoggiandosi col mento sullo
quella più evidente è che mentre lo zio
schienale.
ha sempre avuto l'iniziativa, il piglio e
Sì, ho visto mio padre lavorare sempre, lo stile dell'industriale e vive per questa
ma in fondo con tutto questo suo lavosua "missione", mio padre invece è
rare si è anche preso delle belle soddirimasto in paese ed ha mantenuto uno
sfazioni perché così poteva permettersi stile semplice, "alla buona", caratterizdi accompagnare la famiglia alla dome- zato da un rapporto di amicizia e dialonica a fare la gita sul Montello ed a
go con la gente del posto ed è questo
cena in trattoria, magari altre volte ci
che ora più lo gratifica. A dimostrazione
portava sulla neve a giocare, in tutte
della disponibilità di mio padre verso la
quelle occasioni con gli amici abbiamo gente di Catena, ricordo che se a qualtrascorso delle belle ore. Mio padre
(nota 1: i quadri dei tanti campioni del cicliorganizzava ad esempio il lunedì di
smo sono nati in occasione dei mondiali di
Pasqua una gita di gruppo con tutti gli
ciclismo: qui sono nate le biciclette Pinarello
amici ed andavamo a festeggiare sul
ed allora abbiamo voluto festeggiare l'avveniMontello, quanti eravamo, anche 100
mento dei Mondiali con questa esposizione di
persone. Certo poi sono arrivati anche
opere d'arte, magari poi potrà esserci stata
gli anni nei quali papà stava male, era
anche la motivazione di abbellire le pareti
sfinito fisicamente per il troppo lavoro: esterne della casa, togliendo come dice mio
padre le insegne della pubblicità: per ultima
era il suo modo di essere, di esistere,
lascerei la motivazione della tradizione di
lavorare sempre ed essere disponibile
porre affreschi sulle pareti esterne della case
totalmente verso la gente, verso i suoi
compaesani e la sua non era solo dispo- e ville dei secoli scorsi (santi, meridiane, soggetti profani ecc..).
nibilità sul lavoro, ma anche qualcosa
loriana e Paolo Pinarello, figli di
Carlo così ricordano il papà e gli
avventurosi anni ‘50:
F
Sopra: La famiglia Pinarello al completo
cuno finivano le bombole del gas in un
giorno festivo, sapeva con certezza che
qui da Carlo Pinarello trovava la porta
aperta.
Sulle opere d'arte dedicate al ciclismo
esposte posso aggiungere che abbiamo
avuto anche l'ovvia intenzione di privilegiare con questa iniziativa i ciclisti
che gravitavano nell'area del mondo
"Pinarello" ed in subordine i ciclisti
veneti o trevigiani, poi altri ciclisti sono
stati scelti con criteri diversi, ad esempio il campione americano Armstrong è
stato scelto per la sua simbolica lotta
contro il male che lo minacciava e ci
pareva un bell'esempio di campione,
anche se veneto non è. Altri sono stati
scelti per un loro particolare rapporto
con la famiglia Pinarello, mi sembra
normale no?
FLORIANA
Ricordo com'era Catena una volta, negli
anni '50-'60, qui dove c'è il distributore
c'era terra incolta, un fosso che costeggiava la strada nel quale mia madre
usava a quel tempo lavare i panni sul
"lampor" e un filare di platani lungo la
strada com'è consuetudine, ricordo
anche che quando Paolo era piccolo,
avrà avuto un anno e mezzo, cadde den-
tro al fosso e l'acqua se lo portò via
anche se ce n'era poca, per fortuna che
una signora nostra vicina, Emilia Buosi
in Grespan, che aveva una merceria qua
vicino, sentì sbattere le braccia di Paolo
dentro all'acqua e corse a salvarlo.
Quando ero bambina Catena era come
una grande famiglia per me, ricordo che
andavo a mangiare quando volevo da
Emilia Conte all'osteria da Nino, ora
Coppi, poi dalla famiglia di Narciso
Marchetto: com'era diverso questo paese
allora! non era necessario telefonare per
tempo per preannunciarsi se si voleva
far visita a qualcuno, era sufficiente presentarsi in casa, i tempi sono cambiati,
non c'è più quella cultura, quella disponibilità .
In osteria ci andavo sempre perché la
proprietaria aveva tre figlie, una delle
quali mi insegnò a lavorare all'uncinetto, mentre un'altra ancora mi insegnò ad
usare la macchina da scrivere, che bella
l'osteria da Coppi di quei tempi! C'era la
bella figura di Nino "Osto", il suo
cognome per la verità era Favaro ed era
originario da Fossalunga. Io ci andavo
sempre per comprarmi i gelati, venti
franchi per due palline di gelato.
Ricordo la prima televisione che gioia
guardare "Lascia o Raddoppia" di Mike
Buongiorno o le prodezze di Rin-tin-
Tin. Ricordo anche la "Cae dee Roe" e
la signora Corinna Stevanin che faceva
una strana raccolta, quella delle carte
argentate di caramelle, forse le consegnava poi alle suore che ci facevano dei
fiori di carta, fattostà che a me per un
bel po' di cartine consegnate, regalava
qualche "santino", quanti ne avevo raccolto così, poi non so come un po' alla
volta sono andati dispersi.
Che personaggi in quella "Cae dee
Roe", ricordo il famoso Lole Capeet e
Toni Serafin detto Scoe.
Gli edifici di "Cae dee Roe" erano vecchi già allora, ricordo che entrando in
una di quelle porte d'ingresso ci si trovava di fronte a numerosi ingressi di
stanze o appartamenti abitati da famiglie
diverse.
Quando ero piccola l'asilo qui a Catena
non c'era e allora la "monega" Polon,
detta "Sanca" si era messa a far asilo in
una baracca posta qui a Catena prima
della farmacia, poi quando mio zio Nani
ebbe il negozio a Treviso in Piazza del
Grano allora fu lui ad accompagnarmi
ad un asilo vero, al Carmen Frova di
Santa Maria del Rovere, dove feci anche
le elementari. Visto che ci andavo io finì
per venirci anche mio fratello Paolo e vi
facemmo le elementari mentre le medie
le frequentammo a Carità di Villorba.
Quand'ero ragazza io era quasi uno
scandalo che una ragazza andasse a studiare ed io, che volevo fare le superiori,
avevo avuto da mio padre un monito
severo, non dovevo rimanere respinta a
scuola neppure un solo anno, altrimenti
avrei smesso gli studi. Ricordo che alle
medie di Carità ci andavamo in bicicletta in quattro: due ragazzi e due ragazze.
Alla fine delle medie mi ritrovai a fare
la strada in bicicletta con un solo compagno maschio, credo proprio che delle
ragazze di Catena di quei tempi fui la
sola a frequentare le superiori. Anche
mio zio Nani era contrario che io proseguissi gli studi ed io quando mi diplomai non mi aspettavo nessun regalo e
56
Carlo Pinarello con il figlio Paolo (a sin)
invece quando tornai col diploma lo zio
Nani mi regalò un bel braccialetto e mio
padre mi fece la grande sorpresa di
organizzare una festa per me assieme a
tutti gli operai dell'officina. Ne fui felice.
Negli anni della mia gioventù la mia
insegnante di inglese, la prof.ssa Bidoli
mi aveva preso a ben volere e per me
era divenuta quasi una tutrice:mi diceva
sempre "ricordati, non devi finire a
sposare un contadino di qua" e mi sgridava quando mi vedeva tornare da scuola con un codazzo di spasimanti ma d'altra parte ero la sola ragazza che frequentava le medie!
Però anche a casa davo una mano, già a
13 anni andavo in banca alla Cassa di
Risparmio di Spresiano in bicicletta:
partivo alle 15 del pomeriggio e percorrevo la strada per Lovadina poi verso
Spresiano ed in una borsetta custodivo
l'incasso del distributore di benzina.
Ricordo che il cassiere si stupiva di
vedermi così piccola portare senza timore quei soldi in cassa e da allora comunque la contabilità di casa la tenni sem-
L’ANTICA O
e l’OFFI
57
Qui a sinistra si intravv
come si potrà leggere ne
schiere di viandanti, car
alle campagne ed alle fa
sportivi che nel fine sett
primo televisore del pae
sede del “Club Indurain
l’altro luogo di riferimen
Pinarello e di suo figlio P
CURIOSITA’ STORICHE
SU CATENA DI VILLORBA
el descrivere la storia di Carlo
Pinarello è necessario immergerla
nel microcosmo dove si è svolta la
sua storia, ovvero a Catena di Villorba e
non la si potrebbe comprendere senza
conoscere almeno sommariamente le caratteristiche di questo piccolo paese. Catena di
Villorba è posto all’incrocio tra l’antichis-
N
sima strada romana Postumia e la Via
Ongaresca o Cal Treviso, che proveniva fin
dall’alto medioevo dal passo sul Piave di
Lovadina per dirigersi a Treviso.
Riportiamo qui di seguito alcuni frammenti
della micro-storia di questa frazione del
Comune di Villorba.
OSTERIA “DA COPPI”
ICINA PINARELLO
58
ede l’ingresso dell’Osteria da Coppi, un’osteria davvero antichissima
elle pagine seguenti. Un luogo già anticamente frequentato nei secoli da
rrettieri che vi transitavano, ed in tempi più vicini dai lavoratori diretti
abbriche della zona e negli ultimi cinquant’anni anche da numerosissimi
timana hanno affollato questa storica osteria per esaltarsi osservando al
ese le gesta dei nostri campioni del ciclismo. Non a caso è poi divenuta
n”. Come si può notare dall’altro lato della strada (Via Marconi) è posto
nto del paese, il distributore di benzina con officina per cicli di Carlo e
Paolo.-154
L’ANTICA OSTERIA “ DA COPPI”
niziamo questa rapida panoramica storica su Catena partendo dall’antica osteria-Da Coppi essendo stata la stessa, nel
corso dei secoli, il vero fulcro della vita
sociale del paese. Infatti la località di Catena
fin dai tempi più antichi era percorsa in
lungo ed in largo da numerose vie di traffi-
I
co, quali ad esempio la Postumia e la “Cal
Lovadina” che portava al passo sul Piave;
era dunque ovvio che vi si trovassero delle
taverne e delle osterie per il sollievo dei
viandanti.
Fin dal 1433 troviamo in Lancenigo il toponimo “alla Tavernina” che stava ad indicare
59
L’ANTICA OSTERIA” DA COPPI” (seguito)
una “piccola taverna”ed è probabile che questa fosse situata proprio a Catena.
In questo piccolo borgo troveremo infatti,
anche nei secoli successivi, più osterie.
Nel 1806 era oste, a Catena, un certo
Giuseppe Bellotto “... attual Oste alla
Cadena, Colmello di Lancenigo...”
Egli, in quell’anno, incorre in un procedimento giudiziario per aver indebitamente
venduto la legna di proprietà di un certo
Nardari, “Cursore” del Municipio di
Lancenigo; sempre in quell’anno il Regio
Tribunale Criminale di Treviso riscontra
alcune irregolarità nella gestione di Rosa
Benedosso, “Ostessa alla Cadena di
Treviso” e moglie del Bellotto.
vendemmiare al più presto essendo l’uva
matura. I1 suo vigneto era posto a Catena
lungo la “Strada Regia” (Postumia) e quindi
“... molto esposta a riflessibili danni tanto da
quei abitanti, quanto dai passeggieri che
passano da Treviso a Conegliano, di modo
che lasciando l’uva sino al 20 Settembre ...
come prescrive il decreto, non si troverebbe
più niente . . . “.
AST, Com., B. 850.
- 1807, novembre 28: “... fermato dalla
nostra pattuglia sulla strada della Catena
certo Osvaldo Brunello di Fontanafredda,
senza alcun recapito e disse di pervenire
dalla medesima ... diretto per Mestre...”.
AST, Com., B. 851.
Ecco di seguito alcuni accadimenti significativi per la storia di questa osteria:
- 1807, ottobre, 7: “ Jeri alle 6 circa pomeridiane ci venne rifferito che nella strada di
- 1806: Gio. Batta Nardari, Cursore del Lancenigo che conduce alla Cadena morì
Municipio di Lancenigo informa la polizia improvvisamente una femina passagera ... è
Dipartimentale che “Giuseppe Bellotto, stata riconosciuta per certa Angela Cadorin,
attual oste alla Catena, Colmello di moglie di Lorenzo Madelon dimorante in
Lancenigo “ è creditore nei suoi confronti Spresiano...”.
di trenta lire Venete per legname di sua pro- AST, Com., B. 851.
prietà: legname che il Bellotto aveva venduto senza restituirgli il relativo ricavato.
- 1808, gennato, 23: “Giuseppe Bellotto,
AST, Com., B. 850.
Oste alla Cadena ... ricerca la permissione di
poter ne’ giorni festivi far sonare, e ballare
- 1806, ottobre, 14: La Municipalità di nella di lui Osteria...”. AST, Com., B. 851.
Lancenigo, “... fatta li 13 corrente la sopraveglianza alli posti Vendibili pane, Cadena e
Limbraga, rilevate n° 25 ‘chioppe’ calanti
(di peso) once 62, somministrato da Gio.
Batta
- 1807, settembre: Giuseppe Stefler, “lavorante di Canepe” chiede permesso di poter
Nella foto a fianco:49
In questa immagine degli anni ‘60 si può osservare come il corpo dell’edificio adibito ad osteria
sia molto più basso degli altri attigui. Questo ne denota l’antichità, confermata dalle carte d’archivio. Si osserva l’insegna della ditta Silver Caffè, l’insegna dell’osteria con la scritta “Ai
Bocia del ‘24. Trattoria-Da Coppi”. Due antiquate automobili Fiat, una ‘500 ed una 127 sono
parcheggiate all’ingresso dell’osteria in attesa che i proprietari terminino la sosta ristoratrice.
L’ANTICA OSTERIA “DA COPPI”
60
61
L’antica Osteria-Da Coppi ai nostri giorni.
CATENA DI UN TEMPO
Ricorda Carlo:” ...Catena un tempo era molto diversa da oggi: qui ad esempio
dove abito io un tempo non c'era nulla, qualche fossetto, qualche brolo, la strada
era bianca, ci passavano solo alcuni cariotti e le pecore, pochi passanti: ricordo
che ad un certo punto iniziò a passare il fornaio Jelmo Gagno da Visnadello che
aveva il forno a Lovadina e ricordo che passava di casa in casa in bicicletta con
una grande cesta di pane sul davanti. Così faceva anche il fornaio Schiavon, detto
"Paneto" da Castrette.
Allora “campaneri” a Catena erano Ippolito e Roma Bettiol ai tempi di Don
Angelo, poi anche Aldo Corazzin.”
Nelle foto della pagina a fianco: in alto-104: Anni ‘60. Gruppo di amici all’Osteria da Coppi a
Catena assistono divertiti all’esibizione di due sfidanti a “braccio di ferro”, classica sfida d'osteria. Dell'osteria si intravedono i tavoli e entro la finestra il gioco del calcio Balilla.
Si notano: secondo da sin. Avio Zuccarel; il fisarmonicista era un ragazzo proveniente da
Maserada e a fianco del fisarmonicista, da seduto, “Petoea” Alessandro Poletto che possedeva
una motocicletta Motom con la quale transitava ad alta velocità per il paese. Era meccanico
alla Cartiera Marsoni. Al centro, con la cravatta, Carlo Pinarello, sulla sua sinistra, pure lui
incravattato, c’è Silvano Zambonetto, dietro di lui Gino Bardin.
In basso-124: Anni ‘60. All’Osteria da Coppi a Catena si esibisce un fisarmonicista, un ragazzo
proveniente da Maserada .
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63
IL PRIMO DISTRIBUTORE DEL PAESE
In questa foto storica di Catena di Villorba risalente agli anni ‘60 si può osservare l’Osteri
ra. Più in là si nota l’altra tettoia, quella del Molino Curtolo operante già agli inizi del secol
ra molto trafficata. La siepe in primo piano sulla destra ed il ciglio erboso, ci indicano che a
tempi. Ricorda Carlo Pinarello:”Questa strada venne asfaltata nel 1955-1956 ed il nostro di
di sono già 50 anni che esiste. Prima vendevamo la miscela in bottiglie: “na volta Toni Se
de bea...”, ci era caduta per terra della benzina e lui incitò uno dei presenti a gettare per te
Questi gettò il cerino per terra e subito la benzina si incendiò. Per fortuna fui pronto a spe
fiamme, ...podeva saltar tuto par aria. ...alla fine del '55 o inizi del '56 il Prefetto di Trevi
re la prima cisterna da 3000 litri. Durante la crisi petrolifera del 1973-74 venivano a riforn
chè qui la benzina non è mai mancata. In quel periodo la Finanza ci fece dei controlli per
na, come allora praticavano molti gestori di distributori ma, aggiunge, qui le malefatte non
tiglia di vino ma il finanziere non accettò e aggiunse che l'avrebbe accettata solo dopo i co
ra della benzina. Quando tornarono accettarono la bottiglia. Il nostro distributore credo sia
lo di Anoè Marotto. Qui da noi da allora iniziarono a passare tutti i tipi di motorini che andav
i Paglianti della Ceccato ecc.
ia Da Coppi con la tradizionale tettoia in lamieo ed ancora in attività. Via Marconi era già alloancora doveva arrivare l’arredo urbano dei nostri
istributore è stato installato proprio allora, quinerafin, so pare de Cicci Schileo ne combinò una
erra un fiammifero per vedere se bruciava.
egnerlo con i piedi calpestando furiosamente le
iso con un suo Decreto ci autorizzò ad installanirsi qui anche da Santa Maria del Rovere, pervedere se mettevamo del kerosene nella benzihanno mai attecchito”. Carlo offrì loro una botontrolli, dopo aver visto l'esito della provinatua stato il primo del paese, prima ancora di quelvano per la maggiore negli anni '50, i Mosquito,
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65
IL PAESE DI CATENA NEL SETTECENTO
el ‘600, lungo via Marconi, a circa
metà strada tra la Postumia e via
Talponi, sorgeva una grande casa
dominicale con annessi rustici (stalla,
tezze, abitazioni per coloni), un ampio
cortile e, per accedervi dalla strada, un
gran portale d’ingresso. Staccata dagli
altro edifici vi era un’altra casa dominicale.
La Catena del ‘600 era tutta quì : l’insieme
di edifici lo ritroviamo quasi identico nel
‘700, raggruppato più o meno tra l’attuale
DaCoppi e l’osteria Galiazzo, anche se
allora la proprietà era divisa in più parti.
Da nord verso sud queste erano le proprietà che si incontravano nel ‘700:
“Gregorio Liberai da Villorba ha terra
APV con casa da coloni murata, coperta di
coppi, in loco detto ‘alla Cadena’.
Affittuale è Antonio Spagnol” .Vi era poi
la proprietà dell’Illustrissimo Gio. Marco
e dei fratelli Rizzi i quali avevano qui “. .
. una casetta murata coperta di coppi . . . “.
Pietro Loredan, qm. Nicola, aveva “. . .
una casa dominical murata, coperta di
coppi, con horto et suo cortivo...” e la
lavorava per conto proprio.
Dopo il Loredan vi era la proprietà del sig.
Marco Fossadori da Treviso il quale possedeva “terra APVcon casa colonica murata, coperta di coppi et suo cortivo in loco
detto alla Cadena. Tenuto da Zammaria
Zamperoni”. Vicino vi era ancora un
Loredan, Andrea, il quale possedeva “. . .
un pezzo di terra APV e Broliva con una
casa dominical per sua abitazione, locco
detto ‘la Cadena’ et tenuta per suo uso et
habitazion. . .”
Si trattava in tutto di quattro abitazioni,
magari con qualche stalla e pagliaio, ma
nient’altro.
Catena compirà un vero sviluppo edilizio
durante il corso del ‘700: è così che troviamo nel 1806 ben 16 case ed un oratorio
N
privato. Tra gli edifici vi erano compresi
due stabili ad uso di bottega, probabilmente osterie, visto che si trovavano su una
strada di grande traffico. Da nord a sud si
incontravano le seguenti proprietà: anzitutto vi era la “casa da masaro “ del sig.
Andrea Schileo.
Questa doveva essere la prima casa che si
incontrava sulla destra proveniendo dalla
Postumia: il sig. Schileo qui possedeva
anche un orto e un terreno tenuto a viti.
Vi erano poi due case “da massaro” del
sig. Alessandro Scarparo qm. Domenico,
quindi la casa da massaro di Gasparo
Moro qm. Gasparo, poi quella di Giacomo
Spineda qm. Marc’Antonio e le due case
‘da massaro’ di Angelo Basso qm. Gio.
Battista.
Subito dopo si trovano le due case “da
massaro“ di Angelo Schileo qm.
Francesco, poi la casa di propria abitazione di Antonio Schileo qm. Francesco che
qui teneva anche Bottega per “proprio
uso”.
Dopo di questa bottega vi era la bottega di
Andrea Schileo qm. Francesco. Veniva poi
la casa per “proprio uso” di un altro
Schileo, Giuseppe qm. Francesco.
Quindi era la volta del Sig. Giovanni
Salvadori qm. Antonio che qui possedeva
la sua casa di abitazione ed un oratorio privato. Infine il Sig. Giacomo Spineda qm.
Marc’Antonio, che vi possedeva un casa
d’affitto.
Va sottolineato come ben otto edifici su 16
fossero proprietà dei fratelli Schileo, figli
di Francesco; costoro possedevano tra
questi edifici anche le uniche due botteghe
nelle quali probabilmente si teneva osteria.
Dal ‘700 in avanti le troveremo infatti
sempre ricordate a Catena: nel 1806 qui
era oste il sig. Giuseppe Bellotto ed anche
Andrea Benedosso con la moglie Rosa.
Oggi il Borgo di Catena ha subito enormi
66
Nella mappa qui sopra si nota la struttura viaria di Catena di Villorba nel corso del ‘700.
L’unico insediamento, il più antico dunque, era quello dove si trova ora l’Osteria da Coppi e
l’antica “Cal dee Roe”.408
modifiche: sono state abbattute vecchie fieno: ora è murato ma testimonia ancora
case, costruiti condomini, ecc.
l’antichità del luogo.
Presso il mulino Curtolo rimane però un
antico arco, di notevole altezza proprio per
lasciar passare i carri sovraccarichi di
67
ANTICHE VILLE E RUSTICI DI CATENA
VILLA MANERA
“Armenter”era praticamente la prima
ora sede di “FABRICA” della Benetton casa che si incontrava provenendo dal
Piave ed entrando in Catena. Nel ‘500
Nel ‘700 questa villa era costituita da questa casa appare struttuata con un solo
una casa dominicale dal fabbricato leg- arco, come oggi: poco lontano appare
germente piú alto di un edificio adiacen- rappresentato un casone con due ingreste, probabilmente la parte destinata alla si. La località è definita “Ala Campagna
stalla e “tezza”. Nell’estimo relativo tro- de Lanzenigo” o “alla Cadena”. Quelle
viamo riportato: “Iseppo Zanetti, Pittor, terre allora erano del sig Zuanne de
fu del qm. sig. Antonio da Venetia, ha l’Anello, mentre sopra la casa colonica
una casa domenical ... tenuta da Zuanne vi è la scritta: “dei Caselati”. Nel ‘600
Castellan ...”.
compare, oltre alle due case degli
Nei primi anni dell’800 a questo corpo “Armenter”, anche la casa attualmente
originario si sono aggiunti numerosi altri proprietà Casagrande. Nel ‘700 la casa
edifici ad uso di stalla, granai e “tezze” “Armenter” appare immutata nell’estimo
nonché abitazioni per coloni. Si trova e viene cosí descritta: “il N.H. Polo
scritto nella mappa del 1806: “alle case Querini Procurator ha una . . . casa da
dell’Aperle”: cosí veniva chiamata la coloni di muro coperta de coppi, locco
località, allora infatti la proprietà era di detto la Campagna di Sopra. Allora la
“Aperle Mario qm. Gio. Battista . . . “ e casa colonica era tenuta da Antonio
gli edifici comprendevano una “casa da Trevisin.
villeggiatura con Oratorio privato, Brolo, L’altra casa Armenter, presso quella dei
orto, prato arativo e due case da massaro Casagrande, nel ‘700 era di proprietà del
...”.
sig. Francesco Rodeta da Venetia e si
scrive nell’estimo che si tratta di “ . . una
CASE ARMENTER
casa da muro coperta parte a coppi parte
a paglia, locco detto “di sopra la
Questa antichissima casa colonica, che Postuoma, tenuta da Zuanne Zambon ...”
ha mantenuto praticamente inalterata la
sua struttura originaria, è stata proprietà
CASA CASAGRANDE
dell’ex-Sindaco del Comune di Villorba,
il Sig. Luciano Durigon. Proprietari da La casa dei Casagrande viene descritta
innumerevoli generazioni di questa casa come proprietà del N. H. Gasparo
colonica, e di un’altra, che sorge dirim- Lombria il quale, si scrive, “. . . ha una
petto alla prima, i Durigon vennero casa di muro coperta di coppi locco detto
soprannominati già nei secoli scorsi di sopra la Postuoma terra e casa tenuti
“Armenter”, dal nome della importantis- da Girolamo Mion ...”. Casa “Armenter”
sima via di transito che vi passa a fianco, nel 1806 era proprietà del sig. Zanetti
appunto via Armenter, come si chiamava Giuseppe qm. Domenico e viene definita
un tempo. Oggi è via Borgo: presso casa “Casa da Massaro”.
“Armenter” questa via incontra l’altra L’altra casa “Armenter’, presso i
importantissima via Marconi. Lungo Casagrande, era invece proprietà del sig.
queste due strade si snodava un tempo Battistella qm. Nicola ed è annotata
tutto il traffico dei commercianti, vian- come “Casa d’affitto”. L’abitazione
danti e pastori che si dirigevano a attuale dei Casagrande a quel tempo era
Lovadina a guadare il Piave. Casa proprietà del sig Casellati Lorenzo qm
68
Catena di Villorba nella Mappa del Catasto Napoleonico
Egidio ed era una “Casa da Massaro “. Di
fronte alla casa “Armenter”vi era in quell’epoca un altro edificio ora non piú esistente: probabilmente si trattava di fienili e granai. Oggi la casa dei Casagrande
ha subito notevoli ristrutturazioni: le case
“Armenter” sono invece rimaste immutate, con le loro stalle, terre e granai, anche
se un po’ cadenti.
La famiglia Durigon è molto probabile
risiedesse qui già da secoli, visto il
soprannome di “Armenter”: come in altri
casi le famiglie di coloni si succedevano
nei fondi da loro lavorati, per tempi lunghissimi.
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POVERTA’ E SOTTOSVILUPPO A VILLORBA
NEL PRIMO DOPOGUERRA
ome detto in altra parte del presente
lavoro, Carlo Pinarello esce dalla seconda guerra mondiale duramente provato
dalla povertà generale, all’interno della quale
però la sua famiglia si trovava ad occupare una
delle peggiori condizioni .
La povertà della sua famiglia era davvero grande.
Ma anche gli altri compaesani non vivevano in
condizioni agiate, come si può osservare dalla
comparazione dei dati sottoriportati.
Si era in presenza di abitazioni che non conoscevano ancora il bagno interno: come abbiamo
potuto osservare nella fotografia della “Cal dee
C
Roe” il gabinetto, il“cesso”, era esterno, non
c’era l’acqua corrente dentro le case, l’illuminazione veniva fornita ancora dai lumi a petrolio.
Spesso le abitazioni non avevano neppure il
pavimento ma terra battuta o, al massimo, una
fila di mattoni sconnessi poggiati sul terreno.
Le case poi erano malamente riscaldate da cucine economiche che venivano accese solo per il
tempo necessario alla cottura dei cibi: infatti,
testimonia Carlo Pinarello, trovare della legna
da ardere era una vera impresa e soldi per acquistarne non ce n’erano.
Pochissimi ragazzi allora terminavano l’intero
ciclo delle Scuole Elementari.
“LE NOSTRE GRANDI CAMPANE»
GARA TRA LANCENIGO E VILLORBA”
Villorba il campanilismo vive ancora nelle
persone di una certa età e negli anziani che
hanno vissuto il tempo in cui essere di
un’altra frazione voleva dire essere diversi ed il
campanilismo si estrinsecava un tempo anche in
violenze, baruffe e sassaiole tra gente di frazioni
diverse.
Nel 1806 a farne le spese suo malgrado è uno di
Villorba, tale Paolo Donadi. Sta percorrendo la
Postumia a piedi di
notte quando, giunto
all’altezza di Catena,
viene aggredito e
bastonato di santa
ragione. Con la testa
insanguinata il Donadi
riporterà gravi conseguenze. I due aggressori individuati risultano essere ambedue di
Catena.
Il termine “campanilismo” deriva dalla gara
per avere il campanile
più alto e svettante che
la vincesse sugli altri.
Dove non arrivava l’altezza però poteva arrivare il suono limpido
delle campane: ecco
allora anche la corsa
alle campane fuse in
leghe dall’alta percentuale di argento.
Nel villorbese questa
rivalità si sviluppò
soprattutto tra la frazione di Villorba centro e quella di Lancenigo. Il campanile di Villorba
nel ‘700 era definito dal parroco un “casoto de
legno”, ma nel 1810 venne invece ricostruito in
pietra e altissimo, su progetto di Francesco
Zambon.
Per arrivare alla sua costruzione i parrocchiani
dovettero autotassarsi a più riprese: nella cella
campanaria vennero collocate le campane del preesistente campanile di legno. Del campanile i villorbesi sono sempre stati orgogliosi, ma alcuni furbescamente prima diedero il contributo al parroco,
poi nottetempo, se lo ripresero: infatti durante la
costruzione del campanile un gruppo di villorbesi
si recò a fianco della chiesa armato di secchi e
badili. Rubarono così ben 40 ‘mastelli’ dalla buca
A
70
della calce che doveva servire alla costruzione del
campanile.
A Lancenigo mal soffrivano ovviamente nel vedere questo svettante campanile: possiamo immaginare gli «sfottò» nelle osterie alla domenica.
Lancenigo, come Villorba, nel ‘700 ha solo un
casotto di legno per campanile: durante 1’800
verrà costruito in pietra ma finendo a poca altezza,
a forma di torre, come quello di Carbonera.
Il massimo della
sfida nella gara con
Villorba venne raggiunto nella ricerca
di campane migliori: eccone la versione data da un parroco di epoca successiva, don Gasparini.
«Nel 1903 furono
acquistate
dalla
ditta Volpattini di
Bassano le tre campane in ‘mi’ ‘re’,
‘do’ naturali, sostituite alle vecchie
pur buone. La spesa
totale raggiunse le
14 mila lire (...) raccolte con grande
sforzo e sacrificio
dalla popolazione
che si era autotassata di una data quota
per famiglia da raccogliersi a rate successive. Ma di campane nuove non
c’era affatto bisogno: fu un puro capriccio, si volle per alcuni gareggiare con Villorba che qualche anno prima aveva
inaugurato le sue più grandi di queste».
Ma le campane di Lancenigo erano sproporzionatamente grandi e nella cella campanaria non ci stavano: era una fatica enorme suonarle e si dovettero
collocare su cuscinetti a sfera, con altre spese per
migliaia di lire. Ci penseranno poi i soldati italiani,
durante la prima guerra mondiale, a fare il resto: la
cella campanaria viene infatti utìlizzata come
osservatorio militare e vi si costruì un vero e proprio alloggio danneggiando campanile ed orologio.
Da un articolo di Adriano Favaro
in La Tribuna di Treviso del 15.12.1989
71
Due antiche case di Catena di Villorba in una foto recente. Della prima ammiriamo l’antica fattura, la piccola edicola posta in alto tra i balconi, forse un ex-voto dell’antico proprietario.
Della seconda osserviamo invece la curiosa merlatura che la fa sembrare un po’ “castello
medievale”: Carlo Pinarello ricorda come dall’interno di questa abitazione parta una galleria
che attraversa la strada, sotto terra, per sbucare nella casa di fronte. Un misterioso cunicolo
forse medievale. Tutte e due le abitazioni sono poste all’incrocio di via Marconi con via Monte
Grappa, che conduce al Borgo di Lancenigo.
72
Nella foto qui sopra: La filanda Antonini del Borgo di Lancenigo alla fine dell’800, posta a
pochi passi dalla casa natale di Carlo Pinarello, dava lavoro a decine e decine di donne. Sotto:
Uno dei grandi carri da trasporto che Carlo Pinarello ricorda transitare ininterrottamente da
Lovadina lungo via Marconi e diretti a Treviso per scaricare materiali al Porto di Fiera Allora
si trasportava ghiaia del Piave verso Treviso ed anche verso Venezia; in quei tempi una grande
famiglia di “carioti” era quella dei De Santi da Lovadina che “i pasava tuto el giorno par
Caena col bareon grando” per trasportare anche loro ghiaia verso Treviso e Venezia.
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L’ANTICO MOLINO CURTOLO
In queste pagine l’antico molino Curtolo risalente alla fine dell’800. Tutti i paesani di Catena,
Lancenigo, Villorba, per generazioni si sono recati in questo molino per macinare grano e frumento o
per acquistarvi le farine. Il molino è miracolosamente ancora attivo con i suoi antiquati meccanismi.
Sono ancora attivi all’interno la macina e tramoggia marcate “Werstarsa-Budapest 1895 ed altri meccanismi marcati Officine Meccaniche Rossi Romeo di Treviso. Su una macchina rimane ancora l’immagi-
74
ne di Padre Pio incollatavi dall’anziano proprietario recentemente scomparso. Tutto biancheggia di farine. Alle pareti setacci (“tamisi”) ed altri strumenti di lavoro del mugnaio. Un cartello avvisa:”Si ringrazia anticipatamente, qui si vende solo in contanti” e “qui si comperano pannocchie”. Sembra che il
tempo si sia fermato in questo antiquato molino.
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Nelle due foto di questa pagina, risalenti agli anni ‘80, due diversi momenti dei lavori del sottopasso di via Marconi a Catena. Qui sopra si nota ancora il vecchio passaggio a livello che ne
permetteva l’attraversamento a raso. Sotto il sottopasso è già completato: cambierà per sempre
le abitudini dei paesani, rendendo scorrevole il traffico sulla Postumia ma causando anche perdite di vita umane per attraversarla .
Il territorio di Catena di Villorba in una mappa del 1941
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77
UN PERSONAGGIO INDIMENTICABILE DI CATENA
“LOLE CAPEET”
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Una figura “mitica” per la storia di Catena di Villorba: Giovanni
Cappelletto detto “Lole", classe 1899.
Ricordato da Carlo Pinarello nei suoi racconti, di professione faceva
l’accompagnatore di mucche contrabbandate.
Abitava in "Cal dee Roe" a Catena, dirimpetto quindi a quello che divenne
poi l’officina-distributore di Carlo Pinarello..
Foto del 1955
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PERSONAGGI INDIMENTICABILI DI CATENA
LA MAESTRA ASSUNTA BASSAN
Ricorda Carlo Pinarello:
”Andai a scuola a Catena e
la scuola era posta prima
della ferrovia a fianco della
chiesa vecchia e avevo come
maestra Assunta Bassan in
Berizzi figlia di Cesare
Michieli: suo padre aveva
l'osteria vicino alla villa di
Mario del Monaco.
Con lei feci due o tre anni di
scuola. “
La Maestra Bassan e
Carlo Pinarello.
In alto Giovanni “Nani”
Pinarello
80
A sin. Pietro Coracin carabiniere
La Maestra Assunta Bassan e
Carlo Pinarello. A destra Arturo Lazzari dell’Aviazione, Presidente dei
Bocia del ‘24.
La Maestra Assunta Bassan festeggiata dai suoi ex-allievi
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PERSONAGGI INDIMENTICABILI:
IL CAVALIERE DI VITTORIO VENETO
EMILIO ROVEDA
Il “Ragazzo del ‘99” e Cavaliere di Vittorio Veneto Emilio Roveda era un po’ il simbolo del
paese, per tutti coloro che hanno a cuore la storia della nostra Patria, perchè Emilio Roveda ne
rappresentava un pezzo: combattè durante la Prima Guerra Mondiale e all’età di 105 anni
amava ancora declamare i versi dell’Inno al Suolo Italiano: aveva ancora una ferrea memoria.
Carlo Pinarello nella sua veste di Bocia del ‘24 e di animatore di tante iniziative per gli ex-combattenti paesani, teneva stretti rapporti di amicizia con il Cav. Roveda e lo ricorda sempre con
tanto affetto.
PERSONAGGI INDIMENTICABILI:
IL SINDACO MAESTRO LUCIANO DURIGON
82
Sopra:Il Maestro Luciano Durigon e Carlo Pinarello furono legati da profonda amicizia: qui
vediamo appunto Durigon con Carlo Pinarello il giorno in cui, nella sua veste di Sindaco, gli
conferì il Cavalierato della Repubblica. Ancor oggi Pinarello ricorda il Mestro come una figura
insostituibile e afferma che ebbe un ruolo importante nello sviluppo economico e sociale di
Catena di Villorba. “Se ci fosse qui ancora lui molte cose andrebbero meglio...era una grande
persona e la sua mancanza si sente”, afferma con affetto, ogni volta che prende per le mani
una sua fotografia.
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PERSONAGGI INDIMENTICABILI:
IL TENORE MARIO DEL MONACO
ario Del Monaco fu cittadino di
Lancenigo di Villorba e con i
Pinarello strinse una amicizia franca
e cordiale e lo testimoniano le numerose fotografie che lo ritraggono assieme alla famiglia
Pinarello. Mario Del Monaco nasce a Firenze
il 27 luglio 1915 da una famiglia della buona
borghesia (il nonno materno era farmacista)
con ascendenze nobiliari (la nonna paterna era
la principessa palermitana Caterina Vanni di
San Vincenzo).
Fin dall'infanzia Mario subì l'influsso degli
interessi musicali della famiglia. La madre
Flora Giachetti, che egli definì "la mia prima
musa", possedeva una bellissima voce. Il padre
Ettore svolse per qualche tempo l'attività di
critico musicale a New York.
Dopo il trasferimento della famiglia a
Cremona prima e a Tripoli poi per l'attività
lavorativa del padre, i Del Monaco si stabilirono a Pesaro dove Mario, divenuto allievo del
Maestro Arturo Melocchi, si diplomò al
Conservatorio Rossini.
Per il giovane tenore gli inizi furono molto
M
sofferti.
Vinta nel 1936 una borsa di studio per un
corso di perfezionamento al RealeTeatro
dell'Opera di Roma, sarebbe incappato in
una grave crisi vocale: infatti gli insegnanti, traditi dall'esile figura, diressero
Mario verso un repertorio lirico leggero,
riducendo la sua voce al punto di distruggerla.
Mario, che intanto aveva conosciuto Rina
Filippini, un giovane soprano compagna
di studi, tornato a Pesaro dal Maestro
Melocchi, ritrovò l'impostazione congeniale alla sua voce naturale.
Durante la guerra Mario, che aveva indossato la divisa militare nel 1938, fino al
1943 prestò servizio come autiere prima a
Milano poi a Treviso.
I suoi studi da autodidatta secondo le
indicazioni del Maestro Melocchi, non
conobbero soste fino al debutto ufficiale
avvenuto il 31dicembre 1940 al Teatro
Puccini di Milano nel ruolo di Pinkerton.
Il 21 giugno 1941 il giovane Mario sposa
Rina, che rimarrà la sua compagna inseparabile ed ascoltata consigliera per tutta
la vita. Il matrimonio di Mario ebbe luogo
nella cappella privata di Villa Luisa a
Lancenigo. Dal matrimonio nacquero due figli:
Giancarlo e Claudio. Spesso si crede che i
grandi artisti siano personaggi mitici, ma non
bisogna dimenticare che in fondo sono uomini
dei quali il talento esalta le caratteristiche ed
acuisce la sensibilità. E Mario Del Monaco è
stato, in quest'ottica, un artista con la "A"
maiuscola per il quale le esperienze della vita
comune, e le vicissitudini giornaliere, sono
stati elementi che egli ha saputo trasferire sulla
scena dando vita e credibilità psicologica ai
suoi personaggi in cui il pubblico di tutto il
mondo si è riconosciuto.Dotato di un carattere
volitivo ha saputo affrontare e sublimare i
momenti di sofferenza dai quali non è immune
la vita di nessun uomo. Con indomita volontà
Del Monaco ha superato il trauma umano ed
artistico provocato dal grave incidente stradale
di cui rimase vittima nel 1963 in cui rischiò
seriamente la vita e la carriera. Oltre che dalle
attenzioni della moglie, dei figli e dei genitori
potè attingere forza dall'affetto dei fratelli,
Marcello (direttore didattico e maestro di
canto) e Alberto.
In grado di confrontarsi con le esperienze vissute, Del Monaco è entrato nella storia del
melodramma, come il tenore che ha saputo trasmettere quella sofferenza e quella gioia che
solo un vero artista è in grado di trasmettere.
Non senza qualche critica per presunti "eccessi
di verismo". In realtà egli, interprete umano,
generoso, espressivo e comunicativo, spesso
con un'intensità che non trova eguali tra i tenori della sua epoca, ha saputo "inventare" un
nuovo modo di porgere il canto, un modo
moderno e innovativo. Memorabili sono i suoi
fraseggi scolpiti, il suo declamato formidabile,
reso possibile dalla voce possente,
bronzea con colori che sfumavano
84
verso un metallo ancor più prezioso,
l'oro puro, che sgorgava a fiumi per riempire,
non solo i teatri, ma anche l'anima dell'ascoltatore.
Di qui il rapimento del pubblico infallibilmente soggiogato e trascinato dalla sua magnifica
voce fino allo straniamento.
Una voce sostenuta da fiati interminabili e
governata da un controllo magistrale dell'organo vocale che gli consentiva di passare dall'acuto possente alla calibrata mezza voce.
Il tutto con un rispetto allora nuovo per il dettato musicale.
Mario del Monaco con i Pinarello, anni '60. Siamo a Catena, di fronte alla prima officina della
Cicli Pinarello. Nella fotografia compaiono anche i lavoratori che operavano a quel tempo all’interno dell’officina. A sin. Carlo Pinarello con la moglie Elsa Torresan. A destra di Mario del
Monaco, Nani Pinarello e consorte. Mario Del Monaco fu cliente affezionato ed amico dei
Pinarello, e presso di loro sceglieva le biciclette con cura particolare.
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IL TENORE MARIO DEL MONACO
Mario Del Monaco strinse amicizia con i Pinarello: qui cavalca una motocicletta
nuova fiammante. Siamo nel 1962, a Catena di Villorba, di fronte all’officina dei Pinarello.
Attorno a lui i fratelli Nani e Carlo Pinarello con le mogli e Augusto Gattel, un operaio dell’officina di biciclette.
Questa fotografia ci consente di gettare uno sguardo d’insieme sul mondo lavorativo dei Pinarello negli anni ‘60. Si scorgono numerosi motocicli e bombole di
gas che facevano parte della loro attività commerciale. Alle spalle di Nani si può
osservare la FIAT Seicento dei Pinarello che porta sul tetto uno dei primi frigoriferi dei quali iniziavano le richieste da parte dei clienti. Il bambino a destra è il
figlio di Carlo, Paolo Pinarello, attuale gestore dell’officina di Catena.
86
87
NASCE LA MITICA BICI PINARELLO
NANI ED IO INIZIAMMO
A RIPARARE BICICLETTE
Racconta Carlo Pinarello: “Arrivati all'età
di dieci o dodici anni dei cugini più anziani di noi ci insegnarono a riparare le biciclette e così quando Nani ebbe diciotto
anni ed io sedici abbiamo aperto la prima
officina di riparazioni di biciclette in una
stanzetta da Bepi Girotto.
Là vicino c'era il forno del pane con quattro operai, Leli Schileo, bravo cantante,
Puci Pavan, Santo Stival e Gildo “Paneto”
Schiavon: questi uomini ci volevano bene
ed ogni mezz'ora o più, per un buco della
rete metallica di recinzione, ci passavano
una "ciopa" di pane caldo: Nani ed io ce la
dividevamo e così mangiavamo.
QUANDO NON C'ERANO COPERTONI
Con la guerra Catena era continuamente
bombardata, essendo tutta costruita lungo
la linea della ferrovia allora presa di mira
dai bombardieri americani. Così tutta la
mia famiglia andò profuga nel Borgo di
Lancenigo, nella casa di Campion di fronte alla casa dei Fiorotto.
Qui iniziammo a lavorare sotto il porticato di nostro "santolo" Vittorio Pinarello: il
nostro lavoro riguardava sempre le biciclette. In quel tempo non c'erano copertoni per le biciclette, così noi ci inventammo
qualcosa di sostitutivo: saldavamo ai cerchioni delle ruote dei cerchi di ferro, poi
cucivamo attorno alla circonferenza un
sandwich di tela che all'interno conteneva
uno strato di gomma derivante dalle
camere d'aria utilizzate dalle auto.
Era un buon sistema e tutti acquistavano
le nostre coperture che erano essenziali
per poter girare in bicicletta soprattutto
per andare al lavoro percorrendo le strade
dissestate di allora.
Poi arrivò il 25 aprile 1945 quando
avvenne il bombardamento di casa nostra
dove eravamo sfollati, al Borgo di
Lancenigo: per la nostra famiglia il bombardamento, la morte ed il ferimento dei
nostri familiari fu un momento critico,
eravamo senza casa, senza nulla, ma un
po' alla volta ricominciammo a lavorare,
costruendo telai sport e da corsa e così
nel 1951 nacque la prima nostra fabbrica
ed anche la bicicletta Pinarello, oggi qualificata la migliore del mondo e andammo avanti a pieno ritmo a lavorare fino
alla depressione organica, tanto che nel
1956 dovettero ricoverarmi diversi giorni, non ricordo neppure quanti fossero.
Nel 1953 mi sposai e l'anno successivo
venimmo ad abitare nella casa qui di fronte, (la casa di Aldo Corassin).
Con grandi sacrifici siamo riusciti a comprarla: qui di fronte c'erano 500 metri di
terreno fabbricabile, abbiamo fatto un
ponticello di traversine della ferrovia per
passare il fosso, ma quello che ancora
mancava ancora era l'officina vera e propria.
Per costruircela cominciammo allora a
fare i blocchi di cemento con lo stampo,
uno alla volta: al mattino costruivamo
blocchi di cemento ed al pomeriggio si
lavorava di biciclette.
Fatta l'officina, anche se non molto grande e rifatto il ponte in cemento, da quel
momento tutti i nostri guadagni furono
destinati solo alla costruzione di mura e
della terrazza dove ora c'è l'ufficio: prima
al suo posto c'era la vecchia cucina.
Così da quel momento in poi il guadagno
che ci procurava il nostro lavoro andava
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Negozio Pinarello a Treviso. Si distinguono Bartali e Carlo Pinarello.
Anno 1953.
Nani nel 1952 smette di correre ed apre in piazza del Grano a Treviso un suo negozio di bici.
solo a noi e nostra madre: di anno in anno
aumentavano le vendite ed il lavoro e da
quel periodo potemmo iniziare a costruire
stanze e stanzini e magazzini per lavorare.
Il marchio della Cicli Pinarello dei primi tempi.
Come da tradizione, questa borchia veniva fissata sulla parte anteriore del telaio
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LA STORIA DI GIOVANNI “NANI” PINARELLO
GIOVANNI PINARELLO nasce a Lancenigo di Villorba nel 1922, ottavo di dodici fratelli. La
vita in questo periodo non è certo facile: la famiglia non benestante e le due guerre mondiali
oltretutto, hanno condizionato la vita di questa, come peraltro quella di tantissime altre famiglie del Veneto contadino. Nonostante l´indigenza di quegli anni, Giovanni scopre fin da giovane la passione per le due ruote, e prendendo a prestito gran parte del materiale, inizia a gareggiare all´età di diciassette anni nelle categorie minori.
I risultati non tardano ad arrivare e dopo aver collezionato oltre 60 successi nella categoria
dilettantistica, passa al professionismo nel 1947. Correrà con i professionisti fino al 1953,
aggiudicandosi 5 corse. La Pinarello nasce per opera di Giovanni Pinarello alla fine degli anni
Quaranta a Catena di Villorba. Giovanni, comunque, apprende i primi rudimenti come costruttore di bici già prima della guerra, poco più che quindicenne, presso la ditta Paglianti e nella
sua Catena, a casa propria, quando ancora gareggiava. Già nel 1922, infatti, suo cugino
Alessandro aveva iniziato, in una piccola officina, a costruire biciclette, come dimostra la
Medaglia d´Oro ed il Diploma di Partecipazione alla Fiera di Milano del 1925.
Durante questi anni Pinarello assieme a pochi altri collaboratori comincia anch´egli a fabbricare biciclette: inizialmente si costruiscono e vendono soprattutto bici sportive e da città, sia
per uomo che per donna, mentre le bici da corsa restano ancora per pochi appassionati e ciclisti di professione della zona. I telai grezzi sportivi e per bici da città, per la maggior parte vengono costruiti all'interno dell´officina, mentre quelli da corsa derivano prevalentemente da
esperti costruttori esterni. I pezzi vengono verniciati ed assemblati in un vecchio magazzino
nella casa di famiglia fuori Treviso. Si tratta di una produzione totalmente artigianale e che
quindi non permette di fare grandi numeri. L´intento è già quello di dare una immagine al prodotto ben definita e di collocarlo in un segmento elevato.
Nel 1952 si presenta l´occasione di poter cominciare la propria nuova attività commerciale ed
artigianale in Treviso. Infatti in quell'anno Giovanni deve rinunciare, all´ultimo momento, alla
partecipazione al Giro d´Italia per lasciare il posto all´emergente Pasqualino Fornara. La rinuncia è ovviamente forzata, ma viene ripagato dalla Bottecchia (società per la quale correva come
professionista), con 100.000 lire, somma ingente per quei tempi che gli consente di avviare,
appunto, il primo negozio a Treviso.
Nel negozio preso in affitto, Pinarello riesce a trovare il posto giusto per piazzare i propri prodotti: all´interno della bottega si vendono principalmente bici Pinarello, ma non mancano
anche marche differenti ed una vasta serie di accessori e componenti; presto diventerà uno dei
negozi più importanti della provincia. Comunque l´attività trova il suo sviluppo naturale attorno alla produzione e commercializzazione delle biciclette. Fin dall´inizio il negozio diventa
punto di ritrovo per tutti gli appassionati di ciclismo: la fama che Giovanni aveva saputo conquistarsi sul campo come ciclista, fa si che anche come costruttore venga apprezzato dalla
clientela più esigente.
Nel periodo del boom economico del dopoguerra, anche il nome della casa trevigiana comincia ad acquisire una certa notorietà nel campo delle due ruote e Pinarello intuisce che è il
momento di entrare nel mondo delle sponsorizzazioni. Inizialmente affianca pubblicitariamente piccole squadre che si trovano in provincia, o meglio, cerca di aiutarle in qualche modo fornendo loro i mezzi per correre. La prima squadra che partecipa ad una gara nazionale con la
bici Pinarello è la società Padovani e l´anno è il 1957. Da allora comincia la collaborazione con
i gruppi sportivi che diventano il veicolo promozionale più importante per l´azienda.
Nel 1960 viene sponsorizzata la prima squadra professionistica, si tratta della società Mainetti
che annovera tra i suoi atleti numerosi campioni dell´epoca. Ma il primo grosso successo a
livello professionistico risale al 1966 ed è la vittoria al Tour de l´Avenir in Francia per merito
di Guido de Rosso. Si tratta della prima vittoria in campo internazionale e per questo rappresenta il vero debutto della casa trevigiana nel mondo del ciclismo professionistico.
Successivamente gli abbinamenti con altre squadre professionistiche vincenti fanno conoscere
il nome della casa trevigiana in tutto il mondo.
90
Sopra e a fianco due diversi
momenti della carriera ciclistica di Giovanni Pinarello.
La famosa Maglia Nera ingaggiava strenue battaglie pur di
arrivare ultima: infatti all’ultimo arrivato era garantito per
certo un buon compenso che un
ciclista magari giunto nel gruppo di testa non percepiva. Il
denaro così guadagnato veniva
immediatamente spedito a casa
per aiutare la famiglia.
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I CORRIDORI DI CONTRADA
"PINARELLO, LA MAGLIA NERA È DIVENTATO UN ARTISTA..."
-DALLA "TANA" DI DURANTE AL NEGOZIO DI ZANIN-
Giovanni Pinarello in una foto rèclame della ditta
Stucchi
Da " La Gazzetta dello Sport"- 7 gennaio 1965
ornato a Catena di Villorba, all'officina di
Nani Pinarello, dove gli operai hanno appena finito di lavorare, si va a bere all'osteria di
fronte. Sono patiti per la bici, questi operai, ragazzi orgogliosi della loro passione e consapevoli della
loro vita e anche della loro posizione e privilegio.
"Non c'è corridore veneto che non venga da noi, da
Pinarello per la bici, perchè lui ha un occhio..." mi
dicono Tonon Giuseppe, "coridor" domenicale, uno
che la bici la può mettere insieme a occhi chiusi, ,
Piovesan Angelo, elice come la luna, Campion
Romeo, il dirigente sportivo del gruppo cicloturistico, una società tra sportiva e gastronomica che
T
ama prolungare i piaceri della domenica sino alle
quattro del lunedì mattina.
Mi raccontano che i Pinarello "andavano in limosina" nel paese, facevano piccole riparazioni, svelti,
servizievoli, poi sempre qualcosa di più e di
meglio. E dopo la guerra Pinarello, il Nani, ha pensato di formare un'officina con tutta l'esperienza
che aveva di maglia nera del Giro.
"Vede el coridor el studia la bici par elo" mi raccontano.
Verso la una Nani arriva da Treviso in "seicento",
insieme con la moglie. Un giovanotto di età indefinibile, pare. Mi riporta a vedere l'officina e mi trattiene a colazione nella sua casa che fa corpo con
l'officina stessa. Schietto, intelligente, la faccia
magra e agra del piccolo commerciante, abile, forse
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Giovanni “Nani “ Pinarello con alcuni compagni in allenamento
con in fondo in fondo l'amarezza di non essere
stato il corridore che aveva sognato di diventare,
mi introduce nella sua casa ariosa, moderna: la
moglie, una donnna piacente, opulenta, di quelle
che devono sacrificare la pasta asciutta alla linea,
sparita in cucina.
E Nani mi racconta che per essere stato sempre in
mezzo alle bici non può fare a meno di vivere con
i corridori. Corse dal '31 al '61 mi dice, cominciò a
fabbricare bici artigianalmente, fece anche il pittore, "pure mia moglie dipinge" e mi indica un quadro di lei, di un mare nero e bianco di schiuma
infuriato contro scogli aguzzi come vetri infranti",
ma sempre tornò al suo fondamentale amore: la
bici. A Treviso fanno i telai, qui, a Catena verniciano e montano. Ha fondato la società Tognana -
Pinarello per veder di far crescere dei campioncini.
E così ogni anno sono speranze, illusioni, occasioni per tirar avanti, come con quel Schiavon che
promette di diventar bravo come Durante. Ma ora
è militare, purtroppo.
Si passa a parlare di Adriano, questo ragazzo che
sino all'anno scorso andava "per siepi a far radici",
l'inverno, un carattere duro - la sua forza - perchè
viene fuori da una "famiglia forte, rocciosa".
"Suo padre era il più forte della zona".
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Nani Pinarello in gioventù. Sullo sfondo il molino Curtolo di Catena e due ragazze amiche dei
Pinarello.
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Mario del Monaco all'officina Pinarello,anni '60. Siamo di fonte all'officina Pinarello di Catena.
Da sin.:1-Nani Pinarello 2-Augusto Gattel 3-Renato Rebuschi 4-Mario Del Monaco 5-Italo
Trevisan 6-Giovanni Simionato 7-Carlo Pinarello. Giovanni e Carlo appresero i primi rudimenti
come costruttore di bici già prima della guerra, quando Nani era poco più che quindicenne,
presso la ditta Paglianti e a Catena, a casa propria. Già nel 1922, infatti, un loro cugino
Alessandro aveva iniziato, in una piccola officina, a costruire biciclette, come dimostra la
Medaglia d’Oro ed il Diploma di Partecipazione alla Fiera di Milano del 1925.)
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L'UNIONE CICLISTI TREVIGIANI
E LA STORIA DEL CICLISMO TREVIGIANO
Da un testo tratto dal sito internet dell'Unione Ciclisti trevigiani.
ell'anno 1912, a Treviso vennero organizzate varie gare di risonanza di risonanza
che tuttavia non contribuirono a sollevare
il ciclismo: molti club si sciolsero lasciando liberi i corridori tesserati.
Nel 1913 alcuni dei più forti e tenaci corridori,
lasciati svincolati, si ritrovarono a Castelfranco
Veneto per una gara e alla richiesta, da parte degli
organizzatori, per chi gareggiassero, dissero: per
l'Unione Ciclisti trevigiani.
Gareggiarono tutti con una maglia color nero con
la scritta U.C.T. nel davanti.
Così è nata l'Unione Ciclisti Trevigiani e fortuna
volle che la gara venisse vinta da Zanchetta della
Trevigiani. Fu un battesimo fortunato, come gloriosa e fortunata è sempre stata la storia
dell'Unione Ciclisti Trevigiani.
Negli anni successivi vuoi per la prima guerra
mondiale vuoi per altri problemi la Trevigiani si
fuse con altra società di Treviso, il Club Ciclistico
Trevigiano.
La fusione non ebbe lunga vita in quanto sorsero
delle incomprensioni.
Nel 1919 fu sottoscritto l'atto che sanciva la nascita dell'Unione Ciclisti Trevigiani. Promotore principale fu Gino Fregonese che venne nominato
segretario e direttore tecnico. Presidente fu eletto
il Tenente Antonio Pagnin. Il colore delle maglie
rimase invariato.
Da subito vennero organizzate importanti gare
ciclistiche che ebbero grande partecipazione di
corridori e pubblico. Una fra tutte : la
Popolarissima.
Dopo una seconda fusione con il Club Ciclistico
Trevigiano, nel 1923 venne ricostituita definitivamente l'Unione Ciclisti Trevigiani, la maglia
sociale nera venne sostituita con una maglia color
bianco e nero a scacchi e la scritta U.C. Trevigiani
nel davanti. Presidente fu nominato il Cav. Ugo
Marcati e segretario viene riconfermato Gino
Fregonese.
Dopo il primo decennio, caratterizzato da alterna
fortuna, iniziò un lungo e fortunato periodo che
arriva ai giorni nostri e che continuerà ancora per
molti anni.
Con il passare del tempo l'Unione Ciclisti trevigiani riuscì ad imporsi a molte altre società ciclistiche e diventò punto di riferimento per tutto il
ciclismo trevigiano e regionale.
N
Che dovessero arrivare i grandi risultati era convinzione di tutti.
In questo periodo i corridori della Trevigiani si
imposero con una certa facilità in tutte le competizioni più significative, l'apparato organizzativo
fu impegnato con successo nel coordinamento di
nuove gare in tutta la provincia riservate alla categoria Esordienti, Allievi, Juniores, Dilettanti e
Professionisti.
La segreteria fu impegnatissima nella gestione dei
vari clubs e dei numerosissimi soci che contribuirono finanziariamente e a sostenere moralmente
gli atleti durante le competizioni.
Dopo gli entusiasmanti successi di Antonio
Bevilacqua (Campione Mondiale inseguimento
nel 1950, 1951 e Campione Italiano Inseguimento
nel 1943, 1949, 1950 e 1951) nel 1952 e 1953
l'Unione Ciclisti trevigiani conquista il titolo
Campione Italiano Allievi a Squadre.
Contribuirono a raggiungere gli importanti successi : Pini, Roman, Bizzarro, Gabrielli,
Lorenzini, Caldato, Pinarello G., Brescancin,
Cremonese, Perini, Saccon, Stella, Galeazzi,
Meneghetti, Gobbo, Francescato, Marion,
Rizzato, Pinarello C., Buosi, Grosso, Roma,
Mestriner, Barbiero, Troncon, Tomasella, Marion,
Meuzzo, Furlan, Bortolin, Brasola, Saccon,
Santin, Tormena, utti, Cardi, Trevisan, Cestari,
Pagotto, Stival, Tomasin, Bergamascao, Colletto,
Zara, Rui, Crema e tanti altri.
La maglia azzurra con fascia bianca nera diventò
la maglia più conosciuta da tutti gli appassionati
di ciclismo.
In questo periodo alcuni atleti approdarono alla
categoria professionistica come Pinarello G.,
Coletto, Cestari, Cremonese, Pinarello C., Grosso
Roma, Roma, Barbiero, Brasola, Tomasin.
Nonostante la tenacia e la grande volontà, alcuni
atleti non riuscirono a sfondare, ricordiamo
Vilfrido Perini bonariamente chiamato "brocco"
persona buona, sensibile e disponibile. Fu nominato Presidente Onorario dell'U. C. Trevigiani nel
1987.
C'è molto entusiasmo attorno a questa società che
continua a mietere vittorie e vede aumentare i suoi
sostenitori. Oltre ai corridori già citati è doveroso
ricordare Zanatta, Golfetto, Sfoggia, Bonato,
Zorzetto, Pavan, Tauro, Mariotto, Bariviera,
Vanzella, Favero, Zoppas, Padoan, Menegaldo,
Nardi, Zanchetta, Poletto ed altri umili gregari che
ci è difficile ricordare.
zativa
si
Per alcuni di questi
costituisce
96
corridori si aprirà la
la sezione
strada del professionicicloturistica, la cui
smo con risultati atleattività culmina con
tici di tutto rispetto,
l'organizzazione della
essi sono . Bariviera,
Treviso-Falcade in
Vanzella,
Zoppas,
notturna, ma che serve
Padoan, Zanchetta.
a portare in Società
Gli Allievi nel 1955,
nuovi Soci, tutti
1956 conquistano il
appassionati
della
Titolo Italiano a
bicicletta, tutti intenSquadre; anche i
zionati a contribuire
Dilettanti conquistaalla causa dello sport
rono nel 1955 lo stesdel ciclismo.
so titolo.
Alcuni corridori che
Dopo l'ultimo Titolo
hanno gareggiato per i
Italiano Allievi nel
colori sociali della
1972 la vita sociale
Trevigiani
da
della Trevigiani entra
Dilettanti sono sucin un periodo difficile
cessivamente passati
per l'evolversi della
al
Professionismo,
società italiana semconfermando come
pre meno disponibile
l'U.C.
Trevigiani
all'associazionismo
possa esser consideraed ai sacrifici.
ta a buon diritto il
Contemporaneamente Indurain e Nani Pinarello, 1998
trampolino di lancio
. Catena
sorgono in questi anni Foto autografata da Indurain con la scritta " Per
verso il professioninuove società ciclisti- gli amici del Club Indurain da Coppi-Treviso-A..
smo.
che, che grazie all'ap- Indurain”
Sotto la presidenza
porto finanziario degli
Sfoggia, nonostante la
Sponsor riescono ad ingaggiare con maggior faci- volontà di tenere sempre pulita la maglia sociale,
lità i migliori corridori del momento, cosa che non grazie al contributo disinteressato di tanti operatopuò fare la Trevigiani.
ri trevigiani, la società è riuscita a ritornare comL'organizzazione delle gare diventa più difficile petitiva e vincere importanti gare.
per l'aumento del traffico ed impegnare la sede L'apparente inspiegabile successo è dovuto in
stradale per tanto tempo è cosa proibitiva.
gran parte alla grande solidarietà esistente. Nel
La ribadita intenzione di non ricorrere agli spon- 1980 viene inaugurata la nuova prestigiosa sede
sors, comporta il ridimensionamento di tutti i pro- sociale di porta San Tomaso.
grammi, cosicché gli sforzi vanno concentrati in Le tante vittorie ultimamente ottenute, le convopoche ma significative manifestazioni ed allesten- cazioni in nazionale di molti nostri atleti, hanno
do squadre nelle categorie dove ci si sente più premiato gli sforzi profusi in questi ultimi anni;
competitivi.
sforzi riconosciuti dalla F.C.I. con l'assegnazione
In questo periodo però arriva il massimo ricono- della medaglia d'oro F.C.I., ritirata dal segretario e
scimento a cui una società sportiva può ambire: la Presidente Onorario Cav. Gino Fregonese.
Stella d'Oro al merito Sportivo conferita dal Significative sono le vittorie in campo nazionale
CONI all'Unione Ciclisti trevigiani nel 1967 per i ed internazionale di Longo, Lorenzi, Boarin,
numerosi meriti acquisiti nel grande panorama Poser, Bielli, Pavan e buona ultima quella di
dell'attività ciclistica nazionale.
Voltarel nella Popolarissima 1991.
Dopo un periodo di riflessione, di ricerca degli
entusiasmi vissuto più sui ricordi del glorioso passato, rinasce attorno alla società un nuovo gruppo
dirigente che si impegna con dedizione a rinnovare i successi di un recente passato.
Accanto all'attività principale agonistico-organiz-
97
LA STORIA
DEL CICLISMO TREVIGIANO
di Ernesto Brunetta
desso la bicicletta è una cosa di ricchi. solitari; certo, a volte il gioco di squadra riesce
Se appena appena c'è un po' di sole, li e le tattiche studiate a tavolino dai direttori
vedo al mattino, di domenica natural- sportivi trovano puntuale riscontro in corsa;
mente, al bar, fasciati da tute di pregiati tessu- ma, al momento buono, alla fine, quando la
ti e di molti colori; le bici restano appoggiate gara entra in fibrillazione, in testa rimane chi
fuori con i loro avveniristici cambi e ingranag- ha gambe, le sue gambe, non quelle dei comgi che Coppi si sarebbe sognato, costruite in pagni, così come indietro, quando per la strada
leghe leggere, armoniose.
non c'è più nessuno e magari incombe lo spetBevono cappuccini, mi sgridano perché sono tro del tempo massimo, rimane chi non ne ha
rimasto uno degli ultimi fumatori - gli amici più e rema nell'aria e boccheggia e cerca ossiciclisti, sono tutti igienisti - poi parlano del geno.
Montello, del Combai, del San Boldo e parto- Giorgio Fattori, che poi di strada ne ha fatta
no felici per l'idea di perdere peso, di sgomi- tanta, ma che allora scriveva le note di colore
nare i lombi del benessere, l'adipe della seden- sulla Gazzetta al seguito del giro, l'ha colto
tarietà, la molestia del grasso superfluo.
splendidamente quando dedicò due colonne al
Cicloamatori di lusso.
nostro Bortolo Bof che procedeva nella camUn tempo non era così, i cicloamatori non c'e- pagna assolata, sotto la cappa pesante dell'afa,
rano, c'erano i ciclisti che erano poveri e il più accompagnato soltanto dal frinire delle cicale,
spesso di campagna; nel panorama degli sports unica voce vivente che accompagnasse il frupoi, il ciclismo veniva assimilato alla marcia, scio del tubolare sull'asfalto. Poi c'è qualche
perché era francescano, e lo strumento era ciclista che guadagna bene, che si fa anche,
quello che era e la maglietta era quella che ti come si dice, i soldi.
passava la società e la tuta semplicemente non Ma non sono gli stessi soldi del calciatore o
c'era; anzi qualche volta non c'era neanche il del cestista, sono i soldi di quell'operaio che,
tubolare di ricambio se non si fosse rincorso a faticando, ha messo da parte e ha aperto un
lungo Gino Fregonese che poi magari, con aria capannone e ci lavora qualcosa, sempre in
magnanima, lo concedeva e allora veniva col- prima persona, con i calli sulle mani e la schielocato a tracolla come una specie di bandolie- na ricurva sulle macchine.
ra che attraversava il petto, filo nero che inter- Così il ciclista quand'anche sia diventato un
rompeva e spartiva il bianco e il celeste della campione, ma comunque deve andare lui nel
maglia. Sport di sudore, sia quando si incontra sole e nel vento, deve essere lui a picchiare
il temporale, sia quando si pedala nell'afa e sulle discese, deve essere lui a sputare l'anima
non ti fanno compagnia che le cicale su quelle sulle salite. Sicché non si possono non amare i
stradine - a mangia e bevi, le chiamano i corri- ciclisti, perché anche nell'epoca della televidori toscani - che gli organizzatori vanno a sione e dei cambi a 16 velocità, rimangono gli
inventare apposta per farti faticare.
ultimi cavalieri antichi, gli ultimi alfieri dell'uCome portar mattoni su per le armature, guidar miltà e delle peripezie.
l'aratro sui solchi : il ciclista ha gesti antichi, Come spesso capita alle cose serie, l'Unione
lenti anche quando la media va su. Gesti che Ciclisti Trevigiani nacque per gioco, come
indicano la fatica che è quella fatica degli affermazione verbale prima che come società,
umili che però dall'umiltà assurgono alla san- perché uno che ha vinto una corsa, deve pur
tità, come gli ulivi della lirica dannunziana. E' appartenere a qualcosa, si vergogna a dire che
sport per tutti : purché si abbiano polmoni e è figlio di nessuno. E dunque disse, siamo
garretti, i bassi van bene per la salita, gli alti dell'Unione Ciclisti Trevigiani, profeticamente
per il passo, i potenti per la volata. Da Trueba anticipando.
la pulce dei Pirenei ai quattro corazzieri che Era il 1913, l'anno delle prime elezioni a suffanno la 100 chilometri. E' anche sport per fragio universale maschile e di D'Annunzio
A
vate in fuga in Francia oppresso dai debiti, di
"Cabiria" sugli schermi dell'Edison e del
Centrale, dello Sina e del Tripolitania, accompagnato dallo strimpellare del pianista, delle
note di "Vipera" e dei primi aeromobili in volo
a vista, mentre sulle strade, spaventando cani e
cristiani, passava come un fantasma rumoroso
qualche carrozza a motore. Si avviava insomma la società di massa e lo sport ne era parte
integrante come lo erano l'incipiente motorizzazione, i templi dell'immagine in movimento
e l'allargamento degli ammessi alle urne elettorali.
Sulle note del balletto "Excelsior" e nella certezza delle meraviglie delle nuove tecniche, ci
si illuse che il paesaggio fosse pacifico e che al
più - le prime Olimpiadi dell'era moderna sono
del 1896 - fosse lo sport la competizione nella
quale mimare le vittorie e le sconfitte sicché la
guerra si trasformasse in gioco.
Ma non fu così e i cannoni d'agosto chiusero
definitivamente il XIX secolo e aprirono il ferreo, corrusco XX. Allora l'idea del 1913 - in
una Treviso ove in vero si era corso fin da
quando avevano inventato il velocipede se,
come ci ricorda Giorgio Garatti, autentico,
quotidiano cantore dello sport trevigiano, a
fine secolo esistette in città anche un ciclodromo sito nell'ortaglia tra Borgo Cavour e le
mura - rimase un'idea perché menti, cuori e
muscoli erano in tutt'altre faccende affaccendati e ciclisti erano i bersaglieri che pedalavano
su pesanti trabiccoli con le gomme piene.
Treviso fu in prima linea, con il fronte attestato per un anno sul Piave e sul Montello, ne subì
32 incursioni aeree, vi piovvero 5.000 bombe
avversarie, vennero distrutti o furono danneggiati 1.440 fabbricati, si contarono morti tra la
popolazione civile, coinvolta nel grande dramma del profugato in terre lontane con lo stesso
Comune trasferito a Pistoia.
Ciò che non era stato possibile prima, fu però
possibile dopo: nel 1919 si giunse alla fondazione ufficiale dell'Unione Ciclisti trevigiani
nel corso di una storica riunione convocata da
quel Gino Fregonese destinato a diventare un
mito nella piccola storia del ciclismo trevigiano.
E con la formazione ufficiale della società,
cominciarono i successi - penso tra le due
guerre ad Alfonso Piccin Raffaele Di Paco - e
l'organizzazione di corse di ogni tipo tra le
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quali non possiamo non ricordare la
Popolarissima, una specie di Milano - Sanremo
dei dilettanti con la quale i trevigiani si accorgono che è finito l'inverno e che sta per cominciare una nuova primavera. Da quel momento
la società visse con Treviso e Treviso con la
società, entrambe completandosi e vivendo la
simbiosi di una città povera qual era la Treviso
degli anni '20 e '30 - dal dopo guerra pesante
per le distruzioni alla grande crisi del '29 che si
protrasse fin ben dentro gli anni '30 - e di uno
sport povero, sicchè non meraviglia che la
scelta che la società, conservando un po' di
nero come retaggio antico, si desse maglie
bianco-celesti come i colori della città. E visse
tanto l'Unione la vita di quella che il suo superbo medagliere venne offerto alla Patria nel
1935 e quando da quella data al 1944 era stato,
vincendo, ricostituito, andò parzialmente
distrutto o disperso sotto l'infuriare dei bombardamenti. Dal punto di vista sportivo, quando Nane Pinarello, meritatamente destinato al
successo sportivo per quella sua capacità di
tenere, sia pure per un numero limitato di chilometri media elevatissime, e al successo nella
vita, che poi è quello che più conta, vinse nel
1942 la Popolarissima, si chiuse quest'epoca
pionieristica.
Dalla tragedia della guerra, con il suo 82% di
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Due immagini della tessera ciclistica di Attilio Carniato da Lancenigo datata 30 giugno 1915
edifici distrutti o danneggiati e i suoi 1.600
morti civili, Treviso risorse più bella e più attiva e avviò un gigantesco processo di trasformazione che la colloca oggi tra le città più prospere e più vivibili del Paese. L'Unione non
poteva mancare a questa fase e quanto bene
fece al morale il fatto che in una città ancora
semidistrutta si corresse il Circuito degli Assi,
lungo le mura cinquecentesche, con Bartali,
Coppi, Magni, che a me ragazzo firmò l'autografo all'ingresso dell'Albergo Baglioni, e la
scena, confesso, mi commuove ancora, pur
dopo una vita vissuta.
Cominciò l'epoca d'oro del Campione del
Mondo Toni Bevilacqua, di Adolfo Grosso, di
Cestari che portò il pedale trevigiano alla
Corsa della Pace nell'Est allora chiuso e misterioso, del quadrato De Rosso, del camoscio
Roma, del veloce Bariviera, del fedele Coletto,
campioni che vinsero da dilettanti e da professionisti, ma soprattutto gente seria, con alle
spalle una vita, gente che sapeva la fatica e le
dava del tu e per la quale dunque la fatica di
stare in sella non era poi peggiore di quella che
avrebbero fatto in fabbrica o nei campi.
Galantuomini quindi soprattutto, prototipi di
quella razza Piave che ha esportato lavoro in
tutto il mondo. Lo stesso lavoro che esportavano loro, anche se la maniera di farlo era diversa. Poi le cose cambiarono, perché incominciò
a correre troppo denaro e anche tenere in piedi
una squadra di dilettanti divenne difficile. E
allora, per farlo, tutti ricorsero agli sponsor e le
maglie divennero come quelle di Arlecchino,
con tante, multicolori pecette pubblicitarie.
L'Unione no; a costo di ridurre, di ridimensionare, o di imporre a dirigenti e soci ulteriori
sacrifici, si volle continuare nel solco della tradizione. Si era partiti come Unione Ciclisti e
come Unione Ciclisti si sarebbe continuato,
senza trattini che congiungessero il nome a
quello di una marca di acqua minerale o di profumo per uomini. Anche questa è la nostra cultura, anche questo è un modo encomiabile di
intendere il ciclismo.
Da un testo del Prof. Ernesto Brunetta tratto
dal sito internet dell’UNIONE CICLISTI TREVIGIANI
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Vecchie glorie. Catena.
In Sport Trevigiano
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LA CONTRADA
DEL CICLISMO
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