la storia della famiglia nei ricordi di carlo pinarello
Transcript
la storia della famiglia nei ricordi di carlo pinarello
OTTANT’ANNI DI VITA A CATENA DI VILLORBA nei ricordi di CARLO PINARELLO di Adriano Favaro 2 OTTANT’ANNI DI VITA A CATENA DI VILLORBA nei ricordi di CARLO PINARELLO *** di Adriano Favaro 1 RINGRAZIAMENTI: Un mio particolare cenno di riconoscenza va anzitutto alla Sig.ra Antonia Zanini per la sua costante e ultradecennale opera di sostegno alle mie iniziative per Catena di Villorba, oltretutto svolta a titolo di puro volontarismo. Un ringraziamento va, ovviamente, a tutta la mia famiglia per non avermi mai fatto mancare un valido sostegno anche in momenti a volte di notevole difficoltà, nella vita di tutti i giorni, nel lavoro e nelle mie tante iniziative per Catena di Villorba. Carlo Pinarello La foto di copertina: La popolazione di Catena di Villorba raccolta attono alla sua chiesa. E' il 13 aprile 1975 ed è in corso la prima inaugurazione del Monumento ai Caduti "Bocia del '24 e Ragazzi del '99". E’ una immagine di autentica partecipazione corale, risalente a tempi nei quali ancora non c'era il traffico attuale e neppure il sottopasso stradale. SOMMARIO Introduzione 7-8 Carlo Pinarello e Antonia Zanini: un lungo sodalizio 9-10 Dalle memorie di Carlo Pinarello un contributo alla storia del paese di Catena di Villorba 11-12 Carlo Pinarello e Papa Giovanni XXIII° 13-14 Carlo Pinarello e la vita di via Marconi 15-16 La storia della famiglia Pinarello di Catena di Villorba. 17-18 La tragica fine di Cipriano Pinarello 19-21 Pietro Pinarello Bombe americane per Marsiana Pinarello 21 22-25 I fratelli Giuseppe, Maria e Angela Pinarello 26 La storia della sua famiglia nei ricordi di Carlo Pinarello 28 La classe 1924 31-32 La lunga strada dei Pinarello per conquistare il benessere 34-44 L'antica "Cal dee roe" 35-42 Carlo con i partigiani 45-46 Pugni e baruffe 47 I ricordi di Elsa Torresan 52-54 I ricordi di Floriana e Paolo Pinarello 48-53 L'antica osteria "da Coppi" e l'officina Pinarello 57-60 Catena di un tempo 61 Il primo distributore del paese 63-64 Il paese di Catena nel Settecento 65-66 Antiche ville e rustici di Catena 64-68 Poverta' e sottosviluppo a Villorba nel primo dopoguerra 69 Le nostre grandi campane: gara tra Lancenigo e Villorba 70 L'antico molino Curtolo 73 Personaggi indimenticabili di Catena: "Lole" Capeet 77-78 Personaggi indimenticabili di Catena: la maestra Assunta Bassan 79-80 Personaggi indimenticabili: il cavaliere di Vittorio Veneto Emilio Roveda 81 Personaggi indimenticabili: il sindaco maestro Luciano Durigon 82 Personaggi indimenticabili: il tenore Mario Del Monaco 83-86 Nasce la mitica bici Pinarello 87-88 La storia di "Nani" Pinarello 89-90 I corridori di contrada -"Pinarello, la maglia nera è diventato un artista..." 95-98 L'unione ciclisti trevigiani e la storia del ciclismo trevigiano 95-96 La storia del ciclismo trevigiano di Ernesto Brunetta La contrada del ciclismo I Pinarello, due fratelli che hanno fatto la storia di Catena...e non solo! 97-100 101-102 103 La storia del club Indurain di Catena di Villorba 105-122 Il Giro d'Italia...che passione! La storia 123-126 Il 77° Giro d'Italia (1994) passa per Catena 126 L' 81° Giro d'Italia: la tappa volante di Catena di Villorba 127-134 Il campione Felice Gimondi a Casa Marani 135-136 L'indimenticabile Berto Amadio 139-140 La grande mostra permanente di opere d'arte dedicate al ciclismo 141-144 Opere d'arte a perenne memoria dei campioni del ciclismo 145 Campionato mondiale ciclismo su strada sul Montello-1985 146 La galleria d'arte di Carlo Pinarello 147-152 Adolfo Grosso campione trevigiano del passato ritratto nella galleria d'arte Pinarello 153-154 Il gruppo di amici con i Pinarello di fronte al dipinto "Nani Pinarello -maglia nera" 155-156 La storia del ciclismo nei ritratti 159-164 Adriano Durante un campione di casa nostra 167 I campioni nei dipinti di Gina Roma 168-180 L' 81° Giro d'Italia, nel segno di Marco Pantani, passo' per Catena 175-176 Ciclismo in rosa 181-182 Una vita per la bicicletta 185 Come realizzò quest'opera la pittrice Gina Roma? 186 Un archivio di fotografie sul mondo del ciclismo...e non solo 190 Cenni biografici dei campioni presenti nelle opere della galleria Pinarello 200 L'impegno di Carlo Pinarello nella associazione Bocia del '24 e Ragazzi del '99 207 La classe del 1924 208 Una roccia del Montello per il monumento ai caduti 209 Emilio Roveda Cavaliere di Vittorio Veneto 225-227 I Ragazzi del '99 offrono la bandiera tricolore alla scuola media di Villorba 239-240 Gina Roma e i colori del sacro a Catena di Villorba 243-244 I dipinti di Gina Roma a Catena nei ricordi di Carlo Pinarello 245 Profilo Biografico di Gina Roma 246 Gina Roma e la chiesa di Catena 249-250 Il saluto della comunita' a don Domenico Trivellin 281-282 Gente di Catena insieme per socializzare e condividere passioni ed entusiasmi 283-284 La visita al cimitero militare italiano di Westhausen a Francoforte sul Meno L'associazione dei Carli di Villorba 285-298 299 Personalità di rilievo per la storia sociale di Catena 301-302 L'associazione degli "Alcioni" d'Italia...un modo allegro per stare insieme 303-307 I luoghi della socializzazione La tradizione delle grandi cene collettive della famiglia Marchetti 308 309-320 7 INTRODUZIONE Questo libro racconta a tutti coloro che vorranno accostarsi alle sue pagine, la storia di una persona che ha trascorso la sua vita operosa tutta all’interno della comunità della piccola frazione di Catena di Villorba (TV), Carlo Pinarello, classe 1924 posta sulla strada che da Treviso, fin dai tempi antichi, porta al Piave per Lovadina. All’incrocio di questa antica via con quella ancor più vetusta della Postumia romana, sorge Catena. Conosco Carlo Pinarello, il protagonista di questa storia, da tempo immemorabile: ma chi non lo conosce a Villorba, nel trevigiano ed anche altrove? La sua è una famiglia laboriosa come poche, industriosa nel vero senso della parola, tanto da aver a suo tempo avviato,assieme al fratello Nani, una fabbrica di biciclette nota ormai in ogni angolo del mondo. Ma Carlo Pinarello è noto nel territorio soprattutto per la sua sensibilità umana, per l’amore per lo sport e per l‘arte, per lo spirito “sociale” che lo anima: attorno a lui, vero motore della socializzazione a Catena, in questi ultimi 50 anni è accorsa tanta gente per aiutarlo a costruire questa sua idea di vita comunitaria, in questo suo sforzo di aggregazione. Tante le iniziative che lo hanno visto protagonista:l’Associazione Miguel Indurain, la costruzione e inaugurazione del monumento ai Bocia del ‘24 e Ragazzi del ‘99, l’Associazione dei Carli di Villorba, la realizzazione per la chiesa di Catena di una serie di splendide opere d’arte della pittrice Gina Roma, senza dimenticare le tante gare ciclistiche organizzate, le gite sociali di cui fu animatore e tante altre iniziative che troverete descritte nelle pagine di questo libro. Tuttavia l’iniziativa di Carlo con la quale ha impresso un segno di rilievo nella memoria di tanta gente, anche per l’inconsueto impatto visivo, è stata la sua straordinaria ed innovativa decisione di sbarazzarsi delle insegne pubblicitarie di cui era costellato il suo negozio, come avviene ovunque oggigiorno. Una invasione alla quale Carlo si è opposto ed ha voluto sulle pareti esterne della sua attività commerciale, invece di tanti cartelli pubblicitari, tante opere d’arte realizzate su formelle di ceramica di grandi dimensioni e in affresco, realizzate da artisti diversi ed aventi per soggetto i campioni del ciclismo, a testimonianza del grande amore per lo sport, suo e della sua famiglia. Credo proprio che Carlo Pinarello con l’iniziativa di esporre sulle pareti esterne della sua casa-negozio le numerose opere d’arte, abbia inconsciamente ripercorso l’antica tradizione della nostre case e ville di campagna che un tempo i proprietari erano orgogliosi di adornare, proprio nelle pareti esterne, di affreschi con immagini di santi, meridiane, ex-voto, scene della storia biblica, con la dichiarata finalità di trasmettere al passante il piacere di una visione edificante di immagini sacre, ma a volte anche profane, rappresentando così, in definitiva, cultura e credenze 8 del committente. Carlo Pinarello, uomo di sport, passione alla quale in fondo ha dedicato gran parte della sua vita, non poteva che voler trasmettere, ai tanti passanti e clienti che hanno transitato nei decenni di fronte alla facciata della sua abitazione-negozio, il suo credo, la sua fede sportiva, il motore di gran parte delle sue attività. E ancor oggi la gente che passa per Catena di Villorba osserva con piacere e curiosità i volti dei tanti campioni, dei ed eroi di questo nostro tempo. Nella foto sopra: Festeggiamenti per gli 80 anni di Carlo Pinarello. Nato il 6 maggio 1924 a Lancenigo, si è sposato con Elsa Torresan il 15 febbraio 1953. Qui compare con la moglie ed il fratello Giovanni “Nani” Pinarello. 9 CARLO PINARELLO e ANTONIA ZANINI -un lungo sodalizio- Una bella istantanea di Carlo Pinarello e Antonia Zanini ricevuti da Papa Giovanni Paolo II durante uno dei suoi soggiorni nella residenza di Lorenzago di Cadore. Un’ immagine analoga viene riproposta anche a pag. 15. 10 Sopra: I cavalieri del Lavoro Carlo Pinarello e Antonia Zanini assieme a Giovanni Pinarello (a sin.) e Fabio Grespan (a dx.) all’atto della nomina (1984). In queste due immagini Carlo Pinarello e Antonia Zanini in due diversi momenti. Il sodalizio culturale e di civiche passioni, tra Carlo Pinarello e la sig.ra Antonia Zanini è stato ultradecennale: non c’è iniziativa di Carlo Pinarello che non abbia avuto in Antonia Zanini un valido supporto, vero braccio destro di Carlo nel dar vita e sostanza alle sue tante idee ed iniziative che sono state avviate negli ultimi trent’anni. Antonia Zanini è stata ed è per il paese di Villorba una di quelle figure quasi istituzionali, stimata Presidente di Circolo, Cavaliere della Repubblica, Presidente della Pro Loco e Segretaria del Sodalizio “Ragazzi del ‘99-Bocia del ‘24 di Villorba”. DALLE MEMORIE DI CARLO PINARELLO UN CONTRIBUTO ALLA STORIA DEL PAESE 11 el 2005 Carlo Pinarello spinto dal bisogno di tramandare ai nipoti, ai famigliari tutti, ai tanti compaesani le memorie della sua difficile e laboriosa esistenza, inizia a scrivere le sue memorie su di una agenda che riportiamo nella pagina a fianco. Carlo Pinarello ha frequentato solo le elementari ed in condizioni precarie: non aveva certo il tempo di ripassare le lezioni dopo la scuola, vista la dura lotta per procurarsi di che sfamarsi in quei tempi difficili della sua infanzia.. Proviene da una delle più povere famiglie del paese e, pur essendo stato a scuola uno dei migliori alunni della maestra Bassan, tuttavia dovette abbandonare ben presto gli studi per buttarsi nella battaglia della vita. Il suo mestiere dunque non fu quello di tenere la penna in mano, di scrivere e non potè nemmeno coltivare questo aspetto: ecco allora la scrittura incerta e a volte sgrammaticata di quest’uomo di oltre ottant’anni, ma quanta forza, determinazione, impegno sociale esprime con quello che ha realizzato negli anni e che ha tentato di mettere per iscritto. Così, come sempre, Carlo ricorre alla fidata “consulente” la sig.ra Antonia Zanini per un parere sul miglior mezzo per tradurre la sua vicenda umana, le sue memorie, in un testo che le possa diffondere e tramandare. Antonia Zanini è stata ed è per il paese di Villorba una di quelle figure quasi istituzionali: per decenni stimata insegnante, Presidente di Circolo, Cavaliere della Repubblica, Presidente della Pro Loco, è stata formidabile animatrice a fianco di Carlo Pinarello della vita socio-culturale del paese. Antonia Zanini indicò nella persona del sottoscritto il possibile “traduttore” della “vicenda storica ed umana” di Carlo N Pinarello. Quando Carlo si rivolse a chi scrive mi sentii davvero onorato: mio padre Lino Favaro è anch’esso un Bocia del ‘24, come Carlo ha vissuto difficoltà e privazioni prima di riuscire a risollevarsi economicamente ed ho avuto sempre ammirazione per queste generazioni che hanno saputo affrontare tempi ben più difficili degli attuali, uscendo dai disastri di una guerra ed avere ancora la forza di ricostruire, di ingegnarsi e trovare le vie per uno sviluppo sociale ed economico del quale godiamo ancora i benefici. Accettai pertanto ben volentieri: iniziai quindi a frequentare casa Pinarello a Catena, registrando le nostre conversazioni e visionando la gran quantità di immagini che la famiglia Pinarello ha raccolto a documentazione della loro storia. La stragrande maggioranza di queste risalgono ovviamente agli anni posteriori al dopoguerra. Un po’ alla volta la sua storia è venuta alla luce raccogliendo volta a volta dei frammenti che a Carlo parevano magari insignificanti ma che alla fine, tessera dopo tessera, hanno permesso di costruire un mosaico che rappresenta abbastanza fedelmente la sua storia. Importante è stato l’apporto, in quest’opera di ricostruzione, di Antonia Zanini che ha messo a disposizione il suo personale e vasto archivio di fotografie, articoli di quotidiani, lettere, appunti relativi agli ultimi quarant’anni di storia culturale e sociale del paese che l’ha vista protagonista a fianco di Carlo Pinarello. 12 Sopra: Il manoscritto di Carlo Pinarello. Carlo iniziò a scrivere le sue memorie su questa agenda. 13 Una bella istantanea di Carlo Pinarello ricevuto da Papa Giovanni Paolo II durante uno dei suoi soggiorni nella residenza di Lorenzago di Cadore. 14 15 CARLO PINARELLO E LA VIA MARCONI, IL FULC Carlo Pinarello di fronte al suo distributore di benzina, vero fulcr anche alla presenza, di fronte, della famosa “Osteria da Coppi”, q zione per tutto il paese. In questa fotografia degli anni ‘70 si nota A VITA DI VIA MARCONI 16 CRO DI QUESTA STORIA ro della vita paesana. Grazie al suo distributore sempre aperto ed questo luogo é divenuto punto di incontro, di dialogo e socializzaanche la frenetica vita del paese di Catena. 17 LA STORIA DELLA FAMIGLIA PINARELLO DI CATENA Virginia Guerretta, mamma di Carlo Pinarello i Virginia Guerretta scrisse un giornalista de “ La Gazzetta dello Sport” ( 7 gennaio 1965): “...la miseria la ricorda ogni tanto e insegna più della ricchezza. La ricorda attraverso sua madre che oggi non ha acceso la stufa in casa e così c’è freddo. Perché lei quando è sola non l’accende mai. Cosa se ne fa del fuoco a 75 anni, quando non ne ha potuto godere negli inverni della sua vita più bella? Eppure dodici figli li ha messi al mondo, al freddo. “Dodici figli, e mangiar D poco” dice Nani. “Questa è stata la sua vita”. E lei, una donna nera, due occhi ancor vivi, pungenti, si schermisce come d’una immeritata lode: “Facevano tutti così nelle nostre campagne”. Al freddo, un freddo che le accompagnava fin dall’infanzia. Poi prendevano marito, se ne andavano spose per cambiare miseria. Una vita puntuale soltanto nel male, nei dispiaceri...” 18 Lorenzo Pinarello, padre di Carlo Pinarello icorda Carlo: “Dopo una vita dedicata interamente al lavoro mio padre morirà a 69 anni a causa di una scheggia che gli si era conficcata in una gamba in occasione del bombardamento americano (1945) che aveva colpito la nostra casa di allora, posta a Lancenigo dove eravamo sfollati. Il medico che aveva tenuto in cura per circa 10 anni (aveva lo studio a Treviso in Piazza del Grano) la ferita di mio padre, ad un certo punto decise di cucire la ferita che suppurava, R ma fu peggio perchè questa finì in cancrena. Mio padre soffrì molto e Bepi Carer che abitava qua vicino, in via Borgo, diceva di sentire le urla ed i pianti di mio padre, “pensa poro fiol quanto ch’el sofriva e sì che’el jera uno de quei forti che prima de lamentarse...”. 19 LA TRAGICA FINE DI CIPRIANO PINARELLO guadagnava un po’ di più (n.b.:il lavoro in fornace era più pesante per l’altissimo calore che si sviluppava dentro al forno dove bisognava entrare per prelevare con una carriola i mattoni appena cotti. Chi ci lavorava aveva vita breve), ma il Bettiol, invece lo mise nella cava a tirar su creta, e a spingere carrelli: si sentì umiliato e decise di licenziarsi e trovò lavoro all’Officina del Gas alla stazione dei pullman di Treviso. A fianco: Cipriano Pinarello fratello di Carlo, morì nel febbraio 1946. Aveva trentatrè anni, lasciò tre figli e la moglie Gemma Grespan I fratelli di Carlo Pinarello furono: Nani, Piero, Cipriano, Angina, Bepi, Maria, Angin, Marsiana e altri tre che morirono appena nati. Della numerosa schiera di figlioli di Lorenzo Pinarello e Virginia Guerretta solo tre sono ancora viventi: Nani, Carlo e Maria. Ecco alcuni ricordi di Carlo a proposito della storia, a volte tragica, di alcuni dei suoi tanti fratelli : “Cipriano era della Classe del 1912.... prima del bombardamento di Treviso lavorava alla fornace Bettiol di Lancenigo, e sperava tanto di essere scelto per andare a lavorare dentro alla fornace, ai forni, dove si SOTTO IL BOMBARDAMENTO DI TREVISO Il giorno del bombardamento di Treviso del 7 aprile 1944 (L’attacco americano provocò 1600 vittime fra i civili e la distruzione o il danneggiamento di oltre l’80 % del patrimonio edilizio, ivi compresi i principali monumenti storici e artistici) lui e Piero Torresan (Piero, Toni e Marcello Torresan abitavano qui in paese alla Strada Bassa, alla Crosera) erano al lavoro ma si salvarono perchè avevano trovato riparo in un rifugio che, raccontarono, si scuoteva tutto per le esplosioni che 20 Una drammatica immagine di una via di Treviso danneggiata dai bombardamenti alleati il 7 aprile 1944 colpivano l’Officina del Gas. Sopravissuti al bombardamento vestiti da lavoro, cioè di stracci mezzi bruciati (d’altra parte erano addetti ad alimentare il forno a carbone e le tute di lavoro si riducevano in stracci in poco tempo) si diressero subito verso casa, a Catena di Villorba. Per strada incontrarono un loro collega, un certo Lorenzon detto “Biciarin”, il quale, vistili “spasemai”, abbracciati stretti dallo spavento, li accompagnò a casa a Catena. Dopo alcuni mesi Cipriano riprese a lavorare: doveva andarci in biciclet- ta, allora non c’erano altri mezzi. Visto che la bicicletta gli era stata distrutta dalle bombe gliela prestammo Nani ed io: era una bicicletta che ci era stata consegnata da un cliente, per aggiustarla, cioè dal fratello di Piero e “Gusto” Armenter, uno qui di Catena; l’avevamo già riparata e così, temporaneamente, Cipriano la usava per recarsi al lavoro, anche se era senza fanale.” Il fatto tragico della storia di Cipriano lo ricorda con esattezza anche la moglie di Carlo che racconta: “Una sera del febbraio 1946 all’ex-Casa del Fascio che sorgeva dove ora c’è il Municipio, a Carità di Villorba, c’era una festa e Carlo ed io stavamo ballando, d’altra parte era Carnevale: ad un tratto si sentì un colpo sordo, poi due ragazzi scesero da un’auto e di corsa si avviarono verso la stazione di Lancenigo. Alla nostra richiesta di informazioni su quel rumore sordo dissero che non era successo nulla. Invece verso le quattro del mattino Gildo Fuser trovò Cipriano nel fosso che costeggia la Pontebbana, a fianco di villa Angelica . Aggiunge Carlo: Un’auto condotta credo da “imbriaghi, da do briganti” lo aveva ammazzato: “el gera uno dei meio omeni del paese”. Aveva trentatrè anni, lasciò tre figli e la moglie Gemma Grespan. Le indagini non ebbero alcun risultato, allora a Spresiano c’era un 21 maresciallo dei Carabinieri che sembrò non avere molto interesse per questa vicenda. Abitavamo tutti nella stessa casa e così per un anno abbiamo mangiato tutti assieme fino a quando nostra cognata Gemma trovò lavoro alla filatura Monti di Maserada. NOTA STORICA Piero PINARELLO Uno dei fratelli di Carlo, Piero Pinarello, della Classe del 1911, a 24 anni, nel 1935, volle andare a combattere volontario nella guerra di Spagna, la terribile guerra civile che durò dal 1936 al 1939. Ricorda Carlo che “...con i soldi della sua diaria cominciammo a mangiare qualche buon pasto, perchè Piero ci inviava a casa i soldi della diaria guadagnati facendo il soldato...”. Dopo lo scoppio della guerra civile in Spagna (18 luglio 1936) il regime fascista italiano decise di correre in soccorso dei nazionalisti spagnoli guidati da Francisco Franco, capo della giunta militare. La partecipazione italiana fu eccezionale: 74.285 soldati con 1.930 cannoni, 10.135 mitragliatrici, 240.747 fucili e 7.663 automezzi; 5.699 aviatori con 763 aeroplani; 91 unità navali. Sul fronte opposto dei repubblicani ci furono altri italiani, i volontari delle brigate Internazionali, inquadrati in una forza internazionale cui partecipavano 40.000 volontari di 52 paesi dei cinque continenti. I volontari italiani, inquadrati nella Brigata Garibaldi, furono circa 3.350. Numerosi furono i caduti in entrambi gli schieramenti. BOMBE AMERICANE PER MARSIANA PINARELLO 22 a guerra era certo finita il 25 aprile del 1945 (In quel giorno il Comitato di Liberazione Nazionale lanciava la parola d’ordine dell’insurrezione: da allora il 25 aprile è Festa della Liberazione), ma in giro c’erano ancora tedeschi e gli americani ci bombardavano di continuo, in particolar modo lungo la ferrovia che a Catena attraversa in lungo tutto il paese. Durante uno di questi bombardamenti anche Nani venne ferito ad una gamba e così siamo dovuti sfollare nel Borgo di Lancenigo, lontano dalla ferrovia e ci rimanemmo fino alla liberazione effettiva. Ma l’ultima “ora de guera” gli americani ci hanno bombardato anche l’abitazione dove eravamo sfollati: mia sorella Marsiana di tredici anni venne uccisa, mia madre e mio padre feriti, morirono un’altra mia cugina ed uno zio ed iniziò così il nostro Calvario. Come noi era stato colpito anche il nostro vicino di casa “Papusse” Zanatta. Accadde tutto in un momento: era festa quel giorno, era terminata la guerra, festeggiavamo la Liberazione ed io ero in attesa che i miei amici partigiani venissero a chiamarmi per far festa, ma quella sera Nani ed io (allora avevo ventuno anni) non eravamo in casa, infatti “de note dormivimo nea tieda del santoeo Vittore Pinarel” a quattrocento metri di distanza, al di la della strada del Borgo, e questo ci salvò: tra i giova- L Marsiana Pinarello, l’amatissima sorella di Carlo Pinarello colpita dalle bombe alleate nel 1945. 23 347 Lapide in memoria di Marsiana Pinarello, sorella di Carlo. "Marsiana Pinarello 19321945. Nel 50° anniversario amici del '32 a perenne ricordo 30 aprile 1995" ni partigiani che erano appena giunti a trovarci, credendo di incontrarci nella nostra casa, c’erano Gusto Carniel ( aveva l’osteria al Canile), poi c’erano anche Bruno Gagno e suo fratello gemello Carlo 1. Ad un tratto suonò l’allarme, mi affacciai al balcone della cucina di mio “santolo Pinarel”, sotto il cui portico avevamo iniziato nuovamente a riparare biciclette, e vedemmo le bombe sfrecciare in direzione della nostra casa: erano aerei americani che vedendo un assembramento di persone pensarono bene di sganciare delle bombe e mitragliare. Corremmo immediatamente verso casa. Incontrai per strada mia sorella Maria che stava correndo verso di me per venirmi a chiamare: si salvò per questo. Corremmo dunque a casa, le bombe erano appena scoppiate, tutto era distrutto: subito abbiamo provveduto ad estrarre i familiari dalle macerie: Marsiana era ancora in vita e le sue uniche parole furono “i a colpio, i a colpio”, subito dopo morì (n.d.a.: a sua memoria le verrà intitolata una via al centro di Catena). Provvedemmo a trasportare in Ospedale, a Casier, mia sorella e mia mamma, che era stata colpita dalle bombe mentre era in cucina ed era stata ferita alla schiena da due schegge, ed anche il papà, “a xè stada dura quea matina !..” afferma sconsolato Carlo Pinarello. Come noi era stata colpita, non da bombe, ma da sventagliate di mitraglia, anche la famiglia dei “Gati” (famiglia Gatto), la famiglia di “Papusse” Zanatta il cui soprannome deriva da “papusse” ( “scarponsin de pano tenaro” precisa Carlo ) faceva il ciabattino nel Borgo. Suoi figli erano Gregorio e Ferruccio, mentre loro cugina era Lina Zanatta in Gatto che poi sposò uno “dea Pisoera”. 1: Abitavano a Fontane ma erano di Villorba, prima abitavano di fronte alla cartiera Marsoni, poi Carlo venne ad abitare a Catena. 24 Alfredo Gianfreda al microfono. Gianfreda, originario di Catena di Villorba poi emigrato in Australia, era coetaneo di Marsiana Pinarello poi uccisa da bombe americane il 25 aprile 1945. Chiese al Comune di Villorba di ricordare la sua coetanea intitolandole una strada. A sin. Alfredo Gianfreda. A dx il parroco Don Mariano. Al centro la moglie di Paolo Pinarello con la bambina Virginia. 25 La lettera con la quale Alfredo Gianfreda, un concittadino villorbese emigrato in Australia, chiede al Comune l’intitolazione di una via al nome di Marsiana Pinarello: “Al Sig. Assessore Comune di Villorba Il sottoscritto Alfredo Gianfreda, nato in codesto comune il 4-2-1928, inoltra la presente come “Memorandum” per la citazione di una via - o viale - (a Catena) alla memoria della cara giovanetta: “MARSIANA PINARELLO” morta nell’ultimo giorno della brutale guerra “non voluta” del 1940-’45, da una inutile bomba sganciata da un criminale pilota anglo-americano. Questa giovanetta non è stata solo coetanea, bensì strettamente amica di giochi con le mie sorelle minori. Per fare una cosa buona non è mai troppo tardi specialmente non solo insegnando ai giovani, ma dare un simbolo di merito alla memoria basato sopratutto nei sentimenti di grande “Umana Pietà”. Alfredo Gianfreda I FRATELLI PINARELLO GIUSEPPE, MARIA E ANGELA 26 Riportiamo di seguito alcune succinte notizie biografiche su altri fratelli Pinarello: GIUSEPPE PINARELLO: Della classe 1920 (+1990), fece il militare a Roma dove conobbe la moglie Severina che poi sposò a 18 anni. Alpino fece la guerra in Grecia e Albania. Ha avuto un figlio, Cipriano, nato nel 1949. Angela Pinarello. MARIA PINARELLO: Della classe del 1926 sposò giovane un valente tecnico, Gino Mondini e con lui si trasferì a Milano. Ha un figlio, Carlo, ingegnere meccanico. ANGELA PINARELLO: Era della classe 1916 ; morì nel 1936 a soli 20 anni. A sin. Giuseppe “Bepi” Pinarello. A dx. Giovanni “Nani” Pinarello 27 Regno Lombardo Veneto Provincia di Treviso Treviso questo giorno di giovedì 23 marzo 1854, regnando S. M.I.R.A. Francesco Giuseppe Primo Imperatore d’Austria, d’Ungheria, Boemia, Lombardia, Venezia, ecc. Comparsi personalmente innanzi di me Notaio ed alla presenza delli due qui pure sottofirmati noti ed idonei testimoni il sig. Ferdinando Alberghetti di Pietro e Giuseppe Pinarello fu Angelo possidenti domiciliati in Parrocchia di Lancenigo, divennero d’accordo a stipulare il seguente atto.... Regio Ufficio del Registro pegli Atti Civili e Successioni di Treviso Certificato di denunciata successione Su iudice all’articolo sedici del Regolamento per la conservazione dei catasti approvato col Reale Decreto 24 dicembre 1870 n.6151 si certifica essere stato dichiarato a questo ufficio mediante denuncia registrata il dì 11 settembre 1883 al n.726-118 volume 14 atti pubblici e posta al n. 118 vol. 32 successioni che PINARELLO ANTONIA qm. GIUSEPPE morì in Lancenigo di Villorba nel giorno tredici maggio 1883 e che la sostanza consistente in beni immobili da essa defunta abbandonata appartiene in forza di legge ai figli Moro, Beatrice, Luigi, Maria, Antonio, Erminia, Giuseppe ecc. ecc... Villorba 23 giugno 1923 All’Ill.mo Sig. Commissario Prefettizio di Villorba per la Regia Questura di Treviso. Il sottoscritto Pinarello Sante esercente del Comune di Villorba fa istanza alla S.V. Ill.ma onde ottenere a rinnovazione pel 1923 della licenza per la minuta vendita di liquori. Sperando un benevolo accoglimento sentitamente ringrazia. Unisce le prescritte marche da bollo ed il foglietto della licenza da rinnovare. A lato: La trascrizione di alcuni documenti relativi alla famiglia Pinarello che provano la passata floridezza economica della stessa. LA STORIA DELLA FAMIGLIA NEI RICORDI DI CARLO PINARELLO I PINARELLO “‘NA FAMEIA DE CARIOTI” Della lunga storia della sua famiglia racconta Carlo Pinarello: “Sono nato a Vascon nella casa Faiet, il 6 maggio 1924 da famiglia poverissima: “fa conto che jerimo i pi’ poreti de tuto el paese”. 28 Anticamente la mia famiglia proveniva da San Florian (San Floriano con Olmi fa parte del comune di San Biagio) Era una famiglia composta da circa ottanta persone: mio padre aveva ben 14 fratelli, e lui era il più giovane. -Eredità di Pinarello Antonia -1883, Treviso Regio Ufficio del Registro Atti Civili di Treviso. Certificato di denunciata successione... Pinarello Antonia qm Giuseppe noti in Lancenigo di Villorba nel giorno 13 maggio 1883 e che la sostanza consistente in beni immobili da essa defunta abbandonati, appartiene in forza di legge ai figli Moro, Beatrice, Luigia, Maria, Antonio, Erminia, Giuseppe ecc..." 29 n tempo la mia famiglia era una delle più ricche famiglie di Lancenigo (“come Pinarei sarissimo de fameja vecia del Borgo, visin dei Crosato, passà Camusa, ghe jera a nostra casa granda”) e lavorava ben ottanta campi distribuiti tra Villorba e San Floriano. La nostra stalla era ricca di almeno 15 cavalli, trattandosi di una famiglia di “carioti”, così un tempo erano chiamati i conducenti di carri. I carri erano di vari tipi, alcuni erano anche finemente intarsiati; se i carri erano trainati da buoi servivano soprattutto per i lavori dei campi, se erano trainati da cavalli servivano per attività di trasporto. “Bareon” era detto proprio il grande carro da trasporto, robustissimo, per carichi pesanti. Purtroppo il benessere di quei tempi venne sperperato nelle osterie dagli uomini della mia famiglia: infatti a casa si raccontava che i nostri cavalli, anche se gli uomini nel carro dormivano, sapevano di doversi fermare alle solite osterie, “i se gà magnà i schei co’ e ombrete”, d’altra parte in quegli anni “ghe iera soeo el lavorar e le ombrete”. U Allora si trasportava ghiaia del Piave a Treviso ed anche a Venezia; in quei tempi altra grande famiglia di “carioti” era quella dei De Santi da Lovadina che “i pasava tuto el giorno par Caena col bareon grando” per trasportare anche loro ghiaia verso Treviso e Venezia. Sopra: Abitazione dei Pinarello durante la 2.a Guerra Mondiale, è posta al Borgo di Lancenigo, poco lontano da quella antica della famiglia. Vicino a questa casa abitava anche Campion che vendeva il pesce. Di fronte , al di là della strada, c'era anche una "Frasca" e la bottega di biciclette di Attilio Schileo, poi vicino c'era anche la bottega vecchia di Camussa, là sotto alla tettoia. Più lontano c'era la casa vecchia di Candido Vian, proprio di fronte all'osteria: "Hai conosciuto Elvira Viana e la Nesta Viana? Done beissime, de quee masce de prima clase". Purtroppo tanta gente che abitava qui e che conoscevo, se n'è andata...e testimoni degli anni dei bombardamenti alleati non c' n'è più. 30 Atto notarile che attesta come già alla metà dell’800 (1854 - 23 marzo 1854- Treviso.) i Pinarello fossero facoltosi possidenti in Lancenigo: “1854-Giuseppe Pinnarello fu Angelo, possidente domiciliato in Parrocchia di Lancenigo. Treviso. Regno Lombardo Veneto-Provincia di Treviso. Questo giorno di giovedÏ 23 marzo 1854. Regnando sua Maestà Imperial Regia Austriaca Francesco Giuseppe Primo Imperatore d'Austria Re d'Ungheria, Boemia, Lombardia, Venezia ecc. Comparsi personalmente innanzi a me Notaio ed alla presenza delli due pure sottofirmati noti ed idonei testimoni al Sig. Ferdinando Alberghetti di Pietro e Giuseppe Pinarello fu Angelo, possidente domiciliato in Parrocchia di Lancenigo, divennero d'accordo a stipulare il presente atto...ecc." 31 LA CLASSE 1924 G G S E A Gli alunni della Classe 1924 nel settembre 1931. Da sin. in alto: il primo è Guido Zambonetto; il secondo è Carlo Pinarello. Si riconoscono anche altri suoi compagni: Virginia Romano, Giuseppina Savian, Ernesto Cortesia, Pietro Coracin ecc. A destra l’amatissima maestra Assunta Bassan. 32 33 Da questo documento veniamo a conoscenza che ancora nel 1923 le economie dei Pinarello erano sufficientemente floride. LA LUNGA STRADA PER CONQUISTARE IL BENESSERE 34 ...NANI E CARLO DIVENTANO VENDITORI DI FAVA Arrivati all’età di dieci o undici anni, Nani ed io abbiamo cominciato ad andare a Camalò dove c’era una coltivazione di fava: compravamo una certa quantità di fava, la cucinavamo, poi la lasciavamo per parecchio tempo nell’acqua corrente del Canale della Vittoria affinchè si depurasse e perdesse il caratteristico gusto amaro. Poi la ponevamo in dei cestelli e andavamo per le stalle dei contadini dove si teneva il “filò”: così fidanzate, genitori, nonni e bambini comperavano bicchieri di fava a 10 centesimi per bicchiere e noi potevamo tornare a casa con un bel po’ di franchi, da cinque a otto franchi alla volta. Crescendo arrivammo L’unica fotografia di Carlo Pinarello da ragaza vendere anche arance e così si mangia- zo, nel settembre 1931. La famiglia poverissima non poteva permettersi il costo di una fotova. ...MANGIAVAMO POLENTA DA UNA VECCHIA “CALIERA” grafia. Un velo di tristezza sembra attraversare il volto di questo ragazzo: la vita era molto dura allora, la fame tantissima e se voleva mangiare doveva dare la caccia ai gatti che poi finivano in pentola. Quando ebbi tre anni la mia famiglia venne ad abitare a Catena vicino all’osteria di Arturo Cortesia: la nostra casa confinava con il gioco della “borela”, un gioco frequentato da tanta gente . Qui Nani ed io avevamo cominciato fin da piccoli a rilanciare ai giocatori le bocce e rimettere in piedi i birilli che i giocatori gettavano a terra. Ogni due o tre partite i giocatori ci portavano trenta, cinquanta, anche ottanta centesimi e noi in cinque/sette ore potevamo portare a casa da una a cinque lire per partita . Quando finivamo di seguire le partite, e andavamo a casa, mia madre ci chiedeva i soldi e ci mandava di corsa dal mugnaio a prendere due chili di farina e un’oncia d’olio e un’aringa e così alla sera si mangiava polenta e aringa. Mia mamma ci faceva la polenta in una “caliera” vecchia con dei fori sui bordi: così mentre la polenta si cucinava, attraverso questi fori la polenta fuoriusciva un po’ alla volta formando tanti piccoli bocconcini che noi bambini, che attendevamo attorno al paiolo, aspettavamo con ansia che si affumicassero. Eravamo pronti a prendere queste particelle di polenta abbrustolite con un 35 L’ANTICA “CAL DEE ROE” In questa vecchia foto degli anni ‘60 ecco com’era la vecchia casa 36 della “Calle dee Roe”, dove visse l’infanzia Carlo Pinarello. Il rustico è segnato anche nelle mappe del ‘700. Racconta Carlo Pinarello che il nome della via deriva dal fatto che vi abitava un tempo una vecchina che aveva l’abitudine, data la povertà estrema, di accendere il fuoco con dei rovi, in dialetto veneto “Roe”, che andava a raccogliere al di là della Piavesella, dove crescevano abbondanti su di una “mutara”, una collinetta di terra. Il corso d’acqua della Piavesella a quel tempo si attraversava in bilico su due corde tese da una sponda all’altra... bastoncino di legno per farne dei bocconcini. Frequentai la scuola elementare posta a Catena prima della ferrovia, a fianco della chiesa vecchia e avevo come maestra Assunta Bassan. Con lei feci due o tre anni di scuola . 37 ...CI ARRANGIAVAMO PER RISCALDARCI E MANGIARE Al mattino quando uscivamo da casa la mia povera mamma diceva a me e Nani (eravamo i figli più grandi) "Cei, qua no ghe xè pì legne par el fogo", allora noi andavamo a raccogliere qualche fascina di stecchi nelle siepi: allora non si poteva tagliare un ramo grande, "'na pranda", era proibito. Se si era colti dal proprietario mentre si tagliava un ramo erano guai. Ma il bisogno ti insegna come sopravvivere: Nani ed io ci arrangiavamo e spaccavamo un bel ramo grosso di robinia, lo tiravamo via lontano dal ceppo portandolo un po' più lontano, poi, dopo tre/quattro giorni, quando le foglie ormai erano belle secche, potevamo andarlo a riprendere e portarlo a casa, perché adesso si poteva eventualmente dire al proprietario che si trattava di un ramo trovato morto e non tagliato da noi: la raccolta di rami secchi era permessa. Per la raccolta delle spighe (la spigolatura) invece dovevamo alzarci presto alla mattina: alle 4-4,30 e nei giorni successivi a quelli in cui si era trebbiato il frumento, andavamo a spighe raccogliendole direttamente dai "mignoni", dai covoni; ne prendevamo una bella manciata e fingevamo di averle raccolte tra quelle rimaste a terra nei campi dopo la trebbiatura, cosa che era permessa. Quando andavamo a fare queste raccolte, dalle parti della casa dei "Joiet", avevamo cura di fare un'altra importante ope- razione: mentre passavamo attraverso i campi di Raina, Made e Timunsel, diretti alla raccolta delle spighe, incontravamo vicino al cimitero due piccoli fossi che prendevano l'acqua dalla Bretella: un fossetto si dirigeva verso il Borgo di Lancenigo, l'altro invece si dirigeva verso Catena. Ora, mentre attraversavamo questi fossi, chiudevamo il chiusino posto di traverso al canale così, mentre noi eravamo intenti alla spigolatura, l'acqua scemando un po' alla volta lasciava in secca tanti piccoli pesci (soprattutto "spinarioe") che poi raccoglievamo con cura al nostro ritorno. Così anche per quel giorno avevamo qualcosa da mangiare. Quando il giorno dopo tornavamo per i campi a spigolare correvamo a chiudere il chiusino dell'altro canale (quello dove avevamo fatto la pesca il giorno precedente era infatti quasi esaurito nelle sue "risorse ittiche") e così potevamo portare altro pesce a casa che mia mamma poi friggeva per noi. Quei pescetti erano "spinarioe", cioè pesci che avevano due spine laterali vicino alla testa ma, una volta fritti, con quella fame che avevamo non sentivamo per niente le spine. Aggiunge Carlo: “Ecco cosa vorrei: tornar ancora a passare di fronte alla casa dei "Joiet" perché è così tanto che non ci passo”. ...ANDAVAMO ANCHE A RANE Andavamo anche a rane e ci preparavamo la fiocina con le stecche di ombrello, che sono di acciaio, infilandone le punte in una base di legno: acchiappavamo pesce bianco e rane, che ricordo erano di due specie: rane verdi, grosse e buonissime, e rane "pisote", scadenti come qualità: mia madre le preparava fritte o "in tecia", se non c'era olio per friggerle si usavano " i scorsi de lardo", le così dette "frisseghe" o "ciccioli". Mangiavamo anche "i sciosi", eccome se li mangiavamo, ancora adesso li mangiamo, ce ne sono così tanti qua in fondo al terreno, vicino alla canaletta e che buoni che sono. Una volta prendevamo su anche quelli piccoli ora invece i piccoli li lasciamo là. Andavamo a sciosi di notte con la pioggia e mia mamma era contenta quando li portavamo a casa, li cucinava subito e noi li mangiavamo ancora prima che si cuocessero, quando erano appena lessi, tanta era la fame che avevamo. A "bogoi" invece non andavamo noi, ce n'erano lungo la Piavesella dove crescevano dei canneti: ma non andavamo a raccoglierli perché non si faceva un bel boccone, non si faceva un contorno valido, i "bogoi" si vedevano solo in osteria, o quando passavano a venderli. ...MANGIAVAMO ANCHE I GATTI Mangiammo anche molti gatti:"gati sì, gati sì, tanti gati, tanti gatià ma el gato iera rico ciò": quando la Erica, “detta Amabile Caretina strasera" passava con il suo carrettino trainato da un asinello ("a vegnea fora a strase") consegnavamo a lei le pelli dei gatti che avevamo ucciso. Lei viveva alle Castrette in un casupola vicino all'incrocio della via Centa con la Pontebbana. Ricorda Carlo: "mariavercora ciò, ciapavimo 20/30 schei dea pee e te gavei a carne da magnar": allora con la pelle dei gatti si fabbricavano " e manisse", i guanti per le biciclette. Ricordo che una volta "go' portà via on gatto a Bepi Muner de quà (Catena). Maria Vergine che bon". Se catturavamo un gatto a Catena non si poteva ovviamente venderne la pelle nello stesso posto, perché spesso era ben riconoscibile. 38 “...MAGNAVIMO I SCIOPETI” Raccoglievamo anche tante erbe commestibili come "sciopeti", "bruscandoi", "raici mati", "gaeti", "carleti" e "rosoine" ma anche "piantadene" che "e xe tanto bone": altra erba che mangiavamo spesso erano i "becasei", ovvero si trattava di erbe che assomigliavano alle "lengue de vaca" dalle quali usciva una punta lunga anche 30/40 centimetri, buonissima da mangiare, ricordo che si mangiava senza cuocerla, appena colta, ed era dolcissima. Avevamo sempre con noi il coltello: una volta per tener su i pantaloni si usava un "senturel", ovvero due strisce di stoffa cucite sul retro dei pantaloni e poi incrociati sul davanti con un nodo. Così noi riponevamo il coltellino sulla schiena, infilato nel "senturel" e ci serviva per tagliare legna, per raccogliere verdure ecc. La nostra mamma al mattino ci diceva: ragazzi, oggi manca questo, manca quello e noi dovevamo provvedere. Oltre al coltello avevamo a disposizione anche la fionda ma quella la usavamo per fare il tiro a segno con le "cicare", gli isolanti di porcellana o vetro che stavano sui "pai dea luce", sui pali dell'illuminazione pubblica. Facevamo a gara tra ragazzi a chi centrava più isolanti. 39 L’ANTICA “CAL DEE ROE” Gli edifici della Cal dee Roe visti dal lat l’antico aspetto degli edifici. Si nottino i va le abitazioni. Si osservino i panni fre Ancora doveva arrivare l’asettico bagn 40 to Ovest. In questa fotografia degli anni ‘60 si può notare come fosse rimasto intatto i filari di “stroperi” lungo il fosso che delimitava il vigneto dal terreno che circondaeschi di bucato stesi ad asciugare al sole ed il casotto del “cesso” esterno (latrina). o interno alle abitazioni. 41 ...LA NOSTRA GIORNATA DA RAGAZZI La nostra giornata aveva sempre lo stesso svolgimento: prima andavamo "in mòsina" (elemosina) e così ci davano un po' di farina, poi andavamo per le siepi a raccogliere la legna necessaria. La verdura veniva condita con il lardo e soprattutto con il sego del maiale, perché quando si uccideva il maiale ci davano un po' di sego che era prezioso in cucina. Era bello vedere il lardo che si fondeva per diventare sego. Ma se qualche volta ci davano una fetta di lardo da portare a casa, magari con quella vena di carne che gli rimane addosso, spariva subito mangiato magari con un po' di polenta: "el iera bon ciò el lardo". Chi uccideva i maiali qui attorno erano i "porseeri", come Vittorio Conte, professionista vero, che insegnò il mestiere a Narciso Marchetto; poi anche Nadal Conte imparò a fare "el porseer". Anche Tarcisio Breda, fiol de Bepi Breda, sapeva uccidere i maiali, ma lo faceva solo per casa come tanti altri. Noi bambini eravamo sempre in giro per le case dei contadini quando era tempo di uccidere il maiale, perché così ci davano le "frisseghe" di maiale da portare a casa. "Vemo tegnuo qualche gaina, do', tre gaine": in realtà a casa non avevamo nulla da dar da mangiare alle galline, per cui dopo alcuni tentativi rinunciammo a tenerle, non avevamo nemmeno un prato dove lasciarle pascolare. Quando avevamo desiderio di un uovo andavamo a raccoglierlo "dai coati". Hai presente quella casa dei Benetton?": qua so’ ea crosera del borgo: drio a casa 'na volta ghe jera on fassiner longo vintitrenta metri". Le galline ovviamente facevano le uova nei loro nidi sotto "el fassiner". Noi ragazzi che passavamo per la strada davanti ai "Timunsei" mettevamo la mano dentro ai buchi della rete metallica e prendavamo le uova che ci servivano: lavoravamo sempre per mangiare. Fa riflettere il fatto che seppure noi ragazzi compivamo questi furterelli, tuttavia le famiglie qua attorno dove rubavamo le uova, "i Manci", "i Breda", "i Nobe", "i Piatei", "i Toresani", a noi bambini non ci hanno mai "dato bote" (picchiato). E' noto che un tempo se qualcuno veniva sorpreso a rubare se catturato doveva subire un duro pestaggio: a noi nessuno ci disse una sola parola, anche se era noto come ci provvedevamo di cibo: ci rispettavano. Io credo dipendesse dal fatto che un tempo la nostra famiglia era stata ricchissima e aveva sfamato numerose famiglie del paese. L’ANTICA “CAL DEE ROE” 42 La “Cal dee Roe” vista dall’attuale via Marconi: così appariva questo caratteristo edificio negli anni ‘60. Ora dopo interventi strutturali non è più riconoscibile. 43 ...ZOGAVIMO A “TAJA” Una volta siamo tornati a casa senza il solito legname che raccoglievamo perchè ci eravamo fermati sulla Postumia, dove un gruppo di ragazzi giocava a "Taja" con i bottoni: si faceva un segno per terra sulla polvere, si gettava avanti una moneta da "diese schei", poi si buttava il proprio bottone: quello che lo gettava più vicino alla riga tracciata aveva il diritto di tirare per primo un sasso sulla moneta: se riusciva a farla girare (sperussar) la vinceva. Bene, quel pomeriggio incontro Carletto Carrer, Alvise Carrer "el forner", Nisio Carrer e Giulio Carrer (erano fratelli) : e quella sera, dopo aver giocato e vinto, torno a casa con ben due franchi e quaranta centesimi in tasca, li avevo battuti tutti, ma tornai a casa senza legne. Mi sedetti sull'uscio di casa tutto soddisfatto. Mia madre appena mi vide subito mi apostrofò: eccoti qua senza una fascina di legna "Gnanca 'na fassina de legne". Risposi: "Mama go' zogà i "taja" e go' vinto do franchi e quaranta". Dopo un po' sento mia madre che mi dice: "Carlo se mi dai ottanta centesimi andiamo a comprare due chili di farina da Bepi Muner", Glieli concedo. Attese un altro po' di tempo (vedeva che ero tutto soddisfatto di me e non aveva il coraggio di chiedermi subito tutta la somma che avevo vinto) e poi mi dice: Carlo se hai altri ottanta centesimi "vao tor 'na onsa de oio": "na onsa" era l'equivalente di un bicchierino di olio. Dopo altro tempo mi dice: Carlo se hai ancora sessanta o ottanta centesimi andiamo a comprare una bella "renga" (aringa). Così quella sera mia madre imbastì la cena con polenta, aringa e olio: sai come si cena con l'aringa? Si prende l'aringa, la si divi- de in due nel senso della lunghezza, gli si versa sopra un po' d'olio, poi con la fetta di polenta dura " se tociava sora a renga" ma l'aringa ovviamente non si consuma mai strofinandola solo , per cui si mangiava tanta di quella polenta che catturava un po' del gusto dell'aringa stessa. Una aringa bastava per una cena di dieci persone: la si divideva solo alla fine, quando la polenta era quasi finita. "Credo de aver visuo proprio i pezo ani de tuti quanti, credo". Il mio primo pasto vero io ho cominciato a farlo quando avevo vent'anni, cioè quando ormai era tempo di andar soldato. ...‘NDAVIMO A CACCIA DE “OSEETI” Altra importante fonte di sostentamento per noi era la cattura di uccellini sui tetti, ancora nel loro nido : ricordo che li prendevamo implumi e li portavamo da nostra madre a cucinare. Anche per le siepi andavamo a caccia di nidi di redestole, quelli dei merli erano troppo alti: ci era facile catturare i nidi di "parussole" che facevano il nido dentro ai tronchi vuoti dei "moreri" (gelsi): allora mettevamo il braccio dentro al tronco e catturavamo gli uccellini nel nido quasi appena nati: noi avevamo il compito di procurare cibo perché a casa c'erano nove/dieci bocche da sfamare. Ricordo che mia mamma, tanto severa quando "fasevimo maegrasie grandi", se portavamo a casa qualcosa lei lo prendeva, bisognava che lo facesse, perché avevamo fame. Tuttavia nella nostra povertà non abbiamo mai rubato conigli, galline, mai, proprio mai. 44 ...FASEVIMO EL BAGNO NUDI Non abbiamo mai saputo che cosa fossero i monti ed il mare quando eravamo piccoli: il bagno d’estate lo facevamo nel canalone qui vicino a casa e senza mutande, nudi. Il canalone è quello che scorre vicino alla ferrovia dove casellante era Primo Pinese. Noi sguazzavamo nudi nell’acqua quando un giorno questo esce dal casello come una furia urlando e rincorrendoci: “el me ga’ fato ciapar una de quee spasemae” che ancora la ricordo: era un ferroviere forte e tremendo e non voleva ci mettessimo nudi perchè aveva le figlie che ci potevano vedere. Aveva tre ragazze, la Maria, la Santina e la Norina. Allora in paese quelli che si mettevano a fare il bagno nudi erano considerati dei “porseoni”. Ma cosa vuoi allora non c’erano nemmeno le mutande per noi, come potevamo fare il bagno vestiti? ...A MAESTRA BASSAN La maestra Bassan piuttosto di tenermi con sè mi bocciava perchè disturbavo troppo, così avvenne per tre anni, anche se ero bravo a scuola. Quando poi sono passato in quinta elementare, con il maestro Ferin, le cose andarono molto meglio. Quando avevamo il compito in classe io terminavo sempre prima degli altri poi, visto che ero sempre irrequieto, mi lasciava un'oretta di "buona uscita", così mi sfogavo un po', ed anche per evitare che passassi il compito agli altri. "Cosa vuoi," aggiunge Carlo, "avevo i sassi sotto il banco", intendendo dire che era irrequieto, non riuscivo a stare composto e tranquillo per troppo tempo in classe, non stavo mai fermo, chiamavo i compagni, disturbavo e Ferin aveva perfino paura di picchiarmi, come si usava allora, perchè ero già bello robusto, e temeva soprattutto i miei calci. Una volta che mi aveva picchiato in classe, quando inforcò la bicicletta per andarsene io presi la fionda, mirai alla "gemma" (catarifrangente) della bicicletta e la colpii in pieno anche se ormai era un po' lontano, mandandola in frantumi: il maestro ebbe un sussulto di spavento ma non si fermò, nè disse alcunchè e se ne andò senza fermarsi. Aggiunge la moglie di Carlo: "Oggi un fatto di questo genere meriterebbe l'istituto di correzione ma allora i maestri erano più tolleranti. " 45 CARLO CON I PARTIGIANI Allora lavoravo nella cartiera Marsoni, anche se per pochi mesi: ero di leva e mi dovettero licenziare. A quel tempo c’erano solo due alternative: o si andava a far il militare a Salò, o si andava con i partigiani in montagna. Ho preferito la montagna e ci andai con un mio amico e vicino di casa, Tilio Galiasso: abitavamo tutti e due nella “Calle dee Roe”. In montagna con i partigiani stavamo nella zona di Combai, poi fascisti e tedeschi ci cacciarono in Cansiglio . In questa ritirata i tedeschi hanno ucciso sei dei nostri amici, con loro Nich, il suo nome di battaglia (era da Revine Lago) ben voluto da tutti. Durante la ritirata siamo giunti al monte Pizzoc e poi sempre in ritirata abbiamo Carlo Pinarello ad una manifestazione attraversato tutto il Cansiglio e riparammo i questo capitolo della sua vita a Sacile. Carlo Pinarello parla con una certa Da qui, a piedi, attraverso le campagne in difficoltà, certamente a causa delle pochi uomini siamo giunti a Maserada sul sofferenze che dovette patire in quei Piave, poi a Salettuol: ci dividemmo dopo tempi, in particolare nel vedere trucidati che ebbi indicato ai compagni la strada tanti compagni. più breve per raggiungere i rispettivi paesi. Racconta: “Dalla nostra officina abbiamo Mi fermai da una famiglia di mia conoascoltato per radio l’annuncio della dichia- scenza e questi avvisarono poi i miei famirazione di guerra di Benito Mussolini il 10 gliari. giugno 1940: Mussolini parlava dal balco- Mia sorella Maria venne a trovarmi in ne di palazzo Venezia a Roma. Erano le bicicletta: vi salii e mi accompagnò a San ore sedici e trenta e Nani è partito di corsa Giacomo di Roncade e quindi a Ca' Tron. a casa ad avvisare nostra mamma, perché In quel periodo in centro di Roncade era lui era in età da militare: fece il militare a stata uccisa Franca detta "Favea". Roma, nel corpo dell’aviazione e quando A Ca' Tron morirono poi Menon e giunse l’otto settembre 1943 (armistizio di Speranzon, la stessa sorte poi toccò anche Cassibile), tornò a casa come tutti gli altri a Ijeto Mansan. militari, portandosi però appresso, fuori Nel frattempo i miei di casa mi trovarono della caserma, una forma di formaggio un lavoro da Toni Benetton a grana. Sant'Artemio: qui costruivamo i gasometri Salito sul treno con la forma di formaggio a carbone che servivano per alimentare le iniziò a mangiarne: purtroppo il treno auto, in particolare i camion con le ruote erano pieno zeppo di soldati che pretesero piene, utilizzati per trasporti. Così con di avere la loro parte del formaggio. quel camion Schena Amadio portava da Arrivato a Treviso tornò a casa in divisa. mangiare ai partigiani su nel Combai e D portava a casa legna da ardere.” Arrivarono gli ultimi giorni di guerra, detti "della Liberazione", Nani ed io lavoravamo ancora ma negli ultimi quattro giorni si presentò uno dei capi della Resistenza e ci disse di prendere il fucile minacciando che, in caso contrario, non avremmo più lavorato: così abbiamo lasciato il lavoro e siamo andati con i partigiani. Come prima uscita siamo andati a Maserada, ci siamo presentati ai tedeschi e questi si sono arresi tutti; poi siamo andati a villa Ancillotto, vicino al cimitero di Lancenigo, e anche là i tedeschi si sono arresi. In quel momento sono però giunti anche altri partigiani della zona di Santa Maria del Rovere i quali erano animati da ben altre idee, infatti iniziarono a caricare su un camion tutto quello che potevano caricare. I tedeschi nostri prigionieri ci avvisarono però che era imminente l'arrivo di una pattuglia di loro commilitoni: immediatamente noi che non avevamo alcun desiderio di rimanere per rubare ci siamo nascosti dietro alla villa, abbiamo attraversato l'acqua del fiume Melma e ci siamo messi in salvo. Gli altri invece rimasero in villa e all'arrivo dei tedeschi ne seguì una sparatoria ed i partigiani rimasti ebbero la peggio con diversi morti. Tra i caduti ricordo Gildo Schileo, il postino di allora che aveva altri due fratelli, uno dei quali era Alessandro, il più anziano e l'altro soprannominato "Spae". Alessandro Schileo fuggì e se ne persero le tracce, "Spae" il più giovane che era stato catturato, venne portato nella Villa Dal Vesco a Breda, allora Nani ed io assieme a Giulio Pinarello del Borgo di Lancenigo, Giovanin Buso e altri, siamo andati là per liberarli e li abbiamo trovati prigionieri dei tedeschi: prima di noi erano giunti altri partigiani e ricordo una scena crudele: alcuni stavano massacrando i tedeschi con calci e pugni. Quando siamo arrivati noi hanno smesso di picchiare ed abbiamo dato loro delle sigarette così si sono tranquillizzati. 46 Carlo Pinarello negli anni ‘50 Purtroppo quando questi tedeschi sono stati portati nella cartiera di Mignagola è successo di tutto, non abbiamo saputo altro. Poco dopo si sentì sparare ovunque ed era segno che la guerra era finita: tutti noi partigiani abbiamo festeggiato e siamo tornati a casa. 47 PUGNI E BARUFFE egli anni della mia giovinezza ricordo anche alcune baruffe, che un tempo succedevano con facilità tra i giovani nel frequentare osterie e balere:"avrò avuto vent'anni quando frequentavo una balera di Nervesa della Battaglia. Ricordo che quel locale mi era molto famigliare, ero di casa in quel posto. Ci venivo al sabato sera ed alla domenica sera con alcuni amici che abitavano dalle mie parti. Ero molto considerato in quel locale, avevo come si dice "la situazione in mano" con le donne, cioè rapporti di amicizia, confidenza, autorevolezza, ed anche gli uomini mi rispettavano. Perciò accadeva spesso che questi, anche se abitanti a Nervesa, venissero proprio da me per chiedermi di presentar loro la tal ragazza, di mettere una buona parola per poter ballare con la tal'altra, ecc. Io mi prestavo ben volentieri al gioco. Un giorno tuttavia quelli del posto evidentemente avevano deciso di togliersi dai piedi questo forestiero che aveva un così grande ascendente sulle ragazze del luogo e così mi vedo venire incontro fuori della balera i più forti con i pugni chiusi, pronti per battermi: uno di questi mi viene addosso ma a quel tempo avevo un braccio scattante. Lo distesi per terra come fulminato. Scapparono tutti, se ne andarono senza nulla obiettare anche i carabinieri che passavano in quel momento da quelle parti. Sempre in quegli anni avevo due-tre morose che frequentavo alternativamente: iniziavo il sabato sera a fare il giro per far loro visita e per portarle a ballare, poi al lunedì sera era invece la volta di un'altra morosa, la mia attuale moglie: il padre di lei non mi vedeva di buon occhio tanto che brontolava e mi rimproverava dicendo che non facevo mai visita a sua figlia di sabato o domenica. Bene, in quel periodo andavo spesso a ballare in località Olmi di San Biagio con una bella ragazza che era però già fidan- D zata, ma che a ballare ci veniva senza il moroso. In una occasione ci andai con degli amici senza avvertirla prima e lei ci venne purtroppo assieme al legittimo fidanzato. Quando vide che ballavo con altre lei lasciò il fidanzato e per tutta la sera mi stette addosso ballando solo con me. L'altro ovviamente se ne risentì. Uscimmo e la accompagnai a casa come si usava un tempo. Percorrevamo una strada inghiaiata circondata da alte siepi. Ad una curva spunta fuori il moroso tradito il quale senza fare parola sferra un tremendo pugno nel volto di questa ragazzina che per il colpo sbattè la testa contro un'albero che costeggiava la strada. Come la colpì al volto lui pure fu colpito da un tremendo pugno che gli sferrai in faccia, stramazzò per terra, ricordo come ora lui grande e grosso disteso sulla ghiaia, aveva battuto il capo ed aveva i capelli lungi scompigliati per terra, credetti di averlo ucciso e scappai a cercar aiuto per salvarlo correndo a chiamare i miei amici che erano ancora nella balera. Tornammo: il moroso tradito si stava bagnando la faccia con l'acqua del fosso, la ragazza era scappata a casa. Non l'ho più rivista ma da poche settimane ho saputo che fa la parrucchiera a Santa Maria del Rovere...chissà se si ricorda di quel fatto. In tutta la mia vita ho fatto a pugni solo tre volte, poi mi son detto “Carlo è meglio che lasci perdere perché qui una volta o l'altra finisci male”: bene, la terza volta accadde qui a Catena all'osteria da Coppi quando uno mi insultò, io risposi con un colpaccio e lo distesi dritto per terra, basta, non successe più. Allora però avevo un braccio buono da pugni, non ero molto grosso, ma avevo un braccio velocissimo. I RICORDI DI ELSA TORRESAN 48 Fine anni ‘40. Carlo Pinarello con amici ad una festa. Si riconoscono da sin: Giovanni Serafin; Luciano Grespan; Elsa Torresan; Carlo Pinarello; Bruna Furlanetto i quei tempi ormai lontani, ricorda Elsa Torresan, moglie di Carlo: “Sono nata a Fontane in una piccola casetta posta tra la Piavesella e la Pontebbana, dopo il Palaverde in via 25 aprile. Quando ero piccola erano tempi duri ma a casa mia non facevamo la fame come a casa di Carlo e non siamo mai andati in elemosina. Mio padre difatti faceva il carrozziere ed inoltre era invalido di guerra per cui aveva una piccola pensione: lavorava alla Carrozzeria Veneziana di Mestre dove era molto apprezzato come decoratore delle carrozzerie delle auto, un lavoro nel quale eccelleva in particolare D nello stendere a pennello quelle righe dorate che un tempo decoravano le fiancate delle automobili. A casa insomma c'era un certo benessere anche se non mangiavamo spesso bistecche. -Aggiunge Carlo: "... racconta un po' quanti giorni alla settimana lavorava! Che lavorava dal mercoledì al sabato!" -Risponde la moglie: "sì, andava così: lui al sabato aveva la paga e subito andava a far festa in osteria dove prendeva una bella sbornia, così poi rimaneva a letto fino al martedì, quando il suo compagno di lavoro, Pattaro, veniva a trovarlo dicendogli: "Angelo, il padrone mi dice di chiederti se puoi venire al 49 lavoro". Mio padre rispondeva come sempre: "Sì doman vegno". -"Insomma era un artista di prima qualità nel suo lavoro come decoratore d'auto e molto richiesto: aveva una mano ferma come pochi nello stendere le decorazioni sulle carrozzerie". Poi andammo ad abitare a Lancenigo vicino alla stazione ferroviaria in via Dante. Durante la 2.a Guerra Mondiale il cortile di questa casa (era un grande prato a fianco della ferrovia) era sempre pieno del bestiame requisito dai tedeschi. Noi avevamo molta paura dei bombardamenti dell'aviazione alleata: vedevamo in continuazione aerei passare e così una volta effettivamente ci colpirono la casa distruggendola. Dovemmo andare sfollati nella casa grande dei Benettoni al Borgo di Lancenigo, dove era sfollato anche Carlo. Aggiunge Carlo: "vedevo sempre passa- re per la strada questa bella ragazza e allora un po' alla volta facemmo amicizia e poi si sa come vanno queste cose, ci mettemmo assieme". Aggiunge la moglie: " al Borgo eravamo difatti tutti e due sfollati e abitavamo vicini, sua sorella, quella che venne uccisa dalle bombe alleate, era amica di mia sorella più piccola". Aggiunge la moglie: "La guerra era finita da poco ed io ero ragazza e la domenica pomeriggio si usava andar a ballare all'ex-casa del fascio a Carità di Villorba (alla sera con il buio neanche a pensarci di andare a ballare): ricordo che ballavamo, io avevo degli zoccoletti neri lucidi lucidi proprio belli, scarpe neanche a parlarne, non c'erano soldi. Purtroppo io sapevo ballare poco, Carlo ancora meno e così ballando lui mi pestava i piedi ed una volta i miei zoccoletti finirono in mezzo alla pista da ballo". 50 Aggiunge Carlo: "Erano tempi molto diversi da oggi, ricordo che una volta lei era seduta su un muretto assieme a Letizia Minatela, cognata di Piero Minatel (abitava allora vicino alla moglie di Carlo): io passavo di lì in bicicletta e deciso, di slancio, la prendo per un braccio e la faccio salire sulla canna della mia bicicletta e ce ne andiamo. Questo l'ho fatto senza esitare, senza pensarci su nemmeno un secondo, ma tutte le donne presenti si scandalizzarono: "varda come ch'el monta su ch'ea tosa", era una libertà che allora non ci si poteva prendere con una ragazza e che fece chiacchierare parecchio le male lingue. Allora continua Carlo, "portar via cussì 'na tosa no a jera 'na roba tanto par ben" e c'era da rischiare di essere pestato dal padre della ragazza " che par queo... el gera bon da batue", a parte che, aggiunge, ero ben temprato e non avevo paura di nulla. In questa pagina e nella precedente: Scampagnata nel Montello. 18 Aprile 1948. Quel giorno si effettuavano le elezioni del nuovo parlamento italiano del dopoguerra e il gruppo di amici, essendo proibita la circolazione in città per motivi di sicurezza, decisero di fare una scampagnata nel Montello: qui sono di fronte alla trattoria Vettorel, località SS. Angeli. Si possono qui riconoscere da sin: 1-Alessandro Poletto da Catena, detto "Issandro" 2-Carlo Pinarello 3-Ugo Zambonetto da Catena 4-Avio Zuccarel di Catena. La moto in primo piano era di proprietà di Guido Gatto da Catena, pilota aereonautico 51 Scampagnata sul Montello. 18 Aprile 1948. Nane la mia camicia da sposo, visto che doveva andare a ballare. Allora di riscaldamento non si parlava, Carlo Pinarello riprende il suo racconto d'altra parte eravamo abituati al freddo. e ricorda: “...L'officina prima era là Ricordo che quando ero piccolo andavadove adesso a Catena c'è la farmacia. mo a dormire con l'ombrello perché dal Quando ci siamo sposati lì avevamo tetto entrava pioggia dai tanti buchi, l'officina e Nani aveva la sua camera: addirittura a volte indossavamo la mansopra nel "graner" dormivamo noi. tellina impermeabile e se non era piogDove siamo adesso c'era solo terra e ci gia era "el caivo" che entrava in camera costruimmo l'officina. Quando venimmo dalle fessure. qui a Catena non comprammo subito la Quando andai dal parroco, che allora era terra. il famoso e terribile don Fulmine, questi Ci eravamo sposati il 15 febbraio 1953 mi disse che dovevo sposarmi al sabato (allora la mamma di Carlo aveva una sera perchè avevo messa incinta la mia camera in affitto dai Marotti di Catena) futura moglie: infatti era tradizione che poi nel ‘54-’55 comprammo la terra e le donne che si sposavano incinte dovenel ‘57 costruimmo l'officina attuale. vano sposarsi alle 18-18,30 del sabato Quando ci sposammo mio fratello Nani sera, mentre a quelle che non erano dovette andar a dormire nel granaio per incinte era permesso sposarsi alla domelasciarci libera la camera. In cambio il nica mattina. giorno dopo il matrimonio prestai a Io però spiegai che con i tempi difficili AI TEMPI DEL NOSTRO MATRIMONIO 52 Elsa Pinarello con la prima automobile della famiglia. Quest’auto, una FIAT 600, era l’orgoglio della famiglia Pinarello. Ricorda Carlo: “...Andavamo avanti così guadagnando abbastanza e abbiamo comperato la prima automobile una Topolino furgonata. Quell'anno nostro padre stava morendo ma dal letto, attraverso la finestra, ha voluto guardare l'auto nuova: pochi giorni dopo è morto.” che c'erano, perdere la giornata di lavoro del sabato sarebbe stato troppo pesante per la mia famiglia, visto che al sabato si lavorava di più. Don Fulmine aveva il cuore buono e così mi disse di sposarmi quando lo desideravo io: dissi che mi andava bene sposarmi alla domenica mattina dopo messa ultima, verso le 11,30. Acconsentì. Ci siamo sposati nella chiesa di Lancenigo, ci eravamo andati con tre auto ma avevamo ben 50 invitati per cui la gran parte ci venne a piedi. In chiesa ci siamo arrivati tardi perché le sbarre del treno nella stazione di Lancenigo erano chiuse: arrivammo giusto dopo che la messa ultima era finita verso le undici e mezza del mattino. Quando, finita la cerimonia uscimmo dalla chiesa, tutti quelli da Lancenigo che incontravamo mi chiedevano: "quanti soldi hai dato al prete perché ti permettesse di sposarti a quest'ora?" Erano meravigliati perché era noto che Don Fulmine era un parroco buono ma molto severo, uno che raramente permetteva che venissero trasgredite certe regole. Fu una gran meraviglia per tutti: allora le coppie che si sposavano attendendo un figlio non potevano assolutamente sposarsi di domenica. Mio compare fu "Cici" Serafin Schileo, una delle persone più ben sistemate di Catena: noi eravamo poveri allora e così non facemmo fare nemmeno una fotografia e così non ho un ricordo fotografico da mostrare oggi, d'altra parte nel 1953 erano tempi duri . Il giorno che ci siamo sposati il pranzo si fece in casa: chiamammo una brava cuoca e poi c'era una mia cugina ed un'altra donna che davano una mano. La festa fu bella. Nani però aspettò che tutti andassero via per tirare fuori il letto e dormire nel granaio dove era appena 53 finito il pranzo di nozze (Nani è il fratello più anziano di Carlo ma si sposò 6 anni dopo di lui). Ricordo che ballammo alla musica della fisarmonica. Aggiunge la moglie di Carlo: "Il giorno dopo il nostro matrimonio era l'ultimo giorno di carnevale e così Nane mi disse: "potresti prestarmi la camicia di Carlo che devo andare a ballare? " Mi diedi subito da fare a lavare e stirare la camicia. Quando la indossò mi disse: "se vede che a xe 'na camisa da sposo?". Lo rassicurai che non si vedeva anche se era facile capire che si trattava di una camicia da sposo, infatti sul davanti aveva tutte le pieghette come hanno di solito le camice eleganti che si indossano con lo smoking. LA FINE DI MIO PADRE ome ho già detto, mio padre morirà nel 1955 a soli 69 anni a causa di una scheggia che gli si era conficcata in una gamba in occasione del bombardamento americano (1945) che aveva colpito la nostra casa di Catena di allora. Quando lo ricoverammo in ospedale mio padre mi confidò che lui tutti i suoi risparmi li conservava nella camicia: ci abbiamo trovato settantamila lire, con le quali abbiamo fatto subito il funerale di nostra sorella Marziana. Con quei soldi abbiamo aiutato i nostri genitori che avevano bisogno di cure, ma in un anno dalle settantamila lire che avevamo in tasca ci ritrovammo con settantamila di debito. Questi soldi in parte li avanzava Paglianti (nota 1) e tanti altri che ci fornivano materiali per costruire le nostre biciclette. Mio padre, prima di morire, dal letto, attraverso la finestra, ha voluto guardare l'auto nuova, la nostra prima automobile C che avevamo appena comperato, una Fiat Topolino furgonata: la moglie di Carlo ricorda che lo aiutò a sollevarsi dal letto per osservare l’auto fuori dalla finestra...guardò, e senza una parola si accasciò sul letto contento, pochi giorni dopo morì. (Nota 1: Giovanni e Carlo appresero i primi rudimenti come costruttore di bici già prima della guerra quando Nani era poco più che quindicenne, presso la ditta Paglianti e a Catena, a casa propria. Già nel 1922, infatti, loro cugino Alessandro aveva iniziato, in una piccola officina, a costruire biciclette, come dimostra la Medaglia d´Oro ed il Diploma di Partecipazione alla Fiera di Milano del 1925.) I RICORDI DI FLORIANA E PAOLO PINARELLO 54 che andava al di là di questo e molti compaesani di Catena ricorderanno di essere stati aiutati economicamente da Carlo Pinarello, anche se mio padre non ne farà mai i nomi (nota 1). FLORIANA: “Papà io l'ho visto sempre con la tuta da lavoro, sporco di E' vero che nei quadri qui esposti ci grasso per le biciclette, lavorava semsono anche ciclisti che non sono poi pre, anche di domenica, perché la nostra divenuti famosi, ma alla gente di Catena clientela era ed è fatta di gente del piace anche così e tanti tanti nostri conposto, parenti, conoscenti, amici, quindi cittadini che sono emigrati o sono andapiù che clienti e mio padre ci ha inseti ad abitare lontano od anche vecchi gnato ad essere sempre disponibili: qui ciclisti che ricordano le vecchie glorie, non abbiamo mai rifiutato un cliente quando passano da queste parti si ferperchè arrivava fuori orario. mano e si congratulano con papà per la Dell'osteria da Coppi ho il ricordo di bella idea di esporre queste opere e mio quella televisione che in casa non avepadre è felice perché questo per lui vuol vamo e che mi attirava tanto, purtroppo dire essere ripagato di tutto quanto ha l'oste la accendeva solo per i telegiorna- fatto negli anni. li ed a quell'ora l'osteria si riempiva, ricordo tanta gente di allora ed in parti- PAOLO: colare la figura di Vittorio Grespan che Se c'era una differenza tra i due fratelli prendeva una sedia, la girava e ci si Pinarello, mio padre e mio zio Nani, sedeva appoggiandosi col mento sullo quella più evidente è che mentre lo zio schienale. ha sempre avuto l'iniziativa, il piglio e Sì, ho visto mio padre lavorare sempre, lo stile dell'industriale e vive per questa ma in fondo con tutto questo suo lavosua "missione", mio padre invece è rare si è anche preso delle belle soddirimasto in paese ed ha mantenuto uno sfazioni perché così poteva permettersi stile semplice, "alla buona", caratterizdi accompagnare la famiglia alla dome- zato da un rapporto di amicizia e dialonica a fare la gita sul Montello ed a go con la gente del posto ed è questo cena in trattoria, magari altre volte ci che ora più lo gratifica. A dimostrazione portava sulla neve a giocare, in tutte della disponibilità di mio padre verso la quelle occasioni con gli amici abbiamo gente di Catena, ricordo che se a qualtrascorso delle belle ore. Mio padre (nota 1: i quadri dei tanti campioni del cicliorganizzava ad esempio il lunedì di smo sono nati in occasione dei mondiali di Pasqua una gita di gruppo con tutti gli ciclismo: qui sono nate le biciclette Pinarello amici ed andavamo a festeggiare sul ed allora abbiamo voluto festeggiare l'avveniMontello, quanti eravamo, anche 100 mento dei Mondiali con questa esposizione di persone. Certo poi sono arrivati anche opere d'arte, magari poi potrà esserci stata gli anni nei quali papà stava male, era anche la motivazione di abbellire le pareti sfinito fisicamente per il troppo lavoro: esterne della casa, togliendo come dice mio padre le insegne della pubblicità: per ultima era il suo modo di essere, di esistere, lascerei la motivazione della tradizione di lavorare sempre ed essere disponibile porre affreschi sulle pareti esterne della case totalmente verso la gente, verso i suoi compaesani e la sua non era solo dispo- e ville dei secoli scorsi (santi, meridiane, soggetti profani ecc..). nibilità sul lavoro, ma anche qualcosa loriana e Paolo Pinarello, figli di Carlo così ricordano il papà e gli avventurosi anni ‘50: F Sopra: La famiglia Pinarello al completo cuno finivano le bombole del gas in un giorno festivo, sapeva con certezza che qui da Carlo Pinarello trovava la porta aperta. Sulle opere d'arte dedicate al ciclismo esposte posso aggiungere che abbiamo avuto anche l'ovvia intenzione di privilegiare con questa iniziativa i ciclisti che gravitavano nell'area del mondo "Pinarello" ed in subordine i ciclisti veneti o trevigiani, poi altri ciclisti sono stati scelti con criteri diversi, ad esempio il campione americano Armstrong è stato scelto per la sua simbolica lotta contro il male che lo minacciava e ci pareva un bell'esempio di campione, anche se veneto non è. Altri sono stati scelti per un loro particolare rapporto con la famiglia Pinarello, mi sembra normale no? FLORIANA Ricordo com'era Catena una volta, negli anni '50-'60, qui dove c'è il distributore c'era terra incolta, un fosso che costeggiava la strada nel quale mia madre usava a quel tempo lavare i panni sul "lampor" e un filare di platani lungo la strada com'è consuetudine, ricordo anche che quando Paolo era piccolo, avrà avuto un anno e mezzo, cadde den- tro al fosso e l'acqua se lo portò via anche se ce n'era poca, per fortuna che una signora nostra vicina, Emilia Buosi in Grespan, che aveva una merceria qua vicino, sentì sbattere le braccia di Paolo dentro all'acqua e corse a salvarlo. Quando ero bambina Catena era come una grande famiglia per me, ricordo che andavo a mangiare quando volevo da Emilia Conte all'osteria da Nino, ora Coppi, poi dalla famiglia di Narciso Marchetto: com'era diverso questo paese allora! non era necessario telefonare per tempo per preannunciarsi se si voleva far visita a qualcuno, era sufficiente presentarsi in casa, i tempi sono cambiati, non c'è più quella cultura, quella disponibilità . In osteria ci andavo sempre perché la proprietaria aveva tre figlie, una delle quali mi insegnò a lavorare all'uncinetto, mentre un'altra ancora mi insegnò ad usare la macchina da scrivere, che bella l'osteria da Coppi di quei tempi! C'era la bella figura di Nino "Osto", il suo cognome per la verità era Favaro ed era originario da Fossalunga. Io ci andavo sempre per comprarmi i gelati, venti franchi per due palline di gelato. Ricordo la prima televisione che gioia guardare "Lascia o Raddoppia" di Mike Buongiorno o le prodezze di Rin-tin- Tin. Ricordo anche la "Cae dee Roe" e la signora Corinna Stevanin che faceva una strana raccolta, quella delle carte argentate di caramelle, forse le consegnava poi alle suore che ci facevano dei fiori di carta, fattostà che a me per un bel po' di cartine consegnate, regalava qualche "santino", quanti ne avevo raccolto così, poi non so come un po' alla volta sono andati dispersi. Che personaggi in quella "Cae dee Roe", ricordo il famoso Lole Capeet e Toni Serafin detto Scoe. Gli edifici di "Cae dee Roe" erano vecchi già allora, ricordo che entrando in una di quelle porte d'ingresso ci si trovava di fronte a numerosi ingressi di stanze o appartamenti abitati da famiglie diverse. Quando ero piccola l'asilo qui a Catena non c'era e allora la "monega" Polon, detta "Sanca" si era messa a far asilo in una baracca posta qui a Catena prima della farmacia, poi quando mio zio Nani ebbe il negozio a Treviso in Piazza del Grano allora fu lui ad accompagnarmi ad un asilo vero, al Carmen Frova di Santa Maria del Rovere, dove feci anche le elementari. Visto che ci andavo io finì per venirci anche mio fratello Paolo e vi facemmo le elementari mentre le medie le frequentammo a Carità di Villorba. Quand'ero ragazza io era quasi uno scandalo che una ragazza andasse a studiare ed io, che volevo fare le superiori, avevo avuto da mio padre un monito severo, non dovevo rimanere respinta a scuola neppure un solo anno, altrimenti avrei smesso gli studi. Ricordo che alle medie di Carità ci andavamo in bicicletta in quattro: due ragazzi e due ragazze. Alla fine delle medie mi ritrovai a fare la strada in bicicletta con un solo compagno maschio, credo proprio che delle ragazze di Catena di quei tempi fui la sola a frequentare le superiori. Anche mio zio Nani era contrario che io proseguissi gli studi ed io quando mi diplomai non mi aspettavo nessun regalo e 56 Carlo Pinarello con il figlio Paolo (a sin) invece quando tornai col diploma lo zio Nani mi regalò un bel braccialetto e mio padre mi fece la grande sorpresa di organizzare una festa per me assieme a tutti gli operai dell'officina. Ne fui felice. Negli anni della mia gioventù la mia insegnante di inglese, la prof.ssa Bidoli mi aveva preso a ben volere e per me era divenuta quasi una tutrice:mi diceva sempre "ricordati, non devi finire a sposare un contadino di qua" e mi sgridava quando mi vedeva tornare da scuola con un codazzo di spasimanti ma d'altra parte ero la sola ragazza che frequentava le medie! Però anche a casa davo una mano, già a 13 anni andavo in banca alla Cassa di Risparmio di Spresiano in bicicletta: partivo alle 15 del pomeriggio e percorrevo la strada per Lovadina poi verso Spresiano ed in una borsetta custodivo l'incasso del distributore di benzina. Ricordo che il cassiere si stupiva di vedermi così piccola portare senza timore quei soldi in cassa e da allora comunque la contabilità di casa la tenni sem- L’ANTICA O e l’OFFI 57 Qui a sinistra si intravv come si potrà leggere ne schiere di viandanti, car alle campagne ed alle fa sportivi che nel fine sett primo televisore del pae sede del “Club Indurain l’altro luogo di riferimen Pinarello e di suo figlio P CURIOSITA’ STORICHE SU CATENA DI VILLORBA el descrivere la storia di Carlo Pinarello è necessario immergerla nel microcosmo dove si è svolta la sua storia, ovvero a Catena di Villorba e non la si potrebbe comprendere senza conoscere almeno sommariamente le caratteristiche di questo piccolo paese. Catena di Villorba è posto all’incrocio tra l’antichis- N sima strada romana Postumia e la Via Ongaresca o Cal Treviso, che proveniva fin dall’alto medioevo dal passo sul Piave di Lovadina per dirigersi a Treviso. Riportiamo qui di seguito alcuni frammenti della micro-storia di questa frazione del Comune di Villorba. OSTERIA “DA COPPI” ICINA PINARELLO 58 ede l’ingresso dell’Osteria da Coppi, un’osteria davvero antichissima elle pagine seguenti. Un luogo già anticamente frequentato nei secoli da rrettieri che vi transitavano, ed in tempi più vicini dai lavoratori diretti abbriche della zona e negli ultimi cinquant’anni anche da numerosissimi timana hanno affollato questa storica osteria per esaltarsi osservando al ese le gesta dei nostri campioni del ciclismo. Non a caso è poi divenuta n”. Come si può notare dall’altro lato della strada (Via Marconi) è posto nto del paese, il distributore di benzina con officina per cicli di Carlo e Paolo.-154 L’ANTICA OSTERIA “ DA COPPI” niziamo questa rapida panoramica storica su Catena partendo dall’antica osteria-Da Coppi essendo stata la stessa, nel corso dei secoli, il vero fulcro della vita sociale del paese. Infatti la località di Catena fin dai tempi più antichi era percorsa in lungo ed in largo da numerose vie di traffi- I co, quali ad esempio la Postumia e la “Cal Lovadina” che portava al passo sul Piave; era dunque ovvio che vi si trovassero delle taverne e delle osterie per il sollievo dei viandanti. Fin dal 1433 troviamo in Lancenigo il toponimo “alla Tavernina” che stava ad indicare 59 L’ANTICA OSTERIA” DA COPPI” (seguito) una “piccola taverna”ed è probabile che questa fosse situata proprio a Catena. In questo piccolo borgo troveremo infatti, anche nei secoli successivi, più osterie. Nel 1806 era oste, a Catena, un certo Giuseppe Bellotto “... attual Oste alla Cadena, Colmello di Lancenigo...” Egli, in quell’anno, incorre in un procedimento giudiziario per aver indebitamente venduto la legna di proprietà di un certo Nardari, “Cursore” del Municipio di Lancenigo; sempre in quell’anno il Regio Tribunale Criminale di Treviso riscontra alcune irregolarità nella gestione di Rosa Benedosso, “Ostessa alla Cadena di Treviso” e moglie del Bellotto. vendemmiare al più presto essendo l’uva matura. I1 suo vigneto era posto a Catena lungo la “Strada Regia” (Postumia) e quindi “... molto esposta a riflessibili danni tanto da quei abitanti, quanto dai passeggieri che passano da Treviso a Conegliano, di modo che lasciando l’uva sino al 20 Settembre ... come prescrive il decreto, non si troverebbe più niente . . . “. AST, Com., B. 850. - 1807, novembre 28: “... fermato dalla nostra pattuglia sulla strada della Catena certo Osvaldo Brunello di Fontanafredda, senza alcun recapito e disse di pervenire dalla medesima ... diretto per Mestre...”. AST, Com., B. 851. Ecco di seguito alcuni accadimenti significativi per la storia di questa osteria: - 1807, ottobre, 7: “ Jeri alle 6 circa pomeridiane ci venne rifferito che nella strada di - 1806: Gio. Batta Nardari, Cursore del Lancenigo che conduce alla Cadena morì Municipio di Lancenigo informa la polizia improvvisamente una femina passagera ... è Dipartimentale che “Giuseppe Bellotto, stata riconosciuta per certa Angela Cadorin, attual oste alla Catena, Colmello di moglie di Lorenzo Madelon dimorante in Lancenigo “ è creditore nei suoi confronti Spresiano...”. di trenta lire Venete per legname di sua pro- AST, Com., B. 851. prietà: legname che il Bellotto aveva venduto senza restituirgli il relativo ricavato. - 1808, gennato, 23: “Giuseppe Bellotto, AST, Com., B. 850. Oste alla Cadena ... ricerca la permissione di poter ne’ giorni festivi far sonare, e ballare - 1806, ottobre, 14: La Municipalità di nella di lui Osteria...”. AST, Com., B. 851. Lancenigo, “... fatta li 13 corrente la sopraveglianza alli posti Vendibili pane, Cadena e Limbraga, rilevate n° 25 ‘chioppe’ calanti (di peso) once 62, somministrato da Gio. Batta - 1807, settembre: Giuseppe Stefler, “lavorante di Canepe” chiede permesso di poter Nella foto a fianco:49 In questa immagine degli anni ‘60 si può osservare come il corpo dell’edificio adibito ad osteria sia molto più basso degli altri attigui. Questo ne denota l’antichità, confermata dalle carte d’archivio. Si osserva l’insegna della ditta Silver Caffè, l’insegna dell’osteria con la scritta “Ai Bocia del ‘24. Trattoria-Da Coppi”. Due antiquate automobili Fiat, una ‘500 ed una 127 sono parcheggiate all’ingresso dell’osteria in attesa che i proprietari terminino la sosta ristoratrice. L’ANTICA OSTERIA “DA COPPI” 60 61 L’antica Osteria-Da Coppi ai nostri giorni. CATENA DI UN TEMPO Ricorda Carlo:” ...Catena un tempo era molto diversa da oggi: qui ad esempio dove abito io un tempo non c'era nulla, qualche fossetto, qualche brolo, la strada era bianca, ci passavano solo alcuni cariotti e le pecore, pochi passanti: ricordo che ad un certo punto iniziò a passare il fornaio Jelmo Gagno da Visnadello che aveva il forno a Lovadina e ricordo che passava di casa in casa in bicicletta con una grande cesta di pane sul davanti. Così faceva anche il fornaio Schiavon, detto "Paneto" da Castrette. Allora “campaneri” a Catena erano Ippolito e Roma Bettiol ai tempi di Don Angelo, poi anche Aldo Corazzin.” Nelle foto della pagina a fianco: in alto-104: Anni ‘60. Gruppo di amici all’Osteria da Coppi a Catena assistono divertiti all’esibizione di due sfidanti a “braccio di ferro”, classica sfida d'osteria. Dell'osteria si intravedono i tavoli e entro la finestra il gioco del calcio Balilla. Si notano: secondo da sin. Avio Zuccarel; il fisarmonicista era un ragazzo proveniente da Maserada e a fianco del fisarmonicista, da seduto, “Petoea” Alessandro Poletto che possedeva una motocicletta Motom con la quale transitava ad alta velocità per il paese. Era meccanico alla Cartiera Marsoni. Al centro, con la cravatta, Carlo Pinarello, sulla sua sinistra, pure lui incravattato, c’è Silvano Zambonetto, dietro di lui Gino Bardin. In basso-124: Anni ‘60. All’Osteria da Coppi a Catena si esibisce un fisarmonicista, un ragazzo proveniente da Maserada . 62 63 IL PRIMO DISTRIBUTORE DEL PAESE In questa foto storica di Catena di Villorba risalente agli anni ‘60 si può osservare l’Osteri ra. Più in là si nota l’altra tettoia, quella del Molino Curtolo operante già agli inizi del secol ra molto trafficata. La siepe in primo piano sulla destra ed il ciglio erboso, ci indicano che a tempi. Ricorda Carlo Pinarello:”Questa strada venne asfaltata nel 1955-1956 ed il nostro di di sono già 50 anni che esiste. Prima vendevamo la miscela in bottiglie: “na volta Toni Se de bea...”, ci era caduta per terra della benzina e lui incitò uno dei presenti a gettare per te Questi gettò il cerino per terra e subito la benzina si incendiò. Per fortuna fui pronto a spe fiamme, ...podeva saltar tuto par aria. ...alla fine del '55 o inizi del '56 il Prefetto di Trevi re la prima cisterna da 3000 litri. Durante la crisi petrolifera del 1973-74 venivano a riforn chè qui la benzina non è mai mancata. In quel periodo la Finanza ci fece dei controlli per na, come allora praticavano molti gestori di distributori ma, aggiunge, qui le malefatte non tiglia di vino ma il finanziere non accettò e aggiunse che l'avrebbe accettata solo dopo i co ra della benzina. Quando tornarono accettarono la bottiglia. Il nostro distributore credo sia lo di Anoè Marotto. Qui da noi da allora iniziarono a passare tutti i tipi di motorini che andav i Paglianti della Ceccato ecc. ia Da Coppi con la tradizionale tettoia in lamieo ed ancora in attività. Via Marconi era già alloancora doveva arrivare l’arredo urbano dei nostri istributore è stato installato proprio allora, quinerafin, so pare de Cicci Schileo ne combinò una erra un fiammifero per vedere se bruciava. egnerlo con i piedi calpestando furiosamente le iso con un suo Decreto ci autorizzò ad installanirsi qui anche da Santa Maria del Rovere, pervedere se mettevamo del kerosene nella benzihanno mai attecchito”. Carlo offrì loro una botontrolli, dopo aver visto l'esito della provinatua stato il primo del paese, prima ancora di quelvano per la maggiore negli anni '50, i Mosquito, 64 65 IL PAESE DI CATENA NEL SETTECENTO el ‘600, lungo via Marconi, a circa metà strada tra la Postumia e via Talponi, sorgeva una grande casa dominicale con annessi rustici (stalla, tezze, abitazioni per coloni), un ampio cortile e, per accedervi dalla strada, un gran portale d’ingresso. Staccata dagli altro edifici vi era un’altra casa dominicale. La Catena del ‘600 era tutta quì : l’insieme di edifici lo ritroviamo quasi identico nel ‘700, raggruppato più o meno tra l’attuale DaCoppi e l’osteria Galiazzo, anche se allora la proprietà era divisa in più parti. Da nord verso sud queste erano le proprietà che si incontravano nel ‘700: “Gregorio Liberai da Villorba ha terra APV con casa da coloni murata, coperta di coppi, in loco detto ‘alla Cadena’. Affittuale è Antonio Spagnol” .Vi era poi la proprietà dell’Illustrissimo Gio. Marco e dei fratelli Rizzi i quali avevano qui “. . . una casetta murata coperta di coppi . . . “. Pietro Loredan, qm. Nicola, aveva “. . . una casa dominical murata, coperta di coppi, con horto et suo cortivo...” e la lavorava per conto proprio. Dopo il Loredan vi era la proprietà del sig. Marco Fossadori da Treviso il quale possedeva “terra APVcon casa colonica murata, coperta di coppi et suo cortivo in loco detto alla Cadena. Tenuto da Zammaria Zamperoni”. Vicino vi era ancora un Loredan, Andrea, il quale possedeva “. . . un pezzo di terra APV e Broliva con una casa dominical per sua abitazione, locco detto ‘la Cadena’ et tenuta per suo uso et habitazion. . .” Si trattava in tutto di quattro abitazioni, magari con qualche stalla e pagliaio, ma nient’altro. Catena compirà un vero sviluppo edilizio durante il corso del ‘700: è così che troviamo nel 1806 ben 16 case ed un oratorio N privato. Tra gli edifici vi erano compresi due stabili ad uso di bottega, probabilmente osterie, visto che si trovavano su una strada di grande traffico. Da nord a sud si incontravano le seguenti proprietà: anzitutto vi era la “casa da masaro “ del sig. Andrea Schileo. Questa doveva essere la prima casa che si incontrava sulla destra proveniendo dalla Postumia: il sig. Schileo qui possedeva anche un orto e un terreno tenuto a viti. Vi erano poi due case “da massaro” del sig. Alessandro Scarparo qm. Domenico, quindi la casa da massaro di Gasparo Moro qm. Gasparo, poi quella di Giacomo Spineda qm. Marc’Antonio e le due case ‘da massaro’ di Angelo Basso qm. Gio. Battista. Subito dopo si trovano le due case “da massaro“ di Angelo Schileo qm. Francesco, poi la casa di propria abitazione di Antonio Schileo qm. Francesco che qui teneva anche Bottega per “proprio uso”. Dopo di questa bottega vi era la bottega di Andrea Schileo qm. Francesco. Veniva poi la casa per “proprio uso” di un altro Schileo, Giuseppe qm. Francesco. Quindi era la volta del Sig. Giovanni Salvadori qm. Antonio che qui possedeva la sua casa di abitazione ed un oratorio privato. Infine il Sig. Giacomo Spineda qm. Marc’Antonio, che vi possedeva un casa d’affitto. Va sottolineato come ben otto edifici su 16 fossero proprietà dei fratelli Schileo, figli di Francesco; costoro possedevano tra questi edifici anche le uniche due botteghe nelle quali probabilmente si teneva osteria. Dal ‘700 in avanti le troveremo infatti sempre ricordate a Catena: nel 1806 qui era oste il sig. Giuseppe Bellotto ed anche Andrea Benedosso con la moglie Rosa. Oggi il Borgo di Catena ha subito enormi 66 Nella mappa qui sopra si nota la struttura viaria di Catena di Villorba nel corso del ‘700. L’unico insediamento, il più antico dunque, era quello dove si trova ora l’Osteria da Coppi e l’antica “Cal dee Roe”.408 modifiche: sono state abbattute vecchie fieno: ora è murato ma testimonia ancora case, costruiti condomini, ecc. l’antichità del luogo. Presso il mulino Curtolo rimane però un antico arco, di notevole altezza proprio per lasciar passare i carri sovraccarichi di 67 ANTICHE VILLE E RUSTICI DI CATENA VILLA MANERA “Armenter”era praticamente la prima ora sede di “FABRICA” della Benetton casa che si incontrava provenendo dal Piave ed entrando in Catena. Nel ‘500 Nel ‘700 questa villa era costituita da questa casa appare struttuata con un solo una casa dominicale dal fabbricato leg- arco, come oggi: poco lontano appare germente piú alto di un edificio adiacen- rappresentato un casone con due ingreste, probabilmente la parte destinata alla si. La località è definita “Ala Campagna stalla e “tezza”. Nell’estimo relativo tro- de Lanzenigo” o “alla Cadena”. Quelle viamo riportato: “Iseppo Zanetti, Pittor, terre allora erano del sig Zuanne de fu del qm. sig. Antonio da Venetia, ha l’Anello, mentre sopra la casa colonica una casa domenical ... tenuta da Zuanne vi è la scritta: “dei Caselati”. Nel ‘600 Castellan ...”. compare, oltre alle due case degli Nei primi anni dell’800 a questo corpo “Armenter”, anche la casa attualmente originario si sono aggiunti numerosi altri proprietà Casagrande. Nel ‘700 la casa edifici ad uso di stalla, granai e “tezze” “Armenter” appare immutata nell’estimo nonché abitazioni per coloni. Si trova e viene cosí descritta: “il N.H. Polo scritto nella mappa del 1806: “alle case Querini Procurator ha una . . . casa da dell’Aperle”: cosí veniva chiamata la coloni di muro coperta de coppi, locco località, allora infatti la proprietà era di detto la Campagna di Sopra. Allora la “Aperle Mario qm. Gio. Battista . . . “ e casa colonica era tenuta da Antonio gli edifici comprendevano una “casa da Trevisin. villeggiatura con Oratorio privato, Brolo, L’altra casa Armenter, presso quella dei orto, prato arativo e due case da massaro Casagrande, nel ‘700 era di proprietà del ...”. sig. Francesco Rodeta da Venetia e si scrive nell’estimo che si tratta di “ . . una CASE ARMENTER casa da muro coperta parte a coppi parte a paglia, locco detto “di sopra la Questa antichissima casa colonica, che Postuoma, tenuta da Zuanne Zambon ...” ha mantenuto praticamente inalterata la sua struttura originaria, è stata proprietà CASA CASAGRANDE dell’ex-Sindaco del Comune di Villorba, il Sig. Luciano Durigon. Proprietari da La casa dei Casagrande viene descritta innumerevoli generazioni di questa casa come proprietà del N. H. Gasparo colonica, e di un’altra, che sorge dirim- Lombria il quale, si scrive, “. . . ha una petto alla prima, i Durigon vennero casa di muro coperta di coppi locco detto soprannominati già nei secoli scorsi di sopra la Postuoma terra e casa tenuti “Armenter”, dal nome della importantis- da Girolamo Mion ...”. Casa “Armenter” sima via di transito che vi passa a fianco, nel 1806 era proprietà del sig. Zanetti appunto via Armenter, come si chiamava Giuseppe qm. Domenico e viene definita un tempo. Oggi è via Borgo: presso casa “Casa da Massaro”. “Armenter” questa via incontra l’altra L’altra casa “Armenter’, presso i importantissima via Marconi. Lungo Casagrande, era invece proprietà del sig. queste due strade si snodava un tempo Battistella qm. Nicola ed è annotata tutto il traffico dei commercianti, vian- come “Casa d’affitto”. L’abitazione danti e pastori che si dirigevano a attuale dei Casagrande a quel tempo era Lovadina a guadare il Piave. Casa proprietà del sig Casellati Lorenzo qm 68 Catena di Villorba nella Mappa del Catasto Napoleonico Egidio ed era una “Casa da Massaro “. Di fronte alla casa “Armenter”vi era in quell’epoca un altro edificio ora non piú esistente: probabilmente si trattava di fienili e granai. Oggi la casa dei Casagrande ha subito notevoli ristrutturazioni: le case “Armenter” sono invece rimaste immutate, con le loro stalle, terre e granai, anche se un po’ cadenti. La famiglia Durigon è molto probabile risiedesse qui già da secoli, visto il soprannome di “Armenter”: come in altri casi le famiglie di coloni si succedevano nei fondi da loro lavorati, per tempi lunghissimi. 69 POVERTA’ E SOTTOSVILUPPO A VILLORBA NEL PRIMO DOPOGUERRA ome detto in altra parte del presente lavoro, Carlo Pinarello esce dalla seconda guerra mondiale duramente provato dalla povertà generale, all’interno della quale però la sua famiglia si trovava ad occupare una delle peggiori condizioni . La povertà della sua famiglia era davvero grande. Ma anche gli altri compaesani non vivevano in condizioni agiate, come si può osservare dalla comparazione dei dati sottoriportati. Si era in presenza di abitazioni che non conoscevano ancora il bagno interno: come abbiamo potuto osservare nella fotografia della “Cal dee C Roe” il gabinetto, il“cesso”, era esterno, non c’era l’acqua corrente dentro le case, l’illuminazione veniva fornita ancora dai lumi a petrolio. Spesso le abitazioni non avevano neppure il pavimento ma terra battuta o, al massimo, una fila di mattoni sconnessi poggiati sul terreno. Le case poi erano malamente riscaldate da cucine economiche che venivano accese solo per il tempo necessario alla cottura dei cibi: infatti, testimonia Carlo Pinarello, trovare della legna da ardere era una vera impresa e soldi per acquistarne non ce n’erano. Pochissimi ragazzi allora terminavano l’intero ciclo delle Scuole Elementari. “LE NOSTRE GRANDI CAMPANE» GARA TRA LANCENIGO E VILLORBA” Villorba il campanilismo vive ancora nelle persone di una certa età e negli anziani che hanno vissuto il tempo in cui essere di un’altra frazione voleva dire essere diversi ed il campanilismo si estrinsecava un tempo anche in violenze, baruffe e sassaiole tra gente di frazioni diverse. Nel 1806 a farne le spese suo malgrado è uno di Villorba, tale Paolo Donadi. Sta percorrendo la Postumia a piedi di notte quando, giunto all’altezza di Catena, viene aggredito e bastonato di santa ragione. Con la testa insanguinata il Donadi riporterà gravi conseguenze. I due aggressori individuati risultano essere ambedue di Catena. Il termine “campanilismo” deriva dalla gara per avere il campanile più alto e svettante che la vincesse sugli altri. Dove non arrivava l’altezza però poteva arrivare il suono limpido delle campane: ecco allora anche la corsa alle campane fuse in leghe dall’alta percentuale di argento. Nel villorbese questa rivalità si sviluppò soprattutto tra la frazione di Villorba centro e quella di Lancenigo. Il campanile di Villorba nel ‘700 era definito dal parroco un “casoto de legno”, ma nel 1810 venne invece ricostruito in pietra e altissimo, su progetto di Francesco Zambon. Per arrivare alla sua costruzione i parrocchiani dovettero autotassarsi a più riprese: nella cella campanaria vennero collocate le campane del preesistente campanile di legno. Del campanile i villorbesi sono sempre stati orgogliosi, ma alcuni furbescamente prima diedero il contributo al parroco, poi nottetempo, se lo ripresero: infatti durante la costruzione del campanile un gruppo di villorbesi si recò a fianco della chiesa armato di secchi e badili. Rubarono così ben 40 ‘mastelli’ dalla buca A 70 della calce che doveva servire alla costruzione del campanile. A Lancenigo mal soffrivano ovviamente nel vedere questo svettante campanile: possiamo immaginare gli «sfottò» nelle osterie alla domenica. Lancenigo, come Villorba, nel ‘700 ha solo un casotto di legno per campanile: durante 1’800 verrà costruito in pietra ma finendo a poca altezza, a forma di torre, come quello di Carbonera. Il massimo della sfida nella gara con Villorba venne raggiunto nella ricerca di campane migliori: eccone la versione data da un parroco di epoca successiva, don Gasparini. «Nel 1903 furono acquistate dalla ditta Volpattini di Bassano le tre campane in ‘mi’ ‘re’, ‘do’ naturali, sostituite alle vecchie pur buone. La spesa totale raggiunse le 14 mila lire (...) raccolte con grande sforzo e sacrificio dalla popolazione che si era autotassata di una data quota per famiglia da raccogliersi a rate successive. Ma di campane nuove non c’era affatto bisogno: fu un puro capriccio, si volle per alcuni gareggiare con Villorba che qualche anno prima aveva inaugurato le sue più grandi di queste». Ma le campane di Lancenigo erano sproporzionatamente grandi e nella cella campanaria non ci stavano: era una fatica enorme suonarle e si dovettero collocare su cuscinetti a sfera, con altre spese per migliaia di lire. Ci penseranno poi i soldati italiani, durante la prima guerra mondiale, a fare il resto: la cella campanaria viene infatti utìlizzata come osservatorio militare e vi si costruì un vero e proprio alloggio danneggiando campanile ed orologio. Da un articolo di Adriano Favaro in La Tribuna di Treviso del 15.12.1989 71 Due antiche case di Catena di Villorba in una foto recente. Della prima ammiriamo l’antica fattura, la piccola edicola posta in alto tra i balconi, forse un ex-voto dell’antico proprietario. Della seconda osserviamo invece la curiosa merlatura che la fa sembrare un po’ “castello medievale”: Carlo Pinarello ricorda come dall’interno di questa abitazione parta una galleria che attraversa la strada, sotto terra, per sbucare nella casa di fronte. Un misterioso cunicolo forse medievale. Tutte e due le abitazioni sono poste all’incrocio di via Marconi con via Monte Grappa, che conduce al Borgo di Lancenigo. 72 Nella foto qui sopra: La filanda Antonini del Borgo di Lancenigo alla fine dell’800, posta a pochi passi dalla casa natale di Carlo Pinarello, dava lavoro a decine e decine di donne. Sotto: Uno dei grandi carri da trasporto che Carlo Pinarello ricorda transitare ininterrottamente da Lovadina lungo via Marconi e diretti a Treviso per scaricare materiali al Porto di Fiera Allora si trasportava ghiaia del Piave verso Treviso ed anche verso Venezia; in quei tempi una grande famiglia di “carioti” era quella dei De Santi da Lovadina che “i pasava tuto el giorno par Caena col bareon grando” per trasportare anche loro ghiaia verso Treviso e Venezia. 73 L’ANTICO MOLINO CURTOLO In queste pagine l’antico molino Curtolo risalente alla fine dell’800. Tutti i paesani di Catena, Lancenigo, Villorba, per generazioni si sono recati in questo molino per macinare grano e frumento o per acquistarvi le farine. Il molino è miracolosamente ancora attivo con i suoi antiquati meccanismi. Sono ancora attivi all’interno la macina e tramoggia marcate “Werstarsa-Budapest 1895 ed altri meccanismi marcati Officine Meccaniche Rossi Romeo di Treviso. Su una macchina rimane ancora l’immagi- 74 ne di Padre Pio incollatavi dall’anziano proprietario recentemente scomparso. Tutto biancheggia di farine. Alle pareti setacci (“tamisi”) ed altri strumenti di lavoro del mugnaio. Un cartello avvisa:”Si ringrazia anticipatamente, qui si vende solo in contanti” e “qui si comperano pannocchie”. Sembra che il tempo si sia fermato in questo antiquato molino. 75 Nelle due foto di questa pagina, risalenti agli anni ‘80, due diversi momenti dei lavori del sottopasso di via Marconi a Catena. Qui sopra si nota ancora il vecchio passaggio a livello che ne permetteva l’attraversamento a raso. Sotto il sottopasso è già completato: cambierà per sempre le abitudini dei paesani, rendendo scorrevole il traffico sulla Postumia ma causando anche perdite di vita umane per attraversarla . Il territorio di Catena di Villorba in una mappa del 1941 76 77 UN PERSONAGGIO INDIMENTICABILE DI CATENA “LOLE CAPEET” 78 Una figura “mitica” per la storia di Catena di Villorba: Giovanni Cappelletto detto “Lole", classe 1899. Ricordato da Carlo Pinarello nei suoi racconti, di professione faceva l’accompagnatore di mucche contrabbandate. Abitava in "Cal dee Roe" a Catena, dirimpetto quindi a quello che divenne poi l’officina-distributore di Carlo Pinarello.. Foto del 1955 79 PERSONAGGI INDIMENTICABILI DI CATENA LA MAESTRA ASSUNTA BASSAN Ricorda Carlo Pinarello: ”Andai a scuola a Catena e la scuola era posta prima della ferrovia a fianco della chiesa vecchia e avevo come maestra Assunta Bassan in Berizzi figlia di Cesare Michieli: suo padre aveva l'osteria vicino alla villa di Mario del Monaco. Con lei feci due o tre anni di scuola. “ La Maestra Bassan e Carlo Pinarello. In alto Giovanni “Nani” Pinarello 80 A sin. Pietro Coracin carabiniere La Maestra Assunta Bassan e Carlo Pinarello. A destra Arturo Lazzari dell’Aviazione, Presidente dei Bocia del ‘24. La Maestra Assunta Bassan festeggiata dai suoi ex-allievi 81 PERSONAGGI INDIMENTICABILI: IL CAVALIERE DI VITTORIO VENETO EMILIO ROVEDA Il “Ragazzo del ‘99” e Cavaliere di Vittorio Veneto Emilio Roveda era un po’ il simbolo del paese, per tutti coloro che hanno a cuore la storia della nostra Patria, perchè Emilio Roveda ne rappresentava un pezzo: combattè durante la Prima Guerra Mondiale e all’età di 105 anni amava ancora declamare i versi dell’Inno al Suolo Italiano: aveva ancora una ferrea memoria. Carlo Pinarello nella sua veste di Bocia del ‘24 e di animatore di tante iniziative per gli ex-combattenti paesani, teneva stretti rapporti di amicizia con il Cav. Roveda e lo ricorda sempre con tanto affetto. PERSONAGGI INDIMENTICABILI: IL SINDACO MAESTRO LUCIANO DURIGON 82 Sopra:Il Maestro Luciano Durigon e Carlo Pinarello furono legati da profonda amicizia: qui vediamo appunto Durigon con Carlo Pinarello il giorno in cui, nella sua veste di Sindaco, gli conferì il Cavalierato della Repubblica. Ancor oggi Pinarello ricorda il Mestro come una figura insostituibile e afferma che ebbe un ruolo importante nello sviluppo economico e sociale di Catena di Villorba. “Se ci fosse qui ancora lui molte cose andrebbero meglio...era una grande persona e la sua mancanza si sente”, afferma con affetto, ogni volta che prende per le mani una sua fotografia. 83 PERSONAGGI INDIMENTICABILI: IL TENORE MARIO DEL MONACO ario Del Monaco fu cittadino di Lancenigo di Villorba e con i Pinarello strinse una amicizia franca e cordiale e lo testimoniano le numerose fotografie che lo ritraggono assieme alla famiglia Pinarello. Mario Del Monaco nasce a Firenze il 27 luglio 1915 da una famiglia della buona borghesia (il nonno materno era farmacista) con ascendenze nobiliari (la nonna paterna era la principessa palermitana Caterina Vanni di San Vincenzo). Fin dall'infanzia Mario subì l'influsso degli interessi musicali della famiglia. La madre Flora Giachetti, che egli definì "la mia prima musa", possedeva una bellissima voce. Il padre Ettore svolse per qualche tempo l'attività di critico musicale a New York. Dopo il trasferimento della famiglia a Cremona prima e a Tripoli poi per l'attività lavorativa del padre, i Del Monaco si stabilirono a Pesaro dove Mario, divenuto allievo del Maestro Arturo Melocchi, si diplomò al Conservatorio Rossini. Per il giovane tenore gli inizi furono molto M sofferti. Vinta nel 1936 una borsa di studio per un corso di perfezionamento al RealeTeatro dell'Opera di Roma, sarebbe incappato in una grave crisi vocale: infatti gli insegnanti, traditi dall'esile figura, diressero Mario verso un repertorio lirico leggero, riducendo la sua voce al punto di distruggerla. Mario, che intanto aveva conosciuto Rina Filippini, un giovane soprano compagna di studi, tornato a Pesaro dal Maestro Melocchi, ritrovò l'impostazione congeniale alla sua voce naturale. Durante la guerra Mario, che aveva indossato la divisa militare nel 1938, fino al 1943 prestò servizio come autiere prima a Milano poi a Treviso. I suoi studi da autodidatta secondo le indicazioni del Maestro Melocchi, non conobbero soste fino al debutto ufficiale avvenuto il 31dicembre 1940 al Teatro Puccini di Milano nel ruolo di Pinkerton. Il 21 giugno 1941 il giovane Mario sposa Rina, che rimarrà la sua compagna inseparabile ed ascoltata consigliera per tutta la vita. Il matrimonio di Mario ebbe luogo nella cappella privata di Villa Luisa a Lancenigo. Dal matrimonio nacquero due figli: Giancarlo e Claudio. Spesso si crede che i grandi artisti siano personaggi mitici, ma non bisogna dimenticare che in fondo sono uomini dei quali il talento esalta le caratteristiche ed acuisce la sensibilità. E Mario Del Monaco è stato, in quest'ottica, un artista con la "A" maiuscola per il quale le esperienze della vita comune, e le vicissitudini giornaliere, sono stati elementi che egli ha saputo trasferire sulla scena dando vita e credibilità psicologica ai suoi personaggi in cui il pubblico di tutto il mondo si è riconosciuto.Dotato di un carattere volitivo ha saputo affrontare e sublimare i momenti di sofferenza dai quali non è immune la vita di nessun uomo. Con indomita volontà Del Monaco ha superato il trauma umano ed artistico provocato dal grave incidente stradale di cui rimase vittima nel 1963 in cui rischiò seriamente la vita e la carriera. Oltre che dalle attenzioni della moglie, dei figli e dei genitori potè attingere forza dall'affetto dei fratelli, Marcello (direttore didattico e maestro di canto) e Alberto. In grado di confrontarsi con le esperienze vissute, Del Monaco è entrato nella storia del melodramma, come il tenore che ha saputo trasmettere quella sofferenza e quella gioia che solo un vero artista è in grado di trasmettere. Non senza qualche critica per presunti "eccessi di verismo". In realtà egli, interprete umano, generoso, espressivo e comunicativo, spesso con un'intensità che non trova eguali tra i tenori della sua epoca, ha saputo "inventare" un nuovo modo di porgere il canto, un modo moderno e innovativo. Memorabili sono i suoi fraseggi scolpiti, il suo declamato formidabile, reso possibile dalla voce possente, bronzea con colori che sfumavano 84 verso un metallo ancor più prezioso, l'oro puro, che sgorgava a fiumi per riempire, non solo i teatri, ma anche l'anima dell'ascoltatore. Di qui il rapimento del pubblico infallibilmente soggiogato e trascinato dalla sua magnifica voce fino allo straniamento. Una voce sostenuta da fiati interminabili e governata da un controllo magistrale dell'organo vocale che gli consentiva di passare dall'acuto possente alla calibrata mezza voce. Il tutto con un rispetto allora nuovo per il dettato musicale. Mario del Monaco con i Pinarello, anni '60. Siamo a Catena, di fronte alla prima officina della Cicli Pinarello. Nella fotografia compaiono anche i lavoratori che operavano a quel tempo all’interno dell’officina. A sin. Carlo Pinarello con la moglie Elsa Torresan. A destra di Mario del Monaco, Nani Pinarello e consorte. Mario Del Monaco fu cliente affezionato ed amico dei Pinarello, e presso di loro sceglieva le biciclette con cura particolare. 85 IL TENORE MARIO DEL MONACO Mario Del Monaco strinse amicizia con i Pinarello: qui cavalca una motocicletta nuova fiammante. Siamo nel 1962, a Catena di Villorba, di fronte all’officina dei Pinarello. Attorno a lui i fratelli Nani e Carlo Pinarello con le mogli e Augusto Gattel, un operaio dell’officina di biciclette. Questa fotografia ci consente di gettare uno sguardo d’insieme sul mondo lavorativo dei Pinarello negli anni ‘60. Si scorgono numerosi motocicli e bombole di gas che facevano parte della loro attività commerciale. Alle spalle di Nani si può osservare la FIAT Seicento dei Pinarello che porta sul tetto uno dei primi frigoriferi dei quali iniziavano le richieste da parte dei clienti. Il bambino a destra è il figlio di Carlo, Paolo Pinarello, attuale gestore dell’officina di Catena. 86 87 NASCE LA MITICA BICI PINARELLO NANI ED IO INIZIAMMO A RIPARARE BICICLETTE Racconta Carlo Pinarello: “Arrivati all'età di dieci o dodici anni dei cugini più anziani di noi ci insegnarono a riparare le biciclette e così quando Nani ebbe diciotto anni ed io sedici abbiamo aperto la prima officina di riparazioni di biciclette in una stanzetta da Bepi Girotto. Là vicino c'era il forno del pane con quattro operai, Leli Schileo, bravo cantante, Puci Pavan, Santo Stival e Gildo “Paneto” Schiavon: questi uomini ci volevano bene ed ogni mezz'ora o più, per un buco della rete metallica di recinzione, ci passavano una "ciopa" di pane caldo: Nani ed io ce la dividevamo e così mangiavamo. QUANDO NON C'ERANO COPERTONI Con la guerra Catena era continuamente bombardata, essendo tutta costruita lungo la linea della ferrovia allora presa di mira dai bombardieri americani. Così tutta la mia famiglia andò profuga nel Borgo di Lancenigo, nella casa di Campion di fronte alla casa dei Fiorotto. Qui iniziammo a lavorare sotto il porticato di nostro "santolo" Vittorio Pinarello: il nostro lavoro riguardava sempre le biciclette. In quel tempo non c'erano copertoni per le biciclette, così noi ci inventammo qualcosa di sostitutivo: saldavamo ai cerchioni delle ruote dei cerchi di ferro, poi cucivamo attorno alla circonferenza un sandwich di tela che all'interno conteneva uno strato di gomma derivante dalle camere d'aria utilizzate dalle auto. Era un buon sistema e tutti acquistavano le nostre coperture che erano essenziali per poter girare in bicicletta soprattutto per andare al lavoro percorrendo le strade dissestate di allora. Poi arrivò il 25 aprile 1945 quando avvenne il bombardamento di casa nostra dove eravamo sfollati, al Borgo di Lancenigo: per la nostra famiglia il bombardamento, la morte ed il ferimento dei nostri familiari fu un momento critico, eravamo senza casa, senza nulla, ma un po' alla volta ricominciammo a lavorare, costruendo telai sport e da corsa e così nel 1951 nacque la prima nostra fabbrica ed anche la bicicletta Pinarello, oggi qualificata la migliore del mondo e andammo avanti a pieno ritmo a lavorare fino alla depressione organica, tanto che nel 1956 dovettero ricoverarmi diversi giorni, non ricordo neppure quanti fossero. Nel 1953 mi sposai e l'anno successivo venimmo ad abitare nella casa qui di fronte, (la casa di Aldo Corassin). Con grandi sacrifici siamo riusciti a comprarla: qui di fronte c'erano 500 metri di terreno fabbricabile, abbiamo fatto un ponticello di traversine della ferrovia per passare il fosso, ma quello che ancora mancava ancora era l'officina vera e propria. Per costruircela cominciammo allora a fare i blocchi di cemento con lo stampo, uno alla volta: al mattino costruivamo blocchi di cemento ed al pomeriggio si lavorava di biciclette. Fatta l'officina, anche se non molto grande e rifatto il ponte in cemento, da quel momento tutti i nostri guadagni furono destinati solo alla costruzione di mura e della terrazza dove ora c'è l'ufficio: prima al suo posto c'era la vecchia cucina. Così da quel momento in poi il guadagno che ci procurava il nostro lavoro andava 88 Negozio Pinarello a Treviso. Si distinguono Bartali e Carlo Pinarello. Anno 1953. Nani nel 1952 smette di correre ed apre in piazza del Grano a Treviso un suo negozio di bici. solo a noi e nostra madre: di anno in anno aumentavano le vendite ed il lavoro e da quel periodo potemmo iniziare a costruire stanze e stanzini e magazzini per lavorare. Il marchio della Cicli Pinarello dei primi tempi. Come da tradizione, questa borchia veniva fissata sulla parte anteriore del telaio 89 LA STORIA DI GIOVANNI “NANI” PINARELLO GIOVANNI PINARELLO nasce a Lancenigo di Villorba nel 1922, ottavo di dodici fratelli. La vita in questo periodo non è certo facile: la famiglia non benestante e le due guerre mondiali oltretutto, hanno condizionato la vita di questa, come peraltro quella di tantissime altre famiglie del Veneto contadino. Nonostante l´indigenza di quegli anni, Giovanni scopre fin da giovane la passione per le due ruote, e prendendo a prestito gran parte del materiale, inizia a gareggiare all´età di diciassette anni nelle categorie minori. I risultati non tardano ad arrivare e dopo aver collezionato oltre 60 successi nella categoria dilettantistica, passa al professionismo nel 1947. Correrà con i professionisti fino al 1953, aggiudicandosi 5 corse. La Pinarello nasce per opera di Giovanni Pinarello alla fine degli anni Quaranta a Catena di Villorba. Giovanni, comunque, apprende i primi rudimenti come costruttore di bici già prima della guerra, poco più che quindicenne, presso la ditta Paglianti e nella sua Catena, a casa propria, quando ancora gareggiava. Già nel 1922, infatti, suo cugino Alessandro aveva iniziato, in una piccola officina, a costruire biciclette, come dimostra la Medaglia d´Oro ed il Diploma di Partecipazione alla Fiera di Milano del 1925. Durante questi anni Pinarello assieme a pochi altri collaboratori comincia anch´egli a fabbricare biciclette: inizialmente si costruiscono e vendono soprattutto bici sportive e da città, sia per uomo che per donna, mentre le bici da corsa restano ancora per pochi appassionati e ciclisti di professione della zona. I telai grezzi sportivi e per bici da città, per la maggior parte vengono costruiti all'interno dell´officina, mentre quelli da corsa derivano prevalentemente da esperti costruttori esterni. I pezzi vengono verniciati ed assemblati in un vecchio magazzino nella casa di famiglia fuori Treviso. Si tratta di una produzione totalmente artigianale e che quindi non permette di fare grandi numeri. L´intento è già quello di dare una immagine al prodotto ben definita e di collocarlo in un segmento elevato. Nel 1952 si presenta l´occasione di poter cominciare la propria nuova attività commerciale ed artigianale in Treviso. Infatti in quell'anno Giovanni deve rinunciare, all´ultimo momento, alla partecipazione al Giro d´Italia per lasciare il posto all´emergente Pasqualino Fornara. La rinuncia è ovviamente forzata, ma viene ripagato dalla Bottecchia (società per la quale correva come professionista), con 100.000 lire, somma ingente per quei tempi che gli consente di avviare, appunto, il primo negozio a Treviso. Nel negozio preso in affitto, Pinarello riesce a trovare il posto giusto per piazzare i propri prodotti: all´interno della bottega si vendono principalmente bici Pinarello, ma non mancano anche marche differenti ed una vasta serie di accessori e componenti; presto diventerà uno dei negozi più importanti della provincia. Comunque l´attività trova il suo sviluppo naturale attorno alla produzione e commercializzazione delle biciclette. Fin dall´inizio il negozio diventa punto di ritrovo per tutti gli appassionati di ciclismo: la fama che Giovanni aveva saputo conquistarsi sul campo come ciclista, fa si che anche come costruttore venga apprezzato dalla clientela più esigente. Nel periodo del boom economico del dopoguerra, anche il nome della casa trevigiana comincia ad acquisire una certa notorietà nel campo delle due ruote e Pinarello intuisce che è il momento di entrare nel mondo delle sponsorizzazioni. Inizialmente affianca pubblicitariamente piccole squadre che si trovano in provincia, o meglio, cerca di aiutarle in qualche modo fornendo loro i mezzi per correre. La prima squadra che partecipa ad una gara nazionale con la bici Pinarello è la società Padovani e l´anno è il 1957. Da allora comincia la collaborazione con i gruppi sportivi che diventano il veicolo promozionale più importante per l´azienda. Nel 1960 viene sponsorizzata la prima squadra professionistica, si tratta della società Mainetti che annovera tra i suoi atleti numerosi campioni dell´epoca. Ma il primo grosso successo a livello professionistico risale al 1966 ed è la vittoria al Tour de l´Avenir in Francia per merito di Guido de Rosso. Si tratta della prima vittoria in campo internazionale e per questo rappresenta il vero debutto della casa trevigiana nel mondo del ciclismo professionistico. Successivamente gli abbinamenti con altre squadre professionistiche vincenti fanno conoscere il nome della casa trevigiana in tutto il mondo. 90 Sopra e a fianco due diversi momenti della carriera ciclistica di Giovanni Pinarello. La famosa Maglia Nera ingaggiava strenue battaglie pur di arrivare ultima: infatti all’ultimo arrivato era garantito per certo un buon compenso che un ciclista magari giunto nel gruppo di testa non percepiva. Il denaro così guadagnato veniva immediatamente spedito a casa per aiutare la famiglia. 91 I CORRIDORI DI CONTRADA "PINARELLO, LA MAGLIA NERA È DIVENTATO UN ARTISTA..." -DALLA "TANA" DI DURANTE AL NEGOZIO DI ZANIN- Giovanni Pinarello in una foto rèclame della ditta Stucchi Da " La Gazzetta dello Sport"- 7 gennaio 1965 ornato a Catena di Villorba, all'officina di Nani Pinarello, dove gli operai hanno appena finito di lavorare, si va a bere all'osteria di fronte. Sono patiti per la bici, questi operai, ragazzi orgogliosi della loro passione e consapevoli della loro vita e anche della loro posizione e privilegio. "Non c'è corridore veneto che non venga da noi, da Pinarello per la bici, perchè lui ha un occhio..." mi dicono Tonon Giuseppe, "coridor" domenicale, uno che la bici la può mettere insieme a occhi chiusi, , Piovesan Angelo, elice come la luna, Campion Romeo, il dirigente sportivo del gruppo cicloturistico, una società tra sportiva e gastronomica che T ama prolungare i piaceri della domenica sino alle quattro del lunedì mattina. Mi raccontano che i Pinarello "andavano in limosina" nel paese, facevano piccole riparazioni, svelti, servizievoli, poi sempre qualcosa di più e di meglio. E dopo la guerra Pinarello, il Nani, ha pensato di formare un'officina con tutta l'esperienza che aveva di maglia nera del Giro. "Vede el coridor el studia la bici par elo" mi raccontano. Verso la una Nani arriva da Treviso in "seicento", insieme con la moglie. Un giovanotto di età indefinibile, pare. Mi riporta a vedere l'officina e mi trattiene a colazione nella sua casa che fa corpo con l'officina stessa. Schietto, intelligente, la faccia magra e agra del piccolo commerciante, abile, forse 92 Giovanni “Nani “ Pinarello con alcuni compagni in allenamento con in fondo in fondo l'amarezza di non essere stato il corridore che aveva sognato di diventare, mi introduce nella sua casa ariosa, moderna: la moglie, una donnna piacente, opulenta, di quelle che devono sacrificare la pasta asciutta alla linea, sparita in cucina. E Nani mi racconta che per essere stato sempre in mezzo alle bici non può fare a meno di vivere con i corridori. Corse dal '31 al '61 mi dice, cominciò a fabbricare bici artigianalmente, fece anche il pittore, "pure mia moglie dipinge" e mi indica un quadro di lei, di un mare nero e bianco di schiuma infuriato contro scogli aguzzi come vetri infranti", ma sempre tornò al suo fondamentale amore: la bici. A Treviso fanno i telai, qui, a Catena verniciano e montano. Ha fondato la società Tognana - Pinarello per veder di far crescere dei campioncini. E così ogni anno sono speranze, illusioni, occasioni per tirar avanti, come con quel Schiavon che promette di diventar bravo come Durante. Ma ora è militare, purtroppo. Si passa a parlare di Adriano, questo ragazzo che sino all'anno scorso andava "per siepi a far radici", l'inverno, un carattere duro - la sua forza - perchè viene fuori da una "famiglia forte, rocciosa". "Suo padre era il più forte della zona". 93 Nani Pinarello in gioventù. Sullo sfondo il molino Curtolo di Catena e due ragazze amiche dei Pinarello. 94 Mario del Monaco all'officina Pinarello,anni '60. Siamo di fonte all'officina Pinarello di Catena. Da sin.:1-Nani Pinarello 2-Augusto Gattel 3-Renato Rebuschi 4-Mario Del Monaco 5-Italo Trevisan 6-Giovanni Simionato 7-Carlo Pinarello. Giovanni e Carlo appresero i primi rudimenti come costruttore di bici già prima della guerra, quando Nani era poco più che quindicenne, presso la ditta Paglianti e a Catena, a casa propria. Già nel 1922, infatti, un loro cugino Alessandro aveva iniziato, in una piccola officina, a costruire biciclette, come dimostra la Medaglia d’Oro ed il Diploma di Partecipazione alla Fiera di Milano del 1925.) 95 L'UNIONE CICLISTI TREVIGIANI E LA STORIA DEL CICLISMO TREVIGIANO Da un testo tratto dal sito internet dell'Unione Ciclisti trevigiani. ell'anno 1912, a Treviso vennero organizzate varie gare di risonanza di risonanza che tuttavia non contribuirono a sollevare il ciclismo: molti club si sciolsero lasciando liberi i corridori tesserati. Nel 1913 alcuni dei più forti e tenaci corridori, lasciati svincolati, si ritrovarono a Castelfranco Veneto per una gara e alla richiesta, da parte degli organizzatori, per chi gareggiassero, dissero: per l'Unione Ciclisti trevigiani. Gareggiarono tutti con una maglia color nero con la scritta U.C.T. nel davanti. Così è nata l'Unione Ciclisti Trevigiani e fortuna volle che la gara venisse vinta da Zanchetta della Trevigiani. Fu un battesimo fortunato, come gloriosa e fortunata è sempre stata la storia dell'Unione Ciclisti Trevigiani. Negli anni successivi vuoi per la prima guerra mondiale vuoi per altri problemi la Trevigiani si fuse con altra società di Treviso, il Club Ciclistico Trevigiano. La fusione non ebbe lunga vita in quanto sorsero delle incomprensioni. Nel 1919 fu sottoscritto l'atto che sanciva la nascita dell'Unione Ciclisti Trevigiani. Promotore principale fu Gino Fregonese che venne nominato segretario e direttore tecnico. Presidente fu eletto il Tenente Antonio Pagnin. Il colore delle maglie rimase invariato. Da subito vennero organizzate importanti gare ciclistiche che ebbero grande partecipazione di corridori e pubblico. Una fra tutte : la Popolarissima. Dopo una seconda fusione con il Club Ciclistico Trevigiano, nel 1923 venne ricostituita definitivamente l'Unione Ciclisti Trevigiani, la maglia sociale nera venne sostituita con una maglia color bianco e nero a scacchi e la scritta U.C. Trevigiani nel davanti. Presidente fu nominato il Cav. Ugo Marcati e segretario viene riconfermato Gino Fregonese. Dopo il primo decennio, caratterizzato da alterna fortuna, iniziò un lungo e fortunato periodo che arriva ai giorni nostri e che continuerà ancora per molti anni. Con il passare del tempo l'Unione Ciclisti trevigiani riuscì ad imporsi a molte altre società ciclistiche e diventò punto di riferimento per tutto il ciclismo trevigiano e regionale. N Che dovessero arrivare i grandi risultati era convinzione di tutti. In questo periodo i corridori della Trevigiani si imposero con una certa facilità in tutte le competizioni più significative, l'apparato organizzativo fu impegnato con successo nel coordinamento di nuove gare in tutta la provincia riservate alla categoria Esordienti, Allievi, Juniores, Dilettanti e Professionisti. La segreteria fu impegnatissima nella gestione dei vari clubs e dei numerosissimi soci che contribuirono finanziariamente e a sostenere moralmente gli atleti durante le competizioni. Dopo gli entusiasmanti successi di Antonio Bevilacqua (Campione Mondiale inseguimento nel 1950, 1951 e Campione Italiano Inseguimento nel 1943, 1949, 1950 e 1951) nel 1952 e 1953 l'Unione Ciclisti trevigiani conquista il titolo Campione Italiano Allievi a Squadre. Contribuirono a raggiungere gli importanti successi : Pini, Roman, Bizzarro, Gabrielli, Lorenzini, Caldato, Pinarello G., Brescancin, Cremonese, Perini, Saccon, Stella, Galeazzi, Meneghetti, Gobbo, Francescato, Marion, Rizzato, Pinarello C., Buosi, Grosso, Roma, Mestriner, Barbiero, Troncon, Tomasella, Marion, Meuzzo, Furlan, Bortolin, Brasola, Saccon, Santin, Tormena, utti, Cardi, Trevisan, Cestari, Pagotto, Stival, Tomasin, Bergamascao, Colletto, Zara, Rui, Crema e tanti altri. La maglia azzurra con fascia bianca nera diventò la maglia più conosciuta da tutti gli appassionati di ciclismo. In questo periodo alcuni atleti approdarono alla categoria professionistica come Pinarello G., Coletto, Cestari, Cremonese, Pinarello C., Grosso Roma, Roma, Barbiero, Brasola, Tomasin. Nonostante la tenacia e la grande volontà, alcuni atleti non riuscirono a sfondare, ricordiamo Vilfrido Perini bonariamente chiamato "brocco" persona buona, sensibile e disponibile. Fu nominato Presidente Onorario dell'U. C. Trevigiani nel 1987. C'è molto entusiasmo attorno a questa società che continua a mietere vittorie e vede aumentare i suoi sostenitori. Oltre ai corridori già citati è doveroso ricordare Zanatta, Golfetto, Sfoggia, Bonato, Zorzetto, Pavan, Tauro, Mariotto, Bariviera, Vanzella, Favero, Zoppas, Padoan, Menegaldo, Nardi, Zanchetta, Poletto ed altri umili gregari che ci è difficile ricordare. zativa si Per alcuni di questi costituisce 96 corridori si aprirà la la sezione strada del professionicicloturistica, la cui smo con risultati atleattività culmina con tici di tutto rispetto, l'organizzazione della essi sono . Bariviera, Treviso-Falcade in Vanzella, Zoppas, notturna, ma che serve Padoan, Zanchetta. a portare in Società Gli Allievi nel 1955, nuovi Soci, tutti 1956 conquistano il appassionati della Titolo Italiano a bicicletta, tutti intenSquadre; anche i zionati a contribuire Dilettanti conquistaalla causa dello sport rono nel 1955 lo stesdel ciclismo. so titolo. Alcuni corridori che Dopo l'ultimo Titolo hanno gareggiato per i Italiano Allievi nel colori sociali della 1972 la vita sociale Trevigiani da della Trevigiani entra Dilettanti sono sucin un periodo difficile cessivamente passati per l'evolversi della al Professionismo, società italiana semconfermando come pre meno disponibile l'U.C. Trevigiani all'associazionismo possa esser consideraed ai sacrifici. ta a buon diritto il Contemporaneamente Indurain e Nani Pinarello, 1998 trampolino di lancio . Catena sorgono in questi anni Foto autografata da Indurain con la scritta " Per verso il professioninuove società ciclisti- gli amici del Club Indurain da Coppi-Treviso-A.. smo. che, che grazie all'ap- Indurain” Sotto la presidenza porto finanziario degli Sfoggia, nonostante la Sponsor riescono ad ingaggiare con maggior faci- volontà di tenere sempre pulita la maglia sociale, lità i migliori corridori del momento, cosa che non grazie al contributo disinteressato di tanti operatopuò fare la Trevigiani. ri trevigiani, la società è riuscita a ritornare comL'organizzazione delle gare diventa più difficile petitiva e vincere importanti gare. per l'aumento del traffico ed impegnare la sede L'apparente inspiegabile successo è dovuto in stradale per tanto tempo è cosa proibitiva. gran parte alla grande solidarietà esistente. Nel La ribadita intenzione di non ricorrere agli spon- 1980 viene inaugurata la nuova prestigiosa sede sors, comporta il ridimensionamento di tutti i pro- sociale di porta San Tomaso. grammi, cosicché gli sforzi vanno concentrati in Le tante vittorie ultimamente ottenute, le convopoche ma significative manifestazioni ed allesten- cazioni in nazionale di molti nostri atleti, hanno do squadre nelle categorie dove ci si sente più premiato gli sforzi profusi in questi ultimi anni; competitivi. sforzi riconosciuti dalla F.C.I. con l'assegnazione In questo periodo però arriva il massimo ricono- della medaglia d'oro F.C.I., ritirata dal segretario e scimento a cui una società sportiva può ambire: la Presidente Onorario Cav. Gino Fregonese. Stella d'Oro al merito Sportivo conferita dal Significative sono le vittorie in campo nazionale CONI all'Unione Ciclisti trevigiani nel 1967 per i ed internazionale di Longo, Lorenzi, Boarin, numerosi meriti acquisiti nel grande panorama Poser, Bielli, Pavan e buona ultima quella di dell'attività ciclistica nazionale. Voltarel nella Popolarissima 1991. Dopo un periodo di riflessione, di ricerca degli entusiasmi vissuto più sui ricordi del glorioso passato, rinasce attorno alla società un nuovo gruppo dirigente che si impegna con dedizione a rinnovare i successi di un recente passato. Accanto all'attività principale agonistico-organiz- 97 LA STORIA DEL CICLISMO TREVIGIANO di Ernesto Brunetta desso la bicicletta è una cosa di ricchi. solitari; certo, a volte il gioco di squadra riesce Se appena appena c'è un po' di sole, li e le tattiche studiate a tavolino dai direttori vedo al mattino, di domenica natural- sportivi trovano puntuale riscontro in corsa; mente, al bar, fasciati da tute di pregiati tessu- ma, al momento buono, alla fine, quando la ti e di molti colori; le bici restano appoggiate gara entra in fibrillazione, in testa rimane chi fuori con i loro avveniristici cambi e ingranag- ha gambe, le sue gambe, non quelle dei comgi che Coppi si sarebbe sognato, costruite in pagni, così come indietro, quando per la strada leghe leggere, armoniose. non c'è più nessuno e magari incombe lo spetBevono cappuccini, mi sgridano perché sono tro del tempo massimo, rimane chi non ne ha rimasto uno degli ultimi fumatori - gli amici più e rema nell'aria e boccheggia e cerca ossiciclisti, sono tutti igienisti - poi parlano del geno. Montello, del Combai, del San Boldo e parto- Giorgio Fattori, che poi di strada ne ha fatta no felici per l'idea di perdere peso, di sgomi- tanta, ma che allora scriveva le note di colore nare i lombi del benessere, l'adipe della seden- sulla Gazzetta al seguito del giro, l'ha colto tarietà, la molestia del grasso superfluo. splendidamente quando dedicò due colonne al Cicloamatori di lusso. nostro Bortolo Bof che procedeva nella camUn tempo non era così, i cicloamatori non c'e- pagna assolata, sotto la cappa pesante dell'afa, rano, c'erano i ciclisti che erano poveri e il più accompagnato soltanto dal frinire delle cicale, spesso di campagna; nel panorama degli sports unica voce vivente che accompagnasse il frupoi, il ciclismo veniva assimilato alla marcia, scio del tubolare sull'asfalto. Poi c'è qualche perché era francescano, e lo strumento era ciclista che guadagna bene, che si fa anche, quello che era e la maglietta era quella che ti come si dice, i soldi. passava la società e la tuta semplicemente non Ma non sono gli stessi soldi del calciatore o c'era; anzi qualche volta non c'era neanche il del cestista, sono i soldi di quell'operaio che, tubolare di ricambio se non si fosse rincorso a faticando, ha messo da parte e ha aperto un lungo Gino Fregonese che poi magari, con aria capannone e ci lavora qualcosa, sempre in magnanima, lo concedeva e allora veniva col- prima persona, con i calli sulle mani e la schielocato a tracolla come una specie di bandolie- na ricurva sulle macchine. ra che attraversava il petto, filo nero che inter- Così il ciclista quand'anche sia diventato un rompeva e spartiva il bianco e il celeste della campione, ma comunque deve andare lui nel maglia. Sport di sudore, sia quando si incontra sole e nel vento, deve essere lui a picchiare il temporale, sia quando si pedala nell'afa e sulle discese, deve essere lui a sputare l'anima non ti fanno compagnia che le cicale su quelle sulle salite. Sicché non si possono non amare i stradine - a mangia e bevi, le chiamano i corri- ciclisti, perché anche nell'epoca della televidori toscani - che gli organizzatori vanno a sione e dei cambi a 16 velocità, rimangono gli inventare apposta per farti faticare. ultimi cavalieri antichi, gli ultimi alfieri dell'uCome portar mattoni su per le armature, guidar miltà e delle peripezie. l'aratro sui solchi : il ciclista ha gesti antichi, Come spesso capita alle cose serie, l'Unione lenti anche quando la media va su. Gesti che Ciclisti Trevigiani nacque per gioco, come indicano la fatica che è quella fatica degli affermazione verbale prima che come società, umili che però dall'umiltà assurgono alla san- perché uno che ha vinto una corsa, deve pur tità, come gli ulivi della lirica dannunziana. E' appartenere a qualcosa, si vergogna a dire che sport per tutti : purché si abbiano polmoni e è figlio di nessuno. E dunque disse, siamo garretti, i bassi van bene per la salita, gli alti dell'Unione Ciclisti Trevigiani, profeticamente per il passo, i potenti per la volata. Da Trueba anticipando. la pulce dei Pirenei ai quattro corazzieri che Era il 1913, l'anno delle prime elezioni a suffanno la 100 chilometri. E' anche sport per fragio universale maschile e di D'Annunzio A vate in fuga in Francia oppresso dai debiti, di "Cabiria" sugli schermi dell'Edison e del Centrale, dello Sina e del Tripolitania, accompagnato dallo strimpellare del pianista, delle note di "Vipera" e dei primi aeromobili in volo a vista, mentre sulle strade, spaventando cani e cristiani, passava come un fantasma rumoroso qualche carrozza a motore. Si avviava insomma la società di massa e lo sport ne era parte integrante come lo erano l'incipiente motorizzazione, i templi dell'immagine in movimento e l'allargamento degli ammessi alle urne elettorali. Sulle note del balletto "Excelsior" e nella certezza delle meraviglie delle nuove tecniche, ci si illuse che il paesaggio fosse pacifico e che al più - le prime Olimpiadi dell'era moderna sono del 1896 - fosse lo sport la competizione nella quale mimare le vittorie e le sconfitte sicché la guerra si trasformasse in gioco. Ma non fu così e i cannoni d'agosto chiusero definitivamente il XIX secolo e aprirono il ferreo, corrusco XX. Allora l'idea del 1913 - in una Treviso ove in vero si era corso fin da quando avevano inventato il velocipede se, come ci ricorda Giorgio Garatti, autentico, quotidiano cantore dello sport trevigiano, a fine secolo esistette in città anche un ciclodromo sito nell'ortaglia tra Borgo Cavour e le mura - rimase un'idea perché menti, cuori e muscoli erano in tutt'altre faccende affaccendati e ciclisti erano i bersaglieri che pedalavano su pesanti trabiccoli con le gomme piene. Treviso fu in prima linea, con il fronte attestato per un anno sul Piave e sul Montello, ne subì 32 incursioni aeree, vi piovvero 5.000 bombe avversarie, vennero distrutti o furono danneggiati 1.440 fabbricati, si contarono morti tra la popolazione civile, coinvolta nel grande dramma del profugato in terre lontane con lo stesso Comune trasferito a Pistoia. Ciò che non era stato possibile prima, fu però possibile dopo: nel 1919 si giunse alla fondazione ufficiale dell'Unione Ciclisti trevigiani nel corso di una storica riunione convocata da quel Gino Fregonese destinato a diventare un mito nella piccola storia del ciclismo trevigiano. E con la formazione ufficiale della società, cominciarono i successi - penso tra le due guerre ad Alfonso Piccin Raffaele Di Paco - e l'organizzazione di corse di ogni tipo tra le 98 quali non possiamo non ricordare la Popolarissima, una specie di Milano - Sanremo dei dilettanti con la quale i trevigiani si accorgono che è finito l'inverno e che sta per cominciare una nuova primavera. Da quel momento la società visse con Treviso e Treviso con la società, entrambe completandosi e vivendo la simbiosi di una città povera qual era la Treviso degli anni '20 e '30 - dal dopo guerra pesante per le distruzioni alla grande crisi del '29 che si protrasse fin ben dentro gli anni '30 - e di uno sport povero, sicchè non meraviglia che la scelta che la società, conservando un po' di nero come retaggio antico, si desse maglie bianco-celesti come i colori della città. E visse tanto l'Unione la vita di quella che il suo superbo medagliere venne offerto alla Patria nel 1935 e quando da quella data al 1944 era stato, vincendo, ricostituito, andò parzialmente distrutto o disperso sotto l'infuriare dei bombardamenti. Dal punto di vista sportivo, quando Nane Pinarello, meritatamente destinato al successo sportivo per quella sua capacità di tenere, sia pure per un numero limitato di chilometri media elevatissime, e al successo nella vita, che poi è quello che più conta, vinse nel 1942 la Popolarissima, si chiuse quest'epoca pionieristica. Dalla tragedia della guerra, con il suo 82% di 99 Due immagini della tessera ciclistica di Attilio Carniato da Lancenigo datata 30 giugno 1915 edifici distrutti o danneggiati e i suoi 1.600 morti civili, Treviso risorse più bella e più attiva e avviò un gigantesco processo di trasformazione che la colloca oggi tra le città più prospere e più vivibili del Paese. L'Unione non poteva mancare a questa fase e quanto bene fece al morale il fatto che in una città ancora semidistrutta si corresse il Circuito degli Assi, lungo le mura cinquecentesche, con Bartali, Coppi, Magni, che a me ragazzo firmò l'autografo all'ingresso dell'Albergo Baglioni, e la scena, confesso, mi commuove ancora, pur dopo una vita vissuta. Cominciò l'epoca d'oro del Campione del Mondo Toni Bevilacqua, di Adolfo Grosso, di Cestari che portò il pedale trevigiano alla Corsa della Pace nell'Est allora chiuso e misterioso, del quadrato De Rosso, del camoscio Roma, del veloce Bariviera, del fedele Coletto, campioni che vinsero da dilettanti e da professionisti, ma soprattutto gente seria, con alle spalle una vita, gente che sapeva la fatica e le dava del tu e per la quale dunque la fatica di stare in sella non era poi peggiore di quella che avrebbero fatto in fabbrica o nei campi. Galantuomini quindi soprattutto, prototipi di quella razza Piave che ha esportato lavoro in tutto il mondo. Lo stesso lavoro che esportavano loro, anche se la maniera di farlo era diversa. Poi le cose cambiarono, perché incominciò a correre troppo denaro e anche tenere in piedi una squadra di dilettanti divenne difficile. E allora, per farlo, tutti ricorsero agli sponsor e le maglie divennero come quelle di Arlecchino, con tante, multicolori pecette pubblicitarie. L'Unione no; a costo di ridurre, di ridimensionare, o di imporre a dirigenti e soci ulteriori sacrifici, si volle continuare nel solco della tradizione. Si era partiti come Unione Ciclisti e come Unione Ciclisti si sarebbe continuato, senza trattini che congiungessero il nome a quello di una marca di acqua minerale o di profumo per uomini. Anche questa è la nostra cultura, anche questo è un modo encomiabile di intendere il ciclismo. Da un testo del Prof. Ernesto Brunetta tratto dal sito internet dell’UNIONE CICLISTI TREVIGIANI 100 Vecchie glorie. Catena. In Sport Trevigiano 101 LA CONTRADA DEL CICLISMO 102